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PDL 1990

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1990


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

DONADI, DI PIETRO, EVANGELISTI, BORGHESI, BARBATO, CAMBURSANO, CIMADORO, COSTANTINI, DI GIUSEPPE, FAVIA, ANIELLO FORMISANO, GIULIETTI, MESSINA, MISITI, MURA, MONAI, LEOLUCA ORLANDO, PALADINI, PALAGIANO, PALOMBA, PIFFARI, PISICCHIO, PORCINO, PORFIDIA, RAZZI, ROTA, SCILIPOTI, ZAZZERA

Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province

Presentata il 5 dicembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con legge costituzionale n. 3 del 2001, ha ribadito il mantenimento della provincia quale ente intermedio tra comune e regione, accanto alla città metropolitana, la quale rappresenta, dunque, l'unica innovazione strutturale di rilievo nel sistema degli enti locali a decorrere dall'unità d'Italia.
      Eppure, sin dalla nascita della Repubblica, molte voci della dottrina, della politica, del mondo del lavoro e della società civile si sono interrogate sull'opportunità di mantenere le province e hanno evidenziato la loro inadeguatezza rispetto alle esigenze di una razionale organizzazione del sistema del decentramento.
      Nel 2008 le province in Italia raggiungono il numero di 108; ben dodici nuove province sono state istituite nell'arco di 13 anni tra il 1992 e il 2005. L'istituzione delle ultime dodici province ha interessato solo il 6 per cento dei comuni italiani ma, contemporaneamente, il numero delle province è aumentato di quasi il 13 per cento. Questa tendenza alla frammentazione amministrativo-territoriale non sembra essersi fermata: al contrario, nelle ultime legislature sono stati presentati vari progetti di legge finalizzati a istituire nuove province.
      Non sono state dunque tratte fino in fondo le conseguenze delle riflessioni a più riprese fatte in merito al mantenimento delle province, con riferimento, in particolare, alla loro giustificazione storica, al loro ruolo nel processo decisionale, derivante anche dalla confusione nell'allocazione delle competenze, al principio di rappresentanza e al rapporto tra costi e benefìci.
      Come è noto, infatti, le province nascono dall'alto, quali circoscrizioni prefettizie, con un territorio commisurato al tempo percorso da un messo a cavallo dal confine alla sede prefettizia. Non c'è dunque alcun legame con il bacino di utenza ideale per l'erogazione e per il coordinamento dei servizi, nonché per l'espressione della rappresentanza, cui dovrebbe essere commisurato l'assetto degli enti locali alla luce della visione complessiva che la Costituzione ha del sistema del decentramento.
      Le province non sono radicate storicamente, diversamente dai comuni, circa i quali, al più, ci si può interrogare sull'opportunità di favorirne l'aggregazione.
      Nel processo decisionale le province rappresentano, poi, un passaggio in più, e anche dalla prospettiva della scienza politica, l'aggregazione di interessi a livello provinciale si sovrappone e duplica, moltiplica, altre fasi per la risoluzione dei problemi. Gli interessi sono infatti già mediati, oltre che a livello politico attraverso partiti, lobby e associazioni, anche a livello istituzionale per il tramite degli organi comunali, di comunità montana (ove esistente), di altre forme associative e di regione. Risulta paradossale che per svolgere funzioni prevalentemente di coordinamento si mantenga un ulteriore livello di governo e che l'apparato provinciale sia reputato del pari indispensabile al fine di svolgere le (non numerose) funzioni amministrative di livello sovra comunale, per le quali il principio di sussidiarietà suggerisca di devolvere l'attuazione a un livello maggiore del comune.
      Attualmente poi, secondo quanto disposto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, le funzioni più importanti delle province riguardano la difesa del suolo e delle risorse idriche, la viabilità, la caccia e la pesca, l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale e compiti connessi all'istruzione secondaria di secondo grado e artistica, compresa l'edilizia scolastica. Si tratta, come si vede, di funzioni che sono già svolte a livello interprovinciale o regionale (come nel caso degli ambiti territoriali ottimali idrici e per lo smaltimento dei rifiuti) o che possono essere meglio svolte dalle città metropolitane, quando saranno costituite, e dalle regioni, il cui ruolo è stato potenziato con la citata riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
      In termini di rappresentanza, nonostante il sistema elettorale introdotto con le riforme degli ultimi anni, volto a favorire un collegamento diretto tra corpo elettorale e presidente della provincia, la «visibilità» di quest'ultimo resta alquanto scarsa, rispetto al presidente della regione, e incommensurabilmente più ridotta di quella del sindaco. A livello provinciale, l'introduzione dell'elezione diretta non ha determinato il rafforzamento di un rapporto virtuoso tra rappresentanza e responsabilità, che invece si percepisce nitidamente per il sindaco e per il presidente di regione, trattandosi in questi casi di enti con competenze definite, il cui esercizio ha ricadute dirette sulla rispettiva cittadinanza e il cui adempimento (corretto o scorretto, buono o cattivo esso sia stato) comporta appunto l'attivazione della responsabilità politica.
      La frattura tra rappresentanza e responsabilità (e il generale diffuso disinteresse della gente per le province) è eclatantemente percepita dal corpo elettorale, come dimostrano le statistiche relative alla partecipazione al voto nella tornata amministrativa del 27-28 maggio 2007. Mentre ben il 73,95 per cento degli aventi diritto al voto ha partecipato alle votazioni per le elezioni comunali, solo il 58,08 per cento ha preso parte a quelle provinciali (fonte: Ministero dell'interno, www.interno.it). Si consideri, altresì, che la percentuale delle elezioni provinciali risulta enfatizzata per eccesso, poiché in molte province si votava contemporaneamente per le elezioni comunali e proprio questa circostanza ha sollecitato molti cittadini a partecipare anche alle elezioni provinciali.
      La provincia, insomma, continua ad apparire, come sempre è stata, un ente lontano dalla gente e dall'elettorato, il quale non percepisce il nesso tra fiducia concessa, leadership provinciale e ritorno in termini di servizi e, quindi, di responsabilità.
      In sostanza, quindi, la presente proposta di legge costituzionale muove da un'esigenza di semplificazione del quadro istituzionale che è innanzitutto percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione.
      Se poi si affronta la questione in termini di costi, va rilevato che in media, tra entrate tributarie, trasferimenti ed entrate extratributarie, ogni italiano spende per le province in media quasi 160 euro ogni dodici mesi. Una cifra che negli ultimi cinque anni è aumentata del 15 per cento. A incidere sono soprattutto una tassa che esiste solo in Italia, ossia l'imposta provinciale di trascrizione (IPT), cresciuta del 22 per cento tra il 2002 e il 2007, e la quota dell'assicurazione per responsabilità civile auto, che nello stesso arco di tempo è lievitata del 28 per cento. Va segnalato, poi, che le province costano di più al centro: 178,49 euro a ciascun cittadino. Seguono quelle del nord-ovest, con 164,34 euro pro capite, e quelle del nord-est (164,30 euro). Va meglio, nonostante il caso della Basilicata (a cui le province costano oltre 240 euro l'anno), nel Mezzogiorno, dove i cittadini pagano 143,21 euro a testa. Al centro, subito dopo la Toscana, le province costano tanto anche ai marchigiani (214,27 curo pro capite) e agli umbri (204,23 euro). Al nord-ovest, invece, le province piemontesi (205 euro pro capite) e le liguri (192 euro) sono le più costose. A livello di ripartizione geografica, il valore più basso delle entrate correnti pro capite si registra nel Mezzogiorno, segnatamente nelle province della Puglia (115,70 euro), della Sicilia (121,90 euro) e della Sardegna (133,16 euro).
      I trasferimenti di risorse finanziarie alle province sono incrementati significativamente nel biennio 2001-2002 e ciò è accaduto in corrispondenza dell'attribuzione alle amministrazioni provinciali di alcune (limitate) competenze in materia di gestione del mercato del lavoro e delle strade dell'ex Azienda nazionale autonoma delle strade (ANAS). Complessivamente, nel 2005 le entrate raggiungevano i 16 miliardi di euro, mentre le uscite si attestavano a 16,5 miliardi di euro. Le conseguenze nefaste della moltiplicazione delle province sono esaurientemente esemplificate dal caso sardo che, negli ultimi anni, ha conosciuto un'incredibile proliferazione di tali enti. Nel solo 2005, infatti, sono state istituite ben quattro nuove province (Carbonia Iglesias, Ogliastra, Medio Campidano e Olbia Tempio).
      A fronte dei costi complessivi delle province, l'esborso per i 4.200 rappresentanti provinciali, pari a 115,3 milioni di euro, diventa quasi irrisorio. È bene però ricordare che ogni figura politica provinciale ha il suo costo: il range è compreso tra i 62.000 euro l'anno di un presidente di giunta e i 21.000 di un consigliere provinciale. In media, quindi, ogni politico ha un costo di 27.400 euro.
      La soppressione delle province, oltre che consentire la realizzazione di un assetto politico istituzionale più lineare e sicuramente più funzionale, permetterebbe quindi un enorme risparmio per le casse dello Stato e costituirebbe per i cittadini un chiaro segnale di volontà di riformare la «macchina amministrativa», a vantaggio della semplificazione di un sistema che sia efficiente e, soprattutto, meno dispendioso. Da ultimo, l'accorciamento della catena decisionale costituirebbe senza dubbio un decisivo deterrente contro corruzioni e clientele. In questo quadro, la soppressione delle province diventa più che mai il simbolo di un forte e coerente impegno nei confronti del Paese.


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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.
(Modifica della rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione).

      1. La rubrica del titolo V della parte seconda della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Le Regioni e i Comuni».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 114 della Costituzione).

      1. Il primo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».

      2. Il secondo comma dell'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione».

Art. 3.
(Modifiche all'articolo 117 della Costituzione).

      1. Alla lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.
      2. Al terzo periodo del sesto comma dell'articolo 117 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.

Art. 4.
(Modifiche all'articolo 118 della Costituzione).

      1. Al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.
      2. Al secondo comma dell'articolo 118 della Costituzione, le parole: «, le Province» sono soppresse.
      3. Al quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione, la parola: «, Province» è soppressa.

Art. 5.
(Modifiche all'articolo 119 della Costituzione).

      1. Ai commi primo, secondo e sesto dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «le Province,» sono soppresse.
      2. Al quarto comma dell'articolo 119 della Costituzione, le parole: «alle Province,» sono soppresse.
      3. Al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, la parola: «Province,» è soppressa.

Art. 6.
(Modifica all'articolo 120 della Costituzione).

      1. Al secondo comma dell'articolo 120 della Costituzione, le parole: «, delle Province» sono soppresse.

Art. 7.
(Abrogazione del secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione).

      1. Il secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione è abrogato.

Art. 8.
(Abrogazione del primo comma dell'articolo 133 della Costituzione).

      1. Il primo comma dell'articolo 133 della Costituzione è abrogato.

Art. 9.
(Norme di attuazione).

      1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, si provvede, con legge dello Stato, a regolare il passaggio delle funzioni delle province alle regioni o ai comuni, nonché quello dei beni di proprietà e del personale dipendente delle province medesime ai citati enti.


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