Back

Seduta dell'1/12/2005


Pag. 3


...
Audizione del dottor Franco Giustolisi, giornalista.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Franco Giustolisi, autore, fra l'altro, del volume L'armadio della vergogna, pubblicato nel 2004.
Invito il dottor Giustolisi ad esporre quanto di propria conoscenza, in merito alle tematiche oggetto dell'inchiesta parlamentare.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Cosa devo dire? Cosa mi si chiede di dire, presidente?

PRESIDENTE. Quello che lei sa in merito all'inchiesta oggetto di questa audizione.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Quello che so in merito all'inchiesta l'ho


Pag. 4

scritto nel libro. Se credete, posso sottolineare i punti fondamentali della vicenda che, a mio parere, sono due o tre.
Il primo riguarda le motivazioni dell'affossamento dei fascicoli. È noto quanto ha riferito il Consiglio della magistratura militare, ovvero che all'inizio della guerra fredda i nemici di un tempo diventano amici, e viceversa, quindi si considera opportuno non divulgare fascicoli e notizie che possano dare addosso alla nuova Germania. Circostanza che, del resto, confermerà successivamente - siamo nel 1956 - il ministro degli esteri Martino quando scriverà a Taviani.
La seconda motivazione, emersa successivamente, introduce la possibilità che tutto si sia fermato, in quanto le nazioni aggredite dal fascismo avevano inviato militari, anch'essi criminali di guerra, dello stesso tipo e dello stesso spessore di quelli nazifascisti. Quindi, per fare «pari e patta», si sarebbe ritenuto inopportuno chiedere l'estradizione di criminali nazisti, per evitare che altre nazioni la chiedessero per italiani (è fastidioso parlare di «criminali italiani», ma questa sarebbe l'espressione più corretta).
La terza ipotesi - è un'ipotesi che ho formulato in seguito, man mano che ho approfondito l'argomento, dunque non compare nel libro - è che la Democrazia Cristiana, nel suo embrassement di carattere generale (in parte vero, perché faceva parte del suo modo di essere, ma in parte strumentale), ha cercato di evitare la macchia d'infamia a carico dei fascisti di Salò (perché dei fascisti essa si servì).
Altra circostanza che mi sento di dover riferire - e che ho scritto - è che, a mio parere, l'affossamento dei fascicoli avviene dal 30 giugno 1947. Questa è la stessa data della lettera di un alto funzionario del Ministero degli esteri, Castellano, che riferisce al suo superiore, il segretario generale del ministero degli esteri, conte Vittorio Zoppi (o Zappi, non ricordo bene): «È venuto da me Sua Eccellenza Borsari» - allora andava di moda esprimersi in questo modo -, «il quale mi ha riferito che i fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste - oltre 2 mila - sono pronti».
Del resto, sino a quella data, Borsari aveva dato prova di grande attivismo, inviando richieste e lettere addirittura a coloro che a Venezia si occupavano del processo a Kesserling, ai prefetti, alle forze di polizia e alle Commissioni alleate chiedendo documenti e quant'altro. Poi tutto finisce. Da quel 30 giugno del 1947, ci si deve spostare in avanti per stabilire la data e per capire chi fu a chiudere i fascicoli nell'armadio della vergogna (o meglio chi ordinò di farlo).
È da tener presente che poco più di un mese prima, il 20 maggio 1947, le sinistre - comunisti e socialisti - erano uscite dal Governo, in quanto cominciava la guerra fredda. Dal mio punto di vista, logico, formale e sostanziale rispetto ai documenti, questo sotterramento avvenne ad opera dei partiti di centrodestra che si alternarono dal 1947 in poi.

PRESIDENTE. Ha concluso?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Non vorrei aver dimenticato qualcosa, ma mi sembra che i dati essenziali siano quelli che ho riferito. Se credete, posso aggiungere ancora un particolare.
Mi sembra strano che, in questo paese, a distanza di oltre 60 anni da quelle stragi e dall'occultamento di questi fascicoli, che ha impedito di fare giustizia - per ragioni di Stato o meno, non sono in grado di dire -, lo Stato italiano non sia ancora intervenuto per trovare il modo di celebrare gli ultimi processi.
La procura di La Spezia è quella che è interessata dal maggior numero di fascicoli, essendo competente per la Toscana e per l'Emilia - le regioni più colpite dalle stragi nazifasciste -, nonché per parte delle Marche e della Liguria. Ebbene, qualche mese fa (non so esattamente la data), il procuratore militare De Paolis ha scritto al suo superiore, il procuratore generale Bonagura, di non avere uomini di polizia giudiziaria, né locali e, addirittura, neppure i soldi per tradurre dall'inglese e dal tedesco i fascicoli relativi alla strage di Marzabotto: questa è la vergogna della vergogna della vergogna!


Pag. 5


Sono a disposizione per eventuali domande.

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Non credo che ci interessino tanto i commenti e le valutazioni, quanto i fatti.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Mi scusi, mi è stato chiesto di esprimere ciò che volevo.

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Le è stato chiesto di esprimere quel che sapeva, le valutazioni sono personali: le mie, ad esempio, sono diametralmente opposte alle sue!
Non ho capito bene la terza ipotesi secondo la quale la DC avrebbe cercato di salvare i fascisti di Salò. Me la può spiegare? Tra l'altro, dovremmo dire che i fascisti di Salò sono stati salvati da tutti i partiti, dal momento che sono finiti in tutti i partiti e ovunque sono rimasti intoccati, non solo nella Democrazia Cristiana. Sono finiti persino nel Partito comunista e nel Partito socialista, hanno fatto carriera e sono stati salvati. Non capisco, dunque, cosa intende dire quando afferma che la Democrazia Cristiana cercò di salvare i fascisti di Salò, dal momento che tutti si occuparono di questo «salvataggio».
Le ricordo che l'amnistia Togliatti liberò proprio i fascisti di Salò, a meno che non vogliamo riportare, tra le cause dell'occultamento dei fascicoli, anche la volontà di Palmiro Togliatti, cosa che, peraltro, non mi dispiacerebbe.
Per quanto riguarda la motivazione di carattere internazionale, vorrei che precisasse meglio i documenti a cui ha fatto riferimento. Lei ha parlato, ad esempio, del ministro Martino. Se questi documenti esistono, il lavoro della Commissione può considerarsi finito. Non ci sarebbe, in tal caso, nemmeno bisogno di redigere una relazione finale. Mi pare di aver capito che esistano dei documenti dai quali risulterebbe che lo Stato avrebbe deciso, per ragioni di politica internazionale, di guerra fredda, di non processare i responsabili dei crimini nazifascisti.
Questa è una tesi che potrà anche avere una certa prevalenza all'interno di questa Commissione, ma ritengo che debba essere adeguatamente motivata. Se lei è in possesso di questi documenti, ammesso che non li abbia già la Commissione, ritengo che il lavoro sia già sufficientemente avanti.
Inoltre, lei ritiene che i paesi abbiano deciso di non chiedere l'estradizione dei rispettivi criminali, per fare - così lei ha detto - «pari e patta». Le chiedo di chiarire meglio questa idea.
Dal momento che lei ha affrontato il tema dell'armadio della vergogna, le chiedo: se era necessario chiudere i fascicoli per non aprirli mai più, per tutte le ragioni contenute nelle ipotesi da lei formulate, anziché chiuderli all'interno di un armadio che doveva costituire la testimonianza imperitura di una vergogna (visto che nei decenni successivi siamo arrivati a riaprire questo armadio) non le pare che sarebbe stato più logico far sparire fisicamente tutti i fascicoli? Che cosa sarebbe accaduto nei decenni successivi? Avrebbero trovato solo un armadio, che avrebbe potuto contenere i grembiuli degli uomini delle pulizie o chissà cos'altro, comunque un armadio vuoto, che non sarebbe più stato l'armadio della vergogna.
Se avessi dovuto decidere io l'eliminazione del problema, anziché lasciare a imperitura memoria un armadio che prima o poi qualcuno avrebbe aperto, l'avrei fatto scomparire. Visto che lei si è affidato alla logica, le chiedo se non ritenga più logica la soluzione che le ho appena prospettato.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Di voltagabbana ogni epoca è fin troppo piena. Lei afferma di non voler ascoltare pareri ma fatti. Adesso, però, mi chiede perché, a mio parere, non si sia deciso, all'epoca, di distruggere la documentazione. Questa è la domanda che mi viene rivolta più spesso quando vado in giro per l'Italia a cercare di sfondare il muro di silenzio che questa maggioranza di Governo - dico le stesse cose che dico in piazza - ha costruito intorno a questa vicenda.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, dottor Giustolisi, ma devo interromperla. Lei


Pag. 6

deve rispondere puntualmente alle domande che le vengono rivolte, tenendo per sé le considerazioni di carattere politico. Non è questa la sede per svolgere considerazioni di carattere politico né per tenere comizi.
Se è in grado di rispondere alle domande, lo faccia, altrimenti ha la facoltà di non rispondere.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Rispondo a tutti, ma siccome ognuno esprime i propri pareri...

PRESIDENTE. Allora...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Scusi, adesso è lei che non deve interrompere me.

PRESIDENTE. Io posso interromperla, è lei che non può interrompere me!

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Perché? Per quale motivo?

PRESIDENTE. Sono io che presiedo la Commissione. Lei deve rispondere alle domande che le vengono rivolte. Se non è in grado di farlo, non risponda!

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Sono in grado di rispondere. Come dicevo, la domanda che lei mi ha rivolto è quella che più comunemente mi viene posta quando vado in giro per l'Italia a raccontare queste vicende. La mia riposta è che non ho elementi sufficienti per spiegare i motivi di questa scelta.
Tuttavia i burocrati sono anche stupidi e attaccati a certe valutazioni, per cui preferiscono far sparire una pratica, piuttosto che distruggerla. Questa è la mia spiegazione, rispetto alla quale non ho alcuna motivazione, tranne che la logica, il pensiero, l'ipotesi.

MAURIZIO EUFEMI. Devo dire che sono un po' meravigliato dal tono di questa audizione. Tutto lasciava prevedere che l'audito avrebbe svolto una valutazione storico-politica, rispetto alla quale si sarebbe dovuto mostrare, in un certo senso, estraneo.
Noi stiamo verificando in maniera approfondita le conclusioni del Consiglio della magistratura militare dal 1999. Devo ricordare che questa maggioranza ha istituito questa Commissione parlamentare d'inchiesta, che sta ottenendo risultati che non sono stati mai raggiunti nelle precedenti legislature.
La documentazione che abbiamo verificato e che stiamo verificando è di tutto rilievo. Dobbiamo essere grati al presidente per le iniziative assunte da questa Commissione che si è mossa alla ricerca della verità in maniera unanime. Pertanto, non possiamo accettare giudizi inadeguati rispetto all'impegno che stiamo portando avanti perché si tratterebbe di un'offesa ai lavori della Commissione.
Ad ogni modo, voglio precisare alcune questioni. Quando parla del potere politico che assume le decisioni a proposito dei fascicoli, deve ricordare - questo dobbiamo puntualizzarlo - che l'autore dell'amnistia del 1946 è Palmiro Togliatti! Questo deve essere chiarissimo, per evitare mistificazioni rispetto a passaggi storici ineludibili!
Ha parlato, inoltre, dell'uscita delle sinistre dal Governo e dell'operato alacre di Borsari, prima del 1947. Vorrei ricordarle che Borsari è un procuratore generale militare, non un politico. I politici avevano assunto la decisione idonea a garantire l'azione della magistratura militare, ma come questa abbia deciso di agire è questione separata.
Abbiamo approfondito tutti questi passaggi e possiamo dire che quello della magistratura militare era il passaggio che godeva di piena autonomia: non c'era alcuna commistione fra potere politico e magistratura militare! Abbiamo svolto una serie di audizioni su questi argomenti e siamo assolutamente certi di quello che affermiamo.
Dottor Giustolisi, lei ha parlato più volte del cosiddetto «armadio della vergogna». Ebbene, noi abbiamo svolto un'indagine e siamo andati a vedere dove si trovasse questo armadio. Vorrei sapere se lei, da giornalista, visto che va in giro per l'Italia a spiegare


Pag. 7

questi fatti, ha avuto lo scrupolo e l'accortezza di andare a vedere dove si trovava fisicamente l'armadio e di svolgere, al riguardo, un'indagine approfondita. Noi l'abbiamo fatto e abbiamo toccato con mano di che cosa si trattasse. Ebbene, non c'era nessun armadio, per così dire, cancellato dalla storia, ma semplicemente un armadio spostato - questa è la verità -, a causa di alcuni lavori edilizi eseguiti in quei locali. Dobbiamo riportare i fatti alla loro realtà.
Infine, visto che ha dimostrato una grandissima memoria, ci dica come è uscito fuori questo documento, anche rispetto all'audizione...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Quale documento?

MAURIZIO EUFEMI. Abbiamo un documento che parla del suo incontro con Intelisano e dell'audizione...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Un'audizione da Intelisano?

MAURIZIO EUFEMI. Certo.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Io ho avuto un'audizione al CMM.

MAURIZIO EUFEMI. Appunto. Abbiamo un documento dal quale risulta che le sono state poste alcune domande.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Sì, ma non da parte di Intelisano, che non faceva parte della commissione.

MAURIZIO EUFEMI. Le domande le poneva Intelisano, non io.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. No. Io sono stato al CMM e Intelisano è un altro che è stato ascoltato. Non voglio interromperla, ma è per chiarirci.

MAURIZIO EUFEMI. Insomma, erano presenti il presidente e Intelisano.
Esiste questo documento, che è molto chiaro. Ebbene, non ci pare che abbia sostenuto, in quell'occasione, un grosso sforzo mnemonico. Ci aiuti a comprendere come ha ottenuto questo documento.
Lei parla addirittura di pagine ingiallite, di fotocopie, eccetera...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Ho capito a cosa si riferisce...

MAURIZIO EUFEMI. Facciamo un'operazione-verità, se vogliamo davvero essere partecipi di questa ricerca della verità. Ci dica come sono andate le cose, chi ha fornito il documento, da dove viene. Ritengo che avrebbe dovuto, con scrupolo, fornire tutti i mezzi per la conoscenza della vicenda. Mi sembra che questo sia un elemento importante rispetto alla ricerca della verità.
Nell'audizione lei ha affermato di non possedere documentazione, di essere sopraffatto da montagne di carta, ma poi abbiamo scoperto che scrive perfino dei libri. E chi scrive libri un certo ordine mentale deve averlo!

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Non ho capito questo passaggio. Le chiedo scusa.

MAURIZIO EUFEMI. Cercherò di essere più chiaro. In questa famosa audizione...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Al CMM?

MAURIZIO EUFEMI. Esatto. Nell'audizione ha affermato di non ricordare nulla, di non sapere niente; ha detto che si trattava di un documento anonimo, con le pagine ingiallite, privo di firma e via dicendo. Tuttavia, poco fa lei ha affermato di aver scritto un libro. Ebbene, una persona che scrive libri un certo ordine mentale deve averlo, così come deve avviare una ricerca documentativa. O scrive tanto per scrivere, a memoria?
Vorrei esplorare queste contraddizioni, che mi sembrano di un certo rilievo.


Pag. 8

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Comincio dall'ultima domanda, ripetendo quello che ho riferito al CMM. Essendomi occupato, in passato, di questioni piuttosto importanti, come mafia, Gladio, P2 e via elencando, ho avuto a che fare più volte (non solo io, ma anche tanti colleghi che svolgevano un certo tipo di attività) con documenti anonimi. Se ci fosse stata una firma, sarei stato ben felice di riportarla.
Adesso non ricordo nemmeno con esattezza - saranno passati quasi dieci anni - se quel documento giunse alla direzione del giornale e mi fu passato per competenza o se mi arrivò direttamente.
Del resto, in quel periodo mi stavo occupando della strage di Capistrello, su sollecitazione diretta di Antonio Rosini, il cui padre fu ucciso in quella circostanza. Rosini voleva sapere chi era stato l'autore della strage e come si erano svolti i fatti, perciò avevo cominciato ad occuparmi della vicenda.
Qualche mese prima - le date si possono ritrovare sul libro - Antonio Garzotto aveva intervistato, per i giornali locali, il procuratore Intelisano. Sebbene l'intervista non fosse molto chiara, si intuiva che c'era qualche cosa che meritava di essere approfondita.
Per quello che riguarda il mio scrupolo e la mia accortezza nel verificare i luoghi e i fatti, mi sono recato a palazzo Cesi per cercare di capire dove fosse l'armadio e che fine avesse fatto. Non rivelo nessun mistero se racconto che chiesi al procuratore generale del tempo - credo che lo sia ancora -, Vindicio Bonagura, il permesso di entrare in un posto dove, però, non c'era più niente: era tutto pulito e sistemato.
Attraverso le mie domande, le mie pressioni, le mie insistenze, ho ottenuto la documentazione di cui ho riferito. Le lettere (mi sembra che lei abbia citato quelle di Martino e di Taviani, ma se sbaglio chiedo scusa) le ho avute dal CMM. Ho posto ripetute domande, ho insistito e così le ho ottenute.
Quanto all'amnistia, è certo che l'abbia promulgata Togliatti, ministro di grazia e giustizia del tempo. Dobbiamo anche dire, però, che faceva parte di un Governo nel quale erano presenti anche altre componenti. Si parla, dunque, di amnistia Togliatti, ma fu un'amnistia concessa da...

MAURIZIO EUFEMI. Togliatti ci ha messo solo la firma, secondo lei?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. È un atto di Governo. In questo modo, comunque, mi costringete a esprimere le mie valutazioni, dalle quali, però, mi chiedete di astenermi. Secondo il mio punto di vista, l'amnistia è un atto di Governo legittimo: si può essere d'accordo o meno, ma su questo non c'è il minimo dubbio. Impedire, invece, che sia fatta giustizia non è un atto di Governo legittimo. La scelta può essere stata fatta per ragioni di Stato (certamente discutibili, che comunque dal mio punto di vista non potrei accettare), ma si tratta di due cose ben diverse. Non si può paragonare l'amnistia alla sottrazione della giustizia!

GIOVANNI RUSSO SPENA. Vorrei rientrare nell'ambito dell'attività di ricostruzione storica e dell'inchiesta svolta dal dottor Giustolisi, che conosco attraverso il suo libro, del quale credo che dovremmo ringraziarlo.
Avendo partecipato alla Camera dei deputati, insieme ad altri colleghi, alla discussione che ha portato alla definizione del progetto di legge che ha istituito questa Commissione bicamerale, ho l'impressione che sarebbe irriguardoso e alquanto ingeneroso non ricordare che questo progetto di legge, voluto da alcuni ben definiti parlamentari, ha ricevuto certamente un forte impulso dall'opera attiva, determinata e continua di alcune persone, tra le quali va sicuramente annoverato - io, perlomeno, lo faccio - il dottor Giustolisi.
In secondo luogo, siamo nella fase conclusiva dei lavori di questa Commissione, ma io non ho le stesse certezze che ha dimostrato di avere, ad esempio, il senatore Eufemi, che mi pare abbia già scritto una parte della relazione.
Anche riguardo all'armadio della vergogna, permettetemi di dire - parlo anche da vecchio docente di scienza dell'amministrazione


Pag. 9

- che non è la prima volta che ci troviamo di fronte al fatto che la burocrazia, in qualche modo, non distrugge ma nasconde. Potremmo elencare decine di casi in cui la burocrazia non ha avuto il coraggio di distruggere documenti - mi sembra che il senatore Eufemi si riferisse a questo - ed ha preferito nasconderli.
Esiste, storicamente, un riflesso condizionato nelle pubbliche amministrazioni. Stiamo discutendo un punto che poteva sembrare di buonsenso ma, a volte, approfondendo scientificamente, è evidente che la pubblica amministrazione non dimostra questo buonsenso, non perché sia stupida ma per una sorta di riflesso condizionato.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Come avvenne per Gladio, del resto.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Abbiamo mille altri casi, che peraltro sono stati già studiati.
Dottor Giustolisi, le pongo una domanda che mi pare interessante per la relazione finale. Un articolo pubblicato su L'espresso, se non sbaglio nel novembre del 2000, riporta l'intervista del dottor Giustolisi all'onorevole Paolo Emilio Taviani. Il dottor Giustolisi ricorda quell'intervista?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Come no!

GIOVANNI RUSSO SPENA. In quell'occasione, Taviani spiegò che le necessità derivanti dalla guerra fredda (questo è un punto importante anche per la futura relazione) gli imposero di ostacolare la richiesta di estradizione inoltrata alla procura militare per l'eccidio di Cefalonia. Specificò, tuttavia, che non adottò mai questa scelta per stragi di civili.
Alla domanda del dottor Giustolisi sulle responsabilità politiche, evidentemente, di altri ministri e sottosegretari, l'onorevole Taviani rispondeva facendo esplicito riferimento agli ex ministri Randolfo Pacciardi e Carlo Sforza. Leggo un brano dell'intervista, fermo restando che il dottor Giustolisi potrà confermarci se quelle che leggo sono le parole dell'onorevole Taviani o meno: «[...] De Gasperi, ma sarei molto sorpreso se emergesse una sua responsabilità [...]. Miei predecessori furono Mario Cingolani, DC, Cipriano Facchinetti, repubblicano, e poi Randolfo Pacciardi, anche lui repubblicano [...]. Cingolani e Facchinetti rimasero alla Difesa per pochi mesi; poi subentrò Pacciardi, che restò in carica dal maggio del 1948 al luglio 1953 [...] e ministro degli esteri più o meno dello stesso periodo fu Carlo Sforza, anche lui repubblicano e di comprovata fede atlantico-americana [...]. Su Andreotti non dico niente».
Credo che questa intervista - ovviamente è solo uno dei tanti percorsi da seguire - potrebbe darci un'indicazione su alcune azioni e responsabilità, anche politiche, di questa vicenda.
Vorrei chiedere al dottor Giustolisi se può dirci qualcosa in più su questo argomento e se ricorda quel colloquio con l'onorevole Taviani. Lo ringrazio fin d'ora.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Sì. Ovviamente telefonai, presi un appuntamento e andai a trovarlo a casa sua. Come lei ha ricordato correttamente, in quell'occasione vennero fatti alcuni nomi. Devo dire che Taviani espresse dei dubbi su tutti. Quello che mi colpì - scusate, questa è un'opinione personale, ma la riferisco in quanto mi viene chiesta - fu la sua reazione netta, non dico feroce ma quasi rabbiosa, a proposito di Andreotti. Mi disse: «No, di Andreotti non parlo»! Queste furono le sue parole. Ognuno ne tragga le conseguenze.
Taviani aggiunse di essere disponibilissimo ad essere audito dalla Commissione giustizia della Camera, che stava svolgendo un'indagine preventiva, che poi si concluse - lo sapete meglio di me - con l'invito ai subentranti (si era, ormai, alla fine della legislatura) di istituire la Commissione d'inchiesta.
Durante quell'incontro, notai che Taviani (a supporto della tesi della necessità del riarmo tedesco mi diede anche dei libri) non si tirò mai indietro, non negò le proprie responsabilità, né rifiutò di affrontare l'argomento. Ne parlò, invece, certamente senza iattanza, rivendicando a sé queste


Pag. 10

scelte. Tuttavia, con lo stesso vigore che aveva utilizzato per rispondere quando gli avevo elencato una serie di personaggi, mi disse: «Non l'avrei mai fatto se si fosse trattato di civili». L'atto di Cefalonia, per quanto riprovevole, assurdo e drammatico, era stato un atto di guerra, ma in caso di stragi di civili non avrebbe mai preso una decisione del genere. Ricordo che sottolineò questa distinzione in modo netto.
Se Taviani sapesse altro non lo so, ma non dimentico che egli fu un partigiano. Per lui, dunque, un discorso era quello di eventuali alleanze future e del riarmo della Germania, ben diverso il pensiero di stragi compiute da nazisti e fascisti a danno di civili, vicende rivoltanti che non avrebbe mai potuto accettare.
Siamo nel 1956. L'armadio della vergogna, a mio parere, nasce molto prima, nel 1947, 1948 o 1949 al massimo. Del resto, dagli atti di Borsari, il primo procuratore dell'epoca, che aveva portato avanti moltissime attività, emerge l'intenzione di fare qualcosa. Il Governo Parri, a pochi mesi dal suo insediamento, convocò una riunione per decidere cosa fare e come andare avanti.
Il procuratore Intelisano mi ha raccontato un episodio, autorizzandomi a riferirlo (ed io lo faccio, sebbene non mi sia stata posta alcuna domanda su questo argomento, in quanto lo considero indicativo), che riguarda la completa sudditanza della magistratura militare al potere politico.
Intelisano mi ha raccontato di aver vinto il concorso alla fine degli anni...

MAURIZIO EUFEMI. Lo chiederemo a Intelisano! In questo momento, non ci interessa sapere quello che le ha riferito Intelisano, ma quello che lei ha da dire...

GIOVANNI RUSSO SPENA. È possibile che il senatore Eufemi permetta al dottor Giustolisi di rispondere alla mia domanda?

MAURIZIO EUFEMI. Non può riferire cose del genere!

GIOVANNI RUSSO SPENA. Di cosa ha paura? Deve rispondere a me, non a lei!

PRESIDENTE. La prego, dottor Giustolisi, continui.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Credo che quello che riferisco abbia attinenza con l'argomento che stiamo discutendo. Come dicevo, alla fine del 1960 Intelisano vince il concorso e si presenta a quella che poi diventerà la sua procura, la procura militare di Roma. Bussa alla porta, chiede permesso, gli viene dato il permesso di entrare, entra - era giovane, quasi un ragazzino - e saluta: «Buongiorno, signor procuratore» e dall'altra parte, si sente rispondere: «Ma quale signor procuratore? Chiamami signor generale!». Aveva ragione, del resto, a rispondere in quel modo, in quanto avevano equiparazione di gradi e diritto alla divisa.
A tal proposito, faccio notare che nel mio libro ho commesso un errore, nel punto in cui racconto del processo di Rodi. Di quel tribunale faceva parte proprio il dottor Santacroce, indicato con la sigla «G.M.». Non sapendo come interpretare quella sigla, ho scritto «genio militare», anziché «giudice militare».

LUCIANO GUERZONI. Non posso non constatare che la cosiddetta amnistia Togliatti non ha amnistiato tutti, altrimenti non saremmo qui, probabilmente.
Riguardo alla mancata distruzione di certi documenti, anche quando si è scorretti, faccio notare che i documenti distrutti mettono a rischio chi li distrugge.
Vi rimando agli incontri, di cui abbiamo traccia, avvenuti tra Andreotti e Santacroce nel 1947 (o forse più tardi, nel 1960) quando Andreotti diventa ministro della difesa e i tedeschi chiedono i fascicoli per poter celebrare i processi. A quel punto, Andreotti si inquieta, in quanto la relazione che riguarda questa richiesta non arriva mai. Emette, dunque, un ordine d'ufficio, stabilendo una data precisa entro la quale Santacroce dovrà consegnargli tale relazione. Il giorno dopo, la relazione gli viene consegnata.
Il dottor Santacroce riferisce all'onorevole Andreotti sullo stato delle cose - cose che Andreotti conosceva - e gli ricorda, fra


Pag. 11

le parole, che fu deciso di non celebrare i processi. Naturalmente, in assenza dei documenti, era difficile stabilire che altri avevano deciso di non celebrare i processi. Pertanto, i documenti non vanno distrutti, anche per fini non virtuosi: distruggerli non è il modo più facile per difendersi.
Dottor Giustolisi, nell'articolo del 22 marzo 1996, lei riferisce di aver ricevuto questo frammento di documento (episodio sul quale è stato interpellato in diverse occasioni). La polizia giudiziaria non l'ha mai chiamata a rispondere sulle circostanze nelle quali lei ricevette questo documento? Se lo ebbe per posta, a casa, in ufficio, per strada, al bar, in busta chiusa, in busta aperta, senza busta, con busta gialla, verde o blu? La polizia giudiziaria non le ha mai rivolto domande su queste circostanze?
La seconda domanda riguarda l'intervista a Paolo Emilio Taviani, che lei pubblica successivamente. Alla sua domanda circa l'identità del politico che può aver deciso di non celebrare i processi, l'onorevole Taviani (questo è ciò che mi ha sempre colpito e che mi colpisce ancora oggi), un ex ministro della Repubblica, non esclude affatto quella decisione. Afferma di averla assunta per quanto riguarda Cefalonia ma non per gli altri episodi. In altre parole, riconosce di aver agito secondo la ragion di Stato per quanto riguarda Cefalonia ma non per gli altri fatti che sono oggetto dei fascicoli di cui ci occupiamo.
Alla sua domanda su chi possa aver assunto quella decisione, un ex ministro della Repubblica, non di secondaria rilevanza, non esclude che la stessa sia stata assunta. È questo il punto: se lo avesse escluso, infatti, non avrebbe risposto come ha fatto!
Taviani le ha riferito alcuni nomi (Pacciardi, Sforza e via dicendo), seppure in termini dubitativi, di ministri responsabili dell'eventuale decisione di occultare i fascicoli, per ragioni diverse da quelle per le quali l'onorevole Taviani aveva deciso di non mandare avanti i processi per Cefalonia! Ebbene, ricorda quel passaggio? Non è rimasto colpito dal fatto che un ex ministro della Repubblica non lo escludesse? Avrebbe anche potuto affermare di non sapere nulla o negare del tutto la possibilità che in sede politica fosse stata assunta una decisione del genere. Taviani, invece, non solo non l'ha esclusa, ma ha perfino indicato chi potrebbe esserne il responsabile, indicando nomi e cognomi dei ministri!
Ebbene, le ritorna alla mente, dopo tanti anni, questo momento del dialogo? Ricorda altre valutazioni?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Per rispondere alla prima domanda, ovvero se la polizia giudiziaria mi abbia mai interrogato, devo dire che più volte, nel mio lavoro di giornalista, ho conosciuto visite a scopo di indagine, interrogatori, e quant'altro. Capita spesso (a me è capitato più volte) che si prenda di mira chi riporta un fatto e non chi quel fatto ha commesso. Comunque, relativamente a questa specifica vicenda, non ho mai ricevuto visite da parte della polizia giudiziaria.
Per quanto riguarda l'intervista a Taviani e la domanda se mi abbia colpito che un ex ministro della Repubblica non abbia escluso che quella decisione possa essere stata assunta, francamente devo ammettere - adesso che lei me lo fa notare - che è una questione importante, ma in quel momento non mi ha colpito. Mi colpirono, essenzialmente, la sua reazione alla mia domanda su Andreotti e la sua fermezza nel dire che non avrebbe mai agito come Pacciardi, Sforza, Andreotti o chiunque lo avesse fatto. Effettivamente, Taviani non escluse questa possibilità.

LUCIANO GUERZONI. Se consente, io sono sempre rimasto sorpreso del fatto che nei suoi testi lei non abbia mai tratto questa conclusione.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Qualche volta ci si dimentica di qualcosa, caro senatore. Comunque, la sua è un'osservazione importantissima.

CARLO CARLI. Ritengo si debba ringraziare il dottor Giustolisi per aver denunciato, attraverso lo strumento dell'informazione, ciò che di orrendo è avvenuto con la negazione della giustizia da parte di chi si è macchiato di questi gravi crimini


Pag. 12

nei confronti della popolazione civile: bambini, donne e anziani. A prescindere dalla completezza o meno del suo libro, ritengo che questo merito vada riconosciuto al dottor Giustolisi.
Prima di porre domande specifiche, mi permetto di esprimere alcune considerazioni di carattere generale che, comunque, attengono al tema della discussione, relativamente a quello che Taviani ha dichiarato nell'intervista e al ruolo che ha ricoperto. Invito in proposito i colleghi a leggere il libro di Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d'uomo, che è molto interessante.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Pubblicato dopo la morte, mi sembra.

CARLO CARLI. Sì. Ho già portato questo libro, come contributo importante, anche nell'audizione del Presidente Scalfaro. A pagina 145 del libro, in cui si parla del riarmo germanico, Taviani scrive: «Negli anni cinquanta furono tanti i viaggi di ministri italiani negli Stati Uniti, ma il mio viaggio assunse un significato tutto particolare. Venne compiuto fra due date: 5 maggio 1955, ingresso della Germania occidentale nella NATO, e 7 luglio 1956, quando la legge sulla coscrizione obbligatoria viene approvata dal Parlamento di Bonn. Ad Eisenhower e a Dulles premeva far sapere all'elettorato nordamericano, in particolare ai molti di origine italiana, che un comandante partigiano italiano era favorevole al riarmo germanico» (ricordo che Taviani era stato un grande comandante partigiano). «Oggi» - si riferisce al 1998, essendo questo un libro postumo - «se ne è persa la memoria, ma la campagna contro il riarmo tedesco fu violenta, alimentata con pesante impiego di mezzi dagli agenti del KGB e dalla Stasi».
A pagina 146 si legge: «Sabato 20 ottobre 1956, Roma. Gaetano Martino, ministro degli esteri, mi scrive che non è opportuno chiedere alla Germania l'estradizione di Speidel, ritenuto (ma ci sono dubbi) uno dei responsabili della strage di Cefalonia. I russi stanno per invadere l'Ungheria, il riarmo tedesco è più che mai indispensabile. Moro, ministro della giustizia, mi aveva detto che la competenza non è sua, ma è mia e degli esteri. Mi ero imposto, contro il parere di Mancinelli, per iniziare la pratica di estradizione ma ora non ci penso neppure ad insistere per questo Speidel. Martino ha ragione». Prosegue: «Mercoledì 24 ottobre 1956, Roma. Alle ore 17 di ieri i carri armati russi sono entrati in Ungheria». Questo è il clima in cui si era sviluppata la decisione di Taviani.
A pagina 354 si legge: «Chi archiviò i fascicoli giudiziari delle stragi impunite? Non ci furono interferenze in atto». Faccio notare che questo paragrafo è stato scritto non nel 1998 ma nel 2000, dopo che era stata diffusa la notizia riguardante il ritrovamento dell'armadio e quando si parlava della Commissione d'inchiesta. Nella stessa pagina, comunque, è scritto: «Ho avuto occasione di dichiarare che intervenne la ragione di Stato per la rinuncia a chiedere l'estradizione di un ufficiale germanico, presunto responsabile della strage di Cefalonia. Fu una decisione di Gaetano Martino e mia, nell'ottobre 1956, nei giorni dell'invasione dell'Ungheria e della guerra anglo-francese-israeliana contro l'Egitto. Tale dolorosa decisione non ci fu chiesta da nessuno dell'Alleanza atlantica. Eravamo coscienti dell'assoluta priorità, anche per la libertà e l'indipendenza dell'Italia, del riarmo tedesco».
Non vorrei ulteriormente dilungarmi, ma ritengo importante che questa dichiarazione di Taviani rimanga agli atti. È interessante che, già allora, ma anche successivamente, l'ex ministro faccia queste affermazioni.
Passando a domande più specifiche al dottor Giustolisi, voglio tornare all'argomento che è oggetto dell'articolo del 22 marzo 1996 e dell'intervista al dottor Di Blasi, che peraltro abbiamo ascoltato in questa Commissione, apparsa su L'espresso del 29 agosto 1996. In questi articoli si sottolinea l'importanza di una nota anonima, di cinque pagine, della procura militare, probabilmente di Roma (mi domando e domando a lei), nella quale si chiede come mai non si procedesse in contumacia nei


Pag. 13

confronti dei criminali di guerra. In questa nota vi sarebbe un riferimento esplicito alla volontà di occultare.
Leggo testualmente: «La possibilità di un giudizio in contumacia è stata prospettata sin dall'epoca del processo Kappler, ma la sua realizzazione è stata esclusa per direttiva del procuratore generale, in un primo momento, per non ritardare la celebrazione del processo a carico di Kappler e degli altri militari consegnati; in un secondo momento, per ragioni di opportunità, non sembrando conveniente, anche in considerazione delle scarse possibilità di una pratica realizzazione della pretesa punitiva, turbare ancora una volta l'opinione pubblica, riportando alla ribalta il triste episodio dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Tali direttive del procuratore generale sono state periodicamente riconfermate, a richiesta di questa procura militare».

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Questa è la domanda che io rivolgo a Di Blasi, mi sembra.

CARLO CARLI. No, quello che ho letto era scritto nel documento di cinque pagine che noi riteniamo molto importante. Nella parte che ho letto ci si riferisce al 1962; in un'altra circostanza si fa riferimento al 1961. Sarebbe importante che lei ce ne parlasse e, se ne fosse ancora in possesso, che ce lo consegnasse. Comprenderà che questo documento per noi è importantissimo, dunque, sarebbe utile averlo agli atti della Commissione.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Quel documento, che ho definito ingiallito, non ce l'ho più. Chissà che fine avrà fatto: sono passati dieci anni. Se le conservassi tutte, avrei accumulato montagne di carte! Quello che, sia pure a posteriori, ne dà l'asserzione di veridicità è che, in seguito, fu trovato l'armadio della vergogna: evidentemente qualcosa esisteva! Tutti i documenti finirono nell'armadio della vergogna; dunque, quella decisione fu assunta. Ritengo che questo documento sia importante, ma non ce l'ho più.
Quanto a Speidel, nella lettera in cui Taviani risponde a Martino, in merito alla strage di Cefalonia, egli puntualizza riferendo dell'esistenza di due Speidel, fratelli, uno dei quali è comandante della NATO.
Si è accennato al ruolo del Ministero degli esteri. A questo proposito, devo dire che mi sono sempre stupito di un fatto, che voi probabilmente conoscete. Il capitano delle SS Theo Saewecke, colui che ordinò la fucilazione a piazzale Loreto dei 15 prelevati dall'Ucciardone, una volta tornato in Germania stava cominciando a scalare i vertici dei Servizi segreti, tanto che era diventato vicecomandante o qualcosa del genere e forse doveva assumere una carica ancora più importante. Cautamente, il Governo tedesco volle sapere più esattamente cosa avesse fatto questo Saewecke, dunque inviò un funzionario a Roma, il quale - non so come né perché - fu catapultato al Ministero degli esteri, che ottenne - ancora una volta, non so come né perché - il fascicolo della strage di piazzale Loreto dalla procura generale militare. Il fascicolo, dopo essere stato consultato, venne restituito alla procura.
Evidentemente, quantomeno al Ministero degli esteri - ma non solo in quella sede - sapevano qualcosa di questo armadio della vergogna: non si chiede qualcosa a qualcuno se si ritiene che quel qualcuno non ce l'abbia! Se il Ministero degli esteri si è rivolto alla procura generale, è perché, evidentemente, sapeva dell'esistenza di qualche documento. Ho sempre nutrito questo sospetto. Del resto, Martino era ministro degli esteri (non sto dicendo che sia lui il responsabile dell'armadio della vergogna) ed è stato lui a dire a Taviani di lasciare tranquilli gli autori della strage di Cefalonia.
È probabile che il Ministero degli esteri abbia o abbia avuto qualche documento che non vuole tirare fuori. Mi sembra, peraltro, che anche in un'altra circostanza, un ulteriore documento fu chiesto da una procura (forse quella di Padova, ma non ricordo con precisione), passando sempre per il Ministero degli esteri.
Questa potrebbe essere la chiave di tutta la vicenda.


Pag. 14

CARLO CARLI. Personalmente, considero molto importante il documento che ho citato prima. Con la sua collaborazione, vorremmo cercare di capire il contenuto delle pagine che non sono state pubblicate. Ho notato che su L'espresso del 22 marzo 1996 è riportato un frammento di questo documento. Chiedo se sia possibile rintracciarlo presso la redazione del giornale. Dall'immagine pubblicata è presumibile che esista quantomeno la pagina intera. I documenti sono importanti per noi ai fini delle funzioni che svolgiamo.
A pagina 48 del suo libro lo stesso documento viene riportato, non come fotocopia, ma come testo e non come se si trattasse di un frammento. Insisto, quindi, nella mia richiesta di rintracciare questo documento in questo scorcio di legislatura. Avere il documento, sebbene anonimo, e conoscerne il contenuto sarebbe davvero importante. Potrebbe essere considerato come la velina di un altro documento.
Se potesse fare una ricerca presso la redazione de L'espresso, per avere almeno la pagina intera del frammento riprodotto nell'articolo del 22 marzo 1996, per noi sarebbe molto utile.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Con tutta franchezza, le rispondo che l'arrivo di documenti presso le redazioni dei giornali è una pratica di normale, se non banale, amministrazione. I documenti vengono messi da una parte, rimangono lì, vengono ritrovati, spariscono e via dicendo.
Ho cercato nuovamente il documento in questione quando fui interrogato dal CMM, nel 1997 o nel 1998 (non ricordo) ma non l'ho più trovato. Non è uno scandalo ma normalmente avviene che un documento possa non essere ritrovato.
Quello che posso dire è che di quel documento (a meno che allora non fossi completamente rimbambito) ho estratto la parte che ho ritenuto essenziale, non a mio insindacabile giudizio, ma secondo la valutazione di un uomo che ha fatto questo mestiere per 40 o 50 anni.
Se avessi ancora il documento, sarei ben felice di portarlo in Commissione. Permettetemi, tuttavia, di ripetere la mia valutazione: quel documento ha trovato la sua conferma quando è stato rinvenuto l'armadio della vergogna. Pertanto, era vero che si volevano tenere nascosti alcuni fatti, ma chi sia il responsabile di questo occultamento non lo so.
Non posso nemmeno dirvi che, qualora lo trovassi a casa, ve lo invierei perché so bene di non averlo a casa, dunque sarebbe ridicolo, da parte mia, esprimermi in questo modo.

CARLO CARLI. Magari, presso L'espresso, si potrebbe rintracciare l'edizione del 22 marzo 1996.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. A parte il fatto che, quando è stato fatto il trasferimento, è stato buttato di tutto, è impensabile ritrovare un documento simile.

CARLO CARLI. Peraltro, tra le sue considerazioni e quelle del dottor Intelisano non sempre c'è piena identità di vedute su questo punto, tant'è che nell'audizione del 26 novembre scorso...

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Scusi se la interrompo, ma perché dovrebbe esserci identità di vedute?

CARLO CARLI. Come no? Trattandosi di un documento non può essere diversamente. Leggo dall'audizione del 26 novembre 1996: «Quindi andammo a parlare con il dottor Intelisano. Questo accadde una prima volta all'epoca del mio primo articolo e poi, di nuovo, alla fine di luglio. Intelisano ci disse che anche lui era al corrente dell'esistenza di questo documento. Non ricordo se ne possedesse una copia o se glielo avessero solo mostrato [...]».

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Chi dice questo? Lo dico io?

CARLO CARLI. Sì, al Consiglio della magistratura militare.


Pag. 15

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Che avrei detto?

CARLO CARLI. Glielo ripeto: «Quindi andammo a parlare con il dottor Intelisano. Questo accadde una prima volta all'epoca del mio primo articolo e poi, di nuovo, alla fine di luglio. Intelisano ci disse che anche lui era al corrente dell'esistenza di questo documento. Non ricordo se ne possedesse una copia o se glielo avessero solo mostrato. In sostanza, gli era noto, anche se poi non ci precisò se fosse autentico. Ho avuto tra le mani una fotocopia del documento [...] si riferiva ad alcune questioni giuridico-militari che riguardavano Kappler ed altri».
Successivamente, il dottor Intelisano richiamato in audizione il 29 agosto 1996, per rispondere circa quanto pubblicato su L'espresso, ha riferito che quella nota, che era già citata nell'articolo come anonima, era frutto di chiacchiere. Cito ancora testualmente: «Posso senz'altro escludere che ci sia un carteggio del genere agli atti del processo Kappler o del processo Priebke. Il carteggio del primo procedimento è quello che ha ereditato dal processo del 1948 [...]. Anche nell'indice non si fa riferimento a questa storia che, tra l'altro, circola da molto tempo e della quale personalmente sento parlare da quando è emerso il procedimento Priebke. Tuttavia, non esiste un atto riconducibile in maniera chiara, precisa ed inequivocabile ad un ufficio, né un tale documento è mai stato inserito agli atti [...]».
Su questo stesso documento il dottor Di Blasi, che abbiamo audito recentemente, afferma: «Franco Giustolisi mi chiese cosa sapessi di questa nota. Gli risposi di non saperne nulla e gli chiesi di che cosa parlasse. Dopo che l'ebbe letta, gli chiesi da chi fosse firmata. "Non c'è firma" disse. "Allora non esiste" [...]».
Ora, è evidente che un documento di cinque pagine ha una certa consistenza, pertanto torno a insistere sull'opportunità di cercarlo nuovamente. Inoltre, lei ricorda cosa c'era scritto nelle altre pagine? Ci può riferire qualcosa, in proposito?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Assolutamente no. Ripeto che la parte essenziale del documento è quella che ho riportato. A dire il vero, non sapevo nemmeno quello che aveva riferito Intelisano al Consiglio della magistratura militare. È chiaro che ho raccolto informazioni da più parti. Ho incontrato Di Blasi (ho letto la deposizione quasi comica che ha rilasciato in Commissione) e gli ho rivolto delle domande e così ho fatto con Intelisano. In sostanza, ho svolto il mio lavoro. Lo ripeto, mi piacerebbe tirare fuori questo documento, e non posso farlo, ma anche se questo fosse possibile non aggiungereste nulla a quanto...

CARLO CARLI. No, scusi, la valutazione di questo spetta a noi. Riguardo all'intervista all'onorevole Taviani, ha già riferito prima rispondendo alla domanda del collega Russo Spena. Tuttavia, anche alla luce delle parole che ho letto poco fa, tratte dal libro di Paolo Emilio Taviani, le chiedo se ci sono altre considerazioni o, meglio, altri fatti precisi riferiti da Taviani che non sono stati riportati. Bisogna riconoscere, peraltro, il coraggio dell'onorevole Taviani nell'ammettere determinate circostanze.
Lei ci può riportare altri episodi riferiti da Taviani? Immagino che la vostra conversazione non sarà stata brevissima.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Posso dire che intervistare Taviani non è stato facile. Attraverso il suo capo ufficio stampa, del quale non ricordo il nome, alla fine fui ricevuto. In un colloquio che sarà durato un'ora o un'ora e mezza (non ricordo) Taviani mi raccontò le cose che ho scritto.
Probabilmente Taviani era dispiaciuto di essere era stato indicato (proprio lui, il capo dei partigiani cattolici) come colui che aveva messo la sordina alla strage di Cefalonia. Forse, dunque, voleva solo sfogarsi e ammettere di essere stato lui, senza iattanza certamente, ma anche con la convinzione di aver assunto una decisione che riteneva opportuna. Tanto è vero che, come ho detto prima, mi consegnò un libro (se


Pag. 16

non ricordo male, riguardava i fatti di Trieste) per sottolineare che diceva quelle cose da diverso tempo.
Gli feci notare, peraltro, che mentre il ministro Martino scriveva pagine e pagine, lui se la sbrigava con tre righe, probabilmente perché lo faceva a malincuore. L'onorevole Taviani, con la stessa sicurezza, confermò che riteneva quell'azione necessaria. Non si nascose, insomma.
Altro non so.

CARLO CARLI. Un'ultima domanda, sempre su questo documento di cinque pagine che considero molto importante. È possibile che, allora, il documento sia stato scannerizzato e inserito in un file, nella redazione de L'espresso, per cui è possibile recuperarlo anche ora?
Noi - perlomeno io - ci terremmo molto. Sarebbe utilissimo ai fini dei lavori della nostra Commissione. Ci ha già risposto ma mi permetto di insistere. Per essere pubblicato, quel documento deve essere stato scannerizzato e inserito in un file. Potrebbe essere ancora recuperato nell'archivio de L'espresso?

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Una domanda secca vuole una risposta secca. Sono noto, tra le altre cose, per essere l'unico giornalista italiano ad aver rifiutato un computer sul proprio tavolo, con la seguente motivazione: i giornalisti sono già schiavi del potere e con questo marchingegno lo diventeranno ancora di più. Pertanto, non posso aver scannerizzato assolutamente nulla, perché non ho mai utilizzato il computer.

CARLO CARLI. Lei no, ma chi ha stampato può averlo fatto!

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Chi ha stampato ha riportato l'articolo scritto da me con la Lettera 44 o con la Olivetti!

CARLO CARLI. Dottor Giustolisi, ma la foto non l'ha fatta lei. Avrà fornito le pagine.

FRANCO GIUSTOLISI, Giornalista. Certo, l'ufficio fotografico ha preso la parte che interessava per la pubblicazione. Lei mi ha chiesto se avevo scannerizzato le pagine ed io le ho risposto che scrivo ancora a macchina!

LUCIANO GUERZONI. Se riteniamo che sia importante, non coinvolgiamo Giustolisi, che tra l'altro credo sia in quiescenza, ma chiediamo direttamente a L'espresso se abbiano ancora questo documento. Non vedo perché dobbiamo perdere intere giornate intorno a un dettaglio!

CARLO CARLI. Un documento di cinque pagine non è un dettaglio! Questa è la mia opinione.

PRESIDENTE. Ringrazio, a nome della Commissione, il dottor Giustolisi per la sua disponibilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.

Back