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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249.
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3, del regolamento le pregiudiziali Innocenti ed altri n. 1 e Colasio ed altri n. 2 (vedi l'Allegato A - A.C. 4645 sezione 1).
A norma dei commi 3 e 4 dell'articolo 40 e del comma 3 dell'articolo 96-bis del regolamento, sulle pregiudiziali avrà luogo un'unica discussione, nella quale potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti
per illustrare ciascuno degli strumenti presentati (purché appartenenti a gruppi diversi), un deputato per ciascuno degli altri gruppi.
Al termine della discussione, l'Assemblea deciderà con unica votazione sulle pregiudiziali presentate.
Ha facoltà di parlare l'onorevole Rognoni, che illustrerà la questione pregiudiziale Innocenti ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.
CARLO ROGNONI. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, esprimendo un voto favorevole su questa pregiudiziale di costituzionalità potremmo cogliere una grande occasione, vale a dire quella di far ripartire il dialogo tra maggioranza e opposizione su uno dei temi più caldi e più rilevanti dal punto di vista istituzionale che il Parlamento deve affrontare in questa legislatura.
Stiamo parlando, infatti, non di una legge come tante, bensì di una materia, come l'informazione, che ha rilevanza costituzionale. Nella società della comunicazione, quale è quella in cui viviamo, l'informazione è davvero un quarto potere; più pluralismo e più autonomia sono dunque i presupposti indispensabili affinché la qualità stessa della nostra democrazia se ne avvantaggi. Senza pluralismo - d'altra parte, questo è anche il monito del Presidente della Repubblica contenuto nel primo e, per ora, unico messaggio inviato alle Camere - la nostra democrazia rischia non solo di non essere una democrazia moderna, ma di essere azzoppata, ferita, se non addirittura dimezzata. È con questa consapevolezza che dovremmo esaminare un provvedimento come quello in esame.
Ebbene, qual è la ratio di questo decreto-legge? Mi pare del tutto evidente: prendere tempo rispetto ad un giudicato costituzionale, quello posto dalla sentenza n. 466 del 2002. In quella sentenza si parla del 31 dicembre 2003 come termine finale, assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile, per liberare le frequenze occupate in violazione dell'esistente norma antitrust, risalente alla legge n. 249 del 1997.
Queste frequenze liberate da Retequattro - che, infatti, qualche anno fa non ha ricevuto una concessione, bensì una semplice autorizzazione a trasmettere fino ad una data finale - dovrebbero essere assegnate ad un altro imprenditore televisivo, fornendo in tal modo una risposta concreta al bisogno di pluralismo che tutta la giurisprudenza costituzionale invoca dal 1988.
Si vuole, dunque, prendere tempo anche rispetto alla legge di riforma del sistema radiotelevisivo, dopo che il Presidente della Repubblica, con un messaggio articolato e ben documentato, ha chiesto alle Camere di riflettere e di approfondire alcuni passaggi della cosiddetta legge Gasparri, che appaiono palesemente in contraddizione con il dettato costituzionale.
Non è un caso, insomma, che le cronache giornalistiche abbiano ribattezzato questo provvedimento il «decreto salva-Retequattro»; esso consente, infatti, non solo di prendere tempo, ma di regalare alcuni mesi di respiro e di tranquillità a Retequattro e a Mediaset. E fa ciò davvero generosamente, soprattutto se si pensa che Mediaset sa da molti anni di essere in regime di proroga con una delle sue reti e, dunque, in una situazione di illegalità rispetto alle norme antitrust.
CARLO ROGNONI. E mi domando e vi domando: quale altra azienda che sapesse da sette anni di essere in pregiudicato di dover rinunciare ad una sua parte avrebbe potuto permettersi di non fare nulla e di puntare tutto sulla complicità e sulla benevolenza della politica, a dispetto delle regole che sono alla base della concorrenza e del mercato? Anche da qui passa il conflitto di interessi del Premier: come non vederlo?
Nel merito, il decreto-legge in questione risponde ad uno solo dei problemi sollevati
dal Presidente Ciampi con il messaggio di rinvio alle Camere del 15 dicembre scorso. Ricordiamocelo. In primo luogo, allungare di un anno e un mese il tempo per verificare se il pluralismo, al 31 dicembre 2003, sia miracolosamente diventato una realtà grazie al diffondersi delle tecnologie digitali terrestri va considerato - ha detto il Capo dello Stato - una proroga vera e propria e come tale in contrasto con il dettato della sentenza della Corte costituzionale n. 446 del 2002. In secondo luogo, indicare l'Autorità garante delle comunicazioni quale soggetto a cui spetta il compito di verificare se il pluralismo c'è o non c'è, non basta. In assenza di sanzioni, di misure da prendere per rimediare all'eventuale mancanza di pluralismo, il rischio è evidente: si protrarrebbe nel tempo ancora di più una situazione di illegalità rispetto alle norme antitrust esistenti.
Il messaggio di rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri conteneva anche altre importanti osservazioni, ad esempio sul SIC, il Sistema integrato delle comunicazioni, sul rapporto tra stampa e televisione nella raccolta della pubblicità; senza dimenticare che il Presidente Ciampi scrive: «Non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che, per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione, appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale». Un passaggio del messaggio del Presidente della Repubblica che finora la maggioranza ha preferito ignorare.
Tutti questi punti, comunque, dovranno essere ripresi in Commissione quando ripartirà il lavoro sulla legge Gasparri, che speriamo non sia «Gasparri due: la vendetta», ma «Gasparri due: l'ora della saggezza» (anche se di ciò dubito)! Ho fatto queste citazioni per far capire come questo decreto-legge investa aspetti delicati, costituzionalmente sensibili, visto che da solo risponde ad uno dei punti più precisi del giudicato costituzionale: quello del tempo certo, definitivo e non eludibile per l'avvio del pluralismo in Italia.
Vorrei che fosse chiaro a tutti che, se nel corso del primo passaggio parlamentare sul decreto-legge in questione vi erano buoni motivi per indurci a presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità, adesso, dopo le modifiche apportate dal Senato, di ragioni ce ne sono ancora di più. Che cosa ha fatto il Senato? Ha introdotto il periodo «anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato» che, di fatto, consente all'Autorità una discrezione davvero eccessiva nel valutare gli effetti del digitale terrestre sul pluralismo televisivo. È un po' come se la maggioranza, con questo emendamento, avesse voluto dire: certo è difficile pensare che fra tre mesi il sistema televisivo in Italia sia diventato pluralismo, ma l'antitrust potrebbe accontentarsi di testimoniare che la tendenza è in atto, e così Retequattro è salva.
Se poi si prendono in considerazione i criteri sulla base dei quali l'Autorità deve pronunciarsi, ecco altri due emendamenti che testimoniano la volontà della maggioranza di farsi beffa dello spirito e della lettera del messaggio presidenziale. L'Autorità, infatti, deve verificare la quota di popolazione coperta dalle nuove reti digitali terrestri, non più quindi la quota raggiunta, ma quella coperta. Insomma, è sufficiente che una televisione lanci il segnale da un ripetitore; se poi nessuno lo vede, ai fini del pluralismo, secondo la maggioranza non importa. Peggio: la copertura, si dice, non deve comunque essere inferiore al 50 per cento della popolazione. Ciò vuol dire che una rete digitale terrestre potrà considerarsi nazionale, e dunque in grado di confrontarsi con le reti analogiche che devono avere una copertura dell'80 per cento del territorio, purché i suoi ripetitori, in teoria, coprano metà della popolazione italiana. Insomma, per il decreto-legge in esame il pluralismo è sufficiente che sia virtuale perché si possa sostenere di averlo messo in campo: è il recupero di una delle parti più controverse della cosiddetta legge Gasparri!
E le sanzioni? Qui si nasconde il capolavoro del decreto-legge. Capolavoro che ci fa sostenere con forza la sua incostituzionalità,
la sua palese violazione del giudicato costituzionale. Che cosa può fare, infatti, l'Autorità che dovesse verificare il mancato pluralismo? Può intervenire sulla base del comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, il quale prevede: « In ogni caso le disposizioni relative ai limiti di concentrazione di cui al presente articolo si applicano in sede di rilascio ovvero di rinnovo delle concessioni delle autorizzazioni».
Poiché detto tempo per il rilascio o per il rinnovo della concessione assorbirà tutto il 2004 e parte del 2005, risulta del tutto evidente la conservazione dell'attuale situazione di fatto. Altro che proroga!
La maggioranza, anche in questo caso, si è rifiutata di dare una risposta non alle nostre osservazioni, ma a quelle dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale è venuta a dirci che, per quanto concerne la chiusura del regime transitorio, ovvero l'individuazione del dies ad quem richiesta dal messaggio presidenziale, il decreto-legge non precisa con sufficiente chiarezza se tale periodo debba ritenersi concluso il 31 maggio 2004, con l'invio al Governo e alle Commissioni parlamentari della relazione che dà conto dell'accertamento effettuato e degli eventuali provvedimenti da adottare, ovvero in una fase successiva, con l'effettiva messa in atto di tali provvedimenti, che, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, della legge n. 249 del 1997, potrebbe anche richiedere una nuova istruttoria e un allungamento dei tempi.
Sotto il profilo sanzionatorio, il rispetto dei rilievi contenuti nel messaggio del Capo dello Stato avrebbe richiesto probabilmente il riferimento a un'altra disposizione della legge n. 249 del 1997, il comma 7 dell'articolo 3, il quale prevede che al termine del periodo transitorio l'Autorità indichi il termine entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo. Tuttavia, in tal caso l'obiettivo non dichiarato di prendere tempo, o per meglio dire di perdere tempo, e di menare il can per l'aia, non sarebbe stato raggiunto. Alla faccia del rispetto dello spirito e della lettera del messaggio del Capo dello Stato!
Onorevoli colleghi, a costo di passare per ingenuo, rinnovo a tutti voi della maggioranza, soprattutto a quelli tra voi che mostrano maggiore sensibilità rispetto alle grandi questioni della nostra democrazia, l'invito ad esprimere voto favorevole sulle questioni pregiudiziali in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. L'onorevole Bressa ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Colasio n. 2, di cui è cofirmatario.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, la discussione odierna è destinata a pesare nel patrimonio della nostra Repubblica. Jürgen Habermas ha scritto che è sempre stretta la relazione tra le forme della comunicazione e le forme stesse della sovranità politica. Si tratta di un patrimonio acquisito dalla cultura costituzionale democratica contemporanea, ed è proprio di questo che oggi stiamo parlando, non della salvezza di una rete televisiva e degli interessi del suo proprietario.
Stiamo infatti parlando dell'articolo 21 della Costituzione e delle sue fondamentali implicazioni per la democrazia: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Tale libertà, che ellitticamente suole chiamarsi libertà di pensiero, viene definita dalla Corte costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969. Infatti, può ben dirsi che un ordinamento non può funzionare democraticamente in mancanza di una libera circolazione delle idee politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume. Il diritto fondamentale si incentra sulla libertà di tentare di persuadere gli altri, prosegue la sentenza. Nel caso in cui i mezzi economici necessari per potere di fatto esercitare una
libertà siano ingenti, e dunque a disposizione di pochissimi, si impone un principio di trasformazione, per cui il diritto che sostanzia l'istituto giuridico ispirato al valore della libertà non viene più in considerazione come diritto individuale, bensì come valore costituzionale inviolabile.
L'esempio tipico di una siffatta conversione della libertà nel pluralismo, ossia nella garanzia di un diritto inviolabile e nella garanzia di un istituto giuridico di libertà, è costituito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988, la «madre di tutte le sentenze», interamente incentrata sull'imprescindibile esigenza di un'effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale.
Per quanto riguarda in particolare l'emittenza privata, il diritto all'informazione dei cittadini va composto con le libertà di informazione e di iniziativa economica, in ragione delle quali il pluralismo interno e l'apertura alle varie voci presenti nella società incontrano sicuramente dei limiti, con la conseguente necessità di garantire il massimo del pluralismo esterno onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.
Come si vede, il diritto del cittadino all'informazione nasce dal tronco del valore fondamentale del pluralismo dell'informazione. Questi, cari colleghi, sono i valori costituzionali in gioco quest'oggi. Questa è la giurisprudenza costante della Corte costituzionale. Queste sono le motivazioni che hanno ispirato il Capo dello Stato. E il Governo e la sua maggioranza come rispondono per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga in attesa dell'approvazione della legge Gasparri, che più che legge di sistema delle telecomunicazioni è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Ma questo decreto-legge non contiene una semplice proroga. È un salvataggio in grande stile. È una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. Vogliamo capire perché sosteniamo queste cose? È molto semplice e facilmente argomentabile. Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. E cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
Il secondo parametro è la presenza sul mercato dei decoder a prezzi accessibili. Ma qual è il prezzo da usare come parametro? Il decreto-legge non lo dice. Terza ed ultima circostanza da valutare è l'effettiva offerta al pubblico anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. L'espressione «anche» crea più di un fraintendimento. Basta un solo canale per sfuggire alla tagliola dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? Queste sono tutte precisazioni che il Parlamento avrebbe dovuto fornire perché, in mancanza di esse, l'Autorità porterà avanti il suo lavoro con la più ampia discrezionalità possibile.
E qui viene il bello. Terminato l'esame, verificate le predette condizioni - e guardate che stiamo parlando di un decreto-legge che di condizioni non ne pone -, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge 31 luglio 1997, n. 249, nota come legge Maccanico. Ecco la scappatoia, perché il passaggio qui richiamato dice che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità: un'altra istruttoria per la questione
più istruita del mondo. Ne sono già state fatte tre, di istruttorie, e tutte e tre con la medesima conclusione: sussiste - grande come una casa - una posizione dominante. Ci troviamo di fronte, dunque, ad un infinito gioco di specchi, che rinvia sine die una decisione che dovrebbe essere solo eseguita.
Con questo decreto-legge, con un'arroganza indicibile il Governo e la sua maggioranza non eludono le sentenze della Corte e il messaggio del Presidente della Repubblica ma calpestano sentenze e messaggio. Non ci sono termini precisi, in tale decreto-legge, per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro i quali debbano essere adottati provvedimenti. Non c'è, in questo decreto-legge, alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità.
Da ultimo - ma più importante di tutto -, non si prevede mai l'unico elemento pacifico per effetto della sentenza della Corte costituzionale: il trasferimento della rete sul satellite. All'inizio di questo mio intervento ho ricordato come la Corte costituzionale abbia definito l'articolo 21 la pietra angolare dell'ordine democratico. Voi, con questo decreto-legge e con la legge Gasparri (che - come ho detto prima - non è una legge di sistema ma una legge che sistema per garantire un interesse privato o meglio un conflitto di interesse privato), state scardinando la Costituzione, state minando alla base le più elementari regole di democrazia.
GIANCLAUDIO BRESSA. Per questo, voteremo a favore della questione pregiudiziale di costituzionalità. E per questo ci auguriamo che qualcuno di voi, una volta tanto, sia consapevole dello scempio che state portando alla nostra Costituzione e alla nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, cercherò di attenermi all'ordine del giorno, cioè alle questioni pregiudiziali presentate, piuttosto che abbandonarmi, come ha fatto qualche collega, a «comizietti» di circostanza.
Con il messaggio di rinvio alle Camere della legge di riassetto del sistema radiotelevisivo, il Presidente della Repubblica ha segnalato la necessità di stabilire le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio recato dalla legge n. 249 del 1997, la cosiddetta legge Maccanico, indicando conseguenze certe di un eventuale esito negativo dell'esame svolto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per accertare un effettivo arricchimento del pluralismo in virtù dell'introduzione della nuova tecnologia digitale terrestre. A questi rilievi ha fatto seguito l'adozione da parte del Governo del decreto-legge n. 352 del 2003, che ha fissato le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio.
Come è noto, la Corte costituzionale con la citata sentenza ha affermato che il termine del 31 dicembre 2003, fissato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per la fine del periodo transitorio, avrebbe potuto essere superato in caso di effettivo diverso assetto derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre con conseguente arricchimento del pluralismo. Viene dunque affidato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di svolgere, entro il 30 aprile del 2004, un esame della complessiva offerta televisiva, allo scopo di accertare le tre condizioni sintomatiche di un effettivo aumento di pluralismo e cioè la quota di popolazione raggiunta dalle reti digitali terrestri non inferiore al 50 per cento della popolazione, la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili e l'effettivo aumento di programmi anche diversi da quelli diffusi in tecnica analogica. Entro 30 giorni dal completamento della verifica l'Autorità dovrà rendere al Parlamento e al Governo una relazione in cui siano descritti i risultati dell'indagine e in caso di esito negativo della verifica l'Autorità potrà
adottare i provvedimenti indicati al comma 7 dell'articolo 2 della legge Maccanico, consistenti in tutte le misure atte ad eliminare la lesione del pluralismo, ivi comprese quelle che incidano sulla struttura dell'impresa.
La disciplina recata dal decreto-legge costituisce, dunque, una risposta, come affermato anche dal presidente Cheli nel corso della sua audizione presso le Commissioni riunite trasporti e cultura, alla parte più significativa del messaggio del Presidente della Repubblica. Esso reca infatti le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio, secondo quanto indicato dalla Corte costituzionale nella ormai nota sentenza n. 466 del 2003, prevede i poteri esercitabili dall'Autorità in caso di esito negativo della verifica, certamente assai ampi, ma ancorati ad un preciso dato legislativo, ed ha fissato un termine per la fine della fase di attuazione della cessazione del regime transitorio.
Peraltro, le modifiche intervenute nel corso dell'esame da parte del Senato hanno fornito importanti chiarimenti alla stessa Autorità secondo quanto riconosciuto dal presidente Cheli. È stata eliminata ogni incertezza sul fatto che le tre condizioni debbano essere contestuali e la fissazione della quota minima della copertura della popolazione ha fugato ogni dubbio in merito all'accertamento della relativa condizione, così come la sostituzione del termine «raggiunte» con quello assolutamente univoco «coperte», in relazione alle nuove reti digitali terrestri, ha eliminato quei margini di incertezza che avevano in precedenza animato il dibattito circoscrivendo notevolmente i poteri di indagine dell'Autorità: anche in riferimento alle tendenze in atto nel mercato, è stato accolto favorevolmente dall'Autorità, in quanto utile a chiarire il rapporto tra la data del 31 dicembre 2003 e il periodo successivo in cui l'Autorità compirà gli accertamenti. Si può quindi affermare con certezza che i compiti affidati all'Autorità consistano in attività predeterminata dalla legge ed il relativo potere è delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti secondo i principi propri della riserva assoluta di legge, in linea con la giurisprudenza costituzionale.
Tutti questi elementi contribuiscono a fare del decreto-legge un provvedimento pienamente conforme alla sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2003, ai rilievi del messaggio del Presidente della Repubblica, al principio della riserva di legge contenuto nell'articolo 21 della Costituzione. Per questo motivo, voteremo contro le questioni pregiudiziali (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, il nostro gruppo aveva rivolto alla Presidenza la richiesta di votazione a scrutinio segreto. Sappiamo che tale richiesta non è stata accolta, però vorremmo che all'Assemblea venisse fornita una motivazione.
PRESIDENTE. Come lei ha detto, onorevole Innocenti, è stato chiesto lo scrutinio segreto. Tuttavia, in merito all'ammissibilità di tale richiesta, ricordo che la questione pregiudiziale deve essere posta in votazione con le stesse modalità adottabili per la votazione finale del progetto di legge. Ai fini dell'ammissibilità della richiesta, va pertanto valutato se il contenuto prevalente del provvedimento al nostro esame verta su uno dei principi e diritti di libertà richiamati dall'articolo 49 del regolamento.
Ricordo in proposito che il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, dispone relativamente alle modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249.
In particolare, le norme di cui ai commi 1 e 2 dettano una procedura attraverso
cui l'Autorità verifica lo sviluppo delle condizioni di mercato, con riferimento alla diffusione del digitale, sulla base di una serie di indici fattuali (quota di popolazione raggiunta, disponibilità sul mercato di decoder, effettiva offerta di programmi sulle reti digitali). Tale verifica è finalizzata all'eventuale adozione dei provvedimenti già previsti dalla legislazione vigente, che dunque non sono direttamente indicati dalla nuova norma, ma rappresentano il risultato di una valutazione compiuta dall'Autorità stessa all'esito di un complesso procedimento.
Resta fermo che i limiti anticoncentrazione in base ai quali l'Autorità garante dovrà valutare la sussistenza di situazioni di pluralismo nel sistema radiotelevisivo, rimangono quelli stabiliti dalla legge n. 249 del 1997.
Il combinato disposto dei primi due commi ha contenuto prevalentemente procedurale e non presenta carattere di sostanziale innovatività rispetto a quanto già previsto dalla legislazione vigente. Per questo profilo, pertanto, la disciplina in questione non è sottoponibile a voto segreto.
Analogo orientamento è stato adottato nel corso dell'esame del disegno di legge n. 310, la cosiddetta legge Gasparri, quando la Presidenza non ha ammesso il voto segreto su taluni emendamenti al comma 3 dell'articolo 25 (emendamento Rognoni 25.33), che prevedevano lo svolgimento da parte dell'Autorità di verifiche riguardanti la diffusione del digitale e l'adozione, in caso di superamento dei limiti anticoncentrazione previsti dalla legge, dei provvedimenti di cui all'articolo 2, comma 7, della legge n. 249 del 1997.
Avendo riguardo al contenuto complessivo del provvedimento e considerato il carattere non segretabile dei primi due commi dell'articolo 1, sulla base di un giudizio di prevalenza, il voto sul provvedimento nel suo complesso non è suscettibile di voto segreto. Anche la richiesta di voto segreto sulle questioni pregiudiziali non può pertanto essere ammessa.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Innocenti ed altri n. 1 e Colasio ed altri n. 2.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 526
Votanti 524
Astenuti 2
Maggioranza 263
Hanno votato sì 236
Hanno votato no 288).
Prendo atto che gli onorevoli Saia e Bruno non sono riusciti a votare.
Avverto che la discussione sulle linee generali avrà luogo in altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata ed alle 16 con votazioni.
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