II Commissione - Mercoledì 23 febbraio 2011


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ALLEGATO

5-04232 Bernardini: Sull'applicazione della legge n. 54 del 2006 in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli.

TESTO DELLA RISPOSTA

In risposta all'interrogazione dell'On. Bernardini, ritengo opportuno premettere che le informazioni attinenti i diversi quesiti sollevati sono state acquisite dal competente Ufficio Legislativo di questo Dicastero.
Dall'analisi dei dati diffusi dall'ISTAT il 21 luglio 2010 - relativi alla rilevazione dei procedimenti di separazione e divorzio condotta per l'anno 2008 presso le cancellerie dei 165 tribunali civili - emerge, infatti, che nelle separazioni e nei divorzi si è verificata negli ultimi anni una netta inversione di tendenza per quanto riguarda il tipo di affidamento dei figli minori. A motivo del cambiamento l'entrata in vigore della legge 54/2006 che ha introdotto, come noto, l'istituto dell'affido condiviso. Nel rapporto ISTAT si legge, invero, che: «Gli effetti di questa nuova legislazione sono chiaramente visibili osservando l'andamento nel tempo delle quote corrispondenti alle differenti modalità di affidamento. Fino al 2005, l'affidamento esclusivo dei figli minori alla madre è stata la tipologia largamente prevalente. Nel 2005 nell'80,7 per cento delle separazioni e nell'82,7 per cento dei divorzi i figli minori sono stati affidati alla madre, con percentuali più elevate nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. La custodia esclusivamente paterna si è mostrata residuale anche rispetto all'affidamento congiunto o alternato, risultando pari al 3,4 per cento negli affidamenti a seguito di separazione e al 5,1 per cento per quelli scaturiti da sentenza di divorzio. A partire dal 2006, in concomitanza con l'introduzione della legge 54/2006, la quota di affidamenti concessi alla madre si è fortemente ridotta a vantaggio della nuova tipologia di affido condiviso. Il sorpasso vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1 per cento di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre) per poi consolidarsi ulteriormente nel 2008 (78,8 per cento di separazioni con figli in affido condiviso contro il 19,1 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre). La quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi. Infine, l'affidamento dei minori a terzi è una categoria residuale che interessa meno dell'1 per cento dei bambini».
Dall'esame di tali dati emerge una netta inversione di tendenza a favore dell'affidamento condiviso a partire dal 2006, fino a giungere nel 2008 alla rilevante percentuale del 78,8 per cento di separazioni, e del 62,1 per cento di divorzi con figli in affido condiviso. L'esame dei dati non conferma, quindi, quanto indicato nell'interrogazione con riferimento ad una «sostanziale inapplicazione» della nuova forma di affidamento da parte dei Tribunali italiani, che sarebbe concesso in un numero «limitatissimo di casi».
Non si hanno, invece, rilevazioni statistiche, sui casi di «svuotamento» dell'affidamento condiviso, consistenti nell'introdurre il concetto di «collocazione» dei figli presso uno dei due genitori. L'eventuale individuazione di un genitore «collocatario», presso il quale il figlio minore abbia la propria dimora prevalente, non influisce, tuttavia, sulla distribuzione della responsabilità genitoriale che, nel caso di affidamento condiviso, continua ad essere


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equamente distribuita tra i genitori. La previsione di una dimora abituale può scaturire o dallo stesso accordo tra i coniugi (tale modalità di regolamentazione è, infatti, molto spesso presente nelle separazioni consensuali e nelle richieste di divorzio congiunto) o da provvedimenti adottati dal Tribunale che possono rendersi necessari per due ordini di ragioni. La prima ragione è da ravvisare nella necessità che il minore, soprattutto se in tenera età, abbia un preciso punto di riferimento logistico, elemento necessario per un corretto sviluppo psico-fisico. Prevedere, infatti, una pari presenza del figlio nelle abitazioni di entrambi i genitori, implicherebbe un continuo trasferimento del minore, con effetti disorientanti per la sua crescita. Non a caso, è lo stesso legislatore che, disciplinando l'assegnazione della casa coniugale ad uno dei genitori proprio in considerazione del preminente interesse dei figli a conservare la residenza occupata in costanza di matrimonio o di convivenza, riconosce tale esigenza. Nella legge n. 54 del 2006 che disciplina l'affidamento condiviso, sono state introdotte disposizioni in materia di assegnazione della casa coniugale. Tali disposizioni si sarebbero dovute ritenere superflue qualora il legislatore non avesse riconosciuto il diritto del minore a conservare un luogo di residenza, quanto meno «prevalente».
La seconda ragione che può giustificare il ricorso al «collocamento» prevalente del minore presso uno dei due genitori è da ravvisarsi, nel caso di separazioni o divorzi molto conflittuali, nell'esigenza di attenuare i conflitti attraverso una puntuale disciplina dei rapporti. Se, infatti, come sostenuto dagli interroganti e come ribadito dalla Suprema Corte (cfr. sent. n. 16593 del 18 giugno 2008), la conflittualità tra i genitori non può giustificare il ricorso all'affidamento esclusivo, è pur vero che può rendere estremamente difficoltosa la gestione quotidiana dell'affidamento condiviso. Se i genitori non sono capaci, a causa della conflittualità, di gestire in maniera condivisa i compiti quotidiani di cura del minore, l'intervento del giudice aiuta a stemperare ed evitare futuri conflitti stabilendo il collocamento prevalente del minore presso uno dei genitori, ovvero disciplinando il regime di incontri con l'altro genitori nel rispetto di un'equa distribuzione delle cure parentali.
Anche la Corte di Cassazione ha esaminato decisioni che hanno disposto l'affidamento condiviso di un minore con collocamento prevalente presso uno dei genitori, stabilendo che in tali ipotesi in tema di mantenimento dei figli ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni degli stessi «in misura proporzionale al proprio reddito e il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, il quale, in caso di affidamento condiviso con collocamento prevalente presso uno dei genitori, può essere posto a carico del genitore non collocatario, atteso il disposto dell'articolo 155 codice civile, nella parte in cui prevede che la determinazione dell'assegno avvenga anche considerando i tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 23411 del 4 novembre 2009).
Peraltro, che l'esigenza da ultimo illustrata, di individuare il «domicilio» del minore sia comunemente avvertita, si desume anche dall'analisi della normativa che disciplina la materia nei principali paesi dell'Unione Europea. Dalle informazioni acquisibili sul sito internet della Rete Giudiziaria Europea realizzato dalla Commissione europea, emerge che nella maggior parte degli Stati membri (solo a titolo di esempio si citano Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Spagna) è previsto che in caso di separazione o divorzio permanga l'affidamento «congiunto» in capo a entrambi i genitori. Tuttavia, quanto alla residenza del figlio - in mancanza di accordo dei genitori - decide il giudice stabilendo, senza modificare l'affidamento condiviso, le modalità di residenza.
Posto, dunque, che la previsione nel provvedimento giudiziale di una residenza prevalente del minore non riduce, né diminuisce i diritti del genitore «non collocatario», tengo a sottolineare che le eventuali


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distorsioni nella corretta applicazione delle norme da parte delle Corti di merito possono essere censurate ricorrendo - nel caso di abusi commessi dal genitore «collocatario» - al procedimento disciplinato dall'articolo 709 ter del codice procedura civile.
Ciò detto, non si può non convenire sulla situazione di forte disagio conseguente al collocamento prevalente presso uno dei genitori e non si può, del pari, non impegnarsi in approfondite riflessioni concettuali. Intendo precisare, infatti, che sui punti di possibile criticità è ferma e costante l'attenzione degli organi competenti e che, proprio in considerazione della estrema sensibilità della materia trattata, non si è mai smesso di ricercare, tra le molteplici soluzioni in astratto perseguibili, le formule più idonee a garantire in concreto la piena applicazione della legge n. 54 del 2006.