TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 217 di Luned́ 21 settembre 2009


MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER LA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

La Camera,
premesso che:
dalle considerazioni finali rese dal Governatore della Banca d'Italia Draghi, il 29 maggio 2009, emerge un'esortazione al Governo a non compiere ulteriori passi indietro nella direzione di una rinnovata promozione dei processi di liberalizzazione, con specifico riferimento al settore dei servizi pubblici locali, laddove l'assenza di una disciplina e di un regime giuridico applicabili improntati ai canoni della tutela della concorrenza e della salvaguardia dei bisogni degli utenti e, in particolare, il palese conflitto di interessi tra ente affidante e soggetto gestore sono fonte di inefficienze e si traducono in costi più elevati sostenuti dalle famiglie e dalle imprese;
le simulazioni effettuate attraverso l'analisi del modello strutturale dell'economia italiana ed europea dagli uffici della Banca d'Italia evidenziano come una maggiore concorrenza nei settori meno esposti alla competizione economica internazionale - in prevalenza, i servizi - determinerebbe diffusi effetti virtuosi, quali, in particolare, diminuzioni dei prezzi e più elevati livelli di consumi, occupazione, investimenti e produzione;
secondo quanto riportato dalla relazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 16 giugno 2009, «I servizi pubblici locali costituiscono da anni una delle ultime roccaforti nelle quali il principio di concorrenza incontra diffuse resistenze e stenta ad affermarsi. Molti ambiti di mercato in tale settore sono caratterizzati dall'esistenza di monopoli naturali. Si tratta di un dato strutturale largamente riconosciuto, a fronte del quale, tuttavia, il ricorso alla concorrenza per il mercato quale meccanismo stimolatore di efficienza ha trovato nell'ordinamento ostacoli quasi insormontabili»;
in aperta contraddizione con le rigorose indicazioni provenienti dall'ordinamento comunitario, dirette a favorire metodi di gestione dei servizi fondati, innanzitutto, sulle regole dell'evidenza pubblica, il ricorso, soprattutto nella prassi, a modalità di affidamento diretto dei servizi o, comunque, a forme di autoproduzione come l'in house providing, ha reso possibile il protrarsi di obiettive situazioni di preclusione ad ogni confronto concorrenziale, con tutto ciò che ne consegue, a detrimento degli utenti, sul piano dell'inefficienza e del progressivo scadimento della qualità e della quantità dei servizi offerti;
con l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si è apparentemente tentato di procedere ad un complessivo riordino della materia, mediante l'introduzione di una serie di disposizioni applicabili in via generale a tutti i servizi pubblici locali e prevalenti sulle relative discipline di settore con esse incompatibili;
nella realtà, si è trattato dell'ennesima occasione mancata: il decreto-legge n. 112 del 2008 non obbliga, infatti, l'ente affidante a ricorrere necessariamente all'esperimento delle procedure di gara, limitandosi a richiedere un generico onere motivazionale relativamente alle diverse scelte compiute in ordine alla modalità di affidamento della gestione del servizio: opzione, questa, che non risulta sufficiente a conseguire l'obiettivo annunciato, configurandosi come un argine debolissimo di fronte ad interpretazioni estensive della derogabilità della gara. Questo, invero, per almeno due ragioni: in primo luogo, per il carattere non vincolante dei contenuti del parere prescritto; in secondo luogo, per la scarsa legittimazione della stessa autorità chiamata a valutare aspetti di tipo sociale (ad esempio, occupazionale) oppure ambientale o geomorfologico;
il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato Catricalà è stato ancora più esplicito nell'affermare che «sono troppe le aziende pubbliche che svolgono servizi loro affidati dagli enti territoriali proprietari in palese conflitto di obbligazioni», lasciando intendere, neppure troppo velatamente, che il combinato disposto della proprietà e della gestione sostanzialmente pubblica è - in sé e per sé - fonte di distorsioni e che, pertanto, occorre «restituire al mercato attività così rilevanti per la nostra economia»;
inoltre, a conferma di quanto la presunta riforma sia palesemente fallace e lacunosa, si registra il colpevole ritardo nell'emanazione delle disposizioni regolamentari da parte del Governo, nonostante la scadenza per l'adozione fosse stata fissata in 180 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione e, dunque, al 16 febbraio 2009: un ritardo che non è passato inosservato, al punto che la presidente Marcegaglia ne ha sottolineato la gravità nel corso dell'Assemblea di Confindustria, rilevando il fatto che le società pubbliche che gestiscono i servizi pubblici locali sono gli alfieri «dell'avanzata impressionante del neostatalismo» e che si sta assistendo all'insabbiamento della riforma, nonostante le liberalizzazioni costituiscano uno dei pilastri da cui partire per ritornare a crescere;
sempre il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, poi, intervenendo ad un convegno presso l'Università Luiss, ha rivolto un accorato appello contro il tentativo in atto di portare indietro le lancette dell'orologio: «Non ci sono posizioni ufficiali del Governo né della maggioranza. Le dichiarazioni sono tutte nel senso che bisogna andare avanti nella concorrenza. Ma la verità è che ci sono molti interventi sporadici, ma significativi, che in Parlamento tentano di riportare indietro l'orologio»;
l'articolo 61 del disegno di legge recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia» (Atto Camera 1441-ter-C), infatti, prevede un ampliamento della possibilità di affidamenti in house, nell'ambito del settore dei trasporti pubblici locali, compiendo un ulteriore passo indietro sul piano della concorrenzialità ed evidenziando una differente impostazione, se non addirittura, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, una certa ambiguità, della politica delle liberalizzazioni intrapresa dal Governo;
il rapporto Ocse sull'Italia 2009 sottolinea che, nonostante una serie di riforme avviate, l'Italia registra da anni una bassa crescita, dovuta, in parte, ad un eccesso di regolazione, alla scarsa concorrenza in alcuni settori ed all'inefficienza del settore pubblico. Rileva, in particolare, l'Ocse nel citato rapporto che solo affrontando tali nodi strutturali sarà possibile «restaurare la fiducia nell'economia italiana», a partire dal settore dei servizi locali, che rimane «largamente protetto e con eccessi di regole, talvolta anche a livello regionale». L'Ocse sottolinea, altresì, che è fondamentale «mantenere la strada delle liberalizzazioni», rammentando che i settori dove intervenire con urgenza sono quelli dei servizi e delle libere professioni. Nei servizi pubblici locali, soprattutto, l'Ocse ribadisce la necessità di progressi e l'esigenza di una «piena e netta separazione tra gli interessi della proprietà dei servizi e i governi locali»;
l'indice delle liberalizzazioni (ibl) 2009, diffuso dall'Istituto Bruno Leoni, conferma i ritardi dell'Italia sulla strada delle liberalizzazioni e del libero mercato. A livello generale, il valore registrato è risultato uguale a quello degli anni passati, il che, fatalmente, non solo lascia il Paese in mezzo ad un vero e proprio guado, ma conferma anche lo sconcertante disinteresse del Governo e della maggioranza ad esprimere un'azione politica effettivamente riformatrice ed incisiva in un settore così strategico per lo sviluppo del sistema-Paese ed il benessere della comunità;
il mercato elettrico, vantando il grado di liberalizzazione più elevato - già pari al 70 per cento nel 2008 e salito al 77 per cento nel 2009 -, rappresenta un ottimo precedente per proseguire sulla strada delle riforme, grazie ad un percorso virtuoso iniziato con la privatizzazione dell'Enel; secondo l'indice delle liberalizzazioni, inoltre, alcuni miglioramenti si sono verificati nel campo dei servizi idrici, dei servizi finanziari e del mercato del lavoro, ma - per il resto - lo stesso indice registra un sostanziale immobilismo degli altri indicatori, dalla televisione al gas naturale, dalla pubblica amministrazione ai servizi postali, passando per il trasporto ferroviario, le telecomunicazioni, le professioni ed il trasporto aereo (rimanendo, comunque, da valutare gli effetti della «nuova» Alitalia e la «legittimità» del quasi monopolio che si è realizzato sulla tratta Roma-Milano);
nel settore del trasporto ferroviario, per esempio, come rilevato anche da una recente segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, convivono paradossalmente assetti concorrenziali aperti al mercato con profili tipici propri di un regime a monopolio di fatto: l'Italia, infatti, ha già attuato la liberalizzazione dal lato tariffario, con largo anticipo rispetto al termine ultimo del 2010 stabilito dall'Unione europea - tanto è vero che Trenitalia ha recentemente effettuato autonomamente aumenti dei prezzi -, ma il servizio continua ad essere attribuito a Trenitalia tramite affidamento diretto a negoziazione;
inoltre, per assicurare i servizi ferroviari di trasporto ordinario e al fine di procedere alla stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia, il cosiddetto «decreto anti-crisi» ha stanziato 480 milioni per gli anni 2010 e 2011: in sostanza, Trenitalia ottiene risorse pubbliche e, al contempo, fornisce servizi a condizioni di mercato, con indiscutibili effetti lesivi per la concorrenza, inducendo, altresì, i passeggeri ad acquistare i servizi a prezzo libero, nonostante si tratti di servizi universali;
a dispetto di quanto evidenziato, però, gli enti locali perseverano nella creazione di nuove aziende che, occupando una moltitudine di persone, distribuendo incarichi a pioggia e gestendo milioni di utenti, contribuiscono alla formazione ed alla consolidazione di vaste aree di clientelismo politico-amministrativo;
secondo uno studio di Confindustria, accrescendo il grado di competizione nei servizi fino al punto di ricondurlo al livello della media dei Paesi dell'area euro, il prodotto interno lordo salirebbe dell'11 per cento, con metà dell'incremento nei primi tre anni;
il fallito tentativo della stagione delle cosiddette «lenzuolate» della XV legislatura è imputabile, in prima battuta, proprio alla mancanza di coraggio nell'abbattimento degli ostacoli regolatori alla concorrenza;
la necessità di contrastare gli effetti perniciosi della drammatica crisi economica in atto - con iniezioni, in dosi massicce, di vitalità economica - rende improcrastinabile la riapertura immediata del «fronte liberalizzazioni»: con l'avvertenza - scontata, ma necessaria - che i processi di privatizzazione e liberalizzazione non si trasformino, come spesso è accaduto in passato, in altrettanti trasferimenti a soggetti privati di rendite monopolistiche di fatto, provvedendo, per questa via, alla separazione netta tra la proprietà pubblica delle reti e la gestione dei servizi da parte di soggetti privati scelti tramite procedure di gara;
in un contesto internazionale segnato in profondità dalla recessione è fondamentale inaugurare quanto prima una nuova e più coraggiosa stagione di liberalizzazioni, così da permettere al sistema Paese di reggere l'urto della durissima competizione economica che si aprirà non appena emergeranno i primi segnali di ripresa a livello globale, di ridurre i costi sostenuti dai cittadini, dalle famiglie e dalle imprese e di fronteggiare i rischi di un crescita incontrollata dell'inflazione,

impegna il Governo

a reintrodurre il tema della liberalizzazione dei servizi pubblici locali tra le priorità dell'agenda politica, adottando iniziative per procedere, settore per settore, ad una sollecita e sistematica azione di rimozione degli ostacoli e dei freni che si frappongono al libero dispiegarsi della concorrenza tra gli operatori del mercato ed affrancando utenti e consumatori dall'insostenibile aggravio di costi sostenuti a causa di un sistema, espressione di una cultura politico-amministrativa conservatrice, che tende inequivocabilmente a preservare le rendite monopolistiche acquisite nel tempo.
(1-00202) «Galletti, Vietti, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Naro, Rao, Occhiuto, Libè, Delfino».
(1o luglio 2009)



MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI E DEL DIRITTO DI DIFESA IN RUSSIA

La Camera,
premesso che:
nell'ottobre del 2003 fu arrestato e successivamente condannato per frode ed evasione fiscale a nove anni di carcere (ridotti ad otto in appello), da scontare presso una prigione del distretto siberiano di Chita, il noto magnate russo Mikahail Khodorkovsky;
Khodorkovsky e la sua compagnia Yukos, prima dell'arresto, avevano finanziato alcuni partiti liberali russi di opposizione e si apprestavano a concludere accordi commerciali che avrebbero reso possibile l'ingresso di capitali esteri nell'azionariato di Yukos;
nel 2007 sono emerse nuove imputazioni a carico dell'ex proprietario della compagnia petrolifera Yukos e del suo socio Platon Lebedev;
la decisione della procura generale della Federazione russa è apparsa subito quantomeno sospetta, poiché intervenuta quando la legge russa avrebbe permesso a Khodorkovsky la libertà condizionata, avendo scontata la metà della pena;
lo stesso Presidente Obama ha trovato strano che «le nuove accuse a Khodorkovsky, che sembrano la riedizione delle vecchie accuse, debbano emergere proprio ora, dopo anni di prigione e quando per questi due uomini c'è la possibilità di ottenere un'amnistia»;
dal mese di febbraio 2009 Khodorkovsky e Lebedev sono stati trasferiti in una prigione di Mosca per rispondere a nuove accuse di truffa e riciclaggio, che potrebbero condurre ad un'ulteriore condanna di ventidue anni;
in particolare, in questo «secondo processo Yukos», le accuse riguarderebbero il furto di 350 tonnellate di greggio e nel riciclaggio di 28 miliardi di dollari grazie all'utilizzo di compagnie off-shore e della organizzazione non governativa Open Russia, fondata dallo stesso Khodorkovsky;
il nuovo processo si annuncia lungo, anche in considerazione dell'elevato numero di testimoni chiamati in causa dalla difesa e dall'accusa;
la concessione della libertà vigilata a Svetlana Bakhmina, ex legale del gruppo Yukos, già condannata a sei anni e mezzo per malversazione, sembrerebbe far presagire un atteggiamento più morbido delle autorità russe nell'affrontare la battaglia legale;
tuttavia, in un'intervista pubblicata da Il Corriere della Sera il Presidente russo Medvedev ha dichiarato che Khodorkovsky può chiedere di essere graziato dal Presidente, ma deve prima riconoscere la sua colpevolezza: «la nostra procedura è precisa, chi vuole, si rivolge al Presidente, si riconosce colpevole e chiede l'atto di clemenza»;
la vicenda è stata oggetto delle critiche da parte dei leader europei e da parte del Consiglio d'Europa;
il Governo italiano vanta ottime relazioni bilaterali con la Russia ed è attualmente il terzo partner commerciale al mondo di Mosca, dopo Germania e Cina, ed è nota l'amicizia che lega il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi al Primo ministro russo Putin,

impegna il Governo

ad attivare tutti i canali diplomatici disponibili affinché venga garantito il rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa di Khodorkovsky e di Lebedev in particolare e dei cittadini russi in generale.
(1-00224)
«Casini, Cesa, Vietti, Adornato, Bosi, Buttiglione, Capitanio Santolini, Cera, Ciccanti, Ciocchetti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, Drago, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Mannino, Mantini, Mereu, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Pisacane, Poli, Rao, Romano, Ruggeri, Ruvolo, Tabacci, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi, Bernardini, Gentiloni Silveri, Lusetti, Oliverio, Guzzanti, Enzo Carra, Colucci, Laratta, Tempestini, Pes, Calgaro, Razzi, Barani, Barbieri, Scilipoti, Fucci, Giachetti, Cavallaro, Pistelli, Rubinato, Toto, Grassi, Castagnetti, Zampa, Capodicasa, Boccia, Raisi, Zeller, Vernetti, Zacchera, Torrisi, Bossa, Rosso, Ferrari, Biancofiore, Vaccaro, Mecacci».
(16 luglio 2009)



MOZIONE CONCERNENTE MISURE A FAVORE DEL PERSONALE PRECARIO DELLA SCUOLA

La Camera,
premesso che:
a pochi giorni dall'inizio dell'anno scolastico l'opinione pubblica è fortemente colpita e impressionata dalla gravità degli effetti prodotti dalle cosiddette riforme realizzate con i provvedimenti governativi sulla scuola;
tagliare nel solo anno scolastico 2009/2010 oltre 42 mila posti di personale docente e più di 15 mila posti di personale ata, come anticipo dei complessivi 130 mila che si prevede di eliminare entro il prossimo triennio, significa il licenziamento di oltre 18 mila docenti e di oltre 8 mila tecnici, amministrativi ed ausiliari, che da anni svolgono la propria mansione con incarichi annuali costantemente rinnovati su posti vacanti disponibili non coperti da nomine a tempo indeterminato per una scelta di risparmio da parte dello Stato. Le rassicuranti affermazioni, espresse nei mesi scorsi dal Ministro Gelmini e dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le quali nessuno sarebbe stato licenziato sono pertanto disattese dai fatti, che coincidono con le previsioni formulate dal Partito democratico e dalle organizzazioni sindacali;
tale massiccio licenziamento - che può essere definito senza tema di essere smentiti «il più grande licenziamento di massa nella storia del nostro Paese» - sta producendo, in occasione delle operazioni di nomina da parte degli uffici scolastici provinciali, drammatiche e diffuse iniziative di protesta;
le recenti 16 mila nomine a tempo indeterminato, 8 mila docenti e 8 mila ata (ben inferiori alla tranche annuale di 50 mila docenti e 10 mila ata del piano triennale di immissione in ruolo previsto dalla legge finanziaria per il 2007 e mai abrogato dal presente Governo), non hanno coperto tutti i posti lasciati liberi dai pensionamenti; inoltre, va ricordato che nell'anno scolastico 2009/2010 vi saranno migliaia di incarichi annuali coperti da lavoratori precari destinati al licenziamento nei prossimi anni per ottemperare al pesantissimo taglio di personale previsto dall'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, (per l'anno scolastico 2010/2011: 25.560 docenti e 15.167 ata; per l'anno scolastico 2011/2012: 19.676 docenti e 14.167 ata). Peraltro, la legge di assestamento del bilancio 2009, approvata nel luglio 2009, ha definito ulteriori massicce decurtazioni alla spesa per gli incarichi a tempo determinato, che diminuisce complessivamente di 577.064.995 euro. Con tale riduzione, che risulta aggiuntiva rispetto a quella di 456 milioni già operata in attuazione dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, di fatto sarà impossibile garantire, per i primi quattro mesi del nuovo anno scolastico, la regolare retribuzione di quanti comunque riceveranno un incarico annuale;
i precari della scuola, docenti e ata, sono in numero ben maggiore ai 26 mila che non saranno confermati nell'anno scolastico che sta per iniziare: secondo le stime ufficiali del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca relative all'anno 2008, i docenti con incarico a tempo determinato sono stati ben 131 mila. Questo dato non rappresenta solo l'avvilente incertezza per il futuro professionale dei lavoratori coinvolti, ma denuncia anche la mancata continuità didattica che viene negata a migliaia di studenti;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la citata massiccia riduzione di personale, che anticipa quella prevista per il prossimo biennio, avrà effetti molto gravi sulla quantità dell'offerta e sulla qualità del funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado. Ad esempio:
a) non sono state attivate numerose sezioni di scuola per l'infanzia, seppur richieste;
b) nella scuola primaria, in molti casi non si è data risposta alla domanda di tempo pieno, che non può essere confuso con un tempo scuola a 40 ore, poiché diverso è il modello didattico offerto. La riduzione delle compresenze, inoltre, tanto nel tempo pieno quanto nell'organizzazione modulare del team di 3 docenti su due classi, produrrà gravi conseguenze sul piano della continuità didattica e, quindi, della qualità del processo di insegnamento-apprendimento;
c) analoghe conseguenze si avranno nella scuola secondaria di primo grado: la diminuzione delle ore di italiano, di tecnologia e, in molti casi, della seconda lingua comunitaria determina non solo la riduzione del tempo scuola, ma avrà inevitabili ricadute sul piano dello sviluppo delle conoscenze dei nostri ragazzi;
d) si aggrava il problema della gestione degli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, poiché è in aumento in ogni ordine di scuola la mancata organizzazione - per l'assenza di personale dovuta all'abolizione delle compresenze e alla riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore - delle attività didattiche e formative alternative al detto insegnamento;
e) l'incremento del numero di alunne/i per classe, provocato dalla volontà di impedire l'apertura di numerose classi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, avrà conseguenze gravi sulla qualità didattica e sui livelli di apprendimento e produrrà un diffuso mancato rispetto delle norme di sicurezza nelle aule scolastiche;
le situazioni descritte, citate a titolo di esempio, e, più in generale, il taglio draconiano della spesa per l'istruzione - previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 e dalla legge finanziaria 2009 - sono foriere di conseguenze facilmente immaginabili sul futuro economico, sociale ed educativo del nostro Paese. Inoltre, contrariamente alle assicurazioni fornite nei mesi scorsi dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la decisione di decurtare pesantemente gli organici della scuola contribuisce ad alimentare la crisi economica che ha colpito il Paese e ad incrementare la già enorme platea di chi ha perso il lavoro di ulteriori 26.000 persone, prevalentemente donne - poiché l'occupazione nella scuola è in maggioranza femminile - e residenti nelle regioni meridionali, dove i tagli si sono abbattuti con maggior pesantezza;
a partire dalla riduzione delle prestazioni delle scuole statali, il Governo pare, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, inconsapevole della gravità dei guasti prodotti dalle misure assunte;
l'emanazione dei regolamenti, recanti le «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» e la «revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133» (decreti del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, nn. 81 e 89), non ha contribuito a rendere più chiaro il quadro normativo; i provvedimenti del Governo in materia sono, infatti, oggetto di specifiche contestazioni presso i tribunali amministrativi regionali e hanno determinato anche l'instaurazione di giudizi di legittimità costituzionale; inoltre, si stigmatizza con forza che non sia ancora ufficialmente esistente e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto interministeriale sugli organici, in base al quale sono stati costituiti gli organici delle singole scuole e operate le descritte massicce riduzioni di posti;
la soluzione prospettata con i cosiddetti «contratti di disponibilità» è del tutto insufficiente, poiché se da un lato sostituisce di fatto i limitati ammortizzatori sociali già operanti nel passato anche per il personale scolastico, dall'altro non salvaguarda la risorsa docente e al contrario crea discriminazione tra i precari, dato che la priorità per le supplenze brevi, offerta esclusivamente a coloro che nel 2008 sono stati destinatari di una supplenza annuale, sottrae le uniche opportunità di impiego a quei docenti che da anni lavorano con supplenze di circolo o di istituto;
la scelta del Governo di ricercare accordi con le singole regioni, affinché integrino con risorse proprie quelle già previste per l'indennità di disoccupazione, è un palese tentativo di scaricare sulle regioni il costo sociale dei tagli irresponsabili imposti al sistema scolastico nazionale dall'Esecutivo Berlusconi: tali accordi - che potranno semmai avere carattere aggiuntivo e mai sostitutivo - mancano del necessario riferimento nazionale e, pertanto, presentano impostazioni, procedure e modalità di intervento differenti (con conseguenze negative sulle stesse graduatorie), condizionate dalle risorse messe a disposizione dalle regioni e dalle legittime esigenze territoriali che l'autonomia regionale esprime,

impegna il Governo:

a predisporre un piano straordinario, sostenuto da risorse aggiuntive, finalizzato all'abolizione dei tagli introdotti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 e all'immissione in ruolo per docenti e ata, così come previsto dalla legge finanziaria per il 2007;
ad adottare iniziative per attribuire un'indennità di disoccupazione per due anni (pari al 60 per cento della retribuzione nel primo anno e al 50 per cento nel secondo) ai precari, il cui contratto non possa essere assolutamente rinnovato, che hanno lavorato per almeno 180 giorni nell'anno scolastico 2008/2009, e a garantire la maturazione del punteggio di servizio nelle graduatorie ad esaurimento;
a realizzare un incremento degli organici del personale ata, per fare fronte ad una situazione di assoluta emergenza per la mancata apertura di molti plessi e sedi scolastiche e per l'impossibilità in molte istituzioni scolastiche di garantire la normale attività amministrativa e didattica di inizio anno scolastico;
a garantire che gli eventuali accordi regionali per il precariato debbano mantenere criteri d'intervento e di applicazione unitaria e, pertanto, che uno schema di convenzione sia discusso con la massima urgenza al tavolo di confronto della Conferenza Stato-regioni, assicurando che questi accordi prevedano, comunque, interventi e garanzie per tutto il personale precario della scuola, sia docente sia ata;
a prevedere che gli interventi e i progetti per l'utilizzo straordinario e provvisorio del personale che ha perduto l'incarico o la supplenza annuale, rispondano all'esigenza di: innalzare la qualità complessiva dell'offerta formativa; favorire l'innovazione didattica; consentire l'aggiornamento e la formazione degli insegnanti; intervenire sull'allungamento-ripristino del tempo scuola, realizzando un efficace rapporto docenti/alunni (tenendo presente le garanzie per gli alunni diversamente abili) e il connesso incremento del tempo scuola individuale; applicare correttamente l'accordo concordatario di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, prevedendo attività didattiche e formative alternative al detto insegnamento; prevenire e contrastare, con interventi specifici, le situazioni di disagio sociale e di abbandono scolastico;
a fare in modo che i «contratti di disponibilità» siano attivati direttamente dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e che gli accordi con la Conferenza Stato-regioni siano volti alla qualificazione dell'offerta formativa territoriale;
ad assegnare un numero certo e stabile di insegnanti e di personale ata (organico funzionale) alle scuole sulla base di criteri oggettivi, in modo da garantire continuità didattica e autonomia, per realizzare un piano dell'offerta formativa (pof) di qualità, nel rispetto delle norme nazionali.
(1-00229) «Ghizzoni, Franceschini, Soro, Sereni, Bressa, Fioroni, Coscia, Bachelet, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Nicolais, Pes, Picierno, Rossa, Antonino Russo, Sarubbi, Siragusa, Marco Carra».
(15 settembre 2009)