CICU ed altri: «Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza e di attività di concorso del medesimo Corpo alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero, di organizzazione dei vertici delle Forze armate e dell'Amministrazione della difesa, nonché di trattamento dei generali di corpo d'armata e gradi equiparati alla cessazione dal servizio per raggiungimento del limite d'età». (C. 3269)
ad attuare tutte le misure per combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente, in modo particolare dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998, che prevede un permesso di soggiorno per le persone che denunciano i propri sfruttatori, prevedendo anche l'introduzione nel nostro ordinamento del reato per grave sfruttamento del lavoro, un'autonoma fattispecie incriminatrice del caporalato, aggravata quando interessa minori o migranti clandestini;
a promuovere una nuova e diversa rappresentazione pubblica dell'immigrazione - che appare dominata da una percezione negativa - posto che le istituzioni in primis hanno il compito ed il dovere di infondere e diffondere l'importanza assoluta della dignità della persona e del rispetto dei diritti umani;
ad assumere iniziative per l'adeguamento della disciplina dell'ingresso dei lavoratori extracomunitari alle esigenze del mercato del lavoro italiano e a procedere urgentemente ad un nuovo «decreto flussi»;
a promuovere ogni opportuna misura nell'ambito della normativa vigente, delle direttive europee e dei nuovi interventi legislativi, volta a combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro delle persone immigrate, a consentire l'emersione del lavoro irregolare e a contrastare ogni modalità di lavoro sommerso che sfrutti la condizione degli immigrati;
a fornire nel piano nazionale per l'integrazione «Identità e incontro», annunciato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, i valori, la visione e i programmi dedicati all'integrazione stessa, nell'ottica di discostarsi dai modelli dell'«assimilazione», poco rispettosa delle identità culturali differenti, e del «multiculturalismo», frutto del relativismo culturale, entrambi rivelatisi fallimentari, in quanto produttivi di conflitti sociali, prevedendo iniziative volte alla promozione della conoscenza e del rispetto delle reciproche identità culturali, con l'obiettivo di una pacifica civile convivenza che si svolga nell'osservanza dei valori e dei principi a fondamento del nostro ordinamento giuridico;
premesso che:
i fatti di Rosarno hanno evidenziato l'esistenza nel nostro Paese di sacche di sfruttamento del lavoro e di situazioni di pesante degrado umano e sociale che non possono in alcun modo essere tollerate;
tali situazioni sono connesse, da un lato, alla presenza di una feroce criminalità che controlla il territorio e, dall'altra, alla diffusione del lavoro nero che interessa prevalentemente le regioni meridionali, ma che coinvolge l'insieme del nostro Paese;
lo sfruttamento del lavoro nero colpisce in modo particolare le persone più vulnerabili e fragili, tra queste gli immigrati privi del permesso di soggiorno. Essi sono tenuti in condizioni di irregolarità dai loro sfruttatori per procrastinare ed accentuare la vulnerabilità e la debolezza sociale e far apparire senza alternative la condizione di sfruttamento;
il lavoro nero è l'area in cui maggiore è la competizione tra gli immigrati ed i lavoratori italiani, perché lo sfruttamento degli uni abbassa le tutele degli altri e questo è tanto più vero nel settore agricolo, dove un lavoratore su dieci è straniero e dove al Sud solo un terzo è regolare, con situazioni di sfruttamento gestite da un caporalato molto spesso sotto il controllo della criminalità organizzata (i lavoratori extracomunitari nel settore agricolo sono circa 75 mila, contando i 64 mila contratti a tempo determinato e gli 11 mila stagionali. Altri 15 mila lavoratori sono a tempo indeterminato. In tutto 90 mila braccianti immigrati, che però superano i 150/200 mila, se si considerano anche i lavoratori stranieri neocomunitari, come i rumeni o i polacchi);
il Governo vanta la riduzione degli sbarchi via mare, ma tace sui settecentomila immigrati irregolari presenti in Italia, che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono conseguenza della cosiddetta «legge Bossi-Fini» e delle politiche governative di chiusura degli ingressi regolari per lavoro. I lunghi e farraginosi meccanismi dell'ingresso per lavoro (mediante la cosiddetta chiamata nominativa o numerica di uno straniero sconosciuto residente all'estero), la brevità della durata dei permessi di soggiorno, la macchinosità e i tempi lunghi del loro rinnovo sono tutti fattori che rendono alta la probabilità che un lavoratore regolare diventi irregolare suo malgrado. Il Governo, inoltre, ha previsto un solo decreto flussi per lavoro stagionale, non ha presentato il documento triennale sulle politiche migratorie previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 286 del 1998 ed ha cancellato il fondo per le politiche di integrazione. A ciò si aggiunga il rallentamento della lotta all'evasione, all'economia sommersa e al lavoro nero. Più ampia è l'economia sommersa, più alta è la domanda di lavoro irregolare, maggiore è la domanda di irregolari stranieri;
la direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle sanzioni contro i datori di lavoro e lo sfruttamento del lavoro irregolare non è stata ancora recepita dall'Italia, nonostante le reiterate richieste in tal senso da parte del gruppo del Partito democratico. E nonostante la stessa direttiva dell'Unione europea «rimpatri» (2008/115/CE), di per sé già molto restrittiva, è stata recepita in Italia unicamente per la parte relativa alla possibilità di allungare i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, mentre è stata del tutto disattesa - e non recepita - tutta la parte restante, basata sull'idea dei ritorni volontari, che potrebbe costituire una nuova base per collegare - finalmente - politiche dell'immigrazione e politiche della cooperazione allo sviluppo;
così come è stata recepita ed attuata la direttiva 2003/86/CE, relativa al diritto di ricongiungimento familiare, essa lede di fatto nel nostro Paese l'unità della famiglia e la concreta possibilità per gli immigrati di potersi ricongiungere con i propri cari, viste le condizioni restrittive a cui è sottoposta tale disciplina;
le condizioni sociali e di vita delle persone sono parte integrante della legalità e della sicurezza, pertanto l'integrazione e l'inclusione sociale delle persone immigrate sono un dovere di ciascuna comunità da realizzare attraverso una collaborazione costante tra i diversi livelli istituzionali ed il dialogo sociale;
la realtà dell'immigrazione del nostro Paese è un fatto positivo, strutturale e duraturo se correttamente gestita perché può corrispondere alle necessità della nostra economia, delle nostre famiglie, del nostro welfare. Se le porte fossero chiuse all'immigrazione, la popolazione giovane in età attiva, tra i 20 e i 40 anni, scenderebbe, tra il 2010 e il 2030, da 15,4 a 11,3 milioni: una diminuzione di oltre 4 milioni, 200.000 unità in meno per ogni anno;
nei nostri territori sta sempre più crescendo un'Italia della civile convivenza. Ne sono protagonisti gli enti locali, le associazioni di volontariato, la Chiesa, i sindacati, gli imprenditori e le forze economiche e sociali, gli insegnanti, le famiglie. Questa Italia della civile convivenza deve essere conosciuta, valorizzata e sostenuta nel suo impegno dalle istituzioni. L'esempio dei successi dell'integrazione può combattere la paura e creare legami positivi tra italiani e immigrati;
l'integrazione è, dunque, un'interazione tra persone di culture diverse che hanno l'obbligo di rispettare i valori e le regole del Paese ospitante, ma hanno anche il dovere di arricchirli attraverso la conoscenza reciproca e lo scambio umano e culturale. Il patto europeo per l'immigrazione invita gli Stati membri a «porre in essere una politica d'integrazione armoniosa, favorendo la partecipazione dell'immigrato alla sfera civica, al mondo del lavoro, all'istruzione, al dialogo interculturale cercando di eliminare ogni diversità di trattamento che risulti discriminatorio per il cittadino terzo»;
al 1o gennaio 2008 i residenti stranieri nati in Italia, la cosiddetta «seconda generazione», sono circa 457.000 e i minori stranieri in Italia rappresentano circa il 22 per cento degli stranieri residenti;
sono loro a mostrarci la possibile soluzione per una civile convivenza tra le molteplici culture; sono loro a mostrare una convergenza di abitudini, di costumi con i coetanei italiani, una voglia di integrazione con gli italiani e un'apertura mentale che si scontra con la chiusura della nostra società, della nostra legislazione e, se si vuole una vera integrazione, non si può certo trattarli come figli di un diritto minore;
il patto europeo per l'immigrazione del giugno 2008, sottoscritto anche dal Governo italiano, propone una gestione dell'immigrazione incentrata attorno agli obiettivi della prosperità, della sicurezza e della solidarietà. «Le migrazioni internazionali possono rappresentare un'opportunità, costituendo un fattore di scambio culturale, umano, sociale ed economico. Il potenziale dell'immigrazione può essere considerato maggiormente positivo soltanto con un'integrazione riuscita nelle società dei Paesi ospitanti»,
ad applicare la direttiva europea del 18 giugno 2009 che impegna gli Stati membri dell'Unione europea a sanzioni e provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;
ad attivare tutti gli strumenti per consentire un'emersione del lavoro irregolare, con particolare attenzione al comparto agricolo, attivando in modo continuativo il sistema dei controlli e promuovendo una regolarizzazione per i lavoratori agricoli stranieri da anni presenti sul nostro territorio che non abbiano commesso reati;
a ridurre fino ad eliminare il lavoro nero e sommerso, attivando canali alternativi come la regolarizzazione ad personam per coloro che contribuiscono all'individuazione di fattispecie criminose legate alla immigrazione, per coloro che compiono atti di rilevanza sociale ed umanitaria, per coloro che sono dimoranti nel nostro Paese da molti anni e che abbiano dimostrato una buona integrazione;
a ridurre i tempi per il rinnovo del permesso di soggiorno, a prolungare la durata del medesimo, in particolar modo in caso di perdita del lavoro, ed a estendere ai lavoratori immigrati gli ammortizzatori sociali previsti per i lavoratori italiani;
a presentare il documento triennale sulle politiche migratorie, previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché a semplificare il sistema delle quote passando dal decreto annuale, elaborato dal Governo con vincolo amministrativo e contenente una indicazione rigida, ad un documento poliennale elaborato da un'agenzia tecnica che contenga la stima di persone immigrate ed i loro profili professionali necessari al nostro sistema economico e sociale;
a incentivare e a semplificare l'applicazione dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 286 del 1998 relativamente alla formazione di personale all'estero da parte delle aziende e a introdurre lo strumento dello sponsor per la ricerca di lavoro attribuito a soggetti collettivi, come i sindacati, associazioni di imprenditori e istituzioni pubbliche;
a promuovere con le regioni, gli enti locali, le forze economiche e sociali, il volontariato e l'associazionismo un piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza tra italiani e immigrati, avendo come obiettivo quello di definire una governance stabile, basata sul metodo della concertazione tra soggetti istituzionali e con le parti sociali, attraverso il dialogo sociale, formulando gli obiettivi di inclusione sociale, di crescita interculturale e valutandone costantemente i risultati;
ad inserire il piano nazionale nella politica europea, che definisce l'integrazione «la chiave» del successo dell'immigrazione, un processo «a doppio senso» che deve vedere protagoniste le società ospitanti, ma anche gli immigrati in un percorso di adattamento reciproco fra le due società;
a promuovere nel piano nazionale per le politiche di integrazione e di convivenza il rispetto dei valori costituzionali della pari dignità delle persone, dell'eguale rispetto di ciascuna persona, delle pari opportunità, della non discriminazione;
a promuovere gli obiettivi della legalità e della sicurezza, dell'investimento nella scuola per tutti, della promozione della famiglia, anche attraverso una politica di promozione dei ricongiungimenti famigliari, dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, della salute e del contrasto delle malattie, della povertà e delle diseguaglianze nella salute, del senso civico, della partecipazione sociale e politica, dell'incontro e del reciproco riconoscimento tra italiani ed immigrati;
a riconoscere nel piano nazionale alcune azioni prioritarie: contrasto del degrado urbano e del disagio abitativo; estensione dell'educazione e della formazione interculturale; sostegno ai bambini e alle famiglie per l'apprendimento della lingua e della cultura italiana anche da parte degli adulti; accesso ai servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili; sviluppo della figura dei mediatori culturali, anche attraverso l'istituzione di un albo nazionale dei mediatori culturali e delle associazioni di mediazione culturale; inserimento di tempi certi per il rinnovo dei permessi di soggiorno;
a inserire nel piano nazionale criteri e direttive per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri, per potenziare i servizi e sostenere le associazioni e le attività impegnate nella lotta contro la tratta degli esseri umani, nonché per il sostegno all'associazionismo degli immigrati che promuovono attività sociali e di integrazione, nonché linee guida per l'estensione ai giovani stranieri del servizio civile volontario;
a prevedere il finanziamento del piano nazionale attraverso risorse certe e sufficienti inserite in un fondo nazionale finanziato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali.
(1-00326)
«Livia Turco, Amici, Lenzi, Bressa, Zaccaria, Fassino, Touadi, Gozi, Berretta, Binetti, Boffa, Bossa, Braga, Brandolini, Bucchino, Burtone, Boccuzzi, Cardinale, Carella, Castagnetti, Causi, Ceccuzzi, Codurelli, Colaninno, D'Antona, De Biasi, De Pasquale, De Torre, D'Incecco, Esposito, Farinone, Fedi, Ferranti, Fontanelli, Froner, Garavini, Gnecchi, Grassi, Graziano, Laganà Fortugno, Lo Moro, Lucà, Lulli, Madia, Marchi, Marchignoli, Margiotta, Mariani, Melis, Miotto, Mogherini Rebesani, Motta, Murer, Naccarato, Piccolo, Picierno, Pistelli, Pedoto, Realacci, Rubinato, Samperi, Sarubbi, Sbrollini, Schirru, Sereni, Siragusa, Strizzolo, Trappolino, Tullo, Velo, Verini, Zucchi, Villecco Calipari, Zampa».
(3 febbraio 2010)
premesso che:
correnti migratorie verso i Paesi a maggior tasso di crescita economica sono una costante nella storia dell'umanità, poiché, ove le condizioni di povertà sono la norma, la scelta dell'immigrazione è spesso l'unico tentativo possibile per sfuggire ad un destino senza speranza;
di ciò il nostro Paese è stato testimone consapevole fin dalla fine del XIX secolo, quando imponente fu l'emigrazione italiana verso il Nuovo Mondo, gli Stati Uniti, e anche in seguito quando l'emigrazione si indirizzò, in modo altrettanto massiccio, soprattutto dopo la II guerra mondiale, verso i Paesi europei in forte crescita, quali Germania, Francia, Belgio, Svizzera, nonché verso i Paesi del Sud America e verso l'Australia;
la stessa storia del nostro Paese ha conosciuto, durante il boom economico degli anni '70, rilevanti migrazioni interne dal Sud, dove un elevato tasso di disoccupazione era endemico, verso il Nord a più elevati tassi di sviluppo;
la società italiana sta diventando multietnica anche in forza di dinamiche ed esigenze interne, tipiche delle società cosiddette avanzate. In particolare, i migranti sono fondamentali per la copertura di posti lavoro a basso livello di specializzazione, che gli italiani rifiutano, nell'agricoltura e nell'industria pesante o insalubre, ma anche nell'ambito dei lavori di cura delle persone anziane; attualmente essi sono stimati in un numero compreso tra 4,2 e 5 milioni, una presenza consolidata con un impatto significativo sull'economia nazionale;
occorre considerare che le dimensioni del flusso migratorio verso il nostro Paese sono di vasta portata, soprattutto con riguardo all'arco di tempo, l'ultimo decennio, in cui si sono consumate e concentrate, producendo un impatto rilevante, che ha investito anche l'ambito sociale, prima ancora che culturale;
questa massiccia presenza evidenzia due ordini distinti di problematiche, che occorre affrontare e risolvere nel loro insieme inscindibile: da un lato, lo stato del lavoratore immigrato è riassumibile, in genere, in salario basso, lavoro pesante, spesso in nero, con un guadagno ridotto rispetto agli omologhi italiani, siano essi impiegati regolarmente o meno (i dati raccolti da diverse ricerche condotte nel 2009, in particolare dalle fondazioni Moressa, Debenedetti, Alma Mater testimoniano un'identica realtà, anche numerica); dall'altro questi forti flussi migratori, maturati per la gran parte nell'ultimo decennio e concentratisi prevalentemente nelle regioni del Nord del Paese, hanno creato una situazione oggettivamente complessa sul piano sociale anche interno, i cui aspetti più delicati sono stati subiti dalla parte meno abbiente della popolazione italiana: dall'assegnazione degli alloggi di edilizia popolare alla facoltà di accesso alla sanità pubblica, dal mondo del lavoro (dove spesso - per disperazione - l'immigrato è disposto ad accettare condizioni di salario, lavoro e sicurezza che mettono fuori gioco il lavoratore italiano) fino alla vivibilità delle periferie dei grandi e medi centri urbani, spesso oggetto di forte pressione demografica da parte di immigrati instaurando una vera e propria competizione sociale con le fasce più deboli della popolazione italiana;
una buona politica migratoria e la gestione dei flussi non possono scindere il tema dell'immigrazione dalla contingenza e dalla peculiarità del Paese «ospitante», con riguardo alla situazione economica e allo stato delle politiche sociali, comprese quelle che ineriscono al lavoro (welfare nel suo significato più largo), disciplinando al contempo gli ingressi e la permanenza nel Paese con l'obiettivo della sicurezza del territorio;
data la situazione, l'ideale sarebbe uno stretto controllo sull'immigrazione, in modo da far corrispondere gli ingressi al numero dei lavoratori effettivamente richiesti da motivazioni economiche, così da creare adeguate forme di integrazione nella nostra società; con particolare riferimento alla fase economica in corso, stante il perdurare di una crisi che sta avendo ripercussioni gravissime in particolare sul livello occupazionale del Paese e che vede oggi, e vedrà ancor più entro la fine del 2010, un forte aumento della disoccupazione, sia tra gli italiani sia tra gli immigrati, sarebbe auspicabile un blocco temporaneo degli ingressi, almeno fino a tutto il 2011, al fine di consentire prioritariamente, sia agli italiani che agli immigrati già presenti nel nostro Paese, di ritrovare più facilmente occupazione;
è inevitabile che massicce entrate di immigrati regolari, spinti dall'aspettativa di migliori condizioni di vita e di lavoro, implichino necessariamente la presenza di immigrati non regolari: da vari studi emerge che nel nostro Paese gli irregolari sono tra i 400.000 (stima Ismu) e i 700.000; essi, in molti casi, diventano facile preda, oltre che della criminalità organizzata, anche di datori di lavoro senza scrupoli, che a fini di profitto li impiegano in modo illecito, pagandoli molto meno dei regolari, in condizioni che finiscono con il favorire più infortuni sul lavoro, come confermano i dati ufficiali Inail, che non comprendono i casi in cui, per paura di perdere il posto di lavoro o di essere identificati ed espulsi, gli infortuni non vengono denunciati;
eppure, in tema di immigrazione clandestina nessuna delle norme introdotte dal Governo, a partire dai provvedimenti in materia di sicurezza per finire con il cosiddetto «collegato lavoro», ha cercato di impedire o almeno limitare lo sfruttamento da parte dei datori di lavoro della «convenienza» economica all'impiego di lavoratori irregolari; nessuna norma ha previsto l'introduzione o l'inasprimento di pene per i datori di lavoro - anzi, le sanzioni vigenti non si applicheranno nei casi di denuncia spontanea di impiego di lavoratori irregolari - e, al contempo, le ispezioni ed i controlli sui luoghi di lavoro nel territorio nazionale risultano alleggeriti ed in forte diminuzione, mentre proprio su questo tema l'Unione europea ha preannunciato una «stretta» ed in Francia sono stati arrestati nell'ultimo anno 900 datori di lavoro di immigrati non autorizzati;
all'inadeguatezza del sistema legislativo si accompagna la debolezza del nostro sistema di accoglienza ed integrazione, che sembra più improntato a politiche dettate da chiusura e paura; gli interventi sono esclusivamente incentrati sul problema della sicurezza pubblica, che, pur essendo tema non secondario, è ben lontano dall'esaurire tutte le problematiche. L'enfasi data a tale aspetto genera facilmente pregiudizi ed ostilità, non contribuisce a favorire una convivenza civile e finisce per incentivare lo sfruttamento dei più deboli e privi di diritti in ambito lavorativo;
ancora in tema di immigrazione, il cosiddetto «pacchetto sicurezza», ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha privilegiato scelte demagogiche, in quanto puramente mediatiche e completamente inefficaci, come l'introduzione delle ronde, del cosiddetto reato di clandestinità, anche in qualità di fattispecie aggravante, e l'inasprimento delle condizioni per l'acquisto della cittadinanza, che più che rimedi al problema creano problemi ulteriori esse stesse, a causa del loro fallimento e della loro difficile applicabilità;
sono mancate, invece, come hanno fatto altri Paesi europei, misure di integrazione positiva, come quelle idonee a produrre inclusione sociale, la quale costituisce lo strumento indispensabile contro l'insorgere di conflitti sociali e per il contemperamento dei bisogni della società italiana con i diritti della forza lavoro offerta dagli immigrati, così come la regolarizzazione della loro permanenza riduce i rischi di entrata nel circuito della criminalità organizzata,
con riguardo alle annunciate modalità di introduzione del permesso di soggiorno «a punti», sulla scia di iniziative adottate in altri Paesi europei, ad evitare che tale strumento, nel nostro Paese, trasformi l'immigrato, specialmente quello temporaneo, in un sorvegliato speciale;
a valutare accuratamente la rispondenza e l'efficacia dei requisiti di integrazione e di assimilazione della nostra cultura ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che, in assenza di benefici diretti, paiono solo aggravare le procedure vigenti;
a prevedere, nell'ambito delle iniziative volte all'introduzione del permesso di soggiorno «a punti», procedure per l'emersione e la regolarizzazione di lavoratori extracomunitari irregolari in tutti i comparti;
con riguardo ai flussi d'ingresso annuali, predeterminati attualmente dallo Stato, a coinvolgere direttamente il mondo delle imprese nella fissazione delle quote, in modo che esse rispondano e soddisfino effettivamente e pienamente le esigenze e le richieste del nostro mercato, a riportare su un piano triennale la programmazione, scaduta nel 2009 e non ancora rinnovata, e a prevedere, inoltre, la semplificazione delle procedure conseguenti ai «decreti flussi» per la presentazione ed il vaglio delle domande, attualmente complesse, lunghe ed onerose;
con riguardo all'imminente «decreto flussi» valido per il 2010, che sembrerebbe dover autorizzare l'ingresso, su un totale di 150.000 addetti, di 105.000 colf e badanti - nuove unità che farebbero seguito alle procedure di emersione ancora in corso per circa 300.000 addetti dello stesso settore - a prevedere quote più ampie per gli addetti degli altri settori, rispondendo gli immigrati a precise esigenze del nostro mercato del lavoro, onde evitare, inoltre, che, essendo da tempo quella dei servizi alle famiglie l'unica mansione cui viene puntualmente offerta la regolarizzazione, essa mascheri l'impiego di persone in attività del tutto diverse;
a fronte della perdurante crisi economica che attraversa il nostro Paese e dei suoi riflessi occupazionali, a prevedere il blocco dei flussi per il 2010 ed il 2011, al fine di consentire prioritariamente sia agli italiani che agli immigrati già presenti nel nostro Paese di ritrovare più facilmente occupazione;
a riprendere ed incrementare attività stringenti di ispezione e controllo dei diritti e delle tutele nei luoghi di lavoro - che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, risultano alleggerite - riducendo quel lavoro nero che alimenta l'immigrazione clandestina, l'illegalità e la criminalità, procurando, inoltre, un danno all'intero sistema produttivo;
ad assumere iniziative volte a ripristinare tempestivamente, incrementandone le risorse - trasferite quasi per intero alle politiche di controllo ed espulsione -, i «progetti di integrazione», per i quali il Governo Prodi aveva istituito un fondo ministeriale;
ad adottare iniziative, anche di carattere economico, in favore della tutela dei minori stranieri cosiddetti «non accompagnati», riconosciuta come area prioritaria di intervento in materia migratoria, provvedendo, con l'occasione, al reintegro delle risorse destinate al fondo per l'inclusione sociale degli immigrati;
ad affrontare il tema della politica migratoria come «questione europea» e non soltanto italiana, ricercando, al contempo, accordi diretti con i Paesi da cui provengono prevalentemente gli immigrati stranieri, in modo che essi, in cambio di adeguate forme di collaborazione di cui si deve far carico il nostro Paese, diano pieno supporto al controllo dell'emigrazione dai loro Paesi;
ad affrontare il tema dell'immigrazione in modo non avulso dal tema dei diritti, compresi quelli di voto amministrativo e di cittadinanza, soprattutto con riguardo al futuro dei figli dei nostri immigrati;
ad affrontare con i Paesi di provenienza anche il tema dei luoghi di espiazione delle pene nei Paesi di origine, fin dalla detenzione in attesa di giudizio per i gravi reati, in modo da ridurre il numero delle persone detenute nel nostro Paese.
(1-00353)
«Donadi, Di Pietro, Favia, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».
(8 aprile 2010)
premesso che:
recenti episodi di cronaca hanno dato grande rilievo al tema dell'immigrazione irregolare. I fatti di Rosarno, oltre ad aver portato alla luce le dimensioni di un fenomeno sottovalutato, hanno evidenziato lo stato di degrado umano e sociale e le condizioni di lavoro, assimilabili alla riduzione in schiavitù, cui sono soggetti i lavoratori extracomunitari clandestini;
secondo un rapporto della Uil, l'economia sommersa ha prodotto nel 2009 un fatturato di oltre 154 miliardi di euro, sottratti ad ogni tipo di tassazione, con un'incidenza sul prodotto interno lordo intorno al 10 per cento;
i dati evidenziano un forte insediamento del lavoro sommerso ed irregolare nel Sud, che trova però terreno fertile anche nelle zone più ricche del Paese, confermando come il lavoro nero sia un dramma che riguarda tutta l'Italia ed investa, soprattutto, i soggetti più deboli ed indifesi e che il fenomeno dell'immigrazione clandestina sia sempre più effetto e non causa dell'economia sommersa;
dal 2007 non è stato emanato alcun «decreto flussi» riservato ai lavoratori stagionali, con l'effetto di favorire il soggiorno ed il lavoro irregolare. Le misure di controllo e le varie regolarizzazioni di immigrati extracomunitari attuate dai Governi non sono più sufficienti a contenere il fenomeno, che necessita di una nuova disciplina organica che dia vita finalmente a flussi regolari di lavoratori, anche secondo le esigenze più volte manifestate dalle organizzazioni imprenditoriali;
secondo il rapporto 2009 dell'Ocse, dedicato al fenomeno dell'immigrazione, il numero di immigrati illegali in Italia oscilla tra i 500 e i 750 mila, pari al 25,6 per cento di tutti i residenti stranieri nel nostro Paese;
il rapporto Ocse sottolinea, inoltre, che la stragrande maggioranza degli irregolari entra in Italia legalmente (ben il 60-65 per cento sono persone che sono entrate in modo regolare e poi si sono trattenute oltre la data fissata nel visto di ingresso), mentre un altro 25 per cento dei clandestini giunge illegalmente da altri Paesi Schengen, approfittando dell'abolizione dei controlli alle frontiere; non più del 15 per cento dell'immigrazione irregolare, dunque, arriva dal mare e dalle rotte del Mediterraneo e, mediamente, si calcola che non più di 60.000 persone attraversano il Mediterraneo dirette in Europa;
secondo l'Ocse, «è difficile ridurre l'immigrazione irregolare attraverso misure di solo controllo delle frontiere e l'elemento principale per contrastare l'immigrazione illegale dovrebbe essere l'apertura di canali legali d'immigrazione. Questo è ciò che chiedono i mercati del lavoro nei Paesi Ocse e in Europa - conclude il rapporto - ma la relativa risposta politica è ancora insufficiente, a partire dal patto su immigrazione e asilo del 2008»;
anche se il fenomeno dell'irregolarità e della clandestinità interessa ormai tutti i Paesi europei, l'ingresso illegale degli immigrati dal mare nel nostro Paese è reso più semplice dalla posizione geografica dell'Italia, ma i rimedi messi in campo dal Governo (respingimenti verso la Libia) non sono stati condivisi dalle istituzioni internazionali ed europee, che hanno richiamato l'Italia al rispetto della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati;
è sempre più necessario, pertanto, un intervento a livello europeo che garantisca sia il contrasto dell'immigrazione irregolare che il rispetto dei diritti umani fondamentali. Per realizzare questa politica è necessaria una maggiore solidarietà tra gli Stati membri ed una soluzione unitaria in grado di dare risposte a tre esigenze principali: l'asilo e la protezione umanitaria e sociale; una politica comune sugli ingressi regolari per motivi di lavoro; la cooperazione con i Paesi terzi;
la direttiva 2009/52/CE, che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano immigrati irregolari nell'Unione europea, non è stata ancora recepita dall'Italia. Con tale direttiva gli Stati membri dovranno mettere a disposizione meccanismi che agevolino le denunce e garantiscano adeguate ispezioni sui luoghi di lavoro più a rischio, al fine di contrastare l'immigrazione illegale, vietare l'assunzione di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente e fissare norme minime comuni sulle sanzioni applicabili ai datori di lavoro che violano il divieto;
l'Italia non ha, inoltre, recepito ancora l'importante direttiva 2008/115/CE, che facilita il rimpatrio di immigrati in stato di irregolarità attraverso programmi di ritorno volontario ed assistito, realizzando, quindi, una politica certamente ben più efficace e meno onerosa di quella dei rimpatri coatti,
ad operare controlli ispettivi di maggiore intensità, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, al fine di debellare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro degli immigrati clandestini;
a promuovere campagne di sensibilizzazione atte ad impedire ogni forma di sfruttamento del lavoro di immigrati irregolari e a sostenere le organizzazioni della società civile impegnate nell'aiuto umanitario e solidale alle vittime dello sfruttamento;
a promuovere in tempi rapidi il recepimento delle direttive 2009/52/CE e 2008/115/CE;
ad attuare lo strumento della protezione sociale per le vittime di tratta e di traffico di persone, come previsto dall'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione;
a favorire strumenti, a livello nazionale e comunitario, per l'ingresso regolare e protetto di richiedenti asilo e rifugiati;
a sollecitare nelle competenti sedi la realizzazione di una conferenza Unione europea-Africa sulla migrazione e lo sviluppo dei Paesi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio, in continuità con quella realizzata a Tripoli nel 2006.
(1-00354)
«Pezzotta, Vietti, Delfino, Poli, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Adornato, Naro, Galletti, Occhiuto, Mereu, Rao, Tassone, Mantini, Ria».
(8 aprile 2010)
premesso che:
la crescita esponenziale delle statistiche relative all'immigrazione in Italia, che attestano ormai gli immigrati intorno ai 4,5 milioni di unità, ha disegnato i contorni di un fenomeno relativamente nuovo per il nostro Paese, almeno nel confronto con altri con una più antica tradizione di accoglienza, o addirittura formati dal melting pot di immigrati dalle origini più disparate, come gli Usa, il Canada o l'Australia;
la dimensione, nuova per la sua imponenza, del fenomeno ha trovato spesso impreparata la politica e le istituzioni, la cui insufficienza ha consentito la creazione ed il consolidamento di zone grigie di illegalità nella gestione dell'imperiosa spinta migratoria, alimentando il triste aumento dell'immigrazione clandestina (stimata intorno alle 700-800 mila unità), fonte di ricchezze illecite per gli intermediari di manodopera, gli sfruttatori della prostituzione, i gestori del mercato più abominevole, quello che sfrutta l'infanzia, i trafficanti di droga e di armi;
non raramente, dunque, la condizione dell'immigrato viene sottoposta ad un doppio sfruttamento selvaggio: quello del Paese di arrivo e quello delle organizzazioni malavitose;
al netto, tuttavia, dei problemi della legalità e dell'ordine pubblico, resta l'inadeguatezza di un approccio culturale, sociale e normativo rispetto al fenomeno;
sul piano culturale non è stata compiuta alcuna scelta tra l'ipotesi di una politica multiculturale (quale quella praticata dall'Australia e dal Canada), volta ad incoraggiare la tutela della cultura e dell'identità di provenienza, e quella dell'assimilazione nel sistema italiano, secondo il modello del melting pot di tipo statunitense;
né è stata impostata un'adeguata politica scolastica volta a sostenere una forma di integrazione delle giovani e giovanissime generazioni di immigrati;
dal punto di vista dell'approccio sociale bisogna tener conto che gli ultimi 10 anni hanno visto raddoppiare il numero degli immigrati e che, se i tassi di incremento della popolazione di origine straniera in Italia resteranno quelli attuali, nel prossimo ventennio tale numero raddoppierà ancora, raggiungendo il numero di 8 milioni di unità. Il profilo demografico, dunque, dischiude il vastissimo ventaglio delle implicazioni, che vanno dalla domanda di casa a quella di salute, dall'istruzione alla domanda di previdenza;
c'è, inoltre, l'approccio politico-istituzionale, che implica il profilo della cittadinanza e del diritto di voto, di partecipazione politica e di rappresentanza;
non v'è dubbio che il processo di integrazione trovi il suo punto di verifica più importante nella concessione del diritto di cittadinanza e del diritto di voto;
alla stregua di un sistema di regole che intenda andare oltre la mera affermazione del jus soli, la cittadinanza e la piena integrazione che da essa deriva devono voler significare creazione di norme volte a semplificare la congerie legislativa, che oggi sembrerebbe incoraggiare gli immigrati e i loro datori di lavoro alla pratica dell'irregolarità e del lavoro nero;
occorre, peraltro, giungere alla definizione di parametri «intelligenti,» per valutare in modo appropriato la qualità dell'integrazione, poiché non è sufficiente la misurazione dei semplici tassi di incidenza degli immigrati su segmenti di popolazione, per trarre indicatori utili a valutare l'avanzamento dei processi di integrazione;
né è da trascurare il profilo legato alla sfera dei diritti fondamentali dell'uomo, che talune recenti prassi, normate per legge, inevitabilmente chiamano in causa: si pensi alle procedure di detenzione temporanea dei migranti, che, secondo Amnesty international, si configurerebbero come «detenzione de facto, priva di basi legali certe e di controllo giudiziario»; si pensi alla prassi dei «respingimenti» e alla conduzione indiscriminata fuori dalle acque territoriali e verso i Paesi di origine di persone, senza che possa essere effettuata una valutazione sul loro possibile bisogno di una protezione internazionale;
è da riconoscere che una qualche forma istituzionale di monitoraggio sulle politiche di integrazione era stata proposta dal testo unico sull'immigrazione (legge 6 marzo 1998, n. 40), che all'articolo 44 istituiva la Commissione per le politiche di integrazione, composta da rappresentanti ed esperti dei ministeri investiti della responsabilità della materia. Ma la Commissione cessò ogni attività il 6 luglio del 2001,
a promuovere, con le istituzioni del territorio, le forze imprenditoriali e sindacali, i soggetti sociali impegnati sul piano della solidarietà e del volontariato laico e religioso, una politica di integrazione tra cittadini italiani e immigrati che accolga le linee guida della politica europea dell'integrazione, realizzando i necessari presupposti di legalità e di sicurezza, di promozione della famiglia e dei diritti delle giovani e giovanissime generazioni di immigrati, di un welfare capace di garantire il diritto allo studio, alla casa e alla salute;
a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione delle politiche di integrazione degli immigrati, inteso come esito degli impegni per la promozione delle politiche interculturali e delle politiche volte a rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale, che limitano presso gli immigrati l'affermazione dei principi di uguaglianza e pari dignità sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
(1-00355)
«Pisicchio, Touadi, Granata, Cambursano, Tabacci, Brugger».
(8 aprile 2010)
premesso che:
l'immigrazione costituisce per l'Italia e l'Unione europea un fenomeno di rilevante significato sociale, con notevoli implicazioni sul piano demografico, economico, politico, culturale e antropologico, che richiede interventi strutturali e mirati a garantire anche la coesione sociale;
il Governo Berlusconi ha affrontato il tema nei suoi vari aspetti, senza rinunciare a politiche di accoglienza, sostegno e integrazione dell'immigrazione regolare, accompagnandole con misure di rigore, per massimizzare il suo apporto positivo all'interno del sistema produttivo e sociale del Paese;
il Governo riserva da tempo particolare attenzione a quei territori dove esistono situazioni di sfruttamento del lavoro e di degrado e disagio sociale, come quella di Rosarno; situazione, quest'ultima, a cui il Governo si era interessato fin dal dicembre 2008, quando si era verificata un'aggressione analoga a quella del gennaio 2010. Già allora la risonanza dell'accaduto e la necessità di intervenire per assicurare agli immigrati condizioni dignitose di sussistenza ed un'adeguata situazione igienico-sanitaria determinarono una serie di incontri tra i rappresentanti della protezione civile regionale e dei comuni maggiormente interessati dalla presenza di lavoratori immigrati;
in quell'occasione i rappresentanti degli uffici sanitari della regione e dell'associazione Medici senza frontiere avevano constatato sul posto le precarie condizioni igienico-sanitarie dei luoghi ove vivevano gli immigrati. Ma gli interventi più tangibili erano venuti proprio dal Governo: già nel mese di aprile 2009 il ministero dell'interno aveva, infatti, erogato al comune di Rosarno, che svolgeva le funzioni di capofila del progetto, un primo significativo contributo di 200.000 euro, utilizzati per noleggiare delle strutture di carattere sanitario; nella stessa zona sono poi in via di realizzazione, oltre a progetti territoriali per la sicurezza, ulteriori specifici progetti finanziati anche con le risorse provenienti dal Fondo sociale europeo, gestito dal ministero del lavoro e delle politiche sociali, diretti all'accoglienza e all'integrazione degli immigrati presenti nell'area, tra cui la realizzazione di alloggi per lavoratori stranieri impiegati nel lavoro stagionale;
simili episodi rendono comunque evidenti anche tutte le conseguenze negative che derivano dall'immigrazione clandestina, che, proprio per questo motivo, è necessario combattere senza tentennamenti, anche perché prima o poi si determinano processi di commistione tra i flussi migratori illegali e quelli legali, con conseguenze negative nell'opinione pubblica. Si rischia così di compromettere i valori della coesione sociale e dell'integrazione nel nostro tessuto sociale dei lavoratori provenienti da Paesi extracomunitari;
troppo spesso cittadini immigrati regolari dal punto di vista del permesso di soggiorno, non lo sono sotto il profilo del rapporto di lavoro; eppure le leggi attuali, in particolare il testo unico in materia di immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, così come modificato dalla cosiddetta «legge Bossi-Fini», già impongono la regolarità delle posizioni di lavoro e la necessità di assicurare idonea sistemazione alloggiativa per i lavoratori stranieri. È, quindi, necessario che le leggi siano applicate integralmente da chi fino ad oggi le ha semplicemente eluse;
l'ingresso illegale nel territorio dello Stato costituisce nella maggior parte dei casi il presupposto per l'emarginazione e lo sfruttamento lavorativo di molti stranieri e, spesso, il serbatoio per il reclutamento della manovalanza della criminalità;
anche su questo versante la maggioranza ha ottenuto importanti risultati con l'azione di Governo, in particolare attraverso il rafforzamento dei sistemi di effettiva espulsione dei clandestini. Negli ultimi due anni sono stati effettivamente rimpatriati 42.595 clandestini nei rispettivi Paesi di origine;
sul fronte della prevenzione dell'immigrazione clandestina, il Governo ha dato prova di concretezza: da quando si è dato compiuta attuazione alle intese con la Libia - Paese di maggiore transito degli immigrati provenienti dall'Africa sub-sahariana - gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane sono diminuiti del 90 per cento, rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente: 31.281 persone sbarcate nel 2008, 3.185 nello stesso periodo del 2009;
proprio con riferimento alla Libia - si ricorda - il ministero dell'interno ha raggiunto nel maggio del 2009 un risultato mai conseguito in precedenza, frutto degli accordi stipulati e dell'intensa attività diplomatica svolta: restituire alla Libia 227 cittadini extracomunitari clandestini che non erano libici, ma che erano partiti dalle coste libiche;
per continuare a combattere efficacemente la clandestinità bisogna proseguire nell'applicazione puntuale e rigorosa della cosiddetta «legge Bossi-Fini», che lega la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro;
questo fondamentale principio stabilito dal nostro ordinamento si sta affermando anche nelle più moderne legislazioni degli altri Paesi europei. L'ultimo caso in ordine di tempo è quello della Spagna, guidata dal Governo Zapatero, dove proprio questo principio è stato ribadito e rafforzato dalla recente legge entrata in vigore il 13 dicembre 2009. Nella parte quinta del preambolo della nuova legge spagnola si stabilisce l'obiettivo di «perfezionare il sistema di canalizzazione legale ed ordinata dei flussi migratori per lavoro, rafforzando il vincolo tra la capacità di accoglienza dei lavoratori migranti e le necessità del mercato del lavoro»;
nel corso della XIV e della XVI legislatura, i Governi Berlusconi sostenuti dalla maggioranza di centrodestra hanno promosso una politica di immigrazione che si fonda su due dimensioni, che si sostengono reciprocamente: fermezza e rigore contro la clandestinità e integrazione fondata sul lavoro, sulla conoscenza e sul rispetto della nostra identità;
una coerente integrazione di milioni di persone già presenti nel nostro Paese e di molte migliaia che chiedono l'ammissione richiede una disciplina dei flussi e dei visti che garantisca la presenza e la convivenza degli immigrati provenienti dalle varie nazioni, tenendo in considerazione le reali possibilità di assorbimento nel nostro tessuto sociale, al fine di assicurare il rispetto e la tutela della dignità umana dei lavoratori stranieri, dei nostri valori e della sicurezza dei cittadini del nostro Paese;
oggi il nostro Paese ospita, secondo le più recenti statistiche, 4 milioni di cittadini stranieri residenti, circa il 6,5 per cento della popolazione (tale percentuale era al di sotto del 3 per cento nel 2001 e pari allo 0,1 per cento dieci anni prima), mentre la quota degli occupati sale ormai al 7,5 per cento come dato medio, con punte più elevate nelle regioni più ricche e sviluppate (nel Centro-Nord il numero degli immigrati è di quattro volte maggiore di quello del Sud). Il lavoro degli stranieri è presente in diversi settori dell'economia (agricoltura, turismo, costruzioni, servizi alla persona, ma anche comparti dell'industria manifatturiera);
secondo tutte le banche dati disponibili - Istat, Inps, Inail - l'occupazione straniera in Italia è cresciuta costantemente, almeno fino al 2008, e in dieci anni risulta più che raddoppiata, passando da meno di un milione a più di due milioni;
il reddito imponibile degli immigrati è in progressivo aumento: superiore a 21 miliardi di euro nel 2007; erano 18,4 miliardi di euro nel 2006 e 16,7 miliardi di euro nel 2005;
la Costituzione ha riconosciuto i valori fondanti della nostra identità nazionale nel rispetto del valore della vita e nella centralità della persona, creando così la premessa per un equilibrato sistema di diritti e di doveri, adattati - come prescrive la nostra Carta costituzionale - alle condizioni di ciascuna persona;
per questo, l'ordinamento promuove l'accoglienza e l'integrazione degli immigrati regolari e garantisce loro un'ampia tutela dei diritti civili, economici, sociali e culturali;
la legge 15 luglio 2009, n. 94, ultimo atto normativo del «pacchetto sicurezza», contiene numerose disposizioni che intervengono sia sul versante del contrasto dell'immigrazione illegale, che in materia di integrazione;
tra queste ultime, in particolare, la suddetta legge ha introdotto, quale valido strumento a disposizione degli stranieri che vogliono lavorare ed inserirsi nella nostra società, l'istituto dell'«accordo di integrazione», da attuarsi con regolamento, a breve operativo, che ne stabilisca i criteri e le modalità di sottoscrizione;
il meccanismo dell'accordo prevede che il cittadino straniero - contestualmente alla presentazione della domanda di permesso di soggiorno - sottoscriva degli impegni di integrazione che riguardano: la conoscenza della lingua italiana e dei valori di libertà, eguaglianza e democrazia posti a fondamento della Costituzione; il rispetto di tali principi e l'acquisizione di un'adeguata conoscenza della vita civile in Italia, con particolare riferimento, ad esempio, ai settori della sanità, dei servizi sociali e del lavoro; l'assolvimento del dovere di istruzione dei figli minori e la conoscenza dell'organizzazione delle istituzioni pubbliche. A seguito del rispetto degli impegni di integrazione, ai cittadini stranieri vengono attribuiti crediti, proprio per riconoscere loro il merito ed il senso di responsabilità dimostrato, mentre a seguito della commissione di illeciti i crediti vengono decurtati; lo Stato, da parte sua, si impegna ad accompagnare il cittadino straniero tramite corsi di italiano e di educazione civica sulla tradizione e la vita civile in Italia, nonché con voucher formativi per coloro che dimostreranno di aver raggiunto più alti livelli di integrazione;
tale approccio alla questione «immigrazione ed integrazione» denota un atteggiamento responsabile da parte del Governo per la tutela dell'intera comunità,
ad analizzare, utilizzando le banche dati disponibili e, in particolare, quella dell'Inail, la natura e le modalità dell'immigrazione extracomunitaria, al fine di adottare politiche di governo dei flussi efficaci e tempestive;
ad adottare le opportune iniziative dirette a valorizzare l'apporto dei lavoratori immigrati al progresso economico e sociale del Paese, favorendo al contempo un processo di effettiva integrazione nel nostro tessuto sociale e la conoscenza ed il rispetto delle regole e della cultura di riferimento del nostro Paese;
a proseguire nel potenziamento degli uffici amministrativi competenti, affinché, entro la fine della XVI legislatura, i permessi di soggiorno siano rilasciati e rinnovati nei tempi previsti dalla legge;
a vigilare sull'applicazione delle disposizioni in vigore e sul rispetto puntuale e rigoroso delle norme che legano la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro e ad intensificare e rendere pienamente efficaci i controlli ispettivi, con il fattivo coinvolgimento dei vari livelli istituzionali e delle parti sociali;
a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
ad intensificare una specifica, coordinata e capillare attività di contrasto dei fenomeni di illegalità e di sfruttamento del lavoro irregolare, con particolare riferimento all'agricoltura;
a potenziare le sinergie con le regioni e gli enti locali, per favorire la diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana, come la conoscenza dei loro diritti e doveri, le opportunità di integrazione e di crescita personale e comunitaria offerte dalle amministrazioni pubbliche e dall'associazionismo, nonché per sostenere ogni iniziativa di prevenzione della discriminazione razziale;
a misurare la reale esigenza di manodopera straniera nel nostro Paese, anche alla luce del periodo di crisi che l'Italia sta attraversando, anche al fine di non penalizzare i cittadini e le cittadine italiane oggi in cerca di occupazione;
ad adoperarsi con sempre maggiore impegno al contrasto del lavoro sommerso, in particolar modo degli immigrati spesso ridotti in uno stato assimilabile alla schiavitù, senza il rispetto delle più elementari regole e condizioni di vita e di lavoro.
(1-00356)
«Santelli, Caparini, Cazzola, Moffa, Fedriga, Pelino, Baldelli, Dal Lago, Moroni».
(8 aprile 2010)