TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 349 di Mercoledì 7 luglio 2010

DISEGNO DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla II Commissione (Giustizia):
«Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno» (testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato dall'Assemblea il 12 maggio 2010) (C. 3291-bis).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).



MOZIONI SULLE RISORSE DESTINATE AL SETTORE DELLA DIFESA

La Camera,
premesso che:
la crisi finanziaria internazionale ed esigenze di bilancio rendono necessario intervenire sulla spesa pubblica anche riconsiderando impegni programmati, e ciò alla luce della logica di tagli lineari del 10 per cento nelle assegnazioni previste per i Ministeri;
è opportuno dare seguito alle indicazioni del Consiglio supremo di difesa del 10 marzo 2010, secondo cui l'attuazione di una comune politica estera e di difesa e sicurezza nell'ambito dell'Unione europea costituisce obbiettivo vitale per gli Stati membri e per la crescita dell'Europa, al duplice scopo di concorrere alla costruzione di uno strumento politico-militare comune più efficace dal punto di vista operativo e più economico;
per quanto riguarda le spese per la difesa, risulta inaccettabile qualunque riduzione per tutto ciò che è necessario a garantire la sicurezza dei contingenti militari impiegati fuori area, in termini di mezzi, supporto logistico e addestramento;
i tagli lineari attuati con la manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, hanno già sottratto alle spese per l'esercizio un miliardo e mezzo di euro per il triennio, riducendo le risorse destinate alla funzione difesa nella misura dello 0,87 per cento del prodotto interno lordo, dato finanziario molto distante da quello previsto nelle principali nazioni europee, ed incidono pesantemente nei settori del reclutamento, dell'addestramento, della manutenzione dei mezzi operativi e delle infrastrutture e nel mantenimento a livello delle scorte, fino a mettere a rischio la funzionalità e l'efficienza dello strumento militare;
analoghe conseguenze negative si sono determinate nel settore del personale, dove il progetto di professionalizzazione delle Forze armate e l'indispensabile bilanciamento quantitativo tra le varie categorie hanno subito sostanziali rallentamenti, impedendo, tra l'altro, il transito di un'aliquota dei volontari in ferma determinata negli organici delle forze di polizia, come previsto all'atto del loro arruolamento;
il settore degli investimenti per l'acquisizione dei sistemi d'arma ha fruito delle risorse finanziarie relative alle programmazioni di lunga durata approvate dal Parlamento negli ultimi decenni, sulla base del modello di difesa definito nell'anno 2000, su 190.000 uomini, ed in ottemperanza agli impegni assunti dal Paese in ambito internazionale;
l'area industriale della difesa è stata drasticamente ridimensionata nelle sue capacità produttive, in particolare nei centri di manutenzione di secondo e terzo livello che oggi rappresentano autentiche realtà industriali abbandonate dallo Stato ad un lento declino;
non appare in alcun modo possibile, né realistico sostenere ulteriori riduzioni delle risorse da destinare alle spese per l'esercizio;
è iniziata in Parlamento la discussione sul nuovo modello di difesa, che dovrà necessariamente tenere conto dei radicali mutamenti intervenuti nello scenario geopolitico mondiale;
in tale quadro, ulteriori consistenti tagli lineari del bilancio della difesa comprometterebbero la funzionalità e l'efficienza dello strumento militare;
appare opportuno rimodulare la politica degli investimenti sui sistemi d'arma, coerentemente con le scelte relative al nuovo modello di difesa ed in linea con quanto sta avvenendo in altri Paesi europei e negli Stati Uniti;
nell'attuale situazione di dichiarata crisi finanziaria, la politica del competente Ministero della difesa appare, ai sottoscrittori del presente atto di indirizzo, sempre più improvvisata, oscillante, indeterminata e reticente nelle motivazioni delle decisioni in ordine alla sicurezza del personale, all'efficienza dello strumento militare nei diversi scenari d'impiego e agli stessi programmi d'investimento,

impegna il Governo:

a considerare, nella definizione dei tagli da apportare ai diversi Ministeri, le decisioni restrittive assunte nel recente passato nei confronti delle risorse relative all'esercizio ed al reclutamento per la funzione difesa;
ad assicurare, con l'urgenza che la gravità della situazione impone, la propria disponibilità ad offrire il necessario apporto conoscitivo a sostegno della discussione sul nuovo modello di difesa, presso le Commissioni congiunte difesa di Camera e Senato;
a dare impulso a tutte le possibili sinergie a livello europeo, sia dal punto di vista delle politiche industriali che degli assetti operativi, al fine di accelerare la costruzione di uno strumento militare comune europeo;
a sostenere, con un'attiva partecipazione, lo sforzo internazionale per il disarmo, in primo luogo quello nucleare, la non proliferazione nucleare e il sostegno a misure di cooperazione e di fiducia anche nei settori convenzionali;
a verificare l'utilità, le priorità, i tempi d'attuazione ed i costi di tutti i programmi d'armamento;
ad invertire la logica dei tagli lineari al bilancio della difesa attualmente previsti per programmare, invece, un criterio di tagli selettivi;
nel presupposto che non sia accettabile effettuare nuovi tagli sull'esercizio, a valutare, nell'ambito del suddetto nuovo modello di difesa, dell'auspicata integrazione degli strumenti di difesa europei, nonché del ruolo dell'Italia nell'ambito della comunità internazionale, quali investimenti sui programmi d'armamento mantenere, quali cancellare, sospendere o rinviare.
(1-00395)
«Franceschini, Rugghia, Fiano, Villecco Calipari, Garofani, Fioroni, Giacomelli, La Forgia, Laganà Fortugno, Migliavacca, Mogherini Rebesani, Recchia, Rosato, Sereni, Ventura, Maran, Brandolini, Farinone, Causi, Schirru, Touadi, Graziano, Rubinato, De Pasquale, Coscia, Castagnetti, Samperi, De Biasi, Marco Carra, Rossomando, Bindi».
(23 giugno 2010)

La Camera,
premesso che:
le Forze armate della Repubblica rappresentano lo strumento fondamentale per assicurare la difesa della patria e garantire la sicurezza dei cittadini, nonché per sostenere gli impegni del nostro Paese in politica estera e fornire supporto alle organizzazioni internazionali impegnate nelle aree di crisi e nelle emergenze mondiali;
nel corso del Consiglio supremo di difesa del 10 marzo 2010, convocato per esaminare la situazione internazionale e per valutare la configurazione e l'articolazione dei contingenti militari nazionali impiegati nelle aree di crisi, è emersa l'esigenza di continuare a razionalizzare le spese, viste le perduranti ristrettezze di bilancio;
nel comunicato ufficiale emesso al termine del Consiglio supremo di difesa si è sottolineato come «l'impegno militare e di concorso allo sviluppo profuso dal nostro Paese nel quadro della Comunità Internazionale resta fondamentale e, pertanto, deve continuare ad essere sostenuto con adeguate risorse umane, economiche e materiali»;
l'impatto della manovra economica del 2008 ha prodotto una drastica riduzione delle risorse destinate alla difesa. Secondo il rapporto «L'Italia e la trasformazione dello scenario internazionale», presentato nel marzo 2010 dall'Istituto affari internazionali (Iai) e dall'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), la percentuale del prodotto interno lordo destinata dal Governo alla difesa si è progressivamente ridotta ben al di sotto dell'1 per cento, più bassa della media europea (1,42 per cento) e delle richieste della Nato (2 per cento);
il rapporto segnala che per la «funzione Difesa (spese per l'operatività delle Forze armate) aumenta ulteriormente (63,3 per cento) la parte dedicata al personale (+750 milioni, ma con l'esclusione di nuovi reclutamenti) a detrimento di investimenti (-560) ed delle spese di esercizio (-440)» e che «la mancanza di risorse e di spese di qualità allontana l'Italia dagli standard di interoperabilità, quindi di sicurezza, delle forze Nato e Ue», rischiando, in tal modo, di pregiudicare la pluriennale esperienza acquisita negli interventi in aree di crisi ed in situazioni di conflitto a bassa e media intensità;
il 12 marzo 2009, con il parere favorevole del Governo, è stata approvata la mozione 1-00093, che prevedeva l'impegno dell'Esecutivo:
a) ad adottare in tempi rapidi misure atte a salvaguardare la funzionalità e le capacità operative di intervento dello strumento militare, garantendo le peculiari caratteristiche delle Forze armate, finalizzandole, oggi ed in previsione delle future esigenze, ai compiti che esse svolgono nelle aree di crisi presenti nel mondo, nonché per la sicurezza e lo sviluppo del nostro Paese;
b) a rivedere e ad ottimizzare, coinvolgendo pienamente il Parlamento, il quadro normativo per l'impiego e la gestione delle Forze armate e del comparto difesa nel suo complesso, garantendone la capacità di corrispondere alle esigenze di difesa nazionale ed agli impegni internazionali, operando le necessarie scelte nei settori tecnico-amministrativo, del personale, della logistica e dell'organizzazione delle Forze armate sul territorio nazionale;
c) a rimodulare gli investimenti, secondo criteri e priorità strettamente fondati sia sui compiti effettivamente svolti oggi dallo strumento militare in questo periodo storico, sia su quelli, ad alta intensità, che un possibile deterioramento del quadro strategico potrà costringere ad affrontare, sulla base delle risorse realisticamente disponibili;
d) a destinare in via prioritaria le risorse disponibili e quelle eventualmente recuperate da altre aree ai settori del reclutamento e dell'addestramento, essenziali per il mantenimento delle capacità operative;
e) ad assicurare, nel tempo, stabilità e coerenza all'assegnazione delle risorse per il comparto difesa, quale presupposto di base per l'efficiente ed economica finalizzazione dei programmi di trasformazione e razionalizzazione delle Forze armate;
il taglio delle spese correnti, delle retribuzioni e dei fondi per l'addestramento dei reparti, la manutenzione e gestione di mezzi e infrastrutture rischia, infatti, di creare arsenali sofisticati senza risorse e personale addestrato per utilizzarli;
il nuovo modello di difesa non è ancora delineato e manca una pianificazione a lungo termine che mette a rischio le Forze armate italiane, le quali solo grazie ai fondi destinati per le missioni all'estero riescono a recuperare risorse extra bilancio,

impegna il Governo:

a procedere celermente all'assunzione delle iniziative conseguenti agli impegni contenuti nella sopra citata mozione approvata dall'Assemblea della Camera dei deputati il 12 marzo 2009;
a condizionare il varo del nuovo modello di difesa professionale alla verifica prioritaria della piena realizzazione di quello delineato dalle leggi n. 331 del 2000, n. 215 del 2001 e n. 226 del 2004 e alla definizione dei tagli da apportare al bilancio della difesa;
a predisporre un piano di investimenti nel settore della difesa selettivo e funzionale alle esigenze prioritarie delle nostre Forze armate, privilegiando i programmi di reclutamento e di addestramento del personale in linea con gli standard degli altri partner europei e Nato.
(1-00402)
«Casini, Cesa, Vietti, Bosi, Rao, Pisacane, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Naro, Tassone, Galletti, Libè, Occhiuto».
(5 luglio 2010)

La Camera,
premesso che:
la difesa e il suo bilancio non riguardano certamente solo il settore ma l'intero Paese, che ovviamente non può fare a meno di disporre di una buona organizzazione e capacità di forza difensiva; ogni nazione, infatti, vi si deve rapportare in relazione al suo peso internazionale e alla sua importanza geografica e strategica;
è certamente vero che oggi, in un momento in cui si scopre che la crisi economica globale ci riguarda, è necessario razionalizzare la spesa pubblica, ma è necessario farlo con un lavoro serio, puntuale, che entri nel merito di ogni programma di spesa, che si assuma la responsabilità di scegliere le priorità;
intanto, il bilancio italiano per la difesa continua a contrarsi: nel 2010 sono previsti ulteriori tagli lineari riguardanti tutti i Ministeri, che però aggraveranno ulteriormente il già pesante squilibrio nella ripartizione dei finanziamenti determinatosi a causa dei precedenti tagli contenuti nel decreto-legge n. 112 del 2008; ciò prefigura una serie di interventi volti ad un'ulteriore riduzione delle già limitate risorse a disposizione, con rilevanti (e non positivi) riflessi sul processo di professionalizzazione delle Forze armate e sull'esercizio;
i tagli di bilancio delle spese per l'esercizio, infatti, oltre a compromettere la capacità operativa del nostro strumento militare, rischia di avere gravi conseguenze anche sulla stessa sicurezza del personale, mentre il Governo continua a non tenere conto che nel bilancio della difesa i consumi intermedi riguardano la manutenzione dei sistemi d'arma e l'addestramento, che invece dovrebbero essere considerati investimenti;
la nota aggiuntiva allo stato di previsione della spesa per il 2010, pubblicata dal Ministero della difesa, indica una spesa pari a 20,36 miliardi di euro, laddove, secondo la stima del gruppo sicurezza e difesa dell'Istituto affari italiani (Iai), le risorse effettivamente disponibili per la difesa nel 2010 sarebbero ancor più limitate e ammonterebbero a 17,6 miliardi;
il capitolo funzione difesa del bilancio del Ministero della difesa raccoglie tutti i costi relativi al funzionamento delle Forze armate, come l'addestramento, l'acquisizione e la manutenzione degli equipaggiamenti, ma soprattutto le spese per il personale, reparto che soffre del pesante squilibrio tra volontari di truppa da un lato e ufficiali e sottufficiali dall'altro. Questi ultimi, infatti, risultano in esubero rispetto alle reali esigenze (gli stessi vertici militari parlano di 40.000 marescialli in esubero, esattamente il numero di militari che prevede di tagliare, per fare un esempio, la Germania);
gli stanziamenti per la funzione difesa 2010 ammontano a 14.280 milioni di euro, in calo di 60 milioni di euro rispetto al 2009. Continua, quindi, il trend discendente cominciato nel 2008, quando per la funzione difesa erano stati stanziati 15,4 miliardi di euro;
come è noto, a questo valore vanno aggiunte le spese (stimate in 419 milioni di euro) per il personale dei carabinieri non impegnato nel campo della pubblica sicurezza, cioè i carabinieri in missione all'estero e quelli che svolgono funzioni di polizia militare;
calcolare quanto spenda realmente il nostro Paese per la difesa non è semplice, poiché, a seconda delle voci considerate e della metodologia utilizzata, le cifre potrebbero infatti variare, rendendone di difficile lettura il bilancio anche agli addetti ai lavori;
le variabili per giungere a un conteggio aggregato sono diverse: ad esempio, nel bilancio della difesa compaiono i carabinieri, che rappresentano la quarta forza armata, ma che comunque per una parte hanno compiti di polizia per i quali dipendono funzionalmente dal Ministero dell'interno; inoltre, non compaiono le spese per le missioni all'estero, che per il 90 per cento riguardano gli aspetti militari, né l'acquisizione di alcuni sistemi di arma pagati con i fondi del Ministero dello sviluppo economico;
il nostro Paese spende molto per la difesa ma abbiamo Forze armate comunque in condizioni precarie: uomini e donne senza più formazione e mezzi, senza carburante e pezzi di ricambio, con riduzioni degli investimenti in manutenzione e in addestramento (soprattutto per i contingenti che operano fuori area), fino a mettere in ginocchio settori importanti delle nostre Forze armate;
tra l'altro, nella nota aggiuntiva, con riferimento al capitolo riguardante l'esercizio (che tra il 2008 ed il 2009 aveva già subito un drastico taglio del 29 per cento ed ha sofferto un ulteriore decremento del 6,8 per cento, passando a 1.760 milioni di euro, laddove nel 2001 le spese per l'esercizio ammontavano a 3.570 milioni) si legge testualmente: «è possibile soddisfare, e non in modo adeguato, le esigenze nelle aree fondamentali della formazione e dell'addestramento (...) le restanti aree afferenti ad esempio il mantenimento e la manutenzione generale dei mezzi ed equipaggiamenti (...) permangono ed anzi accentuano la loro condizione di forte sottofinanziamento»; tutto ciò anche in considerazione del fatto che le Forze armate saranno sempre più intensamente impegnate in missioni internazionali e anche in operazioni di pubblica sicurezza, il che comporterà un aggravio di pressione sul personale e di usura degli equipaggiamenti;
sempre secondo l'Istituto affari italiani, la spesa per la difesa risulta, quindi, insoddisfacente, sia dal punto quantitativo che da quello qualitativo: si spende, cioè, poco e male, al punto che la stessa nota aggiuntiva paventa che ne possano essere compromesse le capacità operative delle Forze armate; si rischia in tal modo di sprecare risorse di non poco conto che non servono alla difesa del Paese, ma solo a favorire gli interessi dei vertici della lobby industrial-militare, mentre si fa morire la cooperazione allo sviluppo e il servizio civile, per fare qualche esempio;
il sistema attuale è, infatti, fortemente sponsorizzato dalla nostra industria bellica e dai vertici militari e prevede uno strumento militare composto da 190.000 uomini e donne volontari armati di tutto punto. Un modello che ha ovviamente fatto esplodere le spese militari e anche gli sprechi, con il risultato finale che le Forze armate «sono sempre più alla soglia di un'irreversibile inefficienza», per ammissione del precedente Ministro della difesa;
c'è da chiedersi, per esempio, quale impiego strategico si possa prevedere per il cacciabombardiere F35 con capacità di trasporto di ordigni nucleari, atteso che la «difesa del territorio» è già garantita dai famigerati Eurofighter, aerei con capacità aria-aria. Il Joint strike fighter (F35) è infatti ritenuto una sorta di pozzo di San Patrizio dallo statunitense Gao (Government accountability office), il corrispettivo della nostra Corte dei conti per gli Stati Uniti (capofila del progetto), che ne ha più volte denunciato i forti ritardi, il lievitare dei costi, ponendo più di un dubbio anche sulla buona riuscita del progetto stesso;
la stessa approvazione di nuovi acquisti - che per legge dovrebbe sempre passare al vaglio di una scelta parlamentare - è spesso fittiziamente presentata come proroga di decisioni precedentemente prese, anche nel caso in cui riguardi programmi del tutto differenti; è da tempo che il nostro Governo sulla necessaria e urgente ridefinizione del modello di difesa annuncia grandi cose, ma manca anche solo una proiezione di come nei prossimi dieci anni l'Italia intenderà approntare un proprio sistema di difesa e con quali strategie, sistema che dovrebbe essere ispirato a criteri coerenti, definiti e frutto di un'accurata analisi in ordine alla compatibilità delle risorse impiegate rispetto agli obiettivi da perseguire;
nonostante gli impegni assunti, non risulta ancora essere stata elaborata e presentata la relazione finale sulla proposta di un nuovo modello di difesa, per la cui elaborazione è stata insediata un'apposita commissione di alta consulenza e studio che ha da tempo concluso i suoi lavori; comincia a palesarsi a livello europeo la necessità di creare una «forza integrata», che stabilisca insieme agli alleati cosa deve fare e quali mezzi deve fornire l'Italia e cosa tocca agli altri. Ad esempio, chi deve schierare costosissimi aerei per ingannare i radar nemici e chi quelli per dare la caccia ai sottomarini. Conseguentemente, occorrerà specializzare e migliorare il ruolo dei nostri militari, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea;
infine, si deve registrare la mancata soppressione della società Difesa servizi s.p.a., facendo così permanere un ulteriore centro di spesa,

impegna il Governo:

a dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa, al fine di garantire efficaci programmi di esercitazione, aggiornamento delle professionalità e dello strumento militare, manutenzione dei mezzi, che permettano ai nostri soldati di ricominciare a effettuare i necessari addestramenti navali, terresti ed aerei, nonché garantire la formazione allo svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza;
ad adottare i necessari provvedimenti straordinari per correggere il grave squilibrio del personale per evitare che il Paese corra il rischio di ritrovarsi con uno strumento militare impossibilitato a svolgere appieno le proprie funzioni;
a perseguire l'esigenza di una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea;
ad avviare una profonda revisione del sistema difesa, soprattutto attraverso una necessaria e urgente operazione di efficientamento e riorganizzazione di tutto l'apparato militare.
(1-00403)
«Di Stanislao, Donadi, Evangelisti, Borghesi».
(5 luglio 2010)

La Camera,
premesso che:
il quadro internazionale è fortemente caratterizzato dagli effetti di una congiuntura economica particolarmente negativa che sta interessando anche il nostro Paese;
permangono, e potrebbero acuirsi, situazioni di instabilità e di rischio per la sicurezza in molte aree del pianeta, generando localmente crisi di carattere politico ed etnico-sociale che si ripercuotono un po' ovunque sotto forma di migrazioni incontrollate, aumento dei traffici illeciti di ogni tipo, non senza generare terrorismo e rischi per le linee di comunicazione marittime;
sono tuttora in atto missioni internazionali, in particolare in Afghanistan, in Libano e nei Balcani, cui l'Italia partecipa con diverse migliaia di uomini e mezzi, determinanti per la tutela della sicurezza e per il sostegno alla ricostruzione;
l'Italia, nell'ambito delle organizzazioni internazionali di riferimento, svolge un ruolo importante ed è uno dei principali contributori per le missioni internazionali di pace;
l'Italia persegue con determinazione e convinzione l'attività di sostegno e contributo alle politiche di disarmo e non proliferazione, nell'ottica di pervenire al traguardo finale di un mondo libero da armi nucleari;
le Forze armate svolgono una funzione fondamentale per la difesa e la sicurezza della nazione e la tutela dei suoi interessi, per la prevenzione dei conflitti, nonché per contribuire alla pacificazione e al mantenimento della pace internazionale - anche al prezzo dell'estremo sacrificio di alcuni dei propri uomini nella riaffermazione dei valori etici che sono alla base dell'istituzione militare - e costituiscono un elemento fondamentale e determinante a sostegno della politica estera del Paese;
nel quadro dell'attuale scenario internazionale, della congiuntura economica e a fronte dell'esigenza di un'ottimale impiego delle risorse disponibili, il Ministero della difesa e lo strumento militare necessitano di una trasformazione e modernizzazione, al fine di continuare ad assolvere ai compiti istituzionali e agli impegni internazionali;
risulta che la Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale, istituita dal Ministro della difesa, abbia ultimato la sua attività volta a definire i principi generali, cui dovrà ispirarsi la riforma delle Forze armate e del Ministero della difesa;
è necessario perseguire l'obiettivo di una difesa europea che consenta di conseguire un insieme più ampio di capacità operative integrate e di ridurre, nel contempo, la spesa militare dei singoli Paesi,

impegna il Governo:

a garantire che lo strumento militare, nel suo complesso, continui a disporre delle capacità necessarie per l'assolvimento dei compiti istituzionali;
a dare la piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sulle linee guida del nuovo modello di difesa e, in particolare, sulle raccomandazioni della Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale;
a procedere, tramite opportune iniziative anche di carattere normativo, verso un riassetto ed una riorganizzazione estesa a tutti i settori delle Forze armate, coerentemente con gli obiettivi assegnati allo strumento militare e con le disponibilità di bilancio, al fine di generare economie di scala e un ulteriore efficientamento;
a sostenere il reclutamento, destinando adeguate risorse per accelerare l'attuazione del modello professionale, al fine di pervenire ad un ottimale bilanciamento della configurazione organica e prevenire l'invecchiamento del personale militare;
a porre particolare attenzione alla tutela della condizione del personale militare, anche attraverso appropriate iniziative nel settore alloggiativo ed interventi di riordino sulle carriere che eliminino le sperequazioni di status ancora esistenti;
ad assicurare adeguati livelli di alimentazione finanziaria delle spese di esercizio, anche attraverso la revisione delle voci del bilancio della difesa classificate rimodulabili, al fine di preservare le risorse necessarie per le esigenze connesse con la prontezza e l'efficienza peculiari dello strumento militare;
a confermare adeguati livelli di finanziamento al settore investimento della difesa, al fine di sviluppare le attività di ammodernamento e rinnovamento dello strumento militare, contribuendo a creare le condizioni per la crescita e la competitività, anche in ambito internazionale, dei settori industriali avanzati, essenziali per lo sviluppo economico del Paese;
a porre in essere, nell'ambito dei processi di acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa, un'attenta attività di pianificazione, sia per soddisfare le esigenze urgenti, quali, per esempio, quelle correlate alla protezione e alla sicurezza del personale impiegato nei teatri operativi, sia per assicurare uno sviluppo capacitivo dello strumento militare coerente con le prevedibili esigenze future;
a sviluppare il piano di trasformazione ed efficientamento coerentemente con il processo in corso nell'Alleanza atlantica e con l'obiettivo di una politica comune di sicurezza e difesa nell'ambito dell'Unione europea, nonché con riferimento a quanto analogamente in atto presso i Paesi partner.
(1-00404)
(Nuova formulazione) «Cicu, Gidoni, Baldelli, Iannaccone, Cirielli, Ascierto, Barba, Belcastro, Chiappori, De Angelis, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Holzmann, Lamorte, Giulio Marini, Mazzoni, Moles, Paglia, Petrenga, Pirovano, Luciano Rossi, Sammarco, Scandroglio, Speciale».
(5 luglio 2010)

La Camera,
premesso che:
il bilancio italiano per la difesa ha subito diversi tagli nell'ultimo periodo, anche a causa delle riduzioni lineari del 10 per cento nelle assegnazioni previste per i Ministeri;
nell'operato delle Forze armate si deve tenere conto del crescente impegno in missioni internazionali e in operazioni di pubblica sicurezza in patria;
la nota aggiuntiva allo stato di previsione della spesa per il 2010, pubblicata dal Ministero della difesa, indica una spesa pari a 20,36 miliardi di euro. Secondo la stima del gruppo sicurezza e difesa dell'Istituto affari internazionali (Iai), invece, le risorse effettivamente disponibili per la difesa nel 2010 ammonterebbero a 17,6 miliardi di euro;
la stima dell'Istituto affari internazionali include solo le voci che contribuiscono realmente a produrre sicurezza esterna per il Paese nel corso dell'anno di riferimento: la cosiddetta funzione difesa, le spese per le missioni militari all'estero e gli investimenti per l'acquisizione e lo sviluppo di armamenti;
il capitolo funzione difesa del bilancio del Ministero della difesa raccoglie tutti i costi relativi al funzionamento delle Forze armate, come le spese per il personale, l'addestramento, l'acquisizione e la manutenzione degli equipaggiamenti ed altro. Sono, quindi, escluse dal computo le voci che non riguardano direttamente il funzionamento della struttura militare: ad esempio, le pensioni o le spese riguardanti altre attività (come i servizi per il traffico aereo civile);
gli stanziamenti per la funzione difesa 2010 ammontano a 14.280 milioni di euro, in calo di 60 milioni rispetto al 2009. Continua, quindi, il trend discendente cominciato nel 2008, quando per la funzione difesa erano stati stanziati 15,4 miliardi di euro;
a questo valore vanno aggiunte le spese per il personale dei carabinieri non impegnato nel campo della pubblica sicurezza, cioè i carabinieri in missione all'estero e quelli che svolgono funzioni di polizia militare. Questa voce è stimata 419 milioni di euro;
per quanto riguarda le missioni, la legge n. 30 del marzo 2010 ha stanziato complessivamente 706 milioni di euro per il rifinanziamento delle missioni militari fino al giugno 2010. Questa cifra è stata calcolata lasciando fuori i costi per le missioni civili, i contributi alle attività di organizzazioni internazionali e la cooperazione allo sviluppo. Raddoppiando gli stanziamenti della legge n. 30 del 2010, il costo per le missioni militari dell'Italia per il 2010 dovrebbe attestarsi intorno ai 1.412 milioni di euro;
infine, nel novero delle spese della difesa dovrebbero rientrare anche i finanziamenti erogati dal Ministero dello sviluppo economico per progetti industriali di rilevanza nazionale, quali Eurofighter, Fremm e Freccia. Lo stanziamento del Ministero dello sviluppo economico per il 2010, basato su mutui pluriennali, dovrebbe ammontare quest'anno a poco meno di 1,5 miliardi di euro. Il totale ammonta a 17,6 miliardi di euro; una cifra che, seppure inferiore a quella dei principali partner europei, non è insignificante;
una nota positiva è rappresentata dalla spesa per gli investimenti, che aumenta di 287 milioni di euro; un incremento del 10 per cento rispetto al 2009, che porterà il totale a 3.172 milioni di euro, consentendo il mantenimento degli impegni assunti dal Paese nell'ambito dei programmi di sviluppo internazionali;
le spese per il personale scendono a 9.345 milioni di euro, cioè 219 milioni in meno rispetto al 2009. Tale cifra rappresenta oltre il 65 per cento dei fondi complessivi della funzione difesa, percentuale lontana dal quel 40 per cento indicato come obbiettivo «teorico» della riorganizzazione della difesa. Oltretutto, buona parte del taglio è ascrivibile alla riduzione del numero dei volontari di truppa, che passeranno da oltre 88 mila a circa 80 mila, non essendo previsto l'arruolamento di nuovi volontari. Ci si allontana, quindi, sempre più dall'obbiettivo di una forza di 190 mila uomini - tra volontari di truppa, ufficiali e sottufficiali - prevista dalla legge n. 331 del 2000, che aveva istituito il servizio militare professionale (nel 2010 si registreranno circa 179 mila, dai 188 mila del 2008);
lo stato del capitolo relativo all'esercizio comprende voci fondamentali quali la formazione e l'addestramento del personale, nonché la manutenzione e il supporto degli equipaggiamenti. Il capitolo, che tra il 2008 ed il 2009 aveva già subito un taglio del 29 per cento, ha sofferto un ulteriore decremento del 6,8 per cento, passando a 1.760 milioni di euro (nel 2001 le spese per l'esercizio ammontavano a 3.570 milioni di euro);
va ricordato, peraltro, che le Forze armate sono sempre più intensamente impegnate in missioni internazionali e che lo saranno sempre più anche in operazioni di pubblica sicurezza, il che comporterà un aggravio di pressione sul personale e di usura degli equipaggiamenti;
con riferimento alle missioni internazionali, il 10 marzo 2010 il Consiglio supremo di difesa, esaminando la situazione internazionale, con particolare riferimento all'Asia centrale, al Medio Oriente e ai Balcani, ha ribadito che l'impegno militare e di concorso allo sviluppo profuso dal nostro Paese nel quadro della comunità internazionale deve continuare ad essere sostenuto con adeguate risorse umane, economiche e materiali;
il Consiglio supremo di difesa ha, inoltre, ribadito che l'attuazione di una comune politica estera e di difesa nell'ambito dell'Unione europea costituisce obiettivo vitale per gli Stati membri e per la crescita dell'Europa,

impegna il Governo:

a considerare l'opportunità di superare la logica dei tagli lineari per determinare un orientamento mirato a non penalizzare l'efficienza della struttura militare italiana, in coerenza con il nuovo modello di difesa, e a consentire la partecipazione dell'Italia all'auspicata costruzione di una forte struttura militare comune europea;
a verificare se sia possibile recuperare risorse per il mantenimento in efficacia dello strumento militare, con specifico riguardo all'addestramento ed alla manutenzione dei mezzi, ed orientare gli investimenti verso un impiego più direttamente finalizzato al sostegno delle operazioni in corso, per incrementare la sicurezza del personale e l'efficacia dei contingenti nazionali impegnati nelle missioni internazionali;
a contribuire affinché l'Unione europea diventi punto di riferimento comune in ambito internazionale per il disarmo e la riduzione dell'armamento nucleare;
ad intervenire nelle sedi internazionali, dal momento che è stata preannunciata una riforma dei modelli di difesa di Francia e Regno Unito, tesa a renderli più flessibili e adatti alle nuove sfide internazionali, al fine di sostenere e rafforzare una politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, invocando anche una «maggiore cooperazione» tra l'Unione europea e la Nato, così come l'Italia ha sempre auspicato;
a dare piena disponibilità al confronto nell'ottica dell'attuazione di una comune politica estera e di difesa e sicurezza nell'ambito dell'Unione europea, per quel che riguarda gli aspetti industriali e della ricerca, al fine di verificare la possibilità di lanciare una concreta iniziativa di finalizzazione del trattato di Lisbona, al duplice scopo di concorrere alla costruzione di uno strumento politico-militare comune dal punto di vista operativo e di conseguire importanti risparmi sul piano economico.
(1-00405)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».
(5 luglio 2010)

La Camera,
premesso che:
la politica di difesa italiana risente pesantemente di un prolungato periodo di decurtazione sistematica del bilancio, fatta eccezione per il rifinanziamento delle missioni internazionali di peacekeeping, cui anche l'opposizione ha sempre contribuito con senso di responsabilità;
il deterioramento della quantità e della qualità della spesa rischia, in uno scenario mondiale sempre più complesso, di compromettere il contributo del nostro Paese e la sua capacità di proiezione internazionale;
un esempio viene fornito dai Balcani e dal Kosovo, un'area che per l'Italia riveste un'importanza strategica e primaria, dove la pacificazione interetnica è molto lontana dal venire, e che richiede una tecnologia e un ruolo più adeguati del nostro Paese;
il ritiro parziale dai Balcani, annunciato dal Ministro della difesa in alcune occasioni pubbliche, sarebbe dettato dalla mancanza di risorse più che da obiettivi di politica estera, magari condivisi con gli alleati;
la persistente crisi finanziaria internazionale ha reso necessario un intervento sulla spesa pubblica che si è tradotto nel meccanismo dei tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie di tutti i Ministeri, compreso il Ministero della difesa, per le spese rimodulabili nel triennio 2011-2013 e che, in particolare, colpisce pesantemente l'esercizio, cioè l'addestramento delle Forze armate, la manutenzione e l'ammodernamento dei mezzi, nonché la messa in efficienza e la produttività dell'area industriale della difesa, in contrasto con l'obiettivo fondamentale di garantire e incrementare la sicurezza del personale e l'efficienza dei contingenti nazionali impegnati nelle missioni internazionali;
i tagli sopra citati risultano essere, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, profondamente non omogenei ed intempestivi in quanto colpiscono le Forze armate italiane particolarmente esposte negli scenari internazionali;
tali tagli, di fatto, finiranno con lo spiegare i loro effetti maggiori sui reparti periferici della difesa, brigate e reggimenti che rappresentano il cuore pulsante ed il braccio operativo delle Forze armate;
la riduzione delle risorse rischia di produrre conseguenze negative sulle strutture della sanità militare, considerate unanimemente di eccellenza per la qualità dei servizi resi;
il taglio delle risorse rischia di penalizzare oltremodo gli investimenti destinati all'equipaggiamento dei militari italiani, equipaggiamenti già al centro di polemiche e riserve da parte degli addetti ai lavori allorché si discuteva della necessità di tutelare la salute e la sicurezza dei nostri militari dal possibile contagio di sostanze nocive; già da tempo, infatti, la questione dell'adozione di adeguate misure protettive per i partecipanti alle missioni internazionali è stata oggetto di un dibattito a proposito delle morti di alcuni militari italiani a causa dell'uranio impoverito;
il Consiglio supremo di difesa, nella riunione del 10 marzo 2010, valutando i sempre maggiori oneri che l'impegno militare per la sicurezza comporta, tenendo conto delle necessarie ristrettezze di bilancio imposte dalla perdurante crisi economica, ha sottolineato l'esigenza di procedere verso una migliore razionalizzazione dello strumento militare e una più chiara qualificazione della spesa, fermo restando, pur con le scarse risorse disponibili, l'assolvimento delle funzioni e dei compiti prioritari per le Forze armate;
si configurano importanti interventi sull'esercizio, dal momento che la spesa per consumi intermedi della difesa è diretta a finanziare, oltre che gli acquisti di beni e servizi destinati al normale funzionamento degli enti e degli uffici dell'organizzazione centrale e periferica del Ministero, anche i diversi obiettivi connessi al raggiungimento e al mantenimento di specifici livelli qualitativi, addestrativi e di efficienza richiesti a livello internazionale;
ne consegue che la continua riduzione delle risorse per consumi intermedi, registrata già a partire dal 2005, porterebbe un'ulteriore compressione degli stanziamenti previsionali per il 2011 di oltre il 66 per cento, con evidenti conseguenze sull'organizzazione operativa;
inoltre, gli interventi volti ad una riduzione delle già limitate risorse a disposizione, sono destinati ad incidere pesantemente anche nel settore del personale della difesa, nei cui confronti è previsto un taglio complessivo di 4,5 miliardi di euro dal 2009 al 2020, con gravi riflessi sul processo di professionalizzazione stessa delle Forze armate, dal momento che ben il 75 per cento delle risorse sono destinate al personale, mentre le spese di equipaggiamento racchiudono il rimanente;
infine, le misure in materia di pubblico impiego agiscono nei confronti del personale militare penalizzando in maniera abnorme gli operatori del settore,

impegna il Governo:

a rappresentare nelle adeguate sedi parlamentari gli intendimenti di medio-breve termine sulle proprie politiche di difesa, anche alla luce del recente e vago annuncio del varo della «mini-naja»;
a riconsiderare i tagli lineari alle risorse alle Forze armate in ragione degli impegni assunti dal nostro Paese in seno agli organismi di difesa internazionali;
a riconsiderare la riduzione delle risorse disponibili in funzione delle esigenze, anche pratiche, materiali e di approvvigionamento dei reparti militari di periferia, in modo da assicurarne il regolare esercizio;
a tenere nel debito conto le esigenze delle strutture della sanità militare al fine di assicurarne la funzionalità ed il più elevato livello di prestazioni assistenziali;
a predisporre interventi finalizzati a garantire una migliore qualità e una più adeguata razionalizzazione della spesa militare;
ad adottare le iniziative opportune, per quanto di propria competenza, all'accertamento della verità dei fatti sulle morti da uranio impoverito ed a fornire agli equipaggi italiani delle dotazioni di sicurezza e di tutela della salute più idonee ad affrontare le attività operative;
a prevedere un piano di investimenti nel settore della difesa in grado di garantire la sicurezza del personale, la sua professionalizzazione, l'efficienza dei contingenti nazionali impegnati nelle missioni internazionali.
(1-00406)
«Mosella, Cesario, Calgaro, Vernetti, Pisicchio, Brugger».
(6 luglio 2010)



INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

CASINI, VIETTI, LIBÈ, RUVOLO, DELFINO, VOLONTÈ, DE POLI, CICCANTI, COMPAGNON, GALLETTI, RAO, OCCHIUTO e NARO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
gli ex-cobas latte sono tornati in questi giorni a contestare il Governo e ad allestire presidi di protesta contro il pagamento delle sanzioni per il superamento delle quote latte assegnate;
la scorsa settimana, audito in Commissione agricoltura presso la Camera dei deputati, il Ministro interrogato ha riferito circa la risposta dell'ex Commissario europeo all'agricoltura, Mariann Fischer Boel, che - alla richiesta del Governo italiano di non far pagare all'Italia la sesta rata delle sanzioni dovute allo splafonamento delle quote latte - ha opposto un secco diniego;
è opportuno ricordare che il Governo è tenuto a pagare comunque le sanzioni comminate all'Italia e che queste gravano su tutti i contribuenti italiani. A riguardo il Ministro interrogato ha ricordato come la vicenda sia già costata all'Italia e agli italiani circa 1,7 miliardi di euro a causa «degli errori di alcuni produttori di latte, meno del 5 per cento del totale»;
con la legge 9 aprile 2009, n. 33, voluta dall'allora Ministro Zaia, è stata introdotta una sanatoria che ha consentito una rateizzazione di favore per chi non aveva rispettato le quote;
sempre in questi giorni alcuni esponenti del partito della Lega Nord, ad avviso degli interroganti, avrebbero lasciato intendere la possibilità di concedere un condono totale a chi non ha rispettato le quote, danneggiando chi ha scelto la legalità anche a fronte di costose rinunce;
se così fosse l'onere del pagamento delle multe all'Europa ricadrebbe sull'intero Paese, proprio mentre gli italiani onesti sono chiamati ai duri sacrifici imposti dalla manovra economica -:
se non ritenga di fornire le necessarie rassicurazioni affinché per l'ennesima volta non venga minato lo Stato di diritto e non vengano penalizzati gli allevatori onesti, che, a fronte di costose rinunce, hanno rispettato le regole e sono pertanto gli unici legittimati a richiedere eventuali tutele.
(3-01161)
(6 luglio 2010)

MILO, BELCASTRO, GAGLIONE, IANNACCONE e SARDELLI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
un nucleo del Comando carabinieri politiche agricole ed alimentari - sezione di Salerno - nelle scorse settimane ha, di fatto, bloccato, per quanto risulta agli interroganti con procedure anomale e senza alcuna apparente ragione, tutto il latte congelato di bufala esistente presso due grandi strutture del casertano, arrestando così l'intera attività (già languente) di quella provincia versata nella produzione di mozzarella di latte di bufala (non dop), che, in particolare in questo periodo, è quasi in via esclusiva, stante la tipica carenza stagionale di latte fresco;
per eseguire tale «blocco» i carabinieri hanno fatto riferimento al regolamento (CE) 178/2002, che consente, solo dopo un'analisi su un possibile rischio sanitario, condotta su dati scientifici, da eseguirsi addirittura anche con l'ausilio della comunità accademica, di procedere all'eventuale blocco di prodotti alimentari;
in questo caso i carabinieri, che sembrerebbero avere omesso totalmente tale analisi, hanno proceduto al blocco unicamente mettendo a raffronto il peso del prodotto rilevato all'uscita della cella di congelamento (quindi comprensivo degli imballi e dell'umidità di cui gli imballaggi medesimi erano imbevuti) con il peso del prodotto asciutto, che era, come previsto dalla normativa vigente, dichiarato solo indicativamente al congelatore, al fine di determinarne il corrispettivo;
il prodotto, infatti, non era posto in vendita e, conseguentemente, nemmeno sussisteva un obbligo di legge di dichiarare, in quel frangente, il peso esatto;
il «blocco» è stato disposto in quanto il peso del prodotto, rilevato allo stato umido, con particolare riferimento all'imballaggio, si discostava dal peso meramente indicativo dichiarato al congelatore, anche solo di una percentuale minima (comunque al di sotto di un 4 per cento, in qualche caso di uno 0,3 per cento); i circa duecento trasformatori del casertano sono rimasti così privi della materia prima e gli operatori di altre province (Frosinone, Latina, Salerno, Foggia) hanno raddoppiato e anche triplicato il prezzo del latte, creando una situazione di grave difficoltà economica nel settore;
è da evidenziare che il regolamento (CE) 178/2002, richiamata dai carabinieri, volge dichiaratamente anche alla tutela della libera circolazione delle merci e prevede il blocco solo come misura residuale da adottare in casi di evidente pericolosità, cioè in presenza di un conclamato allarme sanitario, dopo una valutazione delle alternative e, comunque, previa espressa specificazione delle ragioni sanitarie, concernenti quindi solo la qualità del prodotto, non certo la quantità; in occasione del blocco non è stata richiesta nessuna documentazione in ordine alla provenienza della merce, al fine di ricavarne la «tracciabilità» e, conseguentemente, non è stata effettuata nessuna indagine documentale comunque correlata alla qualità della merce;
il blocco, in definitiva, è apparso del tutto irragionevole, adottato al di fuori di ogni parametro e procedura prevista dal regolamento (CE) 178/2002;
sorge il dubbio che tale operazione avesse una finalità non dichiarata e in tal caso non si comprende perché si sia fatto, impropriamente, riferimento al regolamento (CE) 178/2002;
se tale dubbio corrispondesse al vero sarebbe stata adottata una procedura del tutto anomala e in contrasto con le garanzie e i diritti di ogni cittadino -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se sia in grado di spiegare la finalità di un'operazione, in cui, nella sostanza, si è fatto riferimento in maniera del tutto impropria al regolamento (CE) 178/2002 e si è inferto un grave colpo all'intera economia della provincia, che risultava già traballante a causa della grave crisi economica che attanaglia il Paese e, in particolare, il Mezzogiorno.
(3-01162)
(6 luglio 2010)

REGUZZONI, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, LUSSANA, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BRIGANDÌ, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'Unire (Unione nazionale incremento razze equine) versa, da tempo, in una grave crisi finanziaria e funzionale, che, recentemente acuitasi, ha reso necessaria la nomina di un commissario straordinario avvenuta il 13 marzo 2010;
in data 13 aprile 2010, il commissario straordinario ha presentato al Ministero vigilante un programma di risanamento sulla base delle «Linee di indirizzo strategico per il rilancio dell'ippica», elaborate dallo stesso dicastero;
il suddetto programma di risanamento aveva il suo punto nodale nella risoluzione della posizione debitoria dell'ente, attraverso la presa in carico della stessa da parte del ministero vigilante, e, in ogni caso, non prevedeva nuove assunzioni;
tale passaggio era fondamentale per consentire all'Unire di continuare a svolgere i suoi compiti istituzionali e, quindi anche ai fini della predisposizione, da parte dello stesso ente, del bilancio preventivo per il 2010;
alla presentazione del programma di risanamento sono seguiti scambi di documentazione, tra il commissario straordinario ed i competenti uffici ministeriali, che, in ultimo, hanno richiesto puntualizzazioni ed ulteriori proposte, comunque fornite dallo stesso commissario;
nonostante ciò, il Ministero vigilante, in data 13 maggio 2010, in modo, apparentemente, inaspettato, ha comunicato di non avere approvato il bilancio preventivo per il 2010 e, quindi, di avere rigettato le proposte di risanamento avanzate dal commissario straordinario, lasciando sull'ente l'onere del rientro dalla posizione debitoria e costringendo, di fatto, il commissario alle dimissioni;
in data 23 giugno 2010, il Ministro interrogato ha proceduto alla nomina di un nuovo commissario e, in data 30 giugno 2010, nel corso di un'audizione presso la XIII Commissione ha sostanzialmente ribadito la sua volontà di risanare l'Unire e di rilanciare il settore dell'ippica, ponendo fine agli sprechi;
da organi nazionali di stampa (Libero del 1o luglio 2010) si apprende che il 29 giugno 2010, il giorno precedente la scadenza delle graduatorie di alcuni concorsi svoltisi nel 2006, il segretario generale dell'Unire, nonostante la giornata festiva, ha proceduto a perfezionare le relative assunzioni, reclutando nei ruoli dell'ente quattordici nuove unità di personale e consentendo l'avanzamento di livello professionale di altre tre -:
come le assunzioni del 29 giugno 2010 si concilino con il nuovo corso che il Ministro interrogato ha annunciato di avere inaugurato per risanare l'Unire e rilanciare l'ippica e, in specie, come si intendano giustificare fatti come quelli in premessa, rispetto alla prioritaria esigenza di assicurare la prosecuzione delle indispensabili funzioni istituzionali a sostegno dei settori dell'allevamento equino e dell'ippica.
(3-01163)
(6 luglio 2010)

BALDELLI, TADDEI, DIMA, BECCALOSSI, GOTTARDO e DI CATERINA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la quantità di pomodori cinesi arrivata nel nostro Paese è in continuo aumento e ha registrato un incremento del 174 per cento nel trimestre dicembre-febbraio 2010 rispetto al precedente periodo del 2009, anno in cui in Italia sono arrivati 82 milioni di chili di concentrato da spacciare come made in Italy;
i pomodori conservati sono la prima voce dell'import agroalimentare dalla Cina, oggi al terzo posto nel mondo nella commercializzazione del prodotto dopo Stati Uniti e Unione europea, pari ad oltre il 34 per cento del totale. Dalle navi sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso, circa 1.000 al giorno, con concentrato da rilavorare e confezionare come italiano. Un quantitativo che corrisponde a circa il 10 per cento della produzione di pomodoro fresco destinato alla trasformazione realizzata in Italia, che nel 2009 è stato di 5,73 miliardi di chili;
nel settore del pomodoro lavorato dall'industria sono impegnati in Italia 8.000 imprenditori agricoli, che coltivano su 85.000 ettari, 178 industrie di trasformazione, per un valore della produzione di oltre 2 miliardi di euro;
alcune associazioni di categoria lamentano danni per i consumatori e per i produttori, su cui pesano gli effetti di una concorrenza sleale con ingenti danni economici -:
quali siano le iniziative del Governo a tutela dei consumatori e dei produttori italiani per quanto riguarda la commercializzazione e il consumo dei pomodori di importazione.
(3-01164)
(6 luglio 2010)

DI PIETRO, DONADI, BORGHESI, MONAI e EVANGELISTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
sia la legge n. 249 del 1997, sia la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
in data 28 giugno 2010, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato la delibera n. 300/10/CONS relativa al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, che, all'allegato 2, riporta che la scelta delle frequenze pianificabili sull'intera area tecnica o a livello sub-regionale o provinciale sia stata effettuata tenendo conto dei vincoli di coordinamento internazionale e della presenza di allotment coordinati a Ginevra 2006. E ancora, che l'obiettivo principale sia stato quello di garantire la pianificazione di almeno 13 multiplex a copertura regionale nelle regioni della pianura padana (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Friuli Venezia Giulia), che sono le più critiche in termini di orografia e coordinamento internazionale;
in base alle decisioni assunte nella Conferenza di Ginevra del 2006, nell'ambito della fascia adriatica delle aree tecniche 5-6-7, ovvero l'Emilia-Romagna, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, sono stati assegnati all'Italia i seguenti canali: 5, 8, 9, 24, 25, 26, 30, 32, 36, 37, 38, 40, 42, 44, 47, 48, 49, 50, 52, 54, 55, 56, 58, 60, 62, 63, 65. I canali non assegnati, invece, sono stati il 6, il 21, il 22; il 27, il 31, il 33, il 35, il 41, il 51, il 59, il 64, il 66, il 67 (assegnati alla Slovenia) e il 23, il 28, il 29, il 34, il 39, il 43, il 45, il 46, il 53, il 57, il 61, il 68 (assegnati alla Croazia);
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'ambito del già citato piano di assegnazione delle frequenze pubblicato il 28 giugno 2010, all'allegato 1, prevede la realizzazione di 25 reti nazionali, che, in relazione alle citate aree tecniche del Nord-Est 5-6-7, determina una tipologia di assegnazione tale per cui tutti i canali attribuiti finiscono per essere destinati all'emittenza nazionale, con l'unica eccezione dei canali 62, 63 e 65, che, presumibilmente, potrebbero essere destinati, in linea con gli orientamenti emergenti a livello europeo, ai servizi di telefonia mobile;
ciò appare particolarmente grave e preoccupante, poiché in questo modo non risulterebbe rispettata la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale, in difformità da quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, nonché dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS. Inoltre, mentre la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale risulta prevista espressamente per legge, non esiste atto normativo di rango primario o secondario che disponga che le reti nazionali debbano essere necessariamente in numero di 25;
non si comprendono i motivi per i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia deciso di pianificare comunque 25 reti nazionali, quando appare decisamente evidente che nelle citate aree tecniche 5-6-7 relative alla fascia adriatica del Nord-Est, ma anche in tutto il territorio nazionale, erano pianificabili al massimo 18 reti nazionali, in modo tale da garantire la riserva di un terzo (ovvero 9 frequenze coordinate) all'emittenza locale;
appare quanto mai chiaro che la situazione descritta dalla presente interrogazione non fa altro che avvantaggiare la posizione delle emittenti televisive nazionali, tra cui Mediaset s.p.a., a discapito di quelle locali, che potrebbero ottenere molte più reti rispetto a quelle attualmente possedute in analogico;
se si intendessero comunque mantenere 25 reti televisive nazionali, il Ministero dello sviluppo economico, al quale spettano le attività di coordinamento delle frequenze in sede internazionale e le competenze sulle modifiche del piano nazionale di ripartizione delle frequenze, potrebbe adottare gli opportuni provvedimenti nei confronti degli Stati della Slovenia e della Croazia, al fine di coordinare ulteriori 13 risorse frequenziali (in questo modo si determinerebbero 25 reti nazionali e 13 locali, ovvero più di un terzo, per un totale di 38 canali tra nazionali e locali) nell'area del Nord-Est per un utilizzo da parte dell'Italia che sia tale da rendere attuabile il piano nazionale di assegnazione delle frequenze, recentemente approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con l'effettiva riserva di un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale ad oggi non prevista dal suddetto piano;
nel nostro Paese, il Presidente del Consiglio dei ministri concentra nella propria persona una molteplicità di poteri politici, economici e mediatici, che ha determinato nel tempo un costante conflitto di interessi in capo al Presidente stesso, che, attraverso i propri parenti e sodali, gestisce numerosi e importanti gruppi societari imprenditoriali, tra i quali Mediaset s.p.a., concessionario di frequenze televisive nazionali;
in data 4 maggio 2010 il Ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha presentato le dimissioni dal suo incarico, in coincidenza con un'inchiesta giudiziaria riguardante il pagamento effettuato da terzi con fondi in nero per l'acquisto di un immobile a suo favore. Dal 5 maggio 2010 ad oggi tale ministero è stato assegnato ad interim al Presidente Silvio Berlusconi e, come noto, la legge n. 121 del 2008 assegna al ministero sopra citato le competenze dell'ex Ministero delle comunicazioni, ivi compresa la gestione delle concessioni delle frequenze televisive e dell'intero settore delle televisioni -:
se al Governo risultino i motivi per i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia deciso di pianificare comunque 25 reti nazionali, quando appare decisamente evidente che nelle aree tecniche 5-6-7 relative alla fascia adriatica del Nord-Est, ma anche in tutto il territorio nazionale, erano pianificabili al massimo 18 reti nazionali, in modo tale da garantire la riserva di un terzo (ovvero 9 frequenze coordinate) all'emittenza locale, e quali iniziative urgenti il Ministero dello sviluppo economico, al quale spettano le attività di coordinamento delle frequenze in sede internazionale e le competenze sulle modifiche del piano nazionale di ripartizione delle frequenze, intenda assumere in relazione alla situazione descritta dalla presente interrogazione, che, ad avviso degli interroganti, ha di fatto avvantaggiato la posizioni delle emittenti televisive nazionali, quali Mediaset, che potrebbero ottenere molte più reti rispetto a quelle attualmente possedute in analogico, a discapito dell'emittenza locale.
(3-01165)
(6 luglio 2010)

TEMPESTINI, VILLECCO CALIPARI, MARAN, LIVIA TURCO, AMICI, QUARTIANI, GIACHETTI, GOZI e TOUADI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie a mezzo stampa, il 30 giugno 2010 circa 250 cittadini eritrei che si trovavano presso il centro di Misratah, sulla costa della Tripolitania, sarebbero stati spostati con tre camion container nel centro di detenzione di Sebha, un centro nel sud della Libia da dove normalmente vengono effettuati i rimpatri degli immigrati irregolari provenienti dall'Africa occidentale;
sempre da notizie a mezzo stampa sembra che mentre alcuni di questi cittadini eritrei si trovavano a Misratah da un tempo molto lungo, altri vi sarebbero giunti a seguito delle operazioni di respingimento effettuate da più di un anno a questa parte dalle motovedette cedute dal Governo italiano alla Libia o direttamente dalle unità della Marina militare italiana;
non si comprende ancora quali saranno le decisioni libiche in merito alla destinazione dei cittadini eritrei, in particolare se saranno oggetto di rimpatrio oppure se l'avvenuto trasferimento è stato determinato dalla rivolta scoppiata nei giorni precedenti a Misratah e, pertanto, se gli stessi resteranno trattenuti nel centro di Sebha;
la situazione a Misratah, infatti, è molto peggiorata dopo l'avvenuta chiusura improvvisa, l'8 giugno 2010, dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che operava in Libia in via di fatto da più di 19 anni e la cui attività costituiva una delle pochissime garanzie sul trattamento dei richiedenti asilo che restano in territorio libico, anche alla luce dell'accordo Italia-Libia, e che dall'8 giugno 2010 si trovano privati anche di quella minima possibilità di avanzare richiesta di asilo;
il Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 17 giugno 2010, dopo aver esortato le autorità libiche a ratificare quanto prima la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e a consentire e facilitare lo svolgimento delle attività dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Libia, inclusa la creazione di un sistema nazionale di asilo, ha invitato gli Stati membri che rinviano gli immigrati in Libia, in cooperazione con Frontex, a porre immediatamente fine a queste pratiche qualora sussista il serio rischio che la persona interessata possa essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o a trattamenti inumani o degradanti;
è urgente che l'Unione europea adotti quanto prima un sistema comune in materia d'asilo, assicurando così il pieno rispetto di un principio ormai riconosciuto dal diritto internazionale generale e non lasciando il peso esclusivo della gestione di questo problema ai Paesi che sono per primi raggiunti dai richiedenti asilo;
le inumane condizioni di vita in Eritrea determinate dal regime autoritario di Isaias Afewerki - come documentato da diversi rapporti di organizzazioni non governative internazionali, tra cui Amnesty international, Reporter sans frontieres e Human rights watch - nonché la sussistenza di un servizio militare a tempo indeterminato, il clima di terrore, la negazione di ogni libertà individuale e sociale, il frequente arresto dei giornalisti, la persecuzione dei religiosi, il blocco di ogni attività produttiva sono la causa prima della fuga di centinaia di migliaia di giovani, tra i quali molti, verosimilmente, in possesso dei requisiti per presentare domanda di asilo;
ai sensi dell'articolo 1 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, entrato in vigore il 2 marzo 2009, le Parti si sono impegnate ad adempiere sia agli obblighi «derivanti dai principi e dalle norme del Diritto Internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al rispetto dell'Ordinamento Internazionale», mentre ai sensi dell'articolo 6 «le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente (...) agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo» -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per assicurare l'effettivo rispetto dei diritti garantiti ai sensi degli articoli 1 e 6 del Trattato con la Libia e per favorire quanto prima la ratifica da parte libica della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e la riapertura dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nonché per acquisire notizie certe e garanzie sulle condizioni e la destinazione dei circa 250 cittadini eritrei, anche attivandosi con il Governo libico per consentire l'invio di una delegazione parlamentare italiana in visita ai centri di detenzione libici.
(3-01166)
(6 luglio 2010)