TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 369 di Giovedì 16 settembre 2010

INTERPELLANZE URGENTI

A)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
il colonnello pilota Gianmarco Bellini in forza all'Aeronautica militare italiana prendeva parte alla guerra del golfo nel 1990-1991;
la sera del 17 gennaio 1991 fu comandato di partecipare alla prima ondata del primo attacco, decollò col suo tornado e, unico a poter eseguire il rifornimento, proseguì l'azione da solo fino all'obiettivo stabilito;
dopo l'attacco fu abbattuto dal nemico e fatto prigioniero per 47 giorni, in cui fu sottoposto a torture fisiche e psicologiche;
liberato il 3 marzo 1991, fu ricoverato su una nave militare Usa come «prigioniero di guerra liberato» e gli venivano diagnosticate due fratture alla colonna vertebrale ed una alla mandibola;
tornato in patria il Presidente della Repubblica volle insignirlo di medaglia d'argento al valor militare, con la seguente motivazione: «Comandante di "Tornado" impegnato nella sua prima, difficile operazione bellica notturna contro obiettivi militari fortemente difesi, riusciva ad effettuare, in presenza di condizioni meteorologiche avverse, il previsto rifornimento in volo e decideva, con chiaro sprezzo del pericolo e senza esitazione, di continuare da solo la missione che gli era stata affidata. Raggiungendo l'obiettivo, subito dopo aver sganciato il carico bellico a bassissima quota su un deposito di munizioni iracheno, veniva fatto segno ad intenso fuoco contraereo. Sceso ulteriormente di quota sul deserto in piena oscurità, veniva colpito dalla violentissima reazione contraerea che rendeva ingovernabile l'aeromobile. Lanciandosi assieme al navigatore veniva fatto prigioniero. Manteneva, in mani nemiche, un contegno fermo ed esemplare, nonostante le violenze fisiche e morali subite. Chiaro esempio di professionalità, dedizione e coraggio, degno erede di una luminosa tradizione.» - Cielo del Kuwait, 18 gennaio 1991 -:
se sia stato riconosciuto sullo stato di servizio del colonnello Gianmarco Bellini il periodo di guerra cui ha preso parte con l'operazione Onu in Iraq, denominata «Locusta», dal 25 settembre 1990 al 7 marzo 1991;
conseguentemente, se le ferite riportate in combattimento riconosciute dalla commissione medica militare siano state messe a matricola e conteggiate come tali, ex articolo 93 del regolamento per la disciplina delle uniformi;
in caso contrario per quale motivo vi sia questa evidente quanto ingiusta discrasia.
(2-00798) «Gidoni, Brigandì, Luciano Dussin».
(27 luglio 2010)


B)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
in data 6 maggio 2010 (seduta n. 318) il primo firmatario della presente interpellanza urgente ha illustrato analoga iniziativa di sindacato ispettivo (interpellanza urgente n. 2-00703) per segnalare le «problematiche inerenti alla liquidazione degli onorari degli avvocati che hanno esercitato il patrocinio a spese dello Stato»;
le attività professionali in questione sono state modificate dall'entrata in vigore (1o luglio 2002) del testo unico, decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, che ha sancito l'introduzione del cosiddetto patrocinio a spese dello Stato, estendendone l'applicabilità - in precedenza confinata al processo penale - alle materie civili;
il Sottosegretario di Stato per la giustizia - onorevole Maria Elisabetta Alberti Casellati - ha fornito, in occasione della richiamata interpellanza, una risposta di cui allora l'interpellante prese atto, riservandosi un esame analitico e un confronto anche con i tribunali, in particolare per gli aspetti che di primo acchito presentavano potenziali carenze di informazioni e argomentazioni contraddittorie;
dai dati raccolti dagli interpellanti emerge una situazione che, da una parte, smentisce, e comunque integra, le informazioni fornite dal Governo e, dall'altra, sottolinea l'inadeguatezza della risposta del Ministero in termini di dotazione finanziaria e di adozione di politiche mirate in ambito giudiziario;
il competente ufficio del Ministro riconosce che non «riesce a stabilire» (a quantificare o a comunicare) il dato, diviso per singola voce, relativo al fabbisogno finanziario, né a differenziare in forma analitica i crediti maturati su base annua dalle amministrazioni territoriali della giustizia, né appare in grado di indicare in forma rigorosa e attendibile l'entità delle risorse necessarie a sanare la condizione debitoria nei confronti degli avvocati che hanno esercitato gratuito patrocinio a spese dello Stato;
i dati riferiti e forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze per le spese e gli onorari dei difensori e dei consulenti tecnici (capitolo di spesa n. 1360) fanno capo a risorse «generali», «complessive», non essendo cioè possibile ricavare un dettagliato piano per capitoli di spesa;
similmente, il riferimento ai «60 milioni di euro assegnati con decreto n. 11932» in termini di cassa, per la copertura dei debiti residui relativi al 2009 (riguardanti cioè i debiti del 2008), non consente di rilevare le modalità attraverso cui il Ministero della giustizia intenda coprire le necessità finanziarie per il 2009, né di valutare l'impatto dello stanziamento in decreto sulla situazione debitoria relativa al gratuito patrocinio, per la quale il dipartimento per gli affari di giustizia produce una stima desunta dalla percentuale di risorse erogate sul totale delle spese necessarie;
in particolare, il Sottosegretario Alberti Casellati ha affermato che «per far fronte a tutte le spese di giustizia dell'anno 2009», il Ministero della giustizia ha accreditato al tribunale di Bologna «1 milione 380 mila euro, a fronte di esigenze rappresentate, dallo stesso ufficio giudiziario, per circa 1 milione 830 mila euro» e dunque «il 75 per cento di quanto effettivamente richiesto, provvedendo, inoltre, all'estinzione del debito maturato nell'anno 2008»;
in realtà, per quanto concerne il tribunale di Bologna, il dirigente responsabile per le spese di giustizia del distretto della corte d'appello di Bologna ha confermato che, a fronte di un fabbisogno di 1,8 milioni di euro (i dati in possesso degli interpellanti segnalano una situazione debitoria di circa 500 mila euro nei confronti dell'ufficio del funzionario delegato, e di 1,35 milioni verso l'ufficio ragioneria), è stato trasferito solo un quarto di quanto richiesto, per l'anno 2009;
ne consegue che i dati forniti dal Sottosegretario Casellati appaiono agli interpellanti fuorvianti e largamente imprecisi: mentre afferma che è stato erogato il 75 per cento delle risorse richieste dal tribunale di Bologna, la proporzione risulterebbe, secondo fonti del medesimo tribunale, esattamente inversa, posto che nel distretto di Bologna è giunto solo il 25 per cento di quanto richiesto;
stando sempre a quanto riferito dal dirigente per le spese di giustizia del distretto della corte d'appello di Bologna, risulta che il Ministero della giustizia sia a conoscenza del fatto che il fabbisogno finanziario, nel caso bolognese, è in crescita, essendo raddoppiato negli ultimi due anni, passando da 2,5 a 5 milioni di euro -:
se il Governo sia o meno a conoscenza della grave situazione illustrata, la quale, ad avviso degli interpellanti, smentisce quanto riferito dal Ministero in precedenza;
se il Ministero sia, dunque, in grado di fornire analiticamente gli importi a debito effettivi per anno giudiziario dal 2008 ad oggi - sia per il complesso delle spese di giustizia sia, nello specifico, nei confronti dei difensori che abbiano patrocinato a spese dello Stato - quanto all'aggregato nazionale e con distinto riferimento ai tribunali di Bologna, Cagliari, Firenze, Milano, Napoli, Torino, Catanzaro, Catania, Palermo, Venezia, Treviso, Bari e Roma;
quali azioni il Ministro interpellato intenda intraprendere per assicurare la continuità nell'erogazione di un servizio teso a garantire un diritto costituzionale anche per i cittadini meno abbienti, come sancito dagli articoli 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, assicurando una retribuzione degli operatori del settore corrispondente all'importanza sociale del ruolo da essi svolto.
(2-00808) «Vassallo, Rossomando, Pedoto, Causi, Marco Carra, Rubinato, Capano, Lo Moro, Colaninno, Bordo, Samperi, Tenaglia, Recchia, Bachelet, Martella, Merloni, Ghizzoni, Bratti, Motta, Ferranti, Nicolais, De Torre, Zampa, Morassut, Realacci, Schirru, Gozi, Federico Testa, Viola, Zaccaria, Siragusa, Rosato».
(4 agosto 2010)


C)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
il professor Paolo Zamboni, chirurgo vascolare dell'Università di Ferrara, ha ipotizzato che un'alterazione del circolo venoso del sistema nervoso contribuisca alla patogenesi della sclerosi multipla;
il professor Zamboni ha chiamato tale condizione patogenetica: insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (CCSVI);
secondo lo stesso professor Zamboni il 95 per cento di malati di sclerosi multipla avrebbe l'insufficienza venosa cerebro-spinale cronica;
il professor Zamboni ipotizza anche che l'alterazione del circolo venoso sia suscettibile di correzione attraverso un intervento mini invasivo di angioplastica dilatativa, da eseguirsi in day hospital;
numerosi pazienti e loro famigliari in tutto il mondo si sono mobilitati, soprattutto tramite il canale dei social network per chiedere l'applicazione del cosiddetto metodo Zamboni, sostenendo che le «liberazioni» eseguite hanno portato sempre ad una migliore qualità di vita dei malati si sclerosi multipla;
questo tipo di «cura» è già praticata all'estero. Molti pazienti si rivolgono ad altri Paesi, con il rischio di non essere sufficientemente garantiti sul piano dell'opportunità e della sicurezza degli interventi sanitari proposti;
è noto agli interpellanti che in alcune regioni italiane sono stati approvati protocolli di sperimentazione della cura dell'insufficienza venosa cerebro-spinale cronica;
è nota agli interpellanti la mozione approvata dal consiglio della regione Lazio il 31 maggio 2010 «Sperimentazione del trattamento di angioplastica dilatativa per la CCSVI»;
si ha, altresì, notizia del fatto che altri protocolli di sperimentazione sono previsti o già in corso nella regione Marche e nella regione Emilia-Romagna;
il 4 marzo 2010, il Ministro interpellato, all'interrogazione a risposta immediata degli onorevoli Turco e Lenzi concernente «iniziative per verificare l'efficacia di una nuova terapia per la sclerosi multipla», ha risposto che «la ricerca in questione, considerata molto promettente, è tuttavia in una fase iniziale» e che «pertanto, occorre effettuare studi multicentrici per confermare la frequenza di questa anomalia nella popolazione con SM rispetto ai controlli» -:
quanti siano e dove si svolgano i trial clinici già in corso volti a verificare la presenza dell'insufficienza venosa cerebro-spinale cronica o l'efficacia terapeutica della correzione chirurgica dell'insufficienza venosa cerebro-spinale cronica, quanti siano e dove si svolgano quelli previsti e quale ne sia il costo.
(2-00817) «Farina Coscioni, Maurizio Turco, Duilio, Bernardini, Capano, Melis, Murer, Margiotta, Calgaro, Touadi, Federico Testa, Siragusa, Calearo Ciman, Laganà Fortugno, Cesare Marini, Paglia, De Biasi, Grassi, Sposetti, Livia Turco, Burtone, Lenzi, Zamparutti, Argentin, Codurelli, Boccuzzi, Beltrandi, Mecacci, Sbrollini, Samperi, Mattesini, Mario Pepe (PdL), Castagnetti, Porta».
(14 settembre 2010)


D)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
a distanza di due anni dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, adottato dal Governo e convertito dalla legge n. 133 del 2008, che all'articolo 64 ha previsto il taglio di quasi 8 miliardi di euro, in tre anni, agli organici del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), pari a poco meno di 132.000 posti, determinati dalla cancellazione di 87.341 cattedre e 44.500 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, sono sotto gli occhi dell'opinione pubblica gli effetti devastanti che si sono abbattuti sul nostro sistema d'istruzione pubblica, sulla sua qualità e sulla sua tenuta;
il drastico taglio di personale, previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, ha determinato nell'anno scolastico 2009-2010 la cancellazione di 42.105 cattedre e 15.167 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario. A questi tagli e nonostante l'ampia disponibilità di posti vacanti e disponibili, è corrisposto il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato per 14.000 docenti e per 8.000 organici del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, con grave nocumento per la continuità didattica e professionale. Nell'anno scolastico 2010-2011 la riduzione di organico è di altri 25.560 posti di docenti e 15.167 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Il numero di docenti precari a cui non sarà confermata la nomina è stimato in non meno di 15.000;
peraltro, il provvedimento cosiddetto «salva precari» non risponde alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola e crea disparità tra loro, escludendo, ad esempio, dai benefici coloro che hanno prestato 180 giorni di servizio in più scuole. Inoltre, i contratti di disponibilità sono stati una risposta irrisoria: le regioni hanno utilizzato risorse proprie e secondo le proprie competenze, impiegando i precari anche in attività lavorative diverse, quando non estranee, da quelle svolte nelle scuole, in modo spesso dequalificante. Inoltre, in alcune regioni i progetti sono stati attivati in ritardo o addirittura a cavallo tra due anni scolastici, e in alcuni casi hanno escluso i collaboratori scolastici;
la riduzione del tempo scuola in ogni ordine e grado e la cancellazione di cattedre di insegnamento e di posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, a fronte di un aumento della popolazione studentesca (nell'anno scolastico che inizia a fronte di 20.000 studenti in più avremo 3.700 classi in meno), si accompagnano al forte incremento del numero degli alunni per classe, anche in presenza di alunni disabili, nonché alla decurtazione delle risorse per il normale funzionamento delle istituzioni scolastiche, che vantano, inoltre, nei confronti dello Stato crediti per oltre un miliardo di euro;
è facile comprendere come tali condizioni influenzeranno negativamente l'attività didattica, i livelli di apprendimento, la qualità dell'offerta formativa, le possibilità di successo formativo per i più deboli, l'integrazione degli alunni disabili e l'organizzazione delle istituzioni scolastiche, destinati a peggiorare ancora nei prossimi anni a causa degli ulteriori tagli di risorse programmato dal Governo, anche a seguito delle disposizioni contenute nella recente «manovra Tremonti» (decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), che comporterà la decurtazione del bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di circa 312 milioni di euro e la fortissima riduzione di finanziamenti di regioni ed enti locali, sempre più in difficoltà nell'erogare risorse e servizi ai sistemi scolastici territoriali;
pertanto, non stupisce ma preoccupa vivamente che per l'anno scolastico che inizia - in continuità con il precedente - in tutto il Paese, a migliaia di bambini sia stata negata l'iscrizione alla scuola dell'infanzia, poiché il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha autorizzato nuovi posti di docenza. Alcune regioni (come la Toscana), per far fronte alle esigenze educative dei bambini e delle loro famiglie, hanno provveduto direttamente all'attivazione delle necessarie sezioni di scuola dell'infanzia, ponendo le spese del personale sui propri bilanci e surrogando lo Stato, che, ad avviso degli interpellanti, irresponsabilmente non adempie alle competenze che gli assegna la Costituzione;
nella scuola primaria, in tutto il Paese, in almeno un migliaio di casi, è stata negata l'autorizzazione all'apertura di classi a 40 ore (che non possiamo più chiamare classi a tempo pieno, poiché la cancellazione delle compresenze imposta dal Ministro interpellato ne ha mutato il modello didattico), sebbene richieste dalle famiglie. Non sono rari i casi in cui classi prime avviate lo scorso anno scolastico con un orario di 40 ore settimanali, quest'anno funzioneranno con un tempo scuola inferiore, con notevole disagio per gli apprendimenti degli alunni e difficoltà per l'organizzazione delle famiglie. Inoltre, diventano sempre più residuali le esperienze di moduli arricchiti a «tempo lungo» (dalle 31 alle 39 ore), sulle quali il Ministro interpellato continua a non diffonde i dati (evasive, sempre ad avviso degli interpellanti, sono state anche le risposte a interrogazioni presentate da sottoscrittori della presente interpellanza);
è stato praticamente soppresso il tempo prolungato nella scuola media, pur richiesto dalle famiglie, perché il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha negato l'attribuzione dell'organico necessario, nonostante le strutture lo consentissero e gli enti locali se ne fossero accollati gli oneri;
nelle prime classi degli istituti tecnici e professionali, il riordino imposto dal Governo di epocale ha, ad avviso degli interpellanti, solo la riduzione delle ore di laboratorio e di molte materie di indirizzo - con l'effetto deleterio di allontanare la scuola dalle esigenze dei distretti produttivi territoriali - mentre nelle classi successive alla prima è assoluta l'incertezza sulla diminuzione d'orario poiché, dopo il ricorso accolto dal TAR, il Consiglio di Stato si pronuncerà solo a fine mese sulla legittimità della riduzione del quadro orario vigente;
la presunta riforma dei licei ha cancellato le straordinarie esperienze di sperimentazione, condotte negli ultimi dieci anni, riducendo gli orari con il solo obiettivo del risparmio della spesa;
per i fortissimi tagli al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, le istituzioni scolastiche, soprattutto quelle, numerosissime, distribuite su più plessi, avranno difficoltà oggettive a funzionare e a garantire il livello minimo di igiene e la necessaria sorveglianza degli alunni; sarà inoltre impossibile far fronte agli indispensabili servizi di segreteria per carenza di personale amministrativo;
i tagli di cattedre, in alcuni casi mascherati sotto le presunte riforme (dal maestro unico alla riduzione di insegnamenti e ore per le medie e le superiori), hanno avuto pesanti riflessi anche sul fronte dei docenti di ruolo: secondo stime accreditate, 12.000 insegnanti sono risultati perdenti posto e, tra questi, moltissimi sono ancora in attesa di conoscere la nuova assegnazione, poiché gli esuberi creati dai tagli non possono essere riassorbiti neanche con utilizzazioni in altre scuole: centinaia di docenti rischiano di essere utilizzati solo per l'effettuazione di supplenze;
ad oggi, numerosi uffici scolastici provinciali non hanno ancora ultimato le operazioni di nomina del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario con grave danno sia per i docenti, sia per la continuità didattica;
sono stati ridotti all'inverosimile, dove addirittura non sono scomparsi, gli organici dei docenti per la formazione degli adulti, delle scuole serali e delle scuole in carcere;
l'aumento smisurato del numero degli alunni per classe, oltre che incidere negativamente sulla qualità dell'insegnamento e, quindi, dell'apprendimento, determina il mancato rispetto dei parametri per la sicurezza antincendio e, spesso, per l'agibilità delle aule, anche tenuto conto del fatto che l'edilizia scolastica italiana necessita, in troppi casi, non solo di essere posta in sicurezza (solo il 46 per cento delle nostre scuole ha il certificato di agibilità statica, condizione che ci pone all'ultimo posto in Europa dopo l'Albania, con il 53 per cento), ma anche di essere ampliata e resa più adatta alle esigenze didattiche e pedagogiche di una scuola che cambia e che accoglie cittadini in formazione;
l'Ocse, nel ricordarci che il sapere rappresenta la migliore risposta alla crisi, informa che il nostro Paese - prima dei tagli operati dal citato articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 - investiva in istruzione e formazione solo il 4,5 per cento del prodotto interno lordo, a fronte del 5,7 per cento della media Ocse: un dato già sconfortante destinato a peggiorare per la riduzione di 8 miliardi di euro alla scuola e di 1,3 miliardi all'università imposti dal Governo. Il rapporto Ocse indica l'Italia, in termini di spesa pubblica per l'istruzione, come fanalino di coda in Europa e al di sotto della media dei paesi Ocse (ad esempio, l'Italia spende 7.948 dollari per studente, mentre la Francia spende 8.932 dollari, la Germania 8.270 dollari, la Finlandia 8.440 dollari, la Spagna 8.618 dollari, la Svezia 10.262 dollari, la Svizzera 13.031 dollari e gli Stati Uniti 14.269 dollari). Lo studio, inoltre, chiarisce che il nostro Paese spende per il personale non il 97 per cento, come pervicacemente dichiarato dal Ministro interpellato, bensì l'81,5 per cento (la media Ocse è il 79,2 per cento), e, contestualmente, rende noto che il rapporto tra docenti e alunni nel nostro Paese è sostanzialmente pari alla media Ocse, se depurato dai dati sul numero di insegnanti di sostegno e degli insegnanti di religione;
i ritardi nell'attuazione del Titolo V della Costituzione in materia di istruzione e il rinvio sine die del previsto trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni sono la manifestazione plastica che il Governo è impegnato, ad avviso degli interpellanti, a realizzare una politica scolastica centralistica, incentrata sui tagli lineari che penalizzano le esperienza virtuose, sulla mortificazione dell'autonomia scolastica e delle competenze degli enti locali e territoriali. Evidentemente, ad avviso degli interpellanti, le forze di Governo, all'attuazione concreta dei princìpi di autonomia scolastica e di leale collaborazione con le regioni e gli enti locali, preferiscono l'occupazione della scuola da parte di un partito politico, come la recente vicenda di Adro conferma. A tale proposito, preoccupa l'assenza di una netta e forte critica da parte del responsabile del dicastero, che dovrebbe innanzitutto tutelare il principio costituzionale della libertà dell'insegnamento -:
come pensi il Ministro interpellato, in questa situazione, di far fronte alle esigenze delle famiglie italiane in termini di orario scolastico, di qualità dell'istruzione, di successo formativo, di buon funzionamento organizzativo delle istituzioni scolastiche, di sorveglianza degli alunni, di sicurezza e idoneità delle strutture, di servizi alle famiglie e se non ritenga di fermare finalmente questa deriva e di ridare dignità alla scuola italiana e prospettiva di sviluppo al nostro Paese.
(2-00820) «Ghizzoni, Ventura, Lenzi, Siragusa, Bachelet, De Pasquale, Coscia, De Biasi, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo».
(14 settembre 2010)


E)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
nell'aprile 2008, subito dopo le elezioni, il neosindaco di Roma Gianni Alemanno e la nuova giunta portano all'attenzione pubblica il problema del debito del comune, puntando il dito contro l'incauta gestione finanziaria delle precedenti amministrazioni Rutelli e Veltroni e paventando l'ipotesi di dissesto finanziario;
la procedura di dissesto ordinaria, prevista dal titolo VIII del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), viene deliberatamente evitata per garantire alla città una regolare programmazione economica e finanziaria e per scongiurare, tra l'altro, pesanti conseguenze sul recupero dei crediti delle migliaia di piccole e medie imprese fornitrici del comune, con conseguenze sulla loro stabilità e con possibili ripercussioni anche sul tessuto socioeconomico della città;
la soluzione per il risanamento del debito pubblico, fortemente voluta dal sindaco Alemanno, d'intesa con il Governo, viene attuata per decreto, derogando, secondo gli interpellanti, alla ratio delle norme ordinarie sul dissesto finanziario, e istituisce un'inedita doppia gestione, commissariale e ordinaria, che si suddivide le competenze a far data dal 28 aprile 2008;
si procede così alla nomina dello stesso sindaco Alemanno a commissario governativo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società partecipate e la predisposizione di un piano di rientro dal debito pregresso, relativo alla gestione precedente il 28 aprile 2008, così come previsto all'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
il piano di rientro, peraltro mai pubblicato in Gazzetta ufficiale, né notificato ai creditori, viene approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 5 dicembre 2008;
il suddetto piano di rientro ottiene prima 500 milioni all'anno strutturali, poi trasformati, a causa della crisi economica e del terremoto in Abruzzo, in trasferimenti decisi, anno per anno, attraverso le leggi finanziarie, che assommano complessivamente a 500 milioni di euro per il 2008, 500 milioni di euro per il 2009 e 600 milioni di euro per il 2010, attraverso la cessione di immobili di proprietà del Ministero della difesa;
tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 il piano di gestione commissariale non sembra funzionare e la stampa riporta un'allarmante situazione di crescita del debito pubblico complessivo: il debito finanziario pregresso in gestione commissariale si somma, infatti, al debito della gestione ordinaria con prestiti flessibili, alla mole dei contenziosi con i fornitori e non solo, alle partite in sospeso degli strumenti derivati fuori bilancio;
sembra definitivamente compromesso lo stesso impianto della doppia gestione commissariale e ordinaria, affidata al sindaco Gianni Alemanno, in quanto la gestione commissariale ha eroso in sostanza le capacità di spesa e di investimento della gestione ordinaria. Il comune di Roma, infatti, poiché i trasferimenti dello Stato tardano ad arrivare, paga ratei dei mutui (le rate di ammortamento dei mutui sono pari a 565 milioni l'anno) e dei debiti con i fornitori non differibili, riferiti al periodo antecedente al 28 aprile 2008. La gestione ordinaria ha finora anticipato circa 690 milioni di euro alla gestione del piano di rientro e, complessivamente, dovrebbe recuperare da quella commissariale circa 2,2 miliardi di euro per coprire gli ammanchi certificati nel piano di rientro;
la situazione diviene insostenibile e il sindaco cerca una soluzione in accordo con il Governo, facendo innanzitutto slittare i termini per l'approvazione del bilancio di previsione 2010 e del rendiconto 2009 e dando forma ad un nuovo commissariamento nel disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 2 del 2010 «Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni», che, all'articolo 4, comma 8-bis, prevede: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nominato un Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro di cui all'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, gestito con separato bilancio e approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2008. A partire dalla data di nomina del nuovo Commissario, il sindaco del comune di Roma cessa dalle funzioni di Commissario straordinario del Governo per la gestione dello stesso piano di rientro. Il Commissario straordinario del Governo procede alla definitiva ricognizione della massa attiva e della massa passiva rientranti nel predetto piano di rientro. Per il comune di Roma, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sono fissati i nuovi termini per la deliberazione del bilancio di previsione per l'anno 2010, per l'approvazione del rendiconto relativo all'esercizio 2009, per l'adozione della delibera di cui all'articolo 193, comma 2, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e per l'assestamento del bilancio relativi all'esercizio 2010. Ai fini di una corretta imputazione al piano di rientro, con riguardo ai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 248 e al comma 12 dell'articolo 255 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il primo periodo del comma 3 dell'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, si interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data»;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2010 viene nominato commissario straordinario il magistrato della Corte di conti Domenico Oriani, già sub-commissario della precedente gestione, a cui spettava il compito di portare a termine entro il 15 giugno 2010, la ricognizione della massa attiva e passiva del debito ereditato dalle precedenti gestioni e di certificare definitivamente le risorse necessarie a garantire il piano di rientro;
la carenza di liquidità continua ad essere il problema principale e il sindaco, dopo aver dichiarato che, in mancanza di trasferimenti stabili e strutturali dello Stato, il comune non riuscirà a garantire l'attuazione del piano di rientro, in sede di manovra finanziaria 2011-2012 ottiene solo 300 dei 500 milioni annui previsti allo scopo, secondo quanto previsto dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che costituisce un «fondo con una dotazione annua di 300 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2011 per il concorso al sostegno degli oneri derivanti dall'attuazione del piano di rientro». Si prevede, inoltre, che la restante quota necessaria per il piano di rientro sia a carico della fiscalità locale: «La restante quota delle somme occorrenti a fare fronte agli oneri derivanti dall'attuazione del predetto piano di rientro è reperita mediante l'istituzione, su richiesta del Commissario preposto alla gestione commissariale e del Sindaco di Roma, fino al conseguimento di 200 milioni di euro annui complessivi:
a) di un'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in arrivo o in partenza dagli aeroporti della città di Roma fino ad un massimo di 1 euro per passeggero;
b) di un incremento dell'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche fino al limite massimo dello 0,4 per cento»;
anche per quanto concerne l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria nel sopra citato provvedimento finanziario si prevede il possibile ricorso all'istituzione di nuovi strumenti di fiscalità locale: «in considerazione della specificità di Roma quale Capitale della Repubblica, e fino alla compiuta attuazione di quanto previsto ai sensi dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, il Comune di Roma può adottare le seguenti apposite misure:
(...) e) introduzione di un contributo di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive della città, da applicare secondo criteri di gradualità in proporzione alla loro classificazione fino all'importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno;
f) contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari, mediante l'applicazione del contributo di costruzione sul valore aggiuntivo derivante da sopravvenute previsioni urbanistiche; a tali fini, il predetto valore aggiuntivo viene computato fino al limite massimo dell'80 per cento»;
il piano di rientro è stato gestito in maniera irrituale, con ampio ricorso alla decretazione di urgenza, rimodulando in maniera singolare le forme del commissariamento per ben due volte, nonché nominando commissario straordinario lo stesso sindaco Alemanno, proprio mentre portava avanti una campagna politica contro le precedenti amministrazioni di centrosinistra, con largo scontro di cifre tra maggioranza e opposizione sull'entità del debito e permettendogli di trasformare uno strumento di natura tecnico-contabile in un'operazione politica;
il piano di rientro si è rivelato, secondo gli interpellanti, inadeguato sotto il profilo degli strumenti, essendo essenzialmente basato sull'attesa di fondi statali;
il piano straordinario, sempre ad avviso degli interpellanti, si è rivelato inefficace ed inefficiente rispetto agli obiettivi raggiunti, essendo ancora migliaia i fornitori del comune che attendono di essere pagati, né, ad oltre un anno e mezzo dall'approvazione del piano, è ancora nota la massa attiva e la massa passiva rientranti nel piano;
tale inefficienza si rivela anche rispetto agli obiettivi di primo livello per i quali il piano era stato fortemente promosso rispetto ad una procedura di dissesto ordinaria, ossia garantire alla città una regolare programmazione economica e finanziaria, mentre il risultato è stato l'erosione della capacità di spesa e di investimento della gestione ordinaria e la crescita del debito ordinario, con un necessario slittamento dei termini per l'approvazione del bilancio di previsione 2010;
il piano di rientro è stato gestito, secondo gli interpellanti, dall'amministrazione comunale in maniera non trasparente, non è mai stato pubblicato il bilancio straordinario del comune, né c'è stata ancora una comunicazione ufficiale ai fornitori in merito ai crediti commissariati, con grave danno per tante piccole e medie aziende, che non solo non riescono ancora a riscuotere i loro crediti ma non possono neppure approntare un loro piano di rientro aziendale;
il piano di rientro, così come si profila con la recente approvazione del decreto-legge di manovra finanziaria, graverà per un 40 per cento sulla fiscalità locale -:
in considerazione di quanto esposto in premessa e del grande peso che il piano di rientro ha sui cittadini, in termini di fiscalità e di adeguatezza dei servizi erogati dal comune di Roma, e, soprattutto, sulla sopravvivenza di tante piccole e medie aziende fornitrici del comune, come siano state spese le annualità già trasferite dallo Stato, quali siano stati i risultati finora ottenuti dai commissari straordinari per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune di Roma e delle sue società partecipate, in sede di attuazione del piano di rientro dall'indebitamento pregresso, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 5 dicembre 2008, e quale tempistica sia possibile prevedere per lo sblocco dei pagamenti per i fornitori del comune.
(2-00796) «Di Pietro, Messina, Donadi, Borghesi, Cambursano».
(22 luglio 2010)


F)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
il 14 settembre 2010 la direzione investigativa antimafia di Trapani ha disposto un ingente sequestro di beni a carico dell'imprenditore Vito Nicastri, legato, secondo gli inquirenti, al capo mafia Matteo Messina Denaro e ad altre consorterie criminali siciliane e calabresi;
secondo le prime stime, il valore dei beni sequestrati sembra ammontare alla sorprendente cifra di oltre un miliardo e mezzo di euro; Nicastri, in particolare, era impegnato nel settore delle energie rinnovabili e aveva realizzato numerosi parchi eolici, utilizzati per il riciclaggio di denaro che, peraltro, beneficiano di cospicue sovvenzioni pubbliche;
si tratta di uno straordinario successo delle forze dell'ordine, della magistratura e del Governo, che dimostra ancora una volta il grande impegno profuso da tutte le istituzioni nella lotta alla mafia;
si conferma, soprattutto, l'efficacia degli strumenti di prevenzione e l'importanza cruciale assunta dai sequestri e dalle confische dei beni e delle aziende per colpire gli interessi economici delle organizzazioni criminali;
su questo fronte, negli ultimi tempi, l'attenzione del Governo e del Parlamento è stata alta, come dimostrato, tra l'altro, dall'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e dalle nuove e recentissime disposizioni contenute nel cosiddetto piano straordinario contro le mafie;
ma resta di fondamentale importanza mantenere i riflettori puntati sull'amministrazione, sull'utilizzo e sulla destinazione finale dei beni sequestrati. La sottrazione di questi beni all'economia mafiosa, la loro virtuosa ed efficiente gestione, il loro fruttuoso realizzo o il reimpiego in attività di interesse civile e sociale possono rappresentare una vitale boccata di ossigeno sia per i territori soggetti ai fenomeni criminali, sia per gli uomini e per le istituzioni impegnate nel contrasto al crimine organizzato;
è veramente paradossale che, mentre le organizzazioni criminali hanno a loro disposizione immensi patrimoni e godono di risorse finanziarie quasi illimitate, viceversa, le forze dell'ordine, le prefetture e le procure soffrano e debbano lamentare quotidiane difficoltà persino nella gestione delle attività ordinarie, con gravi carenze di personale e contrazioni di organico, e l'insufficienza delle risorse materiali e finanziarie, necessarie all'acquisto delle vetture, della benzina e per la gestione degli uffici e delle strutture;
in presenza di sequestri di così straordinaria portata, occorre allora un impegno altrettanto straordinario del Governo per guidare, coordinare, indirizzare e accelerare le procedure e le attività di gestione e valorizzazione dei beni destinati al patrimonio o all'interesse pubblico, per evitare che risorse così ingenti vadano disperse, smembrate e dimenticate in mille rivoli procedurali, tra ricorsi o inefficienze gestionali;
è cruciale, poi, che parte importante di queste risorse - una volta risarcite le vittime dei reati grazie ai quali i malavitosi hanno potuto accumulare simili patrimoni - sia riassegnata agli uffici di polizia e agli uffici giudiziari nei territori dove più è radicata la criminalità organizzata, che sono stati protagonisti delle attività di indagine che hanno reso possibili i sequestri e le confische: occorre mantenere, in altri termini, un circolo virtuoso grazie al quale le risorse sottratte alle mafie siano utilizzate contro le mafie stesse -:
quali saranno presumibilmente i tempi necessari per destinare a finalità di interesse pubblico i beni, le aziende e le risorse sottratte alla criminalità organizzata con il sequestro del 14 settembre 2010;
quali saranno i presumibili impieghi dei patrimoni sequestrati, in particolare a favore delle forze di polizia, dell'organizzazione della giustizia e del sistema della sicurezza nel suo complesso;
quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di meglio coordinare e indirizzare le procedure di gestione e destinazione dei beni sequestrati, avendo come priorità la loro destinazione in favore delle forze di polizia, per migliorarne lo status organizzativo ed economico;
se non sia opportuno prevedere, anche sul piano normativo, delle procedure accelerate o speciali di gestione e destinazione dei beni, in presenza di sequestri o confische di particolare e straordinaria portata, per un loro migliore reimpiego nella lotta alla criminalità organizzata.
(2-00819) «Bocchino, Lo Presti».
(14 settembre 2010)