TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 399 di Lunedì 22 novembre 2010

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DELLA QUALITÀ E DEL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE
NEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL CONTRATTO DI SERVIZIO

La Camera,
premesso che:
ai sensi dell'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione, il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni, che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero concedente;
secondo quanto disposto dall'articolo 49, comma 1, del Testo unico della radiotelevisione, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, per la durata di dodici anni dall'entrata in vigore del citato decreto legislativo, alla Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a., che è tenuta ad adempiere ai compiti generali del servizio pubblico radiotelevisivo, come stabiliti dall'articolo 45, comma 2, e agli ulteriori obblighi individuati dalle linee guida definite d'intesa tra l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Ministro competente, prima di ciascun rinnovo triennale del contratto di servizio (articolo 45, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177);
la concessionaria del servizio pubblico non è, dunque, solo tenuta a rispettare - come qualunque operatore radiotelevisivo - i principi generali in materia di informazione, di cui all'articolo 7, comma 2, del Testo unico della radiotelevisione, a partire dalla «presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni», dalla garanzia dell'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità» e dall'«assoluto divieto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni». La Rai è anche vincolata ad un particolare obbligo di obiettività, correttezza, lealtà e completezza dell'informazione, in ragione della funzione stessa del servizio di radiodiffusione pubblica che, come è espressamente riconosciuto dal Trattato CE, in particolare all'articolo 16 e all'articolo 86 e dal Protocollo di Amsterdam ad esso allegato, «è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione»;
l'atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo, approvato l'11 marzo 2003 dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, stabilisce che «dai telegiornali ai programmi di approfondimento» la programmazione della Rai debba «rispettare rigorosamente, con la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti che operano nell'azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro attività al rispetto dell'imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo di chiarezza»;
la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 614/09/CONS, ai fini del rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2010-2012, richiamando i recenti indirizzi comunitari, che sottolineano come quella radiotelevisiva rappresenti tuttora la principale fonte di informazione e, quindi, di partecipazione al dibattito civile e politico dei cittadini, ribadisce l'esigenza di una «definizione qualitativa» degli obblighi di servizio pubblico, sia rispetto alla programmazione nel suo complesso, sia rispetto all'informazione: «l'innalzamento del livello qualitativo dell'informazione deve essere perseguito dalla Rai agendo lungo più direttrici, attraverso interventi nel merito e di metodo. Orizzonte internazionale, pluralismo, completezza, deontologia professionale, devono costituire tratti distintivi dell'informazione di servizio pubblico, che deve essere, pertanto, aperta sul mondo, pluralistica, equilibrata e diversificata, così da garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, nel rispetto del diritto/dovere di cronaca, della verità dei fatti e del diritto dei cittadini ad essere informati.»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sanzionato la concessionaria per l'inadempimento dell'articolo 3 del contratto di servizio 2007-2009 (delibera 67/10/CONS dell'11 marzo 2010), per avere attivato un sistema di monitoraggio della qualità dell'offerta radiotelevisiva solo alla fine del periodo contrattuale, oltre i termini previsti e, comunque, in forma non coerente rispetto a quanto stabilito dall'articolo 3 del contratto di servizio; il sistema di rilevazione, «sottoposto a controllo da parte di un organismo esterno alla Rai», secondo quanto previsto dalla delibera 481/06/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, avrebbe dovuto rilevare la qualità della programmazione sulla base di indicatori specifici, primi tra i quali «l'imparzialità, l'indipendenza e l'obiettività per i generi informativi»;
la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella delibera 614/09/CONS, adottata ai fini del rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2010-2012 ha ribadito che «la realizzazione di un sistema di valutazione della qualità dell'offerta basato su una duplice attività di monitoraggio (una relativa alla corporate reputation dell'azienda e una relativa alla qualità dei singoli programmi) rimane un obiettivo prioritario che la concessionaria pubblica è tenuta a realizzare»;
il servizio pubblico di informazione, per le caratteristiche proprie del mercato radiotelevisivo italiano e della mission della concessionaria del servizio pubblico, impone una particolare tutela del principio del pluralismo, non inteso nel senso di una equilibrata «lottizzazione» degli spazi informativi tra le diverse forze politiche in ragione del loro diverso peso parlamentare, ma in quello di una rappresentazione realistica della pluralità delle posizioni in cui si articola il dibattito politico-istituzionale e in un uso sistematico e non derogabile del principio del contraddittorio;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nel suo complesso l'informazione della Rai non soddisfa oggi, né secondo criteri quantitativi, né secondo quelli qualitativi, i requisiti di imparzialità, completezza e correttezza e lealtà richiesti alla concessionaria del servizio pubblico, in particolare, la principale testata giornalistica della Rai, il Tg1, partecipa al dibattito politico e istituzionale a sostegno di determinate posizioni o proposte legislative. Inoltre, il direttore generale della Rai, interpretando il suo ruolo ben oltre i limiti previsti dall'articolo 49, comma 12, del Testo unico della radiotelevisione e dall'articolo 29 dello statuto della Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a. - non si limita ad assicurare «in collaborazione con i direttori di rete e di testata, la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali» dell'azienda, ma è giunto ad avocare una responsabilità sostanzialmente esclusiva sui programmi di informazione e approfondimento politico, secondo criteri chiaramente ispirati a valutazioni di opportunità politica e non al rispetto degli obblighi connessi al servizio pubblico di informazione;
l'Esecutivo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è doppiamente responsabile rispetto alle violazioni da parte della Rai dei principi di correttezza, completezza e imparzialità dell'informazione. Il Governo, infatti, come controparte contrattuale è garante del diritto all'informazione dei cittadini, e d'altra parte, come titolare della quasi totalità del capitale di Rai - Radiotelevisione italiana s.p.a è tenuto a vigilare sull'inadempimento dei contenuti del contratto di servizio da parte dell'azienda, viste le conseguenze economiche delle relative sanzioni,

impegna il Governo:

a modificare lo schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai - Radiotelevisione Italiana s.p.a. per il periodo 1o gennaio 2010 - 31 dicembre 2012, recependo le indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010 - in particolare per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione - e adottando specifici e tempestivi strumenti di controllo sull'adempimento da parte della concessionaria degli obblighi del contratto di servizio, e più in generale degli atti di indirizzo parlamentare;
fatte salve le competenze dell'Autorità per le garanzie delle comunicazioni e della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, a disporre una verifica sull'adempimento da parte della concessionaria del contratto di servizio 2007-2009, anche per il periodo successivo alla scadenza, nelle more del suo rinnovo, affidandone la certificazione tecnica, sulla base dei dati raccolti, ad un organismo esterno, composto da esperti di riconosciuta autorevolezza scientifica e selezionati con procedure concorsuali.
(1-00436) «Bocchino, Della Vedova, Angeli, Barbareschi, Barbaro, Bellotti, Bongiorno, Briguglio, Consolo, Giorgio Conte, Cosenza, Di Biagio, Divella, Granata, Lamorte, Lo Presti, Moffa, Moroni, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Polidori, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Sbai, Scalia, Siliquini, Tremaglia».
(22 settembre 2010)

La Camera,
premesso che:
la libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione italiana) è la «pietra angolare dell'ordine democratico» (Corte costituzionale, sentenza n. 84 del 1969) e il principio del pluralismo informativo, nella sua duplice accezione di pluralismo interno e di pluralismo esterno, costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale, come ha ripetutamente affermato la Corte costituzionale, traendo da questa premessa l'esistenza di un diritto costituzionale all'informazione (sentenze n. 105 del 1972, n. 94 del 1977, n. 112 del 1993, n. 826 del 1988, n. 420 del 1994, n. 155 del 2002);
l'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU) tutela la libertà d'espressione, secondo i contenuti espressi nel testo e nell'interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo; la Corte costituzionale ha affermato che, sulla base del richiamo dell'articolo 117 della Costituzione agli obblighi internazionali, le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sono un parametro interposto di costituzionalità delle normative nazionali (sentenza n. 384 del 2007); tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione;
l'articolo 11, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce espressamente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media, nonché la libertà di espressione che include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera;
la direttiva sui servizi di media audiovisivi (direttiva 2007/65/CE) ribadisce che la diversità culturale e la libertà di espressione e il pluralismo dei mezzi di comunicazione sono elementi importanti del settore audiovisivo europeo e rappresentano, quindi, condizioni indispensabili per la democrazia e il pluralismo; la stessa direttiva dà una nuova definizione di servizio di media audiovisivo;
sia le disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sia le direttive sulle comunicazioni elettroniche del 2002, come recentemente modificate, tutelano la concorrenza nel settore, impedendo che un soggetto possa avere un significativo potere su un mercato rilevante nel settore delle comunicazioni elettroniche e richiedono agli Stati membri di utilizzare criteri trasparenti, obiettivi e non discriminatori per l'attribuzione dei titoli abilitativi agli operatori di comunicazione elettronica; le stesse direttive richiamano gli obblighi di tutti gli Stati ad avere autorità amministrative rigorosamente indipendenti;
il Protocollo sui sistemi di servizio pubblico radiotelevisivo riconosce il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo in Europa come direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione;
le direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche, avendo come principio ispiratore quello della concorrenza, escludono la legittimità di concentrazioni oligopolistiche nel mercato della radiodiffusione;
la risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1387 del 2004, Monopolisation of the electronic media and possible abuse of power in Italy, richiedendo alla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto di dare una valutazione sulla congruità della normativa italiana sul pluralismo e sul conflitto di interessi, ha espresso preoccupazione per la situazione italiana e sollecitato interventi legislativi;
il parere della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, nota come Commissione di Venezia, sulla compatibilità delle leggi italiane del 3 maggio 2004, n. 112 (cosiddetta legge Gasparri) e del 20 luglio 2004, n. 215 (cosiddetta legge Frattini) con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di libertà d'espressione e pluralismo dei media (giugno 2005), ha indicato una lista di incongruità delle due leggi con i parametri del Consiglio d'Europa sulla libertà di espressione e il pluralismo nei media, nonché sulla disciplina del conflitto di interessi; questi rilievi sono teoricamente idonei ad influire come parametri di riferimento per le valutazioni giurisprudenziali interpretative dell'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
la raccomandazione n. 1641 del 2004, adottata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 27 gennaio 2004, affermando che l'indipendenza è requisito indispensabile e missione del servizio pubblico radiotelevisivo, indica, fra i vari stati a rischio, l'Italia;
vanno, altresì, ricordate le raccomandazioni del rapporto Osce «Visit to Italy: The Gasparri Law» del 7 giugno 2005, che ha sottolineato le anomalie costituzionali dell'Italia in riferimento alla concentrazione mediatica e politica. Tale rapporto è stato richiamato di recente dal rapporto Osce/Odihr sulle elezioni del 2008, in quanto la condizione anomala dell'Italia nel settore radiotelevisivo è stata ancora una volta stigmatizzata: anche il rapporto del 2008 esorta le autorità italiane a dare seguito alle raccomandazioni del rappresentante Osce per la libertà nei media nel rapporto Osce del 2005;
le leggi sulla disciplina del sistema radiotelevisivo richiamano ripetutamente i principi in tema di pluralismo, indipendenza ed imparzialità dell'informazione con particolare riferimento al servizio pubblico radiotelevisivo;
il contratto di servizio stipulato tra la Rai e il Ministro dello sviluppo economico ribadisce questi principi in forma di obblighi specifici della concessionaria Rai;
è in corso la definizione dei contenuti del nuovo contratto di servizio tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico per il triennio 2010-2012, e la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 9 giugno 2010 ha dato un parere sullo schema di contratto, in particolare relativamente alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione;
la legge 22 febbraio 2000, n. 28, sulla cosiddetta par condicio, pone vincoli sul rispetto del pluralismo rafforzati durante le campagne elettorali, ma applicabili comunque all'attività radiotelevisiva in ogni altro periodo;
le stesse leggi hanno previsto poteri rigorosi di indirizzo, di vigilanza e di sanzione in capo sia alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, sia all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; l'Autorità deve rendere facilmente fruibili e consultabili i risultati aggregati nel suo essenziale compito di monitoraggio scrupoloso, incisivo e tempestivo sul rispetto dei tempi e sulle modalità di presentazione delle notizie soprattutto politiche,

impegna il Governo:

a dare seguito effettivo alle indicazioni provenienti dalle organizzazioni internazionali in tema di pluralismo, concentrazioni e conflitto di interessi;
ad allineare più scrupolosamente la normativa nazionale ai principi delle direttive di settore, in particolare a quella del 2007, e a promuovere la modifica delle disposizioni del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici nella parte in cui, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo in violazione della direttiva 2007/65/CE, esclude le trasmissioni in pay per view dalla nozione di programma audiovisivo, in tal modo consentendo che le stesse non vengano prese in considerazione nel calcolo dei «tetti» a tutela del pluralismo;
a garantire l'indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo e ad astenersi da ogni interferenza con l'indipendenza editoriale e l'autonomia istituzionale delle emittenti pubbliche, secondo le indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa;
a recepire nello schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai per il triennio 2010-2012, le indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010, in particolare per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione;
a rendere effettive le condizioni affinché l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni possa svolgere con maggiore efficacia ed indipendenza la verifica dell'adempimento dei compiti del servizio pubblico radiotelevisivo, ex articolo 48 del decreto legislativo n. 177 del 2005.
(1-00441) (Nuova formulazione) «Giulietti, Zaccaria, Tabacci, Evangelisti, Nicco, Soro, Beltrandi, Gentiloni Silveri, Meta, Bressa, Peluffo, Rosato, Garofani, Rao».
(28 settembre 2010)

La Camera,
premesso che:
la libertà di manifestazione del pensiero è diritto costituzionale (articolo 21 della Costituzione) e il principio del pluralismo informativo costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento, come riaffermato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 105 del 1972, 94 del 1977, 112 del 1993, 826 del 1988, 420 del 1994, 155 del 2002);
la concessionaria del servizio pubblico è tenuta a rispettare i principi generali in materia di informazione, di cui all'articolo 7, comma 2, del testo unico della radiotelevisione, garantendo l'accesso «di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità». La Rai è anche vincolata a un particolare obbligo di obbiettività, correttezza, lealtà e completezza dell'informazione, in ragione della funzione stessa del servizio di radiodiffusione pubblica, che, come riconosciuto dal Trattato CE (ex articoli 16 e 86) e dall'allegato Protocollo di Amsterdam «è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione»;
la direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa all'esercizio delle attività televisive negli Stati membri, mira a garantire la libera circolazione dei servizi televisivi nell'ambito del mercato interno, tutelando nel contempo importanti obiettivi di interesse pubblico, come la diversità culturale, e ribadisce che «il pluralismo dell'informazione dovrebbe essere un principio fondamentale dell'Unione europea»;
la risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1387 del 2004, Monopolisation of the electronic media and possible abuse of power in Italy, alla luce del parere negativo e preoccupato della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, riguardo alla congruità della normativa italiana sul pluralismo e sul conflitto di interessi, ha sollecitato interventi normativi;
l'atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi nella seduta dell'11 marzo 2003, nella prima raccomandazione alla concessionaria, stabilisce che: «Tutte le trasmissioni di informazione - dai telegiornali ai programmi di approfondimento - devono rispettare rigorosamente, con la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti che operano nell'azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro attività al rispetto dell'imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo di chiarezza»;
la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 9 giugno 2010 ha espresso parere favorevole relativamente alla definizione degli indicatori «pluralismo, completezza e obiettività» per la verifica della qualità dell'informazione (ex articolo 4 del contratto di servizio Rai 2010-2012);
anche i recenti seminari della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi si sono espressi sul valore del pluralismo informativo, definendo «l'informazione e la circolazione di idee e opinioni (...) i cardini su cui poggia ogni democrazia e intorno ai quali si sviluppano i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione» e concludendo, poi, con la precisazione: «Con queste premesse non desideriamo contestare agli operatori del servizio pubblico il diritto di esprimere opinioni, ma neghiamo la pretesa di fare del proprio il pensiero di tutti»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sanzionato la Rai per inadempimento dell'articolo 3 del contratto di servizio per il triennio 2007-2009 (delibera 67/10/CONS, 11 marzo 2010) per avere attivato un sistema di monitoraggio della qualità dell'offerta radiotelevisiva solo in prossimità della scadenza del periodo contrattuale, senza rilevare la qualità della programmazione sulla base di indicatori specifici, tra i quali «l'imparzialità, l'indipendenza e l'obiettività dei generi informativi»;
a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, attualmente l'informazione della Rai non soddisfa appieno i requisiti di completezza e correttezza richiesti alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, soprattutto alla luce della scarsa attenzione dedicata nei programmi informativi, e non solo, alle realtà «periferiche» come quella meridionale;
riguardo ai doveri del servizio pubblico radiotelevisivo verso l'utenza, si dovrà garantire che la Rai si attenga scrupolosamente ai canoni di pluralismo, considerato in tutte le sue accezioni, definite nel contratto di servizio e nella Carta dei doveri Rai: il pluralismo politico, sociale, di genere ed età, associativo e produttivo;
il servizio pubblico è tenuto a rappresentare con equilibrio le posizioni della maggioranza e delle opposizioni, delle coalizioni e delle diverse forze politiche, nel rispetto comunque della veridicità e del peso informativo di un evento, affinché per par condicio non si finisca a creare eventi «artificiali»;
dal punto di vista sociale e territoriale, il servizio pubblico deve mostrare le realtà sociali del Paese in tutta la loro ricchezza, dando voce a chi spesso voce non ha. In ogni genere televisivo, quindi, è opportuno, anzi doveroso, rappresentare quanto più possibile le realtà «periferiche» in senso stretto e in senso lato, nonché le minoranze;
per quanto riguarda il pluralismo di genere ed età, il servizio pubblico deve promuovere la cultura e la politica delle pari opportunità e anche la pubblicità delle tante associazioni volontarie,

impegna il Governo:

a rispettare ma anche a sviluppare, per quanto di competenza, le indicazioni date dalle organizzazioni internazionali, dalle autorità garanti e dalle commissioni in tema di pluralismo;
a garantire l'indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo, evitando ogni interferenza nelle scelte editoriali, affinché in esso vengano rispettati i canoni di completezza e onestà dell'informazione;
come controparte del contratto di servizio Rai, a rispettare il proprio ruolo di garante e a vigilare con costanza sull'adempimento dei contenuti del contratto;
a recepire, nell'ambito del contratto di servizio, la richiesta che il servizio pubblico radiotelevisivo rappresenti tutte le realtà socio-territoriali possibili, con particolare attenzione a quelle fino a ora meno considerate, come il Meridione d'Italia, e tutte le realtà «periferiche» che hanno minore accesso ai mezzi di comunicazione di massa e minore attenzione, in maniera a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo totalmente immotivata, da parte dei media, in primis quelli gestiti dalla Rai;
nel quadro del rinnovo del contratto di servizio, a promuovere e sostenere in maniera sempre più vigorosa l'ampliamento della capacità tecnologica e produttiva in tutti i nuovi strumenti di comunicazione, il cui sviluppo rappresenta un interesse generale, il cosiddetto «pluralismo produttivo».
(1-00496) «Sardelli, Ruvolo, Belcastro, Gaglione, Gianni, Iannaccone, Mannino, Milo, Pisacane, Porfidia, Romano».
(19 novembre 2010)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE
IN MATERIA DI RIFORMA DEL SISTEMA FISCALE

La Camera,
premesso che:
è necessario riscrivere il patto fiscale, pilastro di un nuovo patto sociale, per ridurre le tasse su lavoratori, professionisti ed imprese, per l'equità e lo sviluppo sostenibile. La vera strategia per uscire dalla stagnazione e dall'elevata disoccupazione passa per una stagione di riforme, da avviare subito;
per disegnare un coerente sistema fiscale, orientato alla crescita sostenibile, alla progressività e al federalismo è necessario, anzitutto, ricordare quanto sia poco rispettato l'articolo 53 della Costituzione. La principale imposta diretta, l'Irpef, è diventata un'imposta di specie: la versano quasi esclusivamente i redditi assoggettati alla trattenuta alla fonte;
l'evasione fiscale in Italia ha dimensioni patologiche (secondo l'Istat, nel 2008 il valore del sommerso economico è compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del prodotto interno loro, tra 255 e 275 miliardi di euro) e ostacola gli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe rappresentare una rilevante leva di sviluppo se il recupero di gettito verrà utilizzato per ridistribuire in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti;
l'evasione di qualunque natura non può essere tollerata o promossa come, invece, è avvenuto recentemente con lo scudo fiscale. L'evasione colpisce l'equità ed è fonte di concorrenza sleale;
costruire una nuova compliance fiscale, che porti gradualmente l'evasione italiana a livelli medi europei, è condizione necessaria per alleggerire il carico sui produttori. Gli strumenti per combattere l'evasione devono essere adeguati ed includere non solo la repressione ed i controlli, ma le politiche per la crescita, la riduzione del carico fiscale individuale, la semplificazione degli adempimenti burocratici, la riqualificazione dei servizi pubblici;
il federalismo è una straordinaria opportunità di modernizzazione del Paese. Tuttavia, alla prova dei decreti attuativi, stanno emergendo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, tutti i limiti e le contraddizioni del Governo, ossia la politica dei due tempi: prima il federalismo fiscale, poi la riforma complessiva del sistema fiscale. Tale impostazione non può funzionare perché il fisco, per funzionare, deve essere un sistema. Non si può toccare il potere impositivo delle autonomie territoriali senza mettere a punto le linee generali della riforma del fisco;
il maggior contributo all'indebolimento della politica economica nell'ultimo quarto di secolo è venuto dalla competizione fiscale sleale. È un processo che va interrotto e va ripristinato un livello decente di pari condizioni di gioco. È necessario riprendere prima in sede di Euro-gruppo, poi in sede Ecofin e successivamente in sede Ocse il capitolo del contrasto alla competizione fiscale dannosa. Non solo la lotta ai paradisi fiscali, peraltro mai cominciata davvero, ma la limitazione del tax dumping, in particolare nei confronti dei Paesi europei beneficiari di fondi strutturali;
la crisi economica e sociale esplosa nell'autunno 2008 ha reso necessari imponenti salvataggi bancari e consistenti politiche di contrasto alla contrazione delle economie drogate dalle bolle immobiliari e finanziarie. Il risultato è stato l'aumento dei debiti pubblici in rapporto alla dimensione della produzione di ciascun Paese. Una tendenza insostenibile. Ma, senza crescita, la riscrittura del patto di stabilità, pur distaccandosi dalle tesi più estremistiche proposte dalla Commissione europea, genera il pericolo di stagnazione e di elevata disoccupazione e non elimina i rischi di tenuta per l'unione monetaria. È necessaria una politica economica comune ed una strategia di investimenti finanziata con eurobond. È necessaria una rete di rafforzamento delle garanzie sui debiti sovrani dell'area euro, anche attraverso l'introduzione di un'imposta sovranazionale sulle transazioni finanziarie. Inoltre, le politiche di risanamento e le riforme fiscali non possono ignorare la colossale regressione nella distribuzione del reddito e della ricchezza, causa primaria della grande recessione prima e della grande stagnazione ora in atto. Negli Stati Uniti, punta estrema di una tendenza condivisa tra i Paesi dell'Ocse, dal 1976 al 2007, per ogni dollaro di crescita reale, 58 centesimi sono andati all'1 per cento più ricco delle famiglie. In Italia, tra i Paesi europei a maggiore disuguaglianza di reddito e ricchezza e minore mobilità sociale, la quota della ricchezza nelle mani del decile più ricco delle famiglie è arrivata al 47 per cento, mentre dal 1993 al 2006 la quota di ricchezza detenuta dall'1 per cento più ricco delle famiglie è aumentata di 3 punti percentuali, a svantaggio della variegata platea delle classi medie. Migliorare le condizioni distributive è una condizione decisiva per la crescita;
la sfida delle riforme è estremamente complessa, ma è necessario iniziare subito. Le riforme devono premiare i produttori, soprattutto nelle aree più in difficoltà, recuperare universalità e progressività e semplificare, sulla base di un principio di fondo: un euro di reddito da lavoro o di impresa non può essere tassato più di un euro tratto dalla rendita. L'aliquota del 20 per cento deve essere l'aliquota di riferimento per la tassazione di tutti i redditi;
è necessario riallocare il prelievo: a) da chi paga a chi non paga; b) dai redditi da lavoro alla rendita; c) da chi ha di meno a chi ha di più, in particolare per sostenere la famiglia con figli e monoreddito; d) da attività inquinanti; e) dalla dimensione nazionale al territorio;
per realizzare il nuovo patto fiscale, necessario a ridurre le tasse, si dovrebbe procedere lungo tre strade: la tracciabilità, i controlli ex post attraverso l'uso efficiente e sinergico delle informazioni già a disposizione delle amministrazioni pubbliche e l'innalzamento ex ante della fedeltà fiscale dei contribuenti all'atto dell'autodichiarazione. Non può funzionare la scelta di puntare esclusivamente o prevalentemente sui controlli, con le misure del decreto-legge n. 780 del 2010, in un quadro di riavvio dei condoni e di eliminazione delle principali misure di emersione spontanea. Negli ultimi due anni, il rapporto tra il recupero di evasione ex post attraverso i controlli dell'Agenzia delle entrate e la perdita di gettito dovuto alla riduzione della fedeltà fiscale è stato circa di 1 a 10. In altri termini, per ogni miliardo di euro di maggior recupero da controlli, si è avuto un aumento di evasione di 10 miliardi di euro;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché scoraggia gli investimenti provenienti dall'estero, disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito, tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
la fiscalità rappresenta anche una delle leve decisive per sviluppare la green economy e per orientare l'economia verso la sostenibilità ecologica. È un obiettivo da perseguire soprattutto in ambito europeo e internazionale attraverso il coordinamento delle politiche di intervento fiscale, ma, in parallelo all'iniziativa comunitaria, si deve procedere anche a livello nazionale. Nella precedente legislatura erano stati fatti importanti passi avanti in termini di fiscalità ambientale ma l'attuale Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha bloccato il cammino, ad esempio con lo svuotamento del credito di imposta per la ricerca e l'innovazione, la mancata proroga della detrazione del 55 per cento per le ristrutturazioni eco-sostenibili, la limitazione all'utilizzo dei certificati verdi;
l'autonomia impositiva degli enti territoriali può essere definita soltanto all'interno di chiare linee guida per la riforma del sistema fiscale generale. Invece, ci si trova di fronte ad un processo incoerente, frutto della scelta politica di privilegiare la logica degli annunci e dei decreti-manifesto. In sostanza, si è svuotato il federalismo e tradita l'impostazione della legge n. 42 del 2009;
data la condizione della nostra finanza pubblica, il vincolo della riforma è la neutralità in termini di gettito. Le riforme fiscali hanno anche un altro vincolo imprescindibile: ogni euro recuperato dall'innalzamento della fedeltà fiscale va vincolato alla riduzione delle imposte. Pertanto, il carico fiscale effettivo sul singolo produttore di reddito da lavoro e reddito di impresa dovrà essere ridotto contestualmente all'emersione di basi imponibili, al potenziamento del gettito da rendite e da patrimonio e alla riduzione e riqualificazione della spesa pubblica, per la quale va abbandonata quella che, ai firmatari del presente atto di indirizzo, appare la strada iniqua ed inefficiente dei tagli alla cieca praticata dal Governo, in favore della realizzazione, per ciascuna amministrazione centrale, di un «piano industriale» di riorganizzazione, del benchmarking dei servizi offerti, della efficace valutazione dei risultati e dell'introduzione del metodo dei costi standard, oggi in fase di avvio sperimentale solo per le amministrazioni locali;
i principali settori di intervento sono, pertanto, le famiglie, le attività autonome e professionali, le imprese ed i redditi da capitale, l'innovazione «verde», il federalismo fiscale, l'evasione fiscale, il coordinamento sovranazionale delle politiche fiscali,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa volta a realizzare progressivamente e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica:
a) la riduzione al 20 per cento dell'aliquota sul primo scaglione dell'imposta personale sul reddito, la riduzione del numero delle aliquote intermedie e la revisione degli scaglioni a vantaggio dei redditi bassi e medi, riconducendo a razionalità il groviglio di deduzioni e detrazioni oggi vigenti e risolvendo il problema dell'incapienza mediante l'erogazione di un trasferimento pari alla detrazione spettante ma non goduta;
b) l'unificazione delle detrazioni fiscali e degli assegni al nucleo familiare nel «bonus per i figli», un istituto unico, generalizzato e fruibile dai capienti come sconto d'imposta e dagli incapienti come trasferimento a loro favore, riguardante tutti coloro che hanno figli minori, sia dipendenti, sia parasubordinati, sia indipendenti;
c) l'introduzione di una consistente agevolazione fiscale per il reddito da lavoro delle donne, soprattutto in nuclei familiari con figli minori;
d) l'eliminazione graduale dell'Irap sul costo del lavoro;
e) l'esenzione della parte di reddito reinvestita nella propria azienda, nella propria attività professionale e nella propria società;
f) l'applicazione dell'aliquota dei 20 per cento al reddito ordinario percepito dal lavoratore autonomo, dall'imprenditore individuale, dal socio in società di persone e l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
g) l'allineamento al 20 per cento, livello medio europeo, della tassazione dei redditi da capitale ad esclusione dei titoli di Stato;
h) la riforma degli studi di settore per semplificarli ed evitare che siano una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
i) la riduzione delle aliquote Iva per i beni ad elevata efficienza energetica, la messa a regime della detrazione fiscale del 55 per cento per l'efficienza energetica degli edifici, l'eliminazione del tetto all'utilizzo del credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo ed investimenti in tecnologie sostenibili, l'applicazione della carbon tax;
l) l'attuazione di un federalismo responsabile, che preveda:
1) per l'autonomia impositiva dei comuni: l'eliminazione dell'addizionale comunale all'Irpef e della Tarsu/Tia sugli immobili ad uso residenziale, l'esclusione dall'Ici della prima casa degli immobili locati a canone concordato, l'applicazione dell'imposta sostituiva del 20 per cento sui canoni da locazione residenziale ai soli contratti sottoscritti successivamente alla sua entrata in vigore, per favorire la riduzione del canone; l'introduzione dell'imposta comunale sui servizi quale principale tributo proprio dei comuni con ampi gradi di manovrabilità, l'istituzione di una compartecipazione comunale all'Irpef, determinata in via residuale, in modo che sia garantito il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni come previsto dalla legge n. 42 del 2009, la possibilità di introdurre tributi propri, in particolare per particolari scopi di interesse generale e per finalità di tutela ambientale;
2) per l'autonomia impositiva delle province: l'articolazione intorno a tributi relativi al trasporto su gomma e ad una compartecipazione all'Irpef, e la possibilità di introdurre tributi propri, in particolare di scopo;
3) per l'autonomia impositiva delle regioni: il mantenimento dell'Irap con esclusione del costo del lavoro e la compartecipazione all'Iva per il finanziamento dei servizi essenziali e dei fondi perequativi a ciò destinati, l'uso facoltativo dell'addizionale regionale Irpef e di tributi propri da istituire mediante legge regionale per fornire strumenti alla flessibilità fiscale a livello locale;
m) l'attuazione di un piano straordinario per semplificare gli adempimenti, in particolare per i contribuenti di dimensioni minori e per riqualificare gli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza e la revisione dei meccanismi di premialità retributiva per i risultati per promuovere controlli senza esisti precostituiti e sempre più personalizzati ed aperti alle posizioni dei contribuenti, e l'introduzione della facoltà per i contribuenti di fare un invio provvisorio dei dati, precedente alla fase della dichiarazione definitiva, al fine di consentire all'Agenzia delle entrate una valutazione ed, eventualmente, invitare il contribuente a modificare, senza alcuna sanzione, i dati meno plausibili;
n) il potenziamento della capacità di utilizzo da parte dell'Agenzia delle entrate di tutte le banche dati delle pubbliche amministrazioni per migliorare i controlli e l'applicazione del «redditometro» e l'obbligo per ogni contribuente di dichiarare annualmente la consistenza del proprio patrimonio;
o) l'estensione della fatturazione elettronica e la rincentivazione dell'uso della moneta elettronica;
p) la promozione, nei vertici europei e internazionali, di una proposta di financial transaction tax, sia a fini anti-speculativi, sia per recuperare gettito da destinare ad un fondo internazionale dedicato alla riduzione del debito pubblico accumulato dopo l'esplosione della crisi, dell'introduzione di un'imposta sulle banche sistemiche (più grandi e con attività in più Paesi) per far fronte al loro eventuale fallimento, di una prima ipotesi di border tax adjustment, ossia tariffe europee alle importazioni di prodotti e servizi irrispettosi di standard sociali (rispetto dei diritti civili, lavoristici, sindacali) ed ambientali minimali;
q) la sterilizzazione degli effetti del fiscal drag, neutralizzando gli inasprimenti delle imposte conseguenti all'inflazione;
r) il ripristino della piena disponibilità del credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno;
a non proporre più condoni.
(1-00471) «Bersani, Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Fluvi, Sposetti».
(27 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
la pressione fiscale per l'anno 2010 è prevista in misura pari al 42,8 per cento del prodotto interno lordo, a fronte del picco del 43,2 per cento registratosi nel 2009, e poi in leggera flessione al 42,4 per cento nel 2011, per poi risalire nel 2012 al 42,6 per cento;
nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4 per cento del prodotto interno lordo, mentre nel 2009 questa percentuale era salita al 47,2 per cento;
l'incremento delle entrate dello Stato non è stato determinato da un incremento omogeneo delle diverse fonti di gettito: infatti, le imposte dirette sono cresciute nel periodo del 33 per cento, le imposte indirette sono diminuite del 2,3 per cento, con una riduzione più accentuata nel 2008 e nel 2009, i contributi sociali sono cresciuti addirittura del 46,6 per cento;
in altre parole, è aumentata di molto la pressione fiscale sul fattore lavoro e, in particolare, su quello dipendente, contribuendo alla riduzione della competitività del nostro sistema produttivo;
il calo delle imposte indirette può essere attribuito solo in minima parte alla crisi, mentre è da collegare all'espandersi delle attività in nero ed a meccanismi elusivi, se non truffaldini, come quelli, per quanto concerne l'iva, delle società «carosello» o delle società «cartiere» create al solo scopo di emettere fatture false;
sebbene si preveda una sostanziale stabilità delle entrate (resta costante la pressione tributaria e si riducono leggermente i contributi sociali, in buona parte per il congelamento delle retribuzioni pubbliche), in realtà le entrate vanno peggio di quanto si poteva prevedere a giugno 2010: tale peggioramento ha vanificato un quarto della correzione effettuata con la manovra (che, si ricorda, valeva 0,8 punti percentuali di prodotto interno lordo l'anno), in quanto, nei primi sei mesi del 2010, le entrate tributarie sono calate del 3,5 per cento;
tale riduzione di circa 3 miliardi di euro di entrate appare molto preoccupante, soprattutto ove si consideri che la manovra adottata dal Governo in primavera contava sulla possibilità di recuperare più di 8 miliardi di evasione fiscale da qui al 2012;
la crescita del Paese viene, inoltre, frenata dal fenomeno del sommerso, che, secondo un recente rapporto del centro studi di Confindustria, «è bruscamente accelerato nel 2009», superando il 20 per cento del prodotto interno lordo (oltre il 27 per cento, se non si considera la pubblica amministrazione e senza tenere conto che tale percentuale raggiunge al Sud un valore doppio): tale dato porta l'ammontare dell'evasione fiscale «su valori molto superiori ai 125 miliardi» stimati dal centro studi di Confindustria nel mese di giugno 2010 ed anche la stima della pressione fiscale effettiva è «rivista all'insù», ad un livello «ben sopra il 54 per cento nel 2009», più del 51,4 per cento stimato dal centro studi di Confindustria nel mese di giugno 2010 e del 43,2 per cento della «pressione apparente contenuta nei documenti ufficiali»;
nella situazione presente i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili: in particolare, il 30 per cento della base imponibile dell'iva viene regolarmente evaso, per oltre 30 miliardi di euro l'anno, cifra che sale vertiginosamente (ad oltre 100 miliardi) se si aggiunge l'evasione di altre imposte, come irpef o irap;
in tale contesto, rappresenta una costosa anomalia per l'erario il meccanismo del prelievo erariale unico (preu), applicabile, ai sensi dell'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai proventi delle società concessionarie relativamente agli apparecchi di gioco collegati in rete. Tanto più che - come affermato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere in una sua recente relazione - è pari a 100 miliardi di euro il «fatturato» dei giochi leciti ed illeciti, i cui «maggiori profitti vanno alla criminalità organizzata»;
secondo il Governatore della Banca d'Italia, «l'evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga e riduce le risorse alle politiche sociali»;
si è proceduto a un sistematico smantellamento, presentato come «semplificazione», di un insieme di strumenti, in parte non ancora operativi, introdotti nella XV legislatura, che potevano permettere all'amministrazione finanziaria di ottenere, per via telematica, informazioni utili ai fini del contrasto all'evasione:
a) è stato soppresso l'obbligo di allegare alla dichiarazione iva gli elenchi clienti/fornitori;
b) sono state abolite le limitazioni nell'uso di contanti e di assegni;
c) sono state abolite la tracciabilità dei pagamenti e la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati;
d) è stato soppresso l'obbligo di comunicazione preventiva per compensare crediti di imposta superiori ai 10 mila euro;
e) è stata significativamente ridimensionata la solidarietà in materia di versamento di contributi e ritenute tra committente, appaltatore e subappaltatore;
f) sul fronte degli studi di settore è stato previsto l'obbligo della loro pubblicazione entro il 30 settembre dell'anno a cui devono applicarsi, invece che entro il 31 marzo dell'anno successivo. In questo modo, il contribuente è sempre in grado di conoscere in corso d'opera quali sono le aspettative del fisco nei suoi confronti e di adeguarvisi;
g) alle imprese dei distretti industriali viene consentita la possibilità di effettuare un concordato preventivo triennale (cioè, di concordare, in anticipo, per tre anni, le imposte dovute) anche per i tributi locali, specificando che «in caso di osservanza del concordato i controlli sono eseguiti unicamente a scopo di monitoraggio»;
h) sono state dimezzate le sanzioni;
solo in parte il Governo si è ricreduto rispetto a queste decisioni ed è intervenuto nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, reintroducendo in parte alcune delle normative che aveva cancellato;
a questo si aggiungano i danni che derivano dal cosiddetto fiscal drag: infatti, in un'imposta progressiva, come l'irpef, l'aumento di tassazione indotto dall'inflazione discende da due fattori:
a) una quota sempre più ampia del reddito è assoggettata ad aliquote (marginali) più elevate;
b) il valore delle detrazioni e deduzioni di imposta per tipologie di redditi, per carichi familiari, ed altro non è indicizzato all'aumentare dei prezzi e, quindi, diminuisce in termini di potere d'acquisto;
da anni non viene restituito, neanche parzialmente, il drenaggio fiscale. Il mancato recupero del fiscal drag ha pesato, secondo Banca d'Italia, per due terzi sulla perdita del potere d'acquisto degli ultimi 5 anni;
fra il 2000 e il 2010 i lavoratori italiani hanno perso - secondo il centro studi della Cgil, l'Ires - 5.453 euro in termini di potere d'acquisto, in parte a causa di un livello di inflazione più alto di quanto previsto e conteggiato in sede di rinnovo dei contratti di lavoro (3.384 euro) ed in parte in ragione della mancata restituzione del fiscal drag, che ha comportato per ogni lavoratore un prelievo aggiuntivo medio di 2.000 euro, dovuto al progressivo aumento delle aliquote sui redditi per effetto dell'aumento del costo della vita;
in totale, nei dieci anni presi a riferimento, la perdita del potere di acquisto sulla somma di tutte le retribuzioni ha raggiunto la quota di 44 miliardi di euro, che sono stati sottratti alle famiglie, diminuendo la domanda interna, riducendo i consumi e alimentando la crisi;
nel frattempo, le rendite finanziarie sono tassate con un'imposta sostitutiva dell'irpef e con un'aliquota pari al 12,5 per cento, mentre l'aliquota irpef più bassa è pari al 23 per cento, il mondo del lavoro autonomo, a prescindere dal fenomeno dell'evasione, dispone della revisione degli studi di settore e di ampie possibilità di deduzione e detrazione, mentre più del 50 per cento delle imprese denuncia un reddito nullo o negativo, ed è stata abolita l'ici su tutte le prime abitazioni, anche quelle ad elevato reddito catastale;
non è un caso se il Paese, a causa della politica fiscale e della precarizzazione crescente delle tipologie contrattuali presenti nel mondo del lavoro, ha un livello di disuguaglianza dei redditi fra i più elevati tra i Paesi sviluppati, un livello di povertà ben superiore alla media dei Paesi Ocse ed è uno dei Paesi in cui la disuguaglianza è cresciuta maggiormente negli ultimi venti anni;
la distanza dell'Italia dai parametri di Lisbona sul tasso di occupazione femminile è preoccupante: non si riuscirà a raggiungere entro la fine del 2010 l'obiettivo dell'occupazione femminile al 60 per cento, essendo fermi al 46 per cento (i dati dell'Italia sono inferiori rispetto a quello medio dell'Unione europea di circa dodici punti);
il Governo aveva promesso che i risparmi derivanti dall'aumento dell'età pensionabile femminile nel pubblico impiego sarebbero stati utilizzati per l'incremento di risorse in favore delle donne medesime, delle politiche di conciliazione tra tempo di lavoro e di cura, delle politiche sociali collegate ai servizi alle famiglie: invece, il fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, nel quale questi risparmi sono confluiti, vengono utilizzati per finalità che non hanno nulla a che vedere con le finalità originarie, come dimostrano le misure contenute nella legge di stabilità per il 2011;
per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea, nell'ambito del cosiddetto pnr (programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia «Europa 2020», ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio, anche attraverso l'adozione di. misure fiscali;
oggi l'Italia è ancora molto indietro e sarà difficile perseguire questo obiettivo senza prevedere misure strutturali di sostegno, come il credito d'imposta, per rafforzare i processi di ricerca ed innovazione in tutti i settori e per tutte le tipologie di impresa;
tutti i Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica che l'economia verde, quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
un importante strumento fiscale istituito con la legge finanziaria per il 2007, e che ha finora dimostrato tutta la sua validità, è senz'altro quello legato alla detrazione fiscale del 55 per cento delle spese sostenute per il risparmio energetico nel settore dell'edilizia. In questi anni ha prodotto investimenti per 11 miliardi di euro, 50 mila posti di lavoro e circa 600 mila interventi, oltre a dare benefici per il sistema Paese, anche grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale. È ben vero che il Governo ha introdotto, in sede di approvazione della legge di stabilità alla Camera dei deputati, la normativa di cui sopra, tuttavia ne ha «spalmato» gli effetti su 10 anni, indebolendola fortemente rispetto al passato;
la rinnovata presa di coscienza nei confronti della strutturale instabilità dei mercati monetari e finanziari e dei danni che essa è in grado di provocare ha riaperto il dibattito sulla necessità di attribuire alla politica rinnovati strumenti di controllo e di governo delle dinamiche economiche;
un primo passo nella direzione del necessario cambiamento di rotta sopra evocato è stato da tempo individuato in una proposta basata sull'istituzione di un'imposta sulle transazioni valutarie, la cosiddetta Tobin tax, che ha raccolto negli ultimi anni il consenso di gruppi, movimenti politici, Parlamenti e Governi sempre più numerosi e significativi e una straordinaria convergenza a sostegno della stessa da parte di economisti di diversa provenienza culturale e politica;
si tratta di una tassa sulle transazioni valutarie e finanziarie che, oltre a contribuire alla riduzione dell'instabilità sui mercati finanziari, potrebbe rappresentare uno strumento per il perseguimento di molti obiettivi complessi, sia operativi sia politici, non ultimo quello di contribuire a determinare risorse addizionali per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio e per far fronte ai danni sociali causati dalla crisi attuale anche nel nostro Paese;
l'introduzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie non può certamente essere soltanto una tassa a livella nazionale e, quindi, servono posizioni armonizzate tra i Paesi, ma anche un'intesa con gli Usa e con gli altri continenti per non vanificare la possibilità di percorrere la strada di un'alternativa praticabile: una tassa sulle transazioni finanziarie permetterebbe, infatti, di raccogliere fino a 650 miliardi di dollari (secondo studi della Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non governative impegnate nella lotta alla povertà e all'ingiustizia) all'anno da destinare sia ad aiutare i più poveri nel Sud del mondo, sia a finanziare politiche sociali nei Paesi del Nord;
la politica fiscale del Governo, oltre a produrre un incremento della pressione fiscale ed una generale e continua tensione nella gestione dei conti pubblici, produce, dunque, anche una marcata sperequazione sociale;
di fronte a questa incontestabile situazione, appare prioritaria la necessità di predisporre urgentemente un riequilibrio del carico tributario, per ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro, sulle pensioni e sugli investimenti delle piccole e medie imprese, misure che sono, invece, totalmente assenti nel decreto-legge n. 78 del 2010 e nel disegno di legge di stabilità,

impegna il Governo:

a promuovere le opportune iniziative fiscali a favore delle famiglie, tra le quali:
a) la riduzione progressiva al 20 per cento della prima aliquota dell'ire;
b) l'aumento delle detrazioni per carichi familiari, prevedendo un'imposta positiva per i contribuenti fiscalmente incapienti;
c) la detrazione delle spese per i servizi di assistenza e cura per i figli minori o in caso di persone non autosufficienti;
d) l'alleggerimento del carico ire sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione, operando sul meccanismo delle detrazioni per la produzione di reddito;
e) l'adozione di disposizioni fiscali per sostenere il lavoro delle donne, detassando parzialmente il reddito da lavoro dipendente delle donne, dando incentivi diretti alle aziende che assumono donne, favorendo l'accesso al credito delle imprese femminili operanti nel Mezzogiorno e rifinanziando il fondo per il sostegno all'imprenditoria femminile in tutti i settori produttivi, di cui alla legge n. 215 del 1992;
a sostenere fiscalmente lo sviluppo, la riconversione ecologica dell'economia e, in particolare. le piccole e medie imprese, con le seguenti misure:
a) la riduzione graduale, per le piccole e medie imprese, del peso del costo del lavoro nel calcolo dell'imponibile irap;
b) la previsione del pagamento dell'iva al momento in cui si incassa effettivamente il corrispettivo della cessione di beni o di servizi e non in anticipo;
c) agevolazioni fiscali per favorire la capitalizzazione delle piccole e medie imprese, nonché la defiscalizzazione parziale degli utili reinvestiti da parte delle stesse piccole e medie imprese;
d) l'estensione della contabilità semplificata e agevolata, già introdotta dal Governo Prodi, per 950.000 imprese minori, il cosiddetto forfettone, per i contribuenti minimi con reddito inferiore a 30 mila euro, innalzando tale limite di reddito;
e) la riduzione progressiva al 20 per cento dell'aliquota dell'ires;
f) il ripristino del credito d'imposta per gli investimenti e per le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato nelle aree sottoutilizzate;
g) il rifinanziamento delle disposizioni in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, con particolare riguardo alle imprese che investono nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico e, in particolare, quando gli investimenti siano attuati in convenzione con le università ed i centri nazionali di ricerca;
h) il ripristino della detrazione del 55 per cento dell'ire delle spese sostenute per il risparmio energetico nel settore dell'edilizia nella forma originaria, che ne prevedeva la deducibilità ai fini fiscali in due anni anziché in dieci anni;
a recuperare le risorse necessarie con le misure seguenti:
a) il ripristino delle norme di contrasto all'evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi, anche al fine di ridurre la pressione fiscale sui contribuenti fiscalmente onesti secondo il principio di «pagare tutti per pagare meno», tra le quali:
1) la riorganizzazione dell'anagrafe tributaria;
2) la «tracciabilità» dei compensi dei professionisti;
3) l'obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi;
4) la tenuta dell'elenco clienti-fornitori;
5) l'anagrafe dei conti correnti bancari;
6) la lotta alle frodi iva;
b) l'introduzione di un meccanismo di determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche e delle società di capitale minori (nuovo redditometro a riscossione immediata) a rettifica delle dichiarazioni pregresse, nonché la previsione di misure di contrasto all'elusione fiscale realizzata tramite società di comodo;
c) il recupero, con decorrenza immediata, delle somme dovute dai contribuenti che hanno aderito ai condoni fiscali 2003-2004 e che non hanno pagato buona parte delle rate da loro dovute, secondo quanto già da tempo denunciato dalla Corte dei conti;
d) la previsione di un contributo di solidarietà del 7,5 per cento sui capitali regolarizzati tramite lo scudo fiscale, in modi che l'imposta complessiva (5 per cento + 7,5 per cento = 12,5 per cento) divenga pari al 12,5 per cento, cioè all'aliquota dell'imposta sostitutiva applicata alle rendite finanziarie, ad esempio ai titoli di Stato;
e) l'incremento delle aliquote iva per i beni di lusso;
f) la tassazione con l'aliquota del 20 per cento delle plusvalenze finanziarie speculative, con l'esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato;
g) la riduzione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni;
h) l'istituzione di un'imposta sulla pubblicità sulle emittenti televisive nazionali;
i) l'aumento delle aliquote per la determinazione del prelievo erariale unico (preu) sugli apparecchi da intrattenimento e l'inserimento del mancato collegamento degli apparecchi di gioco alla rete telematica tra i casi di evasione per i quali l'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede la reclusione da uno a tre anni;
l) il forte sostegno, in sede europea e internazionale, della praticabilità di un'intesa sulla tassazione delle transazioni finanziarie che permetterebbe di raccogliere fondi sufficienti sia per la lotta alla povertà e all'ingiustizia nel Sud del mondo, sia per finanziare politiche sociali nei Paesi del Nord del mondo.
(1-00497) «Borghesi, Di Stanislao, Donadi, Messina, Cambursano, Barbato».
(19 novembre 2010)



MOZIONE CONCERNENTE REVOCA DI DELEGHE
AL MINISTRO PER LA SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA, SENATORE ROBERTO CALDEROLI

La Camera,
premesso che:
mercoledì 13 ottobre 2010 il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, durante il question time alla Camera dei deputati, ha interrogato il Ministro per la semplificazione normativa, onorevole Calderoli, per sapere se il Governo fosse consapevole delle conseguenze dell'aver determinato con propri atti l'abrogazione di un decreto legislativo, per il quale diversi esponenti leghisti sono sottoposti a giudizio con l'accusa di aver organizzato un'associazione di carattere militare con scopi politici (interrogazione n. 3-01271);
il decreto legislativo abrogato di cui si parla nell'interrogazione è il n. 43 del 1948, che punisce chiunque «promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia»;
la punizione del reato di cui al decreto legislativo n. 43 del 1948 deriva direttamente dall'articolo 18, secondo comma, della Costituzione, che vieta espressamente «le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare» e protegge valori fondamentali come la democrazia, l'integrità dello Stato e l'unità nazionale, la sicurezza dello Stato e dei cittadini, l'ordine pubblico;
l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 è contenuta nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, all'articolo 2268, numero 297 dell'elenco, recante il Codice dell'ordinamento militare. Le disposizioni che riguardano l'ordinamento militare sono state rivisitate alla luce della delega contenuta nella legge 28 novembre 2005, n. 246, sulla semplificazione e riassetto della legislazione, cosiddetta taglia leggi;
il riferimento alla legge delega sulla semplificazione normativa è contenuto nel preambolo del decreto legislativo n. 66 del 2010, dove è richiamato, in particolare, l'articolo 14;
il citato articolo 14, da un lato, esclude esplicitamente dalla delega data al Governo quelle «disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei diritti costituzionali» (comma 14, lettera c)), dall'altro stabilisce che con decreti legislativi il Governo deve individuare le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1o gennaio 1970, delle quali si ritiene «indispensabile» (espressione testualmente contenuta tra i principi e criteri direttivi della delega) la permanenza in vigore, secondo i principi e criteri direttivi fissati nel comma 14 dell'articolo 14;
sulla base della delega citata in precedenza, il 1o dicembre 2009, il Governo ha approvato il decreto legislativo n. 179 del 2009, il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 12 giugno 2009, recante l'elenco delle leggi anteriori al 1970, la cui permanenza in vigore è ritenuta «indispensabile». Tra queste leggi indispensabili vi è il decreto legislativo n. 43 del 1948, di cui si sta parlando;
il decreto legislativo n. 43 del 1948, come sopra riportato, si ritrova successivamente nell'elenco delle leggi abrogate dal Codice dell'ordinamento militare, il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 15 dicembre 2009;
pertanto, in solo sei mesi, il decreto legislativo n. 43 del 1948 è passato dall'essere una legge «indispensabile» per l'ordinamento italiano, ad essere invece abrogato, nonostante non sia stata data nessuna delega al Governo per la sua abrogazione, e per di più in un atto, il Codice dell'ordinamento militare, con il quale non ha nulla da condividere dal punto di vista sistematico e logico-giuridico;
la lettura della «Relazione generale al Codice dell'ordinamento militare», che accompagna lo schema di decreto legislativo inviato alle Camere per il prescritto parere, mette in evidenza, se mai ci fossero dubbi, l'incongruità della presenza del decreto legislativo n. 43 del 1948 rispetto alla materia che veniva riordinata e, al contempo, la lettura dell'indice sistematico del Codice ne appalesa la sua estraneità;
si ribadisce che il Parlamento non aveva delegato il Governo ad abrogare il decreto legislativo n. 43 del 1948 per espressi riferimenti legislativi: la sua abrogazione viola diritti costituzionali (legge 28 novembre 2005, n. 246, articolo 14, comma 14, lettera c)); il decreto legislativo n. 179 del 2009, lo ha inserito nell'elenco delle leggi la cui permanenza in vigore è ritenuta «indispensabile»;
la notizia dell'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi abrogate dal Codice dell'ordinamento militare era stata data in un articolo del 2 ottobre 2010 de Il Fatto Quotidiano, ma anche in un articolo de la Padania dello stesso giorno;
a seguito della pubblicazione dei predetti articoli di stampa, l'Italia dei Valori ha chiesto al Governo di far pubblicare in Gazzetta ufficiale un avviso di rettifica, tecnicamente un «comunicato» - per il quale bastava un solo rigo - per eliminare il predetto decreto legislativo dall'elenco di quelli da abrogare. Al Governo, quale organo costituzionale, è infatti sempre riservato uno spazio in Gazzetta Ufficiale per pubblicazioni urgenti e dell'ultim'ora;
la richiesta è stata avanzata dall'Italia dei Valori a più riprese, a partire dal 3 ottobre 2010 ed il Governo poteva apportare tale modifica fino al 9 ottobre 2010, data di entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare. Dopo tale data, infatti, al Governo non sarebbe più stato possibile intervenire con un avviso di rettifica, ma sarebbe stato necessario approvare una nuova legge o atto avente forza di legge, per reintrodurre il reato che dal 9 ottobre 2010 è abrogato a tutti gli effetti;
si sottolinea che dall'8 maggio 2010, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo, il Governo ha apportato ben 196 correzioni tra Codice e regolamento dell'ordinamento militare. Comunicati del Governo che correggono il Codice sono stati pubblicati, ad esempio, nelle Gazzette ufficiali del 7 settembre 2010, n. 209, e del 30 settembre 2010, n. 229. Numerose di queste correzioni riguardano proprio l'eliminazione di leggi e atti aventi forza di legge dall'elenco di quelle abrogate;
nel comunicato del 7 settembre 2010, ad esempio, sono salvati dall'abrogazione articoli di svariate leggi e atti aventi valore di legge, come il decreto del Presidente della Repubblica del 3 maggio 1957, n. 686; il decreto-legge 24 aprile 1997, n. 108; il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165; la legge 29 ottobre 1997, n. 374; il regio decreto 25 ottobre 1938, n. 2005;
nel comunicato del 30 settembre 2010, ad esempio, sono salvati dall'abrogazione articoli di svariate leggi e atti aventi valore di legge, come il decreto legislativo 28 novembre 1997, n. 459; il decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 393; il decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215; la legge 11 agosto 2003, n. 231; la legge 3 agosto 2007, n. 124;
durante la risposta al question time in Assemblea alla Camera dei deputati, il Ministro Calderoli ha usato toni sarcastici per riferire che:
a) l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 non aveva nulla a che fare con la delega contenuta nel cosiddetto taglia leggi «ma fa parte della realizzazione del Codice dell'ordinamento militare»;
b) il suo inserimento nell'elenco delle leggi da abrogare era stato deciso da un comitato scientifico;
c) il Governo non poteva cancellarlo dall'elenco delle leggi abrogate, facendo pubblicare in Gazzetta Ufficiale un proprio avviso di rettifica prima che il Codice dell'ordinamento militare entrasse in vigore;
le risposte del Ministro Calderoli sono del tutte destituite di fondamento, come risulta da quanto precede e sono smentite sia dal Ministero della difesa, che dal presidente della commissione scientifica che ha redatto gli schemi dei provvedimenti normativi recanti il Codice dell'ordinamento militare;
il Ministero della difesa, intervenuto con proprio comunicato stampa il 2 ottobre 2010, ha fatto sapere di aver chiesto «alla presidenza del Consiglio dei Ministri la possibilità di fare una rettifica al Codice dell'ordinamento militare», per eliminare il decreto legislativo n. 43 del 1948 dall'elenco delle leggi abrogate;
con lettera del 15 ottobre 2010, indirizzata al Ministro Calderoli e all'onorevole Donadi, il consigliere di Stato Vito Poli, presidente del comitato scientifico che ha provveduto all'elaborazione degli schemi dei provvedimenti normativi recanti il Codice dell'ordinamento militare, ha comunicato che:
a) «nessun componente del comitato scientifico ha proposto (o inserito nel relativo elenco) l'abrogazione del d.lgs. n. 43 del 1948»;
b) «l'inserimento del d.lgs. n. 43 del 1948 costituisce evidente errore materiale (occorso nella redazione del documento), risultando assolutamente incoerente, dal punto di vista logico-giuridico, con quanto dallo stesso legislatore delegato disposto nella stesura del decreto legislativo n. 179 del 2009 (cosiddetto salva leggi) che ha espressamente salvato il decreto legislativo n. 43 del 1948 dal cosiddetto effetto ghigliottina previsto per il 15 dicembre 2010»;
c) «in ogni caso, quanto alla praticabilità dell'avviso di rettifica, tempestivamente attivato dal capo dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio, poi interrotto per esplicito diniego opposto dall'ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa (come già riferito dallo scrivente al Segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri in data 7 ottobre 2010), si segnala la pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione» in base alla quale il Governo può intervenire a eliminare errori materiali nonché per correggere «originari fraintendimenti del legislatore»;
il giorno 9 ottobre 2010, con l'entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare, il reato previsto e punito dal decreto legislativo n. 43 del 1948, è sparito dal nostro ordinamento. Pertanto, tutti i procedimenti penali attualmente in corso per i reati di cui al predetto decreto verranno terminati con un'archiviazione o una sentenza di assoluzione perché il reato non esiste più, anche se il Parlamento in futuro dovesse reintrodurre quel reato;
alla luce di tutto quanto precede, in particolare dalla lettera del consigliere di Stato, appare sussistere la responsabilità di chi ha inserito o fatto inserire il decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi da abrogare, oppure si è attivamente opposto alla sua eliminazione da quell'elenco e ha voluto mantenere l'eliminazione del reato di «associazione di carattere militare, con scopi anche indirettamente politici» dal nostro ordinamento, in assenza di qualsiasi delega e in violazione del precetto costituzionale;
tale responsabilità appare assumere gravissima rilevanza, innanzitutto politica, se messa in relazione con il procedimento in corso a Verona a carico di 36 leghisti facenti parte delle brigate della «guardia nazionale padana» per il reato di associazione a carattere militare con scopi politici; procedimento nel quale erano indagati anche diversi deputati e Ministri leghisti, tra cui Bossi, Maroni e Calderoli, usciti dal processo grazie all'immunità parlamentare;
appare verosimile, infatti, che l'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco delle leggi da abrogare, sia stato finalizzato a favorire i leghisti facenti parte delle brigate della «guardia nazionale padana» e a far terminare il processo contro di loro con un'archiviazione o una sentenza di assoluzione perché il reato non esiste più;
rischia di apparire non casuale che sia stato proprio uno degli avvocati che difende gli imputati della «guardia nazionale padana» la prima persona ad accorgersi dell'abrogazione di questo reato, ritrovandolo nascosto in un elenco di migliaia di leggi (il solo elenco recato dall'articolo 2268 del Codice dell'ordinamento militare contiene 1085 norme primarie abrogate): prima ancora che se ne accorgessero i Ministeri coinvolti nella redazione dei decreti, la commissione scientifica che quel reato non ha inserito nell'elenco, il Parlamento chiamato a dare il proprio parere e la stampa. Durante l'udienza svoltasi presso il tribunale di Verona il 1o ottobre 2010, l'avvocato ha preso la parola per comunicare che il reato non sarebbe più esistito a partire dal 9 ottobre, come riportato da Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre, già citato. Se quell'avvocato non l'avesse detto, forse ci si sarebbe accorti di quest'abrogazione tra molto tempo;
in tutta questa vicenda, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ci sono chiare, gravi e incontrovertibili responsabilità del Ministro leghista Roberto Calderoli, il cui ufficio legislativo ha opposto diniego alla pubblicazione dell'avviso di rettifica, «tempestivamente attivato dal capo dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio»;
il Ministro Calderoli ha mentito al Parlamento rispondendo al question time dell'IDV e, ad avvisto dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha abusato della sua funzione di Ministro opponendosi nei primi giorni di ottobre a far eseguire una rettifica, che solo pochi giorni prima, il 30 settembre, aveva invece autorizzato con riferimento alla rettifica relativa ad altre leggi inserite nel Codice dell'ordinamento militare;
nella lettera aperta che il Ministro Calderoli ha inviato al Presidente della Camera dei deputati ha affermato che il supposto erroneo inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 nell'elenco degli atti di legislazione primaria da abrogare è da ascrivere unicamente al Ministero della difesa, che avrebbe gestito da solo, anche informaticamente, la preparazione dello schema di testo di decreto legislativo, fino alla sua diramazione da parte del Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dagl);
tale affermazione, insieme a tutte le altre fatte dal Ministro Calderoli nella lettera citata, dimostrano incontrovertibilmente che, se pur si volessero non ascrivere a malizia i suoi comportamenti, egli ha quantomeno esercitato con palese negligenza le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di vigilanza e di verifica relative alla semplificazione normativa, delegategli dal Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del Presidente del Consiglio del 13 giugno 2008;
infatti, queste deleghe stabiliscono, tra l'altro, che egli: coordini tutte le attività di attuazione del cosiddetto taglia leggi e competenze connesse; predisponga e co-proponga le iniziative dirette al riordino o alla semplificazione della normativa vigente, anche per mezzo di testi unici - qual è il caso del testo di cui si discute e - cosa ancora più rilevante - segnali, negli schemi di atti normativi, le eventuali complicazioni, ovvero le proposte che non appaiono giustificate in relazione agli obiettivi nazionali o comunitari di semplificazione;
il Ministro Calderoli, pertanto, non solo poteva, ma anzi doveva ed era responsabile - ancora prima che il Consiglio dei ministri approvasse lo schema di decreto legislativo, oltre che successivamente - dell'eliminazione dagli elenchi delle leggi da abrogare del decreto legislativo che puniva il reato di associazione di carattere militare con scopi anche indirettamente politici,

impegna il Governo

a revocare immediatamente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 giugno 2008, contenente «Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di semplificazione normativa» le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di promozione di iniziative, anche normative, di vigilanza e verifica, delegate al senatore Roberto Calderoli, indicate all'articolo 2, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f),e g), nonché all'articolo 3, comma 1, lettere a) e c).
(1-00475) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Stanislao, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».
(8 novembre 2010)