TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 432 di Mercoledì 9 febbraio 2011

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

DI BIAGIO - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la difficile situazione dei pazienti affetti da cidp, polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, mette in luce una significativa carenza nel nostro sistema sanitario nazionale;
la cidp è una grave patologia del sistema nervoso periferico. Con le modalità specifiche di ciascun caso, le crisi arrivano a generare una progressiva paralisi degli arti, a cominciare dagli arti inferiori, con possibilità di evoluzione in tetraparesi e con rischi di insufficienze respiratorie per paresi delle corde vocali;
la gravità di questa patologia dal risvolto doloroso e invalidante, nonché il disagio, sia fisico che psichico, di questi pazienti hanno giustamente motivato l'intenzione di una loro maggiore tutela da parte del nostro sistema sanitario nazionale. Intenzione legittimata dal fatto che la cidp si trova iscritta nell'elenco delle malattie rare del Ministero della salute - allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001 - codice di esenzione RFO180;
in merito alla delicata situazione sopra esposta, si manifesta una grave discordanza tra intenti e realizzazione effettiva nelle condizioni di assistenza a questi pazienti, discordanza legata, in primo luogo, alle consistenti difficoltà di accesso al trattamento terapeutico più accreditato per tale patologia, la somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa (IVIg). L'ampia letteratura in merito, sia sul territorio nazionale che in ambito internazionale - non ultimo un recentissimo contributo, presente su affermate riviste internazionali, dei neurologi dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Humanitas, legato all'Università di Milano - attestano che il trattamento con IVIg si trova in prima linea nella cura di neuropatologie autoimmuni e, in particolare, della cidp;
la somministrazione di immunoglobuline è praticata in day hospital a questi pazienti, con una certa regolarità che varia da caso a caso, presso le strutture ospedaliere di riferimento. Qualora questo iter incontri ostacoli, essi sono costretti, in caso di crisi in atto, a correre in pronto soccorso, dove vengono sottoposti a ricovero ospedaliero, nel corso del quale viene loro somministrata la terapia già menzionata;
la difficoltà di cui sopra si traduce nel fatto che, a dispetto della consistente e accreditata letteratura, nonché della stessa prassi ospedaliera, i pazienti si confrontano da alcuni anni con gravi restrizioni nell'accessibilità o disponibilità del farmaco: le loro esperienze evidenziano strutture farmaceutiche che affermano l'impossibilità di prescrizione del farmaco per il trattamento della cidp oppure che, pur in presenza di specifiche richieste mediche e piani terapeutici autorizzati, non ne hanno la disponibilità, avendo esaurite le rispettive voci previste dal bilancio annuale. Emergono spiacevoli situazioni che attestano mancanza di chiarezza, per non dire gravi carenze, sulle condizioni di assistenza di questi malati e sulle loro possibilità di trovare sul nostro territorio nazionale una sollecita e adeguata tutela;
parlare di «difficoltà di reperimento del farmaco» per questi pazienti corrisponde all'oggettivo e sofferto aggravamento di una situazione già di per sé non facile, né indolore: difatti, se la somministrazione non è praticata tempestivamente, il peggioramento delle condizioni del paziente, al manifestarsi della crisi, si fa rapido e drastico e, conseguentemente, il recupero è più lento e sofferto -:
se il Ministero interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato nelle premesse e quali iniziative - anche di natura normativa - intenda predisporre al fine di rettificare la sopra indicata situazione di drammatica criticità, affinché agli intenti di tutela corrisponda un effettivo e pieno sostegno per coloro che, insieme alle loro famiglie, si trovano o possono trovarsi ad affrontare situazioni di cosi grave disagio. (3-01447)
(8 febbraio 2011)

GIANNI, SARDELLI, BELCASTRO, CALEARO CIMAN, CATONE, CESARIO, D'ANNA, GRASSANO, IANNACCONE, MILO, MOFFA, MARIO PEPE (IR), PIONATI, PISACANE, POLIDORI, PORFIDIA, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI e SILIQUINI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con l'entrata in vigore della legge regionale 14 aprile 2009, n. 5, in Sicilia si è avviato il riordino della rete sanitaria attraverso percorsi di rifunzionalizzazione e/o conversione di alcuni presidi, oltre che tramite un ridimensionamento dei posti letto disponibili per l'intero territorio siciliano;
il dettato normativo sopra citato ha definito le regole perché si avviasse una riforma generale del settore sanitario, mantenendo ed assicurando gli standard minimi perché fosse garantito il diritto all'assistenza medica e, quindi, alla salute;
tale principio, nonostante le dichiarazioni dell'assessore regionale per la salute, è stato spesso messo in secondo piano, in virtù di tagli indiscriminati e spesso contrari allo stesso dettato legislativo;
i sempre più diffusi casi di malasanità che si sono registrati nell'isola non sono, spesso, riconducibili all'incuria del comparto medico, ma più verosimilmente alle condizioni precarie in cui gli operatori sanitari si vedono costretti ad operare, con condizioni sempre più inaccettabili in termini di strutture e servizi;
nonostante la politica di tagli indiscriminati adottata dall'assessore regionale per la salute, la maggior parte delle aziende sanitarie regionali continua ad aumentare la propria situazione debitoria, a fronte di una sempre più povera offerta sanitaria;
il legislatore regionale, nell'approvare le norme di riordino sanitario di cui sopra, ha espresso con chiarezza la volontà di potenziare l'offerta ospedaliera nelle aree considerate a rischio ambientale;
nettamente in contrasto con ciò appare la decisione di procedere, sostanzialmente, al declassamento dell'Ospedale «Muscatello» di Augusta, che rischia di diventare esclusivamente un presidio per la lungadegenza, in seguito alla decisone di sopprimere il pronto soccorso e di trasferire il reparto di ginecologia e di pediatria;
nel territorio in cui ricade l'Ospedale «Muscatello», ovvero quello di Augusta, zona ad alto rischio ambientale per la massiccia presenza di produzione di idrocarburi, i casi di malattie oncologiche sono, purtroppo, annualmente in crescita;
sia nella legge regionale 14 aprile 2009, n. 5, sia nell'accordo sottoscritto il 31 luglio 2007 tra le parti in causa, in cui veniva definito il piano di contenimento e riqualificazione del servizio sanitario (piano di rientro della regione Sicilia) non si menzionano dismissioni di presidi sanitari, soprattutto se ricadenti in aree industriali a forte impatto ambientale, secondo quanto previsto dall'articolo 6, comma 3, della legge sopra citata;
a giudizio degli interroganti, la politica del Governo siciliano, in materia di sanità pubblica, si scontra, di fatto, con il dettato costituzionale in materia di diritto alla salute, penalizzando i cittadini della provincia di Siracusa, che, non solo subiscono le conseguenze determinate dal vivere in una zona a forte rischio ambientale, ma si vedono anche privare dell'unico presidio medico ospedaliero nell'area di Augusta -:
se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, accertare la compatibilità delle scelte descritte in premessa con il piano di rientro sottoscritto tra le parti e, nel caso, se non si ritenga opportuno avvalersi dei poteri sostitutivi previsti dalla normativa in materia. (3-01448)
(8 febbraio 2011)

REGUZZONI, LUSSANA, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in un farmaco il principio attivo costituisce l'ingrediente più importante, il componente chimico responsabile dell'attività curativa del medicinale;
il nostro Paese svolge il ruolo di vero e proprio leader mondiale nella produzione dei principi attivi farmaceutici; le ragioni di tale successo sono da ascriversi anche alla lunga tradizione italiana di ricerca e di presenza industriale nel campo chimico;
le numerose industrie chimiche farmaceutiche italiane di respiro internazionale si contraddistinguono per la qualità dei loro prodotti, certificata dalle norme Gmp (Good manufacturing practices), dal sistema qualità e dalla certificazione in accordo alle norme internazionali ISO 9000; la verifica del rispetto di tali norme da parte del Ministero della salute rappresenta una condizione preliminare per il rilascio alle aziende di settore dell'autorizzazione alla produzione. II successo internazionale delle aziende chimiche farmaceutiche italiane è confermato dal fatto che l'85 per cento del fatturato proviene da esportazione;
il 5 dicembre 2006 è stata approvata dal Parlamento europeo una dichiarazione sulla tutela dei consumatori finalizzata, in particolare, ad assicurare la tracciabilità dei principi attivi nei medicinali, attraverso l'apposizione di un'indicazione, sull'etichetta del farmaco, attestante il luogo di provenienza del principio attivo, le relative modalità di produzione e il rispetto degli standard di sicurezza garantiti dalle produzioni europee. La dichiarazione ha, inoltre, inteso obbligare produttori e importatori di principi attivi a presentare un «certificato di buone norme di fabbricazione (gmp)» rilasciato dalle autorità europee a seguito di ispezioni obbligatorie nelle fabbriche e nei laboratori;
l'ingresso nel mercato unico europeo di principi attivi provenienti da Paesi terzi, ma non coperti dalle medesime garanzie e non sottoposti a misure di tracciabilità, rischia di compromettere i livelli di sicurezza garantiti al consumatore in rapporto alla produzione nazionale; tale problema si pone, in particolare, per Paesi come la Cina e l'India, produttori di principi attivi, che ad oggi non devono sottoporre ad ispezione i propri laboratori per poter esportare prodotti farmaceutici in Europa. Diversamente avviene con le esportazioni di principi attivi da parte delle imprese nazionali, in quanto un'impresa europea che intenda esportare negli Stati Uniti deve sottoporre i propri laboratori ad ispezioni e soddisfare i criteri di gradimento della Food and drugs administration (Fda);
secondo uno studio pubblicato dall'Università di Würzburg per conto del Ministero tedesco per la salute, circa un terzo di tutti gli active ingredients importati sul mercato europeo nel periodo 2002-2003 da parte di Palesi non membri dell'Unione europea è contraffatto; la maggior parte dei prodotti proviene dall'India e dalla Cina (ove sono concentrati 10.000/15.000 produttori di principi attivi). I Paesi nei quali non esiste una tradizione di norme sulla qualità nella produzione possono essere fonte di gravi pericoli per gli utenti, in quanto in tali realtà le imprese non sembrano essere preparate all'implementazione delle «norme di buona fabbricazione», da tempo in uso nei Paesi occidentali;
purtroppo, i medicinali ad oggi immessi in commercio nel nostro Paese non recano né sulla confezione, né sul foglietto informativo l'indicazione del luogo di produzione del principio attivo associato al farmaco; paradossalmente, una ben più ampia informazione è garantita al consumatore in relazione al luogo di produzione dei principali prodotti alimentari, che pure non costituiscono prodotti sanitari in senso tecnico, pur potendo condizionare in forma anche grave la salute umana -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per promuovere la produzione nazionale di qualità nel settore farmaceutico, offrendo ai consumatori un'effettiva trasparenza in merito alla provenienza dei principi attivi contenuti nei medicinali immessi in commercio nel nostro Paese. (3-01449)
(8 febbraio 2011)

BALDELLI e SBAI. -Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
si stima che nel mondo 140 milioni di donne e ragazze siano colpite dalle mutilazioni genitali, di cui circa 35 mila tra le immigrate in Italia;
questa pratica viola i diritti umani fondamentali delle donne e minaccia gravemente la loro salute;
il 6 febbraio 2011 si è celebrata in tutto il mondo la giornata mondiale contro l'infibulazione e le mutilazioni genitali femminili -:
quali siano le iniziative del Governo per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. (3-01450)
(8 febbraio 2011)

LANZILLOTTA - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con il «decreto milleproroghe», adottato alla fine di dicembre 2010, è stata disposta la cessazione delle norme del cosiddetto decreto Pisanu in materia di accesso alle reti wi-fi e di oneri burocratici per i gestori e fruitori di internet point;
tale decisione, adottata dal Governo anche a seguito di un'iniziativa parlamentare bipartisan e di una grande mobilitazione della rete, è stata salutata con favore e, per quanto riguarda l'interrogante, con un esplicito plauso al Ministro interrogato per avere egli colto la necessità di agire per la massima diffusione dell'accesso a internet;
va rilevato, tuttavia, che, pur avendo il decreto per sua natura, immediata efficacia, l'accesso alle reti wi-fi non risulta affatto liberalizzato -:
come il Ministro interrogato, dopo gli annunci mediatici, intenda dare effettivo corso alla liberalizzazione dell'accesso alla rete. (3-01451)
(8 febbraio 2011)

ZAZZERA, DONADI, EVANGELISTI e BORGHESI - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato su L'espresso del 29 ottobre 2010 si apprende che la polizia postale italiana ha stretto un patto di collaborazione a Palo Alto, in California, che consente l'attivazione di controlli sulle pagine dei social network, senza previa autorizzazione della magistratura;
la finalità dell'intesa è quella di prevenire i reati, che certamente trovano terreno fertile in internet, ma la mancata autorizzazione del pubblico ministero ai fini della suddetta attività investigativa certamente lede diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini;
a ciò va aggiunto che su social network come Facebook, che solo in Italia conta quasi 17 milioni di profili, è sufficiente «dare amicizia» a qualcuno sospetto per la polizia, perché si attivi il meccanismo del controllo preventivo;
nei fatti, dunque, come si legge nell'articolo, le forze dell'ordine hanno «il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali» senza alcuna autorizzazione, né della magistratura, né, ovviamente, nostra. L'utente del social network non sa e non saprà mai di essere costantemente monitorato dalle forze dell'ordine;
gli interroganti ritengono, pertanto, violato l'articolo 13 della Costituzione, che recita: «Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»;
l'articolo sopra menzionato, inoltre, riporta le dichiarazioni di un ufficiale dei carabinieri, il quale ammette chiaramente che le violazioni della legge sulla privacy avvengono «con disinvoltura». In particolare, parlando delle tecniche usate su internet dalle forze dell'ordine, l'ufficiale riferisce che, creando false identità, il carabiniere «virtuale» entra in contatto con la persona su cui si vuole raccogliere informazioni, e non solo, perché, infiltrandosi nel suo gruppo, riesce molto rapidamente a diventare «amico» di tutti i soggetti con i quali è in relazione;
di tale attività, prosegue l'ufficiale, non sempre si fa un resoconto alla procura e nei verbali ci si limita a «citare una fantomatica fonte confidenziale»;
l'agenzia Ansa del 28 ottobre 2010, ripresa su L'espresso del 29 ottobre 2010, riporta le dichiarazioni del direttore della polizia postale e delle comunicazioni, Antonio Apruzzese, con cui smentisce «la possibilità di entrare nei domicili informatici, né nelle caselle postali degli utenti internet, senza autorizzazione della magistratura»;
la risposta de L'espresso, contenuta nel medesimo articolo del 29 ottobre 2010, appare assolutamente coerente. Il quotidiano, infatti, conferma parola per parola quanto pubblicato dall'Ansa il giorno 28 ottobre 2010, precisando che per la stesura dell'articolo sono state utilizzate «proprio fonti interne alla polizia postale», peraltro contattate direttamente dal giornale;
inoltre, precisa L'espresso, le informazioni sono state confermate «da altre fonti autorevoli e qualificate della polizia e dei carabinieri»;
L'espresso aggiunge, infine, che il dirigente della polizia postale contattato, nel descrivere l'accordo raggiunto in California, avrebbe precisato: «L'accordo prevede la collaborazione tra Facebook e la polizia delle comunicazioni che prevede di evitare la richiesta all'autorità giudiziaria e un decreto per permettere la tempestività, che in questo settore è importante». Sulle ripercussioni dell'accordo avrebbe detto: «La fantasia investigativa può spaziare, si tratta di osservazioni virtuali, che verranno utilizzate anche in indagini preventive»;
il direttore Apruzzese non ha, di fatto, smentito i gravissimi fatti riportati su L'espresso -:
quale sia l'esatto contenuto del patto di collaborazione sottoscritto dalla polizia postale italiana a Palo Alto, in California, citato in premessa. (3-01452)
(8 febbraio 2011)

OCCHIUTO, ZINZI, GALLETTI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, VOLONTÈ e RIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, stabilisce all'articolo 14, comma 2, che i trasferimenti erariali, comprensivi della compartecipazione irpef, dovuti alle province dal Ministero dell'interno sono ridotti di 300 milioni di euro per l'anno 2011 e di 500 milioni di euro per l'anno 2012;
l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, demanda alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali di fissare criteri e modalità di riparto, secondo principi che tengano conto dell'adozione di misure idonee ad assicurare il rispetto del patto di stabilità interno, della minore incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva e del conseguimento di adeguati indici di autonomia finanziaria;
la norma citata prevede che, in caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro i 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del suddetto decreto, il Ministero dell'interno, entro i successivi 30 giorni, emani il decreto di riparto di riduzione dei trasferimenti secondo un criterio proporzionale;
per l'anno 2011 il decreto ministeriale ha previsto una riduzione di trasferimenti in modo proporzionale a ciascuna provincia, per un ammontare pari al 22,934 per cento, rispetto all'importo assunto a base di riferimento per la riduzione, quest'ultimo costituito dal totale generale di trasferimenti erariali attribuiti in spettanza alla data del 16 novembre 2010, con la sola esclusione delle somme relative alla restituzione dell'addizionale energetica dell'anno 2004;
il criterio di riduzione proporzionale, pari a 22,934 per cento per ogni provincia, previsto dal citato decreto ministeriale, ha determinato un considerevole squilibrio oggettivo tra le medesime province, in quanto alcune concorrono al risanamento dei conti pubblici con un'incidenza media pro capite di 3 euro, mentre altre concorrono con un'incidenza di 18 euro pro capite;
pertanto, il decreto ministeriale appare in contrasto con quanto previsto dalla legge n. 122 del 2010, che, ai fini delle decurtazioni, fa riferimento esclusivamente ai trasferimenti erariali e alle compartecipazioni irpef, mentre nel decreto sono state inclusi anche i trasferimenti relativi alle funzioni trasferite con decreto-legge n. 112 del 2008 (strade competenza Anas - mercato del lavoro);
in particolare, dal quadro di riparto pubblicato dal Ministero dell'interno, si evince una sperequazione tra le province, in quanto alcune concorrono alla riduzione dei trasferimenti con una percentuale altissima, mentre altre in maniera minore;
sarebbe, quindi, auspicabile un criterio più oggettivo ed equo, al fine di concorrere, da parte di tutti, al risanamento dei conti pubblici -:
se i tagli citati abbiano interessato anche il fondo di perequazione e quali iniziative urgenti intenda assumere per apportare i necessari e opportuni correttivi al criterio adottato con il decreto ministeriale del 9 dicembre 2010, al fine di pervenire ad un riparto più equo tra le province, che tenga conto esclusivamente dei trasferimenti erariali, compresa la compartecipazione irpef, e non anche delle spettanze relative alle funzioni trasferite, che, peraltro, non sono state adeguate al tasso di inflazione programmato, tenuto conto che le suddette decurtazioni comporterebbero un mancato espletamento delle stesse funzioni. (3-01453)
(8 febbraio 2011)

FONTANELLI, REALACCI, VENTURA, MARAN, LENZI, QUARTIANI, GIACHETTI, GATTI, GHIZZONI e MELANDRI - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel 1998 a Pisa, in occasione della costruzione di un nuovo centro direzionale delle Ferrovie dello Stato, ubicato poco all'esterno delle mura della città medievale e in seguito al rinvenimento nel suolo sottostante di importanti parti di manufatti lignei, si decise di procedere all'esplorazione del sito ferroviario, allestendo un cantiere di carattere estensivo, denominato cantiere delle «Navi antiche di Pisa»;
lo straordinario ritmo incalzante di rinvenimenti, sedici relitti, interi o parzialmente conservati, individuati in pochi mesi portò, nell'estate del 1999, alla decisione di destinare l'intera area alla ricerca archeologica. Dal dicembre 1999, stipulato l'accordo che passava alla soprintendenza la piena responsabilità dello scavo, si è proceduto con una nuova strategia di intervento, che, secondo i principi della stratigrafia archeologica, permettesse il recupero e il trasferimento dei relitti individuati in luoghi adatti alla conservazione e al restauro;
lo scavo archeologico, all'avanguardia sia per le attrezzature impiegate per il recupero sia per il restauro dei materiali, agibile e visitabile anche da parte del pubblico, costituisce un esempio di straordinaria rarità e unicità nel panorama degli scavi archeologici mondiali;
come lamenta l'articolo di Giovanni Parlato, pubblicato il 5 dicembre 2010 su Il Tirreno, il prezioso sito archeologico delle «Navi antiche di Pisa» si trova in stato di semiabbandono e di limbo senza alcuna certezza per il suo futuro, in ragione degli scarsissimi fondi messi a disposizione dal Ministero per i beni e le attività culturali, che rendono ancora più incerto il prosieguo dello scavo e del progetto del Museo delle navi, che dovrebbe essere ospitato negli arsenali medicei alla Cittadella;
dal 1998, anno della scoperta in occasione dei lavori per l'ampliamento della stazione di San Rossore, al 2010 sono stati stanziati 13 milioni di euro, ma già uno studio di fattibilità dell'epoca indicava come necessari 25 milioni di euro. Attualmente si sopravvive con 300 mila euro del finanziamento per il mantenimento del cantiere aperto, che non permette, però, altra attività e per il 2011 sono previsti solo 20 mila euro, come denunciato dall'articolo de la Repubblica del 13 dicembre 2010, che parla di «rischio collasso» entro pochi mesi -:
quali iniziative urgenti intenda assumere per mettere a disposizione fondi sufficienti al prosieguo dell'importante scavo archeologico delle «Navi antiche di Pisa» e se non ritenga opportuno farsi parte attiva per l'inserimento del sito fra i beni tutelati dall'Unesco, come altri gioielli artistici della città di Pisa e d'Italia. (3-01454)
(8 febbraio 2011)