TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 547 di Martedì 8 novembre 2011

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INTERPELLANZE ED INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   BURTONE. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   migliaia di braccianti, residenti soprattutto nel territorio del Calatino, si sono visti bloccare l'indennità di disoccupazione agricola;
   a subire la sospensione dell'indennità sono stati braccianti e piccoli proprietari agricoli che hanno dovuto fatturare la vendita degli agrumi prodotti;
   si stanno creando gravi disagi economici con conseguenti tensioni sociali –:
   quali iniziative intenda adottare per ristabilire una condizione di regolarità nell'assegnazione della dovuta indennità di disoccupazione agricola ai braccianti in regola con i versamenti ricevuti dalle aziende ed evitare le conseguenze economiche-sociali in una comunità già pesantemente colpita dalla crisi. (3-01784)
(28 luglio 2011)

B) Interpellanza ed interrogazione

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2006 la banca del cordone di Sciacca è stata chiusa a causa di un'inchiesta giudiziaria che ha coinvolto l'allora direttore dell'unità operativa, servizio trasfusionale e banca del cordone ombelicale e la biologa specialista in genetica;
   di recente è intervenuta la sentenza di assoluzione definitiva per entrambi, «perché il fatto non sussiste», sia in sede penale, che innanzi alla Corte dei conti;
   la struttura ha continuato a rimanere chiusa, anche successivamente alle assoluzioni di cui sopra, praticamente fino ad oggi, con grave danno per l'intera collettività dato che la banca ordinariamente cedeva ai bambini che ne avessero avuto bisogno un cordone al mese e, per tale attività, ha ricevuto attestati di merito da parte dei migliori centri di trapianti del mondo con i quali ha collaborato (Parigi, Londra, Oxford, Seattle, Gerusalemme, Oslo, Philadelphia, New York, Istambul e altri);
   lo scopo principale di una banca del cordone è quello di cedere i cordoni, salvando così la vita di ammalati, soprattutto bambini, che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivere;
   la struttura di Sciacca dispone già di 20.000 cordoni di cui, però, solo la metà è stata studiata e tipizzata, perché, nonostante fosse stata finanziata la somma di due milioni di euro per il completamento dello studio delle unità raccolte, l'amministrazione sanitaria del tempo non vi ha dato corso, nonostante sarebbe stato invece prioritario completare lo studio delle unità già raccolte al fine di renderle idonee e disponibili immediatamente al trapianto, salvando così tante vite umane;
   negli anni passati, con procedure amministrativamente ad avviso degli interpellanti discutibili, è stata realizzata una nuova area di stoccaggio dal costo di circa 12 milioni di euro per la raccolta di ulteriori 70.000 sacche;
   tale nuova struttura risulterebbe assolutamente inutile considerato che il fabbisogno nazionale è di 40/50 mila sacche;
   dal punto di vista scientifico, come confermato da numerosi esperti, tale struttura non sarebbe utile, poiché con le unità già raccolte la struttura si garantisce la più ampia varietà genetica necessaria per la popolazione e che, quindi, anche aumentando la raccolta, non aumenterebbe la probabilità di compatibilità per i pazienti in attesa di trapianto;
   il professor Rebulla, direttore della banca di Milano e coordinatore delle banche italiane, in un articolo pubblicato da Il Corriere della Sera il 5 settembre 2010, ha sostenuto, a conferma di quanto sopra, che in Italia servono 50-60 mila cordoni per tutta la popolazione e che i cordoni devono essere rappresentativi di tutta la popolazione e, per questo, devono essere raccolti equamente su tutto il territorio nazionale;
   la banca di Sciacca, sotto la precedente direzione, aveva raggiunto la soglia di 20.000 cordoni, in seguito ad un progetto condiviso con l'assessorato regionale alla sanità, allo scopo di sopperire alla carenza dei donatori di midollo in Sicilia;
   peraltro, alle 18.929 sacche conservate presso l'ospedale di Sciacca, in Italia ne esistono, come documentato dal report del Centro nazionale sangue del 2008, altre 7.000 a Milano, 2.867 a Pavia, 3.126 a Bologna, 1.585 a Padova, 1.374 a Firenze, 1.602 a Pescara, 1.718 a Torino, altre 1.500 a Napoli, nonché in altri siti, per un totale sufficiente alla copertura del fabbisogno nazionale;
   al costo di tale megastruttura, come ha dichiarato alla stampa l'attuale direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale, oltre al costo dell'impianto che comporterebbe un esborso di 120.000 euro al mese, ve ne sarebbe uno aggiuntivo per le spese di gestione di 30.000 euro al mese;
   l'attuale direttore generale ha inserito nell'atto aziendale che disciplina i servizi la banca del cordone ombelicale di Sciacca, al fine di utilizzare il contributo di 1.800.000 euro erogato dal Ministero della salute e di proseguire nella raccolta, per attivare azioni correttive, caratterizzare le donazioni ed inserire la banca nel circuito mondiale e salvare vite umane;
   su tutta la vicenda è stata disposta un'ispezione della Regione siciliana di cui ancora non sono state rese note le risultanze, mentre la struttura è stata commissariata proprio perché non sarebbe stata riattivata la raccolta –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se sia a conoscenza, altresì, della realizzazione della megastruttura di stoccaggio della banca del cordone di Sciacca e se ritenga o meno che tale struttura sia coerente con il fabbisogno nazionale di cordoni ombelicali;
   se sia noto in base a quali criteri scientifici si procederà a riattivare la raccolta di ulteriori cordoni, dal momento che la struttura garantisce già adesso la più ampia varietà genetica necessaria per la popolazione;
   se abbia verificato le modalità di utilizzo delle somme erogate dal Ministero della salute citate in premessa e quali siano le ragioni per cui siano stati assegnati fondi per l'incremento delle raccolte di cordoni ombelicali;
   se non ritenga, pertanto, di impegnarsi per la riapertura, la piena funzionalità ed il mantenimento della banca del cordone ombelicale di Sciacca.
(2-00836) «Capodicasa, Antonino Russo».
(29 settembre 2010)

   MARINELLO, VINCENZO ANTONIO FONTANA, PAGANO e GERMANÀ. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   le cellule staminali del cordone ombelicale sono in grado di combattere le malattie del sangue, poiché, essendo identiche a quelle del midollo osseo, possono essere utilizzate nei trapianti in pazienti affetti da leucemie ed altre malattie del sangue;
   la caratteristica principale di queste cellule staminali è che in un trapianto il livello di compatibilità di cui queste cellule hanno bisogno è del 70 per cento, a differenza di quelle trapiantate dal midollo osseo, le quali hanno bisogno di un livello i compatibilità di circa il 99 per cento;
   la possibilità di effettuare trapianti con sangue cordonale ha indotto alla costituzione di vere e proprie «banche» dove vengono conservate le unità di sangue cordonale raccolte;
   in Italia, le banche di sangue cordonale, istituite esclusivamente all'interno di strutture pubbliche, svolgono la loro attività in base a standard di qualità e di sicurezza definiti a livello nazionale ed internazionale;
   la legge 21 ottobre 2005, n. 219, ha previsto la predisposizione da parte del Ministero della salute – con proprio decreto e previo accordo con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano – di un progetto per l'istituzione di una rete nazionale di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale a fini di trapianto;
   la rete nazionale italiana è attualmente composta da 18 banche, distribuite su tutto il territorio nazionale, già riconosciute idonee dalle regioni di appartenenza in base alle vigenti disposizioni in materia trasfusionale e all'accordo Stato-regioni del 10 luglio 2003, fatto salvo il regime autorizzativo e di accreditamento introdotto dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, per le banche di nuove istituzione;
   la banca del sangue del cordone ombelicale, situata presso il servizio di medicina trasfusionale dell'ex azienda ospedaliera «Ospedali civili riuniti» Giovanni Paolo II di Sciacca, fa parte della rete italiana di banche per la conservazione del sangue del cordone ombelicale, coordinata a livello centrale dal Centro nazionale sangue in collaborazione con il Centro nazionale trapianti, per i rispettivi ambiti di competenza;
   attualmente la banca del cordone ombelicale di Sciacca assicura – con i 20.000 cordoni già raccolti – la varietà genetica che garantisce la massima compatibilità nella popolazione regionale;
   aumentando il numero dei cordoni raccolti, pertanto, non cresce la probabilità di compatibilità per i malati in attesa di trapianto ma, al contrario, cresce il numero dei cordoni con lo stesso codice genetico che non potranno essere ceduti;
   la percentuale di doppioni nella banca di Sciacca si attesta, con i dati relativi alle unità già tipizzate, intorno all'8 per cento ed è facile prevedere che tale percentuale raggiungerà il 15-18 per cento una volta tipizzati tutti i cordoni già raccolti;
   la crescita del numero dei doppioni non solo non si traduce nell'aumento per i pazienti delle probabilità di trovare, tra i nuovi, quello compatibile, ma rappresenta, altresì, un costo non indifferente per l'azienda in quanto la loro conservazione richiede gran di quantità di azoto liquido;
   la cessione dei cordoni tipizzati, invece, risulta assai più vantaggiosa, sia dal punto di vista economico che da quello – ben più importante – medico, in quanto dà il 62 per cento di possibilità di guarire ai bambini affetti da gravi malattie ematologiche che – in assenza di trapianto – sarebbero condannati a morte sicura;
   nell'ultimo anno la banca del sangue cordonale di Sciacca ha ceduto ai bambini di tutto il mondo un cordone al mese e la cessione può raddoppiare una volta che tutti i cordoni saranno tipizzati;
   la presenza dei doppioni nelle banche del sangue del cordone ombelicale è un limite per la struttura di Sciacca, così come non è utile la raccolta indiscriminata fatta quotidianamente per aumentare il numero delle unità (il cui costo è di 1 milione di euro all'anno), mentre deve aumentare la raccolta delle unità dedicate;
   le 20.000 unità criopreservate fanno della banca del cordone ombelicale di Sciacca un fiore all'occhiello della sanità regionale e nazionale, nonché un polo di eccellenza in Europa e nel mondo alla pari con la struttura di New York –:
   quali tempestive iniziative, anche di natura economica, intenda adottare – nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni dalla legislazione vigente – al fine di incentivare, in tutte le banche appartenenti alla rete nazionale per la conservazione di sangue da cordone ombelicale, ed in particolare nella struttura di Sciacca, la cessione delle unità tipizzate, la tipizzazione delle unità di cui non si conosce il codice genetico e la raccolta delle unità dedicate;
   anche in considerazione della rilevanza nazionale della banca del cordone ombelicale di Sciacca, quali siano le azioni di competenza intraprese per la salvaguardia delle attività di detta struttura.
(3-01928)
(7 novembre 2011)
(ex 4-06865 del 21 aprile 2010)

C) Interrogazione

   BINETTI. – Ai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   le malattie rare sono patologie potenzialmente letali e cronicamente debilitanti, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità. Sono, in gran parte, di origine genetica e comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite, patologie di origine infettiva o tossica;
   l'Unione europea ha indicato le malattie rare tra i temi prioritari delle politiche sanitarie, al fine di stabilire l'uguaglianza del trattamento dei cittadini rispetto ai livelli essenziali di assistenza stabiliti dagli Stati membri;
   ai sensi del regolamento (CE) n. 141/2000 e delle precedenti normative, sono considerate rare quelle patologie «la cui incidenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti». In Italia ci sarebbero circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica. L'80 per cento di queste patologie è di origine genetica e per il restante 20 per cento si tratta si malattie acquisite;
   l'arbitraria definizione di «rara» non ha favorito il processo di ricerca e di attenzione sulle cause di tali patologie e, pertanto, il soggetto colpito non beneficia di cure adeguate e di una diagnosi tempestiva;
   l'associazione culturale «Giuseppe Dossetti: i Valori – Sviluppo e Tutela dei Diritti» da dieci anni si batte per ottenere una legislazione adeguata che dia a tutti i pazienti le stesse possibilità di diagnosi, cura ed assistenza e che incentivi la ricerca e la produzione di farmaci. L'associazione, che esplica la sua attività anche attraverso l'osservatorio di tutela civica dei diritti, chiede da tempo che vengano adottate le iniziative normative necessarie per incentivare e promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'immissione in commercio dei medicinali cosiddetti «orfani»;
   ad oggi, in Italia, non è stata ancora approvata una legge idonea ad affrontare e risolvere le tante problematiche dei pazienti e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di tipo economico ed assistenziale, specie per ciò che concerne la terapia domiciliare, ma soprattutto a causa della grave carenza di strutture e farmaci adeguati alla cura di tali patologie, nonostante dalla XII legislatura ad oggi siano stati depositati 33 proposte di legge al riguardo;
   risulta non più differibile la necessità che il nostro Paese si allinei alle procedure che, negli altri Paesi, garantiscono ai cittadini affetti da malattie rare di accedere tempestivamente alle terapie innovative;
   in Francia, in particolare, è stato adottato da tempo un piano nazionale per le malattie rare e già dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci (atu), che ha finalità di garantire l'accesso alle cure ai pazienti in tutti i casi in cui, di fronte ad una malattia rara, ma anche solo «seria», non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco registrato;
   l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci ha come finalità quella di consentire l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato;
   lo schema dell'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci, applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere disponibili tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici ed all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione;
   il citato regolamento (CE) n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare;
   in Italia, l'inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri e prontuari terapeutici ospedalieri regionali spesso ritarda ulteriormente l'accesso alla terapia da parte dei pazienti affetti da malattie rare. Le amministrazioni regionali non differenziano i farmaci orfani all'interno delle loro delibere attuative e d'indirizzo, creando così ulteriori difficoltà (ad esempio, limitazione della dispensazione del medicinale – non solo della prescrizione – ai centri di riferimento che sono spesso unici o comunque pochissimi per ogni regione);
   diventa sempre più necessario dare una definizione delle malattie rare da includere nell'elenco di quelle da sottoporre a screening neonatale obbligatorio. La diagnosi neonatale consentirebbe, infatti, di salvare la vita dei bambini affetti dalle forme più gravi di tali patologie ed otterrebbe il beneficio di iniziare precocemente la terapia prima che i danni causati siano irrimediabili;
   nel convegno sugli «Stati generali delle malattie rare», tenutosi a Roma il 4 marzo 2011, organizzato dall'associazione culturale «Giuseppe Dossetti: I valori – Tutela e sviluppo dei diritti» e presieduto dall'interrogante, è stata evidenziata, all'unanimità dall'assemblea, la necessità di prendere urgenti iniziative in merito a quanto sopra esposto;
   in un momento in cui c’è un grande dibattito sulla libertà di cura e alcuni si spingono fino a reclamare il diritto al rifiuto totale delle cure, i malati con malattia rara chiedono con insistenza che venga riconosciuto il loro diritto alle cure, diritto sancito dalla Costituzione, all'articolo 32, comma 1;
   sono state presentate in Parlamento in più legislature numerose proposte di legge volte a tutelare i diritti dei pazienti con malattie rare impegnati a sostenere un ricerca scientifica in grado di rispondere alle loro necessità;
   alla sofferenza dei pazienti con malattie rare spesso progressive si unisce lo scarso interesse delle case farmaceutiche ad investire mezzi e risorse che possano offrire soluzioni adeguate per questi pazienti; anche le case farmaceutiche devono mettere in gioco un'etica della ricerca che non sia solo volta al profitto, ma che comprenda l'urgente drammaticità di dare risposta a 2 milioni di persone perché tante sono le persone che soffrono di malattie rare in Italia –:
   se i Ministri interrogati ritengano necessario adottare iniziative urgenti volte a:
    a) fare chiarezza sul numero reale degli ammalati presenti in Italia, al fine di creare una corretta proporzione tra pazienti e fondi da stanziare a loro favore, posto che la chiarezza delle cifre e soprattutto la veridicità delle stesse permettono l'uso di risorse pubbliche di cui oggi c’è veramente bisogno;
    b) dare immediato seguito alla richiesta di inserire nei livelli essenziali di assistenza le 109 patologie rare che, dal 2008, dovrebbero essere inserite nell'elenco delle 500 malattie rare già riconosciute dal Servizio sanitario nazionale;
    c) assicurare la defiscalizzazione degli oneri per la ricerca e la produzione di farmaci orfani, considerato che il nostro Paese e la nostra industria devono essere messi in condizione di reinvestire in ricerca e in sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno, quando possibile;
    d) semplificare le procedure di incentivazione delle aziende, affinché possano accrescere il loro livello di competitività, favorendole attraverso detrazioni fiscali o incentivi economici, che garantiscano lo sviluppo di un settore fondamentale per il nostro Paese;
    e) promuovere modifiche normative che consentano di adottare uno specifico sistema legale che assicuri ai farmaci orfani, sul modello vigente negli Usa, l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio, una procedura di registrazione accelerata, un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica, un periodo di esclusività di mercato di sette anni, in modo che i farmaci orfani possano essere disponibili per i pazienti prima che sia stata data l'approvazione per l'immissione in commercio, mentre oggi (secondo i dati Cerm – Centro ricerche competitività, regolazione, mercati, riferiti al 2009) trascorrerebbero circa 233 giorni, cioè quasi 8 mesi, tra la disponibilità di un farmaco orfano e l'effettivo accesso a questo da parte dei malati.
(3-01498)
(7 marzo 2011)

D) Interrogazione

   MARIANI, VERINI e GHIZZONI. – Ai Ministri per i beni e le attività culturali, della difesa e dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   Sant'Anna di Stazzema è da sempre un luogo capace di esprimere una grande spiritualità che deriva non solo da essere un luogo di memoria di avvenimenti dolorosi, ma soprattutto dalla capacità che ebbero negli anni successivi i superstiti e i custodi di quella memoria di trasformare l'orrore di quel tragico 12 agosto 1944 in un impegno perenne per la costruzione di un mondo in cui episodi analoghi non avessero più luogo e sparissero dalla storia dei popoli;
   con la legge n. 381 del 11 dicembre 2000 è stato istituito a Sant'Anna di Stazzema il parco nazionale della pace con lo scopo di promuovere iniziative culturali e internazionali, ispirate al mantenimento della pace e alla collaborazione dei popoli, per costruire il futuro anche sulle dolorose memorie del passato, per una cultura di pace e per cancellare la guerra dalla storia dei popoli;
   ogni anno si svolgono manifestazioni, incontri nazionali ed internazionali, convegni, mostre permanenti e temporanee, proiezioni di film e spettacoli sui temi della pace e del disarmo; si promuovono e si pubblicano studi e documentazioni; si ospita inoltre una biblioteca specializzata sui temi della pace e sul movimento pacifista italiano e internazionale;
   il museo di Sant'Anna di Stazzema è il museo toscano non statale più visitato con oltre 50.000 presenza certificate ed oltre 200 scolaresche che ogni anno salgono in questo piccolo paese della Versilia, molte delle quali vengono dall'estero e in gran parte dalla Germania;
   al mantenimento delle attività che si svolgono al parco nazionale di Sant'Anna di Stazzema, ovvero l'accoglienza, le visite, l'elaborazione di programmi e progetti, le relazioni con realtà analoghe in Italia e nel mondo, si provvede con risorse del comune di Stazzema, con un finanziamento annuale della regione Toscana e con i contributi previsti dalla legge n. 381 dell'11 dicembre 2000 che, all'articolo 5, comma 2, recita: «Per le spese di funzionamento del “Parco nazionale della pace” è autorizzato un contributo in favore del comune di Stazzema nel limite massimo di lire 100 milioni in ragione di anno a decorrere dal 2000. Al relativo onere si provvede, per gli anni 2000, 2001 e 2002, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 2000, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della difesa»;
   in questi anni il comune di Stazzema si è accollato l'onere di fare da organo di gestione del parco nazionale della pace in attesa che la regione Toscana stabilisse (articolo 3, comma 2, della legge 381 del 2000) le modalità di gestione del parco stesso;
   a seguito della legge regionale della Toscana n. 81 del 28 dicembre 2009 è stata costituita una fondazione per la gestione del parco nazionale della pace;
   il contributo dello Stato non è stato erogato dal 2001 al 2006: le sei annualità furono recuperate a partire dal 2007. L'erogazione nel 2007, 2008, 2009 è avvenuta invece, in maniera regolare;
   la mancata erogazione dell'annualità 2010, che ha messo in crisi le finanze del comune di Stazzema, e la conferma del taglio del finanziamento sarebbero una grave ferita non solo per ragioni finanziarie, ma soprattutto per ragioni di carattere culturale e in certo modo politico-istituzionali; far venire meno un significativo impegno per la pace, visto anche lo scenario mondiale di recrudescenza dei fenomeni di intolleranza e guerra tra i popoli assume un significato simbolico molto pesante –:
   quando si provvederà all'erogazione dell'annualità 2010 del contributo di euro 50.000,00 che si deve corrispondere per il funzionamento del parco nazionale della pace di Sant'Anna di Stazzema;
   come si intenda provvedere affinché il finanziamento stabilito per legge pari a 50.000,00 euro venga corrisposto ad ogni esercizio finanziario dallo Stato con la necessaria puntualità a cadenza annuale;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per adeguare, aumentandolo, detto contributo come segnale di attenzione del Governo alla costruzione di una politica di dialogo tra i popoli in un momento di così tragica crisi a livello internazionale. (3-01925)
(7 novembre 2011)
(ex 5-04452 del 24 marzo 2011)

E) Interrogazione

   GHIZZONI e SANI. – Al Ministro per i beni e le attività culturali. – Per sapere – premesso che:
   la Chiesa della Madonna delle Grazie è uno degli edifici sacri più antichi di Orbetello (Grosseto): essa risale, infatti, al secolo IX. In particolare, l'interno è decorato da due affreschi quattrocenteschi mariani, uniche testimonianze artistiche degli stretti legami di Orbetello con la Siena del Rinascimento, la cui esecuzione ha probabilmente a che fare con la residenza orbetellana del pittore senese Neroccio de’ Landi;
   nel secolo XVIII la chiesa fu ridotta, privata delle navate laterali ed inglobata all'ospedale San Giovanni di Dio (ex ospedale cittadino);
   la funzione di chiesa «ospedaliera» ha accentuato il ruolo sociale e identitario assunto dal sacro edificio per l'intera comunità di Orbetello, almeno fino al 2003;
   nel luglio del 2003, la giunta cittadina, guidata dal sindaco Rolando Di Vincenzo, ha venduto alla società romana Global service l'ex ospedale cittadino di San Giovanni di Dio (6.200 metri quadrati, in parte antichi e in zona pregiatissima) per la cifra di 3.620.000 euro, per un'iniziativa di carattere immobiliare;
   la successiva giunta comunale, guidata dall'attuale Ministro Altero Matteoli, ha proseguito il progetto di alienazione del descritto complesso storico, nonostante il valore per la memoria civica e religiosa di Orbetello;
   l'antica Chiesa della Madonna delle Grazie ha, pertanto, seguito l'ex ospedale nel destino dell'alienazione per approdare, purtroppo, ad una deprecabile condizione di degrado: essa è aggredita da numerose infiltrazioni d'acqua, le opere e gli arredi sacri rimasti sono stati esposti alle intemperie e all'incuria, la campana quattrocentesca che da secoli chiamava gli orbetellani «ad Mariam» è stata rubata;
   l'accesso alla chiesa è attualmente interdetto; all'ultima ricognizione, risalente a due anni fa, effettuata da un gruppo di cittadini mobilitati per la salvaguardia dello storico edificio, lo stato di abbandono appariva totale e coinvolgeva anche il patrimonio documentario appartenente all'antica parrocchia medievale (un libro dei morti, infatti, si decomponeva sulla pavimentazione);
   a fronte di tale deprecabile situazione, inflitta ad bene storico con funzione pubblica, si è opposto l'impegno crescente dei cittadini di Orbetello; in particolare, il circolo culturale «Gastone Mariotti» ha indirizzato una denuncia (nell'ottobre 2008) alla soprintendenza ai beni culturali della Toscana, purtroppo caduta nel vuoto: ad oggi, infatti, permane la condizione di intollerabile degrado –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano le motivazioni che hanno indotto la soprintendenza a non intervenire per tutelare la Chiesa della Madonna delle Grazie di Orbetello;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per preservare il sacro edificio, espressione del patrimonio storico-artistico toscano e nazionale. (3-01926)
(7 novembre 2011)
(ex 5-05366 del 21 settembre 2011)

F) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nel comune di Occhiobello (Rovigo), in via Piacentina, n. 22, sorge un complesso agroalimentare della ditta Eurovo srl, ubicato a circa 500 metri dalle prime abitazioni e attività industriali e artigianali, a meno di un chilometro dai centri commerciali, attività sportive, bar, ristoranti ed altro e a meno di due chilometri dalle zone residenziali;
   l'attività consiste nell'allevamento di circa 720.000 galline, per la produzione di uova e di ovoprodotti in genere, effettuato in 8 edifici industriali di uguali dimensioni. I capannoni di allevamento e la relativa attività è affidata in gestione alla società agricola Occhiobello srl;
   da anni tale attività è causa di cattivi odori (a volte insopportabili) e di una proliferazione abnorme di mosche che da marzo a novembre invadono letteralmente il paese;
   tanto le problematiche connesse all'emissione di cattivi odori quanto quelle inerenti alla presenza abnorme di mosche sembrano originare dalla cosiddetta «pollina», ossia dalle materie fecali degli allevamenti avicoli, accumulata in quantitativi massicci negli impianti in esame per intervalli di tempo molto lunghi e, in particolare, nel periodo primaverile-estivo, nel quale si riproducono gli insetti e le condizioni atmosferiche favoriscono la propagazione e la percezione delle emissioni maleodoranti;
   la particolare entità di tali cattivi odori è anche documentata nella relazione presentata al tribunale di Rovigo dal dottor Davoli, consulente tecnico d'ufficio nominato dallo stesso tribunale a seguito dell'esposto presentato dal Comitato ambiente e salute di Occhiobello. In tale relazione si conclude in termini indiscutibili nel senso della presenza di «molestie olfattive» nelle aree a sud-ovest e ad est di Occhiobello fino ad una distanza di 1-1,5 chilometri (in linea d'aria);
   la popolazione che abita e lavora nei pressi del sito in questione è particolarmente preoccupata atteso che:
    a) nelle emissioni di questi allevamenti c’è una grossa concentrazione di ammoniaca ed altri componenti (idrogeno solforato e protossido d'azoto);
    b) il canale Mainarda, in cui scarica il depuratore dello stabilimento Eurovo, è da tempo oggetto di pesante inquinamento organico e biologico;
   tale situazione sta creando una tensione ambientale grave con i residenti, che, oltre a dover convivere giornalmente con i suddetti problemi, vedono fortemente deprezzati i propri immobili. A ciò si aggiunge che un'azienda di agriturismo presente in quella zona sta per chiudere ed altre attività produttive, alberghi compresi, hanno registrato un forte calo del proprio volume d'affari sempre a causa delle maleodoranti immissioni nell'aria e del proliferare delle mosche –:
   di quali elementi disponga sulla situazione segnalata in premessa;
   quali siano gli indirizzi del Governo riguardo la permanenza sul territorio di allevamenti avicoli intensivi in batteria con sistema a fossa profonda;
   quali azioni si intendano intraprendere per porre rimedio alla carenza di normativa sulle emissioni odorigene in atmosfera.
(2-00374) «Barbieri».
(5 maggio 2009)


MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALL'ACCESSO AL TRATTAMENTO PREVIDENZIALE PER I LAVORATORI IN MOBILITÀ

   La Camera,
   premesso che:
    il 30 luglio 2010 veniva convertito in legge il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, dal titolo «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»;
    l'articolo 12, dal titolo «Interventi in materia previdenziale», del citato decreto-legge ha introdotto una serie di variazioni in materia pensionistica, modificando, tra l'altro, con i commi da 1 a 6, la disciplina relativa ai termini di decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette finestre). In particolare, i commi 1 e 2 dispongono per i soggetti che, a decorrere dal 2011, maturino il requisito anagrafico per il diritto, rispettivamente, alla pensione di vecchiaia e alla pensione di anzianità che il termine di decorrenza della pensione di vecchiaia (compresi i trattamenti liquidati interamente con il sistema contributivo) sia pari a 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per i lavoratori autonomi;
    il comma 5 prevede l'applicazione della normativa previgente, a condizione che i lavoratori maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal termine del 1o gennaio 2011, di cui al successivo comma 6, e comunque nei limiti di 10.000 soggetti beneficiari, a favore:
     a) dei lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità (articolo 7, comma 2, della legge n. 223 del 1991);
     b) dei lavoratori collocati in mobilità lunga, ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge n. 223 del 1991, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010;
     c) dei lavoratori che, all'entrata in vigore del provvedimento in questione, siano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996;
    il comma 6 prevede un monitoraggio, da parte dell'Inps, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, delle domande di pensionamento presentate ai sensi del citato comma 5, che intendano avvalersi, a decorrere dal gennaio 2011, del regime previgente delle decorrenze. Nel caso in cui dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite di 10.000 domande in precedenza richiamato, l'Inps non può prendere in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzato alla fruizione dei benefici di cui al precedente comma;
    in occasione della conversione in legge del decreto-legge n. 78 del 2010, il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/3638/113, a prima firma dell'onorevole Damiano, con il quale si impegnava l'Esecutivo a «monitorare l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 5, del decreto-legge in esame, al fine di valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a derogare al limite di 10 mila soggetti beneficiari»;
    sono migliaia i lavoratori, infatti, che, pur potendo giovare della deroga ed avendo presentato regolare domanda, non hanno ancora ricevuto una risposta dall'Inps;
    con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-05343, il gruppo del Partito democratico chiedeva conto del monitoraggio di cui al comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ancora non effettuato da parte dell'Inps;
    pur non avendo in alcun modo fornito i dati del monitoraggio, il Governo in occasione della risposta all'interrogazione citata ha dichiarato che «l'Inps sta provvedendo a predisporre la graduatoria dei lavoratori potenziali destinatari della salvaguardia prevista dall'articolo 12, comma 5, del citato decreto-legge e che comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, i lavoratori in mobilità ordinaria, lunga ed i lavoratori esodati, potenziali destinatari delle disposizioni innanzi richiamate nell'anno 2011 sono complessivamente 1.200», con ciò, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, implicitamente ammettendo che, ad oltre un anno dall'approvazione della norma, l'Inps non ha ancora provveduto alla quantificazione dei lavoratori che hanno presentato domanda e che da mesi si trovano ad attendere una risposta dall'istituto senza percepire alcuna indennità;
    secondo un autorevole quotidiano nazionale: «Il monitoraggio delle domande è ancora aperto, ma alcune fonti consultate da Il Sole 24 ore segnalano che le richieste sarebbero già più di 40 mila. La Cgil parla di almeno 30 mila lavoratori a rischio»; tale rilevazione contrasta fortemente con quanto affermato dal Governo in sede di replica all'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-05343,

impegna al Governo:

   a fornire, quanto prima in sede parlamentare l'esito del monitoraggio di cui al comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al fine di stabilire il numero preciso dei lavoratori aventi diritto a quanto stabilito dal comma 5 del medesimo articolo;
   ad adottare urgentemente il provvedimento di cui all'articolo 12, comma 5-bis, del citato decreto-legge (comma inserito dall'articolo 1, comma 37, lettera b), della legge n. 220 del 2010), che prevede che, in favore dei lavoratori appartenenti alle categorie di cui al comma 5 dell'articolo 12 citato che non dovessero rientrare nel contingente dei 10.000 beneficiari del «congelamento» dei requisiti pensionistici, possa essere disposta, in luogo dell'applicazione della disciplina previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici, la concessione del prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento.
(1-00745)
«Damiano, Lenzi, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Lucà, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru».
(25 ottobre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo per contenere la spesa pensionistica ha modificato la decorrenza dei trattamenti pensionistici;
    l'articolo 12, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, come modificato dall'articolo 1, comma 37, lettera a), della legge n. 220 del 2010, prevede che nei confronti di un contingente di 10.000 lavoratori continua ad applicarsi la disciplina in materia di termini di decorrenza dei trattamenti pensionistici (le cosiddette finestre) previgente al decreto-legge n. 78 del 2010;
    le categorie di lavoratori rientranti nel predetto contingente sono le seguenti:
     a) lavoratori collocati in mobilità ordinaria, di tutto il territorio nazionale, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010 che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità;
     b) lavoratori collocati in mobilità lunga (finalizzata al pensionamento) per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010;
     c) lavoratori che al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010) siano titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà di settore (settori del credito, delle assicurazioni e altro);
    la deroga prevista da tale decreto-legge riguarda le sole finestre di accesso al pensionamento e afferisce, perciò, sia alla pensione di vecchiaia sia alla pensione di anzianità. Tali disposizioni, inoltre, non riguardano i lavoratori che hanno perfezionato i requisiti per il diritto a pensione entro il 31 dicembre 2010; questi ultimi, infatti, conseguono il trattamento pensionistico sulla base delle previgenti regole di accesso;
    purtroppo ad oggi il Governo non ha fatto conoscere il numero di istanze di pensionamento presentate dai lavoratori, al fine di avvalersi del regime previgente in materia di decorrenze per l'accesso alla pensione. Il fatto che il Governo non abbia effettivamente ultimato il monitoraggio delle richieste di pensionamento non ha, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, alcuna motivazione ragionevole;
    il Governo a fine settembre 2011, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, ha informato «che l'Inps sta provvedendo a predisporre la graduatoria dei lavoratori potenziali destinatari della salvaguardia prevista dall'articolo 12, comma 5, del citato decreto-legge e che comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, i lavoratori in mobilità ordinaria, lunga ed i lavoratori esodati, potenziali destinatari delle disposizioni innanzi richiamate nell'anno 2011, sono complessivamente 1.200»;
    i numeri ufficiosi forniti dal Governo appaiono strani, dal momento che altre fonti ufficiose indicherebbero che le richieste presentate supererebbero di gran lunga il limite dei 10.000 aventi diritto, previsto dalla legge per accedere ai benefici in questione;
    inoltre l'articolo 12, comma 5-bis, del citato decreto-legge (comma inserito dall'articolo 1, comma 37, lettera b), della legge n. 220 del 2010) prevede che in favore dei lavoratori appartenenti alle categorie appena citate, che non dovessero rientrare nel contingente dei 10.000 beneficiari del «congelamento» dei requisiti pensionistici, possa essere disposta, in luogo dell'applicazione della disciplina previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici, la concessione del prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento;
    tale ultima misura deve essere adottata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nei limiti delle risorse disponibili del fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
    ad oggi il decreto non risulta ancora adottato, dimostrando una volta di più l'inerzia del Governo in carica;
    pur manifestando apprezzamento per l'intenzione di attuare la disposizione che dovrebbe garantire un prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito a favore di coloro che non rientreranno tra i beneficiari del «congelamento» dei requisiti previdenziali, si domanda quando verrà concretamente adottato il previsto decreto di competenza ministeriale e, soprattutto, con quali risorse ciò sarà possibile, atteso che si continuano a richiamare i vigenti limiti di spesa, probabilmente anche per giustificare quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare un'inerzia dell'Esecutivo di fronte alla grave crisi occupazionale ed economica in atto,

impegna il Governo:

   a fornire il numero di istanze di pensionamento presentate e, nel caso non fosse terminato il monitoraggio, a terminarlo con la massima urgenza, subito dopo l'approvazione della presente mozione;
   ad assumere iniziative dirette a concedere la deroga immediatamente nel caso in cui il numero di istanze di pensionamento presentate fosse quello indicato dal Governo a fine settembre 2011;
   se il numero di richieste risultasse superiore a diecimila, ad adottare entro tempi brevissimi il provvedimento per la concessione del prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento.
(1-00750)
«Paladini, Aniello Formisano, Borghesi, Donadi, Monai».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, come modificato dall'articolo 1, comma 37, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità), ha introdotto le «finestre mobili» per i trattamenti pensionistici di vecchiaia e anzianità che si caratterizzano per i seguenti elementi: maturazione dei requisiti a decorrere dall'anno 2011; determinazione delle finestre trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei prescritti requisiti per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per i lavoratori autonomi (coltivatori diretti, coloni, mezzadri, artigiani, commercianti e iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 1, comma 26, della legge n. 335 del 1995);
    a seguito di tale modifica della disciplina vigente, quanti hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia e di anzianità entro il 31 dicembre 2010 usufruiranno delle vecchie finestre. Inoltre, nulla cambia sul piano dei requisiti per l'ottenimento dei predetti trattamenti pensionistici;
    l'articolo 12, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e successive modificazioni, stabilisce che le disposizioni in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici vigenti prima della sua entrata in vigore continuano ad applicarsi, nel limite di 10.000 soggetti che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011, alle seguenti categorie di lavoratori:
     a) lavoratori collocati in mobilità ordinaria, su tutto il territorio nazionale, sulla base di accordi stipulati anteriormente al 30 aprile 2010 che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223;
     b) lavoratori collocati in mobilità lunga, ai sensi delle leggi n. 176 del 1998, n. 81 del 2003 e n. 296 del 2006, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010;
     c) lavoratori che al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010) risultavano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore;
    il comma 6 del citato articolo 12 precisa che il monitoraggio delle domande di pensionamento dei lavoratori che intendono avvalersi della salvaguardia deve essere effettuato sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro. A seguito dell'attività di verifica curata dalle sedi Inps, è in fase di rilascio la graduatoria dei lavoratori che, facendone richiesta all'atto del pensionamento, potranno accedere al trattamento pensionistico sulla scorta del previgente regime delle decorrenze;
    da verifiche effettuate con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali circa il monitoraggio in corso a cura dell'Inps, risulterebbe che il tetto di 10.000 per l'anno 2011 non sia ancora stato saturato, anche se, considerando il numero di tutti coloro che raggiungeranno i requisiti pensionistici nei prossimi anni, è molto probabile che esso risulti insufficiente. In questa fase di monitoraggio, purtroppo, le sedi territoriali dell'Inps dichiarano di non essere ancora in grado di accettare le domande, che vengono, pertanto, tenute «sospese» in attesa dei risultati definitivi del monitoraggio in corso;
    inoltre, qualora si verifichi il superamento del tetto di 10.000, è stata prevista dal citato articolo 1, comma 37, della legge di stabilità per il 2011 l'emanazione di un decreto ministeriale che prolunghi l'ammortizzatore sociale fino al raggiungimento dei nuovi requisiti pensionistici;
    la circolare n. 90 del 24 giugno 2011 varata dall'Inps, che illustra la norma del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, conferma che si procederà ad un'unica graduatoria, subordinata, nel caso dei lavoratori in mobilità e in mobilità lunga, alla verifica dei requisiti per l'accesso alla pensione, mentre tale incombenza non trova luogo per i beneficiari degli esodi, perché i requisiti sono stati verificati già al momento del conferimento dell'assegno. Se ne potrebbe dedurre il rischio che nella composizione della lista saranno maggiormente presenti questi ultimi lavoratori, anche se secondo l'Inps non dovrebbero verificarsi nell'anno in corso casi di eccesso di domande rispetto al numero definito in legge;
    si ricorda che in sede dell'intesa sulle «emergenze sociali» del mese di ottobre 2011 tutte le parti, datoriali e sindacali, avevano convenuto sulla necessità di garantire la copertura a tutti i lavoratori collocati in mobilità per effetto di accordi stipulati entro il 31 ottobre 2010,

impegna il Governo:

   ad assicurare, entro tempi brevi, l'emanazione del provvedimento per la definizione della concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito ai lavoratori collocati in mobilità e che non rientrano nel contingente numerico delle 10.000 unità, così come disposto dall'articolo 12, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010;
   a garantire, anche attraverso apposite iniziative normative, che quanti fossero stati collocati in mobilità con la prospettiva di raggiungere i requisiti per l'accesso a pensione non rimangano senza reddito.
(1-00751)
«Poli, Galletti, Ruggeri, Nunzio Francesco Testa, Anna Teresa Formisano, Compagnon, Naro, Ciccanti, Volontè, Dionisi, Tassone».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 12, dal titolo «Interventi in materia previdenziale», del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», ha introdotto una serie di modifiche in materia previdenziale, tra le quali le norme riguardanti la disciplina relativa ai termini di decorrenza dei trattamenti pensionistici (le cosiddette finestre). In seguito a tali modifiche per i soggetti che, a decorrere dal 2011, abbiano maturato il requisito anagrafico per il diritto, rispettivamente, alla pensione di vecchiaia e alla pensione di anzianità, i termini di decorrenza del trattamento non sono più stabiliti, come in precedenza, nel quadro di un calendario prestabilito in base talune scadenze di carattere generale, ma secondo un criterio cosiddetto personalizzato fissato in 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti e in 18 mesi per i lavoratori autonomi; il comma 5 prevede, in deroga, l'applicazione della normativa previgente, a condizione che i lavoratori maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal termine del 1o gennaio 2011, di cui al successivo comma 6, e comunque nei limiti di 10.000 soggetti beneficiari, a favore:
     a) dei lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità (articolo 7, comma 2, legge n. 223 del 1991);
     b) dei lavoratori collocati in mobilità lunga, ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge n. 223 del 1991, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010;
     c) dei lavoratori che, all'entrata in vigore del provvedimento in questione, siano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996;
    il comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prevede un monitoraggio, da parte dell'Inps, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, delle domande di pensionamento presentate ai sensi del citato comma 5, che intendano avvalersi, a decorrere dal gennaio 2011, del regime previgente delle decorrenze. Nel caso in cui dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite di 10.000 domande in precedenza richiamato, l'Inps non può prendere in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzato alla fruizione dei benefici di cui al precedente comma;
    in occasione della conversione in legge del decreto-legge n. 78 del 2010, il Governo ha accolto alcuni ordini del giorno presentati da deputati di diversi gruppi con i quali si impegnava l'Esecutivo a monitorare l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 5, del decreto-legge in questione, al fine di valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a derogare al limite di 10 mila soggetti beneficiari, affinché nessun lavoratore, posto in mobilità, si trovasse nella condizione di essere privo di protezione sociale prima di poter percepire il trattamento pensionistico;
    il Governo, essendo consapevole di tale rischio, aveva previsto una norma di salvaguardia a favore dei lavoratori appartenenti alle categorie di cui al comma 5 dell'articolo 12 citato che non dovessero rientrare nel contingente dei 10.000 beneficiari del «congelamento» dei previgenti criteri per l'esercizio del diritto a pensione, disponendo che, in luogo dell'applicazione della disciplina previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici, operasse il prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento;
    in data 19 gennaio 2011, l'XI Commissione della Camera dei deputati aveva approvato una risoluzione (8-00103), con il parere favorevole del Governo, nella quale si impegnava lo stesso Governo «a comprendere, nei limiti delle risorse disponibili, nell'ambito dell'intesa Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga, una specifica attenzione a coloro che, collocati in cassa integrazione o in mobilità, hanno maturato l'età di pensione e sono in attesa dell'effettiva decorrenza del trattamento pensionistico»;
    essendo ancora in corso il monitoraggio da parte dell'Inps, il Governo, il 20 settembre 2011, in occasione della risposta ad un'interrogazione a risposta immediata in XI Commissione della Camera dei deputati (la n. 5-05343) ha dichiarato che «l'Inpa sta provvedendo a predisporre la graduatoria dei lavoratori potenziali destinatari della salvaguardia prevista dall'articolo 12, comma 5, del citato decreto-legge e che comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, i lavoratori in mobilità ordinaria, lunga ed i lavoratori esodati, potenziali destinatari delle disposizioni innanzi richiamate nell'anno 2011, sono complessivamente 1.200»;
    appare opportuno operare quanto prima un chiarimento della materia, dal momento che, a quanto si apprende, si verificano casi in cui gli uffici periferici dell'Inps dichiarano di non essere in grado di confermare l'inclusione o meno nella lista dei 10 mila anche a lavoratori che hanno terminato o sono prossimi a terminare il periodo coperto dagli ammortizzatori sociali,

impegna il Governo:

   a fornire quanto prima, in sede parlamentare, l'esito del monitoraggio di cui al comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al fine di stabilire il numero preciso dei lavoratori aventi diritto a quanto stabilito dal comma 5 del medesimo articolo;
   ad assumere, in corrispondenza agli impegni assunti, anche insieme alle regioni, nei limiti delle loro competenze e nell'ambito dell'intesa Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga, ogni utile iniziativa rivolta ad assicurare a tutti i lavoratori che hanno maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento durante l'iscrizione anche alle liste di mobilità il prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento, sul modello del sussidio straordinario previsto da Inps e Ministero del lavoro e delle politiche sociali per gli anni 2008 e 2009.
(1-00752)
«Cazzola, Caparini, Moffa, Baldelli, Antonino Foti, Pelino, Gregorio Fontana, Munerato, Bonino, Calearo Ciman, Mottola».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    al fine di contenere l'incidenza della spesa pensionistica il Governo, con l'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha previsto in via generalizzata il differimento dei termini per l'accesso al pensionamento alla maturazione dei requisiti di legge ed ha, altresì, disposto che le disposizioni in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici vigenti prima della data di entrata in vigore delle nuove disposizioni continuano ad applicarsi, nei limiti del numero di 10.000 lavoratori beneficiari, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011, con esclusivo riferimento:
     a) ai lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità;
     b) ai lavoratori collocati in mobilità lunga, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010;
     c) ai lavoratori che, all'entrata in vigore del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010, risultavano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore (articolo 12, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010);
    la deroga in questione riguarda le sole finestre di accesso al pensionamento e afferisce, perciò, sia alla pensione di vecchiaia, sia alla pensione di anzianità;
    con l'articolo 12, comma 5-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, nell'ambito della stessa disciplina si è, inoltre, previsto che, con riferimento ai suddetti lavoratori, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011 e comunque entro il periodo di fruizione delle prestazioni di tutela del reddito, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, possa disporre in via alternativa, nei limiti delle risorse disponibili del fondo sociale per l'occupazione e la formazione, la concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito per il periodo di tempo necessario al raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico;
    da ultimo, con il comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, si è affidato all'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) il monitoraggio, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, delle domande di pensionamento presentate dai lavoratori che intendono avvalersi del regime previdenziale previgente, stabilendo che qualora dallo stesso monitoraggio risulti il raggiungimento del numero di 10.000 domande di pensione, il predetto istituto non prenderà in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici;
    la legge nulla precisa in ordine alla ripartizione del numero dei 10.000 lavoratori tra le diverse categorie; l'Inps ritiene che l'unico criterio per individuare le priorità sia rappresentato dalla data di cessazione del rapporto di lavoro presso l'azienda che ha provveduto al collocamento in mobilità o in esodo;
    il consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps avrebbe esaminato un documento interno che valuta in circa 45.000 i soggetti titolati a richiedere l'applicazione del regime di deroga previsto dall'articolo 12, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010: una platea quattro volte e mezzo più ampia di quella massima indicata dal Governo come destinataria del regime di deroga;
    in considerazione della grave crisi occupazionale, che ha comportato un ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali, emerge l'inadeguatezza del limite dei 10.000 beneficiari previsto dalla norma. Inoltre, l'aver inserito, per la prima volta, anche i lavoratori in mobilità lunga, che pure potevano andare in pensione con i vecchi requisiti in virtù di norme precedenti, riduce ulteriormente il numero delle altre tipologie di beneficiari, poiché sono 6.000 i lavoratori collocati in mobilità lunga entro il 31 dicembre 2007;
    con propria circolare l'Inps ha precisato che i lavoratori destinatari della normativa di cui all'articolo 12, comma 5-bis, che prevede il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito, sono coloro che nella graduatoria dei potenziali beneficiari si collocano nella posizione successiva al numero 10.000;
    a seguito dei suddetti scenari molte lavoratrici e molti lavoratori rischiano di rimanere per un lungo periodo di tempo privi di qualunque forma di reddito e di sostentamento per sé e per le rispettive famiglie;
    non vi è nel decreto alcuna salvaguardia per coloro che sono autorizzati o stanno versando i contributi volontari, cosa che appare di estrema gravità;
    qualora si verifichi il superamento del tetto dei 10.000 beneficiari, è stata prevista dall'articolo 1, comma 37, della legge di stabilità per il 2011, l'emanazione di un decreto ministeriale che prolunghi l'ammortizzatore sociale fino al raggiungimento dei nuovi requisiti pensionistici;
    l'Inps, a seguito dell'esito del monitoraggio di cui all'articolo 12, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 2010, ha stimato in oltre 40.000 i beneficiari della suddetta normativa ed ha inoltrato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la richiesta di attivare la procedura di cui all'articolo 5-bis del decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di continuare ad erogare le prestazioni di sostegno al reddito per coloro che non rientrano nei diecimila;
    la necessità di risolvere le suddette criticità, nonché più in generale l'insufficienza del suddetto limite della platea dei beneficiari, è stata di recente evidenziata al Governo, oltre che dall'Inps, anche da Confindustria,

impegna il Governo:

   a rendere noti gli esiti del monitoraggio delle domande di pensionamento, condotto dall'Inps, ai sensi dell'articolo 12, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 2010;
   ad adottare con la massima urgenza il provvedimento per la definizione della concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito ai lavoratori collocati in mobilità e che non rientrano nel contingente numerico delle 10.000 unità, così come disposto dall'articolo 12, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010.
(1-00755)
«Lo Monte, Commercio, Lombardo, Oliveri, Brugger».
(7 novembre 2011)


MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER GARANTIRE LA PIENA ATTUAZIONE DELLA LEGGE N. 55 DEL 2010 E PER PROMUOVERE UNA SPECIFICA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI MARCHIO DI ORIGINE

   La Camera,
   premesso che:
    con decine di migliaia di imprese il tessile-abbigliamento è uno dei settori più importanti della nostra industria manifatturiera, eccellenza dell'economia e del nostro tessuto produttivo;
    il nostro Paese è da sempre all'avanguardia nel selezionare le migliori materie prime, nell'elaborare metodi originali di creazione, tintura e lavorazione, con prodotti finiti che costituiscono un esempio di qualità e di prestigio a livello mondiale;
    pur non essendo ad oggi previsto alcun obbligo di indicazione del Paese di origine sui prodotti immessi nel mercato comunitario, è noto che l'apposizione del marchio made in Italy garantisce ai prodotti del comparto tessile un importante vantaggio competitivo in termini di immagine;
    la contraffazione del marchio made in Italy, fenomeno che ormai costituisce un vero e proprio sistema commerciale e industriale che si sviluppa attraverso una serie di canali di vendita e distribuzione, oltre che di sofisticati centri di produzione ed assemblaggio, compromette gravemente la qualità e l'immagine della produzione manifatturiera del nostro Paese, a fronte del dilagare di prodotti di bassa qualità e di dubbia provenienza, spacciati come prodotti tipici, espressione delle capacità artigianali del settore industriale italiano;
    al fine di contrastare un'attività che si configura come un'effettiva economia, parallela a quella legale, che fattura miliardi di euro e altrettanti ne sottrae all'erario, la legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri», approvata dal Parlamento con consenso politico trasversale, istituisce un sistema di etichettatura obbligatoria che assicura la tracciabilità dei prodotti finiti ed intermedi del settore tessile, della pelletteria e di quello calzaturiero, garantendo l'origine italiana dei prodotti immessi in commercio con la denominazione made in Italy; il sistema di etichettatura prevede l'obbligo di indicazione, tra l'altro, dell'origine geografica della merce, nonché la facoltà per l'imprenditore di utilizzare la dicitura made in Italy nei suddetti settori merceologici solamente se almeno due fasi di lavorazione vengono svolte sul nostro territorio;
    in attesa dell'emanazione del decreto e del regolamento interministeriali previsti dalla legge al fine di dare attuazione alla disciplina relativa alle caratteristiche del sistema di etichettatura e alle modalità per l'esecuzione ed i relativi controlli, l'Agenzia delle dogane, con propria nota del 22 settembre 2010, ha precisato che nell'espletamento della propria attività di controllo non considera applicabili le nuove disposizioni sull'etichettatura dei settori considerati dalla legge n. 55 del 2010, nonostante gli articoli 1 e 3 della suddetta legge, relativi alle norme sull'etichettatura e alle conseguenti sanzioni, siano formalmente in vigore dal 1o ottobre 2010;
    la tutela del made in è questione di prioritaria importanza anche a livello comunitario, dove è in discussione la proposta di regolamento relativa all'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi (COM2005/661 – cosiddetto regolamento sul made in), finalizzata all'introduzione nell'Unione europea di un regime obbligatorio d'indicazione del Paese d'origine su alcune categorie di prodotti industriali importati;
    il Parlamento europeo, nella seduta del 21 ottobre 2010, ha approvato a larghissima maggioranza la proposta di regolamento, ora al vaglio del Consiglio, con una risoluzione, presentata su forte sollecitazione italiana, volta ad introdurre nell'elenco dei beni importati da Paesi extra-Unione europea, la cui etichetta deve indicare chiaramente il Paese d'origine, almeno altre dieci categorie produttive tipiche del made in Italy (dal tessile alle calzature, dalla ceramica alla gioielleria), che consentirebbe una tutela dei nostri produttori,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative idonee a revocare entro 30 giorni la circolare dell'Agenzia delle dogane del 22 settembre 2010, n. 119919/RU, che, di fatto, sospende l'efficacia della legge n. 55 del 2010;
   ad intervenire con forza, nelle opportune sedi comunitarie, al fine di arrivare alla rapida approvazione della proposta di regolamento sul made in.
(1-00747)
«Reguzzoni, Lussana, Luciano Dussin, Fogliato, Montagnoli, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
(27 ottobre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    il Parlamento europeo, nella seduta plenaria del 21 ottobre 2010, ha approvato a larghissima maggioranza il testo di una proposta di regolamento comunitario (COM2005/661 – cosiddetto regolamento sul made in – indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi) che intende istituire l'obbligo dell'indicazione di origine per numerose categorie di prodotti destinati al consumo importati da Paesi estranei all'Unione europea;
    tale proposta di regolamento, che deve ancora passare il vaglio del Consiglio, rappresenta un passo di fondamentale importanza nel settore della politica economica europea, nel quadro della tutela del mercato interno e della trasparenza dei commerci a vantaggio dei consumatori, soprattutto per un Paese, come l'Italia, nel quale il fenomeno della contraffazione del marchio made in Italy corrisponde, come evidenziato dalle indagini eseguite in questi ultimi anni dalla Guardia di finanza, ad una vera e propria economia parallela;
    l'approvazione definitiva della citata proposta di regolamento sul made in si lega, con tutta evidenza, alla piena applicabilità della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri»: una legge approvata dal nostro Parlamento nel 2010 con un forte consenso politico trasversale;
    le ragioni di tale sostegno bipartisan risiedono nell'importanza intrinseca della legge stessa che tocca rilevanti settori merceologici e che, di fatto, coinvolge migliaia di lavoratori, oltre che numerose organizzazioni di categoria;
    tale legge istituisce, in particolare, un nuovo sistema di etichettatura per tutti i prodotti dei settori del tessile, delle pelletterie e delle calzature con obbligo di indicazione, tra l'altro, dell'origine geografica della merce, nonché la facoltà per l'imprenditore di utilizzare la dicitura made in Italy nei settori merceologici solamente se almeno due fasi della lavorazione vengono svolte sul territorio italiano;
    come noto, la legge 8 aprile 2010, n. 55, ha conosciuto, fin dalla sua entrata in vigore, vicende poco incoraggianti circa la sua effettiva applicazione. Invero l'articolo 1 relativo all'etichettatura obbligatoria sull'origine e ai requisiti necessari per l'indicazione made in Italy sui prodotti e l'articolo 3 concernente le conseguenti sanzioni sarebbero dovuti entrare in vigore il 1o ottobre 2010 – con un differimento di circa 5 mesi rispetto alle restanti parti della legge in questione – al fine di consentire, nel lasso di tempo decorrente dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, la notifica del testo legislativo alla Commissione europea, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sua compatibilità con il diritto comunitario, e l'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero per le politiche europee, dei regolamenti attuativi previsti dall'articolo 2, i quali avrebbero dovuto disciplinare «le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione made in Italy», di cui all'articolo 1, nonché le modalità di esecuzione dei relativi controlli”;
    tuttavia tale dilazione non ha affatto generato il risultato sperato: da un lato, la legge n. 55 del 2010 è stata effettivamente notificata alla Commissione europea, la quale, però, con una lettera della direzione generale impresa e industria, protocollo n. 518763, del 28 luglio 2010, indirizzata all'ambasciatore italiano a Bruxelles ha sollevato eccezioni rispetto alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che potrebbe causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio; dall'altro, ad oggi, non sono stati ancora emanati i summenzionati regolamenti di attuazione, nonostante gli articoli 1 e 3 siano formalmente entrati in vigore dall'ottobre 2010;
    sotto il primo profilo, ovvero quello alla compatibilità della legge n. 55 del 2010 con il diritto comunitario, si rileva come la direzione generale impresa e industria presso la Commissione europea abbia sollevato due eccezioni: una di carattere procedurale, l'altra di carattere sostanziale. In particolare, la seconda eccezione, ovvero quella di carattere sostanziale, coinvolge due fronti. Il primo è quello relativo all'introduzione del criterio della prevalenza delle fasi della lavorazione del prodotto sul territorio nazionale: un criterio che potrebbe contrastare con quanto previsto dall'articolo 36 del codice doganale europeo (regolamento n. 450 del 2008 che modificherà, a partire dal 2013, il precedente regolamento n. 2913 del 1992) che, invece, prevede come criterio di attribuzione della nazionalità ad un prodotto, per la cui lavorazione abbiano concorso due o più Paesi, quello dell'ultima trasformazione sostanziale. Il secondo, e più stridente con i dettami europei, è quello relativo all'introduzione e tutela del concetto di marcatura ed etichettatura nazionale. Nella lettera della direzione generale impresa e industria, il direttore generale ricorda come la Corte di giustizia europea si sia già pronunciata negativamente su tali sistemi considerati contrari agli obiettivi del mercato interno dal momento che possono rendere più difficile la vendita in uno Stato membro di una merce prodotta in un altro Stato membro, facendo venir meno di conseguenza i benefici del mercato interno;
    sotto il secondo profilo, ovvero quello della mancata emanazione della decretazione attuativa della legge n. 55 del 2010, si rileva come a tale riguardo l'Agenzia delle dogane, con propria nota n. 119919/RU del 22 settembre 2010, abbia precisato che nell'espletamento della propria attività di controllo non considera applicabili le nuove disposizioni sull'etichettatura nei settori considerati dalla legge n. 55 del 2010 sino a quando non sarà adottato il decreto interministeriale attuativo della legge medesima;
    alla luce del citato provvedimento dell'Agenzia delle dogane, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha adottato, in data 30 settembre 2010, una direttiva nella quale si conferma l'orientamento secondo cui la legge n. 55 del 2010 non sarà ritenuta applicabile sino a quando non saranno emanati i regolamenti attuativi, invitando tutte le amministrazioni pubbliche interessate dalla normativa in oggetto ad attenersi a questo indirizzo interpretativo e, dunque, a non applicare le disposizioni sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti tessili, delle pelletterie e delle calzature;
    in particolare, nel testo della direttiva si legge che: «In riferimento alla concreta applicabilità della legge 8 aprile 2010, n. 55, a far data dal 1o ottobre 2010, si rappresenta a tutte le amministrazioni dello Stato che le nuove disposizioni sull'etichettatura dei prodotti finiti ed intermedi e sull'impiego dell'indicazione Made in Italy nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero potranno considerarsi effettivamente applicabili solo dopo l'adozione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 2 della legge in argomento. In attesa dell'adozione del sopracitato decreto interministeriale, valevole per la necessaria disciplina di dettaglio integrativa di quella di fonte primaria, continueranno ad applicarsi le norme del codice doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/92) e delle relative disposizioni di applicazione (Reg. CEE n. 2454/93). Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, eventualmente interessate dall'applicazione della precitata normativa, sono invitate ad attenersi agli indirizzi della presente direttiva.»;
    la legge n. 55 del 2010 nasce dal condivisibile intento di tutelare l'eccellenza del manifatturiero italiano e proteggerlo dalle aggressioni dei concorrenti extraeuropei;
    con riferimento all'attuazione della legge n. 55 del 2010 e alla proposta di regolamento in sede di Unione europea del marchio di origine obbligatorio per i prodotti importati da Paesi extracomunitari, la X Commissione (Attività produttive) della Camera dei deputati, nella seduta del 16 novembre 2010, ha approvato la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00096, a seguito dell'esame delle risoluzioni n. 7-00411, n. 7-00426 e n. 7-00430, che impegna il Governo, in particolare, ad adoperarsi in sede europea affinché venga adottato quanto prima il regolamento sull'indicazione del Paese di origine dei prodotti importati da Paesi extracomunitari, nonché a proseguire l’iter istruttorio finalizzato alla completa adozione della decretazione interministeriale attuativa della legge n. 55 del 2010;
    appare quanto mai necessario pervenire ad una base giuridica certa a livello europeo che consenta l'effettiva applicabilità della legge n. 55 del 2010 e, quindi, l'operatività del sistema di tutele ivi contenuto, scongiurando in ogni caso il rischio dell'eventuale irrogazione di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea;
    arginare il dirompente fenomeno della contraffazione che minaccia i consumatori e le imprese del nostro Paese significa sicuramente adottare, a tal fine, le più opportune iniziative a livello europeo, ma anche assumere provvedimenti concreti, a livello nazionale, tesi ad incrementare le risorse finanziarie attualmente previste sia per il sostegno alla lotta alla contraffazione, sia per il sostegno della competitività delle imprese;
    sotto tale profilo, non possono non destare forte preoccupazione recenti provvedimenti del Governo in materia finanziaria, i quali prevedono tagli considerevoli, che vanno ad incidere direttamente sulla lotta alla contraffazione, e che riducono in maniera rilevante le risorse destinate al sostegno del settore imprenditoriale, proprio in un momento in cui le istituzioni internazionali ed europee, le imprese, le parti sociali e i cittadini richiedono all'Esecutivo uno sforzo indirizzato al rilancio dell'economia e al sostegno del sistema produttivo,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa, presso le competenti sedi comunitarie, tesa a pervenire ad una celere approvazione definitiva della proposta di regolamento sul made in, dando seguito agli impegni assunti in sede di approvazione della citata risoluzione n. 8-00096;
   ad assumere iniziative dirette ad incrementare le risorse finanziarie attualmente previste per sostenere la lotta alla contraffazione, la competitività e lo sviluppo delle imprese.
(1-00753)
«Cimadoro, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cambursano, Di Pietro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    si calcola che l'entità del mercato delle merci contraffate alimenti in Italia un giro d'affari di quasi 10 miliardi di euro l'anno e che sia in grado di erodere gli spazi di legalità, provocando danni consistenti al sistema economico e sociale: la globalizzazione dei mercati ha portato con sé la globalizzazione della contraffazione;
    l'Ocse stima che siano 149 i Paesi d'origine di prodotti contraffatti, 27 dei quali della stessa area Ocse, quindi altamente industrializzati, mentre cinque Paesi sono indicati come fonte principale da cui deriva l'80 per cento delle merci contraffatte, tra cui Cina, Hong Kong e Thailandia;
    i prodotti contraffatti incidono sull'attività di migliaia di imprese, in tutti i settori: dalla pelletteria ai cosmetici, all'abbigliamento, ai giocattoli, ai beni destinati all'infanzia, all'informatica, ai medicinali, agli alimenti, fino alla pirateria audiovisiva; il fenomeno investe la maggior parte dei beni di consumo;
    la legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri», ha istituito, all'articolo 1, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, con lo scopo di evidenziare il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicurare la tracciabilità dei prodotti stessi;
    le norme di attuazione (articolo 2) della citata legge n. 55 del 2010 prevedevano che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per le politiche europee, da emanare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, fossero stabilite le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione made in Italy, nonché le modalità per l'esecuzione dei relativi controlli, anche attraverso il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
    dette norme prevedevano, altresì, che il decreto fosse emanato previa notifica, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998;
    il 30 settembre 2010 il Presidente del Consiglio dei ministri ha, invece, emanato una direttiva riguardante gli indirizzi interpretativi relativi all'applicazione della legge 8 aprile 2010, n. 55 (Gazzetta ufficiale n. 282 del 2 dicembre 2010), precisando che tutte le disposizioni della legge medesima «possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE ed in relazione a quanto recato dal decreto interministeriale previsto dall'articolo 2, comma 1, della legge medesima»;
    la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri ha, altresì, stabilito che: «In riferimento alla concreta applicabilità della legge 8 aprile 2010, n. 55, a far data dal 1o ottobre 2010, si rappresenta a tutte le amministrazioni dello Stato che le nuove disposizioni sull'etichettatura dei prodotti finiti ed intermedi e sull'impiego dell'indicazione Made in Italy nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero potranno considerarsi effettivamente applicabili solo dopo l'adozione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 2 della legge in argomento. In attesa dell'adozione del sopracitato decreto interministeriale, valevole per la necessaria disciplina di dettaglio integrativa di quella di fonte primaria, continueranno ad applicarsi le norme del codice doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/92) e delle relative disposizioni di applicazione (Reg. CEE n. 2454/93). Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, eventualmente interessate dall'applicazione della precitata normativa, sono invitate ad attenersi agli indirizzi della presente direttiva.»;
    il decreto interministeriale non risulta essere mai stato emanato, rendendo, di fatto, la legge n. 55 del 2010 inapplicabile;
    successivamente il decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, all'articolo 2, comma 4-quinquies, ha istituito un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2010 destinato a misure di sostegno e incentivazione in favore delle imprese dei distretti del settore tessile e dell'abbigliamento che volontariamente applicano il sistema di etichettatura dei prodotti, di cui alla legge 8 aprile 2010, n. 55;
    anche le modalità di attuazione del citato comma 4-quinquies dovevano essere stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le associazioni di categoria delle imprese e le associazioni sindacali e dei consumatori, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, che anche in questo caso, a distanza di oltre un anno e mezzo, non risulta essere stato emanato;
    la Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale ha svolto numerose audizioni, dalle quali si desume, tra l'altro, che la contraffazione costituisce un importante ostacolo per il sistema produttivo italiano, in particolare per le piccole e medie imprese;
    l'attività del Parlamento italiano rischia di essere del tutto vanificata sia dalla mancata applicazione della legge n. 55 del 2010 sia dalla possibile sottoscrizione, da parte dell'Unione europea, dell’Anti-counterfeiting trade agreement (Acta), l'accordo internazionale contro la contraffazione e il downloading illegale di contenuti audiovisivi;
    il 2 dicembre 2010 è stato approvato il testo finale di tale accordo, dopo tre anni, dieci round negoziali e molte polemiche, legate principalmente alla mancanza di trasparenza delle trattative, condotte a porte chiuse, tra i rappresentanti dell'Unione europea, Australia, Canada, Giappone, Corea, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Svizzera, Usa, nell'assoluta assenza dei Paesi generatori di merci contraffatte;
    durante le trattative, tutti i tentativi di svelarne i dettagli da parte delle diverse organizzazioni interessate sono falliti; persino il Parlamento europeo, nel mese di marzo del 2010, ha formalmente richiesto trasparenza sulle trattative, con 633 voti favorevoli, 13 contrari e 16 astensioni;
    successivamente il Parlamento europeo, in data 24 novembre 2010, ha votato una proposta di risoluzione presentata dai gruppi Ppe ed Ecr, passata con 331 voti a favore, 294 contrari e 11 astensioni, che definisce l’Acta «un passo nella giusta direzione»;
    la citata risoluzione risulta molto tiepida riguardo alla necessità di introdurre nell’Acta l'indicazione geografica dei prodotti (ig), limitandosi a sottolineare l'importanza della protezione delle indicazioni geografiche per le imprese europee e per l'occupazione nell'Unione europea e a prendere atto degli sforzi compiuti dalla Commissione europea per includere la protezione delle indicazioni geografiche nel campo di applicazione dell’Acta;
    il Parlamento ha rigettato un'altra risoluzione comune, più critica, proposta dai Socialisti, dai Verdi, dalla Sinistra e dai Liberali, che metteva in luce che la Commissione europea ha ripetutamente affermato l'importanza di far rispettare la protezione delle indicazioni geografiche (ig);
    la risoluzione comune sollecitava, inoltre, la Commissione europea a lavorare attivamente per garantire l'inclusione di pratiche esecutive efficaci per le indicazioni di origine geografica nell’Acta, sottolineando quanto sia importante proteggere le indicazioni di origine geografica per le società europee e per l'occupazione nell'Unione europea;
    la risoluzione deplorava che l'accordo non desse una definizione relativa alle indicazioni di origine geografica contraffatte, dato che tale omissione potrebbe ingenerare confusione o, come minimo, complicare il lavoro delle autorità amministrative e giudiziarie nell'interpretazione e nell'applicazione dell’Acta;
    i parlamentari europei che hanno sottoscritto la risoluzione comune chiarivano, inoltre:
     a) di non concordare con la posizione della Commissione europea, che affermava di avere garantito considerevoli progressi in relazione alla protezione delle indicazioni di origine geografica e che, dal momento che le indicazioni di origine geografica continueranno a non essere protette in nessuno dei Paesi che non le riconoscono nella propria legislazione nazionale, i progressi registrati in questo campo fossero insoddisfacenti;
     b) di ritenere che il comitato Acta dovrebbe operare con modalità aperte, inclusive e trasparenti ed incaricava la Commissione europea di presentare in tempo utile, prima che il Parlamento esaminasse il suo parere relativo all'approvazione, le raccomandazioni concernenti la governance del comitato Acta, con particolare riguardo alla partecipazione del Parlamento europeo e al processo di modifica dell'accordo;
     c) che qualsiasi modifica all'accordo dovesse essere soggetta al controllo pubblico di tutte le parti interessate ed essere oggetto di approvazione parlamentare e chiedevano alla Commissione europea di consultare il Consiglio e il Parlamento europeo prima di accettare o proporre qualsiasi modifica all'attuale testo al comitato Acta, in un processo che assicurasse trasparenza, controllo parlamentare e partecipazione pubblica;
    il 1o ottobre 2011 si è tenuta a Tokyo una cerimonia durante la quale un primo gruppo di 8 Paesi (Australia, Giappone, Canada, Corea del Sud, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Stati Uniti) ha ratificato l'accordo Acta;
    alla cerimonia hanno partecipato anche gli altri Paesi negoziatori, l'Unione europea, in rappresentanza dei suoi Stati membri, il Messico e la Svizzera, che, tuttavia, non hanno ancora ratificato l'accordo in attesa della conclusione delle rispettive procedure interne di approvazione;
    la procedura europea non è terminata in quanto il Consiglio è ancora nella fase di valutazione del testo e non sono state ancora coinvolti né la Commissione né il Parlamento europeo, che, comunque, secondo tale procedura, non potrà proporre emendamenti al testo dell'accordo;
    risulterebbe che il Governo italiano abbia manifestato perplessità sull'accordo Acta a causa dell'insufficiente protezione dell'indicazione di origine geografica e che comunque il Consiglio europeo, la Commissione e il Parlamento saranno chiamati a concludere la procedura di adesione all'accordo nei primi mesi del 2012;
    le pressioni sull'Unione europea, da parte degli altri partecipanti che hanno già sottoscritto l'accordo, stanno aumentando; si ritiene che già a metà novembre 2011 la Presidenza polacca intenda rimettere in agenda l'accordo Acta, molto discusso anche riguardo alle possibili limitazioni che ne deriverebbero per le attività legali su internet,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni utile iniziativa affinché la procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE riguardante la legge 8 aprile 2010, n. 55, si concluda positivamente;
   ad emanare immediatamente i decreti interministeriali previsti dall'articolo 2 della legge 8 aprile 2010, n. 55, e dall'articolo 2, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73;
   a opporsi all'accordo Acta nella sua attuale stesura e ad assumere iniziative in sede di Unione europea affinché si dia rapida approvazione alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi.
(1-00754)
«Lulli, Vico, Sanga, Colaninno, De Micheli, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Merloni, Peluffo, Portas, Quartiani, Sani, Scarpetti, Federico Testa, Zucchi, Zunino».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    la locuzione made in Italy sta ad indicare un concetto – di natura essenzialmente doganale – disciplinato direttamente a livello di istituzioni dell'Unione europea. Infatti, le previsioni principali relativi all'apposizione della dicitura made in Italy sono contenuti – a livello comunitario – nel regolamento CEE n. 2913/1992, che istituisce il codice doganale comunitario, e nel regolamento CEE 2454/1993 e – a livello nazionale – nell'articolo 517 del codice penale italiano e nella legge n. 350 del 2003, come modificata dalla legge n. 166 del 2009;
    il Parlamento europeo, nella seduta plenaria del 21 ottobre 2010, ha approvato, a larghissima maggioranza, il testo di un regolamento comunitario («Indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi»), che intende istituire l'obbligo dell'indicazione di origine (la nota dicitura made in) per numerose categorie di prodotti destinati al consumo importati da Paesi estranei all'Unione europea. Il documento legislativo dovrà ora passare al vaglio del Consiglio;
    per l'Italia il regolamento costituirà verosimilmente un nuovo ostacolo alla concreta applicabilità della legge 8 aprile 2010, n. 55, sull'etichettatura obbligatoria e la tutela del made in Italy nei settori del tessile, delle calzature e delle pelletterie;
    questa legge istituisce, in particolare, un nuovo sistema di etichettatura per tutti i prodotti dei settori tessile, delle pelletterie e delle calzature, con obbligo di indicazione, tra l'altro, dell'origine geografica della merce, nonché la facoltà per l'imprenditore di utilizzare la dicitura made in Italy nei suddetti settori merceologici solamente se almeno due fasi di lavorazione vengono svolte sul territorio italiano;
    sin dalla sua entrata in vigore, tale provvedimento ha sollevato notevoli perplessità circa la sua effettiva applicazione. Infatti, l'articolo 1 relativo all'etichettatura obbligatoria sull'origine e ai requisiti necessari per l'indicazione made in Italy sui prodotti e l'articolo 3 concernente le conseguenti sanzioni sarebbero dovuti entrare in vigore il 1o ottobre 2010 (con un differimento di circa 5 mesi rispetto alle restanti parti della legge in questione), al fine di consentire, nel lasso di tempo decorrente dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, la notifica del testo legislativo alla Commissione europea, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sua compatibilità con il diritto comunitario, e l'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero per le politiche europee, dei regolamenti attuativi previsti dall'articolo 2, i quali avrebbero dovuto disciplinare «le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione made in Italy, di cui all'articolo 1, nonché le modalità per l'esecuzione dei relativi controlli»;
    la legge n. 55 del 2010 è stata poi notificata alla Commissione europea, che, con una lettera della direzione generale impresa e industria (protocollo n. 518763 del 28 luglio 2010) indirizzata all'ambasciatore italiano a Bruxelles, ha sollevato eccezioni rispetto alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che potrebbe causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio europeo;
    oggi non sono ancora stati emanati i sopra citati regolamenti di attuazione, nonostante gli articoli 1 e 3 siano formalmente in vigore dal 1o ottobre 2010;
    al riguardo l'Agenzia delle dogane, con propria nota n. 119919/RU del 22 settembre 2010, ha precisato che nell'espletamento della propria attività di controllo non considererà applicabili le nuove disposizioni sull'etichettatura nei settori considerati dalla legge n. 55 del 2010 sino a quando non saranno adottati i decreti interministeriali attuativi di cui sopra;
    conseguentemente al provvedimento dell'autorità doganale, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha adottato in data 30 settembre 2010 una direttiva, nella quale si conferma l'orientamento secondo cui la legge n. 55 del 2010 non sarà ritenuta applicabile sino a quando non saranno emanati i regolamenti attuativi, invitando tutte le amministrazioni pubbliche eventualmente interessate dalla normativa in oggetto ad attenersi a questo indirizzo interpretativo e, dunque, a non applicare le disposizioni sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti tessili, delle pelletterie e delle calzature,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, a livello comunitario, affinché il regolamento adottato dal Parlamento europeo per la cosiddetta tutela del made in venga approvato in tempi rapidi dal Consiglio;
   a chiarire, nelle more dell'adozione del sopra citato regolamento, in modo univoco quale sia il corretto coordinamento delle disposizioni legislative vigenti a tutela del made in Italy.
(1-00756)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».
(7 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    dopo cinque anni di dibattiti ufficiali e di veti incrociati e dopo l'assenso ricevuto il 29 settembre 2010 da parte della Commissione parlamentare commercio internazionale (Inta), nella seduta plenaria del 21 ottobre 2010, il Parlamento europeo ha approvato, a larghissima maggioranza, il testo di un regolamento comunitario (COM 2005/661), recante «Indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi», ora al vaglio del Consiglio, che intende istituire l'obbligo dell'indicazione di origine per numerose categorie di prodotti destinati al consumo, importati da Paesi extracomunitari;
    con l'entrata in vigore del regolamento i prodotti extracomunitari importati all'interno dell'Unione europea dovranno portare una denominazione di origine. In tal modo i consumatori europei disporranno delle informazioni necessarie per scegliere trasparentemente cosa comprare. Si tratta di un passo di grande importanza, a tutela del mercato interno e della trasparenza a vantaggio dei consumatori;
    secondo l'Organizzazione mondiale del commercio il commercio dei prodotti contraffatti è stimato attorno al 7 per cento del commercio mondiale, per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il made in Italy, l'ultimo dato disponibile fornito dal Censis ha stimato che la contraffazione produce alla nostra economia un danno stimabile attorno ai 18 miliardi di euro e una perdita per il fisco di 5 miliardi di euro, mettendo a rischio circa 130 mila posti di lavoro;
    le numerose audizioni svoltesi presso la Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale hanno confermato come la contraffazione costituisca un ostacolo forte per il sistema produttivo italiano, in particolare per le piccole e medie imprese;
    la legge 8 aprile 2010, n. 55, sull'etichettatura obbligatoria e la tutela del made in Italy nei settori del tessile, delle calzature e delle pelletterie, ha istituito un nuovo sistema di etichettatura per tutti i prodotti dei settori tessile, delle pelletterie e delle calzature, con obbligo di indicazione, tra l'altro, dell'origine geografica della merce, nonché la facoltà di utilizzare la dicitura made in Italy nei suddetti settori merceologici solamente se almeno due fasi di lavorazione vengono svolte sul territorio italiano;
    l'articolo 4 della legge n. 55 del 2010 disponeva l'entrata in vigore delle norme di cui agli articoli 1 e 3 (relativi rispettivamente all'etichettatura obbligatoria sull'origine ed ai requisiti necessari per l'indicazione made in Italy sui prodotti e alle conseguenti sanzioni) il 1o ottobre 2010, con una posticipazione di oltre 5 mesi rispetto all'entrata in vigore della stessa legge, al fine di consentire sia la notifica del provvedimento alla Commissione europea, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sua compatibilità con il diritto comunitario, sia l'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero per le politiche europee, dei regolamenti attuativi previsti dall'articolo 2;
    tali decreti avrebbero dovuto disciplinare «le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione made in Italy, nonché le modalità per l'esecuzione dei relativi controlli, anche attraverso il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura»;
    il 28 luglio 2010 la direzione generale impresa e industria della Commissione europea ha inviato una nota sulla legge n. 55 del 2010, chiedendo alle autorità italiane di fornire indicazioni sulle misure che intendono adottare per assicurare la compatibilità di questa normativa con le disposizioni del Trattato e della direttiva 98/34/CE;
    la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2010, recante «Indirizzi interpretativi relativi all'applicazione della legge 8 aprile 2010, n. 55», ha confermato l'inapplicabilità della legge finché non saranno emanati i regolamenti attuativi, invitando tutte le amministrazioni pubbliche interessate dalla normativa a non applicare le disposizioni sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti tessili, delle pelletterie e delle calzature;
    a riguardo, l'Agenzia delle dogane, con propria nota n. 119919/RU del 22 settembre 2010, ha precisato che nell'espletamento della propria attività di controllo non considererà applicabili le nuove disposizioni sull'etichettatura nei settori considerati dalla legge n. 55 del 2010 sino a quando non saranno adottati i decreti interministeriali attuativi;
    ad oggi non sono ancora stati emanati i sopra menzionati regolamenti di attuazione, nonostante gli articoli 1 e 3 siano formalmente in vigore dal 1o ottobre 2010,

impegna il Governo:

   a procedere in tempi rapidi all'adozione dei regolamenti attuativi necessari a rendere applicabili le disposizioni della legge n. 55 del 2010;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza in sede di Unione europea affinché si proceda celermente all'approvazione del regolamento comunitario COM 2005/661;
   a rafforzare, con ogni utile strumento, nelle more dell'attuazione dei decreti attuativi ed in attesa dell'entrata in vigore del nuovo regolamento comunitario, la tutela del consumatore e del sistema produttivo italiano contro le contraffazioni sull'origine dei prodotti provenienti da Paesi extracomunitari.
(1-00757)
«Anna Teresa Formisano, Raisi, Pisicchio, Ruggeri, Pezzotta, Compagnon, Ciccanti, Naro, Volontè, Poli, Scanderebech».
(7 novembre 2011)


MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALL'ANNUNCIATO PIANO INDUSTRIALE DI ALENIA AERONAUTICA SPA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE PREVEDIBILI RICADUTE SULL'ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    l'Alenia Aeronautica spa, facente parte della holding italiana Finmeccanica, è un'azienda che vanta una leadership mondiale quanto alla progettazione, realizzazione, certificazione e supporto di velivoli di impiego sia civile che militare;
    i dodici stabilimenti della società (compresi quelli delle società controllate Alenia Aeronavali, Alenia Aermacchi, Alenia Composite, Alenia Improvement, Alenia SIA), dislocati in cinque regioni d'Italia ed organizzati secondo lo schema dei centri di eccellenza, impiegano una forza lavoro complessiva di circa 13.907 persone, il 40 per cento delle quali ingegneri e tecnici altamente qualificati;
    la filiera aeronautica e spaziale ha nell'area metropolitana di Napoli uno dei suoi poli di eccellenza ed impiega nei soli quattro stabilimenti di Pomigliano d'Arco, Casoria, Capodichino e Nola, oltre 5.000 persone;
    sempre nelle regioni meridionali, l'azienda aeronautica impiega più di 1.000 lavoratori nella provincia di Foggia e circa 840 addetti a Monteiasi/Grottaglie (Taranto);
    gli impianti industriali dell'Alenia Aeronautica spa generano un indotto con un rapporto occupazionale del 100 per cento;
    nel mese di luglio del 2009, la Banca europea per gli investimenti ha accordato un prestito di 500 milioni di euro al gruppo Finmeccanica e, in particolare, all'Alenia Aeronautica, allo scopo di supportare il ruolo industriale di Finmeccanica nelle regioni meridionali;
    detto finanziamento, come spiegato dalla Banca europea per gli investimenti, è stato concesso sulla base di due criteri di attività della Banca stessa: il finanziamento di attività di ricerca e sviluppo e la destinazione di risorse all'ampliamento dei siti produttivi localizzati in Campania (Pomigliano d'Arco) e Puglia (Foggia e Grottaglie), regioni italiane entrambe localizzate in zona di convergenza secondo i parametri comunitari;
    contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato e a quanto sarebbe stato giusto fare, l'azienda ha annunciato un piano industriale che penalizza decisamente i propri siti nelle regioni meridionali a vantaggio degli insediamenti nelle regioni del Nord;
    è stato avviato il processo di fusione tra Alenia Aeronautica spa (la controllante) e la controllata Alenia Aermacchi spa;
    non si comprende la logica aziendale per la quale la più piccola società controllata, peraltro meno nota e di minori prospettive industriali, l'Alenia Aermacchi, debba guidare il processo di fusione rispetto alla capofila Alenia Aeronautica;
    addirittura è stato previsto lo spostamento della storica sede legale di Alenia da Pomigliano d'Arco (Napoli) a Venegono (Varese) con la conseguente perdita per la regione Campania di un importante centro decisionale e la refusione di un consistente gettito di imposte;
    l'annunciato piano industriale pare rispondere più che a precise logiche industriali a precise indicazioni politiche;
    la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, ridimensionando fortemente l'occupazione e facendo continuare a crescere, come sottolineato dallo Svimez, il divario tra le due aree del Paese,

impegna il Governo:

   ad intervenire per evitare un ingiustificato depauperamento delle capacità progettuali e produttive della già precaria economia meridionale;
   ad adottare le iniziative di competenza affinché la più grande holding industriale e finanziaria pubblica non sottragga alle regioni meridionali i centri decisionali e produttivi ma, anzi, predisponga ed illustri un preciso e cospicuo piano di investimenti;
   ad adottare le opportune iniziative perché si proceda ad una revisione del piano industriale annunciato dalla Alenia Aeronautica spa che, se così realizzato, comporterebbe un'evidentissima contraddizione rispetto all'annunciato e tanto pubblicizzato «piano per il sud», caposaldo del programma di Governo;
   a fornire precise indicazioni su quali siano le reali intenzioni del Governo in tema di politiche industriali e di sviluppo del Paese, con riferimento, in particolar modo, alle regioni meridionali in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia e dove, ancora, come evidenziato anche dal rapporto della Banca d'Italia, sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo.
(1-00725)
«Nunzio Francesco Testa, Paolo Russo, Bossa, Palagiano, Muro, Iannaccone, Pisicchio, Commercio, Galletti, Di Caterina, Graziano, Cirielli, Landolfi, D'Anna, D'Antoni, Occhiuto, Adornato, Mussolini, De Girolamo, Vico, Milo, Sardelli, Ruggeri, Nicolais, Iapicca, Castiello, Cosenza, Savino, Scalera, Mario Pepe (PD), Di Virgilio, Pionati, Ria, Saltamartini, Lorenzin, Iannuzzi, Margiotta, Carlucci, Di Cagno Abbrescia, Patarino, Vaccaro, De Luca, Concia, Ginefra, Cesaro, Gioacchino Alfano, Piccolo, Mazzarella, Anna Teresa Formisano, Aniello Formisano, Pedoto, Cera, Dionisi, Zinzi».
(10 ottobre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    Alenia Aeronautica, società controllata da Finmeccanica s.p.a., è la maggiore realtà industriale italiana in campo aeronautico ed è tra i più avanzati complessi mondiali nel suo settore;
    la società è impegnata nella progettazione, realizzazione, trasformazione e assistenza di una vasta gamma di velivoli e sistemi aeronautici sia civili che militari, per la maggior parte nell'ambito di collaborazioni con le più importanti industrie mondiali del settore;
    la sola Alenia Aeronautica, senza contare le società controllate, occupa oggi oltre 9.000 persone ed è organizzata in diverse aree di business: velivoli da combattimento, velivoli da trasporto militare, velivoli per missioni speciali, aerostrutture e velivoli civili e trasformazione e revisione velivoli;
    l'amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi, dopo aver dichiarato l'intenzione di «svendere» agli stranieri Ansaldo Breda e Ansaldo STS, dopo aver paventato di abbandonare il settore civile, mettendo, quindi, in pericolo anche Ansaldo Energia, dopo non aver più presentato una seria offerta vincolante per l'acquisto di Firema, interrompendo un percorso che poteva risultare positivo, già avviato prima della sua nomina, vara nell'ambito dell'aerospazio un piano di riorganizzazione che prevede 1.200 esuberi (circa il 10 per cento dell'organico), cassa integrazione per altri mille lavoratori e lo spostamento della direzione strategica e legale dalla Campania a Venegono, in provincia di Varese;
    ad accompagnare dette misure, ci sarà un piano di esternalizzazione che riguarderà logistica e magazzini, servizi di guardia e servizi amministrativi, per un totale di altri 500 lavoratori. Alenia Aermacchi sarà il nuovo soggetto che nascerà dalla fusione con chiusure drammatiche di importanti realtà del Mezzogiorno;
    appare chiaro come l'amministratore delegato di Finmeccanica con la decisione di spostare la «testa» dell'azienda, che rappresenta uno dei settori di eccellenza, per quantità e qualità, dell'apparato industriale napoletano, campano e nazionale, da Pomigliano d'Arco alla provincia di Varese, confermi il preoccupante segnale di una volontà di trasferire progressivamente funzioni e attività dai siti meridionali al Nord del Paese;
    sotto tale profilo si segnala, inoltre, che nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica siede il presidente dell'amministrazione provinciale di Varese, Dario Galli, a dimostrazione del pesante conflitto di interessi e del cumulo di incarichi che caratterizza, con tutta evidenza, l'annosa situazione descritta dal presente atto di indirizzo;
    è evidente come questi trasferimenti avranno ricadute pesantissime per il Mezzogiorno e favoriranno le aree del Nord, a scapito non solo del Sud, ma dell'interesse generale del Paese;
    appare grave e particolarmente preoccupante che il Governo si limiti ad assistere, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, in modo indifferente ad una situazione che, con tutta evidenza, rischia di pregiudicare in modo irreversibile la condizione occupazionale di centinaia di lavoratori;
    gli ultimi dati Istat sull'occupazione, peraltro, hanno recentemente evidenziato come il gap Nord-Sud stia continuando a crescere e come l'ultima impennata della disoccupazione riguardi, soprattutto, le aree più deboli del Paese, quali quelle meridionali, con effetti dirompenti sul territorio campano, ivi compresa l'area di Casoria, nonché sullo stesso territorio laziale;
    sotto tale ultimo profilo si segnala che ai primi di ottobre 2011, contemporaneamente alla manifestazione svoltasi in Campania, anche nella città di Roma hanno manifestato 130 dipendenti, non solo tecnici e impiegati di V livello, ma anche quadri e dirigenti apicali, che hanno protestato con forza a causa del previsto trasferimento della sede romana dell'Alenia nelle sedi di Venegono (Varese) e Torino Caselle (Torino), proprio in conseguenza del piano industriale annunciato dall'azienda. La stessa Assemblea capitolina, il 3 ottobre 2011, approvava due mozioni identiche, una della maggioranza, l'altra dell'opposizione, con le quali si chiedeva di non trasferire la sede nazionale dell'Alenia,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza tesa a garantire che nella riorganizzazione del gruppo Alenia non vi sia alcuno spazio per il trasferimento del centro decisionale, della sede legale del gruppo e delle attività produttive dalla Campania verso il Nord del Paese, considerato che l'unico risultato di questa operazione, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe quello dell'aumento dei costi generali, dell'acuirsi delle già gravi difficoltà socio-economiche e occupazionali della regione Campania e del Mezzogiorno e di una deresponsabilizzazione di Finmeccanica rispetto al futuro del settore aerospaziale in Italia;
   a porre in essere ogni atto di competenza volto ad arrestare le iniziative dell'amministratore delegato di Finmeccanica tese a «svendere» il patrimonio industriale, professionale e specialistico del nostro Paese;
   ad assumere iniziative urgenti tese a garantire che nella riorganizzazione del gruppo Alenia venga assicurata la centralità delle attività produttive ed occupazionali nei territori della Campania e del Lazio;
   a porre in essere ogni atto di competenza teso ad impedire che nell'ambito del gruppo di Finmeccanica sussista una perdurante ingerenza della politica.
(1-00748)
«Di Pietro, Palagiano, Aniello Formisano, Barbato, Paladini, Cimadoro, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
(2 novembre 2011)

   La Camera,
   premesso che:
    il settore aeronautico si basa ovunque sul sostegno pubblico, a causa dei tempi necessari alla progettazione e delle produzioni altamente qualificate, le cui ricadute tecnologiche ed economiche sono considerate, nei Paesi industrialmente più sviluppati, di rilevante interesse nazionale, come tali da tutelare;
    per queste ragioni fu approvata, nel nostro Paese, la legge 24 dicembre 1985, n. 808, «Interventi per lo sviluppo e l'accrescimento di competitività delle industrie operanti nel settore aeronautico», un provvedimento periodicamente rinnovato dai diversi Governi, per sostenere il comparto, ritenuto uno dei pilastri di qualità dell'industria moderna;
    a causa dei continui tagli alla spesa pubblica, compresi quelli per la ricerca e per lo sviluppo industriale, il sostegno dello Stato a questo settore in Italia è venuto meno;
    Alenia Aeronautica, società controllata da Finmeccanica s.p.a., è la maggiore realtà industriale italiana in campo aeronautico ed è tra i più avanzati complessi mondiali nel suo settore, impegnata nella progettazione, realizzazione, trasformazione e assistenza di una vasta gamma di velivoli e sistemi aeronautici sia civili che militari, per la maggior parte nell'ambito di collaborazioni con le più importanti industrie mondiali del settore;
    Alenia Aeronautica spa ha una tradizionale presenza di impianti industriali nel Sud del Paese, con migliaia di lavoratori impiegati a Foggia, Grottaglie (Taranto), Pomigliano d'Arco, Nola e Casoria (Napoli) e Napoli Capodichino. Dodici stabilimenti in tutto, ad alto tasso di produttività e tecnologia, con una forza lavoro complessiva di circa 13.907 persone, il 40 per cento delle quali ingegneri e tecnici altamente qualificati. Una storia industriale partita negli anni ’20, diventata oggi un vanto per tutta l'Italia; nel suo settore è tra i primi posti al mondo con commissioni milionarie;
    il 22 novembre 2010 è stato siglato un accordo tra Alenia Aeronautica e le organizzazioni sindacali, che prevedeva la messa in mobilità verso la pensione, su base volontaria individuale, di 787 lavoratori (su un totale di circa 9.700 dipendenti su tutto il territorio nazionale);
    tale operazione avrebbe dovuto consentire all'azienda di riposizionarsi in maniera indolore, con un organico ridotto, in una fase in cui le commesse andavano calando;
    nel corso di un incontro svoltosi il 16 settembre 2011, e nei due successivi del 6 e del 12 ottobre 2011, l'amministratore delegato di Alenia Aeronautica ha illustrato alle organizzazioni nazionali Fim-Fiom-Uilm il piano di riorganizzazione e ristrutturazione del gruppo che contiene:
     a) le linee strategiche per il periodo 2012-2020 con volumi di investimento previsti pari a 3 miliardi di euro, di cui 2 miliardi sul settore civile ed 1 miliardo sul settore militare, in aggiunta ai 168 milioni di euro per la riorganizzazione dei siti; di questi per il sito di Tessera (Venezia) sono previsti solo 20 milioni di euro, quindi cifre molto limitate;
     b) l'ulteriore ridimensionamento delle maestranze, la cancellazione rapida e progressiva di 3 siti, la richiesta di altre 1.118 mobilità (di cui 151 a Torino e 172 a Caselle), precedute da cassa integrazione, per periodi complessivi di esclusione dal lavoro che possono andare da 7 anni al Nord a 8 anni al Sud, ipotesi di esternalizzazione di attività amministrative e dei lavoratori della sorveglianza;
     c) la specializzazione delle attività in due grandi aree del Paese: al Nord il settore militare (Torino Cameri e Venegono), al Sud il settore civile (Pomigliano d'Arco, Nola, Capodichino, Foggia e Grottaglie);
     d) la chiusura dello stabilimento di Casoria (con il trasferimento del 50 per cento delle attività a Nola e la conseguente ricollocazione dei lavoratori nell'area campana);
     e) la chiusura dello stabilimento di Tessera (Venezia), con il trasferimento delle attività produttive di revisione e trasformazione e con il rischio di licenziamento per 400 lavoratori;
     f) la chiusura della sede di Roma, con il trasferimento di 120 lavoratori e 30 dirigenti nelle sedi di Torino e Pomigliano d'Arco;
    per quanto riguarda la Campania, alla chiusura dello stabilimento di Casoria, si affianca lo spostamento della storica sede legale di Alenia da Pomigliano d'Arco (Napoli) a Venegono (Varese), che determina l'ulteriore perdita di un centro decisionale di valore simbolico per l'intero Mezzogiorno;
    la chiusura di Casoria si inserisce all'interno di un serie di crisi e di chiusure che hanno interessato l'industria nel Mezzogiorno, dalle vicende Fiat, Irisbus di Flumeri e Termini Imerese, alla situazione del polo dell'avionica, all'interno del quale non tutte le realtà possono considerarsi al riparo da crisi di mercato e relativi piani di ridimensionamento;
    per quanto riguarda lo stabilimento di Tessera (Venezia), la prevista chiusura determinerebbe l'uscita dal mercato delle trasformazioni aeronautiche di un sito già ampiamente ridimensionato, con un saldo occupazionale negativo di oltre 600 lavoratori, tra diretti e indotto;
    è appena il caso di rilevare che suscita perplessità un piano che parte dalle possibili eccedenze, anziché dai fabbisogni in termini di mano d'opera e di competenze;
    è, pertanto, indispensabile che l'azienda definisca, in modo puntuale, un piano strategico sul quale assumere precisi impegni, sia per gli investimenti che per le tempistiche dello sviluppo dei nuovi prodotti, dando certezze in merito alle prospettive industriali di tutti i siti di Alenia Aeronautica;
    il ridimensionamento di Alenia Aeronautica non riguarda soltanto il tema fondamentale del destino dei lavoratori interessati, ma anche la perdita di un altro anello della catena industriale, un pesante fardello che ricade sulla collettività, sia in termini economici, sia di prospettive occupazionali di qualità per i giovani;
    peraltro, andrebbe chiarito come la scelta di trasferire i centri decisionali verso imprese con minori capacità produttive e dimensionali possa rappresentare una soluzione industrialmente efficiente;
    appare certamente inopportuno contrapporre aree del Paese in una lotta per la contesa di attività produttive, tenuto conto che anche nella provincia di Varese la crisi industriale sta creando gravi conseguenze sul piano occupazionale;
    il problema è la sopravvivenza di un'azienda che è rimasta una delle poche eccellenze industriali del Paese, di posti di lavoro che rischiano di volatilizzarsi, di qualità del lavoro nel territorio, di prospettive di stabilizzazione e sicurezza del lavoro per giovani apprendisti e somministrati, alcuni dei quali già provati da anni di precarietà;
    il 3 novembre 2011 i vertici dell'Alenia Aeronautica incontreranno nuovamente le organizzazioni sindacali,

impegna il Governo:

   a chiarire se esista una linea di politica industriale volta alla ripresa delle attività produttive, con particolare riguardo alle responsabilità di Finmeccanica, holding industriale pubblica, nello sviluppo del Paese;
   ad individuare degli indirizzi di politica industriale volti a favorire il rilancio di un gruppo industriale che costituisce l'elemento fondamentale per consolidare il settore aeronautico del Paese, anche mediante opportune garanzie sugli investimenti e sul mantenimento delle missioni produttive;
   a convocare urgentemente Finmeccanica e Alenia Aeronautica con le parti sociali, allo scopo di rivedere profondamente il piano industriale sopra descritto, tenendo in considerazione gli effetti drammatici che provoca su alcune realtà produttive, con particolare riferimento ai siti di Venezia, Casoria e Roma;
   ad adoperarsi al fine di trovare adeguate collocazioni ai prodotti della nostra industria aeronautica nell'ambito dei rapporti con altri Paesi.
(1-00749)
 (Nuova formulazione) «Lulli, Baretta, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Murer, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Viola, Zunino».
(2 novembre 2011)