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PDL 3889

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3889



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato CALABRIA

Modifica all'articolo 60 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, in materia di durata della copertura brevettuale per i farmaci biologici

Presentata il 23 novembre 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — La necessità di comprimere in brevissimo tempo una spesa sanitaria condizionata da scelte ormai stratificate da decenni ha comportato l'adozione di meccanismi rapidi, ma non sempre ben ponderati.
      Negli ultimi decenni la ricerca farmaceutica è stata condotta in prevalenza dall'industria e il brevetto tutela gli investimenti effettuati, al fine di evitare che l'invenzione possa essere sfruttata indiscriminatamente dalle concorrenti dell'impresa, a discapito dell'attività di ricerca e di innovazione. L'introduzione della tutela brevettuale ha sostenuto, altresì, l'attività di ricerca innovativa, consentendo alle imprese di recuperare gli investimenti in ricerca e in sviluppo dei farmaci.
      La durata della protezione brevettuale è variabile da Paese a Paese: attualmente in Italia la durata dei brevetti è di venti anni dal deposito della domanda. Per i farmaci, tuttavia, tale periodo è di otto-dieci anni perché per commercializzare il prodotto è necessaria la concessione dell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) da parte del Ministero della salute.
      La durata della protezione brevettuale per i farmaci è stata estesa dal certificato protettivo complementare, che compensa il tempo speso prima dello sfruttamento commerciale.
      L'estensione della brevettabilità in Italia è stata realizzata a seguito della ratifica dell'Atto di revisione della Convenzione sul rilascio dei brevetti europei, fatta a Monaco il 19 novembre 2000, resa esecutiva ai sensi della legge n. 224 del 2007, e della conseguente emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1979, n. 338, recante revisione della legislazione
 

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nazionale in materia di brevetti, poi abrogato dal codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.
      Successivamente la legge 19 ottobre 1991, n. 349, anch'essa ora abrogata dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 30 del 2005, aveva introdotto il certificato complementare di protezione (CPC), con lo scopo di far recuperare il tempo intercorso tra la data della domanda di brevetto e l'autorizzazione all'immissione in commercio.
      Il regolamento (CEE) n. 1768/92 del Consiglio, del 18 giugno 1992, istitutivo del Supplementary Protection Certificate (SPC), aveva stabilito che la durata del certificato di protezione si calcolava facendo la differenza tra la data del deposito della domanda di brevetto di base e la data della prima autorizzazione all'immissione in commercio, sottraendo a questo risultato un numero di anni pari a cinque. Tale regolamento è stato poi abrogato dal regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, che ha confermato che la durata del brevetto non può comunque essere superiore a cinque anni dalla data in cui il certificato acquista efficacia e deve essere sommata alla vita residua del brevetto (articolo 13 del regolamento (CE) n. 469/2009). Il meccanismo non comporta, pertanto, alcun vantaggio qualora l'autorizzazione all'immissione in commercio avvenga entro cinque anni dalla richiesta del brevetto, mentre si ottiene il maggiore periodo di copertura brevettuale (venticinque anni) in caso di concessione dell'autorizzazione all'immissione in commercio dopo dieci anni.
      Alla fine degli anni novanta, nel tentativo di comprimere la spesa farmaceutica si è proceduto all'introduzione del farmaco «generico» (detto anche «equivalente»), ovvero di un medicinale che tecnicamente è «bioequivalente» a prodotti di marca (branded) il cui brevetto è scaduto e che dunque ognuno può produrre, naturalmente rispettando alcuni standard. I sostenitori dei farmaci equivalenti o generici adducono a sostegno vari argomenti che si possono così riassumere:

          1) i farmaci generici sono equivalenti dal punto di vista terapeutico ai farmaci originali;

          2) l'impresa farmaceutica che ha scoperto il farmaco ha già avuto un congruo risarcimento per gli investimenti fatti durante la copertura brevettuale;

          3) il farmaco generico, senza interferire negativamente sul ciclo dell'innovazione (il brevetto è scaduto e l'impresa è già stata finanziata) e senza entrare in conflitto con gli interessi del singolo paziente (a parità di indicazione ha la stessa attività terapeutica), permette una tangibile riduzione di spesa con la possibilità di allocare ad altre destinazioni i risparmi realizzati.

      L'avvento dei farmaci generici è apparso come una vera e propria ancora di salvezza, anche se a distanza di tempo (il farmaco generico e stato definito, per la prima volta, dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549) non sono poche né di scarsa importanza le questioni che rilevano in relazione all'utilizzo degli stessi, come ad esempio: la dimostrazione della loro bioequivalenza attraverso test finalizzati a verificare che le differenze di biodisponibilità, che inevitabilmente esistono tra due prodotti essenzialmente simili, non superino un certo intervallo di variazione; l'attendibilità degli stessi test di bioequivalenza; i dubbi relativi all'interscambiabilità tra i farmaci generici (i test di bioequivalenza sono effettuati tra un singolo prodotto generico e un prodotto di riferimento: questa comparazione non garantisce che due o più farmaci generici per i quali è stata certificata la bioequivalenza con la molecola originale siano comunque caratterizzate da biodisponibilità simili); la diversità tra i farmaci generici legata alla qualità merceologica (i farmaci generici devono corrispondere a requisiti di legge per quanto riguarda le specifiche delle materie prime e i processi di produzione; tuttavia, la spinta eccessiva alla riduzione

 

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dei prezzi può comportare un utilizzo di materie prime meno pregiate e meno purificate, sebbene questa possibilità sia ridotta dalle tolleranze limite ammesse, e un utilizzo di tecnologie meno affidabili, particolarmente per quanto riguarda il controllo di qualità); la sostituibilità incondizionata, che prevede che se il medico omette, nella sua prescrizione, di specificare il titolare dell'autorizzazione, il farmacista può dispensare qualsiasi farmaco generico corrispondente per composizione a quanto prescritto dal medico o richiesto dal paziente.
      Per quanto riguarda, infine, la convenienza del farmaco generico si può osservare che se è vero che esso fa risparmiare, creando risorse per poter coprire i costi dei farmaci innovativi, è altrettanto vero che se il sistema farmaceutico non producesse profitti le risorse sarebbero dirottate su altri comparti con grave danno per la ricerca e per l'innovazione in questo settore.
      Oggi più che mai, inoltre, i costi dell'innovazione sono sempre più alti, così come la procedura per lo sviluppo di un nuovo farmaco è sempre più lunga. Oggi, infatti, non ci accontentiamo più che un determinato prodotto abbassi la pressione o la colesterolemia, ma vogliamo prove convincenti che riduca le morti, gli ictus, gli infarti o i ricoveri e questo significa che gli studi e le prove devono coinvolgere un gran numero di persone e devono durare molti anni. È vero, altresì, che oggi, ancora più di ieri, non è facile convincere i prescrittori a scegliere un nuovo farmaco in mancanza di dati convincenti e questo fa sì che per un produttore si profili il rischio concreto di dover attendere molti anni prima che un nuovo farmaco sia ampiamente prescritto.
      Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la tollerabilità e la sicurezza dei farmaci: anche in questi casi, infatti, la sperimentazione deve durare a lungo e coinvolgere un gruppo molto ampio di soggetti.
      Scoprire, sperimentare e dimostrare che un nuovo farmaco è efficace e ben tollerato è dunque un'impresa oggi ardua, lunga e molto costosa e conseguenze di ciò sono il basso numero di nuovi medicinali approvati dalle autorità preposte e il fatto che i nuovi farmaci approvati sono sempre meno rivolti alle grandi patologie sociali e sempre più a patologie di nicchia, ad alto impatto emozionale.
      Questi farmaci di nicchia sono, inoltre, costosissimi e pertanto gli enti regolatori, come l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), ne limitano la prescrizione a pochi centri di riferimento. La motivazione è formalmente quella di limitare l'uso «improprio» del prodotto, basandosi sull'assunto che solo pochi superspecialisti sappiano usare bene questi farmaci, ma la vera motivazione è spesso quella di limitare la spesa, dato che meno sono i prescrittori minore sarà il volume delle prescrizioni che saranno anche più facilmente controllabili. Questo sistema comporta, per le imprese farmaceutiche, lo svantaggio di limitare le prescrizioni, ma al contempo il vantaggio di dover «convincere» solo pochi soggetti prescrittori, responsabili della salute di intere province, limitando gli investimenti di marketing a pochi soggetti selezionati.
      L'attuale sistema, dunque, crea le premesse affinché le risorse siano impiegate non per la scoperta e lo sviluppo di nuovi farmaci per le grandi patologie sociali, bensì verso «maquillage» per aggirare la scadenza brevettuale o per lo sviluppo di farmaci molto costosi, destinati a pochi pazienti e prescritti da un ristretto numero di medici.
      È d'altra parte vero che se le imprese farmaceutiche potessero contare su periodi più lunghi per recuperare i miliardari investimenti in ricerca e in sviluppo i nuovi farmaci potrebbero essere messi a disposizione a costi più sostenibili e l'accesso alle cure potrebbe estendersi a una quota maggiore di malati nel mondo.
      Tutto ciò vale, in particolare, per quei farmaci di ultima generazione in cui la ricerca e l'innovazione tecnologiche hanno un ruolo preponderante per il loro sviluppo e per l'incremento delle loro potenzialità.
      È il caso dei cosiddetti «farmaci biologici», ovvero di quei medicinali il cui
 

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principio attivo è prodotto o derivato da un organismo vivente, i quali sono oggi largamente impiegati in campo oncologico e che proprio in questo settore stanno ottenendo risultati estremamente interessanti: queste nuove molecole, infatti, agiscono sulla crescita del tumore bloccando la formazione di alcune proteine che hanno un ruolo chiave nel processo di crescita tumorale, inibendo, in tal modo, lo sviluppo delle cellule cancerose.
      In Italia si stimano ogni anno oltre 254.000 nuovi casi di cancro (dati 2008, Istituto superiore di sanità) e nel 2009 sono stati spesi 5.456 milioni di euro per farmaci oncologici: in questo quadro un taglio della spesa, in seguito all'abbassamento del prezzo dei farmaci, produrrebbe un recupero enorme e immediato di risorse. Inoltre, tutti i nuovi farmaci avrebbero come riferimento prezzi già diminuiti e inciderebbero di meno su quella che è l'evoluzione della spesa, la quale è in preoccupante ascesa.
      In questo quadro la presente proposta di legge, composta di un unico articolo, aumenta di dieci anni la durata della copertura brevettuale per i farmaci biologici. Attualmente l'articolo 60 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 30 del 2005 prevede che la copertura brevettuale per le invenzioni industriali (tra le quali sono compresi i princìpi attivi dei farmaci) abbia la durata di venti anni; l'intervento normativo proposto amplierebbe tale periodo a trenta anni per i farmaci biologici, fermo restando quanto previsto dall'articolo 81 del medesimo codice in materia di CPC dei medicinali.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 60 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, è aggiunto in fine, il seguente comma:
      «1-bis. Per i farmaci biologici, intendendosi come tali i prodotti medicinali il cui principio attivo è prodotto o derivato da un organismo vivente, la durata della copertura brevettuale, stabilita ai sensi del comma 1, è aumentata di dieci anni».


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