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PDL 4268

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4268



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DI PIETRO, PALADINI, ANIELLO FORMISANO, BORGHESI, CAMBURSANO

Modifiche all'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e all'articolo 5 del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, in materia di adeguamento delle pensioni al costo della vita, nonché disposizioni per l'unificazione degli istituti di previdenza e aumento del prelievo erariale unico sugli apparecchi e congegni per il gioco

Presentata il 7 aprile 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — I dati dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) confermano che oltre 8 milioni e mezzo di pensionati vivono con un reddito inferiore a 750 euro mensili e che più della metà non raggiunge i 516 euro.
      Questa situazione si è aggravata negli ultimi dieci anni perché il meccanismo di indicizzazione delle prestazioni previdenziali, sganciato dall'incremento di produttività del Paese (riforma Amato del 1992), non è riuscito a impedire una progressiva perdita del potere d'acquisto delle pensioni, che in dieci anni ha sfiorato il 20 per cento, come risulta da uno studio del Centro Europa ricerche (CER).
      La maggiore fonte di risparmio previdenziale realizzata con le riforme che si sono susseguite negli ultimi dodici anni è, peraltro, proprio quella derivante dalla deindicizzazione rispetto ai salari, che ha prodotto, secondo stime dal 1993 ad oggi, una quantità di denaro assai notevole (almeno 90.000-100.000 miliardi di vecchie
 

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lire, secondo il Governo; circa 150.000 miliardi di vecchie lire secondo i sindacati).
      L'adeguamento della misura dei trattamenti pensionistici è effettuato, a decorrere dal 1o gennaio 1994, sulla base della disciplina dettata dall'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503; tale normativa si applica sia ai trattamenti dell'assicurazione generale obbligatoria che a quelli delle forme di previdenza sostitutive ed esclusive. In quest'ultima categoria rientrano i lavoratori pubblici.
      La perequazione, ai sensi del citato articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992, si calcola sulla base del solo adeguamento al costo della vita, con cadenza annuale ed effetto dal 1o gennaio dell'anno successivo: all'importo della pensione si applica la percentuale di variazione determinata rapportando il valore medio dell'indice dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente.
      La rivalutazione è peraltro differenziata a seconda delle diverse fasce d'importo del trattamento pensionistico: 100 per cento per la fascia fino a tre volte il trattamento minimo annuo dell'INPS; 90 per cento per lo scaglione compreso fra tre e cinque volte il parametro anzidetto; 75 per cento per la quota eccedente.
      In base all'articolo 59, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, la rivalutazione, limitatamente agli anni 1999-2000, è stata ulteriormente ridotta (30 per cento) per le fasce d'importo comprese tra cinque e otto volte il trattamento minimo e non trova applicazione per le fasce di importo superiore a tale ultimo limite.
      L'articolo 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha poi disposto che a decorrere dal 1o gennaio 1999 il meccanismo di perequazione automatica operi tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dallo stesso soggetto. Pertanto, ai fini del meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni dei titolari di più trattamenti pensionistici, erogate anche da enti diversi, si prevede che il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applichi per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi e aggiuntivi di cui all'articolo 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997. L'aumento di rivalutazione automatica dovuto viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo.
      I diversi meccanismi di perequazione automatica che si sono succeduti nel tempo non hanno però impedito, soprattutto nei periodi in cui era presente una forte inflazione, come gli anni settanta e ottanta, il verificarsi del fenomeno delle cosiddette «pensioni d'annata», in base al quale lavoratori di pari livello retributivo e di pari anzianità contributiva, posti in quiescenza in anni diversi, percepiscono trattamenti previdenziali notevolmente diversi tra di loro. I lavoratori in servizio riescono infatti a recuperare parte del potere di acquisto perduto mediante la contrattazione collettiva, possibilità che è invece preclusa ai lavoratori in quiescenza.
      Il legislatore è intervenuto più volte in materia rivalutando volta per volta le prestazioni pensionistiche liquidate in periodi specificamente individuati dalle leggi stesse (decreto-legge n. 409 del 1990, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 59 del 1991, e articolo 11, commi da 5 a 7, della legge n. 537 del 1993).
      L'adeguamento automatico delle pensioni agli incrementi retributivi, in passato previsto per talune forme pensionistiche e denominato «clausola d'oro», è successivamente venuto meno per effetto dell'articolo 59, comma 4, della legge n. 449 del 1997, in base al quale, a decorrere dal 1o gennaio 1998, trova esclusiva applicazione l'articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992, in materia di perequazione automatica.
      Il decreto-legge n. 81 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127
 

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del 2007, all'articolo 5, ha previsto che, per il solo triennio 2008-2010, ai trattamenti pensionistici ricompresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo dell'INPS, si applicasse un indice di rivalutazione automatico nella misura del 100 per cento.
      Si trattava, quindi, di una misura solo temporanea che non risulta essere stata prorogata alla scadenza del 31 dicembre 2010.
      Ne deriva che dall'inizio del 2011 è tornato ad applicarsi il normale criterio di rivalutazione delle pensioni che prevede:

          100 per cento nel caso di pensioni fino a tre volte il trattamento minimo dell'INPS (ovvero fino a 1.382,91 euro);

          90 per cento da tre a cinque volte (ovvero da 1.382,92 a 2.304,85 euro);

          75 per cento oltre le cinque volte (ovvero oltre 2.304,85 euro).

      Escludendo l'indicizzazione automatica delle pensioni alle retribuzioni e avendo ben presente che le priorità in questo campo sono altre (le pensioni dei giovani precari assunti con contratti atipici; i lavoratori impiegati in attività usuranti), rimane il problema della consistente perdita del potere d'acquisto delle pensioni nonché della riduzione relativa del reddito nazionale distribuito alla popolazione anziana (se la percentuale di prodotto interno lordo (PIL) relativa alla spesa pensionistica rimane costante aumentando la percentuale della popolazione anziana, il risultato è inevitabile), proponiamo i seguenti interventi:

          a) un paniere ISTAT ad hoc per le spese delle famiglie di cui è capofamiglia una persona con più di sessantacinque anni, paniere con il quale calcolare la rivalutazione annuale delle pensioni;

          b) l'applicazione in via permanente dell'articolo 5 del decreto-legge n. 81 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127 del 2007, che applica l'indice di rivalutazione nella misura del 100 per cento ai trattamenti pensionistici ricompresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo dell'INPS.

      Il costo della misura di cui alla lettera b) era stato valutato nel triennio 2008-2010 pari a circa 400 milioni di euro annui.
      Infatti, la relazione tecnica relativa al citato decreto-legge n. 81 del 2007 prevedeva, per l'articolo 5, una copertura finanziaria di 1.500 milioni di euro comprensivi di:

          900 milioni di euro per la cosiddetta «quattordicesima dei pensionati»;

          200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010 (articolo 5, comma 8) per interventi e misure agevolative in materia di riscatto ai fini pensionistici del corso legale di laurea e per la totalizzazione dei periodi contributivi maturati in diversi regimi pensionistici, in particolare per i soggetti per i quali trovi applicazione, in via esclusiva, il regime pensionistico di calcolo contributivo, al fine di migliorare la misura dei trattamenti pensionistici;

          400 milioni di euro per la rivalutazione al 100 per cento dell'aumento del costo della vita per le pensioni basse.

      La copertura finanziaria di queste proposte può derivare sia da un incremento delle aliquote del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi e congegni per il gioco, che dall'unificazione degli istituti di previdenza.
      Quest'ultima misura darà i suoi frutti con il tempo, ma senz'altro potrà essere utilizzata, oltre che per migliorare i conti previdenziali, per migliorare le erogazioni previdenziali per le fasce più deboli dei pensionati e, in prospettiva, per quelle dei lavoratori atipici e precari.

A. Incremento del gettito del PREU.

      Ricordiamo che il decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, prevede, all'articolo 30-bis, comma 1, le seguenti disposizioni

 

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fiscali in materia di giochi: «A decorrere dal 1o gennaio 2009, il prelievo erariale unico di cui all'articolo 39, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, è determinato, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, applicando le seguenti aliquote per scaglioni di raccolta delle somme giocate:

          a) 12,6 per cento, fino a concorrenza di una raccolta pari a quella dell'anno 2008;

          b) 11,6 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo non superiore al 15 per cento della raccolta del 2008;

          c) 10,6 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo compreso tra il 15 per cento e il 40 per cento della raccolta del 2008;

          d) 9 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo compreso tra il 40 per cento e il 65 per cento della raccolta del 2008;

          e) 8 per cento, sull'incremento della raccolta, rispetto a quella del 2008, pari ad un importo superiore al 65 per cento della raccolta del 2008».

      In precedenza, l'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, prevedeva un'aliquota unica da applicare sulle somme giocate pari al 13,5 per cento.
      Nel 2008, il gettito era stato pari a 833 milioni di euro. L'aliquota dell'imposta sostitutiva era pari al 13,5 per cento delle somme giocate con gli apparecchi e i congegni di gioco. Dunque, le somme ufficialmente giocate erano state complessivamente pari a 6.170 milioni di euro.
      Il gettito del PREU è stato nel 2010 pari a circa 3.615 milioni di euro e si può prevedere un incremento (prudenziale) del 10 per cento di tale importo per la fine 2011, fino a circa 4.000 milioni di euro.
      Le somme giocate nel 2010 hanno un ammontare pari a circa 40 miliardi di euro (si desume tale cifra calcolando la base imponibile con le aliquote di cui al comma 1 dell'articolo 30-bis del citato decreto-legge n. 185 del 2008).
      Dunque, la modifica introdotta dall'articolo 30-bis citato, che ha introdotto un'imposizione regressiva al crescere delle somme giocate, ha fatto perdere all'erario nel 2010 circa 1,8 miliardi di euro.
      Proponiamo che dal 2012 si ritorni all'aliquota del 13,5 per cento recuperando un notevole importo di gettito che, tra le altre cose, potrà servire per tutelare meglio il reddito dei pensionati meno abbienti.

B. Unificazione degli enti previdenziali.

      Tale unificazione rappresenta un intervento rilevante che, mediante una razionalizzazione della spesa, può far reperire risorse utili per il miglioramento del sistema previdenziale italiano. Non si tratta solo di reperire risorse esclusivamente per fare cassa. Si individua, infatti, nella possibile unificazione degli enti previdenziali un provvedimento che può anche produrre effetti finanziari importanti, il che non significa che essi siano l'unico obiettivo dell'eventuale unificazione.
      Dal nostro punto di vista, infatti, la necessità di riordinare e di razionalizzare gli enti che gestiscono la previdenza in Italia, anche con processi di unificazione, risponde innanzitutto a un obiettivo di grande spessore, un obiettivo ineludibile, quello cioè di mettere in linea, nel nostro Paese, l'assetto e il funzionamento delle grandi istituzioni dello Stato sociale con le necessità dell'evoluzione del sistema del welfare. Si pone cioè in modo concreto la necessità di pensare al modo in cui i grandi istituti esistenti oggi possano assolvere al ruolo di grandi tecnostrutture del nuovo sistema del welfare che vogliamo costruire.
      Non si tratta, quindi, solo di rispondere alla pur giusta esigenza di governare con strumenti unificati i sistemi previdenziali e

 

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pensionistici che si vanno unificando. Per tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 esiste di fatto un sistema unico, con regole uguali.
      Non v’è dubbio che non sarebbe naturale avere, da un lato, un sistema pensionistico che si va unificando nelle regole e nei diritti e, dall'altro, istituti che cristallizzano in eterno le ormai anacronistiche divisioni del passato. È evidente che la legge Dini n. 335 del 1995 sul sistema previdenziale trova nell'unificazione del sistema pubblico e privato uno dei suoi punti più rilevanti di innovazione.
      La necessità di cambiamento emerge tuttavia con forza se solo pensiamo alle modifiche profonde che caratterizzeranno la società nei prossimi decenni, sia in relazione a un cambiamento demografico che porterà gli anziani a rappresentare una quota di popolazione con un peso quantitativo mai avuto in passato, sia per l'emergere di bisogni e necessità nuovi delle giovani e delle vecchie generazioni. È infatti già cambiato negli anni il cosiddetto «mestiere» dell'ente previdenziale, che ha assunto aree di intervento sempre più ampie e diversificate. Questo processo continuerà e si avvertirà quindi la necessità di avere enti in grado di coprire sempre maggiori e diversificate esigenze.
      Per questo complesso di ragioni, si pone il problema della riorganizzazione del sistema degli enti, che deve essere ammodernato per riuscire a fornire un servizio più efficace ed efficiente ai cittadini. Questo è per noi il punto centrale, che non può essere disgiunto da tutti quegli elementi di razionalizzazione del risparmio che ne possono derivare: esso è tanto più importante perché le risorse impiegate per il finanziamento di queste strutture sono ingenti.
      Le sole spese correnti che l'insieme degli enti previdenziali e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) necessitano per il funzionamento del sistema sono valutabili in almeno 6 miliardi di euro l'anno, ma vi sono spazi di risparmio (si veda al riguardo l'audizione del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 31 maggio 2007 presso la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale). Nella situazione attuale vi è dunque un margine rilevante sia per riorganizzare assetti e funzioni, al fine di conseguire una maggiore efficacia da consolidare nel tempo e a regime, sia per razionalizzare le risorse, mediante l'abolizione di funzioni duplicate e lo sviluppo di sinergie.
      Le aree sulle quali operare un processo di unificazione possono essere ampie: pensiamo alla logistica, ai servizi informativi, alla vigilanza, ai servizi professionali, agli acquisti, alla gestione degli immobili strumentali e alla gestione di immobili di pregio.
      Necessariamente, tale obiettivo è da considerare valutando con attenzione il tragitto da seguire, la variabile «tempo» e i successivi step, valorizzando il dialogo con gli stessi enti gestori e con le parti sociali.
      Razionalizzare l'organizzazione delle istituzioni e semplificare la pubblica amministrazione significa anche questo: riordinare funzioni e strutture degli enti previdenziali, alleggerirne, per quanto possibile, il peso dei costi e rendere immediatamente percepibile all'opinione pubblica i compiti spettanti a ciascuno. Ciò, infatti, rende più efficaci e veloci i servizi erogati, con un maggior grado di soddisfazione dell'utenza e con una riduzione dei costi a carico della collettività.
      Non vi è dubbio che prospettive di risparmio possono, ad esempio, derivare dall'eliminazione delle duplicazioni di funzioni e di prestazioni oggi presenti.
      Punti di partenza potrebbero quindi essere: l'unificazione dei servizi informativi attraverso l'interoperabilità e la messa in comune delle banche dati e degli archivi; la razionalizzazione della logistica, a partire dalla rete territoriale dei singoli istituti; un uso comune del patrimonio immobiliare; la centralizzazione degli acquisti e delle strategie di approvvigionamento; la riorganizzazione dei servizi professionali e delle competenze in materia di vigilanza.
 

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      Solo gli organi dell'INPS, dell'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP) e dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico (ENPALS) costano circa 23 milioni di euro l'anno. Il costo per il personale e per la dirigenza, invece, si aggira sui 44 milioni di euro. Se a queste voci si aggiungono i potenziali risparmi derivanti dalla razionalizzazione delle spese per i canoni di locazione e per l'acquisto di beni e di servizi, nonché per le spese di rappresentanza, il risparmio complessivo potrebbe oscillare, nella fase di avvio, fra i 60 e i 70 milioni di euro e, a regime, verosimilmente, il risparmio potrebbe ammontare a 220-270 milioni di euro l'anno.
      È tuttavia indispensabile accompagnare tutto ciò con una riformulazione delle piante organiche, condivisa e concertata con le parti sociali. Occorrerà, pertanto, lavorare a un vero e proprio piano per la ricollocazione del personale degli enti che saranno soppressi, coinvolgendo nel disegno di riforma anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze.
      Di pari passo, sarà necessario procedere a individuare una nuova governance dell'ente unico di previdenza, agendo in parallelo, quindi, sul livello dirigenziale e manageriale, e ispirandosi a princìpi di efficienza, snellimento delle procedure e trasparenza nelle scelte.
      In conclusione, una riunificazione di carattere esclusivamente «politico», priva di un progetto di qualunque respiro, che riguardi il complesso della normativa e delle regole previdenziali per le diverse categorie interessate, rischia di diventare, se non ben orientata, un'operazione caotica, di cui difficilmente sarebbero quantificabili economie, risparmi, vantaggi per gli utenti ed efficacia della politica di welfare.
      Fermo restando l'obiettivo politico di fondo siamo consapevoli che i processi di unificazione sono operazioni certamente complesse.
      Un tentativo molto più blando di razionalizzazione degli istituti previdenziali era stato disposto dall'articolo 1, commi da 7 a 11, della legge n. 247 del 2007 (successivamente il comma 10 è stato abrogato), nonché dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha trasferito all'INPS le competenze e dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA) e dell'Istituto postelegrafonici (IPOST).
      La legge n. 247 del 2007 prevedeva per gli enti previdenziali pubblici la possibilità di predisporre, al fine di risparmiare, modelli organizzativi volti a realizzare sinergie e a conseguire risparmi di spesa anche attraverso gestioni unitarie, uniche o in comune di attività strumentali.
      Il Governo doveva presentare, entro un mese dalla data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007, un piano industriale (che non risulta mai essere stato presentato) volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi e a conseguire, nell'arco del decennio, risparmi finanziari per 3,5 miliardi di euro, ossia 350 milioni di euro annui.
      Ad onor del vero, va anche ricordato che il rappresentante della Ragioneria generale dello Stato (RGS) rilevò che, trattandosi di un procedimento molto complesso, la realizzazione di risparmi avrebbe potuto essere valutata solo a consuntivo.
      In particolare, in una prima fase, al contrario sarebbero potuti emergere maggiori costi derivanti dalla necessità di reperire sedi più grandi, da fenomeni di allineamento verso l'alto dei trattamenti economici del personale e, in generale, dall'aumento delle spese per consumi intermedi.
      Gli eventuali risparmi, la cui effettiva consistenza avrebbe potuto essere valutata solo al termine di tale processo di razionalizzazione, secondo il rappresentante della RGS, non potevano essere programmaticamente scontati e utilizzati per la copertura di spese correnti relative al riconoscimento di diritti soggettivi sottostanti.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie con capofamiglia di età superiore a sessantacinque anni).

      1. L'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) provvede a rivedere, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e previa consultazione delle organizzazioni sindacali e dei consumatori, le metodologie di rilevazione e la composizione del paniere per il calcolo dell'indice dei prezzi al consumo e dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al fine di adeguarle alla reale composizione dei consumi, tenendo anche conto della stagionalità dell'acquisto di alcuni prodotti di largo consumo, nonché a istituire l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie con capofamiglia di età superiore a sessantacinque anni.
      2. L'ISTAT garantisce ai soggetti interessati e, in particolare, agli istituti di ricerca, la possibilità di disporre dei dati analitici delle rilevazioni e delle metodologie seguite, anche al fine di stimare gli effetti dell'aumento medio dei prezzi sulle diverse tipologie familiari.
      3. Al comma 1 dell'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, le parole: «il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati» sono sostituite dalle seguenti: «il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie con capofamiglia di età superiore a sessantacinque anni».

Art. 2.
(Rivalutazione delle pensioni al costo della vita).

      1. Al comma 6 dell'articolo 5 del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto

 

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2007, n. 127, le parole: «per il triennio 2008-2010» sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dall'anno 2008».

Art. 3.
(Incremento delle aliquote del prelievo erariale unico sugli apparecchi e congegni per il gioco).

      1. Il comma 1 dell'articolo 30-bis del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è sostituito dal seguente:

          «1. A decorrere dal 1o gennaio 2011, il prelievo erariale unico di cui all'articolo 39, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, è determinato, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, applicando un'aliquota pari al 13,5 per cento».

Art. 4.
(Unificazione degli istituti di previdenza).

      1. A decorrere dal 1o gennaio 2012 è istituito l'Istituto di previdenza generale, di seguito denominato «Istituto». L'Istituto esercita le funzioni svolte dai seguenti enti di previdenza, che sono soppressi a decorrere dalla medesima data:

          a) Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS);

          b) Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP);

          c) Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico (ENPALS).

      2. L'Istituto succede in tutti i rapporti attivi e passivi dell'INPS, dell'INPDAP e dell'ENPALS in essere alla data del 1o gennaio 2011. Dalla medesima data sono

 

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soppressi i comitati centrali regionali e provinciali dell'INPS e i comitati di vigilanza delle gestioni dell'INPDAP. I ricorsi amministrativi pendenti presso tali organi sono conseguentemente devoluti ai dirigenti dell'Istituto.
      3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, è nominato il Commissario straordinario dell'Istituto.
      4. Entro il 28 febbraio 2012 il Commissario straordinario predispone lo statuto dell'Istituto, da emanare entro i successivi sessanta giorni ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.
      5. Lo statuto di cui al comma 4 definisce le attribuzioni degli organi dell'Istituto, che sono individuati come segue:

          a) il Presidente, nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali previa intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze;

          b) il consiglio di amministrazione, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, e composto da cinque membri; il consiglio di amministrazione dura in carica quattro anni;

          c) il consiglio di indirizzo e vigilanza, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, composto da venti membri, designati dalle rappresentanze sindacali del lavoratori, dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi; il consiglio di indirizzo e di vigilanza dura in carica quattro anni;

 

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          d) il collegio dei sindaci, composto da tre membri, due nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e uno dal Ministro dell'economia e delle finanze; uno dei componenti nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale svolge le funzioni di presidente; per ciascuno dei componenti è nominato un membro supplente.

      6. Alla costituzione degli organi di cui al comma 5 si provvede a decorrere dal 1o gennaio 2013. Lo statuto reca disposizioni sulla formazione dei bilanci dell'Istituto volte ad assicurare piena e separata evidenza contabile alla gestione delle prestazioni previdenziali, assistenziali, creditizie e sociali. Con il criterio prioritario dell'unicità dei sistemi strumentali per il miglioramento dei servizi, della riduzione degli oneri e della semplificazione delle strutture e delle procedure, nonché con riguardo alla dismissione del patrimonio dell'INPS, dell'INPDAP e dell'ENPALS, il Commissario straordinario predispone, entro il 30 giugno 2012, un piano strategico-operativo per l'organizzazione dell'Istituto e per la piena attuazione delle disposizioni del presente articolo, da avviare entro il 30 settembre 2012. Il piano è approvato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.


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