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PDL 4581

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4581



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GATTI, DAMIANO, LIVIA TURCO, LENZI, BERRETTA, BOCCUZZI, BOSSA, BRANDOLINI, CENNI, CODURELLI, FONTANELLI, FRONER, GNECCHI, MADIA, MARCHI, MIGLIOLI, MOTTA, MURER, RUBINATO, SBROLLINI, SCHIRRU

Modifiche al capo II del titolo VII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di prestazioni occasionali di lavoro di tipo accessorio rese da particolari soggetti

Presentata il 3 agosto 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge ha per oggetto la modifica della disciplina riguardante le prestazioni occasionali di tipo accessorio, una particolare tipologia di lavoro introdotta dalla legge n. 30 del 2003 (legge Biagi) e disciplinata dagli articoli da 70 a 73 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
      L'istituzione di questo tipo di prestazione lavorativa, il cui pagamento avviene attraverso il meccanismo dei buoni lavoro (meglio conosciuti come «voucher»), rispondeva alla necessità di far emergere la vasta area di lavoro nero collegata a quelle attività non riconducibili a contratti di lavoro, perché svolte per soddisfare esigenze occasionali e di carattere saltuario, e di consentire una maggiore tutela dei tanti lavoratori sprovvisti di protezione assicurativa e previdenziale.
      Si trattava dei cosiddetti «lavoretti», di breve durata e del tutto occasionali, da svolgere presso famiglie o singoli individui, per i quali si voleva evitare di ricorrere alle procedure burocratiche e amministrative necessarie per attivare un contratto di lavoro.
      La disciplina originaria relativa al lavoro accessorio e ai buoni lavoro è stata, però, oggetto di un continuo processo di trasformazione, se non di stravolgimento, che ha riguardato l'ampliamento degli ambiti
 

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di applicazione, l'aumento dei soggetti abilitati a fame uso e la riduzione delle limitazioni che ne restringevano la possibilità di utilizzo.
      Quest'opera di progressivo smantellamento dell'impianto originario rischia, a parere dei proponenti, di generare un pericoloso arretramento dei diritti, delle condizioni e delle tutele dei lavoratori impiegati in questo tipo di prestazione.
      Attualmente, secondo quanto stabilisce l'articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003, relativamente al lavoro accessorio, i committenti possono essere: famiglie; enti senza fini di lucro; soggetti non imprenditori; imprese familiari; imprenditori agricoli; imprenditori operanti in tutti i settori; committenti pubblici (in caso di prestazioni per manifestazioni sportive, culturali, fieristiche caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà). Gli enti locali possono impegnare i voucher anche per i lavori di giardinaggio, di pulizia e di manutenzione degli edifici, delle strade, dei parchi e dei monumenti.
      I lavoratori che possono accedere al lavoro occasionale accessorio sono: pensionati; studenti (i giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado) in periodi di vacanza o, se regolarmente iscritti a un ciclo regolare di studi universitari, in qualunque periodo dell'anno; inoccupati, titolari di disoccupazione a requisiti ridotti o di disoccupazione speciale per agricoltura, lavoratori dipendenti pubblici e privati; gli extracomunitari, se in possesso di un permesso di soggiorno che consenta lo svolgimento di attività lavorativa, compreso quello per studio o, nei periodi di disoccupazione, se in possesso di un permesso di soggiorno per «attesa occupazione»; fino alla fine del 2011 anche i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (cassaintegrati, titolari di disoccupazione ordinaria, di disoccupazione speciale per l'edilizia e i lavoratori in mobilità) e per il 2010-2011, con alcune limitazioni, i lavoratori in part-time.
      Quanto riportato evidenzia come il lavoro accessorio sia ormai esteso praticamente a tutte le tipologie di datori di lavoro e di imprese e a una platea vastissima di lavoratori (tanto che pare lecito domandarsi se abbia ancora senso mantenere la titolazione originaria del capo II del titolo VII del decreto legislativo n. 276 del 2003, la quale parla di «prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti»), impiegati negli ambiti lavorativi più diversi, il più delle volte niente affatto occasionali. Il timore è che la prestazione occasionale e accessoria finisca per divenire un'alternativa ai contratti di lavoro, provocando un arretramento delle tutele dei lavoratori invece che una loro maggiore salvaguardia, e di vedere un numero sempre maggiore di soggetti in precedenza titolari di contratti, trasformati in lavoratori occasionali e accessori e costretti a usufruire di voucher.
      La forma di pagamento del buono lavoro, dal punto di vista contributivo e fiscale estremamente vantaggiosa per i datori di lavoro e priva di qualsiasi tipo di controllo sindacale, potrebbe essere utilizzata non solo per regolare prestazioni di tipo occasionale ma anche rapporti di lavoro di tipo più continuativo, riconducibili, quindi, a ben definite fattispecie contrattuali. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai lavori a carattere stagionale, che rischiano di venire fagocitati, soprattutto in alcuni settori, dalla disciplina del lavoro occasionale, con il contemporaneo abbandono dei normali contratti che finora hanno regolato questo tipo di prestazioni lavorative. Prova ne è il fatto che i lavoratori stagionali impegnati in agricoltura, il personale addetto a manifestazioni sportive o culturali, i bagnini, i giardinieri, i commessi e i camerieri hanno superato come utilizzatori i pensionati e gli studenti, che inizialmente erano i principali destinatari di questa modalità di pagamento.
      Un altro elemento che potrebbe avvalorare quest'ipotesi è dato dalla drastica riduzione del numero di beneficiari della disoccupazione agricola con requisiti ridotti, una particolare forma di prestazione
 

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dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), utilizzata dai lavoratori agricoli che hanno lavorato almeno 78 giornate nell'anno precedente a quello in cui si fa la domanda. Dal 2008 al 2010 i beneficiari di tale prestazione sono passati da 8.301 a 5.956 unità.
      È importante evidenziare che lo svolgimento di prestazioni di lavoro occasionale accessorio e il pagamento dei buoni lavoro, pur essendo riconosciuti ai fini del diritto alla pensione, non danno luogo a un contratto di lavoro, né diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari eccetera).
      Tali prestazioni non consentono né il rilascio né il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro ai cittadini extracomunitari.
      Il pagamento delle prestazioni occasionali di tipo accessorio avviene mediante un buono lavoro, voucher, il cui valore nominale è di 10, 20 o 50 euro, comprensivo della contribuzione a favore della gestione separata dell'INPS (13 per cento), accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore; di quella in favore dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per l'assicurazione anti-infortunistica (7 per cento) e di un compenso, pari al 5 per cento per la gestione del servizio.
      Il valore netto dei voucher da 10, 20 o 50 euro nominali, cioè il corrispettivo netto della prestazione, in favore del prestatore, è quindi, rispettivamente, pari a 7,50, 15 e 37,50 euro.
      I buoni lavoro, però, non sono riferibili a ore di lavoro, resta quindi di difficile determinazione stabilire anche una stima approssimativa del rapporto tra ore lavorate e retribuzione ricevuta.
      Per il lavoratore l'attività di natura occasionale accessoria non deve dare luogo a compensi superiori a 5.000 euro netti, nel corso di un anno solare, da parte di ciascun singolo committente, per il quale, quindi, il limite di importo lordo è di 6.660 euro.
      Per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito che hanno accesso al lavoro occasionale accessorio in via sperimentale per gli anni 2009-2011, il limite economico totale dei compensi derivanti dallo svolgimento di prestazioni di natura occasionale accessoria è di 3.000 euro netti per anno solare (4.000 euro lordi per il committente).
      Nel caso di impresa familiare, le prestazioni di lavoro accessorio non possono superare un importo complessivo di 10.000 euro netti, per anno fiscale, corrispondenti a un importo lordo di 13.330 euro.
      La modalità di corresponsione del voucher (del quale esiste una versione cartacea e una telematica) si presta a forti dubbi concernenti la sua reale efficacia di contrasto del lavoro nero.
      La procedura prevista dall'INPS, Istituto concessionario del servizio, suscita perplessità soprattutto per le particolari modalità di corresponsione previste.
      Il datore di lavoro potrebbe, infatti, attivare la procedura prevista per l'utilizzo dei buoni lavoro (consistente in una comunicazione all'INPS o all'INAIL, con l'indicazione dei dati anagrafici e del codice fiscale del committente e del prestatore, il luogo di svolgimento della prestazione e le date presunte di inizio e fine dell'attività lavorativa), per poi corrisponderne solo una minima parte rispetto all'effettiva prestazione erogata.
      Il voucher, oltre a poter essere corrisposto alla fine del periodo della prestazione lavorativa (che può durare anche mesi) e a essere rimborsabile in caso di mancato utilizzo, non prevede l'indicazione della singola prestazione da effettuare ma semplicemente le date, iniziali e finali (presunte e modificabili), del periodo all'interno del quale svolgere l'attività.
      Si pensi al committente che abbia attivato le procedure previste per i voucher per un determinato soggetto, ma faccia dei buoni lavoro un uso assai limitato, se non nullo, rispetto alle prestazioni effettivamente rese dal lavoratore, continuando invece a retribuirlo «in nero» ed effettuando il pagamento del voucher solo nel caso di controllo da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle
 

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politiche sociali. Il meccanismo di corresponsione sembrerebbe consentire una paradossale «copertura» formale del lavoro nero.
      Tali timori sono suffragati dalla risposta all'interrogazione in Commissione lavoro della Camera dei deputati n. 5-02965, presentata dalla prima firmataria della presente proposta di legge, nella quale si chiedeva, tra le altre cose, in cosa consistesse la nozione di prestazione di lavoro.
      Il Governo rispondeva che per «prestazione» si intendeva «la singola prestazione lavorativa di qualunque durata, così come comunicata dal committente preventivamente all'INAIL o all'INPS. Infatti il committente ha l'obbligo di comunicare, seguendo le indicazioni procedurali fomite dall'INPS e dall'INAIL, il periodo (giorni, settimane) di effettiva prestazione e non l'arco temporale in cui si collocano le prestazioni». Ciò significa che il committente non è tenuto a indicare le date specifiche in cui svolge la prestazione ma solo il periodo di tempo entro il quale essa deve svolgersi (avendo, inoltre, la possibilità di modificarlo successivamente).
      E non può essere di conforto nemmeno l'affermazione, effettuata nella stessa occasione, che, sotto il profilo ispettivo, era all'esame del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «la possibilità di attivazione di un monitoraggio sulla specifica attività di vigilanza avente ad oggetto l'utilizzo dei voucher, in modo da poter rilevare eventuali violazioni derivanti dalla mancata comunicazione al contact center di INPS ed INAIL del nominativo del lavoratore utilizzato con prestazioni di lavoro accessorio. L'omessa comunicazione dei nominativi porterebbe a configurare delle vere e proprie prestazioni di “lavoro nero”, con la conseguente applicazione delle relative sanzioni amministrative e civili previste».
      Come sottolineato in precedenza, infatti, il punto debole del meccanismo non riguarda la comunicazione, che non comporta costi, se non quelli relativi ai voucher da acquistare, ma la mancata preventiva indicazione della specifica giornata lavorativa in cui si svolge la prestazione.
      Inoltre, i dati riguardanti la diffusione dei voucher mostrano in maniera inequivocabile come essi siano diffusi quasi esclusivamente nel nord Italia, mentre nel meridione, dove le statistiche documentano una maggiore diffusione del lavoro nero, questo strumento di pagamento rimane assai poco utilizzato.
      Gli ultimi dati a disposizione confermano quelli dell'anno precedente: a fronte di più di 15 milioni di voucher, normalizzati a 10 euro, venduti fino a marzo 2011 (2 milioni dei quali venduti negli ultimi tre mesi), il Veneto ne ha richiesti più di 2 milioni e 300.000, mentre la Calabria meno di 60.000.
      Quindi la distribuzione territoriale dei buoni lavoro risulta essere inversamente proporzionale alla diffusione del lavoro nero.
      Ad aumentare le perplessità sulla capacità del sistema dei voucher di combattere efficacemente la piaga del lavoro nero contribuisce il dato, fornito nel corso della risposta alla già citata interrogazione n. 5-02965, riguardante gli infortuni sul lavoro. Fino al giugno 2010, a fronte di milioni di voucher distribuiti e di migliaia di lavoratori impegnati nel lavoro occasionale e accessorio, si riscontravano solo 113 casi, dei quali 70 in agricoltura, di infortuni sul lavoro. Tale cifra risulta essere di dubbia veridicità, se confrontata con i dati degli infortuni nei diversi settori lavorativi, in particolare in agricoltura. Si rafforza in questo modo il convincimento che anche per quel che riguarda la sicurezza sul lavoro i buoni lavoro non siano riusciti a garantire le necessarie tutele.
      A parere dei proponenti, dunque, il ricorso al lavoro accessorio non ha raggiunto gli obiettivi prefissati, producendo, al contrario, effetti negativi di rilevante portata, anche, e soprattutto, a causa dei molti interventi legislativi che hanno stravolto il testo originario, fino a modificare la nozione stessa di prestazione di lavoro accessorio.
      Nella versione originaria, per tale tipo di attività lavorativa si intendevano quelle
 

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«di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne», nell'ambito di specifiche e ben definite attività (articolo 70, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003).
      Inoltre il comma 2 dell'articolo 70 stabiliva che le predette attività lavorative «anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 3 mila euro sempre nel corso di un anno solare».
      Ci si trovava di fronte a determinati tipi di attività, tradizionalmente di tipo saltuario e occasionale, destinate a specifiche categorie di persone, le quali erano soggette a due limitazioni: la prima riguardava la durata complessiva della prestazione, che non doveva superare i trenta giorni nell'anno; la seconda era relativa al compenso massimo, che non poteva superare la cifra di 3.000 euro nel suo complesso, qualsiasi fosse stato il numero dei committenti per singolo prestatore.
      Il decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, ha invece effettuato una sostanziale modifica all'articolo 70, mediante la cancellazione dell'avverbio «meramente», che nella versione originaria connotava le attività lavorative rientranti nella categoria del lavoro accessorio. L'eliminazione di tale termine appare, purtroppo, quasi naturale in conseguenza dell'estensione indiscriminata dei settori lavorativi riconducibili alla tipologia lavorativa in esame.
      L'avverbio «meramente» è stato conservato solo nel comma 2, dove si dichiara che le attività svolte nell'ambito del lavoro accessorio configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, «intendendosi per tali le attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare».
      Il comma citato evidenzia altre due fondamentali variazioni: viene eliminato il riferimento ai trenta giorni, come durata massima complessiva della prestazione e alzato da 3.000 a 5.000 euro il limite massimo di compenso per il prestatore. Tale limite, inoltre, non riguarda più il complesso delle prestazioni di lavoro accessorio che un lavoratore può svolgere, ma il rapporto con un singolo committente.
      In teoria, quindi, una persona potrebbe svolgere attività di lavoro accessorio senza limiti, dovendo solo rispettare quello dei 5.000 euro per ciascun committente.
      A tal proposito è opportuno citare il dato fornito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04690: l'importo medio annuo riscosso per prestatore risulta essere pari a 570 euro.
      Questa cifra, aggiornata ad aprile 2011, può essere analizzata in due modi: vi può essere una lettura positiva, che sottolinea la reale occasionalità delle prestazioni fornite nell'ambito del lavoro accessorio, tale da renderle del tutto compatibili con l'assetto legislativo posto in essere.
      Mentre un'interpretazione del tutto opposta potrebbe evidenziare l'esiguità dell'importo medio e metterlo in relazione alle obiezioni esposte in precedenza, relative, soprattutto, ai dubbi sulla effettiva corresponsione dei buoni lavoro per l'intera attività lavorativa prestata.
      L'intervento emendativo appena citato è stato solo il primo di una serie di modifiche proseguita tramite i decreti-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, n. 5 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009, e tramite la legge n. 191 del 2009, che hanno portato all'attuale disciplina della materia.
      La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di ricondurre le prestazioni occasionali di tipo accessorio nell'ambito di applicazione per le quali furono ideate,
 

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tornando alla versione originaria, con alcune modifiche, dell'articolo 70, ripristinando, anche qui con delle variazioni, l'articolo 71 e aggiornando l'articolo 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
      Si intende intervenire allo scopo di:

          1) ridurre drasticamente il campo di applicazione del lavoro accessorio, per fare in modo che questo torni a disciplinare solamente i piccoli lavori svolti senza continuità e in maniera episodica, restituendo, invece, le attività che non hanno natura meramente occasionale e accessoria alle tipologie contrattuali di riferimento;

          2) ripristinare i limiti riguardanti le giornate e i compensi massimi consentiti per questo tipo di attività, proponendo di tornare, per ciascun anno, al divieto di superare le trenta giornate di lavoro e di stabilire la somma massima complessiva di 5.000 euro per ciascun prestatore;

          3) restringere la platea di soggetti che possono svolgere lavoro accessorio, riconducendola alle persone a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrate nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne;

          4) limitare la gamma di committenti, dalla quale vengono esclusi, con alcune eccezioni, quelli pubblici;

          5) incrementare i contributi per fini previdenziali spettanti al lavoratore, mediante l'aumento della percentuale del valore nominale del buono da versare all'INPS per questo scopo;

          6) demandare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di definire le procedure che rendano più difficile eludere il pagamento effettivo della prestazione fornita.

      La nuova formulazione del comma 1 dell'articolo 70 definisce il lavoro accessorio e ne determina il campo di applicazione, stabilendo che per prestazione di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell'ambito: dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o disabili; dell'insegnamento privato supplementare; dei piccoli lavori di giardinaggio, di pulizia e di manutenzione di edifici e monumenti; delle realizzazioni di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; della collaborazione con enti pubblici e con organizzazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o a eventi naturali improvvisi, o di solidarietà; dell'esecuzione di vendemmie di breve durata e a carattere saltuario, effettuata da studenti e da pensionati.
      Il comma 2 precisa che le attività di cui al comma 1, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non diano complessivamente luogo a compensi superiori a 5.000 euro.
      L'articolo 70-bis, che riprende, con modifiche, l'originario articolo 71 (abrogato dall'articolo 22 del citato decreto-legge 112 del 2008), al comma 1 stabilisce quali soggetti possono svolgere attività di lavoro accessorio: inoccupati e disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti ricoverati in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.
      Il comma 2 prevede che possano svolgere lavoro accessorio, entro il limite massimo di 3.000 euro per anno solare, i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
      L'articolo 72, al novellato comma 4, stabilisce l'aumento del versamento destinato all'INPS per i contributi a fine previdenziale: si passa dall'attuale 13 per cento del valore nominale del buono al 15 per cento, con la contemporanea riduzione della somma spettante al concessionario,

 

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che non può essere superiore al 3 per cento (a fronte del 5 per cento attuale).
      Il comma 4-bis, riprendendo una disposizione contenuta nell'attuale versione dell'articolo 70, comma 1-bis, prevede che l'INPS sottragga dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o a sostegno del reddito, gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.
      Il comma 5 dispone, all'ultimo periodo introdotto dalla proposta di legge, che al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia demandato il compito di definire le procedure che garantiscono l'effettivo pagamento dei voucher per ogni prestazione fornita.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
      «Art. 70. – (Definizione e campo di applicazione).1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell'ambito:

          a) dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o disabili;

          b) dell'insegnamento privato supplementare;

          c) dei piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e di manutenzione di edifici e di monumenti;

          d) della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli;

          e) della collaborazione con enti pubblici e con organizzazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o a eventi naturali improvvisi, o di solidarietà;

          f) dell'esecuzione di vendemmie di breve durata e a carattere saltuario, effettuata da studenti e da pensionati.

      2. Le attività lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non

 

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danno complessivamente luogo a compensi superiori a 5.000 euro sempre nel corso di un anno solare».

      2. Dopo l'articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, è inserito il seguente:
      «Art. 70-bis. – (Prestatori di lavoro accessorio).1. Possono svolgere attività di lavoro accessorio:

          a) inoccupati e disoccupati da oltre un anno;

          b) casalinghe, studenti e pensionati;

          c) disabili e soggetti ricoverati in comunità di recupero;

          d) lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.

      2. Possono altresì svolgere attività di lavoro accessorio, nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall'articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2».

      3. All'articolo 72 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il comma 4 è sostituito dal seguente:
      «4. Il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 15 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato

 

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dal decreto di cui al comma 1 del presente articolo, in ogni caso non superiore al 3 per cento del valore nominale del buono, a titolo di rimborso spese»;

          b) il comma 4-bis è sostituito dal seguente:
      «4-bis. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, di cui all'articolo 70-bis, comma 2, gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio»;

          c) al comma 5 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «È altresì demandato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di definire le procedure che garantiscano e certifichino, mediante un'indicazione preventiva, la presenza e l'attività dell'intestatario del buono lavoro nel luogo di lavoro».


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
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