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Seduta del 12/11/2008


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Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, in relazione al nuovo assetto di competenze riconosciute alle regioni ed alle autonomie locali in materia di federalismo fiscale, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Rivolgo un ringraziamento per la loro presenza e per la disponibilità manifestata a Luca Garavoglia, presidente del comitato tecnico per il fisco; a Giulio De Caprariis ed Elio Schettino, rispettivamente vicedirettore e direttore dell'area fiscalità, finanza e diritto d'impresa; e agli altri componenti della delegazione qui presenti: Andrea Manzitti, Patrizia La Monica, Daniela Ara e Patrizia Caridi.
Do ora la parola al presidente Garavoglia.

LUCA GARAVOGLIA, Presidente del Comitato tecnico per il fisco di Confindustria. Anzitutto ringrazio la Commissione per la presente audizione, che permette a Confindustria di esprimere il suo punto di vista sul federalismo.
In grande sintesi e con chiarezza, noi siamo, di fatto, di fronte - senza esprimere un giudizio di valore, né positivo né negativo - ad un disegno di legge volutamente molto ampio che, quindi, configura un quadro ancora estremamente aperto, che dovrà poi essere completato dai decreti delegati.
L'ampiezza del disegno di legge, peraltro, è perfettamente comprensibile dal punto di vista dell'agenda politica, poiché configura anche un dividendo politico importante, dato che il federalismo fiscale è stato un punto decisivo - a cui è stata data grande enfasi - durante la campagna elettorale.
Premesso che la Confindustria ha un giudizio positivo sul federalismo e - anche se con riserva, per via della sua ampiezza - anche sul disegno di legge stesso, alcuni aspetti suscitano, non dico preoccupazione, ma attenzione.
Noi riteniamo cioè che, quando si passerà alla pratica e si dovranno redigere i decreti attuativi - per cui, peraltro, sarà necessario un periodo lungo, di ventiquattro mesi - rischieranno di emergere alcuni problemi che sono sintetizzabili come segue.
Anzitutto, la scarsa internalizzazione e interiorizzazione del federalismo da parte dell'elettorato. La nostra impressione, anche se non dimostrabile con dati quantitativi, è che, in realtà, il federalismo fiscale sia percepito in modo un po' confuso dall'elettorato e che la sua natura redistributiva non sia ancora totalmente


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emersa. Direi, quasi con un'immagine figurata, che l'elettore del nord ritiene che il federalismo sarà prodromico a minori trasferimenti al sud, ed è quindi contento; mentre l'elettore del sud ha in mente che, in qualche modo, questo impatto sarà poi sterilizzato.
Da questo punto di vista, noi riteniamo che ci sia un pericolo nell'avere disancorato il federalismo fiscale dal federalismo istituzionale, perché non solo non esiste l'interiorizzazione da parte dell'elettore - che, peraltro, è di fronte a qualcosa di nuovo e sconosciuto - ma, secondo noi, c'è anche il pericolo più grande che possa mancare la sanzione politica.
Nel momento in cui si attua veramente il federalismo e, quindi, si decentra e si assegnano poteri in periferia, si creano anche dei centri di spesa e, quindi, di possibile potere. Occorre, pertanto, che ci sia una corrispondenza tra il premio o la sanzione politica e la buona o cattiva amministrazione.
Se guardiamo a ciò che è successo in passato, col decentramento già attuato, non sempre questo è accaduto. Vi è, addirittura, il rischio di comportamenti viziosi, se il processo non verrà ben governato; se, cioè, la politica locale avrà un incentivo redistributivo sul territorio senza la previsione di sanzioni politiche nel caso in cui l'amministrazione non sia positiva.
Nel disegno di legge ci sono dei meccanismi sanzionatori, ma sono molto blandi, molto leggeri e anche molto lontani. Noi, quindi, vorremmo attirare l'attenzione su questo aspetto.
Detto questo, nel disegno di legge ci sono moltissimi aspetti positivi che forse è meno interessante elencare, essendo più importante concentrarsi sulle criticità. Quello sicuramente più importante e più virtuoso è il passaggio dalla spesa storica ai costi standard, anche se va detto - a onor del vero - che sebbene tale passaggio sia stato legato, nell'immaginario, al federalismo, esso non è necessariamente un suo addentellato e si potrebbe applicare in qualunque sistema.
Detto ciò, questa è un'eccellente occasione per farlo e va benissimo, anche se, però, alcune regioni, sulla sanità - che rappresenta la quasi totalità del loro bilancio - hanno dei costi completamente sfasati rispetto allo standard ipotetico, che andrà poi fissato (e non è chiaro come); in realtà, ripeto, l'applicazione di questo costo standard non è necessariamente legata al federalismo, ma quella attuale è comunque un'occasione storica irripetibile.
Vorrei sottolineare alcune altre questioni.
Anzitutto, la disancorazione rispetto al federalismo istituzionale è critica.
In secondo luogo, non si parla, della famosa abolizione delle province: quasi non si affronta il tema, che invece è sul tappeto, esiste.
Ci sono state, inoltre, ad un certo punto - sebbene siano poi state sterilizzate nell'ultima versione - le famose norme ad hoc per la Sicilia che, al di là dei giudizi di valore sulle stesse, positivi o negativi, comunque configuravano delle anomalie evidenti nel disegno di legge, tant'è vero che sono state corrette: da questo punto di vista esse rappresentano un monito.
Infine, c'è il tema della clausola di garanzia: deve essere assolutamente chiaro che il federalismo non si può tradurre in un aumento di pressione fiscale - che non sarebbe sostenibile nemmeno elettoralmente - perché il bilancio dello Stato non ha spazio per esso, non lo consente. Si auspica, quindi, una clausola di garanzia più forte e più impattante.
In sintesi, il federalismo è un'eccellente opportunità, ma il Governo deve essere molto cauto nella sua attuazione, perché i rischi sono notevoli. Ci sembra che la politica ne sia ben consapevole e confidiamo che nell'applicazione pratica questi nodi verranno risolti.

PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do ora la parola ai senatori e ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO PEPE (PD). Ringrazio il presidente del comitato tecnico, perché noi ci troviamo di fronte ad una delegazione di


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Confindustria costituita essenzialmente di tecnici, piuttosto che di responsabili politici.
Partirò da un'osservazione di carattere generale. Lei avrà forse letto, in questi giorni, di un convegno tenutosi in alta Italia - io li ho chiamati «gli asolani» - durante il quale si ipotizzava, nell'attuazione e nella verifica dell'articolazione della legge delega sul federalismo, la creazione di un'altra commissione rispetto a questa per le questioni regionali, che è incardinata nella Costituzione.
Come lei sa, la legge costituzionale n. 3 del 2001, all'articolo 11, prevede l'allargamento, il potenziamento e, quindi, un'azione di avvio al federalismo istituzionale da parte di questa Commissione, che è rimasta monca.
Noi abbiamo chiesto - il presidente ha chiesto - ai Presidenti di Camera e Senato di arricchire questa Commissione della forza regionalistica e autonomistica, per permetterle di presiedere al governo dell'attuazione.
Prima di svolgere alcune osservazioni - ma sarò brevissimo - vorrei domandarle come immagina che possa essere messo a rodaggio tale processo, comunque tortuoso, impervio e complesso (non dimentichiamo la legge n. 59 del 1997 cosiddetta «Bassanini» e la sua attuazione): con un'altra commissione? Con una commissione meramente tecnica? O con la sola Commissione prevista dalla Costituzione?
Se, infatti, questa Commissione non viene valorizzata, come sarebbe invece giusto, chiaramente si può creare una commissione tecnica, ma ciò comporterebbe una mortificazione dell'istituzionalità in sé. Questa era la mia domanda.
In secondo luogo, lei ha messo in evidenza l'esigenza di non creare due cammini diversificati per il federalismo fiscale e per il federalismo istituzionale. Quanto ho detto prima potrebbe agevolare questo percorso. Io sono, però, per una lettura più graduale e guardo a questa legge come ad un'istanza di maggiore partecipazione e di consapevolezza degli amministratori a livello territoriale. Viviamo un periodo difficile, certo - lo sappiamo e dobbiamo superarlo - ma questo non giustifica le debolezze che abbiamo manifestato.
Un altro tema concerne il tentativo di definire il costo standard in ordine a quanto previsto dalla Costituzione sui livelli essenziali di assistenza (LEA) e sui livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Vorrei chiedervi se, con la vostra consapevolezza e la vostra tecnicalità, avete acquisito qualche elemento per poter definire il costo standard.
Il dramma, infatti, sarà questo e si rischia, quindi - lei non ritiene che sia così? - un dualismo veramente pericoloso, perché, da un lato, c'è il cammino spedito che potrà interessare alcune regioni e, dall'altro, un cammino meno spedito, ma a ritroso, che potrà interessare le altre regioni. Su questo volevo sapere qualcosa dal rappresentante di Confindustria, ringraziandolo per le cose che ci ha detto.

LUCIANO PIZZETTI. La ringrazio perché, nella sua stringatezza, è stato di grande efficacia, sia nel descrivere l'atteggiamento degli italiani verso il tema che stiamo affrontando, sia nel delineare - atteso che, anche dal mio punto di vista, nel disegno di legge delega ci sono molto aspetti positivi - gli aspetti di criticità.
Credo che l'unica cosa di cui non dovreste essere preoccupati è proprio ciò che, invece, è la fonte maggiore di vostra preoccupazione, ossia l'ipotesi che, attraverso questo processo, non assisteremo né a un'invarianza né a una riduzione di prelievo ma, addirittura, ad un suo aumento. Credo che questo non accadrà: è la vicenda stessa che sta vivendo il Paese a non consentirlo e che non lo consentirà.
Penso che, alla fine di questo percorso, ci sarà un tentativo di efficientamento del sistema, più che una riallocazione delle risorse disponibili, con buona pace di chi sta al sud e chi sta al nord.
Questa è la mia personale opinione.
Detto questo, le vorrei chiedere una cosa specifica. Lei si è soffermato sul tema dell'azione premiale ma, in particolare, sanzionatoria. Come immagina tale azione sanzionatoria?


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Evidentemente, il legislatore la immagina dal punto di vista dell'aumento della responsabilità attribuita e, quindi, del giudizio diretto del cittadino elettore: questa è l'attività sanzionatoria politica e istituzionale, anche se, certo, qualche altra azione sanzionatoria può essere inserita nella dinamica legislativa ( nella legge delega o, poi, nei decreti attuativi).
Da questo punto di vista, lei immagina l'attività sanzionatoria semplicemente come un dare e un togliere in base ad un'ipotetica asticella di efficienza che debba essere stabilita oppure la immagina in altre forme come, ad esempio, lo svolgimento di funzioni commissariali, di qualsiasi genere, da parte della stessa autorità statale?
Sarebbe interessante capirlo per comprendere se il vostro orientamento immagina la risposta - ho capito le vostre ragioni, naturalmente - su un piano sanzionatorio-amministrativo o su un piano sanzionatorio-politico; in questo secondo caso, evidentemente, sarebbe difficile regolarlo attraverso un atto.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Garavoglia - che mi risulta essere anche componente del comitato di presidenza di Confindustria - per la replica.

LUCA GARAVOGLIA, Presidente del Comitato tecnico per il fisco di Confindustria. Inizio a rispondere partendo dal costo standard che, certamente, rappresenta il nodo critico.
Noi non abbiamo sviluppato una particolare attività legata all'individuazione del costo standard, perché è un problema molto specifico, molto specialistico e, peraltro, parliamo di un costo standard sanitario che, quindi, richiede la conoscenza approfondita di queste problematiche.
Da un punto di vista - se posso così dire - di buon senso, riteniamo, però, che inevitabilmente il costo standard finirà per essere il costo storico delle regioni virtuose: fatalmente, sarà molto difficile discostarsi da quest'ultimo.
Bisognerà vedere, poi - e mi collego così alla parte sanzionatoria - cosa succederà praticamente, quando si stabilirà bene un costo standard che, lo ripeto, secondo noi dovrà essere stabilito sulla base dei costi delle regioni virtuose. Bisognerà vedere anche che cosa farà lo Stato quando una regione non virtuosa non lo rispetterà in maniera clamorosa, a parte stabilire una sanzione politica (ci arrivo: è un punto interessantissimo).
È difficile, infatti, immaginarsi che oggi - e anche domani - le regioni falliscano. Da questo punto di vista, quindi, c'è un grande problema, perché noi andiamo a creare dei centri di bilancio che, in realtà, rischiano la responsabilità finanziaria, come abbiamo visto nei casi, assolutamente noti, di Catania.
Vengo ora al punto assolutamente centrale della sanzione, che noi immaginiamo politica. Da questo punto di vista ci si può sbizzarrire: per esempio, con l'ineleggibilità, prevedendo che chi non rispetta i vincoli di bilancio sia automaticamente ineleggibile nella tornata elettorale successiva. Questo sarebbe molto persuasivo nei confronti del ceto politico e del ceto tecnocratico.
Al di là di misure estreme come questa, un'osservazione di buon senso può portare a guardare quanto è accaduto con il decentramento già attuato. In questo Paese noi abbiamo creato dei centri di potere e di spesa estremamente significativi - oggi il presidente di una regione importante è un politico di primissimo piano - ma senza che si sia stabilita una correlazione positiva, anche fattualmente, tra chi è stato eletto e la responsabilità finanziaria che esercita. Questo è sotto gli occhi di tutti ed è dipeso molto dalla forza politica rappresentata e dalla spesa pubblica erogata.
Da questo punto di vista, quindi, il meccanismo - come dicevo prima - è stato quasi vizioso. Ci sono stati anche casi clamorosi di amministrazioni palesemente fallimentari, dal punto di vista finanziario, ma che, in realtà, distribuendo - senza necessariamente pensare a fenomeni clientelari spinti - e, quindi, creando benessere, hanno perpetuato la propria esistenza politica.


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La risposta a tale problema è, quindi, che occorrono meccanismi per creare una corrispondenza tra il buon governo finanziario e il risultato politico - su questo ci si può, appunto, sbizzarrire - laddove pronunciare la parola «ineleggibilità» non è forse così eretico come sembrerebbe in prima battuta.
L'ultimo tema concerne la commissione. A noi sembra che, al di là dell'architettura attraverso cui si arriverà all'implementazione del provvedimento - il giudizio in merito difficilmente ci compete - bisogna essere consapevoli del fatto che la scelta fatta, elaborando un disegno di legge molto ampio e prevedendo dei decreti attuativi, è probabilmente l'unica possibile. Su un tema come questo, infatti, non si può pensare ad un iter parlamentare farraginoso e complicato, con i suoi pro e contro.
Ci sarà un momento in cui il Ministero dell'economia, a cui questo spetta, dovrà deliberare operativamente in materia. Da questo punto di vista, il grande accentramento di poteri e di competenze è certamente positivo: è l'unico modo per farlo perché, sebbene sia anche rischioso - perché la carenza di dibattito e di confronto rischia, su un tema così complicato, di far sfuggire qualcosa - non ci sono alternative.
Questo affare, infatti, se gestito con un iter parlamentare pieno, sarebbe probabilmente destinato a navigare in un mare davvero periglioso.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Garavoglia e, ovviamente, tutti i rappresentanti della delegazione di Confindustria.
Restiamo in attesa del documento che state elaborando, di cui faremo sicuramente tesoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

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