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Seduta del 25/11/2008


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Audizione del vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto, Carlo Alberto Tesserin.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, in relazione al nuovo assetto di competenze riconosciute alle regioni ed alle autonomie locali in materia di federalismo fiscale, l'audizione del vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto, Carlo Alberto Tesserin.
Ringrazio della loro presenza e per aver accolto il nostro invito il vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto, Carlo Alberto Tesserin; il dirigente della segreteria particolare del vicepresidente, Cristiano Gebbin e il direttore della Conferenza dei presidenti dei consigli regionali, Paolo Pietrangelo.
Do la parola al vicepresidente Carlo Alberto Tesserin.

CARLO ALBERTO TESSERIN, Vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto. Grazie per questa ulteriore possibilità di incontro, che ci dà la possibilità di definire la nostra valutazione in ordine all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Abbiamo già avuto modo di esprimere le nostre valutazioni, in primis in occasione dell'incontro di Venezia del 10 ottobre, quando la Presidenza della Camera ha presentato il rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea. In quell'occasione abbiamo avuto la fortuna di avere con noi importanti e qualificati rappresentanti del mondo istituzionale della Repubblica. Abbiamo inoltre partecipato, in questa sede, alla riunione del 23 ottobre, quando, insieme alla Conferenza dei presidenti, abbiamo espresso l'opinione di tutte le regioni e dei consigli nella loro interezza. In ultimo, il 10 novembre, abbiamo avuto un'audizione con le Commissioni congiunte 1a, 5a e 6a del Senato, proprio sul cosiddetto provvedimento Calderoli.
In quelle sedi, abbiamo avuto modo di ribadire che riteniamo importante il provvedimento presentato e che lo valutiamo in maniera decisamente positiva. Riteniamo importantissimo che, per la prima volta, un documento legislativo sul percorso del federalismo abbia raccolto la posizione unanimemente positiva, in particolare, delle regioni.
Unanimemente positiva, significa che è iniziato un percorso, non che si sia concluso. Non vogliamo infatti affermare che non sussistano condizioni di difficoltà. In particolare, in tutti questi passaggi, abbiamo sempre ripetuto che, ferme restando le condizioni forti (tra le quali anche la garanzia dell'unitarietà della nostra


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realtà nazionale), siamo convinti che sia diventato obbligatorio ricorrere a una diversa capacità di rapporto tra lo Stato e la griglia delle istituzioni. Riteniamo che, in particolare, lo Stato debba definire in maniera chiara i livelli delle prestazioni essenziali da garantire nei diversi livelli della griglia istituzionale.
Riteniamo anche importante che si faccia riferimento a una capacità di coinvolgimento non solo degli esecutivi nelle due commissioni, la Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Vedremmo infatti sminuita la funzione delle assemblee, se solo i livelli di attuazione governativa potessero esprimere le loro opinioni in queste sedi importanti, laddove sono in gioco condizioni di grande rilevanza.
Riteniamo che debba essere rivisto il concetto di equiparazione delle diverse componenti dei livelli istituzionali (chiarendo i rispettivi livelli di competenza e la visione relativa a questi ultimi), a partire dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane, per arrivare alle regioni e allo Stato, eliminando sovrapposizioni e confusioni e facendo anche chiarezza sulle materie di competenza piena e su quelle di competenza concorrente.
Riteniamo importante che il ruolo delle assemblee legislative rivesta una propria funzione di rilievo, non in contrapposizione agli organi di governo, bensì in collaborazione con gli stessi. Perché ciò avvenga, è essenziale disporre di dati certi, di flussi di conoscenza, in riferimento alle condizioni aggiuntive, che siano codificati. È utile favorire un consolidamento degli organi istituzionali di coordinamento. Consideriamo importante il lavoro svolto da Camera e Senato nell'istituire il Comitato paritetico che include le assemblee dei diversi livelli legislativi, in maniera che si possa comprendere meglio quello che si vuol fare. Riteniamo anche importante che, a questo riguardo, la composizione della Commissione bicamerale, così come definita dall'articolo 3 della legge costituzionale del 2001, venga valutata con attenzione, in maniera tale da prevedere una forma di raccordo con le assemblee legislative delle regioni. Tutto ciò per essere in grado di prevedere i provvedimenti che arriveranno e che poi dovranno essere codificati nelle rispettive assemblee.
Riteniamo importante che si arrivi a codificare la funzione del «Senato delle regioni». In qualche modo, la Costituzione prevede l'esistenza di questa seconda Camera, con compiti diversi dalla prima e che oggi purtroppo non abbiamo. L'ideale, per arrivare quanto prima a un tale risultato, sarebbe, appunto, che all'interno della Commissione bicamerale si prevedesse una possibilità di ascolto e colloquio con le assemblee.
Riteniamo, in particolare, importante, che si tenga conto dei diversi livelli che dovrebbero avere una capacità di concertazione a livello regionale. Abbiamo partecipato all'audizione dei comuni assieme alle province, alle regioni e alle comunità montane. Poter ottenere un federalismo vero serve, a nostro parere, un accordo. Non una posizione conflittuale, bensì una capacità di raccordo di queste realtà.
Queste sono le idee che abbiamo già espresso e che qui, oggi, ho voluto sinteticamente ribadire, sempre rimanendo all'interno delle posizioni che, nell'Assemblea dei presidenti, abbiamo ritenuto comuni a tutte le regioni e su cui tutte le regioni si riconoscono.
Ovviamente, oggi sono qui per rappresentare il Veneto, che presenta sue condizioni peculiari che ritengo di dover esporre a questa Commissione. Riteniamo di essere la regione che più si trova in condizioni di difficoltà, sul percorso delle autonomie. Siamo la regione che, più di ogni altra, vive a stretto contatto con le regioni a statuto speciale, che convive quotidianamente, da un lato, con la realtà del Friuli-Venezia Giulia e, dall'altro lato, con quella delle province autonome di Trento e Bolzano.
Abbiamo avuto ormai un numero notevolissimo di comuni che hanno approvato i loro referendum per la separazione dal Veneto e la confluenza nelle altre


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realtà. Mi chiedo come non si possa non tenere conto della richiesta di questi comuni, che chiedono di andare dove sanno di star meglio. Se il rapporto tra noi e la Val d'Aosta è di uno a cinque, tra noi, Trento e Bolzano è di uno a quattro e tra noi e il Friuli - detto in termini brutali - è di uno a due, mi domando perché quei cittadini dovrebbero rimanere con il Veneto. Avrebbero mille, anzi infinite ragioni per non farlo.
Tralasciamo le motivazioni storiche e chiediamoci piuttosto quali siano le giustificazioni che possono aver creato, nel tempo, queste condizioni per cui gli alunni di un asilo in Veneto debbono avere delle condizioni dissimili da quelle delle altre realtà. Domandiamoci perché non possiamo pensare che i nostri docenti debbano percepire una retribuzione diversa da quelli di altre regioni. Potrei proseguire all'infinito con l'elencazione di queste condizioni di forte diseguaglianza, per non dire di disparità. Ne accenno solo per far presente che, ormai, a oltre sessant'anni dalla promulgazione della Costituzione, esse non sono più protraibili.
Il Veneto è qui per dire con forza che il federalismo non deve essere concepito su un piano di conflittualità con le altre regioni, bensì su quello della volontà di far comprendere a tutte le altre regioni che questa condizione non può protrarsi ulteriormente.
Il dato che ci serve di più è quello della trasparenza, assieme a quello della responsabilità.
Non siamo preoccupati delle risorse che vanno alle altre regioni; siamo preoccupati quando non siamo in grado di capire perché, se una prestazione sanitaria nel Veneto costa cinque, la stessa prestazione sanitaria debba, in altre regioni, costare dieci. Non comprendiamo! Potranno forse sussistere motivazioni che dovranno, attraverso la trasparenza e la responsabilità, essere comunicate ed essere rese accessibili a tutti.
Non comprendiamo perché il Veneto debba avere 3 mila dipendenti, mentre altre regioni, che hanno lo stesso numero di abitanti, ne abbiano 20 mila. Non comprendiamo perché il Veneto abbia duecento dirigenti e altre regioni, con le stesse dimensioni, ne abbiano 2 mila. Crediamo che questi dati debbano obbligatoriamente essere delucidati, pur se non in termini conflittuali, resi trasparenti e disponibili a tutti.
Sentiamo la responsabilità di far presente che questa condizione, così come è concepita, ha bisogno di essere modificata. Non sarebbe più proseguibile uno stato di non percezione di queste condizioni di difficoltà, che non sono attribuibili a coloro che amministrano l'istituzione e sono ormai entrate a far parte del vissuto della gente comune.
Sono i cittadini che non accettano più la prosecuzione di questa partita con le modalità attuali. Abbiamo un livello di preoccupata attenzione, su questi temi, di estrema rilevanza e riteniamo nostro dovere far presente a questa importante Commissione che le aspettative in ordine all'articolo 119 sono rilevantissime.
Devo precisare che il 119, così come applicato dal decreto Calderoli, non sarebbe stato il massimo delle nostre aspettative (che sono più avanzate), ma ci rendiamo perfettamente conto che l'importante è iniziare un cammino, per far comprendere a tutti che l'accettazione di un percorso comune, che metta ciascuno nella condizione di poter valutare tutte le condizioni con serenità (ma anche con l'immagine di uno sviluppo progressivo), può essere l'elemento che accomuna due realtà tramite un senso di responsabilità comune, tramite la convinzione di dover stare insieme ed essere ancorati al concetto della solidarietà e della sussidiarietà, specie con i tempi difficili che stiamo vivendo. Può toglierci dall'attuale condizione, da ritenere non più proseguibile nei termini attuali.
Con ciò concludo e resto a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento e approfondimento.

PRESIDENTE. La ringrazio, vicepresidente Tesserin.


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Do la parola ai colleghi che intendono svolgere osservazioni o formulare quesiti.

MARIO PEPE (PD). Saluto il vicepresidente, onorevole Tesserin. Ho scoperto stamattina che le magie del presidente Galan non sono adeguate a risolvere i problemi di una regione che, nell'immaginario collettivo, è all'avanguardia, aldilà delle difficoltà e delle ristrettezze di carattere economico e finanziario. Della relazione ho colto due aspetti: il Veneto aspira ad una tipologia speciale, oppure ritiene che debba avere più risorse di quante ne ha attualmente. Sappiamo che nel provvedimento di cui ci stiamo occupando si parla delle regioni a statuto speciale in maniera un po' grossolana, tenue. Non c'è un approfondimento, laddove invece sarebbe necessario compiere una riflessione sulla parte onerosa, vantaggiosa di queste regioni.
Volevo chiedere al vicepresidente, aldilà di questa considerazione sulle regioni a statuto speciale e al di là anche del Comitato paritetico istituito presso il Senato (un'altra invenzione, dal momento che per noi questa Commissione dovrebbe essere l'alfa e l'omega del regionalismo «militante» e di quello previsto dalla Costituzione) se ritenga che questa Commissione - al di là delle dichiarazioni rese anche da autorevoli personaggi - possa, attraverso la modifica dei regolamenti e le scelte che le forze politiche e le istituzioni devono compiere, diventare una Commissione integrata in grado di seguire il federalismo fiscale. Di ciò, infatti, parliamo: del potenziamento e integrazione di questa Commissione, che può rappresentare l'interfaccia e l'interlocuzione permanente dell'istituzionalità regioni-Stato nazionale, anche per i provvedimenti successivi che bisognerà assumere.
Volevo poi domandarle se questa autonomia impositiva che si vuole concedere (quindi, la potestà di imporre tributi, con la equiparazione allo Stato nazionale) non crei, sul piano del disegno politico istituzionale, alcune difficoltà rispetto alle certezze di oggi, nell'organizzazione (anche economica e finanziaria) delle risorse dello Stato.
Infine, volevo anche ricordare che noi vogliamo passare dalla logica della spesa storica (che ha comunque consolidato anche una linea strategica di lavoro istituzionale, non soltanto una linea di «sciupìo» o di azione clientelare) a una logica di costo standard. Qui inizieranno le difficoltà. Non so se il presidente ha letto l'ultimo rapporto della Svimez, che è una società di studio basata in Campania, però di rilevanza nazionale, in quanto i suoi esponenti sono tutti autorevoli professori universitari. Nell'ultimo rapporto, si mette in evidenza proprio la disparità che si andrebbe a determinare, a federalismo fiscale concluso, al di là dei cinque provvedimenti previsti dall'articolo 119.
Si avrebbe un maggiore dualismo, questa volta non da registrare sul piano sociale. Sarebbe lo Stato stesso a imporre e normare il dualismo tra le regioni che hanno un passo più spedito e quelle più lente (per alcune proprie responsabilità, ma anche per altre evenienze di carattere storico, come quelle che hanno determinato la tipologia della specialità per alcune regioni). Non dobbiamo dimenticare che l'analisi va condotta sempre in maniera comparata.
Ritengo che questa relazione per la Conferenza stato-regioni, di cui lei è amabilmente parte sostanziale, possa rappresentare una lettura utile anche per chiarirci le idee, dal momento che navighiamo in mare aperto. Sappiamo chi ha il timone: si dicono i nomi di Calderoli, Fitto e Bossi. La «trinità» questa volta è più forte di ieri; poiché, però, le conclusioni ricadranno sul sistema regionale, compreso quello delle regioni a statuto speciale, un approfondimento va compiuto.

GIANVITTORE VACCARI. Ringrazio il vicepresidente Tesserin di essere intervenuto. Ci siamo già incontrati anche la volta scorsa e mi fa certamente piacere rincontrarlo. Ho ascoltato la sua relazione,


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che mi pare meditata, ponderata, secondo lo spirito del popolo veneto, aperto alle culture ma fortemente legato alla propria identità e alla propria tradizione, quindi sicuramente con uno spirito di solidarietà ampia ma anche con la volontà di rivendicare le proprie specificità e particolarità. Pertanto, sotto questo punto di vista, non posso che sottolineare anche i miei pensieri al riguardo.
Credo che non dobbiamo continuare ad appellarci, ognuno, a statistiche, dati, riferimenti di questo piuttosto che di quest'altro istituto, poiché sono disponibili autorevoli relazioni de Il Sole 24 Ore o di altri istituti di ricerca che fanno capire, invece, quanto questo federalismo non possa creare altro che benessere per tutto il nostro Paese. D'altronde, abbiamo esempi eclatanti in Europa - e non soltanto in Europa - di Paesi a modello federale che dimostrano come questo sia il modello vincente di sviluppo, specialmente in situazioni di crisi quale quella che stiamo attraversando.
Il provvedimento di legge, a mio avviso, è equilibrato. Esso può essere sicuramente migliorato, ma presenta presupposti ottimi e riconosce, comunque, ad ogni realtà del Paese l'assegnazione dei livelli minimi che devono essere garantiti per una qualità della vita equa. Esso richiama tutti anche a una razionalizzazione attraverso i costi standard e riconosco alla regione Veneto di essere effettivamente all'avanguardia sotto questo punto di vista, nella sanità in particolare, ma anche in altri settori, come la scuola. Credo che si possa chiedere anche alle altre regioni di erogare servizi a parità di costi.
Sotto questo punto di vista, sono sicuro che la regione Veneto, i suoi amministratori e governanti sono a disposizione in questo «Parlamentino», effettivamente esistente, delle autonomie locali e della Conferenza Stato-regioni, per trasferire, oltre alle risorse finanziarie, anche il know-how di esperienze amministrative utili ai fini di un miglioramento complessivo.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare do la parola al vicepresidente per la replica.

CARLO ALBERTO TESSERIN, Vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto. Vorrei ringraziarvi per le vostre domande, utili anche a me per cercare di spiegare meglio la posizione del Veneto, che cerco di rappresentare.
Ci terrei a dire che siamo certi di essere all'interno di un percorso difficilissimo e che non ne usciremo senza tanta fatica da parte di tutti. Questa non è una stagione in cui si può pensare che ci sia in Italia un comune, una provincia, una comunità montana, una regione esente da tale fatica. A partire dalla regione Veneto governata dal presidente Galan, dalla Lombardia governata dal presidente Formigoni, dalla regione Campania presieduta da Bassolino o dalla regione Sicilia retta da Lombardo, credo che le differenze siano presenti in tutti i livelli istituzionali e, in qualche caso, si tratta di differenze drammatiche.
Ci terrei anche a dire che, quando facciamo riferimento alle differenze, non alludiamo solo a quelle esistenti tra le regioni. Abbiamo comuni del nord che, per effetto dei cosiddetti «decreti Stammati» di lontana memoria, subiscono ancora oggi disparità inconcepibili. Si tratta di un dato drammatico per la questione della spesa storica, che non è riferita al sud o alle regioni a statuto speciale, ma che, per eventi che si sono sovrapposti nella storia della nostra Repubblica, vede codificati livelli di spesa di alcuni comuni, a discapito di altri. Nel Veneto denunciamo la diversità fra comuni e comuni, ma molto di più fra il Veneto ed altre regioni, anche del nord, che hanno storicamente acquisito posizioni che garantiscono servizi, oggi inaccettabili.
Quando parliamo di federalismo, non ci preoccupiamo solo delle problematiche che insistono sulla diversità fra le regioni, ma anche dei diversi livelli istituzionali, cercando di ottenere una condizione che, partendo dal superamento della spesa storica e avviando l'individuazione dei costi


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obiettivi per tutti - che significa anche essere corretti per le condizioni che soggettivamente, nelle aree specifiche, possono evidenziare alcune diversità e che verranno codificate - ci porti ad ottenere dei risultati.
Non vogliamo diventare una regione a statuto speciale. Riteniamo che tutte le regioni abbiano una propria specificità. Non vogliamo, da domani mattina, diventare anche noi come le province autonome di Trento e Bolzano. Sarebbe una cosa bellissima se dovessimo portare a casa il loro stesso livello di risorse. Ci rendiamo conto che questa condizione non sarebbe in grado di essere sopportata. Ci rendiamo conto, però, del percorso che abbiamo iniziato avvalendoci delle norme costituzionali per l'applicazione dell'articolo 116, con il quale chiediamo allo Stato, sulle materie che abbiamo individuato, di avere diverse responsabilità e competenze, abbinate alle relative risorse, per essere maggiormente in grado di rispondere alle aspettative dei nostri cittadini. Crediamo che ciò non sia distorsivo e dispersivo nei confronti di alcuno.
Tutte le regioni possono compiere questo percorso, possono chiedere le stesse maggiori o minori competenze, sulle quali svolgere una trattativa con lo Stato, vedendo e documentando quali sono i costi. Questo è il cammino che vogliamo seguire.
Creiamo una situazione di riflessione per tutti. Riteniamo che i tempi che ci siamo dati siano sufficientemente congrui per riflettere e ragionare sui percorsi che faremo. Non crediamo che l'emanazione dei decreti - quando avverrà - creerà una situazione per la quale si dirà «ieri eravamo in un modo, domani saremo in un altro». Crediamo che, all'interno dei percorsi che si seguiranno, sussisteranno anche condizioni di riflessione tali da non sconvolgere un sistema.
Siamo anche convinti, quando chiediamo dati certi per avere trasparenza e responsabilità - leggerò con molta attenzione lo studio da lei citato: devo dire che ogni giorno leggo dati, ma raramente li trovo collimanti; molto spesso, li trovo invece divergenti, a seconda della loro provenienza - che, fortunatamente, oggi siano disponibili dati statistici importanti, che bisognerebbe unificare e rendere comuni. Se le assemblee si facessero carico di ciò, renderebbero un utile servizio, (forse i governatori fanno più fatica a fornirci i dati veri) e, per questo, riteniamo che le assemblee potrebbero essere un bacino di compensazione per ottenere una conoscenza obiettiva dei dati, senza la quale rischiamo di rimanere bloccati.
È chiaro che, passare dalla spesa storica all'individuazione del costo standard, vuol dire cambiare una mentalità, ossia porre ciascuno di fronte a un grande concerto di responsabilità. Ci giochiamo la partita su questo punto, ma non lo facciamo con l'arroganza di dire che siamo bravi perché abbiamo questi livelli, mentre gli altri sono meno bravi.
Ritengo che, nella misura in cui mettiamo sul tavolo con obiettività le condizioni di tutti, siamo anche in grado di trovare le soluzioni per capire. Potrebbe anche accaderci di vedere alcuni dati che ci sembrano abnormi e non condivisibili, ma che, nella misura in cui fosse documentato il motivo di quelle anomalie, potrebbero essere anche condivisi.
In ogni realtà, penso, nessuno è lieto di sprecare risorse e ognuno, nella propria condizione, vuole spenderle al meglio. Reputo che sia giunta la stagione in cui ognuno debba rendere conto di questo passaggio.
Ritengo, in definitiva, che non possiamo pensare che il federalismo, qualora fosse realizzato, otterrebbe il risultato di accentuare le differenze, poiché in questo modo non arriveremo al federalismo. Se mettessimo in piedi un meccanismo di applicazione totale, che rendesse soltanto in base al principio della libertà di mercato e, quindi, all'accentuazione della spinta massima del concetto di globalizzazione (in cui, non per nostra scelta, siamo immersi) e tale da comportare che, alla fine, i ricchi diventano progressivamente sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, non avremmo ottenuto alcun risultato.


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Il fondo di perequazione statale, comunque, esiste ed è necessario che si faccia carico di intervenire per perequare (di più all'inizio, passando progressivamente a una perequazione minore). Ma noi non spingiamo assolutamente per questa soluzione e vogliamo, invece, essere messi in una condizione per cui le nostre realtà territoriali e imprenditoriali possano competere sul mercato globale, avendo lo stesso carico fiscale che esiste in Baviera, in Catalogna e nelle realtà dei Paesi con cui dobbiamo competere.
In definitiva, chiediamo allo Stato di consentirci questo, poiché, se siamo messi in una tale condizione, produciamo e attraverso il reddito e il profitto delle imprese, creiamo occupazione e, pagando le nostre tasse, generiamo una fonte finanziaria per lo Stato.
Lo Stato, attraverso l'incasso delle tasse e destinando a noi quella parte che serve per mantenere la nostra capacità di produzione, è così in grado di dar vita al fondo di solidarietà e di sussidiarietà. Se non siamo messi nella condizione di essere competitivi, non danneggiamo solo noi stessi, ma anche tutta la realtà dello Stato.
Lo Stato deve provvedere, attraverso l'applicazione dei diversi strumenti perequativi, affinché tutte le regioni, adottando in primo luogo la trasparenza - in modo che tutti sappiamo cosa succede - e poi la responsabilità, abbiano progressivamente la capacità di stare sul mercato.
Se non otteniamo questo tipo di attenzione, usciremo anche noi dal mercato stesso.
In questa situazione di crisi - stiamo progressivamente rendendoci conto di quanto sia vasta e problematica - i livelli della cassa integrazione (che stanno aumentando fortemente, anche in Veneto) e della spesa pubblica (che cresceranno, su questi strumenti), hanno bisogno di una maggiore attenzione.
Sono terrorizzato quando mi dicono che, dal momento che siamo in una condizione di crisi, non faremo più il federalismo. Proprio perché siamo in una condizione di crisi, con grande senso di responsabilità, dovremmo capire che, per mantenere le risorse che servono allo Stato per tenerci tutti insieme, c'è bisogno di un'accelerazione, da questo punto di vista.
Sarebbe un errore pensare che, dal momento che siamo in crisi, allora non realizziamo più il federalismo e non aiutiamo più quelle regioni che maggiormente contribuiscono al saldo della bilancia dei pagamenti, all'esportazione dei prodotti sui mercati del mondo, all'immagine dell'Italia. Non vogliamo sminuire nessuno e sappiamo bene che nel mondo l'immagine di Venezia vive accanto a quella di Milano, Roma, Napoli o Palermo. Siamo orgogliosi che queste città forniscano un'immagine complessiva del nostro Paese.
Tuttavia, non dobbiamo cadere nella sensazione di poter pensare che, dal momento che abbiamo paura della crisi, allora dobbiamo fermare quei processi che, invece, l'economia rende ormai ineludibili.
In definitiva, la mia risposta è che capisco le osservazioni che sono state avanzate, anzi me ne faccio carico, ma anche che non usciremo da questa partita - concludo ripetendo quanto dicevo all'inizio - senza fatica.
Rispondo con un riferimento personale, che spero vogliate scusare. Vengo dal mondo dell'impresa, ho fatto il direttore di azienda per molti anni. Quando la mia azienda era in difficoltà, perché un'altra era più forte, non mi domandavo se potevo ricorrere a sussidi o ad aiuti, bensì cosa avrei dovuto fare per essere più bravo e competitivo rispetto alle altre imprese. Facevo una fatica terribile a convincere me stesso e i miei collaboratori che, per restare sul mercato, serviva impegnarsi di più, lavorare tanto, trovare le risorse giuste, innovare i processi produttivi, risparmiare nel ciclo di produzione, avere un'immagine nuova, portare avanti una politica di immagine e di marketing. Voler rimanere nel mercato significava tutto questo.


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Se non trasferiamo anche nelle nostre istituzioni questo tipo di mentalità, sarà arduo resistere. I tempi sono difficili e credo che la partita non si risolverà senza uno sforzo congiunto da parte di tutti.

PRESIDENTE. Do brevemente la parola al collega Filippi.

ALBERTO FILIPPI. Da veneto volevo fare i complimenti al mio vicepresidente, che, francamente, ha palesato tutto quanto i veneti e il sottoscritto, in gran parte, pensano. Vorrei svolgere una riflessione: se è vero che, con questo provvedimento, per lo più si va a migliorare e a risolvere un'annosa questione che permane da quando esiste la nostra Costituzione; se è vero che questo è un momento particolarmente difficile, che impone questo tipo di presa di posizione; se è vero che nel provvedimento non si parla solamente di soldi, ma anche di valori e che tra questi ultimi si annovera la meritocrazia, la doverosa maggiore responsabilità degli amministratori; se è vero che esistono valori quali l'equità e la razionalizzazione della spesa, la trasparenza nella gestione delle sempre minori risorse a disposizione del Paese e degli enti locali, allora tutte le valutazioni che il vicepresidente ha palesato oggi arrivano a proposito.
Gradirei una sua dichiarazione sulle iniziative che, in questo momento, ritengo personalmente possano solamente nuocere all'epocale trasformazione verso la quale un provvedimento di così tanta importanza cerca di «andare a dama». Alludo alle proposte del 20 per cento dell'IRPEF, che da parte di alcuni stanno arrivando, ma che, proprio in questo momento, rischiano di danneggiare uno scenario molto più importante, completo e serio.
Penso che il Veneto e le altre regioni non abbiano bisogno di qualche trasferimento o di qualche euro in più, bensì di quel «qualcosa in più» che è inserito nel provvedimento che stiamo analizzando e che non fa parte - evidentemente - della ratio all'origine delle eventuali proposte che ho ricordato in precedenza.

CARLO ALBERTO TESSERIN, Vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto. La domanda è interessante e mi porta tout court ad affermare che, di fronte a un disegno che comprende il concetto di federalismo e, quindi, una risposta basata sulla capacità di una griglia economica, finanziaria e tributaria che investe tutti i diversi livelli istituzionali, la richiesta del 20 per cento diventa un dato da abbandonare.
Mi metto, tuttavia, anche nei panni del sindaco che, in seguito alla sottrazione dell'ICI (che non ha ancora avuto una risposta di certezza in ordine alla sostituzione di quei gettiti), deve far fronte ai servizi necessari per i cittadini e individuare una strada che ritenga immediatamente percorribile.
Mi rendo conto che si parte dal presupposto di voler raggiungere lo stesso obiettivo: non abbiamo le risorse necessarie, il discorso il federalismo arriverà con i tempi necessari, nel frattempo mettiamo in piedi un'iniziativa per cogliere un obiettivo che dia la possibilità di sopravvivere e andare avanti.
Ovviamente, i sindaci hanno un'esigenza immediata, cioè quella di chiudere il bilancio dell'esercizio 2009, dovendo trovare una risposta ai fondi dell'ICI non ancora sufficientemente accertati. Probabilmente, sarebbe stata percorribile una soluzione più semplice, utilizzando un sistema di trattenuta fiscale di natura diversa. Non voglio approfondire questo tema, ma avrei giudicato migliore uno strumento in grado di non scaricare le conseguenze sui comuni, bensì direttamente sullo Stato, a vantaggio dei cittadini. I cittadini avrebbero ricevuto il beneficio, ma non a scapito dei comuni.

ALBERTO FILIPPI. Giusto per capire: avremmo potuto pagare comunque l'ICI, per detrarla successivamente dall'IRPEF.


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Questa era la proposta della Lega Nord nella scorsa legislatura.

CARLO ALBERTO TESSERIN, Vicepresidente vicario del Consiglio regionale del Veneto. Sarebbe stato meglio. Ritengo comunque che entrambe le soluzioni siano frutto di buone intenzioni e anche che, se non agiamo con tempestività, chissà quante altre proposte verranno fuori!

PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Tesserin e i dirigenti che hanno accompagnato questa delegazione, accogliendo l'invito della Commissione. Faremo tesoro anche delle vostre osservazioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

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