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Seduta del 26/11/2008


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Audizione del Presidente della II commissione consiliare (Bilancio-Finanze) del Consiglio regionale delle Marche, Giuliano Brandoni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, in relazione al nuovo assetto di competenze riconosciute alle regioni e alle autonomie locali in materia di federalismo fiscale, l'audizione del presidente della II commissione consiliare del Consiglio regionale delle Marche, Giuliano Brandoni - accompagnato dal segretario generale del consiglio, la dottoressa Santoncini - che è stato delegato dal presidente del Consiglio regionale delle Marche.
Ricordo anche che il Consiglio regionale delle Marche ha votato un documento attuativo che stiamo acquisendo agli atti e che verrà distribuito ai commissari.
Ringrazio gli auditi per la loro disponibilità e do la parola al presidente Brandoni.

GIULIANO BRANDONI, Presidente della II commissione consiliare (Bilancio-Finanze) del Consiglio regionale delle Marche. Signor presidente, premetto che abbiamo deciso, per essere ancora più puntuali, di contribuire ai lavori della Commissione con un documento scritto di sintesi, frutto di un confronto avvenuto nell'ufficio di presidenza. Quindi, mi limiterò alla sua lettura, rendendomi comunque disponibile a fornire ulteriori delucidazioni alla Commissione, nel caso fossero necessarie.
Il documento in oggetto si articola in sei punti e contiene anche due tabelle in allegato, relative al nostro sistema tributario.
L'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione rappresenta indubbiamente un passaggio decisivo per il pieno sviluppo dell'autonomia regionale. Dunque, la presentazione del disegno di legge S. 1117 da parte del Governo costituisce in sé un elemento sicuramente positivo e auspicato dalle regioni. Tuttavia, a nostro parere, nel momento in cui il Parlamento si accinge ad approvare il disegno di legge delega sul federalismo fiscale, appare necessario segnalarne alcuni aspetti rilevanti per il sistema regionale che richiedono un approfondimento, più una modifica del testo all'esame delle Camere.
La maggior parte di essi sono stati evidenziati già nel documento della Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali e nell'intervento della presidente Donini, nel corso dell'audizione indetta dalle Commissioni congiunte, da noi pienamente condiviso.


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In questo nostro intervento, vorremmo sottolineare alcuni aspetti, facendo rinvio per il testo ai documenti citati.
In primo luogo, il cosiddetto federalismo fiscale viene attuato in un momento nel quale si è aperta, non solo in Italia, una delle più gravi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, sulla cui durata e profondità ad oggi nessuno è disposto a giurare. Questo elemento dovrebbe, a nostro giudizio, suggerire un'attenta riflessione sui costi dell'attuazione di tale riforma, sui suoi effetti, sulle condizioni in presenza delle quali essa sarebbe correttamente attuabile, sulla sua stessa attuabilità.
In un momento nel quale il Governo annuncia e realizza tagli continui alla spesa pubblica, a partire da quella relativa al sistema delle autonomie, in cui la crisi occupazionale dei settori economici non fa purtroppo sperare in un consistente prelievo fiscale, si deve cercare di fare chiarezza su quale sarebbe l'effetto di un passaggio da un sistema fondato sulla spesa storica ad un altro fondato su proventi e tributi locali, da compensare con fondi perequativi e con altri eventuali interventi statali.
Come è stato da qualcuno notato, se il passaggio deve essere graduale e non deve produrre ingiuste e inaccettabili sperequazioni tra i cittadini delle diverse regioni d'Italia, probabilmente, nonostante le affermazioni di principio contenute nel disegno di legge, si dovrà prevedere, in sede di prima applicazione, prima che il sistema vada a regime, un aumento della spesa a carico dello Stato, o altrimenti lasciare le regioni con minor capacità fiscale a se stesse, ovvero ancora aumentare il prelievo fiscale a carico dei cittadini.
La domanda dunque è la seguente: esistono le condizioni perché l'attuazione di questo disegno di legge porti a un rafforzamento dell'autonomia regionale, a una maggiore efficienza del sistema complessivo e in particolare a un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini delle diverse regioni d'Italia?
Ci sembra che le Assemblee elettive nazionali, nel momento in cui si accingono ad approvare una legge di delega così ampia e sostanzialmente priva di strumenti di verifica e di controllo di ritorno, debbano, su questi temi, cercare di ottenere garanzie sufficienti, anche e soprattutto nell'interesse generale della collettività.
In secondo luogo, è indubbio che la definizione di normative tecnicamente complesse, quali quelle previste dal disegno di legge, non possa che essere effettuata da organismi composti da esperti.
È altrettanto condivisibile che problematiche, quali quelle fiscali dell'erogazione di servizi, della valutazione dei loro costi, rappresentino primariamente non solo e tanto una competenza, quanto una responsabilità degli organi esecutivi a ogni livello istituzionale.
La tecnicità, la complessità, il carattere operativo di tali questioni vanno, tuttavia, correttamente intesi, dal momento che la loro impostazione e il loro sviluppo debbono corrispondere a opzioni preliminari di carattere squisitamente politico che non possono essere annullate o mascherate in nome di una presunta tecnicità della procedura.
Tali opzioni, e solo a titolo di esempio, sono il grado di autonomia dei poteri locali, il grado di perequazione del sistema, il livello dei diritti da assicurare ai cittadini, il carico fiscale da applicare e della sua distribuzione, le modalità di costruzione e i criteri di allineamento ai costi e fabbisogni standard, le politiche redistributive e via di questo passo.
Il disegno di legge prevede, invece, una delega amplissima all'esecutivo nazionale, demandando totalmente ad esso, di concerto con i governi regionali e locali, la definizione della normativa e il monitoraggio successivo della sua attuazione.
Questo percorso evidenzia un deficit di garanzie democratiche, dal momento che non prevede, a monte, un momento nel quale si possano discutere adeguatamente, in modo trasparente e pubblico, i dati e le opzioni fondamentali del sistema e, a valle, una verifica degli effetti prodotti dall'applicazione


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del sistema allargato alla partecipazione di tutte le rappresentanze del Paese, onde consentire, fra l'altro, gli eventuali necessari correttivi.
I luoghi in cui tali garanzie si realizzano sono essenzialmente le assemblee elettive, nazionali e regionali, nelle quali sono rappresentate tutte le componenti della società, il cui ruolo è però, nel disegno di legge delega, gravemente sottovalutato.
Bisogna qui ricordare, almeno per ciò che riguarda l'ordinamento regionale, che ciò che viene concertato ad altri livelli dagli esecutivi regionali dovrà poi, in molti casi, tradursi in atti da sottoporre all'approvazione degli organi legislativi.
Occorre inoltre ricordare che, tra le competenze regionali, vi è anche quella di istituire eventuali tributi locali o di ridisegnare le caratteristiche del rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali del territorio regionale.
Tali scelte vanno compiute di concerto con gli enti locali e, quindi, nel confronto con un organismo - il Consiglio delle autonomie locali - che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha sede presso le assemblee regionali, di cui le assemblee stesse rappresentano il principale interlocutore.
Queste considerazioni, tra le altre, portano a concludere che non è possibile, né opportuno, escludere dal processo attuativo della delega governativa il Parlamento e le assemblee legislative regionali. Tali organi andrebbero coinvolti sin dal formarsi delle scelte primarie del sistema, e in questo senso il testo presentato dal Governo andrebbe adeguatamente emendato.
Vengo ora al terzo punto. In tema di coinvolgimento delle assemblee legislative, nell'attuazione del federalismo fiscale, si sottolinea in particolare l'importanza, già messa a fuoco nella nota di sintesi dell'ultimo rapporto sullo stato della legislazione, di avere a disposizione i dati posti alla base delle scelte degli esecutivi, i quali vanno discussi, verificati e riportati all'interno di un sistema chiaro, trasparente e condiviso.
Questo elemento, unitamente alla riforma della struttura dei bilanci pubblici, che vanno organizzati secondo criteri omogenei, in modo da assicurare un'attendibile comparazione delle situazioni contabili di ciascuna realtà istituzionale, è essenziale per scongiurare possibili applicazioni arbitrarie, per allargare la discussione, consentire un adeguato intervento delle assemblee sulle scelte compiute dagli esecutivi e, più in generale, il controllo democratico dell'attuazione.
Il quarto punto è rappresentato da una domanda. Come può realizzarsi un efficace coinvolgimento del Parlamento e delle assemblee legislative regionali, nel processo di questa riforma? La risposta a questa domanda sconta la mancata attuazione della riforma costituzionale che più di ogni altra avrebbe connotato in senso federale lo Stato italiano. Parliamo del Senato delle regioni, in presenza del quale, probabilmente gran parte delle preoccupazioni segnalate non avrebbero avuto ragion d'essere.
Nel rinnovare l'auspicio che possa rapidamente progredire anche il cammino di questa riforma, si segnala tuttavia l'esigenza di trovare egualmente forme di raccordo tra le Commissioni parlamentari coinvolte nel processo di attuazione della delega governativa e le assemblee legislative regionali.
In tal senso, si chiede nuovamente di voler integrare, in attesa dell'attuazione del Senato delle regioni, la Commissione parlamentare per le questioni regionali, con i rappresentanti delle regioni e degli enti locali, così come previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ovvero di voler comunque prevedere la presenza di rappresentanze dei Consigli regionali nelle Commissioni parlamentari quando si discute di federalismo fiscale.
La nostra Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali rappresenta a tale scopo un valido e condiviso organismo di rappresentanza di tutti i consigli regionali. A fianco di essa, può prevedersi la possibilità - come è avvenuto oggi - della partecipazione di singoli consigli regionali quando sulle singole normative previste


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nel disegno di legge appare essenziale consentire alle Commissioni parlamentari, in rapporto con quelle regionali, un esame dei decreti attuativi più adeguato, sia in termini temporali che procedurali.
Il disegno di legge prevede, come è noto, un parere delle Commissioni parlamentari competenti da rendere nel termine di 30 giorni. Al fine di un esame più consapevole da parte del Parlamento dei decreti delegati, potrebbe risultare utile prevedere in sede preliminare l'obbligo di invio di dati e rapporti informativi periodici sui lavori della commissione paritetica, previsti dall'articolo 3 del disegno di legge e anche la partecipazione di rappresentanze del Parlamento e dei consigli regionali, in funzione di auditori ai lavori della stessa.
Andrebbe anche organizzata un'attività di controllo e monitoraggio sull'attuazione della riforma, da realizzare - anch'essa auspicabilmente - insieme alle assemblee regionali, in modo da affiancare l'attività della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all'articolo 4, e interloquire con la stessa con autonoma iniziativa delle assemblee legislative.
Passando al punto quinto, in conclusione, come si accennava nel primo punto delle presenti osservazioni, resta, per l'assemblea legislativa delle Marche, una forte attenzione in ordine ai modi attraverso i quali verrà realizzato il nuovo sistema di finanziamento delle funzioni regionali e locali, in ordine agli effetti che da esso si produrranno.
La nostra regione, secondo i risultati di una ricerca condotta da Unioncamere del Veneto nel 2007 sui costi del non federalismo, non dovrebbe avere, in termini generali, particolari timori nell'applicazione del nuovo sistema di federalismo fiscale.
Risulta infatti che le Marche presentano un residuo fiscale attivo, sia pure di lieve entità, intendendo per residuo fiscale la differenza fra tutte le entrate, fiscali e non, che le amministrazioni pubbliche prelevano da un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese dalle stesse amministrazioni.
Non così per la gran parte delle altre regioni d'Italia. È tuttavia evidente come decisivi saranno i parametri che verranno adottati per calibrare tributi e aliquote. Rispetto a tale merito va ribadita l'esigenza di assicurare adeguate misure compensative a favore di quelle realtà che, per ragioni strutturali, presentano una minore capacità fiscale, in base a un principio condiviso di solidarietà, al fine di salvaguardare un eguale diritto di accesso ai servizi essenziali per tutti i cittadini.
Il sesto punto, come ho illustrato inizialmente, riguarda le due tabelle che riepilogano la situazione fiscale nella nostra regione.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO PEPE (PD). Signor presidente, rivolgo un saluto alla regione Marche che, attraverso il presidente della II Commissione del Consiglio regionale, competente in materia di tributi e delle finanze - che poi è il punto dolente del federalismo - con una relazione sobria ed equilibrata, ha messo in evidenza diversi aspetti. Tra questi, vi è la complessità del disegno di legge che seguirà la procedura parlamentare. Quindi, non sappiamo quale forma avrà questo testo all'indomani dell'approvazione da parte di Camera e Senato.
Ritengo che in questo caso la riflessione debba essere svolta di comune accordo con il sistema delle regioni e delle autonomie locali, in modo da arrivare ad un testo storicizzato, ben contestualizzato rispetto alle dinamiche delle nostre regioni.
D'altro canto, mi pare che lei, presidente, al terzo punto, si sia fatto carico delle sofferenze che pure sono presenti in altre regioni. Dunque, occorre arrivare ad un sistema di comparazione degli oneri ad oggi e delle spese future, rispetto all'applicazione dei cinque punti finanziari dell'articolo 119 della Costituzione.


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Con i dati che lei ci ha offerto nella parte conclusiva e con la scheda riepilogativa, mi pare che la regione Marche, che pure ha un'efficienza amministrativa dignitosa, registri un surplus di sostanze economiche e finanziarie.
Ebbene, al di là di questo studio riassuntivo di quello che oggi avete, rispetto alla dinamicità del futuro disegno di legge, per quanto possa essere stato enunciato e calcolato, tenendo presente il costo standard, la regione Marche ce la farà a dare soddisfazione ai due forti capitoli, i LEP e i LEA, i servizi essenziali sul piano delle prestazioni e i servizi essenziali per quanto riguarda l'assistenza?

REMIGIO CERONI. Signor presidente, desidero salutare l'assessore Amagliani e la dottoressa Santoncini, che con me hanno vissuto nel consiglio regionale, dal 2000 al 2006, una bellissima esperienza.
Ho perso la parte iniziale dell'intervento svolto, però penso che molte delle questioni che sono state sollevate siano all'attenzione della Commissione, che sicuramente svolgerà un buon lavoro, intanto raccogliendo tutti i punti di vista delle regioni italiane. D'altronde, il paziente lavoro di ascolto servirà anche a riunire e fugare i dubbi e le perplessità che possono sorgere rispetto a un disegno di legge di questa portata.
Vero è, però, che tutti dobbiamo comprendere la necessità di responsabilizzare i centri di spesa. Le regioni sono, tra gli enti pubblici, quelle che gestiscono una quantità di fondi non indifferente. Basti pensare che il 47 per cento della spesa pubblica è gestito dalle regioni, motivo per cui devono essere assolutamente responsabilizzate, soprattutto per quanto riguarda la spesa sanitaria. Ormai le regioni sono diventate enti di gestione della spesa sanitaria.
Per quanto riguarda le Marche, questo discorso è ancora più vero, perché, mentre a livello nazionale le regioni spendono circa il 55 per cento del bilancio in media sulla spesa sanitaria, nella nostra regione la spesa ormai assorbe il 75 per cento del bilancio, lasciando ben poche risorse agli altri settori che, invece, soprattutto in un momento di grave crisi come questo meriterebbero di essere aiutati maggiormente.
Comunque, presidente, penso che troveremo il modo di incontrare tutti i presidenti di regione, per far sì che le questioni sollevate da ognuno di loro possano trovare delle risposte. Dunque, auguro al rappresentante del Consiglio regionale delle Marche buon lavoro e rivolgo un arrivederci ai prossimi incontri che certamente la Commissione terrà.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GIULIANO BRANDONI, Presidente della II Commissione consiliare (Bilancio-Finanze) del Consiglio regionale delle Marche. Onorevole Ceroni, intanto mi rivolgo a lei per una piccola correzione.
La sua lontananza dalle Marche le ha fatto scambiare i rappresentanti. Io sono il presidente della Commissione consiliare bilancio e sono il consigliere Brandoni. Del resto, è da tempo che con l'assessore Amagliani viaggiamo come Gianni e Pinotto, quindi ci si scambia e non si sa più chi è l'uno e chi l'altro.
Vengo ora alle questioni che sono state poste. Quanto alla prima domanda che chiedeva se la nostra regione ce la farà, dico che, in via di auspicio, la mia risposta è affermativa.
Rispetto alle questioni specifiche, invece, credo che molto dipenderà da questo disegno di legge, dalle caratteristiche che su questo versante saranno assegnate ai parametri che costituiranno le condizioni per le regioni per attuare questo meccanismo.
Senza questo tipo di certezza, la discussione sullo standard oggi, a nostro giudizio, deve essere oggetto di riflessioni e precisazioni, perché è l'elemento che determinerà la possibilità che l'onorevole stava chiedendo.
Sulle questioni di questo tipo stiamo e dovremo lavorare - forse sarà un'occasione la prossima discussione di bilancio - su simulazioni che ci permettano in qualche


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modo di misurare qual è il punto di equilibrio dentro questo quadro legislativo o quello che andrà a realizzarsi.
La riflessione che l'onorevole Ceroni ci ha proposto in qualche modo si collega alla domanda che ci è stata posta.
Vorrei ricordare che la spesa sanitaria delle Marche in questo ultimo anno ha registrato un trend interessante di rientro, dal punto di vista finanziario. Si tratta di una sperimentazione significativa, come è noto in alcune altre realtà, dal punto di vista della struttura organizzativa.
Le Marche hanno infatti una sola azienda sanitaria, una ASL unica per tutta la regione (questa è la sperimentazione di cui parlavo). Adesso non vorrei entrare nel merito di una discussione più generale, intendendo solo soffermarmi su un elemento: la determinazione dei cosiddetti «costi standard» non solo va storicizzata, ma deve essere anche guardata dentro un quadro organizzativo delle modalità con cui si offrono le prestazioni.
Le Marche, per storia e per definizione, hanno - la spesa sanitaria è un esempio interessante - una diffusa rete ospedaliera. Credo che sia percentualmente la più alta d'Italia per il rapporto tra popolazione e ospedali, con una caratteristica specifica: la riorganizzazione degli istituti nell'ambito di un nuovo piano sanitario.
Tuttavia, in quel territorio si determina un livello di costi che non si può definire inefficiente, bensì diverso, coniugandosi l'elemento della diversità con le specificità.
Le differenze, in alcuni casi, possono costituire un esempio su cui la Commissione e il Parlamento in generale possono riflettere in vista della redazione di questo disegno di legge.
Aggiungo che audizioni come questa e auspici di una interlocuzione con i consigli regionali, come quelli contenuti nel nostro documento, possono rappresentare in questa fase un contributo importante anche per la Commissione.

ANTONIO FOSSON. Vorrei intervenire su quanto aveva detto lei, soprattutto a beneficio degli altri membri della Commissione.
Sono stato assessore per cinque anni alla sanità della regione Valle d'Aosta. Ebbene, per dare una sanità efficiente in un bacino montano con una popolazione di 120 mila abitanti - dunque un bacino molto piccolo per giustificare una eccellenza - è stato necessario elevare decisamente il livello di spesa.
Abbiamo fatto condurre un'indagine al riguardo, ma già alcune commissioni l'avevano riferito. Una commissione universitaria aveva studiato i costi aggiuntivi in un bacino come il nostro, ed è emerso che per gestire la sanità ad un certo livello è necessario sopportare costi superiori del 25-30 per cento.

PRESIDENTE. Aggiungerei «purtroppo», visto che anche io sono montanaro e quindi mi confronto giornalmente con questo tipo di problema.
Nel ringraziare il presidente Brandoni e la delegazione per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

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