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Seduta dell'11/3/2009


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Audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, prefetto Rodolfo Ronconi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione, l'audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, prefetto Rodolfo Ronconi, che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
Prima di dare la parola al prefetto vorrei ricordare che, dopo la missione che una delegazione di questo Comitato ha effettuato in Spagna alla fine di febbraio di quest'anno, l'audizione odierna riveste per noi particolare rilievo ed interesse, in quanto sui temi dell'immigrazione è in corso un dibattito politico abbastanza vivace e abbiamo il dovere e la necessità di approfondire tutte le problematiche connesse al contrasto dell'immigrazione clandestina. Questo incontro costituisce quindi un appuntamento qualificante per la nostra indagine conoscitiva.
In primo luogo le chiedo di riferirci l'esito delle sue recenti missioni in Libia, Tunisia e Nigeria. Da questi Paesi partono importanti flussi migratori che ci richiamano sia la questione degli accordi di partenariato finalizzati all'istituzione di pattugliamenti congiunti, sia il tema strategico degli accordi per l'adozione di misure di rimpatrio e di riammissione. In particolare, grazie alla sua illustrazione vorremmo approfondire lo stato di elaborazione e di attuazione di questi accordi, anche bilaterali, relativamente non solo ai Paesi di origine, ma anche a quelli di transito.
Contestualmente, la invito a fornirci ragguagli circa la riunione svoltasi lo scorso 13 gennaio al Viminale tra i Ministri dell'interno di Italia, Cipro, Grecia e Malta, per definire un'azione comune dei quattro Paesi contro l'immigrazione clandestina nel Mediterraneo.
Infine, le chiedo una valutazione degli indirizzi programmatici che il Consiglio europeo ha enunciato, riguardo all'esigenza del rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell'Unione europea, nell'ambito del Patto per l'immigrazione e l'asilo adottato nella riunione del 15 e 16 ottobre 2008: in tale occasione sono stati auspicati il rilascio sistematico dei visti biometrici entro il 1o gennaio 2012, il potenziamento di Frontex e, in prospettiva, veri e propri servizi consolari comuni ed un sistema europeo di guardie di frontiera. Quanto ritiene possano essere vicini questi importanti obiettivi?
Nel ringraziarla per avere accettato il nostro invito, le do senz'altro la parola.


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RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Grazie, presidente. Innanzitutto saluto lei e i suoi colleghi.
Nella sua introduzione sono stati toccati gli aspetti principali della problematica relativa all'immigrazione regolare e clandestina, con riferimento sia al passato e al presente, sia alle possibili soluzioni future. Preferirei, seguendo il suo file rouge, fare un discorso di carattere generale, per poi entrare nelle specifiche problematiche. Ho utilizzato il termine «problematiche» anche se sostanzialmente non lo amo: esistono fatti che richiedono soluzioni e noi, normalmente, abbiamo tutte le risposte, ma non sappiamo a quali domande adattarle.
In quest'ottica, quindi, vorrei affrontare il discorso dell'immigrazione da un punto di vista semplicemente tecnico-operativo perché, come voi sapete bene, tale fenomeno può essere affrontato sotto vari profili: sociale, sociologico, etnico, politico e così via.
Fortunatamente, la direzione che mi è stata affidata ha soltanto alcuni aspetti tecnici da affrontare: quelli che mirano a consentire al cittadino italiano di convivere con persone che italiane non sono facendone una cernita o un controllo alle nostre frontiere. Affronterei questo aspetto parlando degli strumenti di cui disponiamo per questa attività di contrasto all'immigrazione clandestina.
A volte nel considerare l'immigrazione clandestina siamo influenzati dalle informazioni che riceviamo dai mass media. Questa mattina sono sbarcati sull'isola di Lampedusa 332 clandestini. Sono stati recuperati ad un miglio dalle coste e sono stati portati sull'isola; di questi, un buon 50 per cento sono maghrebini (provenienti, in particolare, dalla Tunisia e dal Marocco) e, per il resto, sono cittadini dei Paesi più vari: dalla Nigeria alla Costa d'Avorio, al Ghana, al Bangladesh. Tale evento è una sorta di spaccato della realtà con cui noi ci confrontiamo costantemente. Queste persone provenivano certamente dalla Libia, la rotta seguita ci consente di pensarlo con sufficiente tranquillità investigativa. Peraltro, questa ipotesi è stata suffragata dalle interviste realizzate dalla task force della Direzione centrale da me diretta, che opera sul posto.
La provenienza composita del gruppo di immigranti clandestini ci fornisce un buon motivo per ritenere che provengano da campi o centri di raccolta gestiti da organizzazioni criminali.
Devo francamente dire che, in questi ultimi tempi, c'è stata una riduzione degli sbarchi ed è cambiata la loro composizione. Negli ultimi mesi abbiamo attuato una politica non dura - non ci piace usare questo termine in nessuna sua accezione - ma di maggiore fermezza. Ciò riporta agli accordi menzionati dal presidente nella sua introduzione.
Il Ministro dell'interno, il capo della Polizia (a livello tecnico) e la mia Direzione centrale (a livello operativo) hanno raggiunto un'intesa con la Tunisia, secondo la quale il Governo tunisino accetta il rimpatrio da parte nostra di cittadini provenienti dal loro Paese mediante una semplice procedura: il presunto cittadino o immigrato clandestino proveniente dalla Tunisia deve essere sentito dalle autorità consolari tunisine, in seguito la scheda fotodattiloscopica della persona è inviata, attraverso le autorità consolari, alla Direzione centrale della Polizia scientifica di Tunisi e, se il riscontro fotodattiloscopico ha un esito positivo ed è accertata la sua nazionalità, viene rilasciato un lasciapassare e l'immigrato clandestino è rinviato in Tunisia.
La procedura descritta è prevista nell'accordo di riammissione firmato con la Tunisia, ma fino a qualche mese fa era molto complicato poter rimpatriare più di 3, 4 o 5 cittadini tunisini al mese. Grazie all'accordo che è stato raggiunto, siamo in grado ora di rimpatriare circa 200 cittadini tunisini al mese, per far fronte all'attuale momento di emergenza - se vogliamo usare questo termine -, al termine del quale potremo regolarizzare la situazione ed attestarci su un numero di rimpatri mensili di circa 100 cittadini tunisini.


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Abbiamo compiuto dei grossi passi avanti non soltanto sotto il profilo numerico, ma anche sotto il profilo dell'accettazione, da parte della Tunisia, di fare onore all'accordo di riammissione.
Vi chiedo scusa se passo rapidamente da un argomento all'altro, ma si tratta di una materia che mi avvince e mi coinvolge in modo particolare.
L'Italia ha firmato molti accordi di riammissione, credo che siano 52. Il problema di fondo degli accordi di riammissione è che tutti prevedono il riconoscimento formale del cittadino prima del rimpatrio, ma consentono alle autorità del Paese che non manifestano una buona volontà a riammettere i propri cittadini di poter giocare sui tempi della procedura amministrativa.
Vi porto un esempio molto banale. L'accordo di riammissione con la Tunisia prevede l'accertamento dell'identità del presunto cittadino tunisino in un arco di tempo non più lungo di quindici giorni. In genere, occorrono quattro giorni per informare l'autorità consolare che, in tale arco di tempo, si deve recare presso il luogo in cui il presunto cittadino tunisino si trova, intervistarlo e raccoglierne le impronte digitali. I dati raccolti devono poi essere inviati a Tunisi. Entro tre giorni, Tunisi dovrebbe dare la sua risposta.
La procedura è complessa, ma se questi fossero i tempi nell'arco di dieci o quindici giorni avremmo una risposta certa all'identificazione del soggetto e, nel caso di una risposta positiva, il conseguente rilascio di un lasciapassare.
L'accordo di riammissione prescrive i tempi tecnici per ciascuna singola azione, ma che cosa accade, o accadeva, in realtà? La Polizia italiana procede al rilevamento delle impronte digitali, che vengono immediatamente inviate al Consolato generale tunisino, il quale le spedisce a Tunisi. Ci sono vari modi di spedire la corrispondenza e uno dei modi più lenti per farlo è tramite la cosiddetta «valigia diplomatica», che parte, in media, una volta a settimana. Se non si fa in tempo a mandare le impronte digitali il giovedì, se ne riparla la settimana successiva, con un ulteriore ritardo di dieci giorni. Superata la fase dell'intervista, che pure richiede tempi abbastanza lunghi, le impronte digitali arrivano a Tunisi.
L'identità e il riconoscimento dattiloscopici hanno una valenza se le impronte digitali esistono già presso il casellario della Polizia di Tunisi, ma se quelle della persona in questione non sono ancora state raccolte, non se ne troverà mai il riscontro nel casellario di identità e, quindi, sarà impossibile riconoscere dattiloscopicamente questo cittadino.
In tal caso, è impossibile riconoscere la provenienza e, quindi, rilasciare il cosiddetto «lasciapassare» per il rimpatrio, a meno che non si sia in presenza di un delinquente già sottoposto a rilievi dattiloscopici. Tutto ciò nonostante la Tunisia appartenga a quei Paesi che, come il Marocco, stanno procedendo al rilievo delle impronte digitali di tutti i loro cittadini, per un fatto di civiltà e di garanzia dell'individuo.
È evidente che, anche in presenza di accordi di riammissione, vi sono difficoltà oggettive per poter effettuare i rimpatri. Il fatto che adesso sia possibile trattenere un immigrato clandestino con una proroga a sei mesi della permanenza nel centro per l'identificazione e l'espulsione (CIE) è indubbiamente di aiuto.
Alcuni accordi di riammissione presentano altri problemi. Anche il cittadino brasiliano irregolare nel territorio nazionale italiano ha bisogno di un lasciapassare per poter essere rimpatriato. Dopo essere stato identificato in Brasile le autorità brasiliane sono pronte a rilasciare il lasciapassare, ma il rientro è condizionato dalla volontà del cittadino brasiliano - irregolare in Italia - di accettare la procedura di rimpatrio. Non ho ancora incontrato un cittadino brasiliano irregolare in Italia che firmi - deve proprio farlo fisicamente, non si tratta di un'accettazione tacita - il lasciapassare, senza il quale non può rientrare.
Questo ci riporta alle considerazioni che ho già espresso inizialmente: noi siamo colpiti dall'immagine mediatica di queste povere persone che arrivano a


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Lampedusa su un barcone, ma l'immigrazione clandestina che passa attraverso Lampedusa, o in generale attraverso le coste, non supera il 10 per cento. Oltre il 50 per cento dell'immigrazione clandestina è rappresentato dai cosiddetti overstayers: persone che entrano in Italia con il visto di ingresso per motivo turistico e che, trascorso il periodo di soggiorno previsto dal visto a seconda della nazionalità, rimangono sul territorio nazionale.
Credo che quest'anno, dei 284 cittadini cubani entrati in Italia, soltanto 60 siano rientrati nel loro Paese, gli altri sono rimasti in Italia in maniera clandestina. Cuba è un Paese piuttosto lontano dal nostro, per uscire dal quale e raggiungere l'Italia si deve affrontare una notevole spesa. Non è così per i cittadini dei Paesi dell'est europeo, comunitari e non comunitari, che giungono nel nostro territorio e vi rimangono senza rientrare nei loro Paesi.
L'immigrazione clandestina è dunque un fenomeno complesso, che presenta una serie di sfaccettature e di tipologie che non consentono di individuare una soluzione tecnico-operativa valida per tutti i casi; tentare questa strada è come andare in cerca dell'araba fenice.
La complessità del fenomeno tuttavia non ci scoraggia: io sono sempre stato un inguaribile ottimista, anche quando ero capo della Squadra mobile di Roma. Si tenta di prospettare soluzioni che consentano di applicare la normativa mediante un'operatività integrata.
Nell'introduzione, il presidente ha fatto menzione del pattugliamento congiunto; credo che il riferimento fosse alla Libia. Da qualche ora sono arrivati i nostri amici libici - nei confronti di tutti i nostri partner io uso, di solito, il termine «fratelli» - per avviare la presa di cognizione rispetto alle navi che verranno successivamente date loro in dotazione. È auspicabile, quindi, che il pattugliamento congiunto possa partire quanto prima.
Il solo pattugliamento congiunto, se non viene effettuato in maniera intelligente - usiamo pure questo termine - cioè se non viene fatto a ridosso del porto di Zuara o nel suo cono di interesse, è meno efficiente. Se siamo a ridosso di quel cono e blocchiamo gli immigrati clandestini diretti in Italia che escono da Zuara o, comunque, blocchiamo la rotta Zuara-Lampedusa, i battelli sono obbligati a spostarsi e ad entrare in un'altra zona di operatività: quella di Malta.
È indubbio che gli immigrati clandestini arrivano sempre in Europa, sia che vengano in Italia, sia che vadano a Malta, però abbiamo avuto modo di notare, per esperienza, che preferiscono venire nel nostro Paese. Immaginiamo, allora, in maniera ottimistica, che se sapessero di non poter venire in Italia e che, tentando di farlo, finirebbero a Malta, probabilmente partirebbero in numero minore. È un discorso di normativa e di operatività integrata. Se noi non li facciamo entrare nel nostro cono, ma entrano nel cono di Malta, magari ci ripensano.
L'accordo con i marocchini non prevede semplicemente il rimpatrio, ma anche un'ipotesi di rimpatri assistiti, con l'ausilio dell'Unione europea e dell'Organizzazione mondiale dell'immigrazione, finalizzati a dissuadere la popolazione dal venire in Italia. Se, da un lato, si corresse il rischio di andare a finire a Malta e, dall'altro, potessero trovare più interessante restare nel proprio Paese, per fruire di eventuali corsi di addestramento e di altri benefici offerti dall'Europa, potremmo in qualche modo dissuaderli dall'intraprendere il viaggio.
Ho parlato di cono e di rotta. Le acque del Mediterraneo, come tutte le acque prospicienti la costa, sono suddivise, come voi sapete, in acque territoriali. Esiste, però, un'altra tipologia di acque: le acque SAR (search and rescue waters), cioè le acque di interesse di un determinato Paese, che vengono dichiarate tali unilateralmente, senza che vi sia alcun tipo di accordo. Sono quelle acque nelle quali il Paese manifesta un suo interesse nella ricerca e nel recupero dei naufraghi.
I nostri amici maltesi hanno immaginato un'area enorme. Le acque SAR dovrebbero essere comunque legate alla capacità del Paese di inviare un proprio


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naviglio fino ai confini delle acque stesse, ma non è così, perché non esiste un'organizzazione mondiale che abbia la capacità di imporre questi limiti: si tratta di decisioni unilaterali.
Le acque SAR di Malta sono enormi e, per certi versi, comprendono anche Lampedusa. Ci si aspetterebbe che, nel caso in cui vi siano dei naufraghi o comunque degli immigrati clandestini in acque maltesi, fossero i maltesi ad intervenire. Intervengono, come no! Si mettono a coordinare: individuano e coordinano l'evento SAR, dando disposizioni all'Italia o alla Francia di inviare una loro nave che si trovi in prossimità di quell'area a recuperare i naufraghi. Verrebbe voglia di spiegare bene ai maltesi come deve funzionare la convivenza, in mare come in terra.
In caso di mancato intervento non esiste sanzione, se non quella della propria coscienza. Al massimo si riceve una tirata d'orecchie o una lettera in cui si rimprovera di essere stati cattivi. È probabile che i maltesi abbiano le orecchie sufficientemente dure per non avvertire le tirate d'orecchie.
Nello scusarmi nuovamente per essere passato da un argomento all'altro, resto a vostra completa disposizione per qualsivoglia domanda riteniate opportuno porre.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARGHERITA BONIVER

PRESIDENTE. La ringrazio, signor prefetto. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

DIANA DE FEO. Lei ha riferito di circa 300 profughi - o, come possiamo dire: immigrati - sbarcati a Lampedusa, di cui il 50 per cento sono maghrebini: tunisini e marocchini. Di questi, in base all'accordo raggiunto con il Marocco, possiamo rimandarne a casa 200 al mese, che in futuro saranno 100. È difficilissimo individuarli, per le ragioni che sono state dette, ma io vorrei sapere quanti ne arrivano al mese. Lo chiedo per conoscere la proporzione tra rimpatri ed arrivi. Se possiamo rimandare al Paese d'origine 200 marocchini o tunisini al mese, quanti ne arrivano?

RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. È una domanda estremamente interessante quella che lei mi pone. Dobbiamo comunque mantenerci in termini estremamente realistici. Prima non ne rimpatriavamo praticamente nessuno; oggi abbiamo ottenuto di poterne rimpatriare un'aliquota abbastanza forte per quanto riguarda la Tunisia, mentre per il Marocco siamo in piena trattativa per facilitare e accorciare non solo l'iter, ma anche le modalità per il rimpatrio.
Gli algerini, ad esempio, ci offrono una grossa cooperazione, per cui non abbiamo neanche bisogno dell'identificazione fotodattiloscopica. Con l'Algeria, come anche con l'Egitto, esiste un gentlemen's agreement, per cui rimpatriamo tutti coloro che si dichiarano - o che noi possiamo provare essere - algerini senza fare ricorso alle impronte digitali. Lo stesso vale per tutti coloro che si dichiarano o che riteniamo essere egiziani. Si tratta di un gentlemen's agreement nel senso che, in caso di sbaglio, noi siamo disposti a riammettere la persona erroneamente rimpatriata. Lo stesso avviene, grosso modo, con la Nigeria.
Mi rendo conto che, vista nell'ottica con la quale lei ha posto la domanda, la situazione potrebbe sembrare preoccupante. Domani procederemo al rimpatrio di 30 cittadini nigeriani che, probabilmente, sono un numero pari o di gran lunga inferiore rispetto a quelli che sono arrivati oggi.
In un'ottica più ampia, quindi, la nostra situazione è migliore di quella di qualche mese fa, e ci auguriamo di mantenere un trend altrettanto positivo. Non sarà con questi sistemi che riusciremo a bilanciare ingressi ed uscite, ma ci sono anche altri strumenti che il nostro Paese sta mettendo in atto per poter arrivare a un bilanciamento, se non proprio a favore nostro, comunque non troppo a nostro sfavore.


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DIANA DE FEO. Lei, però, non mi ha risposto, neanche con un'idea vaga di percentuale.

RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Non le ho risposto perché è difficile farlo. Domenica scorsa, 42 afghani sono stati trovati in un camion frigorifero a bordo del traghetto che da Patrasso arrivava in Italia: li abbiamo respinti immediatamente e i greci se li sono ripresi.
Dovremmo metterci con carta e penna a calcolare le percentuali. Per dare una risposta lo possiamo anche fare, non c'è problema, però in buona sostanza questo è quello che avviene sui nostri confini.

DIANA DE FEO. Ho visto l'imbarco da Patrasso nella trasmissione Password; dopo tale trasmissione sono stati eseguiti maggiori controlli dalla polizia greca perché essa ha messo il problema sotto gli occhi di molta gente, anche dei greci. Lì non c'era alcun controllo, infatti: l'unico controllo veniva effettuato dai camionisti, che non volevano avere problemi arrivando in Italia. La polizia era totalmente assente. Questo è, appunto, il vostro problema.

RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Due mesi fa, dalla Grecia arrivarono in Italia 27 clandestini. Noi dicemmo ai greci che avrebbero dovuto riprenderseli e i greci ci chiesero se per caso l'imbarcazione da cui erano scesi battesse bandiera greca. Io non ho mai visto una carretta del mare con qualsivoglia bandiera.
Dopo aver fatto i nostri accertamenti, chiamai il mio caro amico e collega greco e gli chiesi se per caso Cefalonia fosse diventata un'isola italiana. Lui pensò che io fossi pazzo e gli spiegai che, se lui non se li fosse ripresi, ciò avrebbe voluto dire che Cefalonia è italiana, perché quei clandestini avevano telefonato da lì, con il cellulare.
Ci si confronta, anche con realtà che negano l'evidenza.

MAURO DEL VECCHIO. La ringrazio, signor prefetto, per la sua illustrazione.
Recentemente noi siamo stati in Spagna proprio per esaminare una realtà che riteniamo, sotto molti aspetti, vicina alla nostra, in quanto ci è stato detto che anche in Spagna il numero degli immigrati clandestini è molto elevato.
Lei oggi ci ha ricordato che la maggior parte degli immigrati clandestini non sono coloro che vediamo fisicamente arrivare a Lampedusa - che, tra l'altro, sono quelli che forse possiamo controllare più facilmente - ma tutti coloro che entrano nel nostro Paese in mille maniere diverse.
Un aspetto che abbiamo notato in Spagna, senza riuscire a capire la differenza con quanto accade da noi, è rappresentato dalla capacità di identificazione, che è alla base della possibilità di rimandare i clandestini nel Paese di origine. Secondo quanto ci è stato detto, in Spagna l'identificazione è molto veloce: hanno previsto la durata della permanenza nei centri di identificazione e di espulsione fino a due mesi, perché ritengono che questo sia il termine entro il quale riescono a stabilire l'identità degli immigrati e, quindi, a procedere con il rimpatrio.
Lei ci ha ricordato poco fa tutte le difficoltà che incontrate. È possibile che esista una diversa organizzazione, attraverso dei contatti con le ambasciate, che consenta alle autorità spagnole di essere così rapide nell'identificazione e, conseguentemente, nell'espulsione degli immigrati clandestini?

RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Senatore, se lei sostituisce il termine «capacità» con il termine «volontà» della controparte a procedere all'identificazione - nella fattispecie, per quanto riguarda la Spagna e il Marocco - troviamo la risposta alla sua domanda. Da parte del Marocco esiste certamente, nei confronti della Spagna, una maggiore buona volontà, legata però a tutta una serie di situazioni.
Ringraziando Iddio, noi non abbiamo alcuna enclave forzata in Tunisia. Io non


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voglio fare della geopolitica, però questo è nei fatti.
Il Marocco, in qualche modo, deve fare un'opera di captatio benevolentiae nei confronti della Spagna. Nell'attentato di Atocha gli spagnoli non avrebbero mai individuato gli autori dell'attentato o, comunque, li avrebbero individuati con eccessiva difficoltà. Sono stati aiutati dai marocchini, per una questione di contiguità territoriale e per tutta una serie di situazioni particolari. Cito, a tal proposito, Ceuta e Melilla. Esistono alcuni rapporti che favoriscono o sfavoriscono il rimpatrio veloce.
Fino a qualche tempo fa, i tunisini accettavano il rimpatrio di 4 o 5 loro cittadini al mese provenienti dall'Italia. Oggi ne accettano molti di più. Noi lo consideriamo un grosso passo avanti, perché con i contatti che abbiamo avuto in questi ultimi tempi, recandoci in Tunisia, siamo riusciti ad ottenere un miglioramento dei rapporti.
Lo stesso avviene con la Nigeria. Noi siamo oggi l'unico Stato europeo ad avere un rapporto di collaborazione così stretto con questo Paese, tanto da consentire a poliziotti nigeriani di venire in Italia per un anno, non per fare un training, bensì a lavorare con noi. Siamo l'unico Paese nell'intera Europa a farlo. Dalla Norvegia, qualche giorno fa, alcuni amici mi hanno chiesto come fossimo riusciti a farlo. Ho risposto che abbiamo il «copyright» in merito e che non abbiamo intenzione di rinunciarvi.

PRESIDENTE. Mi risulta che, non so con quale scadenza, siano previsti dei rimpatri congiunti con altri Paesi europei - dei voli «europei» - per cittadini identificati come provenienti da Paesi con i quali abbiamo accordi di riammissione: è vero?

RODOLFO RONCONI, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Si, è vero. Uno di questi lo faremo proprio domani.
Non voglio sembrarvi sciovinista, però siamo considerati così bravi nel mediare che altri Paesi europei, attraverso Frontex, ci hanno chiesto di poter utilizzare dei posti sui voli da noi predisposti, tra cui quello di domani. Naturalmente noi abbiamo tanta buona volontà, però abbiamo chiesto a Frontex un contributo economico.

PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Ronconi per questo interessantissimo incontro e gli auguro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

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