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Seduta del 13/5/2009


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Audizione del Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, generale Edoardo Centore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Edoardo Centore, Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, che è accompagnato dal tenente colonnello Antonio Menga e dal capitano Pasquale Starace.
Quella odierna è la prima di una serie di audizioni che saranno svolte per approfondire questioni di carattere generale, riconducibili agli oggetti dell'inchiesta previsti dalla legge istitutiva.
Faccio presente ai nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterranno opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta. Li invito comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Per informazione del generale Centore - i colleghi già lo sanno - desidero precisare, inoltre, che la Commissione sta procedendo su due piani paralleli. Il primo concerne alcune situazioni che, al momento, appaiono di particolare emergenza nel Lazio, sebbene vi siano richieste di procedere anche per altre regioni italiane; il secondo - e in merito a ciò chiediamo la sua collaborazione - riguarda, invece, la definizione di un quadro generale dello stato delle indagini, degli interventi in corso e dei problemi che dovete affrontare per contrastare l'attività delle associazioni criminali nello smaltimento e nel riciclo dei rifiuti.
Do la parola al generale Edoardo Centore, che ringrazio per la presenza.

EDOARDO CENTORE, Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente. Mi permetta, signor presidente, di rivolgere a Lei e agli onorevoli componenti della Commissione un saluto cordiale da parte di tutti i Carabinieri del Comando per la tutela dell'ambiente e un mio personale ringraziamento, ancora più sentito per l'avvio di un rapporto - peraltro, credo in via di formalizzazione - che vedrà la presenza di un nostro ufficiale distaccato presso di voi e che comporterà certamente altri momenti di incontro su aspetti operativi.


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Lascerei non segretato quello che dirò, riservandomi di chiedere di intervenire in seduta segreta quando, col suo permesso, cederò la parola.
Sono a capo dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente da pochissime settimane, quindi il mio linguaggio potrà non essere tecnico; tuttavia, sarà certamente tecnico ed esaustivo quello dei miei collaboratori che fanno parte di questo reparto speciale dell'Arma dei Carabinieri nato nel novembre 1986, quattro mesi dopo l'istituzione del Ministero dell'ambiente, e posto alle dipendenze funzionali del ministro.
L'affidamento di compiti di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni in materia ambientale a una compagine di polizia in assetto specialistico rappresenta il primo esempio in Europa. Nel tempo, il reparto ha registrato cospicui incrementi, passando da Nucleo operativo ecologico (NOE) a Comando per la tutela dell'ambiente, con un organico consistente, di poco più di quattrocento unità. Il reparto è organizzato in un comando centrale, dal quale dipende un reparto operativo con competenza sull'intero territorio nazionale che, a sua volta, è ordinato su tre sezioni: la prima è dedicata al contrasto del grande traffico illecito di rifiuti, la seconda si interessa dell'inquinamento da sostanze radioattive, la terza si occupa delle industrie a rischio di incidente rilevante.
Nell'attuale contesto internazionale, l'azione di queste sezioni è indirizzata prioritariamente alla prevenzione e al contrasto della minaccia chimica, batteriologica, nucleare e radiologica, in collegamento con organi paritetici presenti nell'ambito dell'Unione europea (EUROPOL) e a livello della Nazioni unite (INTERPOL).
Seguono, poi, tre comandi di gruppo, con competenza sulle tre macroaree - nord, centro e sud Italia - dai quali dipendono complessivamente 29 NOE, a competenza interprovinciale o regionale. L'organigramma è completato da un CED che gestisce il Sistema informativo per la tutela ambientale (SITA). Il SITA, ubicato a Napoli, è stato realizzato su progetto dell'Arma, con finanziamento dell'Unione europea, ed è in via di completamento e di perfezionamento; ha funzione di intelligence e di ricerca operativa a favore e con il concorso di tutte le forze di polizia, utilizzando le più moderne tecnologie di telerilevamento informatico.
Il reparto opera in stretta collaborazione con i reparti della nostra organizzazione territoriale e speciale, vale a dire il reparto aereo, navale e subacqueo, i Nuclei antisofisticazioni e sanità (NAS), il Comando per la tutela del patrimonio culturale, il Raggruppamento operativo speciale (ROS). Si assicurano collegamenti informativi con le forze di polizia straniere per monitorare il settore dei traffici illeciti transnazionali di rifiuti di ogni genere, in particolare quelli pericolosi. Si è, altresì, stipulato un protocollo di intesa con l'Agenzia delle dogane per il monitoraggio e il contrasto del traffico transfrontaliero, per quanto riguarda la spedizione di sostanze chimiche e di materiale nucleare e radioattivo.
Si tratta, in sostanza, di un organico con il 95 per cento degli operatori specializzato, avendo frequentato appositi corsi di legislazione ambientale, materia - come sapete - molto specialistica e settoriale, che richiede necessariamente un approccio multidisciplinare. La quasi totalità dei militari partecipa, quindi, a un'intensa attività didattica prima di essere assegnata ai vari nuclei, che, sul piano operativo, si articolano nei settori che ora sintetizzerò.
Innanzitutto, il 70 per cento dell'attività del reparto è assorbita dal controllo sull'inquinamento del suolo e dal connesso fenomeno del traffico illecito di rifiuti. Tale fenomeno impatta sull'ambiente attraverso due direttrici principali, strettamente connesse: la prima vede la presenza di una illegalità diffusa, definibile come «criminalità ambientale», che laddove dovesse raggiungere livelli di sistematicità potrebbe produrre seri effetti per l'equilibrio dell'ambiente; la seconda riguarda la penetrazione della criminalità organizzata in settori a forte impatto ambientale, come il traffico dei rifiuti e il ciclo del cemento.


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Si è consolidato, infatti, un modus operandi che si snoda attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate e che si concretizza nella falsificazione di documenti di trasporto e certificati di analisi, nella simulazione di operazioni di recupero e di smaltimento, cui si aggiungono vere e proprie truffe ed evasione fiscale.
L'introduzione dell'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997, ex decreto Ronchi, poi divenuto articolo 260 del Testo unico ambientale che sanziona le «Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti» - ha costituito un momento di notevole importanza per lo sviluppo delle attività investigative, poiché, prevedendo una pena edittale da uno a sei anni, ha introdotto una prima tipologia di delitto ambientale. La sua importanza è ancora più evidente se si pensa che i risultati operativi prima si ottenevano attraverso la contestazione dei reati di falso e di truffa - sempre più o meno presenti nel traffico illecito di rifiuti - i quali, soltanto abbinati ai delitti associativi (416 e 416-bis), permettevano l'uso di strumenti investigativi di natura tecnica più invasivi ed efficaci.
L'esperienza maturata attesta che i settori nevralgici su cui si basano questi traffici vanno individuati, innanzitutto, nei passaggi intermedi presso impianti di stoccaggio e di recupero, dove si svolgono la falsificazione di documenti di trasporto e la simulazione di operazioni di smaltimento e di recupero (il cosiddetto «giro bolla»), e in secondo luogo nel trasporto dei rifiuti, che investe ogni fase della gestione dei medesimi (quindi produzione, raccolta, stoccaggio intermedio e smaltimento finale).
In genere, i responsabili del traffico illecito prendono contatti con i produttori - allettati, ovviamente, dai costi inferiori rispetto a quelli che dovrebbero sostenere per lo smaltimento presso siti regolarmente autorizzati - che, dopo aver accettato l'offerta, affidano loro i rifiuti. Successivamente, gli stessi responsabili provvedono alla fase di trasporto mediante società gestite direttamente o comunque a essi collegate, munite della prescritta autorizzazione. Queste società, anziché conferire i rifiuti presso le discariche regolarmente autorizzate, li smaltiscono in altre aree, ovviamente non autorizzate, oppure presso centri intermedi di stoccaggio e di recupero. Da questi siti i rifiuti vengono, poi, solitamente trasferiti per la ricomposizione ambientale in cave esaurite o dismesse, oppure addirittura smaltiti sui terreni come compost per l'agricoltura o, ancora, interrati - si usa il termine «tombamento» - in fondi di proprietà di privati compiacenti, riconducibili alla medesima organizzazione malavitosa o comunque retribuiti per l'utilizzo del proprio terreno.
In sintesi, il disegno criminoso prevede di far apparire come regolarmente svolto questo servizio, mediante l'emissione di falsi documenti di trasporto - i formulari di identificazione rifiuti (FIR) - false analisi e fatturazioni per operazioni mai effettuate.
Un approfondimento specifico va fatto con riferimento al cosiddetto «giro bolla», ovvero la declassificazione che trasforma il rifiuto - ma solo sulla carta - da pericoloso a non pericoloso. In pratica, gli automezzi prelevano i rifiuti pericolosi dall'impresa produttrice e li conducono alla società che dovrebbe effettuare il recupero, ma questa, in realtà, non lo effettua per diversi motivi, dalla carenza di impianti idonei alla volontà di lucrare. A questo punto, si sostituisce semplicemente il formulario che accompagna il rifiuto con un altro formulario di identificazione ovvero con un documento di trasporto che reca la nuova denominazione, che sulla carta figura lecita (ammendante, terricciato, terre e rocce e così via).

PRESIDENTE. Mi scusi, generale Centore, siccome sta per effettuarsi il voto al Senato, abbiamo bisogno di una pausa di pochi minuti, per incompatibilità dei lavori del Senato e della Commissione.

La seduta, sospesa alle 20,55, riprende alle 21,05.

EDOARDO CENTORE, Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente. Sintetizzo


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le principali metodologie di smaltimento che abbiamo rilevato nel corso delle nostre indagini: lo spandimento sul terreno di fanghi non idonei a tale scopo o di pseudofertilizzanti e compost; l'immissione nei cicli produttivi di fanghi industriali, ceneri e scorie derivanti dalla lavorazione dei metalli; l'interramento o l'abbandono di rifiuti industriali sul suolo o nelle acque di superficie (e non solo; ad esempio, in Puglia, dove il terreno è di natura carsica, abbiamo trovato rifiuti anche nelle acque sotterranee, poiché hanno riversato tutto quello che potevano negli inghiottitoi); lo smaltimento di rifiuti speciali in inceneritori per rifiuti urbani; rifiuti bruciati sui terreni; rifiuti non bonificati derivanti dalla rottamazione di autoveicoli presso impianti siderurgici e fonderie; materie plastiche e materiali ferrosi contaminati da sostanze inquinanti utilizzati come materie prime secondarie.
L'elevata concentrazione di metalli pesanti nei terreni è la conseguenza di tali attività criminali e la gravità del rischio che ne deriva è davvero rilevante; basti pensare che tali sostanze sono bioaccumulabili e bioassimilabili, dunque attraverso il suolo, le piante e gli animali arrivano al ciclo alimentare dell'uomo.
Naturalmente, tutto ciò non sarebbe possibile senza la compiacenza dei laboratori di analisi che, attraverso la falsificazione delle certificazioni analitiche, attestano la natura di un rifiuto diversa da quella effettiva.
Inizialmente, si è assistito a traffici con direzione nord-sud, aventi quale meta preferita soprattutto la Campania e, in particolare, l'area casertana.
Nello specifico, recenti attività investigative hanno consentito di documentare che la criminalità organizzata, in alcuni casi, pur non partecipando direttamente al traffico, è intervenuta con attività estorsive ai danni degli stessi trafficanti, imponendo un pizzo per ogni chilo di rifiuto smaltito.
Oggi la situazione non è cambiata, anzi direi che, purtroppo, non ci sono regioni escluse da questi traffici. Si può sicuramente affermare che, alle iniziali rotte nord-sud, si sono aggiunte le rotte nord-nord ed est-ovest, con la nascita di veri e propri cartelli di trafficanti che operano a livello regionale. A titolo di esempio, ricordo le indagini «Rewind» del NOE di Milano, che ha interessato la Lombardia, e «Signore degli inerti» del reparto operativo di Roma, per quanto riguarda il Lazio.
Tuttavia, i trafficanti operano non solo a livello regionale, ma anche interregionale. Anche a questo proposito abbiamo esempi di operazioni concluse che hanno coinvolto l'Emilia-Romagna, la Toscana, ancora una volta il Lazio, Puglia, Campania, Sardegna e Veneto.
Purtroppo, il problema è ampiamente diffuso e non è limitato al solo territorio nazionale, essendo emerse dalle indagini rotte internazionali dello smaltimento illecito. L'indagine «Sacher Compost» ha interessato alcune aree del territorio austriaco che ricevevano pseudoammendante per l'agricoltura.
Sempre con riferimento alle nuove rotte internazionali, vanno individuate, in particolare, due direttrici: la prima, quella asiatica - principalmente la Repubblica popolare cinese e Hong Kong - riguarda il movimento di rifiuti plastici che transitano attraverso i porti italiani con false documentazioni attestanti false operazioni di recupero, per essere spediti camuffati da materie prime; la seconda è la direttrice africana e mediorientale che riguarda, invece, il traffico di rottami ferrosi e pezzi di ricambio di autoveicoli non bonificati, provenienti da centri di autodemolizione e smaltiti illecitamente utilizzando un modus operandi più o meno simile a quello utilizzato per la plastica.
Quando parliamo di ciclo del cemento ci riferiamo, invece, al complesso fenomeno dell'abusivismo edilizio e delle attività illecite a esso connesse: commercializzazione di calcestruzzi, conglomerati bituminosi, movimento terra, attività estrattiva di inerti attraverso l'esercizio di cave abusive.
Ovviamente, i tentativi di infiltrazione possono essere attuati in tutte le fasi della realizzazione dell'opera pubblica, a partire


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da quella che precede la gara, per indirizzare e predeterminare l'aggiudicazione degli appalti, aggirando l'ostacolo dei requisiti previsti dal bando: l'impresa criminale si appoggia, finanziandone la partecipazione, a grandi aziende anche a carattere nazionale che, per capacità organizzative e tecniche realizzative, sono in grado di realizzare tutti i lavori, anche quelli più complessi. In sostanza, le imprese aggiudicatarie dell'appalto hanno soltanto un ruolo di facciata.
La seconda fase coincide con l'iter amministrativo che accompagna lo svolgimento della gara e si determina con diverse modalità di condizionamento: dall'istruttoria all'aggiudicazione dell'appalto, alla predisposizione di bandi di gara calibrati per pilotare la scelta dell'aggiudicante tra soggetti preindividuati, alla manipolazione delle domande inviate da parte di impiegati compiacenti per determinare l'esclusione di alcune aziende, fino all'apertura fraudolenta delle buste per consentire l'adeguamento del ribasso da parte dell'impresa preindividuata.
La terza e ultima fase è quella post-aggiudicazione. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema degli appalti sia vulnerato da irregolarità soprattutto nell'assegnazione dei subappalti. Questa fase prevede anche l'offerta di un servizio tipicamente criminale, quello della protezione del cantiere camuffata da guardiania per salvaguardare l'incolumità delle maestranze.
A questo punto, alcune considerazioni si impongono. La complessità e la vastità dei fenomeni criminali connessi al traffico dei rifiuti e al ciclo del cemento richiedono la definizione di strategie di contrasto articolate, che non si possono limitare soltanto all'applicazione, seppur efficacissima, dell'articolo 260 citato in premessa.
Del resto, appare evidente che la diffusione del fenomeno richiama responsabilità ulteriori, oltre a quelle dei singoli attori criminali. Difatti, esiste innanzitutto un oggettivo problema di carattere generale, relativo all'effettiva esistenza di impianti capaci di trattare, riciclare realmente e smaltire in maniera corretta i rifiuti prodotti.
Inoltre, non va sottovalutata - per le conseguenze che può determinare - la scarsa efficacia, tranne alcune lodevoli eccezioni, dei controlli di carattere amministrativo da parte di ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) e province sulle autorizzazioni concesse, spesso con procedure semplificate, agli impianti di stoccaggio, di trattamento e di recupero.
Infine, sono da risolvere le problematiche legate alla cosiddetta tracciabilità dei rifiuti, che renderebbe assai più difficoltose le attività illecite di miscelazione e successivo smaltimento. In effetti, al momento soltanto l'attenta disamina della documentazione che accompagna la gestione dei rifiuti nel suo complesso può favorire la rintracciabilità dei rifiuti stessi, ossia conoscerne la vita, dalla produzione allo smaltimento e recupero.
È fondamentale, quindi, verificare la reale corrispondenza del rifiuto con il codice europeo (CER) attribuito dal produttore, la sua categoria di appartenenza, la causale di smaltimento e recupero e, infine, le caratteristiche di pericolosità.
Il controllo sui rifiuti non si limita al luogo di detenzione degli stessi, ma interessa tutti i soggetti coinvolti nella gestione. Occorre considerare, infatti, che a ogni passaggio da un sito all'altro il rifiuto può subire modifiche che, sebbene apparentemente insignificanti, danno luogo a quel processo di declassamento di cui si è detto che ne snatura la reale identità.
Negli ultimi anni, il Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente ha utilizzato uno strumento informatico estremamente efficace per monitorare la tracciabilità e per effettuare un'analisi finalizzata all'individuazione degli obiettivi ritenuti di maggiore interesse operativo. Il sistema, denominato EcoMudWeb, consente un'analisi delle informazioni registrate nelle dichiarazioni MUD (Modello unico di dichiarazione che la ditta è obbligata a compilare ogni anno) degli anni precedenti, permettendo di individuare il percorso dei rifiuti e di definirne i relativi flussi e scenari.


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Questo strumento è integrato con il sistema Telemaco, relativamente ai dati del Registro delle imprese, che permette all'Arma la consultazione delle informazioni in esso contenute.
L'incrocio di questi dati ci consente di giungere ad altre considerazioni e, quindi, di agire con interventi mirati.
Oltre a contrastare le varie forme di criminalità con i metodi che ho esposto poc'anzi, il Comando per la tutela dell'ambiente ha effettuato anche delle attività preventive, che di seguito riassumo: controlli mirati su strada ai mezzi di trasporto dei rifiuti, effettuati attraverso l'Arma territoriale; controlli ai principali obiettivi di interesse operativo emersi quali punti nevralgici del traffico illecito; protocolli d'intesa stipulati con regioni e Agenzia delle dogane per i controlli sui trasferimenti transfrontalieri dei rifiuti; maggiore informazione circa le operazioni di polizia giudiziaria, anch'essa necessaria. Di tali operazioni, una volta concluse, si dà notizia via mail a circa seicento destinatari, tra cui figurano, oltre alle principali agenzie di stampa, anche le associazioni di categoria, quelle ambientaliste e altri operatori del settore ai quali l'informazione potrà servire - lo speriamo - come esempio negativo.
In questo quadro di carattere generale possono essere indicate alcune misure specifiche che potrebbero migliorare, nel breve e medio periodo, l'azione di contrasto.
La prima è l'estensione delle misure di prevenzione patrimoniale - come il sequestro o la confisca dei beni - ai soggetti che vivono abitualmente o anche in parte con i proventi derivanti dai traffici illeciti di rifiuti.
Inoltre, il secondo comma dell'articolo 260, relativo ai rifiuti ad alta radioattività, che comporta attualmente qualche difficoltà di applicazione poiché si fa riferimento a un astratto concetto di «ingente quantitativo», potrebbe essere eventualmente trasferito in un articolo 137-bis, relativo al traffico illecito, del decreto n. 230 del 1995, che regola la complessa materia delle radiazioni ionizzanti, prevedendo sanzioni adeguate - per esempio da due a sei anni - per chi organizza traffici illeciti di materie radioattive per conseguire un ingiusto profitto.
Si dovrebbe, inoltre, avviare un'attività di formazione specifica, magari da parte del Consiglio superiore della magistratura, per quanto riguarda la conoscenza e la corretta applicazione della normativa ambientale da parte degli uffici giudiziari. Invero, in questo ambito si incontrano alcune difficoltà perché la materia è molto complessa e non sempre gli operatori riescono a trattarla nel modo adeguato.
Un'altra misura concerne la definizione di modalità di coordinamento tra Procure ordinarie, impegnate in attività di indagine che, proprio per le caratteristiche specifiche dei traffici di rifiuti illeciti, sono spesso fortemente intrecciate tra loro.
Penso, altresì, all'adozione di sistemi più rapidi di verifica e di analisi delle tipologie e dei quantitativi di rifiuti speciali da parte dell'ARPA. Qualche volta gli esiti sono giunti anche dopo sei mesi!
Occorre, inoltre, adottare procedure e strumenti tecnologici che consentano di verificare le attività di trasporto in maniera più efficace. A questo proposito, vorrei sottolineare l'iniziativa della regione Lombardia in termini di monitoraggio dei trasporti transfrontalieri di rifiuti attraverso un sistema GPS collocato sui mezzi di trasporto, con la conseguente realizzazione di una banca dati specifica.
Un'altra misura da adottare è la definizione puntuale di procedure efficaci ed uniformi da parte delle varie amministrazioni provinciali, per la sospensione dall'albo delle società di raccolta, trasporto e smaltimento coinvolte in inchieste su attività illecite e la loro radiazione in caso di condanna definitiva.
Cito, altresì, la realizzazione, con il coordinamento dell'APAT e delle Agenzie regionali di protezione ambientale, di vere e proprie campagne di verifica delle autorizzazioni già concesse su scala provinciale a soggetti impegnati in attività di raccolta, stoccaggio, trattamento e riciclaggio, con approfondimenti mirati sui soggetti già al centro di attività di indagine.


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Infine, occorre la definizione, da parte delle associazioni industriali di categoria, di un protocollo informativo, relativo non solo alla corretta procedura di trattamento delle singole tipologie di rifiuti, ma anche ai percorsi virtuosi attraverso i quali gli stessi giungono a un corretto smaltimento; il tutto al fine di garantire un controllo preventivo di filiera che consenta di individuare da subito anomalie e distorsioni.
In definitiva, la definizione di un'efficace strategia di contrasto che veda impegnati tutti gli attori del sistema legale di gestione dei rifiuti - ciascuno per le proprie competenze e responsabilità - può rappresentare quel salto di qualità richiesto dagli stessi risultati delle indagini condotte finora grazie all'articolo 260.
Non si tratta soltanto di stroncare attività criminali che compromettono l'ambiente e la salute dei cittadini, ma di tutelare gli interessi dell'imprenditoria onesta, rispettosa della legalità, che investe in innovazioni tecnologiche e tutela ambientale. Si tratta, insomma, di tutelare un'imprenditoria di qualità, anche nella gestione del ciclo dei rifiuti, che ha nei criminali trafficanti i suoi principali nemici.
Il processo virtuoso che ha portato alla definizione e, nel corso degli ultimi tre anni, alla progressiva applicazione dell'articolo 260, consente un'ultima riflessione, che vuole essere anche un auspicio.
Attraverso norme penali efficaci si possono individuare e distinguere i fenomeni gravi di illegalità ambientale da quelli di malcostume o, come pure capita, di ignoranza delle stesse norme. Si può, inoltre, isolare e colpire chi minaccia seriamente l'ambiente e la salute dei cittadini e, per quanto possibile, prevenire il diffondersi delle attività criminali, da un lato con campagne informative e, dall'altro, con la deterrenza delle sanzioni.
L'auspicio è che questi criteri ispirino, per esempio, l'introduzione, nel nostro codice penale, di delitti contro l'ambiente. Una riforma in tal senso è stata più volte sollecitata in questi ultimi dieci anni di lotta all'ecomafia e ai fenomeni di criminalità ambientale ed è ormai ampiamente condivisa anche a livello europeo.
Per concludere, vorrei sottolineare che l'adozione di queste misure nel nostro sistema penale potrebbe essere veramente preziosa per noi e per questa particolare attività di polizia che ci vede coinvolti, alla quale dedichiamo costantemente la nostra disponibilità e il nostro vivere di ogni giorno.

PRESIDENTE. La ringrazio davvero per averci fornito un'illustrazione non solo di grande interesse, ma anche di grande completezza.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GERARDO D'AMBROSIO. Credo che tutti abbiamo letto Gomorra, apprendendo informazioni da far rizzare i capelli. D'altra parte, tutti vediamo ogni giorno in televisione cumuli di gomme che bruciano e che inquinano l'ambiente agricolo circostante. Sappiamo che circostanze di questo tipo hanno rovinato, per esempio, in Campania il commercio delle mozzarelle di bufala, che era una delle attività più redditizie della zona.
Per quanto riguarda la mia esperienza in magistratura - ero alla Procura della Repubblica fino a quando non è stato istituito il giudice unico - di questi reati mi sono occupato molto poco, purtroppo. Quando, con l'unificazione degli uffici, sono diventato Procuratore della Repubblica di Milano, ho visto il carico enorme di processi che giaceva presso quella che chiamavamo la «procurina» (era la Procura presso la Pretura). Tuttavia, per la maggior parte si trattava di reati contravvenzionali, destinati alla prescrizione.
In Senato ci stiamo occupando proprio di trasformare questi reati in delitti, in modo che non si prescrivano in brevissimo tempo, come le contravvenzioni, prevedendo anche il sequestro, da trasformarsi poi in confisca, di tutto ciò che deriva dalle attività illecite legate ai rifiuti.
Il problema dei rifiuti è uno solo: lo smaltimento illecito dei rifiuti conviene a


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tutti. Conviene ad esempio agli industriali, come lei ha evidenziato molto bene. Ci sono industriali che, evidentemente, pur di realizzare dei guadagni o dei risparmi notevoli sullo smaltimento dei rifiuti, si affidano a organizzazioni criminali. Credo che per buona parte il libro Gomorra sia tratto dalle indagini della Procura distrettuale di Napoli sul clan dei Casalesi, che ha stabilito il primo rapporto - quello che lei ha chiamato il traffico nord-sud - con le industrie del nord, ricavandone grossi profitti.
Credo che nelle zone di Santa Maria Capua Vetere siano stati sperimentati tutti i sistemi di smaltimento dei rifiuti speciali che lei ha così bene elencato. D'altra parte, nessuno vuole più coltivare la terra, molti contadini sono invecchiati e trovano addirittura conveniente, nella loro ignoranza, far smaltire questi rifiuti mascherandoli come fertilizzanti. Purtroppo, è capitato anche questo. Si pensava, infatti, anche per queste ragioni, di richiedere un appostamento della Procura di Santa Maria Capua Vetere.
Tuttavia, lei ha definito un quadro ancora più allarmante. Mi riferisco alle nuove rotte dello smaltimento dei rifiuti, che non segue più solo la direzione nord-sud, ma si estende anche a livello interregionale, nel nord, in Toscana, in Emilia-Romagna e via dicendo. Questo vuol dire che se manca una sensibilità, sia da parte degli industriali, sia da parte delle associazioni criminali, bisogna effettivamente intervenire in maniera molto seria, prevedendo reati che riguardano anche i soggetti che si occupano del semplice trasporto del rifiuto, che ritirano - stando almeno alle intercettazioni pubblicate - ad esempio le gomme da smaltire e le buttano in campagna, dove poi le stesse vengono bruciate, inquinando così tutti i pascoli e creando dei danni molto gravi nella zona circostante.
Il problema più grosso, in questi casi, è quello della prevenzione, che come sappiamo si realizza, per lo meno per quanto riguarda le contravvenzioni, in pochissimi casi. I reati si prescrivono spesso, dato che sia gli industriali che le associazioni criminali possono avvalersi di ottimi avvocati, i quali fanno in modo che il processo duri a lungo (la nostra procedura lo consente). Nell'ultima graduatoria ci siamo attestati al centocinquantesimo posto su 181, tenendo conto, fra gli indici, anche della durata del processo e delle sue varie fasi. Dobbiamo considerare, inoltre, che ogni tanto interviene qualche condono che «lava» tutto, compreso qualche condono edilizio, per richiamare il discorso dell'abusivismo edilizio cui Lei ha accennato per quanto riguarda il ciclo del cemento.
Credo che il problema debba essere affrontato con grande serietà. Vorrei sapere - questa è una mia curiosità - se nel vostro centro elettronico di documentazione vengono inseriti anche i dati ottenuti nel momento in cui le indagini passano alla magistratura. In particolare, bisogna considerare il lavoro delle procure distrettuali, specialmente laddove si individua in una di queste società che smaltiscono i rifiuti la presenza di associazioni criminali di stampo mafioso: di fatto, è la procura distrettuale che indaga attraverso i suoi uomini e i suoi reparti (diversi da quelli ambientali) maggiormente abituati ad avere a che fare con la criminalità organizzata. Un fatto, questo, non da poco.
Credo che, in primo luogo, si debba verificare, in una buona parte delle indagini di cui si sono occupate le procure distrettuali, lo svolgimento o meno di questo tipo di lavoro sull'ambiente da parte della Direzione nazionale antimafia. A questo proposito, forse, dovremmo ascoltare anche il procuratore distrettuale antimafia.
Personalmente ritengo difficile trasferire tante competenze, così come si sta tentando di fare. Proprio oggi si è deciso al Senato, nonostante l'opposizione mia e di Casson, il trasferimento della falsificazione del marchio dei prodotti alla competenza delle procure distrettuali. Si rischia, infatti, di caricare le procure di tutti questi reati, creando uno scompenso, poiché l'intenso aumento del carico di lavoro richiederebbe un'immediata risposta da parte del Ministro della giustizia, con un aumento degli organici delle procure distrettuali


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stesse, il trasferimento di magistrati e così via. Credo, inoltre, che la procura distrettuale, proprio perché è centrata nei capoluoghi del distretto, in questo modo perda il controllo del territorio. Mi ha fatto piacere sentire che vi avvalete del supporto degli elicotteri per controllare il territorio, proprio perché credo che la tracciabilità sia una delle idee vincenti.
Ritengo importante - e mi ha fatto molto piacere sentirlo - che ci siano delle ditte che smaltiscono in maniera legale i rifiuti. La prima cosa da fare è capire quali sono le imprese che usufruiscono di queste ditte che, naturalmente, praticano prezzi più alti delle altre. Vorrei sottolineare che queste ditte sono, di fatto, costrette ad applicare tariffe meno vantaggiose, perché lo smaltimento dei rifiuti nella maniera voluta dalla legge costa molto di più.
Attraverso questo monitoraggio, quindi, si possono escludere dal coinvolgimento criminale le imprese che rispettano la legalità. Pertanto, bisognerebbe vedere quali rapporti hanno le altre imprese.
Leggevo nel libro Gomorra che il contatto tra la camorra - il clan dei Casalesi - e le industrie del nord per lo smaltimento dei rifiuti aveva portato a un vero e proprio scambio. Sappiamo benissimo che la criminalità organizzata dispone di una quantità immensa di denaro contante che può essere investito e sappiamo anche che, in tempo di crisi, le imprese a volte hanno difficoltà a trovare credito. La grande idea del clan dei Casalesi è stata proprio di non chiedere di entrare nell'amministrazione dell'impresa, ma di acquisirne una parte finanziandola (in altre parole, la criminalità affida il proprio denaro all'impresa chiedendo in cambio una parte dei ricavi).
Questo è un sistema che esige un contatto molto diretto - lei ha citato i ROS - con la procura nazionale, che mi sembra indispensabile. Soprattutto, mi sembra indispensabile che si cominci, anche da parte nostra, ad assumere informazioni su come realizzare questa tracciabilità.
È necessario - su questo ci sarà un impegno di noi parlamentari - punire con maggiore rigore i vari tipi di falsificazione, che riguardano ad esempio i FIR. Personalmente nutro dubbi sulla facilità con cui, chi è incaricato delle analisi, riesce ad alterarle. È indubbio, infatti, che se un soggetto è minacciato in prima persona o vede minacciato uno dei suoi cari, non ha molta scelta. Di conseguenza, anche l'individuazione di coloro che si occupano di queste certificazioni e il controllo dei loro contatti costituisce un lavoro di prevenzione.
Credo che il lavoro di prevenzione inizi proprio con l'individuazione del posto nel quale vengono scaricati i rifiuti, per poi proseguire con la ricerca del soggetto che abbia i contatti relativi e, infine, arrivare a chi permette di scaricare i rifiuti. In questo caso, ritengo il lavoro di prevenzione estremamente importante, perché permette di ridurre enormemente i costi.
Per risanare le zone che sono state inquinate - lo abbiamo sentito in occasione dell'emergenza rifiuti in Campania - pare occorrano vent'anni ed una spesa elevata. Ugualmente il conferimento di rifiuti speciali in discariche normali comporta spese ancora più alte di quelle previste per lo smaltimento dei rifiuti, a causa di un possibile inquinamento delle falde. Al riguardo, sono molto spaventato dal fatto che, in occasione dell'emergenza campana, nella prima versione del decreto c'è stata la tentazione di prevedere un esonero dal rispetto della normativa europea sulla conformazione delle discariche.
Non proseguirei oltre questo mio primo intervento, complimentandomi per quello che siete riusciti a realizzare, nonostante una legislazione che, lo riconosco, è assolutamente insufficiente per risolvere un problema così grave.

ALESSANDRO BRATTI. Ringrazio il nostro ospite per la disponibilità e per la relazione esaustiva.
Vorrei porre alcune domande e svolgere un paio di considerazioni veloci, tenendo fermo il principio che lo scopo delle audizioni è di ottenere delle risposte piuttosto che esprimere delle considerazioni di


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carattere generale. Tuttavia, essendo stato direttore dell'ARPA dell'Emilia-Romagna e avendo collaborato con voi in diversi casi, in maniera assolutamente soddisfacente, mi sarebbe piaciuto svolgere un ragionamento un po' più ampio.
Rispetto al rischio di incidente rilevante, come giudicate l'attuale normativa? Esprimetevi liberamente. Anche alla luce di quel che è successo recentemente in Abruzzo, dove abbiamo avuto la fortuna - nella sfortuna - che non ci fossero impianti di particolare rilievo assoggettati a questa normativa. Credo che la legislazione al riguardo non sia ancora completamente soddisfacente e non consenta di lavorare su queste questioni in maniera adeguata.
In secondo luogo, rispetto al tema dei rifiuti radioattivi, qual è la situazione? Cosa vi risulta rispetto alla circolazione di rottami ferrosi che creano molti problemi? A questo riguardo, ultimamente si è intensificato moltissimo il trasporto con l'est Europa e il nostro Paese è attraversato da mezzi carichi di materiali, vorrei sapere se avete il polso della situazione.
Mi interessa altresì sapere - credo che questo tocchi uno dei punti di debolezza di tutto il sistema Paese - se avete rapporti con le altre forze di polizia. Come collaborate con gli altri corpi di polizia, ad esempio con il Corpo forestale dello Stato, con la Guardia di finanza? Credo sia assolutamente necessario lavorare in maniera coordinata.
Un'altra questione che mi interessa riguarda il rapporto con il sistema delle Agenzie ambientali, a livello sia regionale che nazionale. Come sapete, l'Agenzia nazionale è stata commissariata e la conseguenza è che siamo in una situazione di grande caos, perché essa non svolge più quel lavoro assolutamente fondamentale di coordinamento delle Agenzie regionali, che appunto dipendono dalle regioni.
Le Agenzie regionali, per mia esperienza, credo possano essere per voi di grande supporto dal punto di vista tecnico, soprattutto - voi ne facevate menzione - per quanto concerne le attività di carattere laboratoristico. Giustamente sottolineavate il ritardo con cui spesso vi arrivano i referti, ma questo accade perché la situazione sta degradando sempre più, in assenza di risorse e in presenza, invece, di un lavoro molto intenso. Le Agenzie agiscono da supporto anche per gli organismi amministrativi, oltre che per i Carabinieri o il magistrato, quando richiesto; esse, perciò, cominciano a manifestare dei cedimenti.
Certo, la situazione non è uguale in tutta Italia, ma è evidente che più diventano sofisticate le indagini, più questi laboratori hanno l'esigenza di ammodernarsi dotandosi di nuove tecnologie. Il rischio, altrimenti, è di essere costantemente in ritardo e in difficoltà, con la conseguenza che per contrastare determinati fenomeni si deve ricorrere a referti di laboratori privati che, come da voi giustamente rimarcato, producono dati assolutamente discutibili.
Un altro tema molto importante sul quale vorrei conoscere la vostra opinione è quello dei porti. Le modalità di controllo, sia in entrata che in uscita dai porti - personalmente credo che il problema, in Italia, si presenti prevalentemente in entrata - sono assolutamente insufficienti. Se i controlli in un porto sono un po' più rigidi, può succedere che le navi si spostino e vadano a scaricare da un'altra parte; cosa non difficile poiché nel nostro Paese i porti non sono lontani gli uni dagli altri. Ovviamente bisogna tener conto anche dell'atteggiamento dei portuali che, per non perdere il cliente, possono premere affinché le analisi vengano fatte in un certo modo. Visto che il nostro Paese è circondato dall'acqua, l'argomento dei porti è fondamentale.
L'altra questione che mi interessa riguarda il vostro sistema informatico, che ho avuto occasione di vedere. Chiedo se, in aggiunta a quanto proposto dal senatore D'Ambrosio, forse non sarebbe necessario interloquire con il SINA (Sistema informativo nazionale ambientale), accedendo anche al bagaglio di dati in possesso delle amministrazioni provinciali, che rilasciano gran parte delle autorizzazioni. Il controllo amministrativo è eseguito dalle province.


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Purtroppo, il nostro è un sistema abbastanza complicato: le ARPA sono un organismo tecnico a supporto delle province e queste, come demandato loro dalle regioni, rilasciano le autorizzazioni. A mio avviso, quindi, il sistema istituzionale favorisce, a volte, le infiltrazioni di carattere criminoso.
Come hanno sottolineato sia il Procuratore nazionale antimafia, quando ha presentato il Rapporto Ecomafia, che il generale Centore con la sua richiesta, esistono due disegni di legge depositati dalle Commissioni precedenti e su cui hanno lavorato i nostri predecessori. In più, un progetto di legge è stato depositato al Senato. Sarebbe il caso che anche noi, come Commissione, ci impegnassimo ad accelerare questo procedimento.

GERARDO D'AMBROSIO. Se avete suggerimenti sulla norma che potrebbe esservi estremamente utile per il tipo di lavoro che state svolgendo, noi li accettiamo volentieri.

ALESSANDRO BRATTI. Qualche indicazione su questi temi è emersa. Ci sarebbero tante altre questioni molto interessanti da analizzare, come ad esempio la tracciabilità dei rifiuti. A questo proposito, so che avete sottoscritto degli accordi con diverse regioni d'Italia per collaborare con gli organismi tecnici regionali. Ritengo che si debba insistere sull'attivazione delle sinergie. Dobbiamo infine considerare in maniera attenta le segnalazioni sulle nuove rotte, ora non solo nord-sud, del traffico illecito di rifiuti.

PAOLO RUSSO. Signor presidente, intervengo per ringraziare della relazione esauriente, come del resto è nello stile e nella tradizione del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente.
Vorrei sollevare due o tre questioni specifiche che mi piacerebbe fossero approfondite.
Per quanto riguarda i laboratori, comprendiamo che si tratta di una questione centrale, poiché sono strumenti necessari alla procedura del traffico illecito dei rifiuti. Da una parte, si auspica il miglioramento della normativa per la cui modifica lavoriamo in modo bipartisan dal 1996 e speriamo di riuscirci in questa legislatura. D'altra parte, vorremmo comprendere se esiste una vostra iniziativa specifica di analisi preventiva del sistema laboratoristico italiano.
Ammetto di ignorare i numeri - non so se ragioniamo di centinaia, migliaia o addirittura decine di migliaia di laboratori - ma vorrei capire la dimensione del fenomeno, per valutare se sia necessaria una certificazione dei laboratori, se sia il caso di individuare uno strumento che possa migliorare i meccanismi di verifica e di controllo di questo settore.
Il Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente rappresenta un punto di eccellenza nel nostro Paese. Vorrei capire cosa accade negli altri Paesi europei sul fronte della lotta alla criminalità ambientale. Mi domando, infatti, se il leitmotiv secondo il quale l'Italia è sempre il fanalino di coda del mondo, non sia dovuto, in questo caso specifico, più che alla reale situazione, a una maggiore emersione delle attività criminose in conseguenza di un contrasto maggiore delle stesse.
Lungi da me la volontà di sminuire il valore importantissimo, soprattutto dal punto di vista mediatico e sociologico, di determinati interventi - da Gomorra a tanti altri - ma vorrei capire se è vero che la criminalità organizzata (camorra, mafia, 'ndrangheta) si occupa sempre meno di questo settore e che il suo posto è occupato da un'imprenditoria senza scrupoli, che nulla ha a che vedere con la criminalità organizzata, che al fine di massimizzare i profitti si affida a consorterie, a meccanismi e a sistemi che non sempre hanno una connotazione da articolo 416-bis.
È stato riferito che una delle questioni centrali riguarda le attività di smaltimento dei rifiuti da parte delle aziende del settore. Ebbene, vorrei riflettere, insieme a voi, sugli strumenti migliorativi del sistema, partendo da un dato: i comuni sono costretti a bandire gare d'appalto, e non potrebbero fare diversamente, che in grandissima


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parte sono vinte da aziende di cui successivamente si scopre essere contigue ad ambienti criminali. Il certificato antimafia è una sorta di optional e non costituisce un elemento dirimente. Ricordo che alcuni consigli comunali della Campania sono stati sciolti per aver affidato lavori ad aziende che, pur avendo un certificato antimafia immacolato, erano conniventi con ambienti criminali. Anche da questo punto di vista, dunque, occorre riflettere. Dobbiamo prevedere una norma che consenta solo al pubblico di lavorare in alcune regioni? Dobbiamo emanare una norma che eviti le gare? Dobbiamo mettere in campo una norma che unifichi le stazioni appaltanti?
Voi avete un punto di osservazione privilegiato, sarei ben lieto, e immagino lo sarebbero anche i colleghi, di ricevere qualche sollecitazione e qualche indicazione al riguardo.
Più o meno 7-10 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti dal nostro sistema industriale non si ritrovano nelle forme ordinarie di smaltimento. In parte - una parte consistente e rilevante, peraltro non in diminuzione - ciò è dovuto a codici errati, errori materiali ed altro. Questo significa che se volessimo caricare tutto questo materiale lo stesso giorno, alla stessa ora, su un certo numero di vettori, ne avremmo in circolazione circa un milione, il che significherebbe ingolfare l'intero Paese dal punto di vista del traffico.
Non penso che il Comando per la tutela ambientale possa attivare iniziative in questo senso, ma non pensate che potrebbe essere utile un'azione interforze, che parta dalle territoriali? Mi piace citare l'«Operazione primavera», il modello che fu messo in campo in Puglia per sconfiggere il contrabbando di sigarette. Ricordo che, in sei mesi, fu messo a soqquadro un pezzo del nostro stivale: Guardia di finanza, Carabinieri e Polizia di Stato costituirono un fronte comune, anche dal punto di vista della deterrenza psicologica. Si percepiva, infatti, un'azione «muscolare» forte. Non pensate che questa possa essere la strada giusta per evitare questi flussi che, non potendo viaggiare su ferro, hanno la necessità di incrociare gli assi viari principali del nostro Paese in direzione nord-sud?
Per concludere nel passato il flusso di rifiuti a livello nazionale seguiva la linea nord-sud, mentre ora si muove lungo altre direttive. Per quanto concerne i traffici transfrontalieri, un tempo essi erano attratti verso l'Africa subsahariana, successivamente si sono spostati verso l'est europeo e verso il sud-est asiatico. È ancora questa la zona di attrazione? Vorrei far notare, inoltre, che se l'attrazione è data dal differenziale tra il costo di smaltimento lecito e il costo di smaltimento illecito, è evidente che più alto è questo differenziale più impari sarà la lotta e più facile l'azione criminale.
Forse, per tentare di abbattere i costi dello smaltimento ordinario, sarebbe necessario investire in innovazione tecnologica. Una scelta di mercato, questa, che sembra costare molto - anche se, probabilmente, costerebbe meno del previsto - ma renderebbe meno appetibile lo smaltimento illecito.

PRESIDENTE. Peraltro, da quello che sappiamo, vi è una singolare circolarità: noi esportiamo all'estero i rifiuti, pagando, e questi rifiuti - come oramai è costume delle capacità industriali europee - sono riciclati in prodotti nuovi che noi compriamo dall'estero.
Vorrei concludere con qualche brevissima domanda. In primo luogo, visto che noi rappresentiamo in questa sede il Parlamento, vorrei sapere se lei ritiene soddisfacente l'organizzazione operativa e se crede che le risorse a sua disposizione siano sufficienti e adeguate agli incarichi che dovete assolvere.
La seconda domanda riguarda gli strumenti investigativi per voi più utili, dalle intercettazioni ai sequestri. Vorrei sapere se l'insieme degli strumenti investigativi sono idonei e in particolare quali ritenete essenziali.
Per quanto riguarda la questione dei laboratori ritiene che se i laboratori che


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devono registrare le certificazioni fossero solo quelli pubblici si potrebbe evitare l'uso criminale degli stessi?
Giacché ha assunto il comando da poco tempo, le chiederei qual è il programma di intervento sulla criminalità ambientale e quali progetti e proposte pensa di poter attuare.
Vorrei un approfondimento sui rifiuti industriali, una parte di questi rifiuti scompare e si dice che attualmente potrebbero rappresentare una montagna alta quasi come l'Everest.
Un aspetto che mi ha colpito è che vengano scoperte ogni giorno discariche abusive di dimensioni incredibili; esiste una mappatura delle discariche abusive? In Puglia è stata scoperta una discarica abusiva con 4 chilometri di lato. Come può accadere che nessuna autorità, dal vigile urbano ai carabinieri alla polizia, individui per tempo l'esistenza di discariche di dimensioni così elevate?
Le domando, infine, quali sono le organizzazioni criminali che oggi maggiormente gestiscono lo smaltimento illecito dei rifiuti. Secondo l'ultimo Rapporto Ecomafia sarebbero addirittura ventinove clan, peraltro con un guadagno nel 2008 di 7,5 miliardi di euro.
Infine, avete tecnicamente una proposta da fare relativamente al discorso fondamentale della tracciabilità dei rifiuti? Si è fatto riferimento alla tracciabilità per quanto riguarda il trasferimento all'estero, ma mi chiedo se questo non sarebbe possibile anche all'interno del nostro territorio. Si potrebbero considerare il punto di partenza, il punto d'arrivo e persino - come leggevo in una relazione - stabilire il peso dei rifiuti, lungo il percorso, in modo che non ci siano delle variazioni.
L'abbiamo sommersa di domande, ma come vede questo è un tema che ci appassiona molto.

EDOARDO CENTORE, Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente. Ad alcune domande posso rispondere subito. Per domande più articolate e specifiche lascerei il compito di rispondere ai miei collaboratori.
Circa gli strumenti a disposizione, per quanto riguarda la struttura del reparto che comando, siamo nelle condizioni di far fronte egregiamente, in termini sia di risorse umane che di mezzi e altro, ai compiti che ci sono stati affidati. I nostri ventinove nuclei situati sul territorio nazionale non sono altro che cellule che realizzano un'analisi e un intervento specialistico, ma un fattore moltiplicatore formidabile è costituito dalla nostra organizzazione territoriale: una volta che ci siamo attivati, l'azione si sviluppa attraverso l'intervento degli altri reparti dell'Arma territoriale e dell'organizzazione speciale. Ad esempio, l'attività del ROS, per quanto riguarda il contrasto alla criminalità organizzata che si dedica a questo tipo di illecito, è costante.
Relativamente alle risorse, le abbiamo indubbiamente razionalizzate. Adoperiamo criteri diversi da quelli utilizzati in precedenza, ma assolviamo ugualmente i compiti che ci sono stati affidati.
Siamo partiti nel 1986 con un organico molto più ridotto, ma siamo cresciuti e attualmente abbiamo una distribuzione sul territorio egregia. La capillarità ci consente di moltiplicare le nostre energie...

GERARDO D'AMBROSIO. Non è più quella di una volta. Ricordo che, all'inizio della mia carriera, svolgevo le indagini e passavo dalle stazioni dei carabinieri; avevano gli archivi cartacei e, comunque, sapevano tutto di tutti. Adesso non è più così, purtroppo.

EDOARDO CENTORE, Comandante dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente. Certamente l'informatica...

GERARDO D'AMBROSIO. Non è solo l'informatica. Forse non ritroviamo quella presenza che esisteva una volta sul territorio. I Carabinieri giravano a piedi o a cavallo e ogni comandante di stazione conosceva il territorio di competenza con grande precisione.

ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo tutela ambiente di Roma. Per


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quanto riguarda gli aspetti sui quali il presidente chiede informazioni, a partire dagli strumenti investigativi, sicuramente in questi anni abbiamo dimostrato di applicare tecniche investigative, anche le più invasive, proprio grazie all'utilizzo dell'articolo 53-bis del decreto Ronchi in un primo momento e dell'articolo 260 del Testo unico sull'ambiente successivamente. Lo strumento mancante era proprio questo, perché all'inizio eravamo costretti a individuare situazioni investigative associative, non sempre facili da dimostrare.
A partire dall'entrata in vigore dell'articolo 53-bis, abbiamo avuto una maggiore facilità nell'approccio investigativo; le attività d'indagine, dunque, sono state quasi tutte condotte con l'utilizzazione di strumenti invasivi, naturalmente anche mediante tecniche utilizzate in altri sistemi di contrasto.
Per quanto riguarda i laboratori, le recenti attività investigative dimostrano una certa evoluzione - o forse involuzione - dal punto di vista della loro legalità. In passato constatavamo di solito la presenza di un laboratorio di analisi che si prestava a rilasciare certificazioni analitiche di favore. Recentemente, nel corso delle ultime indagini, abbiamo rilevato che sono anche due o tre i laboratori di analisi - parlo di laboratori privati - che si possono prestare a rilasciare certificazioni false.
In questi casi è utilissima la collaborazione con le ARPA. Le ARPA nate prima hanno un know how maggiore e sicuramente sono le più evolute. Esistono dei gemellaggi tra le ARPA. A nostro avviso assisteremo ad un miglioramento della situazione.
Per quanto riguarda i rifiuti industriali, in Italia esistono poche discariche per rifiuti pericolosi. Recentemente abbiamo riscontrato un afflusso massiccio di questi rifiuti verso la Germania, l'Austria o altre nazioni europee. Si tratta di flussi legali. Le centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi che finiscono nelle miniere di salgemma da un certo punto di vista ci tranquillizzano perché forse costituiscono altrettante tonnellate escluse dai traffici illeciti.
Aprire nuove discariche per rifiuti pericolosi, diminuire e abbattere i costi di smaltimento possono essere misure favorevoli.
Potremmo dire che in questi anni abbiamo realizzato una sorta di calmierizzazione del mercato per quanto riguarda i traffici illeciti di rifiuti, escludendo dal mercato alcune aziende che operavano una sorta di concorrenza illecita. Le aziende che agivano nella legalità erano sicuramente escluse dal mercato. Nel momento in cui abbiamo iniziato a togliere dal mercato una serie di soggetti che operavano nell'illegalità, si è avuto un maggiore afflusso dei rifiuti verso i sistemi legali.
Per quanto riguarda le discariche abusive, il nostro sistema - che non è ancora il SITA - prevede anche il coinvolgimento anche di amministrazioni locali. Naturalmente solo le forze di polizia potranno inserire e visionare i dati sensibili. È chiaro che sarà possibile accedere a questi dati a livelli diversi, però le amministrazioni locali potranno sfruttare le cartografie inserite in questo sistema informativo. È un aspetto che dovrebbe migliorare il contrasto alle discariche abusive e, quantomeno, l'informazione.
Per quanto riguarda la tracciabilità, un sistema informatico che permetta di inserire in tempo reale tutti i dati relativi alle movimentazioni dei rifiuti consentirebbe di effettuare controlli mirati e alle aziende probabilmente di avere un minor aggravio dal punto di vista della tenuta della documentazione ambientale, che attualmente deve assolutamente rispettare certi criteri. Tale sistema avrebbe un effetto preventivo e costituirebbe un deterrente importante nei confronti di quelle aziende che operano nell'illegalità.
Per rispondere alla domanda relativa al coinvolgimento delle banche dati della Direzione nazionale antimafia, ricordo che qualche anno fa abbiamo condotto un esperimento, incrociando i dati provenienti dal nostro sistema di analisi con i dati della DNA. Devo dire che si è trattato di un esperimento interessante, anche se non poteva dare notizie molto diverse da


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quelle che già conoscevamo, in quanto si trattava di soggetti nei confronti dei quali avevamo già compiuto delle attività investigative.
L'incrocio delle banche dati o l'utilizzo di informazioni di natura diversa sono sempre, a mio parere, aspetti importanti.
Per quanto riguarda le bonifiche, penso che queste rappresentino uno dei business più significativi dei prossimi anni. Da alcune attività investigative è emerso che i criminali ambientali per bonificare un sito smaltivano illecitamente i rifiuti in un altro luogo e poi intendevano proporsi per bonificare il sito nel quale avevano effettuato lo smaltimento illecito. Il problema va affrontato; attualmente si sta provvedendo al monitoraggio dei siti di interesse nazionale da parte del ministero e del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, mediante attività mirate di controllo.
Quanto al rischio di incidente rilevante, la nostra sezione che si occupa della materia è l'unica forza di polizia che agisce in questo settore. In realtà, non essendo noi un organo tecnico, non effettuiamo un controllo in questo senso, ma svolgiamo un'attività di individuazione delle aziende e, in base ai quantitativi di sostanze pericolose e chimiche detenute, verifichiamo se le stesse avrebbero dovuto essere o meno in notifica.
Ciò ha portato, nel corso degli anni, a una maggiore predisposizione, da parte delle aziende che utilizzano sostanze chimiche, a sottoporsi al sistema delle notifiche; un sistema che assicura i controlli attivando un circuito regolato. Questo è uno dei compiti che la nostra sezione inquinamento da sostanze radioattive ha svolto e svolge tuttora.
In particolare, sebbene per fortuna non siano ancora emersi grossi traffici, vengono alla luce situazioni relative a sostanze contaminate. Ad esempio, nel caso dell'acciaio contaminato utilizzato per montare pescherecci d'altura, è stata possibile l'individuazione del materiale anche grazie alla collaborazione con l'ARPA. I poveri pescatori avrebbero dovuto convivere con la radioattività, senza mai saperlo.
È chiaro che il sistema dei controlli è importantissimo. Esso riguarda anche chi utilizza materiale radioattivo in ambito industriale. Penso alle gammagrafie o a sorgenti radioattive impiegate in vari settori, compresi gli ospedali. La nostra sezione dedica un'attività specifica anche a questo aspetto.
Abbiamo rapporti frequenti con gli organismi internazionali e partecipiamo alle riunioni a livello di Europol e Interpol.
Per quanto riguarda la domanda relativa al nostro contatto con le altre forze di polizia, devo dire che, quando andiamo all'estero e prendiamo parte alle riunioni, non abbiamo mai incontrato organi più efficienti, sebbene non intendiamo dire di essere i migliori. Abbiamo assunto iniziative con altri Paesi, ad esempio con la Romania, svolgendo corsi di specializzazione anche per ufficiali rumeni.
La creazione di strutture specialistiche come la nostra in altre nazioni significherebbe avere dei referenti internazionali e aiuterebbe a svolgere l'attività di lotta alla criminalità ambientale. Gli altri, però, non sembrano così capaci. Delle due l'una, quindi: o all'estero non esistono problemi di questo genere oppure non sono stati ancora scoperti. Personalmente propendo per la seconda ipotesi.

PRESIDENTE. Avete avuto occasione di individuare organizzazioni criminali che gestiscono attività di questo tipo all'estero?

ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo tutela ambiente di Roma. Ho sentito parlare di traffici di elettrodomestici dalle regioni del nord Europa verso l'Africa. Dal nostro punto di vista, questo rappresenta il livello dilettantistico nell'ambito del traffico dei rifiuti.
I trafficanti italiani si sono fatti molto scaltri. Nei primi anni di attività investigativa si lavorava in modo diverso e non facilmente. All'inizio abbiamo dovuto combattere, in quanto il nostro era un


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reparto prettamente ispettivo che si è poi trasformato fino a diventare quasi esclusivamente investigativo. Anche i trafficanti, però, si sono sbizzarriti, adeguandosi alle ordinanze di custodia cautelare emesse di volta in volta. Inoltre sono tra loro in contatto e si scambiano le informazioni, quindi diventa sempre più difficile contrastarli.
È molto importante, come in tutte le altre forme di criminalità, che non prendiamo troppa distanza dall'evoluzione criminale.
Per quanto riguarda il rapporto con le altre forze di polizia, noi lavoriamo con tutti e questo ci gratifica molto. Abbiamo operato spesso con il Corpo forestale e recentemente molto bene con la Guardia di finanza. La Procura coordina efficacemente le attività e le peculiarità dei diversi soggetti. Negli ultimi tempi, inoltre, abbiamo ottenuto un risultato brillante nella cooperazione con le dogane. Grazie a un protocollo d'intesa nel giro di due anni abbiamo sequestrato circa 300-400 container di rifiuti spacciati per materie prime. Tutte le forme di collaborazione sono dunque realizzate, oltre ai protocolli di intesa con le ARPA già richiamati dal generale.
Per quanto riguarda i porti, sicuramente sono più controllati rispetto al passato. Le operazioni degli ultimi anni ne sono una dimostrazione. Certo, riuscire a fare sempre di più nei diversi settori sarebbe l'ideale.
Non so se il comandante del Reparto operativo affronterà il discorso relativo al coinvolgimento di camorra e mafia. In effetti, in passato la camorra era quasi la monopolista del traffico dei rifiuti speciali, che attualmente ci risulta affluiscano in misura minore in regioni «tipiche» come la Campania. I flussi, ormai, si sono regionalizzati. Tuttavia, per quanto riguarda le organizzazioni criminali, bisognerebbe stare attenti - e noi lo siamo - soprattutto alla gestione dei rifiuti solidi urbani, settore nel quale la criminalità organizzata potrebbe investire il denaro sporco, agendo come ha fatto in parte finora nel ciclo del cemento (movimento terra, imprese di appalti, costruzioni, eccetera).
Del resto, alcune indagini condotte in Sicilia e Calabria dimostrano che alcuni gruppi criminali di 'ndrangheta o mafia si sono già occupati direttamente di rifiuti solidi urbani.
Ritengo che su questi aspetti dobbiamo focalizzare la nostra attenzione.

PASQUALE STARACE, Comandante del Reparto tutela ambiente di Roma. Il presidente sollecitava eventuali proposte che potessero essere utili nella lotta a questa forma di criminalità. Un elemento molto importante sarebbe prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche. Estendere, ad esempio, il principio della confisca degli automezzi anche alle azioni delle società condannate in via definitiva sarebbe un importante deterrente dal punto di vista economico. Molto spesso, per via di una serie di deleghe e subdeleghe, i vertici delle società alla fine sono incolumi da ogni responsabilità penale. Infatti, con questo sistema, ad assumersi ogni responsabilità sono i vari direttori tecnici o responsabili della produzione che, tuttavia, da un punto di vista personale non hanno alcun interesse a compiere queste specifiche attività illecite, in quanto è l'utile della società, derivante da un distorto concetto di utile di azienda, ad animare l'attività illecita. Pertanto, la responsabilità penale delle persone giuridiche, con il sequestro azionario a seguito di condanna definitiva, è un deterrente importantissimo.
Può sembrare un argomento vecchio, ma un altro aspetto da sottolineare riguarda il concetto di rifiuto e l'equivoco di fondo esistente per le materie prime secondarie. Sono passati tanti anni, ma in Italia ancora si gioca sulla definizione di rifiuto e di materia prima secondaria, mentre a livello europeo un concetto ben definito di rifiuto esiste.
In riferimento alla sospensione delle autorizzazioni per le imprese coinvolte in questi traffici, sono ormai nove anni che mi occupo di questa attività e ritrovo sempre le stesse aziende a operare nel


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settore. Nessun tipo di sospensione delle procedure autorizzative, a quanto vedo, è stato portato avanti dalle amministrazioni provinciali. Pertanto, le aziende condannate tre anni fa - ho lavorato cinque anni a Milano - attualmente operano nello stesso settore con una nuova autorizzazione. Come sottolineava il Generale Centore, il controllo nel rilascio di questi atti di autorizzazione è un aspetto molto importante. Spesso veniamo a conoscenza di autorizzazioni onnicomprensive, nel senso che sono rilasciate senza alcun criterio, consentendo alle aziende di effettuare le operazioni più svariate.
Il controllo di queste autorizzazioni sarebbe significativo anche per quanto riguarda la tracciabilità del rifiuto. Si può evitare che i rifiuti si perdano per strada, infatti, riducendo al minimo i passaggi intermedi che non fanno altro che rendere più difficoltosa la tracciabilità.
Bisogna sottolineare la necessità di una via diretta di smaltimento o, quantomeno, di un unico passaggio attraverso centri di effettivo trattamento, e non soltanto di passaggio nei quali si autorizzi una messa in riserva o un deposito preliminare in vista dello smaltimento e del recupero. Il rifiuto va portato direttamente a smaltimento o a recupero. L'esistenza di questi centri intermedi, che altro non sono che un deposito temporaneo, non ha nessuna rilevanza. In Italia, tuttavia, questi enti intermedi proliferano.

PRESIDENTE. Sono centri di stoccaggio che consentono di cambiare la destinazione del rifiuto.

PASQUALE STARACE, Comandante del Reparto tutela ambiente di Roma. Esatto. In realtà, lì il rifiuto non dovrebbe essere assolutamente toccato, perché si tratta di depositi temporanei che precedono la destinazione, a seconda dei casi, al recupero o allo smaltimento. In quei centri vengono autorizzate persino le miscelazioni tra le varie tipologie di rifiuti. L'aspetto delle autorizzazioni, pertanto, è importante e potrebbe risolvere efficacemente il problema della tracciabilità dei rifiuti.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, questo aspetto coinvolge evidentemente le province. Da cosa dipende il fenomeno per il quale vengono concesse nuovamente le autorizzazioni a soggetti che già in passato sono stati condannati? Forse dalla mancanza di conoscenza di dati precedenti, dalla scorrettezza, dalla superficialità? In poche parole, si tratta di malafede oppure di cattiva gestione?

PASQUALE STARACE, Comandante del Reparto tutela ambiente di Roma. Ognuno, nel suo piccolo, ha l'obbligo di assumersi le proprie responsabilità. Io rilevo molto spesso una mancanza di assunzione di responsabilità da parte delle amministrazioni provinciali e, in parte, delle ARPA. Nel caso delle ARPA, spesso mi ritrovo certificazioni analitiche in cui sono espressi valori di sostanze chimiche presenti in un rifiuto sic et simpliciter.
L'ente pubblico fornisce soltanto una descrizione analitica della composizione del rifiuto, senza esprimere giudizi sul codice CER da assegnare a quel rifiuto e senza dichiarare se lo stesso possa andare al recupero e allo smaltimento. Viene fornita, dunque, soltanto un'analisi merceologica e chimica del rifiuto. Accade spesso - in tanti anni, ho parlato con diversi dirigenti delle ARPA - che vi sia un timore nell'esporsi di fronte al soggetto privato, vincolandolo a un determinato tipo di smaltimento per una data tipologia di rifiuto.
Il ruolo dell'ARPA è chiaramente essenziale, dal momento che - come ricordava il signor colonnello - noi non siamo tecnici. L'azienda privata potrebbe presentarci qualsiasi certificato di analisi e noi, fino a prova contraria, lo considereremmo valido. Ecco, dunque, l'importanza delle ARPA: sarebbe certamente un aiuto fondamentale se queste, con un maggiore atto di coraggio potessero effettivamente esporsi nel fornire un ulteriore sostegno, che consenta di imporre al privato un certo modus operandi e non di lasciarlo alla sua discrezionalità.
Il discorso vale anche per le amministrazioni provinciali. Molto spesso, il timore


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di essere soggetti a eventuali richieste di risarcimento da parte del privato, in caso di sospensione dell'atto autorizzativo, induce a sorvolare e ad evitare di impelagarsi in ricorsi, controricorsi e simili. Non parlo assolutamente di dolo, ma di una frequente mancanza di assunzione di responsabilità da parte di chi, invece, è chiamato ad assumersele. La legge prevede, infatti, la sospensione dell'atto autorizzativo.
Per esempio, nella regione Lazio, una società i cui titolari sono stati arrestati più volte adesso continua a lavorare. Dunque, oserei dire che il gioco vale la candela.

ALESSANDRO BRATTI. Le responsabilità, però, sono differenti. Sono le amministrazioni provinciali che dovrebbero assumersi quel tipo di responsabilità, invece di nutrire il timore da Lei ricordato.
Stiamo parlando delle situazioni che funzionano in maniera legale; è evidente che, in caso di irregolarità, tutto il meccanismo è viziato. Per il modo in cui è strutturato oggi il sistema, spesso le amministrazioni provinciali si trovano di fronte ad aziende non eticamente corrette, ma nel momento in cui le carte rispondono a determinate caratteristiche il funzionario dell'amministrazione provinciale si mette al sicuro, per evitare che si avvii un contenzioso a seguito del quale potrebbe essere richiesto un risarcimento esorbitante.
D'altro canto, è tutto un giocare in equilibrio: conoscete anche voi la difficoltà rispetto all'applicazione di una determinata normativa. In riferimento ai fanghi di spandimento, ad esempio, la normativa è carente ed è difficile operare in questo ambito.

ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo tutela ambiente di Roma. Relativamente alla classificazione del rifiuto, oltre ad assegnargli un codice CER corretto - finora sembra complicato riuscire a ottenere anche questo - bisognerebbe «costringere» a classificarlo in base al suo ciclo produttivo. In altre parole, anche se ha lo stesso codice di un altro, il rifiuto di una determinata azienda, che proviene da un dato tipo di ciclo produttivo, deve andare in una destinazione precisa.
Naturalmente i trafficanti di rifiuti possono modificare le carte, ma se il produttore, che deve assegnare un codice al rifiuto, lo fa all'inizio del ciclo produttivo, svolgendo le relative analisi e dimostrandone la reale pericolosità e la destinazione obbligatoria, a mio parere molti traffici potrebbero scomparire.
In effetti, nelle prime indagini che abbiamo condotto - ricordo l'operazione «Cassiopea», del 1999, anno in cui non esisteva, per esempio, il reato del traffico dei rifiuti - la maggior parte delle tipologie di rifiuti era costituita dalle polveri di abbattimento fumi delle acciaierie. All'epoca non esisteva neppure il codice a specchio, quindi quel genere di rifiuto veniva solo classificato come non pericoloso. A seguito dell'attività investigativa, delle perizie, delle consulenze, delle analisi dei rifiuti, dimostrammo che in realtà si trattava di un rifiuto pericoloso, perché conteneva elevatissime concentrazioni di metalli pesanti: cromo, cromo esavalente, cadmio e altro.
Attualmente, almeno per quanto sappiamo, le polveri di abbattimento fumi delle acciaierie difficilmente le abbiamo incrociate nelle attività relative al traffico illecito. Quindi, a mio parere, l'aspetto importante è quello della classificazione immediata del rifiuto, in base non al codice attribuito, ma soprattutto al ciclo produttivo. Il problema fondamentale è quello delle analisi; infatti, noi combattiamo quotidianamente con le difficoltà delle ARPA, le quali non hanno fondi e ci hanno chiesto, in certi casi, i soldi per eseguire le analisi. Insomma, in alcune situazioni si è verificato qualche momento di minore serenità.
Esiste questo problema, che si ricollega a quello dell'origine del rifiuto, da definirsi in base non al codice attribuito, ma alle analisi eseguite per stabilire qual è la destinazione effettiva e legale di quella tipologia di rifiuto.


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PASQUALE STARACE, Comandante del Reparto tutela ambiente di Roma. Mi permetto di toccare due ultimi aspetti, signor presidente, riagganciandomi a ciò che diceva l'onorevole Russo. Bisogna prestare attenzione a non ridurre il traffico illecito di rifiuti a una prerogativa della criminalità organizzata. Senza dubbio, la criminalità organizzata ha interessi in merito, ma esiste una criminalità diffusa, della imprenditoria distorta.
Ormai l'affare rifiuti alletta tanti soggetti. Nell'ultima attività della quale ci siamo occupati a Milano era coinvolto Mario Chiesa, il quale si è dedicato al settore dei rifiuti proprio perché rende moltissimo.
Dunque, esiste una imprenditoria distorta che delinque in questo settore, proprio in virtù di un concetto deviato di utile d'impresa. La criminalità organizzata riguarda alcune regioni connotate da questa caratteristica - Campania, Calabria, Sicilia - ma in tutte le altre regioni esiste un fenomeno legato all'imprenditoria distorta.

GERARDO D'AMBROSIO. Ho letto recentemente un articolo sull'inquinamento derivante dall'olio fritto prodotto nelle famiglie, che viene gettato nel lavandino. Questo rappresenta un alto fattore di inquinamento. Sono, però, pochissimi i comuni che invitano le famiglie a conservare l'olio della frittura e a indicare i luoghi in cui può essere smaltito. Questa è un'altra direzione da seguire, perché, se la tutela dell'ambiente va realizzata, senza dubbio essa riguarda anche quei rifiuti che solo apparentemente non danneggiano l'ambiente.

PRESIDENTE. Se il fenomeno di smaltimento dei rifiuti non è più collegato - o lo è meno - alla criminalità organizzata, bisognerebbe pensare a un intervento sui reati satelliti. Questi, almeno per quanto è a mia conoscenza, contemplano delle pene che non consentono, per esempio, le intercettazioni telefoniche o l'arresto in flagranza. Infatti, finché si è in presenza dell'articolo 416 o dell'articolo 416-bis, comunque si può operare; finché si è in presenza dell'articolo 260, col rischio di operare meno, se passerà l'attuale formulazione delle intercettazioni telefoniche, comunque si può operare. In tutti gli altri casi non è previsto nessuno strumento invasivo. Sarebbe bene che su tale tema venisse un suggerimento anche da parte vostra, tenendo conto di questo dato sul campo che vi è noto, cioè che oggi non possiamo più lavorare basandoci soltanto sull'articolo 416, perché esistono altri sistemi di smaltimento.

GERARDO D'AMBROSIO. Ciò si riallaccia anche al discorso sulla prevenzione, che vuol dire innanzitutto scoprire il luogo, quindi controllare il territorio, poi operare il collegamento tra luogo e persona, infine cercare di sviluppare l'indagine di prevenzione.
In altre parole, è vero che esiste un fenomeno collaterale alla criminalità organizzata, che agisce su base locale, ma questo può essere combattuto sul piano della prevenzione con sistemi completamente diversi e soprattutto con il controllo del territorio e l'impostazione di un'indagine su tali questioni.
Ho letto recentemente in un libro un esempio sul tema della prevenzione: è stato scoperto per caso che i bancomat nei luoghi vicini all'autostrada venivano sfondati perché esisteva una linea di fuga molto più sicura. Perciò, nel caso dei rifiuti, stilare un inventario, classificare, memorizzare e individuare il luogo, rapportandolo con chi è stato sorpreso lì, anche una sola volta, a scaricare illecitamente rifiuti, può essere un aiuto utile alla prevenzione, per capire dove bisogna indagare.
Mi rendo conto che forse parlo ancora da pubblico ministero.

PRESIDENTE. L'animo del pubblico ministero riemerge, volendo indirizzare l'attività della polizia giudiziaria. È un suggerimento utile.

GERARDO D'AMBROSIO. Ho avuto sempre l'abitudine di discutere lo svolgimento ulteriore di indagini insieme alla


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polizia che collaborava con me e ciò ha dato in ogni caso ottimi risultati. Si tratta di esperienze diverse che si integrano e portano frutti. Questo è molto importante.
Alcune volte, nelle indagini, ho visto idee brillantissime venire, per esempio, dall'uomo di scorta, anch'egli poliziotto, al quale permettevo di assistere alla discussione. Ebbene, magari l'idea buona per il prosieguo dell'indagine veniva proprio a lui.

PASQUALE STARACE, Comandante del Reparto tutela ambiente di Roma. Proprio a un livello di prevenzione, nel corso delle nostre attività tecniche emerge un dato molto particolare. Adesso i trafficanti sanno che soltanto determinate forze di polizia si occupano della problematica e, per così dire, sono in grado di effettuare dei controlli mirati relativamente ad essa.
Sarebbe importantissimo, invece, il controllo sul territorio, in particolare il controllo degli automezzi su strada. Il Comando per la tutela dell'ambiente materialmente non può effettuare un controllo mirato sul territorio, su tutti gli automezzi che trasportano rifiuti o anche a campione su alcuni di essi (effettuiamo tale controllo con l'Arma territoriale).
Se entrasse nella mentalità di tutte le forze di polizia non solo il controllo del libretto di circolazione oppure del carico del veicolo, ma anche il controllo dell'automezzo che trasporta i rifiuti - mi riferisco alle minime nozioni che consentono un controllo dell'automezzo - questo sarebbe un importante deterrente.
Infatti, se questi soggetti sapessero che non solo il Corpo forestale o il NOE oppure un determinato settore della Guardia di finanza sono in grado di effettuare quei controlli, la deterrenza sarebbe maggiore.

ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo tutela ambiente di Roma. Vorrei dire che, da questo punto di vista, a livello di prevenzione spesso abbiamo incontri con i Comandi provinciali dove facciamo confluire tutti i comandanti di stazione, quindi spieghiamo materialmente - il comando generale ha predisposto una direttiva specifica al riguardo - come si deve effettuare il controllo del trasporto dei rifiuti. Ovviamente, il servizio è così molto più efficace perché ha luogo con la collaborazione tra il NOE e l'Arma territoriale; si tratta di un controllo tecnico ed è necessario anche un tecnicismo specifico per esaminare la documentazione.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo preziosissimo. Penso che avremo bisogno nuovamente di sentirvi tra qualche tempo, visto che il Generale Centore ha assunto adesso il comando, per vedere come si sono sviluppate le indagini.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,40.

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