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Seduta del 17/6/2009


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Audizione del dottor Pietro Grasso, Procuratore nazionale antimafia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Pietro Grasso, Procuratore nazionale antimafia.
L'audizione odierna rientra nell'ambito di una serie di audizioni volte ad approfondire questioni di carattere generale, riconducibili agli oggetti dell'inchiesta previsti dalla legge istitutiva.
Faccio presente al nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Cedo la parola al dottor Grasso, che ringrazio per la sua presenza.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Il fenomeno delle ecomafie rappresenta il modo con cui, pur nella continuità degli obiettivi tradizionali e del controllo del territorio, le strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso si sono adeguate alle nuove frontiere delle più moderne attività imprenditoriali.
Già da qualche tempo abbiamo potuto notare, da un punto di vista generale, una diminuzione di delitti di sangue, in particolare, omicidi. I delitti strutturali di queste organizzazioni, oggi, sono quelli invisibili e silenziosi della penetrazione nell'economia e nel mercato. Se volessimo delineare quest'attività della criminalità organizzata, potremmo definire queste organizzazioni, in generale, come «mafia degli affari». Questa è, infatti, la sua principale attività criminale che, purtroppo, essendo poco visibile, perché si confonde con l'attività legale, rende difficili la repressione e la prevenzione.
I cicli del cemento e dei rifiuti rappresentano oggi due ambiti di attività per i quali cresce l'allarme sociale. L'iniziale coinvolgimento di gruppi di criminalità organizzata di tipo mafioso che avevano a disposizione, nel territorio, cave, terreni, nonché manodopera a bassissimo costo,


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ha favorito il decollo di un vero e proprio mercato illegale, nel quale si rischia poco, dal punto di vista delle sanzioni penali, e si guadagna molto.
Osservando l'evoluzione di questo mercato si può anche notare come carattere generale, che accanto agli esponenti delle famiglie mafiose - uso il termine «mafiose» in senso lato, intendendo anche camorristiche o 'ndranghetistiche - il mondo dei rifiuti si è andato popolando di un'ampia varietà di soggetti che, nella gran parte dei casi, non ha precedenti criminali. Si tratta di uomini d'affari, funzionari della pubblica amministrazione, operatori nel settore dei rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio (che hanno una funzione importante), imprenditori e trasportatori.
Insomma, si è creato un mondo intorno a questo business che, essendo inserito in un mercato dall'aspetto spesso legale, ha iniziato a fare dell'illegalità, della simulazione, dell'evasione sistematica delle norme, approfittando anche di un sistema di corruttela, le regole ispiratrici della condotta generale.
L'impressione generale suggerisce che l'affare rifiuti e l'emergenza rifiuti non siano il frutto di un'attività criminale occasionale, ma siano legati a un preciso orientamento di alcuni settori del mondo produttivo, sia locale sia nazionale, desiderosi - come può essere logico, da un punto di vista cinico, per un'impresa - di ridurre i costi attraverso una costante violazione delle regole e di aumentare, di conseguenza, i profitti. Tutto questo, che potrebbe essere giustificato nell'ottica di un'impresa, diventa criminale dal punto di vista della violazione delle leggi e, soprattutto, riprovevole sotto l'aspetto etico, perché distrugge l'ambiente, il territorio e il nostro Paese.
I metodi utilizzati per la gestione del traffico illecito di rifiuti sono tra i più vari. In molti casi, i rifiuti vengono abbandonati in zone poco frequentate o nascoste; talvolta vengono scaricati in mare o in corsi d'acqua oppure utilizzati come fertilizzanti e mischiati ai rifiuti urbani e, di conseguenza, trattati come rifiuti normali. Naturalmente, questo comporta dei rischi enormi per l'ambiente, ma anche per le persone che vivono in prossimità di queste aree altamente inquinate e, quindi, fortemente nocive per la salute.
Partendo sempre da considerazioni generali, si è notato che parecchie imprese, nate per il movimento terra - perciò senza alcuna specializzazione sotto il profilo lavorativo e tecnologico - fiutato il grande affare, si sono iscritte nell'albo dei trasportatori di rifiuti. A questo proposito, nell'ambito di un'indagine, abbiamo raccolto un'intercettazione nella quale si affermava «Buttiamoci sui rifiuti: trasi munnizza e niesci oro». Credo che il dialetto sia comprensibilissimo: «Buttiamoci sui rifiuti: entra immondizia e ne esce oro». Questa espressione da l'esatta misura del precipuo interesse da parte della criminalità mafiosa per questo settore.
Inoltre, dobbiamo tener conto anche di altri aspetti più complessi. Pensiamo alle associazioni temporanee di imprese (ATI) che si aggiudicano gli appalti per lo smaltimento dei rifiuti: spesso questi soggetti presentano un'impresa capofila di rilevanza nazionale che realizza materialmente l'opera, cui si affiancano imprese locali, spesso vicine agli ambienti mafiosi, che si occupano dell'effettiva attività di smaltimento dei rifiuti. Anche dietro queste associazioni apparentemente legali e legittime, dunque, nella pratica dell'attuazione dei contratti di appalto pubblico, si rinvengono attività svolte da imprese spesso imposte da chi controlla il territorio.
Naturalmente, considerando il fenomeno sempre in maniera generale, non si comprende perché a Brescia debbano esserci dei termovalorizzatori che risolvono a pieno il problema, mentre in Sicilia è l'esercito che deve raccogliere l'immondizia urbana. In questo non c'entra nulla la mafia, né la criminalità, o forse c'entra solo in parte. Sotto il profilo istituzionale che mi riguarda, io devo valutare il problema dei rifiuti dal punto di vista della criminalità. Devo ammettere, tuttavia, che spesso, nell'ambito degli appalti pubblici,


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alla pressione della criminalità si affianca la cattiva amministrazione locale che aggrava ancora di più la situazione.
La questione dei termovalorizzatori è molto dibattuta; al riguardo ci sono pressioni da varie parti. Tuttavia, se si inizia a considerare il rifiuto come una risorsa, anziché come un problema, forse si potrebbero ottenere dei miglioramenti. Ad ogni modo, si tratta di scelte già effettuate sul piano politico che almeno in certe zone, non vengono attuate sul piano esecutivo e amministrativo.
Sul piano legislativo, credo si siano fatti notevoli passi in avanti con la previsione del reato di gestione illecita dei rifiuti introdotta dal decreto Ronchi, che consente di contrastare il fenomeno dell'inquinamento, anche se occorrono certi requisiti ormai ben tracciati dalla giurisprudenza, non senza qualche difficoltà di interpretazione, per esempio, sulla «ingente quantità» o sull'«organizzazione», insomma i soliti problemi legati a questa tipologia di reati.
Tra l'altro, la pena per il reato di gestione illecita dei rifiuti è stata aumentata. Esso è punito con una condanna fino a sei anni, anche per consentire, ai fini dell'accertamento delle responsabilità, l'utilizzo delle intercettazioni telefoniche. Spesso, queste ultime hanno dato buoni frutti, specialmente se unite alle dichiarazioni di qualcuno che ha deciso di collaborare con la giustizia - molti casi di questo tipo si sono verificati nell'ambito della camorra, nel napoletano - permettendo di ricostruire un quadro che ha fornito l'esatta visione della situazione.
Oggi, il limite di pena di sei anni consente di ricorrere alle intercettazioni; tuttavia, in relazione alle riforme che si prevedono su questa materia, sarà sempre più difficile ricorrere a questo strumento di accertamento. Infatti, sotto il profilo dei presupposti per richiedere le intercettazioni, così come sono stati tracciati, è evidente che è difficile ottenere gli «evidenti indizi di colpevolezza» per questo tipo di reati.
A questo riguardo, ricordo un fatto di cronaca: nell'ultima indagine sulla discarica di Colleferro, proprio attraverso delle intercettazioni telefoniche si è riusciti a ricostruire il rapporto tra gli impiegati pubblici che gestivano in maniera illecita la discarica e, quindi, il termovalorizzatore, e coloro che erano chiamati, e quasi costretti, a sversare qualsiasi tipo di rifiuto, anche speciale, anche pericoloso, in quella discarica.
Naturalmente, dal punto di vista degli accertamenti di queste situazioni, bisogna avere gli strumenti necessari. Infatti, nel caso di un reato che è diventato sistema e a cui concorrono tanti settori delle professioni o della società, è chiaro che diventa difficile scoprire le responsabilità, se non si hanno gli strumenti che si utilizzano normalmente per la criminalità organizzata.
Se l'indagine parte già direttamente con l'etichetta di criminalità organizzata - rivolta a soggetti che già sono qualificati o qualificabili in questo modo - è chiaro che si può utilizzare appieno lo strumento delle intercettazioni. Se, però, come spesso avviene, si parte da un'ipotesi di gestione illecita dei rifiuti, secondo il decreto Ronchi, e non è contestabile, all'inizio delle indagini o nel momento dell'iscrizione degli indagati nel modello 21, l'aggravante dell'articolo 7, sarà difficile poter utilizzare questo strumento.
A livello normativo, sarebbe particolarmente importante, secondo la nostra esperienza, prevedere un sistema repressivo premiale, che favorisca la deflazione del procedimento penale in relazione agli interventi di ripristino ambientale posti in essere dall'indagato. In sostanza, il senso è che il degrado ambientale già prodotto non si risolve con il carcere, bensì con il recupero. Quindi, l'idea di premiare chi rimette in pristino l'ambiente potrebbe essere un sistema che favorisce il graduale recupero del danno ambientale prodotto dalla criminalità o dai vari responsabili.
Abbiamo visto grosse indagini, che hanno portato a condanne anche gravi dei responsabili, ma quando si è trattato di rimettere in sesto l'ambiente, tutto è rimasto come prima, poiché questo compito spettava agli enti pubblici locali, che non


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hanno agito per mancanza di risorse, trattandosi di danni non finanziabili, né preventivabili. Di conseguenza, nonostante la repressione, il danno ambientale prodotto rimane tale ed è difficile procedere, soprattutto in un momento di crisi dell'economia e della finanza pubblica. Per questa ragione se abbiamo di mira il recupero dell'ambiente, anziché comminare una condanna grave, fino a sei anni, può avere successo prevedere, nel caso di ripristino della situazione ambientale, l'annullamento o, come si fa per i collaboratori di giustizia, la trasformazione della detenzione in detenzione domiciliare, oppure il conferimento di attenuanti particolari, che riducano l'effetto sanzionatorio della pena.
Proprio per l'inerzia delle amministrazioni pubbliche, che spesso abbiamo registrato di fronte a situazioni di particolare allarme ambientale, penso che la bonifica e la rimessione in pristino dell'ambiente potrebbero essere prese in considerazione. Oppure, si potrebbe pensare a un'azione di risarcimento delle spese sostenute dall'amministrazione pubblica in danno del proprietario, anche in forma specifica sull'immobile. Se, poi, l'interessato non riesce a pagare, quando è proprietario di un'immobile si può confiscare quest'ultimo, oppure ottenerlo in pagamento rispetto all'azione di risarcimento proposta. Penso, infatti, che il problema fondamentale sia quello di bonificare l'ambiente.
Proprio perché la criminalità ambientale è sempre più criminalità di impresa e di profitto, secondo il mio ufficio e secondo il nostro modo di considerare l'attività repressiva, sarebbe consigliabile l'introduzione di una fattispecie di associazione a delinquere modulata sulla base di tale specifica finalità, da porre in raccordo con l'attuale disposizione di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, tipizzando gli specifici ruoli dei compartecipi del gruppo criminale (per evitare il solito discorso dell'associazione che non contiene condotte tipicamente rilevabili) e prevedendo un'aggravante nel caso di partecipazione associativa del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio al quale siano demandati i compiti in materia ambientale.
Inoltre i collegamenti tra la criminalità ambientale e i sodalizi di tipo mafioso, che sempre più caratterizzano questo tema, giustificano anche l'introduzione di un'aggravante ad effetto speciale, che potrebbe indicare ancora di più la gravità della situazione creata.
Sarebbe indispensabile attribuire la competenza in ordine alle fattispecie associative, quelle più gravi, alla direzione distrettuale antimafia, analogamente a quanto già accade per altre forme di crimine organizzato, quali il traffico di droga, il contrabbando di tabacchi lavorati esteri e la tratta di esseri umani.
Non che ci manchi il lavoro, ma questa ulteriore competenza, anche attraverso l'utilizzo delle nostre banche dati, potrebbe consentire di qualificare e quantificare il fenomeno.
D'altra parte, su questa direttrice ci si è già mossi nella precedente legislatura. Certamente conoscerete il disegno di legge Barbieri - presidente della Commissione rifiuti della scorsa legislatura - e altri, che prevedeva qualcosa del genere, insieme a una sorta di «ravvedimento operoso», con alcuni effetti premiali delle condotte post delictum poste in essere dall'autore del reato.
È inutile ripetere il contenuto di quel testo, che era il risultato della partecipazione di tutte le parti politiche e che aveva registrato, su certi punti, una piena concordanza. Non so se adesso può permanere quella coincidenza di previsioni da parte dei vari gruppi politici, però non c'è dubbio che la strada allora intrapresa è quella giusta.
Per raggiungere l'obiettivo della deflazione sul versante del procedimento penale, si potrebbe anche valutare l'opportunità di prevedere l'immediata definizione del procedimento penale, con un carattere deflattivo appunto e l'irrogazione di sanzioni pecuniarie. Questo, ovviamente, nel caso in cui non ricorrano delitti associativi, o il reato sia di lieve entità, oppure l'autore abbia provveduto alla


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messa in sicurezza, alla bonifica o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Si tratterebbe, in pratica, di eliminare l'affare penale.
Cito, ancora, la possibilità di utilizzare specifiche tecniche investigative, già sperimentate nelle indagini di criminalità organizzata, e cioè la possibilità di differire od omettere gli atti di cattura, di arresto o di sequestro - naturalmente, sotto il controllo dell'autorità giudiziaria - in modo da adeguare le strategie investigative alla dimensione organizzata dei fenomeni illeciti in materia ambientale. Per esempio, il sequestro di un camion che sta trasportando rifiuti è certamente un'azione da effettuare; tuttavia, se si ritarda questa attività per vedere dove va il camion, individuare la società o i vari e più alti livelli che si occupano di questo traffico, credo che questo consenta di puntare al vertice delle organizzazioni, piuttosto che prendere soltanto i manovali. Per questa ragione, queste tecniche investigative, utilizzate normalmente per la criminalità organizzata, si potrebbero estendere a questa materia. Del resto, visto che la criminalità organizzata si occupa dei rifiuti, mi pare automatico che si possa adottare questa soluzione, anche quando non emerga chiaramente dalle indagini la presenza della criminalità organizzata stessa.
Esistono diverse tecnologie che potrebbero essere utilizzate in campo ambientale per l'esplorazione del suolo e del sottosuolo; difatti, la tecnica di sotterrare i rifiuti, che abbiamo notato soprattutto nell'area campana, rende veramente difficili gli accertamenti.
Dunque, penso che si debba investire in queste nuove tecnologie che consentono di osservare dalla superficie alcuni fenomeni di inquinamento sotterraneo e di individuare stoccaggi illeciti di flussi di rifiuti, senza dover effettuare, ai fini dell'indagine, lunghi e costosi scavi, che spesso hanno prodotto delle brutte sorprese. Infatti, è accaduto che, quando il collaboratore indicava uno di questi depositi, solo dopo tante spese si sia trovato ciò che si cercava. Invece, le indagini geofisiche condotte attraverso queste nuove tecnologie, laddove evidenzino alcune disomogeneità nel sottosuolo, potrebbero determinare ulteriori investigazioni di carattere ambientale, quindi si procederebbe all'approfondimento solo dopo che gli strumenti hanno già registrato qualche anomalia.
Del resto, negli ultimi tempi, grazie alle nuove tecnologie elettriche, magnetiche ed elettromagnetiche, e con l'ausilio dell'elettronica e dei software per l'elaborazione dei dati, la geofisica ambientale è in grado di delineare un quadro generale sufficientemente preciso delle caratteristiche di un sito inquinato, a partire dalla misura di alcuni parametri fisici dei terreni interessati.
Un ulteriore problema riguarda la fedeltà di chi conduce gli accertamenti. Infatti, uno degli elementi che abbiamo potuto riscontrare - ecco perché ho citato i tecnici di laboratorio - è che, spesso, gli accertamenti che dovrebbero garantire la legalità dello smaltimento dei rifiuti, vengono falsificati da chi compie il cosiddetto «giro bolla». Con questo termine si intende l'utilizzo di certificazioni per rifiuti di altra natura: per esempio, si etichettano i rifiuti speciali come comuni, determinando in tal modo un notevole incremento patrimoniale rispetto ai costi. Credo che il rapporto tra la gestione di un rifiuto comune e di uno speciale sia di 1 a 100; se, poi, si tratta di un rifiuto speciale pericoloso, i costi aumentano considerevolmente. Ci sono, poi, i rifiuti sanitari, ad esempio quelli provenienti dagli ospedali, e altre tipologie di rifiuti.
Stando alla quantità di rifiuti che il nostro Paese dovrebbe produrre - la stima è contenuta nel rapporto di Legambiente, che magari ha enfatizzato un po' i dati - ci sarebbe una montagna di rifiuti scomparsa poiché, analizzando la produzione, dovrebbe risultare, anche nel nord, una certa quantità di rifiuti che non risulta smaltita a livello documentale.
La Campania è la prima regione d'Italia in relazione alle infrazioni accertate e ai sequestri operati nell'ambito dell'illegalità ambientale. Come è noto, la provincia di Caserta risulta il territorio sul quale si è


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più concentrato l'interesse della camorra in questo settore. Del resto, questa realtà continua a essere riscontrata dalle indagini. Difatti, dopo l'ultimo intervento legislativo della regione Campania, che ha attribuito alla procura distrettuale di Napoli l'intera competenza regionale sulla materia dei rifiuti, è stata confermata l'infiltrazione di vari clan, tra cui quello dei Casalesi, nella realizzazione e gestione delle opere di bonifica dei siti contaminati.
Sotto questo aspetto, un'indagine attuale, ancora non completamente vagliata dagli organi dell'istruttoria, riguarda il trattamento dei fanghi derivanti dall'opera di depurazione delle acque da parte di una società con infiltrazioni camorristiche, che ha realizzato una sorta di filiera di imprese e società, tra cui molte senza attività e con il solo scopo di preparare la documentazione a supporto dell'illecito smaltimento (fatture false, bolle false e addirittura registri falsi). Altre società si curavano del riciclaggio, ovvero del reimpiego delle somme provenienti dal traffico dei rifiuti. Come si vede, si determina una catena che va dall'appalto pubblico ottenuto in maniera non corretta alla gestione, i cui profitti sono notevoli, e al reimpiego di questi profitti, con attività di riciclaggio e così via. Questa filiera, documentata in diverse indagini, anche recenti, rappresenta lo schema su cui intervenire, dal punto di vista investigativo e repressivo.
A questo proposito, il mio ufficio ha ottenuto dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri (NOE) i nominativi degli amministratori di ditte operanti nel settore e li ha incrociati con quelli esistenti nelle nostre banche dati. Ebbene, sono risultati tre elenchi riguardanti le ditte operanti nel settore, per complessive 377 società, ulteriormente distinte in relazione alla loro competenza. È emerso che 45 di queste società appartengono agli smaltitori, 166 ai riciclatori di rifiuti e 166 ai trasportatori; in totale, i soggetti i cui dati sono stati incrociati sono 2.893.
Inoltre, il riscontro della presenza, nella banca dati, di soggetti collegati con la criminalità è stato positivo per 257 soggetti e 28 società; quindi, circa il 10 per cento sul totale dei dati presenti nella banca dati, che derivano da indagini pregresse, ormai concluse. In sostanza, questo riscontro ci ha fornito l'esatta misura della diffusione del fenomeno.
Al fine di una successiva attività di impulso da parte della procura nazionale antimafia, questo elaborato è stato ulteriormente arricchito, nelle posizioni più interessanti, dagli organi di PG. In altre parole, una volta effettuato l'incrocio dei dati, questi sono tornati agli organi di polizia giudiziaria e alle varie procure distrettuali, che, a loro volta, hanno attivato ulteriori attività investigative in relazione a questi soggetti, le quali hanno condotto a nuove indagini e alla scoperta di altre responsabilità ancora al vaglio della magistratura.
Come ho anticipato, molta attenzione è stata riservata alle cave perché, tradizionalmente, queste entrano nel ciclo gestito dalla criminalità organizzata, nei territori dove è presente. Difatti, le cave, che servono per trarre gli inerti utilizzati per le costruzioni, quando si esauriscono diventano degli ottimi contenitori dei rifiuti da smaltire.
Sotto questo aspetto, la nostra attenzione è massima. A questo scopo, abbiamo avviato un monitoraggio di tutte le cave, utile sia per controllarne la titolarità; sia per verificare se le persone titolari siano o meno prestanome, oppure abbiano relazioni con appartenenti alla criminalità organizzata; sia, infine, per controllare, rispetto a quelle attive, la loro attività nella fornitura degli inerti ai fini del ciclo del cemento e del calcestruzzo e, rispetto a quelle inattive, se siano utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti. Questa attività di monitoraggio sta interessando il nostro ufficio attraverso le varie prefetture, che hanno un controllo sulle cave e sulle relative autorizzazioni.
Dai dati della procura nazionale antimafia, risultano sicuramente infiltrazioni della criminalità organizzata campana. Bisogna precisare che i procedimenti iscritti nei nostri registri riguardano solamente i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis: associazione mafiosa, traffico di stupefacenti


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e tutti quei reati che, attraverso l'articolo 7, vengono qualificati come reati «di mafia», per usare una terminologia molto generica. Non sono presenti, invece, tutti gli altri reati che, non avendo questa qualificazione, sono iscritti nei registri ordinari di modello 21.
Questo rappresenta un altro problema poiché, come abbiamo potuto osservare dal monitoraggio delle indagini in materia, la maggior parte di queste indagini sono svolte dalle procure ordinarie, circostanza che fa sfuggire la visione globale dei fenomeni. In altri termini, a far scattare l'indagine è il dato ambientale visibile, che viene denunciato. L'indagine non parte quasi mai dall'attività investigativa su una banda criminale organizzata che, tra le altre attività, esercita anche quella dei rifiuti; in pratica, quest'aspetto è sempre secondario rispetto a quello predominante, ovvero al danno ambientale.
I dati sono consistenti, come mostrano le indagini più recenti e importanti, quali quelle di Benevento, Santa Maria Capua Vetere, Busto Arsizio, Gorizia, Palmi e Treviso. Tuttavia, poiché non si svolgono nell'ambito delle procure distrettuali, queste indagini non permettono di considerare il fenomeno nel contesto nazionale.
Una soluzione, in questa direzione, potrebbe essere quella di far monitorare tutte le indagini ambientali delle procure ordinarie - magari utilizzando le nostre banche dati - in maniera da unirle a quelle relative alla criminalità organizzata, per poter approfondire se ci sono dei collegamenti o effettuare ulteriori approfondimenti che potrebbero lasciare intravedere, anche dietro quelle indagini, la presenza della criminalità organizzata.
È importante monitorare il territorio e favorire programmi di educazione ambientale che pongano queste tematiche all'attenzione dei giovani. Non c'è dubbio che la cultura ambientale aiuti il discorso più ampio dell'educazione. Bisogna far sentire ai giovani la necessità di preservare il territorio che abitano. Incontrandoli per altre questioni, cerco di affrontare anche l'aspetto della legalità ambientale. Ho fatto spesso notare che a nessuno piacerebbe vedersi buttare in casa il sacchetto di immondizia da parte di chi passa. Non si deve, dunque, consentire il degrado ambientale. A questo scopo, è necessario che tutte le istituzioni diano un sostegno chiaro alle attività, ai progetti e alle iniziative di sensibilizzazione e informazione su questi argomenti.
Vorrei concludere il mio intervento sul tema della pubblica amministrazione, da cui sono partito. Occorre la massima attenzione, soprattutto al sud, da parte della pubblica amministrazione o delle imprese private, spesso a capitale pubblico, nel gestire al meglio e con la massima correttezza e trasparenza, dal punto di vista amministrativo, questo delicato settore.
Mi sembra assurdo che debba intervenire l'esercito per togliere l'immondizia dalle strade.

PRESIDENTE. A mio avviso, quello che ci ha riferito è di grandissimo interesse. Se è possibile, la preghiamo di lasciarci la sua relazione.
Prima di dare la parola ai colleghi, volevamo rappresentarLe che sarebbe di grande interesse per la Commissione avere l'elaborato, di cui lei ha parlato, che contiene un quadro più complessivo delle vicende in corso.
Quanto alla sua idea di monitorare tutte le indagini ambientali, una delle prime iniziative che abbiamo intrapreso è stata proprio quella di chiedere a tutte le procure generali di farci avere notizia delle indagini in corso, o anche concluse di recente, che ci consentissero, comunque, di definire questo quadro. Per esempio, lei citava Busto Arsizio, che dimostra che il problema delle infiltrazioni criminali non appartiene soltanto al sud, anche se immagino che al sud sia più presente.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Preciso che sarebbe dovuto venire con me il collega Pennisi, che si occupa della materia. Ad ogni modo, ho portato le sue due relazioni del 2007 e del 2008, estratte dalla relazione annuale della DNA.


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In questo modo, il collega Pennisi è presente attraverso i documenti che ha redatto.

PRESIDENTE. La preghiamo di ringraziare il consigliere Pennisi, che probabilmente disturberemo per avere ulteriori notizie.
Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ALESSANDRO BRATTI. Innanzitutto, vorrei ringraziarla per il quadro che ha delineato e che ci aiuta in questo lavoro. Vorrei porle alcune domande, piuttosto che fare commenti, e alla fine limitarmi a una sola considerazione.
All'inizio del suo intervento, Lei affermava che questa tipologia di criminalità organizzata prevede il coinvolgimento di diverse figure professionali. Ebbene, queste diverse figure professionali - il tecnico di laboratorio, lo smaltitore, il trasportatore - sono organizzate in vere e proprie reti? In altre parole, esiste un'organizzazione di questo tipo? E in che misura queste organizzazioni sono presenti? Quanta collusione esiste, in questo tipo di reati, tra l'amministrazione pubblica e il sistema privato?
Sui sistemi investigativi ha già detto. Purtroppo, abbiamo posto la questione delle intercettazioni anche alla Camera, ma non c'è stata possibilità di discussione. Anche in un'altra occasione Lei aveva sottolineato l'importanza di questo strumento investigativo. Speriamo di riuscire, in qualche modo, a riproporla - mi sembra ci sia stata un'apertura attraverso un ordine del giorno - perché credo che questo sia uno strumento investigativo estremamente importante.
Inoltre, vorrei chiederLe se il vostro rapporto con le altre procure è sistematico o casuale. Se esiste un incrocio sistematico tra i reati di carattere amministrativo e quelli di carattere ambientale; spesso questi fenomeni emergono in relazione a situazioni di cattiva amministrazione.
Lei accennava anche alla questione campana. Ebbene, io continuo a battere su un tema molto preoccupante che adesso si sta manifestando: la questione siciliana. In quella regione, in alcuni casi, almeno da quanto emerge da articoli di stampa, mi pare vi fossero, relativamente alla costruzione dei quattro termovalorizzatori, delle gravi infiltrazioni mafiose che non hanno consentito che gli appalti si potessero svolgere in maniera corretta.
L'altra questione che Lei sottolineava - e credo che abbiamo fatto bene ad affrontarlo in sede di legislativa - riguarda il tema delle bonifiche ambientali. Volevo saper quale tipo di notizia avete al riguardo. Ritengo che sia importante verificare la possibilità di riprendere in mano il disegno di legge Barbieri, con eventuali aggiunte e modifiche, oppure se non sia il caso di sollecitare, al più presto, un iter parlamentare per affrontare questo aspetto.

PRESIDENTE. Come Lei sa, la legge istitutiva della nostra Commissione non prevede la possibilità che la Commissione possa presentare proposte di modifica alla normativa. Faremo sicuramente quanto Lei suggerisce, ma come singoli parlamentari, augurandoci che firmino la proposta tutti i membri della Commissione.
Non abbiamo funzioni di tipo legislativo, ed è difficile capire perché, considerato che le nostre inchieste dovrebbero essere funzionali alle proposte al Parlamento.

CANDIDO DE ANGELIS. Mi sembra che la parte principale della relazione del procuratore riguardi la proposta di centralizzare tutte le politiche di contrasto agli illeciti di carattere ambientale.
Lei ha parlato di un'analisi relativa a 377 società, una sorta di screening sul mondo delle aziende che gravitano intorno al problema ambientale. Penso che questo sia l'aspetto più importante. La Commissione sta esaminando il problema relativo al Lazio. Sono emersi alcuni punti critici che riguardano Colleferro, i termovalorizzatori, le discariche, AMA e così via. Vorrei evidenziare che parliamo di società totalmente pubbliche, nemmeno a capitale


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misto; parliamo della gestione dei termovalorizzatori, delle discariche, del problema del CDR e del tal quale, ma sempre con riferimento a società interamente a capitale pubblico.
La situazione è analoga in altre regioni. A domande specifiche, le forze dell'ordine e, in generale, coloro che hanno svolto le indagini, hanno risposto che, nel caso del Lazio, non sono stati rilevati collegamenti con la criminalità organizzata. Si tratta di un problema che nasce all'interno degli impianti.
A mio avviso, tutto nasce dai ritardi della politica - nel Lazio, in Campania e nelle altre regioni - nei quali si inserisce chi controlla il territorio, perché si tratta di un mercato ricco.
Personalmente ritengo che se, come amministratore, avessi a disposizione un censimento o una banca dati e se, anche nel caso degli appalti, dove girano i soldi, ci fosse, fin dall'inizio, una sorta di censimento virtuoso, forse questo sarebbe già un modo per stroncare un meccanismo che, partendo dal discorso economico, si può tradurre anche in situazioni criminose.
Sul problema del risarcimento dei danni ambientali, invece, ho dei dubbi. Sarebbe difficile affrontare situazioni in cui i danni non sono quantificabili per essere addebitati a chi li produce. Per esempio, nel caso del termovalorizzatore di Colleferro, vi hanno bruciato tal quale invece del CDR, ed è chiaro che, in quella circostanza, non c'è la possibilità di una valutazione del danno ambientale. Certo, il danno si può valutare nel caso in cui si scaricano i rifiuti nelle cave e, comunque, si deve verificare se chi commette i danni è in grado di far fronte economicamente alla situazione o se, invece, si tratta di società che non hanno nessuna forma di reddito.
Riguardo alle intercettazioni, prendiamo atto di quanto ha detto e la ringraziamo. Lei si era già espresso e avevo letto grida di allarme rispetto a questa situazione.

PRESIDENTE. Peraltro se si dovesse aderire alla soluzione di affidare alla direzione distrettuale antimafia le indagini, automaticamente, o quasi automaticamente, ci sarebbe un recupero delle intercettazioni telefoniche nella forma più ampia. Questo sarebbe un passaggio indiretto, per così dire.

DANIELA MAZZUCONI. Grazie presidente. Io vorrei porle una domanda molto breve a proposito di un elenco che compare nel rapporto di Legambiente «Ecomafia 2009». In esso sono elencati, area per area, i clan mafiosi o, comunque, le società in odore di mafia in rapporto alla questione dei rifiuti. Chi, come me o come il cittadino comune, legge un volume del genere - che ha, per altro, una prefazione autorevole come la sua - e apprende che esiste una lista di clan o di società che hanno a che fare con reati di natura ambientale, immediatamente pensa che queste società o questi clan possono essere perseguiti.
Alcuni referenti sono indicati in termini generali e, se si dice «il clan dei Corleonesi», capisco anch'io che è difficile dire che si tratta di un soggetto specifico; ma nell'elenco alcune società sono indicate con nome e cognome. Come è possibile che molti di questi nomi poi ricorrano anche in attività che continuano sotto una parvenza di legalità? Alcune di queste società, infatti, continuano a lavorare in appalti pubblici o continuano ad essere coinvolte nel sistema degli appalti pubblici. È questa una lista opinabile, per dir così, in cui si ipotizza che costoro siano coinvolti o, effettivamente, quando si forniscono nomi e cognomi? Questo elenco va avanti per pagine e pagine e non solo per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti.
Questi elenchi sono veri e possiamo, attraverso essi, stabilire una linea di demarcazione? Ossia, ci consentono di dire «basta con queste società»? Possiamo pensare di tenerle fuori dal gioco?
Vorrei soffermarmi sul tema delle ATI, le associazioni temporanee di imprese. Lei ha parlato di queste associazioni in cui delle grandi imprese, magari grandi imprese


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del nord, vincono un appalto - mi riferisco alla materia dei rifiuti - e poi si legano a piccole imprese locali. Circa un anno fa, mi è capitato di leggere, su un quotidiano della Calabria che in Sicilia - non so se si trattasse di rivalità tra le due regioni, ma la notizia non è comparsa sulla stampa nazionale e quindi era legata proprio alla realtà locale - delle grandi imprese del nord avevano vinto, per alcuni ATO della Sicilia, le gare relative alla raccolta; ciò aveva estromesso, evidentemente, le piccole imprese locali. Si faceva grande scandalo di questo ma, in base alla legge, non si poteva che riconoscere che le grandi imprese vincitrici avevano tutti i titoli per l'iscrizione in quanto raggiungevano il volume d'affari previsto dall'appalto, mentre le piccole imprese locali non l'avevano. Ci fu, dunque, tutto un movimento di potere e pubbliche amministrazioni locali che, ovviamente, spingevano per la conclusione di questi accordi.
La mia domanda è la seguente: poiché mi pare che, sistematicamente, per quanto riguarda il sud, non abbiamo a che fare con grandi imprese - parlo dei raccoglitori e anche degli smaltitori - come spesso invece capita nel centro-nord, secondo Lei, che conosce bene la situazione, questo è un dato voluto, atto a mantenere il potere e il controllo sul territorio, perché la piccola impresa ha davvero un grande potere ricattatorio nei confronti del potere politico locale? Oppure ciò è legato a una oggettiva incapacità di far nascere un sistema imprenditoriale di tipo diverso? Questo, infatti, è un settore che meriterebbe un sistema imprenditoriale come Dio comanda.
Nel caso che prima ricordavo, era infatti perlomeno strano vedere questa serie di politici locali, di tutti gli orientamenti politici, che commiseravano i titolari delle piccole imprese e deprecavano la norma nazionale che prevede l'iscrizione all'albo nazionale limitata a determinate categorie economiche. Si leggevano notizie relative ad amministratori locali disposti a bypassare la previsione di legge nazionale. Mi chiedo, pertanto, se questi politici assumano un simile atteggiamento appositamente per mantenere questo rapporto clientelare privilegiato o se siano degli incapaci. Cosa dobbiamo pensare? Io sono propensa a pensare che siano molto intelligenti e che quindi lo facciano apposta, ma questo è un pensiero mio, di carattere assolutamente soggettivo. Ritengo che anche tale questione andrebbe posta.
Vorrei ora riferirmi al tema da Lei menzionato riguardo alla necessità di operare una repressione che offra anche la possibilità di un ravvedimento operoso. Sappiamo che esiste una serie di reati minori in materia ambientale che sono già normati in questo modo: se si paga la sanzione amministrativa, si cancella il reato. Questo porta, almeno al nord, ad una distorsione. L'impresa privata eccede nelle quantità, non rispetta alcuni parametri ma, poiché costa meno pagare la sanzione, non si mette neanche a discutere: dà mandato all'avvocato perché chiuda il provvedimento per via amministrativa. Ho l'idea che se si paga si può fare quello che si vuole. Il risultato finale ha un effetto distorsivo. Non si raggiunge l'effetto per cui chi ha inquinato paga e ripristina il danno ambientale, bensì il messaggio trasmesso è che dal momento che posso pagare, lo posso fare, e la sanzione diventa un costo d'impresa. Mediamente, e mi assumo la responsabilità di quel che dico, per molte imprese del nord è così. Si tratta di un passaggio che appartiene ai costi d'impresa e, dal momento che me li assumo, se il costo di impresa aumenta io vi faccio fronte.
Rispetto a questo problema, dunque, Lei potrebbe dare qualche indicazione ulteriore?
La sua ipotesi, infatti, è suggestiva, ma temo che, come tutte le ipotesi suggestive, possa poi provocare una specie di eterogenesi dei fini, per cui si pensa una data soluzione ma si ottiene un effetto diverso. Soprattutto dove c'è denaro, e questo è un settore dove ce n'è molto, la traduzione non è esattamente quella che possiamo avere in mente Lei o io.
Da ultimo, vorrei chiederLe se anche Lei ha rilevato, nel corso di queste indagini e controlli incrociati, che il grosso del


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business si trova tra gli smaltitori e i riciclatori, mentre, fondamentalmente, i trasportatori non hanno una forte incidenza. Il trasportatore di solito fa la triangolazione delle bolle, la falsificazione della certificazione di quello che porta, mentre il grosso degli affari ricade sugli smaltitori e i riciclatori. Volevo sapere se anche dal vostro punto di vista è così, e se a quei due livelli sono stati commessi illeciti più rilevanti anche dal punto di vista quantitativo, oltre che qualitativo.

GERARDO D'AMBROSIO. Signor presidente, ringrazio il Procuratore nazionale antimafia per i chiarimenti che ci ha fornito; credo, tuttavia, che siano necessarie alcune domande. Innanzitutto, da quanto ci ha riferito sull'utilizzazione delle cave, sembrerebbe risultare che c'è una mancanza di controllo del territorio da parte dell'autorità pubblica. È chiaro, infatti, che queste cave si possono utilizzare ed ho apprezzato molto l'affermazione secondo la quale bisognerebbe procedere al più presto al monitoraggio di tutte le cave per vedere quali sono state utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti e quali, invece, no. Credo anche che in questa ricerca bisognerà distinguere i vari tipi rifiuti, come i rifiuti urbani che sono smaltiti in casi di emergenza; queste cave, infatti, potrebbero essere state utilizzate a tal fine.
Quando ci fu l'emergenza, la regione Campania aveva fatto anche un inventario delle cave dove potevano essere collocati i rifiuti e delle località idonee a ricevere rifiuti speciali. Ci sono, infatti, i rifiuti urbani, i rifiuti speciali e i rifiuti pericolosi; ed è proprio a proposito di questi ultimi che, effettivamente, vale di più il detto che lei ha citato dall'intercettazione, secondo il quale l'immondizia si trasforma in oro. Effettivamente, l'abbiamo letto più o meno tutti sui giornali e nel libro di Saviano, che ha esaminato il comportamento del clan dei Casalesi, i quali, approfittando di contatti avuti in precedenza con società del nord, erano entrati in questo grande affare dei rifiuti.
Come accennava anche il presidente, una cosa è smaltire regolarmente i rifiuti, e il guadagno è molto limitato, altra cosa, invece, è buttare via dei rifiuti speciali o dei rifiuti pericolosi, abbandonandoli e poi sotterrandoli in alcune cave. In questo modo si raggiungono guadagni favolosi.
Sempre stando alle notizie dei giornali, l'utilizzazione di questo denaro sarebbe andata prima verso l'assunzione di una specie di monopolio del trasporto dei rifiuti. Leggevo che proprio a Napoli si era raggiunta una tale forza di quantità di pregio di autocarri che trasportano i rifiuti da concorrere ad un appalto, mi pare, a Genova. Dall'indagine sul clan dei Casalesi era poi venuto fuori anche un altro dato: si era trovato un sistema di riciclaggio molto conveniente; proprio il contatto con le industrie del nord aveva portato il clan dei Casalesi a proporre a queste industrie dei finanziamenti addirittura a tassi inferiori rispetto a quelli praticati dalle banche; erano giunti, addirittura, a proporre loro delle compartecipazioni che non comportavano la gestione delle imprese. Da persone oramai abbastanza smaliziate, riconoscevano che gli imprenditori del nord erano più capaci di loro a fare investimenti e a far rendere il denaro, mentre loro erano più capaci a fare cose illecite.
Un'altra riflessione che vorrei porre alla sua attenzione è che, se è vero che sarebbe opportuno trasferire la competenza di questi reati alla procura distrettuale - risolvendo in questo modo anche il problema delle intercettazioni telefoniche -, è altrettanto vero che ciò provocherebbe un danno, secondo me, sul controllo territorio e un disagio enorme per le forze di polizia; a meno che non si intenda introdurre l'informatizzazione anche per loro e la trasmissione di tutti i vari verbali direttamente alla procura. Inoltre, qualora non dovessero risultare associazioni di stampo mafioso, ma normali reati contro l'ambiente, si potrebbe verificare una sorta di amnistia generalizzata.
È chiaro, infatti, che se adesso, pur essendo distribuiti sul territorio, per questi vari reati non si riescono ad eseguire le condanne - la maggior parte arriva, infatti,


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alla prescrizione - a maggior ragione, se si concentra tutto in sede distrettuale, è difficile che la parte distrettuale possa seguire tutte le indagini e poi ridistribuire quelle che non risultano ai vari tribunali. Una volta terminate, infatti, le indagini devono essere ridistribuite ai tribunali e non so fino a che punto tutto questo, nelle attuali difficoltà della Polizia, sia superabile in qualche modo.
Devo aggiungere che sono anch'io un po' perplesso rispetto a questa idea, sebbene essa possa funzionare benissimo per quanto riguarda le piccole contravvenzioni. Nella tutela dell'ambiente, a me va benissimo contrapporre anche solamente delle sanzioni amministrative, che - un po' come avviene per le contravvenzioni stradali - potrebbero consistere proprio in questo: se si fa una contravvenzione a uno straniero, lo straniero se ne va e non succede niente, se, però, si blocca l'autocarro fino a che non paga la sanzione, allora ciò diventerebbe effettivamente un deterrente forte; in questo caso, infatti, non ci sarebbe solo la sanzione amministrativa, che comunque arriva immediatamente. Vorrei sapere cosa ne pensa della trasformazione delle sanzioni amministrative e cosa pensa, infine, della proposta di applicare la legge sulle società e sulle quote anche a questi tipi di reati ambientali.

PRESIDENTE. Vorrei, brevissimamente, porre alcune domande. Innanzitutto, un dato che sarebbe interessante conoscere è quello del rapporto tra le attività criminali italiane e l'estero, ossia in che modo le associazioni criminali italiane hanno rapporti con le attività all'estero.
La seconda domanda riguarda i termovalorizzatori. Avete potuto verificare se la mancanza di termovalorizzatori nel sud - in una regione come la Campania ce n'è uno solo che è in fase di avviamento, mentre in Sicilia credo non ce ne sia nessuno - non dipenda dall'effetto di un intervento delle associazioni mafiose sulla pubblica amministrazione? Con l'entrata in funzione dei termovalorizzatori, infatti, le associazioni mafiose perdono qualunque funzione, perché tutto verrebbe avviato alla distruzione attraverso le forme lecite.
Un altro aspetto interessante, sotto il profilo normativo, era proprio quello toccato dal senatore D'Ambrosio; l'ipotesi, cioè, di affidare alla direzione distrettuale antimafia tutte le indagini sull'ambiente.
Lei ha affermato che non possiamo partire dalle associazioni mafiose perché, spesso, questo è il punto di arrivo. Se, però, questo è il punto di arrivo, non si capisce a chi debbano essere affidate le indagini sui singoli fatti di violazione di norme in materia di ambiente per poi arrivare, o no, all'associazione mafiosa. La pregherei di illustrare ulteriormente questo aspetto.
L'ultimo punto che vorrei fosse affrontato è quello della tipizzazione dei ruoli. Si tratta di una tecnica molto difficile. Come Lei sa, nel precedente codice del 1930, erano elencati tutti i ruoli dei concorrenti nel reato. Poi, si è creduto che fosse più semplice, anche se molto meno garantista, introdurre il criterio della condicio sine qua non che coinvolge tutti.
Do la parola al Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso per la replica.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Io ho parlato di un sistema attorno all'ecomafia. Un sistema che adesso è difficile tracciare nelle sue generalità; queste cognizioni le abbiamo attraverso indagini specifiche che tratteggiano una certa realtà. Sommando, però, tante di queste indagini, dall'analisi possiamo cogliere dei dati più generali. Non si può quantificare in che misura intervenga il fattore del funzionario pubblico infedele alla sua funzione, o quello del tecnico di laboratorio che si presta. Non c'è dubbio che un'organizzazione, per funzionare, deve avere un tecnico di sua fiducia che falsifica. È noto, magari, che quel tecnico si presta, dietro compenso, a partecipare al sistema; quel tecnico diventa, così, un elemento di una o più organizzazioni criminali che si spargono la voce e dicono: «Vai da quello che ti fa la falsificazione; ci pensa lui». Questo è un esempio per quanto riguarda le analisi di laboratorio.


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Lo stesso discorso si può fare per il commercialista, per chi stampa le bolle, e per ogni pezzo di questo sistema che è necessario costruire. Un'organizzazione, come tale, produce tutta una serie di soggetti che collaborano stabilmente e proprio in questo consiste il concetto giuridico di associazione criminale: ognuno dà il proprio contributo fattivo, con la consapevolezza dell'azione delittuosa cui partecipa e l'azione delittuosa degli altri partecipi. Non si possono quantificare, in via generale, i vari apporti o i vari contributi al permanere del sistema. Non c'è dubbio che dalle diverse indagini emerge questo quadro. Dire che tutto è criminalità, chiaramente, non regge e non è vero. Per altro, se tutto è criminalità, niente è criminalità, non si capisce più dove sta la criminalità e dove sta l'impresa o colui che, pur senza far parte di un'organizzazione criminale, vuole avvantaggiarsi, da un punto di vista economico, in modo illegale.
Non c'è dubbio che esiste un sistema che determina una convergenza di vari interessi economici e che regge l'attività criminale organizzata. Quindi, reprimendo la criminalità organizzata da sola, senza andare ad incidere nelle sue relazioni esterne, non risolveremmo il problema. L'analisi serve ad attuare degli strumenti che, oltre a colpire la criminalità organizzata, colpiscano anche questo tipo di relazioni esterne. Naturalmente, da un punto di vista giuridico gli strumenti possono essere il favoreggiamento, la partecipazione alla gestione illecita dei rifiuti o, se ci fosse un reato associativo, la partecipazione all'associazione e il concorso esterno nell'associazione, cosa, quest'ultima, sempre difficilissima, visti i puntelli e i paletti che di recente sono stati posti sempre di più a questo riguardo.
Pertanto, devo dire che oggi ho fatto delle scelte ben note: tra i reati da contestare preferisco il favoreggiamento, magari aggravato, all'articolo 7, piuttosto che il concorso esterno. Questo, comunque, è un problema secondario; l'importante è individuare i comportamenti e punire quelli, non i fenomeni. Io sono sempre stato per la pragmaticità e per uno sguardo al risultato piuttosto che all'azione in sé.
Per quanto riguarda i rapporti con le altre procure, noi agiamo, come procura nazionale, attraverso un collegamento investigativo con ventisei procure distrettuali dislocate su tutto il territorio. Naturalmente, in questo collegamento, noi facciamo un'attività di acquisizione di dati, informazioni e notizie che poi vengono elaborate al nostro interno e danno impulso ad ulteriori indagini. Questo, infatti, è il nostro lavoro. Non facciamo indagini per definizione, ma raccogliamo, analizziamo, e rimandiamo, oppure cerchiamo di coordinare indagini che sono in corso contemporaneamente e che rischiano di sovrapporsi ed incrociarsi.
Questo è il nostro lavoro principale e in questo lavoro, ci imbattiamo, presso le direzioni distrettuali antimafia, in indagini che riguardano la criminalità organizzata, che sono sempre di nostra competenza. Non andiamo, certamente, a guardare le indagini delle procure ordinarie che, per definizione non possiamo toccare. E devo dire che, in questo collegamento, tiriamo fuori e immettiamo nella nostra banca dati tutte le indagini che rientrano nella competenza istituzionale della direzione distrettuale locale e della procura nazionale. Questo tipo di rapporto funziona.
Il problema cui accennavo prima si pone, invece - e rispondo, così, all'ultima domanda per completare il discorso - per la maggior parte delle indagini che andiamo a verificare quando chiediamo al Nucleo ecologico ambientale dei Carabinieri e alle altre forze di polizia giudiziaria quali indagini sono state fatte; in questo caso possono venir fuori dei dati di indagini che non hanno nulla a che fare con la nostra competenza istituzionale.
Questo ha generato, dunque, quella sorpresa e l'impossibilità di avere tutti questi dati raccolti in maniera da poterli analizzare e confrontare. Non è detto che dietro quelle indagini ci sia necessariamente la criminalità organizzata. Sono indagini che si fermano ad un certo punto e che non vengono approfondite perché,


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appena il magistrato approfondisce e ci intravede la criminalità organizzata, deve liberarsi dell'indagine e trasferirla alla direzione distrettuale antimafia, quindi a un altro ufficio, che magari è anche distante, visto che sono nelle procure distrettuali; magari da Trapani, l'indagine si trasferisce a Palermo, per esempio. Si tratta di indagini che, spesso, si fermano a un certo grado e non si approfondiscono fino in fondo. È probabile - ma è una probabilità - che approfondendo si ritrovi la criminalità organizzata.
Con questo non voglio dire che tutti i reati ambientali debbano essere perseguiti dalla direzione distrettuale antimafia ed essere, quindi, sotto il monitoraggio della procura nazionale; dico che, laddove ci siano gli elementi di un reato associativo, bisognerebbe creare la figura del reato associativo ambientale, finalizzato al degrado ambientale con una fattispecie di questo tipo e, solamente in questo caso, farlo rientrare nell'articolo 51, comma 3-bis, quindi nella competenza delle distrettuali e della procura nazionale.
Tutti gli altri reati satellite rimarrebbero di competenza delle procure ordinarie e verrebbero attratti solamente se si accertasse l'attività dell'associazione. Il sistema che noi abbiamo per la criminalità organizzata funziona così: l'associazione criminale compie estorsioni, si inserisce negli appalti pubblici, compie contrabbando e tutti questi tipi di attività; ci sono, quindi, dei reati specifici e un reato che dà atto della componente organizzativa, associativa, di sistema stabile con cui si commettono queste serie di violazioni.
La competenza dovrebbe essere per questo tipo di associazioni e poi, eventualmente, dei reati connessi quando essi siano espressione dell'attività dell'associazione. Tutti gli altri illeciti ambientali dovrebbero continuare a rimanere di competenza delle procure ordinarie. Non mi sognerei mai di trasferire tutto questo nelle direzioni distrettuali antimafia, altrimenti, come ha detto il senatore D'Ambrosio, non potremmo più fare altro, tanti sono i reati.
Non mi ha sfiorato nemmeno l'idea di poter prendere tutti i reati ambientali e farli transitare nella competenza della direzione distrettuale antimafia. Mi riferivo solamente a quelli per i quali, approfondendo, emergesse un reato associativo.
Se, però, il monitoraggio avvenisse da parte della procura nazionale antimafia, con la collaborazione dei Carabinieri e delle forze di polizia giudiziaria che si occupano di reati ambientali, da una simile visione globale, attraverso incroci nella stessa banca dati operati regolarmente, anziché una volta tanto, si potrebbero trarre gli elementi per approfondire le indagini e scoprire se dietro certe violazioni ambientali vi sia anche la criminalità organizzata.
Ecco, questo è quello che ho in mente, non certamente di sottrarre competenze a chi le ha, ma cercare piuttosto di dare un impulso, mentre è in corso l'indagine, a scoprire se dietro ci sia la criminalità organizzata oppure no.
È un discorso solamente di monitoraggio e di raccolta di dati, che potrebbe svolgere il mio ufficio. Se la Commissione creasse una banca dati, io potrei collegarmi, se mi venisse data la possibilità, e sarebbe tutto più semplice. Magari fosse così! In mancanza di questo, però, dico che, comunque, è necessaria una visione globale. Con le indagini sparse sul territorio, ci sono tante situazioni e si può vedere se il fenomeno è a macchia di leopardo, se c'è una concentrazione in certi territori e via dicendo. Insomma, le analisi che si possono fare sono notevoli quando si ha una visione globale dei fenomeni. (Commenti)
L'esperienza mi insegna che è difficile che chi ha un'indagine se ne liberi.

GERARDO D'AMBROSIO. Mi scusi se la interrompo ma, siccome i procuratori della Repubblica hanno il ReGe, anche queste notizie di reato vengo informatizzate e, quindi, quando vogliono, possono selezionare il tipo di reato, per esempio i reati ambientali, e avere immediatamente a disposizione i dati relativi. È possibile ottenere questi dati e, magari, farne una


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banca dati a parte, anche sensibilizzando i procuratori della Repubblica.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Senza dubbio, però, senza una disposizione di legge io non posso farlo. Lo può fare il procuratore generale, se vuole.

GERARDO D'AMBROSIO. Certo. Il procuratore generale, infatti, potrebbe anche ordinare ai procuratori della Repubblica di trasmettere, a fine anno, l'elenco dei provvedimenti per reati ambientali.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, purtroppo c'è un intervento d'ordine. Mentre credo che i senatori abbiano terminato di lavorare, alla Camera dalle 16,30, riprendiamo il voto. Le chiederei, quindi, se riesce a finire entro le 16,25.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Mi pareva importante chiarire questo concetto generale; prima mi ero espresso in maniera confusa.
Per quanto riguarda l'incrocio tra reati di carattere amministrativo e ambientale, questo rientra nel sistema, che prevede anche una serie di violazioni di carattere amministrativo. Naturalmente, sta all'indagine tirarle fuori.
Rimane la parte relativa alla situazione siciliana e ai quattro termovalorizzatori che sono stati previsti ma non sono ancora nemmeno partiti. Alcune imprese del nord sono interessate, una sembra sia addirittura la Falck, che è una grossissima impresa ed è capofila. Non credo che si siano bloccate per infiltrazioni mafiose o, perlomeno, non mi risulta assolutamente.

GERARDO D'AMBROSIO. Chiedo scusa, ho letto sul giornale che non si sarebbe presentato nessuno all'appalto perché dovevano assumersi gli oneri dei progetti fatti dai precedenti concorrenti. Quindi, questo rientrava in un costo eccessivo...

ALESSANDRO BRATTI. Questa è di oggi ma, in realtà, ora siamo alla seconda puntata. Gli stessi inceneritori, quattro anni fa, dovevano essere costruiti...

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Comunque a me non risulta che nella fase preventiva, ci siano state infiltrazioni della criminalità ambientale che abbiano ritardato questo procedimento. Io penso che ci sia un problema politico-amministrativo, se posso avanzare un'ipotesi e qui mi fermo; certamente non posso entrare nel merito della situazione regionale siciliana e su tutto quello che ne viene fuori. Io non ho notizia di un ritardo per motivi di criminalità organizzata, e mi fermo qui perché questa era la domanda. Naturalmente, ci sono dei siti di interesse nazionale che possono anche avere delle infiltrazioni; tuttavia, non risulta, allo stato, nulla del genere.
Il vicepresidente De Angelis chiedeva del Lazio. Penso che la situazione del Lazio debba, forse, essere approfondita. Esistono delle situazioni che presentano dei problemi di funzionamento ma riguardano soltanto alcune zone che vedono la presenza di criminalità organizzata. Questo lo sappiamo per certo per alcuni settori, ma non lo sappiamo ancora per il settore dei rifiuti. Che nel Lazio ci siano dipendenti infedeli che hanno potuto determinare alcune situazioni è stato accertato o, comunque, sarà accertato in un procedimento. Non mi sentirei di dire che il Lazio sia totalmente immune, tuttavia non ci sono ancora accertamenti tali o, comunque, che si possano rendere pubblici, che testimoniano una gestione o un'infiltrazione nel settore dei rifiuti nel Lazio di criminalità organizzate di altre etnie o di altre origini.
Riguardo alla lista di Legambiente voglio essere chiaro. Sono liste elaborate in base a indagini già fatte. In genere sono i carabinieri che forniscono i risultati delle indagini svolte. Ci sono anche nominativi di clan che non esistono più; alle volte si parla di clan anche quando questo è composto da due persone e qualificarlo


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clan non è proprio adeguato. L'elenco è vasto e vi sono società certamente coinvolte anche in appalti pubblici. Si poneva il problema se possano continuare ad operare o meno. L'esperienza ci insegna che molte di queste società si creano per quel tipo di lavoro, dopodiché, una volta conseguito l'obiettivo, le stesse persone o altri prestanome cambiano società. Certamente, esiste uno sbarramento per cui queste società non possono più lavorare in certi tipi di lavori.
I controlli per gli appalti pubblici spettano alle prefetture e, devo dire, che spesso avvengono anche con la nostra collaborazione, quando ci richiedono dei dati, o con la collaborazione dell'autorità giudiziaria locale. Certamente, si evita che continuino ad operare quelle imprese che risultano inquinate dalla criminalità organizzata. Dovrebbero essere sequestrate e confiscate, se continuano a lavorare. Si può dire, pertanto, che rimangono fuori dal gioco ma non è detto che i soggetti che facevano parte di quelle imprese lo siano; vi rientrano, infatti, attraverso altre società, altre imprese e altri prestanome. Questo è quello che abbiamo potuto rilevare.
Per quanto riguarda le ATI e le grandi imprese che vengono in Sicilia, mi si chiedeva se il problema di difendere le piccole imprese locali da parte dei referenti politici locali abbia un fondamento o qualcosa del genere. Io non posso esprimere giudizi al riguardo.

DANIELA MAZZUCONI. Nel caso specifico cui mi riferivo, si difendeva il rifiuto delle piccole imprese a consociarsi per raggiungere il massimale previsto dall'appalto. Intendo dire che le piccole imprese avevano la possibilità di associarsi per raggiungere il massimale.

PIETRO GRASSO, Procuratore nazionale antimafia. Sì, ho capito, però non posso dare un giudizio politico-amministrativo sugli amministratori locali e sui loro rapporti con le imprese. Ho una mia idea, e cioè che l'amministratore locale non dovrebbe fare affari né collegarsi con le imprese, ma questo è un altro discorso. Non è detto, peraltro, che ci siano questi collegamenti e questa coincidenza di interessi. Ci potrebbero essere, ma non saprei darle una risposta. Certamente, per quello che mi risulta, le imprese del nord vengono giù a causa di questa legislazione che richiede, appunto, l'iscrizione a certi albi che, a mio avviso, comunque, rappresenta una garanzia di tecnologie.
Le posso garantire, però, che le medesime imprese del nord si affidano comunque a quelle piccole imprese locali; queste vorrebbero magari essere i titolari ma, in ogni caso, sono loro che svolgono i lavori. (Commenti)
Purtroppo, spesso succede. Io mi riferisco agli appalti pubblici in generale, non solamente allo smaltimento dei rifiuti e ai termovalorizzatori; si tratta di un discorso molto più generalizzato. In Calabria, ad esempio, la prima cosa che fa un'impresa del nord che si aggiudica una gara, è inviare qualcuno sul territorio per cercare di capire qual è la situazione prima ancora di iniziare a montare il cantiere. Il piccolo imprenditore che vede questo, che vede, cioè, la grossa impresa del nord - che potrebbe tranquillamente sopportare intimidazioni come quella della sabbia nel motore dell'escavatore o cose di questo genere - che, invece di resistere, addirittura cerca le situazioni anticipando ciò che potrebbe verificarsi e dà un sostanziale riconoscimento a quel sistema fatto di compartecipazioni, di tangenti e di pizzo, chiaramente non pensa di poter resistere. Se non resiste una grossa impresa, che potrebbe farlo, come può farlo il piccolo imprenditore al quale, se bruciano l'unico escavatore che ha, ha chiuso e deve andare a fare un altro lavoro, perché ha finito tutto?
Questo, dunque, è un problema molto più ampio, per cui io mi fermerei qui. La situazione, comunque, va rivista sotto tanti aspetti.
Ho, con questo, chiarito il discorso dei piccoli reati ambientali, che non intendevo assolutamente far transitare.
Per quanto riguarda le cave, le stiamo monitorando e spero che ciò dia buoni risultati. Nella proposta di legge era prevista,


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anche in questo settore, l'estensione alla legge sulle società e sulle quote per quanto riguarda le responsabilità delle imprese. Anche questo è un aspetto che potrebbe essere utile.
Per quanto riguarda i rapporti con l'estero, abbiamo spesso rifiuti che vengono dall'estero e rifiuti che sembra vadano all'estero; se poi ci vadano davvero, non lo sappiamo. In una delle ultime operazioni, nel porto di Gioia Tauro sono stati sequestrati 150 container destinati a Bangkok, ma chi può dire se ci sarebbero mai arrivati?
Riguardo alla tipizzazione dei ruoli, invece, so che sarà molto difficile; tuttavia, se esiste la possibilità di creare un reato associativo in cui si riescono ad individuare i ruoli, penso che un tentativo occorra farlo. Credo, con ciò, di aver risposto a tutto.

PRESIDENTE. Credo che abbia risposto molto esaurientemente a tutte le nostre domande e di questo la ringraziamo. Lei ci perdonerà se, eventualmente, nel corso delle nostre indagini, le chiederemo di intervenire di nuovo.
Una volta concluso il discorso relativo al Lazio o, parallelamente ad esso, abbiamo in programma di fare una visita alla Campania e poi alla Sicilia e, quindi, avremo bisogno dei dati specifici già in suo possesso.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.30.

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