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Seduta del 19/1/2010


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Audizione dei giornalisti Luciano Scalettari, Alberto Chiara e Barbara Carazzolo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei giornalisti Luciano Scalettari, Alberto Chiara e Barbara Carazzolo. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla vicenda delle cosiddette navi a perdere, sulla quale sono state già svolte numerose audizioni.
La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Resta fermo in ogni caso il dovere, trattandosi di un'audizione davanti ad una Commissione parlamentare di inchiesta, per tutti i soggetti auditi a riferire con lealtà e completezza le informazioni in loro possesso concernenti le questioni di interesse della Commissione.
Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che se lo riterranno opportuno i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. L'audizione ha per oggetto la questione delle cosiddette «navi dei veleni» e in particolare i rapporti che come giornalista di Famiglia Cristiana il dottor Alberto Chiara all'epoca ebbe con Francesco Fonti ed eventualmente altre notizie utili a ricostruire questa vicenda.
Lei è già stato sentito certamente sia da questa Commissione, sia dalla Commissione Ilaria Alpi, da cui abbiamo avuto già la documentazione. Interesserebbero alcuni dati. Vorremmo sapere innanzitutto in quali momenti degli incontri con Francesco Fonti questi vi abbia fornito notizie sull'affondamento di navi in Calabria, ossia se da subito o se in secondo o in un terzo momento.

ALBERTO CHIARA. È necessario contestualizzare i fatti: siamo nel 2002 e come Famiglia Cristiana il direttore don Antonio Sciortino aveva continuato nella scelta operata dal suo predecessore, don Leonardo Zega, avvalorando il lavoro di un pool composto dal collega Luciano Scalettari, dalla collega Barbara Carazzolo e da me.
Nel novembre 2002, il collega Luciano Scalettari contatta Francesco Fonti, perché doveva realizzare indagini giornalistiche riguardanti rapporti tra mondo ecclesiale e 'ndrangheta in Calabria. Avvia rapporti di natura professionale e parlando raccoglie informazioni sul coinvolgimento delle organizzazioni cui faceva riferimento il signor Francesco Fonti anche riguardanti lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi e di scorie nucleari. Ci trasmette la notizia.
Personalmente, partecipo a un primo incontro a Milano, il 6 febbraio 2003, avvio una serie di incontri che terminano bruscamente il 2 maggio 2005 con un nulla di fatto. In mezzo a questi due riferimenti temporali, si svolge una serie di incontri avvenuti a Milano e a Moncalieri, alle porte di Torino. Ad alcuni abbiamo partecipato tutti e tre, il sottoscritto, ad altri Luciano Scalettari e io, ad altri Luciano Scalettari e Barbara Carazzolo. Nel nostro lavoro di indagine, il signor Francesco Fonti veniva buon ultimo, perché dal 1998 avevamo avviato inchieste giornalistiche, recandoci in Somalia. Più ancora che la Calabria ci interessava ricostruire, partendo


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dall'omicidio di Ilaria Alpi e dal contorno di traffici di armi, intermediazioni finanziarie, tangenti, la cooperazione che gravitava attorno al Corno d'Africa.
Il signor Fonti cominciò a raccontare una serie di viaggi fatti dalla sua cosca. Ci colpirono le segnalazioni di due spedizioni effettuate in Somalia nel 1988 e nel 2003. La prima riguardava scorie nucleari (siamo all'indomani del referendum sul nucleare in Italia) e la seconda una nave carica di rifiuti tossico-nocivi, che asseriva essere arrivata a Mogadiscio, oltre a una serie di carichi che avevano come destinazione Paesi africani, la Namibia, o dell'area araba, il Qatar.
Chiedemmo a Fonti prove di tali affermazioni, perché intanto sosteneva che l'interessamento della 'ndrangheta risalisse al 1984, a uno degli incontri al Santuario di Polsi, dove ogni anno, contestualmente alla funzione religiosa, si svolgeva una sorta di summit dei rappresentanti delle principali cosche della 'ndrangheta calabrese. Dal 1984 in poi, scoperto il filone redditizio e poco osteggiato dalle norme dell'epoca, diverse ramificazioni della 'ndrangheta si diedero allo smaltimento dei rifiuti.
Il signor Fonti sosteneva che il modello fosse mediato dall'intermediazione finanziaria e che quindi per ogni nave vi fosse una società, di aver noleggiato navi in Norvegia e di averne acquistate in Francia e in Olanda, di aver aperto conti che poi finivano in zone notoriamente protette come Svizzera e Austria piuttosto che Bahamas e altri paradisi fiscali. Noi però lo incalzammo chiedendogli prove.

PRESIDENTE. In questa prima fase, parlò soltanto dei viaggi verso la Somalia e altri Paesi dell'Oriente o anche dell'affondamento di navi al largo della Calabria? Sembra infatti che ci siano due fasi.

ALBERTO CHIARA. Sì, è corretto, presidente. In questa prima parte viene da noi sollecitato soprattutto l'aspetto straniero, estero. Mi rimase impresso il Qatar, la Namibia, la Somalia, che a noi interessava molto. Tenga conto, presidente, che il signor Fonti arrivava dopo un nostro lavoro, per cui ci sembrava molto interessante e opportuno compiere un passo ulteriore rispetto a quanto eravamo già riusciti a produrre sul giornale, come anche lo stesso direttore ci incalzava a fare.
A nostra richiesta, promise documentazione relativa a queste società concernenti le navi e a conti correnti bancari che avrebbero dovuto arrivare da un non meglio precisato Paese straniero.
Come il collega Luciano Scalettari può confermare, dal 2 al 4 aprile 2003 partecipammo nostro malgrado a una sorta di strana caccia al tesoro, perché partimmo da Milano per incontrare un intermediario del signor Fonti, che a un certo punto ci venne annunciato a Pont-Saint-Martin in Valle d'Aosta, ma non arrivò mai. Il 3 aprile 2003 pernottammo in Valle d'Aosta, per poi tornare mogi e senza nulla in mano nelle rispettive sedi, per me Torino e per il collega Scalettari Milano.
Perdevamo man mano fiducia nella credibilità del signor Francesco Fonti, il quale cammin facendo venne di nuovo incarcerato, poi ottenne gli arresti domiciliari presso una struttura ospedaliera, poi finalmente fu di nuovo contattabile. In quella seconda fase, divenne più puntiglioso nel raccontare le vicende africane, ma sempre a livello di parole mai corroborate da pezze giustificative, e annunciò anche, senza entrare nel dettaglio, in questioni più italiane per quanto riguarda non tanto affondamenti in Calabria, quanto lo smaltimento di scorie nel potentino.
Arrivammo a maggio 2005 ritenendo da un lato insufficiente il rapporto, giacché non potevamo pubblicare nulla perché tutti i suoi racconti erano molto interessanti, ma non corroborati da prove, pur coinvolgendo persone e società precise, dall'altro esose le richieste, perché aveva preteso la pubblicazione di un libro e un rimborso spese, ma il nostro giornale non usa questo tipo di trattativa. Su mandato preciso del direttore, quindi, il 2 maggio troncammo il rapporto col signor Fonti. Un mese dopo, apparvero più o meno le


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stesse notizie, con qualche precisa indicazione in più, su un altro settimanale nostro concorrente.

PRESIDENTE. Vorrei sapere in quale momento cominciò a parlare delle navi dei veleni, se dall'inizio o nel 2005. Dopo il 2003, i rapporti si interrompono per un certo periodo, per poi riprendere più avanti. Per quanto riguarda la Somalia ci è chiaro, anche perché avete già reso numerose e corpose dichiarazioni. Non ci è chiaro in che momento Fonti cominci a parlare e se si dichiari autore di affondamento di navi.

LUCIANO SCALETTARI. Mi inserisco soprattutto perché rappresento l'elemento di continuità. Spesso, infatti, eravamo in due e talvolta anche in tre, ma anche per ragioni geografiche, giacché nel primo periodo si trovava agli arresti domiciliari vicino a Milano, ero presente in tutte le occasioni. Con noi non ha mai parlato di affondamenti al largo della Calabria. A noi parlò degli episodi riferiti da Alberto Chiara, di una vicenda di barre di uranio arrivate in Calabria, ma mai di affondamento, né citò il nome della famosa Cunski.

PRESIDENTE. Mi pare che vi sia stato un ampliamento delle notizie fornite da Fonti dopo il periodo di carcerazione a Ivrea.

LUCIANO SCALETTARI. Abbiamo ricevuto una sua lettera dal carcere di Torino e una da quello di Opera. Poi abbiamo saputo che è stato anche a Ivrea.

PRESIDENTE. È esatto concludere che dopo questo periodo di carcerazione con Garelli lui abbia fornito ulteriori notizie? Se non sbaglio proprio lei ha dichiarato che quando parlava Fonti aveva la sensazione che parlasse Garelli.

LUCIANO SCALETTARI. Ovviamente non sappiamo cosa è accaduto quando sono stati nello stesso carcere. Avevamo due versioni: il Fonti «prima maniera» e il Fonti «seconda maniera». Nel Fonti «seconda maniera» entravano una serie di nomi, di circostanze e di riferimenti che nella prima fase non erano stati fatti, ma non possiamo escludere la possibilità che fosse stato parziale nel raccontare nella prima fase. Indubbiamente, però, ciò che non c'era nella prima parte e che c'era nella seconda serie di colloqui, quelli 2005/2006, coincideva con alcune delle cose che in epoca ampiamente precedente ci erano state riferite da Garelli nel carcere di Ivrea, dove ci eravamo recati diverse volte a parlare con lui, tanto da mettere insieme molte cassette registrate.

ALBERTO CHIARA. Questa sensazione è patrimonio comune.

PRESIDENTE. Il memoriale pubblicato dall'Espresso conteneva notizie e fatti di cui aveva già parlato con voi, ma in questo si parla invece ampiamente del suo intervento per affondare tre navi, fatto che in seguito amplierà con altre notizie. Vorrei sapere se nel momento in cui avete preso visione di questa pubblicazione si rilevasse una coincidenza, perché avete affermato che con voi non ha mai parlato di affondamento delle navi.

LUCIANO SCALETTARI. Viceversa, in quel memoriale mancano altre cose che aveva detto a noi. Non mi risulta che abbia mai parlato di Namibia, di OLP, di altre questioni che a noi aveva riferito, così come non c'è l'episodio delle barre di uranio. Si tratta quindi di due versioni parzialmente coincidenti. Ricordo come parlasse della Lynx, della Somalia, della strada per Bosaso, di Giancarlo Marocchino, argomenti dei quali aveva parlato anche a noi, ma non di altre cose, mentre altre non sono state dette.

PRESIDENTE. Qualora lo riteniate possibile e non contrastante con le vostre norme etiche, vorremmo chiedervi una relazione di questi colloqui, perché a noi interessa molto ricostruire questa varietà di dichiarazioni, cioè quello che dice prima e non dopo, quello che dice dopo


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senza averlo detto prima. Ovviamente, vogliamo arrivare a un risultato finale di valutazione di attendibilità, anche a prescindere dal mancato riscontro ad oggi di tutto ciò che ha dichiarato. Non essendo un giudice che deve condannare o assolvere, facciamo anche una valutazione «politica» di tutto questo, per cui per noi è importante valutare cosa abbia detto un'unica volta, cosa successivamente.
Se aveste quindi bozze di articoli che non sono mai stati pubblicati o appunti dai quali potrete trarre una relazione, sarebbe per noi molto utile. A noi interessa soprattutto il fronte dello smaltimento dei rifiuti attraverso attività illecite, a prescindere da Ilaria Alpi, di cui ovviamente non ci occupiamo.

LUCIANO SCALETTARI. La parte certa è quella delle cassette che avevamo registrato. In alcuni degli incontri avevamo acceso il registratore e questo non è smentibile perché è la sua voce. Sugli appunti presi da noi è chiaro che l'attendibilità è meno forte.

PRESIDENTE. Sarebbe possibile avere queste cassette per trascriverne il contenuto?

LUCIANO SCALETTARI. Sì.

PRESIDENTE. Ve ne saremmo molto grati. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

VINCENZO DE LUCA. Ho compreso che ovviamente non riconoscete molta attendibilità e credibilità al personaggio, ma vorrei sapere se Garelli, che avevate sentito prima, abbia parlato della vicenda dell'affondamento delle navi, aspetto che ci interessa per l'inchiesta relativa alle scorie radioattive.

ALBERTO CHIARA. No, Garelli no. Siamo su un altro piano, ossia sullo smaltimento Italia verso estero, quindi non affondamenti in acque territoriali o al largo di territorio italiano. Questo vale per Garelli e per altre fonti che abbiamo sentito.
Lo stesso Francesco Fonti ci risultò interessante lì per lì, perché citava date sua sponte, giacché la prima volta che andammo a sentirlo tutti e tre parlò senza essere sollecitato da nostre domande di due momenti storici, 1988 e 1993, che già risultavano da altre carte, che presumiamo non fossero a sua disposizione.
In altre parole, il nostro lavoro di indagine giornalistica aveva alle spalle indagini giudiziarie di varie Procure italiane, check to check, l'indagine di Vecchiano, Palermo, Milano, Romanelli, Torino, Asti, per cui abbiamo impiegato anni per collezionare letture sinottiche.
Di colpo arrivò Fonti a sostenere che la sua cosca aveva fatto queste due spedizioni, perché dal 1984 la 'ndrangheta decise che lo smaltimento era un business. Pensammo allora di aver finalmente trovato uno in grado di aiutarci. Tenete conto che nel 1993 sbarcare a Mogadiscio significava andare in un porto dove la presenza di contingenti militari era forte, quindi apriva tanti altri scenari. Vero, falso? Di lì abbiamo incalzato noi. In seguito, c'è stata la parentesi in cui ha scontato pene residue. Quando ci si ripresenta, in maniera quasi sospetta diventa molto dettagliato, fin troppo preciso, senza dare quello che aveva promesso. Ci aveva fatto inutilmente girare la Lombardia e la Valle d'Aosta, le carte non arrivavano e nel contempo diventava precisissimo. A mia memoria, però, non ha parlato di affondamenti.

LUCIANO SCALETTARI. Se posso aggiungere, l'esperienza ci aveva insegnato che chi sostiene di aver organizzato un certo tipo di operazione deve avere nella disponibilità una serie di documentazioni. Se, come affermava, si prendono rifiuti dall'Italia per mandarli in Somalia, si devono avere pagamenti estero su estero, liquidare chi ha fornito le prestazioni, avere bolle di accompagnamento di un carico, per quanto false, comunque riferibili a una data, a un nome di una nave,


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a un equipaggio, a un affitto di un'imbarcazione, il passaggio delle dogane come è avvenuto. È infatti necessaria una filiera di lavoro per realizzare un'operazione del genere, per cui, di fronte al fatto che lui si assumeva la responsabilità di queste spedizioni, eravamo autorizzati a chiedergli di mostrarci la documentazione.
Per questo non abbiamo ritenuto che Fonti raccontasse panzane inventate. I criteri di Famiglia Cristiana per la pubblicazione di una testimonianza del genere, che citava circostanze, nomi di uomini politici, di imprenditori, società, esigevano determinati riscontri. Nella precedente esperienza con un'altra persona che affermava di aver partecipato a operazioni di smaltimento di rifiuti, abbiamo lavorato un anno per costruire una serie di riscontri, di puntelli, di informazioni. In quel caso la situazione era diversa, perché era in corso un'indagine della DDA di Milano, per cui l'attività di verifica era stata svolta dalla DDA e il lavoro diventava per noi molto più rasserenante.
Nel caso di Fonti, non solo non c'erano indagini in corso, perché parlava a noi per la prima volta di queste operazioni, ma per di più non forniva la documentazione che doveva avere, per cui abbiamo preferito suggerirgli di rivolgersi eventualmente ad altre testate e altri giornalisti che ritenessero sufficiente ciò che aveva, perché mancavano le garanzie per pubblicare con noi.

ALESSANDRO BRATTI. Vorrei sapere se nel corso delle indagini da voi svolte, al di là del non avere mai trovato riscontro, nel corso dei colloqui abbiate avuto la sensazione che raccontasse cose vissute da protagonista o comunque recepite da fonti credibili o che queste fossero l'invenzione di un personaggio disturbato.

ALBERTO CHIARA. La stizza semmai è dovuta al fatto che affermasse cose verosimili. Non solo, ma le date da lui spontaneamente citate collimavano esattamente con quelle evidenziate da altre inchieste, per cui o lui aveva compulsato le carte di diverse Procure italiane, ipotesi di cui dubito, oppure parlava con cognizione di causa, perché anche le altre indagini portavano alla 'ndrangheta, tra le attività criminali organizzate la più «sul pezzo» non solo in Calabria, ma con necessarie ramificazioni al nord per fare collezione dalle grandi aziende.
Abbiamo avuto contezza che il porto di Rimini è uno di quelli sospettati di essere uno dei punti di partenza da fonti precedenti al signor Francesco Fonti. Parliamo dell'esordio del nostro lavoro, che data appunto 1998, ma di partenze che risalgono alla fine degli anni '80, Progetto Urano, Urano 1 e Urano 2. Quando ha parlato di Rimini, sapendo tra l'altro che ha vissuto in quelle zone, quindi non millantava citando nomi, cognomi, vie di Torino, società che sapevo dalla Procura di Torino essere attenzionate, aveva tutto per essere credibile. Scinderemmo, dunque, il signor Francesco Fonti dagli eventi.
Avendo appreso da altre fonti della concreta possibilità che le spedizioni del 1988 e del 1993 fossero arrivate effettivamente in Somalia, abbiamo sperato di arrivare finalmente ad avere la prova provata, l'habeas corpus, perché spesso naufragano inchieste condotte da fior di investigatori. Non è stato possibile, per cui Famiglia Cristiana non ha pubblicato un rigo.

BARBARA CARAZZOLO. Personalmente, me ne sono occupata molto meno, perché stando a Roma avevo meno contatti. Un'altra delle cose plausibili era la nave che secondo Fonti approdò a Mogadiscio nel 1993 e scaricò armi e rifiuti non radioattivi, ma tossici. Da altre fonti istituzionali e militari italiane presenti (servizi segreti, Pucci) risultavano voci dell'arrivo di una nave nel porto di Mogadiscio nel 1993, esattamente l'anno indicato da Fonti per il secondo viaggio in Somalia, nave che aveva scaricato armi e rifiuti. L'esercito dichiarava di non avere visto, ma parliamo della Somalia e di una realtà particolare...

PRESIDENTE. Per la verità, ha detto che l'Esercito si girava dall'altra parte.


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BARBARA CARAZZOLO. Bravo. C'era anche un altro riscontro, perché dall'inchiesta di Asti risultava che un testimone aveva fotografato quello che secondo lui poteva essere un luogo dove erano stati sepolti rifiuti, e queste foto giacevano presso la Procura di Asti. Una serie di elementi non fondamentali, che dovevano essere comunque comparati, sembravano dimostrare che non raccontasse balle nella prima fase. Queste navi che arrivavano all'estero, soprattutto le due che sarebbero arrivate in Somalia, avevano alcuni elementi di riscontro.

LUCIANO SCALETTARI. Vorrei aggiungere qualcosa a proposito del permanere di questo dubbio che raccontasse in parte cose vissute da lui o da altri, ma comunque con qualche fondamento. Nel 2005, racconta all'Espresso della strada da Garoe a Bosaso. Nell'estate del 2005 - tra l'altro avevamo consegnato all'allora Presidente Paolo Russo la documentazione qui - nel viaggio fatto lungo la Garoe-Bosaso e anche lungo la costa alcuni testimoni somali, dipendenti dei consorzi delle ditte italiane che hanno lavorato sulla strada tra il 1988 e il 1991, riferivano di aver assistito al seppellimento di materiali, quali sacchi di iuta, piccoli e grandi fusti, materiale vario.
Fonti indicava un certo chilometro della Garoe-Bosaso, ma le indicazioni dei testimoni riguardavano altri luoghi, non lontani in alcuni casi, ma non nel punto preciso indicato da Fonti. Ricordo con curiosità come nel punto indicato da Fonti, al ventunesimo o ventisettesimo chilometro a partire da Bosaso avessimo trovato i resti del campo base di uno dei due consorzi, il Consorzio Saces, e un villaggio somalo sorto quando gli italiani avevano posto lì il loro campo base. Curiosamente, quindi, la sua indicazione coincideva precisamente con questo villaggio.
I rifiuti penetrano sottoterra e individuarli non è facile, anche usando strumenti quali il magnetometro, che si usa in geologia per rilevare anomalie magnetiche. Se ci fosse stato del metallo, l'avremmo anche potuto trovare, ma avevamo un'indicazione da punto GPS ed è sufficiente un errore di trenta metri perché il magnetometro non dia alcuna risposta. Noi lì non abbiamo avuto riscontro, il che non significa che non ci sia qualcosa, naturalmente.

ALBERTO CHIARA. Completo solo con un particolare che mi sovviene adesso: nell'ambito delle verifiche che può fare un giornalista, quando nella prima fase il signor Francesco Fonti ci parlò di Namibia, potemmo constatarne la credibilità con fonti del mondo missionario che non cito per la tutela delle fonti, come quando ci parlava di Mozambico attivammo i nostri canali in loco, (missionari, ONG) o come nel caso di Haiti. Le premesse quindi erano tutte positive, ma cammin facendo ci si è allontanati e le divergenze sono state incolmabili.

PRESIDENTE. Resta il mistero di capire perché fornisca notizie straordinariamente precise, ma, come avete constatato, manchi il riscontro anche su vicende che sono conoscibili solo da poche persone quali nomi di navi o di aziende. Vorrei sapere se abbiate idea di come Fonti possa conoscere tante cose senza però fornire alcuna prova.

LUCIANO SCALETTARI. Mi chiedo se contino le opinioni in queste cose. Abbiamo a lungo frequentato Garelli, quindi abbiamo imparato addirittura la costruzione del pensiero, del modo di presentare le cose. Ciò che ci ha fatto fare un passo indietro è fondamentalmente il dubbio di un forte inquinamento in quella direzione, perché Garelli rappresenta una figura particolarissima nei rapporti che quest'uomo ha avuto con i servizi segreti di Paesi diversi, giacché è testimoniato in atti giudiziari come Garelli entrasse a Camp Darby senza bisogno di particolari permessi, cosa che non fa chiunque. Aveva effettivamente sedi a Gibilterra, è stato condannato per ricettazione, ma, al di là della ricettazione di auto rubate, forniva automobili a figure di suo interesse.


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Questa liaison con una figura come Garelli ci metteva in forte difficoltà, perché comunque significava che l'eventuale inquinamento sarebbe stato molto grave. Fonti è stata una figura di un certo rilievo dentro la sua cosca: era un consigliere della famiglia Romeo di un certo peso, e quando ha iniziato la sua collaborazione ha fatto arrestare un centinaio di persone, che sono state condannate. Abbiamo cercato di recepire l'opinione dei magistrati che avevano avuto a che fare con lui, che ci confermavano come a metà anni '90, in occasione della collaborazione, Fonti fosse stato ritenuto attendibile. Resta la precisione nei nomi citati, mentre c'è qualche scivolone su imprecisioni come quella del chilometraggio della strada, indicazione opportuna solo perché sul giornale fa effetto citare il ventunesimo o ventisettesimo chilometro, ma insufficiente per trovare il sito dei rifiuti, mentre un punto GPS sarebbe stato diverso.
Su altre vicende è stato molto preciso, come dimostra anche quanto emerso di recente. Il problema è capire se sia tutta farina del suo sacco.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

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