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Seduta del 20/1/2010


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Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, Nicola Maria Pace.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, Nicola Maria Pace.
L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla vicenda delle cosiddette navi a perdere, sulla quale sono state già svolte numerose audizioni.
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Il dottor Pace è stato già sentito dalla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e anche dalla Commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, e Miran Hrovatin per cui abbiamo già del materiale importante da utilizzare. Vorrei porle qualche domanda di ulteriore chiarimento. Vorrei sapere innanzitutto in che momento e con quali modalità è venuto a conoscenza che vi sarebbero state navi affondate contenenti rifiuti pericolosi o addirittura radioattivi.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Vorrei innanzitutto salutare la Commissione con la quale ho già avuto modo di collaborare, sia pure con diverse composizioni. Auspico che questo accurato lavoro valga non solo a una ricostruzione storica degli avvenimenti, ma anche a rappresentare un efficace impulso a una verifica seria di questo fenomeno, come la gravità degli interessi in gioco impone e come si deve alla memoria e al sacrificio di chi ha lasciato la vita per queste indagini.
Per consentire anche alla Commissione di calibrare meglio le domande e quindi di conoscere le mie possibilità di risposta, devo riferire come sono arrivato a questa materia.


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All'epoca ero procuratore di Matera e, appena assunto questo incarico, ho avviato indagini sui centri italiani di riprocessamento del combustibile nucleare, i centri ENEA; direttamente sul centro ITREC di Rotondella e per riflesso, perché le situazioni erano speculari, sul centro Eurex di Saluggia. L'indagine era concepita in maniera modulare, nel senso che si proponeva di procedere per tappe in relazione a una gerarchia di situazioni, che avevo stabilito sulla base dei diversi livelli di rischio per la popolazione e per l'ambiente che una eventuale cattiva gestione, come già si profilava, dei materiali e dei rifiuti in questi centri potesse comportare per la popolazione locale e per l'ambiente circostante.
Naturalmente, erano indagini estremamente complesse e difficoltose per l'elevato grado di complicità e di omertà. Ho impiegato circa un anno e mezzo per decifrare il termine «riprocessamento» laddove ero indotto a ritenere che fosse una sorta di ricarica, mentre in realtà si trattava proprio di una forma di un processo chimico fisico inverso, cioè quello di estrarre da elementi di combustibile materiali fissi, cosiddetti «speciali» destinati agli armamenti, alle bombe di tipo atomico. Queste indagini erano già abbastanza avanti e avevano portato a svelare situazioni molto gravi, per non dire addirittura drammatiche, tanto che quando ho scoperto che si erano già verificati tre incidenti nucleari rilevanti in uno di questi centri, dovendo rendere noto questo fatto che imponeva degli interventi professionistici all'autorità di Governo, sarei stato costretto ad attivare i quattro Ministeri aventi competenza su questi centri, preferii mettere in busta riservata un messaggio per il Capo dello Stato. Quella stessa notte egli mi fece ringraziare dalla segreteria, con la raccomandazione di informare anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, cosa che feci istantaneamente. Il Presidente del Consiglio dell'epoca affidò l'incarico al sottosegretario di seguire l'andamento di queste indagini, delle quali ho riferito anche alle Commissioni dell'epoca.
Per quanto riguardava la gestione dei materiali più pericolosi in tema nucleare, cioè i residui liquidi da riprocessamento del combustibile, che sono di alta attività e per di più sono anche corrosivi, cosa che ne rende particolarmente delicata la custodia, queste indagini erano già molto avanti e prospettavano situazioni di rischio che peraltro sono tuttora presenti.
Sono costretto ancora una volta a indicare questa situazione alla Commissione, a un organismo istituzionale di questo livello, perché si accerti...

PRESIDENTE. Si può fermare un attimo su questo aspetto? Sono ancora presenti in relazione a quali provenienze del materiale? Oggi, infatti, il materiale nucleare non dovrebbe essere più prodotto nel nostro Paese. Vorrei sapere quindi a cosa si riferisca nell'affermare che tuttora esiste questa situazione di rischio.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Mi riferisco alla giacenza per quanto riguarda l'impianto ITREC di Rotondella di 2,7 tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta attività giacenti in strutture ingegneristiche di contenimento, che già vent'anni fa avevano mostrato i segni dell'usura ed erano già «scaduti», secondo il gergo tecnico utilizzato in sede di analisi di rischio, e che, essendo stati corrosi e avendo manifestato cedimenti strutturali, avevano dato luogo ai tre rilevanti incidenti nucleari.
Secondo le buone tecniche di gestione dei materiali nucleari accettati in campo internazionale, questi materiali dovrebbero essere ceramizzati o vetrificati, perché solo in queste matrici si può tenere solido il materiale senza esporlo a dilavamento, a screpolature, a perdite di sostanza.
L'ENEA ha sempre menato le cose per le lunghe immaginando una forma di solidificazione per cementificazione, ma all'epoca feci una consulenza per dimostrare al più alto livello scientifico possibile che la cementificazione non solo determinava un abnorme aumento dei volumi,


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fatto da evitare in materia di gestione del nucleare, ma esponeva i materiali al fenomeno del dilavamento, quindi a una possibilità di propagazione nell'ambiente.
Mi risulta che ad oggi, almeno per quanto riguarda l'impianto ITREC di Rotondella, mentre non posso esprimermi con lo stesso grado di certezza per quello che riguarda Saluggia, non si sia proceduto alla solidificazione secondo un sistema corretto.
La collaborazione con la Procura di Reggio Calabria interviene mentre sono già molto avanti e ho ormai due o tre anni di indagini faticose alle spalle in materia nucleare. Vengo contattato telefonicamente dal collega Neri della Procura di Reggio Calabria, il quale evidentemente sapeva delle mie indagini che avevano avuto anche una certa risonanza mediatica, perché avevano comportato il sequestro dell'impianto ITREC di Rotondella. Mi chiese di scambiare con lui alcuni punti di vista a proposito di una vicenda che aveva aspetti abbastanza curiosi.
Si trattava di una nave che era approdata nel porto di Palermo. Sottoposta a verifica radiometrica, aveva denunciato la presenza di materiali radioattivi e pertanto invitata ad allontanarsi dalle acque territoriali. Aveva tuttavia compiuto un periplo, ricomparendo quindi sulle coste ioniche della Calabria, dove era stata intercettata e dove, alla misurazione radiometrica, non aveva più mostrato segni di radioattività.
Francesco Neri mi poneva dunque il quesito di cosa fosse successo. Gli dissi che di quelle vicende sarebbe stato più opportuno parlare di persona e non al telefono. Sapevo già quanta delicatezza e quanta prudenza impone la trattazione di questi argomenti, per cui ci siamo incontrati ed è cominciata una forma di collaborazione, che inizialmente era basata soltanto sulla condivisione delle mie conoscenze acquisite faticosamente in materia, e che poi si è voluta invece in una serie di attività che abbiamo svolto con atti eseguiti in maniera congiunta, quindi con verbali redatti a doppia firma.
L'attività è stata svolta sia nelle nostre rispettive sedi, sia soprattutto a Brescia, dove abbiamo fatto capo a una struttura del Corpo forestale dello Stato che ci ha accompagnato in un lungo percorso, fino alla scoperta prima del progetto DODOS, poi della trasposizione in ambito criminale di questo progetto di alto valore scientifico nel progetto ODM, risalente a questo soggetto di Garlasco in provincia di Pavia.
Alla prima domanda con cui il presidente chiedeva come fossi venuto a contatto con la materia relativa alle navi ho quindi risposto evidenziando l'attività collegata alla Procura di Reggio Calabria, attività inizialmente svoltasi su un piano di semplice scambio di informazioni, idee ed esperienze in materia nucleare e successivamente divenuta attività di indagine propriamente detta, che abbiamo condotto con le nostre rispettive unità di polizia giudiziaria e con la collaborazione del Corpo forestale dello Stato di Brescia.

PRESIDENTE. Vorrei sapere se per quanto riguarda ENEA, parte più corposa della sua indagine, avesse potuto constatare se al centro ENEA giungessero anche materiali radioattivi esterni, cioè provenienti da altri Paesi o da altre fonti di produzione.
Vorrei chiederle inoltre se il sistema di controllo dell'entrata e dell'uscita di questi materiali fosse in grado di garantire almeno che ciò che usciva fosse verificato, cioè risultasse in modo documentale. Uno dei punti sostenuti da Fonti che stiamo verificando, infatti, è che questo materiale radioattivo provenisse dall'ENEA di Rotondella, attraverso camion che uscivano durante la notte. Vorremmo quindi capire se la situazione contabile potesse offrire una qualche garanzia di verifica di ciò che entrava e usciva.

ALESSANDRO BRATTI. Vorrei sapere se l'attività di formazione che pare fosse svolta a Rotondella con personale iracheno piuttosto che di altra provenienza fosse un'attività regolare, che risultava agli atti, se fosse normale per quel periodo o vi fosse altro.


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NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Nel centro non c'era un giornale di bordo, ma emergeva chiaramente da una serie di elementi, tra cui molto significativo, anche se non testuale, non elemento di prova diretta, fu un colloquio con un personaggio straordinario, il Professor Adamesteanu, grande archeologo che ha dedicato la sua esistenza alla ricerca archeologica in Basilicata. Mi rivolsi a lui per sapere chi potesse darmi indicazioni sui cosiddetti «siloi», strutture risalenti al IV secolo a.C. scavate dall'uomo nell'area portuale del Sinni, in cui poi si posizionerà il centro ENEA di Rotondella.
Rimasi colpito dalla pagina 71 di un libretto nel quale compariva un siloi e si riportava la foto di un contenitore di materiale radioattivo calato nel siloi con la dicitura, che mi risultò disgustosa: «così i siloi sono tornati a svolgere una funzione». La funzione di contenimento dei cereali scambiati nell'area portuale del fiume Sinni veniva sostituita da una funzione di discarica, di contenimento dei rifiuti. Non ebbi la possibilità di sostenere l'accusa in dibattimento nel processo nei confronti dei responsabili dell'ENEA, ma avevo sempre pensato che avrei cominciato da pagina 71 di quel libro per evidenziare il livello di sottocultura nella gestione della materia nel trattare anche il retroterra storico-culturale della regione.
Mi rivolsi al professore per sapere chi potesse fornirci indicazioni per scoprire questi siloi e avere la prova dell'esistenza di materiali in queste buche. Nella sua piccola casa di campagna, con il candore dell'uomo di scienza dichiarò di non essersene mai occupato ma di conoscere una persona che ne aveva addirittura tracciato una mappa, avendo scritto un libro sui siloi. Possedevo questo libro, ma un giorno mi fecero visita alcuni iracheni - la mia polizia giudiziaria accertò il luogo dove soggiornassero - e verificai poco dopo che il libro era sparito.
Convocai quindi l'autore di quel libro, il professor Quindici, docente di antropologia culturale all'università di Bologna, che peraltro collegai con altre, lontane indagini da me svolte sui NAR quando ero giudice istruttore a Treviso. Già per telefono gli chiesi se fosse in grado di localizzare i siloi, mi rispose di aver tracciato anche una mappa, per cui accettò di assumere l'incarico di consulente venendo a Matera. Ci incontrammo, al momento dell'incarico trapelò l'obiettivo per cui gli chiedevo di individuare i siloi, la consulenza fu accettata ma non dette alcun esito e mi fu dichiarato che non era stato possibile individuarli.

PRESIDENTE. Queste sono notizie interessanti, ma le avevamo posto due domande più specifiche, ovvero se al centro ENEA venissero controllati e documentati l'ingresso e l'uscita di materiale radioattivo, e quella sulla presenza di questo personale iracheno e sugli elementi in grado di spiegarla, ovvero se si trattasse di in'attività ufficiale o di un'attività sotto copertura.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Ho invece invertito l'ordine nella risposta. Proprio la presenza nel centro ENEA di Rotondella di materiali di provenienza esterna e gli elementi che prefiguravano una movimentazione di questi materiali mi collegavano con l'ipotesi di un'attività di smaltimento illegale o clandestino di rifiuti. Questo rappresentava il tratto di congiunzione fra la mia indagine e quella di Reggio Calabria.
Quali erano questi materiali? Nel centro vi era la giacenza di quattordici container di materiali radioattivi di provenienza ospedaliera, rifiuti meno impegnativi provenienti dagli ospedali, da centri di ricerca e di cura dei tumori. Si sa che esiste anche un nucleare «civile», c'è perfino un nucleare che deriva dall'industria alimentare, perché la sterilizzazione degli alimenti si fa anche con il bombardamento neutronico, dagli istituti radiografici.
Oltre a questi c'erano le testine di parafulmine. Peraltro, proprio dalla giacenza di questi fusti con le testine di americio, l'isotopo usato per ionizzare


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l'aria per attrarre i fulmini secondo una tecnologia invalsa fino al 1934, dopodiché si è passati a una tecnologia di tipo. Questo è anche un altro fattore di rischio di carattere generale, perché le nostre caserme, le nostre chiese, i nostri ospedali sono tuttora dotati di parafulmini di vecchia maniera o di rilevatori di fumo basati sulla radioattività.
Si tratta di una radioattività di tipo Alfa, quindi facilmente schermabile, tanto che basta un involucro di rame oppure di plastica, che però ha una durata limitata nel tempo, per cui, se si scopre, c'è una propagazione di radioattività nell'aria. Nell'ENEA c'erano fusti da duecento litri, che contenevano tante testine di parafulmine. Da qui mi nacque l'idea di bonificare la provincia di Matera, che in Italia fu l'unica bonificata di tutti i parafulmini censiti, individuati e tolti, tanto che il Ministero della salute dell'epoca mi chiese anche il protocollo operativo nella prospettiva di estendere questa iniziativa a tutto il Paese, cosa che sarebbe molto salutare perché ad esempio in caso di terremoto nessuno si occupa di sapere dove sia finita la testina di americio che va in discarica e che propaga radioattività per 4000 anni.
Del resto, abbiamo anche i materiali ferrosi che vengono dalle nostre ferriere in rifusione a Trieste. Mi è capitato di intercettare un carico contenente una testina di americio, che proveniva dai Paesi dell'est, in quel caso dalla Repubblica Ceca.
Altro materiale esterno riguardava rifiuti industriali. Quelli non sono però stati censiti e visti da me, ma erano oggetto di segnalazioni di cittadini, che nel corso delle indagini riferivano di un viavai notturno di camion. Anche se quello non era l'oggetto specifico delle mie indagini, visto che mi riferivo soprattutto ai rifiuti radioattivi ad alta attività e alla piscina di stoccaggio, che rappresentavano e rappresentano ancora oggi il principale fattore di rischio, subito si intercettò questa problematica secondaria, che mi induceva a seguire con particolare attenzione la vicenda delle navi.

ALESSANDRO BRATTI. Volevamo sapere se il materiale stoccato nella piscina fosse relativo alle nostre centrali o arrivasse da fuori.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Quello che ho elencato adesso era materiale esterno. Nella piscina di stoccaggio c'erano e ci sono 64 barre di combustibile nucleare derivanti dalla centrale nucleare di Elk River nel Minnesota. In origine erano 64 più 20, ma queste ultime sono state riprocessate. Dal riprocessamento delle 20 barre di combustibile sono derivati 2,7 metri cubi di materiale radioattivo liquido ad alta attività, che, secondo le regole di gestione di questo materiale, prospetta il massimo rischio per un impianto di questo tipo. Questo incidente è il fenomeno di nitrazione. Questi materiali, che partono da temperature di 1.760 gradi, hanno un tempo di raffreddamento molto lungo, necessario per poter portare i materiali a una temperatura di gestione che è di 400 gradi. In questo tempo, che dura circa venti anni, i materiali sono contenuti in strutture di acciaio e carbonio che devono essere adeguatamente raffreddate.
Il malfunzionamento di un impianto di raffreddamento fa surriscaldare i materiali, li fa evaporare, perché sono in forma di poltiglia. L'evaporazione produce vapore, che pressurizza le pareti del contenitore, il quale esplode e succede quello che è successo a Chelyabinsk 65, una delle famose città segrete negli Urali con impianti similari a quelli di Rotondella e di Saluggia. Fino a queste indagini, tali impianti erano contrabbandati come strutture di ricerca, mentre la situazione era cimiteriale, tra l'altro oltremodo pericolosa, perché riconnessa con questo rischio specifico degli impianti di riprocessamento, dove giacciono materiali allo stato liquido, donde deriva l'obbligo di solidificarli in maniera corretta.
Vorrei che lei mi richiamasse più spesso, signor presidente, perché purtroppo le tematiche sono talmente concatenate e vaste che rischio di dilungarmi.


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PRESIDENTE. Le spiego allora il nostro obiettivo. Stiamo soprattutto verificando le dichiarazioni di Fonti e il fenomeno delle navi dei veleni, laddove secondo Fonti questo materiale veniva portato per essere seppellito e forse veniva portato sulle navi.
Vorremmo sapere quindi se la documentazione su ciò che arrivava al centro ENEA e ciò che ne usciva consentisse di stabilire se del materiale fosse riciclato in modo occulto, se abbiate potuto constatare che quei camion svolgessero attività del tutto regolari fatte di notte o attività occulte, e dove andassero quei camion.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Premetto che non ho mai interrogato Fonti, non lo conosco e non ho contezza delle sue dichiarazioni. Quanto sto riferendo alla Commissione è oggetto di indagini fatte, per cui i riferimenti sono magari offuscati dai venti anni trascorsi, ma hanno comunque un radicamento nell'attività concreta svolta sul campo.
Nel centro ENEA di Rotondella, esiste una contabilità nucleare. Il registro contabile nucleare ha una particolare importanza, perché è soggetto a una vigilanza stretta da parte della AIEA, l'ente internazionale che controlla il rispetto dei trattati di non proliferazione delle armi nucleari, quindi anche materiali che possono essere di interesse strategico-militare.
Ho attentamente valutato la contabilità dell'ENEA, che presentava delle anomalie, ma non tali da indurre a ritenere che camion di materiali potessero uscire. Mancava il plutonio, ed è forse anche peggio perché il plutonio è uno dei due materiali di interesse in sede di riprocessamento. Si fa il riprocessamento del combustibile nucleare proprio per estrarre dalle barre di combustibile esauste, quindi non scaricate, ma non più buone per insistere nel processo di scissione, perché, se si procedesse a oltranza, le scissioni dell'atomo risulterebbero talmente accelerate da risultare esplosive, aspetto che Fermi strumentalizzò nel progetto di bombe atomiche.

PRESIDENTE. In modo occulto può essere uscito del materiale radioattivo secondo i dati che lei ha raccolto?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Secondo il confronto fra i dati in contabilità e il magazzino nucleare mancava il plutonio. Questo aspetto costituirà un seguito di indagine, che verrà ripreso dalla procura di Potenza. Ad essere sincero, a me non sembrava questo l'aspetto più preoccupante, così come neppure la presenza degli iracheni per imparare il mestiere del riprocessamento. La cosa più importante è per me la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente, quindi la piscina di stoccaggio e il contenitore da 2,7 metri cubi.
Tra l'altro, in partenza i miei dati facevano riferimento a 10 metri cubi, ma nella contabilità si trovarono 2,7 metri cubi. Non ho ragione di contestare il dato, ma so che i primi elementi investigativi facevano riferimento a un quantitativo di rifiuti della peggiore specie nell'ordine di 10 metri cubi. A Saluggia, credo ce ne siano tuttora 20 metri cubi.
La contabilità risultava inveritiera soltanto per quanto riguarda il plutonio, fatto non di poco conto, tanto che su questo tema c'è stata una notevole dialettica con i massimi esponenti dell'ENEA. Pur non essendo un fisico nucleare, mi sono dovuto misurare con il presidente di ENEA, che era addirittura candidato al premio Nobel per la fisica e ho dovuto addirittura contestare quanto asseriva, ovvero che nel riprocessamento degli Elk River non si producesse plutonio. Sono stato quindi costretto a chiedergli se non fosse vero che con l'aggiunta di un neutrone l'U-238, l'uranio naturale diventa prima nettunio e poi plutonio 240. Il professore ha quindi dovuto ammettere l'esistenza di «tracce».
La contabilità nucleare riferita ai materiali sensibili, importanti era lacunosa o inveritiera soltanto per quanto riguarda il plutonio. In contabilità non ricadevano e forse non era nemmeno previsto che ci fossero i rifiuti, che non sono di interesse ai fini dei SALT 1 e SALT 2, i trattati


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internazionali di non proliferazione, perché dalle testine di parafulmine, dai 6.000 fusti di terreno decorticato dal suolo, altro materiale esistente in ENEA, non si possono ricavare ordigni nucleari. Esisteva quindi un'imponente serie di materiale. Nell'impianto infatti esiste un magazzino nucleare in cui si trovano uranio e torio, dove ci dovrebbe essere il plutonio, che non c'era. C'erano 64 barre di combustibile da riprocessare, cosa che poi non è stata più fatta per la moratoria del 1987.
Poi si passa alla zona rifiuti, nei vest, negli impianti di stoccaggio dei rifiuti, con innanzitutto i due vest con rifiuti liquidi ad alta attività, ai quali si connetteva il maggior rischio con il processo di nitrazione. Tra l'altro, l'analisi del rischio di un impianto di questo tipo è raccapricciante, perché disegna la mappa di tutti gli eventi verificabili, a partire dal più alto, che è il processo di nitrazione, fino alla quantità del cesio mandato in mare e dell'individuazione dei gruppi a rischio, da cui apprendemmo le valutazioni sui pescatori di Nova Siri; tante ore al giorno in mare, tanto cesio, tanti tumori, tanti morti. Venivano citati anche paesi che, pur essendo lucano, non avevo mai sentito nominare, che, per una questione orografica di venti, erano soggetti ad apporti di radioattività che li rendevano a rischio.
Purtroppo, questa è una situazione ancora presente, anche se nell'immaginario sociale si è diffusa l'idea che nel 1987 si sia spenta la luce e siano cessate le condizioni di rischio, mentre sono solito affermare che il nucleare è più pericoloso da morto che da vivo, tanto che, se un reattore va in crisi, lo si alimenta con materiale fresco.

PRESIDENTE. Volevo sapere se, proprio in relazione a queste attività eventualmente illecite, siano state sentite le persone che lavoravano presso il centro, se abbiano fornito elementi su trasporti poco trasparenti e se abbiate individuato imprese di camion che potevano averli effettuati.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Desidero precisare che questo è il settore di indagine di mia esclusiva competenza, quello che mi ha portato a collegarmi con la Procura di Reggio sull'ipotesi di un eventuale interesse dell'ENEA all'attività di smaltimento in mare attraverso le navi.
Certo che furono fatti degli accertamenti sulla base delle voci su camion che uscivano ed entravano di notte, fatto strano per un centro come quello, presidiato per particolarissime esigenze di sicurezza. Dai registri contabili, non la contabilità nucleare che ha i timbri della AIEA ed è assoggettata ai controlli dell'Euratom, per quanto riguardava materiali esterni che arrivano dagli ospedali e dovevano avere la caratterizzazione, il registro di carico e scarico, tutta la documentazione dei rifiuti trasportati era detenuta in un armadio metallico, che però fu trovato vuoto.
Sulla base delle informazioni fornite da cittadini, non ricordo se anche di ambientalisti, alla luce degli accertamenti di polizia giudiziaria disposti da me, si verificò che mancava il registro relativo alla contabilità di questi materiali esterni. Non so se sono stato chiaro: doppia contabilità, una nucleare e una relativa ai rifiuti...

PRESIDENTE. Chiarissimo: questa seconda mancava. Desidero chiedere ancora chiarimenti su due punti. Vorrei sapere se sia accaduto che lei o il dottor Neri siate stati oggetto di attenzione da non meglio precisati soggetti che vi filmavano o vi seguivano e se abbiate effettuato indagini in relazione a queste situazioni abbastanza singolari per quanto riguarda l'attività di un magistrato.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Questo è un tema che affronto sempre con poca determinazione, perché sin da piccolo non ho avuto forti percezioni della paura, quindi tendo a sottovalutare, ma vi espongo alcuni fatti oggettivi. Gli episodi più gravi si sono verificati nell'ambito di 15 giorni: nell'arco di due settimane muore De Grazia, si dimette il


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colonnello Martini, regista delle indagini e delle attività strettamente investigative.
Per sviare gli antagonisti con Neri decidiamo di vederci non a Matera o a Reggio Calabria, ma a Catanzaro e durante la trasferta, mentre personalmente non mi accorsi di niente perché nella mia macchina non avevo scorta e durante il viaggio sonnecchiavo, Neri che aveva una scorta si accorse con i suoi e verificò con i computer di bordo di essere seguito da una macchina della 'ndrangheta. Fece scattare l'allarme, mi telefonò, prendemmo direzioni diverse e riuscimmo a tornare. Riferisco il fatto nella sua oggettività, senza averlo mai interpretato in chiave di paura.
Per quanto riguarda l'essere filmati, sono invece testimone diretto, perché fui proprio io a Brescia, mentre fervevano le attività, a scoprire che qualcuno ci stava filmando da un camper parcheggiato a poca distanza dalla sede del Corpo forestale dello Stato di Brescia. Proposi al team investigativo di perquisire il camper, ma si considerò più opportuno far finta di niente. Proprio il colonnello Martini, uomo di poche parole, al quale ho sempre riconosciuto una grande capacità di strategie, disse di non preoccuparsi.
Lavoravamo giorno e notte nel periodo in cui effettuammo le 16 perquisizioni a Comerio e agli altri, fatto che poi ha portato alla definitiva scoperta del progetto ODM e al suo collegamento con il progetto di partenza DODOS, che credo sia ancora negli scaffali della Procura di Matera, perché ho disposto l'acquisizione di questi otto volumi del progetto DODOS, che, impressionante per lo spessore scientifico, aveva tutta la dignità per rappresentare una validissima alternativa al sistema dell'interramento dei rifiuti in cavità geologiche. Questi sono gli episodi che posso riportare.

CANDIDO DE ANGELIS. Dai resoconti delle passate audizioni emerge come lei abbia inviato Martini alla Presidenza della Repubblica per avvisare, alla presenza di Gifuni, Cardia, Dini. Vorrei sapere cosa avvenne rispetto a quella segnalazione.
Dalle sue dichiarazioni sembra che lei dia per scontato cosa avvenne a De Grazia. Effettivamente, le circostanze della sua morte appaiono largamente sospette. Lei considera scontate anche le ampie responsabilità dei servizi segreti italiani in questi fatti, come se avesse ben chiaro il piano, la funzionalità dei siloi. Poiché lei si è fatto il quadro della situazione, perché questa non si chiude?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Perché questa situazione per chiudersi ha bisogno di una cosa molto semplice, ma molto onerosa e animata da una forte determinazione, ovvero andare a vedere le navi, cosa che all'epoca non fu fatta perché non si poteva fare. Ricordo la sensazione quasi di dolore che ebbi quando telefonai alle Nazioni unite per fare due domande. La prima era quali fossero le convenzioni internazionali a difesa del mare. Ci risposero che stavano facendo l'elenco e non erano in grado di comunicarcelo.
Mi procurò un sentimento di angoscia e di sofferenza sentirmi dire che non si poteva fare per la Rigel, la nave su cui si addensavano e si addensano i maggiori sospetti, perché il massimo era stato fatto per Ustica. L'aereo di Ustica si trovava a una profondità di circa 600 metri, mentre la Rigel purtroppo era a 2.400 metri. Tra l'altro, qualcuno paventò la presenza di una cosa di cui non avevo mai sentito parlare, le «correnti di torbida», capaci di spostare o disintegrare i relitti a grandi profondità.
Ricollegandomi alla parte finale della sua giusta osservazione, illustro quanto ancora va fatto, Fonti o non Fonti, perché ora sto ragionando soltanto sulla base dei dati investigativi acquisiti, che mi hanno portato al convincimento ragionevole, basato sugli atti a disposizione di un pubblico ministero, che rendono più che verosimile una certa ipotesi, che le navi esistano, che siano state affondate e per questo sia morto anche De Grazia, che già gli affondamenti siano avvenuti con modalità tali da suscitare fondati sospetti, che


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gli elementi investigativi addensino questi sospetti e ci inducano a ritenere che fossero carichi di rifiuti, magari non tutti radioattivi perché non si spiegherebbe l'impiego di navi per questa attività di smaltimento in mare, è sufficiente buttare senza caricare navi. Non c'era dunque altro da fare che accedere ai relitti, soprattutto al relitto che maggiormente prospettava questa possibilità.

PRESIDENTE. Ma non fu individuato il luogo in cui si trovava la Rigel.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Sì, noi abbiamo sempre saputo che fosse al largo di Capo Spartivento.

PRESIDENTE. Però non fu trovata?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Noi non è stata mai cercata.

PRESIDENTE. La seconda domanda per noi molto interessante riguarda la morte del capitano, per cui vorremmo sapere se lei sia in possesso di qualche elemento obiettivo o colleghi una serie di elementi, quali il fatto che stesse indagando su questo e che sia morto in circostanze particolari.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. No, presidente, devo ribadire un sentire soggettivo. Naturalmente, il sentire soggettivo di chi svolge le indagini non è mai esito di pura fantasia, come ci insegnano i nostri professori processualisti, laddove le cosiddette «intuizioni» dell'investigatore sono frutto non di fantasia, ma dell'interrelazione di una serie di dati che nel loro collegamento automatico nel cervello di una persona fanno scattare un'ipotesi.
Quando è giunta la notizia della morte di De Grazia io, Neri ed altri non abbiamo avuto dubbi sul fatto che quella morte non fosse dovuta a un evento naturale. Avevo sentito De Grazia alle 10,30 di quella mattina, mi aveva detto che con una delega di Neri si sarebbe recato prima a Massa Marittima e poi a la Spezia, mi avrebbe aspettato a Reggio Calabria per portarmi con una nave sul punto esatto in cui è affondata la Rigel. Alle 10,30 del 13 dicembre, giorno in cui è morto, ricevetti questa sua telefonata in ufficio, ma non sono in grado di fornire elementi obiettivi.

PRESIDENTE. Anche se è stata fatta una perizia medico legale.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. So però che l'esito di questa perizia, che ho appreso dal Procuratore di Reggio Calabria, mi ha lasciato letteralmente interdetto, perché in un referto sulle cause di morte non si dichiara «collasso cardiocircolatorio».

PRESIDENTE. Ogni morte è un collasso cardiocircolatorio.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Si muore tutti così.

CANDIDO DE ANGELIS. Come conosceva il punto nave, non l'ha rivelato a nessuno?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Era questo il contributo fondamentale.

CANDIDO DE ANGELIS. Non ha lasciato segnali?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. Non mi chieda come De Grazia fosse arrivato a questo, ma aveva fatto la mappatura di molte navi.

CANDIDO DE ANGELIS. Che fine ha fatto questa mappatura?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia.


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Credo che sia agli atti di Reggio Calabria perché questo è lo specifico delle indagini alle quali ho preso parte. Arrivano fino al punto di acquisire con le 16 perquisizioni gli atti da Comerio e altri da altri soggetti perquisiti, ma non conosco nel dettaglio i contenuti di questi atti sequestrati, salvo quelli più rilevanti che abbiamo verificato al momento, quali i filmati degli affondamenti nelle Azzorre dove si provavano i siluri Penetrator, né quelli degli accertamenti poi proseguiti da De Grazia.
De Grazia mi ha sempre parlato di una zona al largo di Capo Spartivento e della conoscenza del punto nave esatto dell'affondamento, tanto che mi diceva sempre che dovevo andare a Reggio Calabria dove, come mi ha ribadito il giorno in cui è morto, mi avrebbe portato con un'imbarcazione sul punto nave preciso in cui la Rigel era affondata. Grazie.

PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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