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Seduta del 17/2/2011


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Audizione di Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Napoli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, dottor Giuseppe Noviello e dottor Paolo Sirleo, che ringrazio molto per la loro presenza.
L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla Regione Campania. In particolare, l'audizione si soffermerà sull'operazione «Marea nera» la cui ordinanza custodiale è già stata trasmessa dalla Procura di Napoli ed è depositata presso l'archivio della Commissione.
Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterranno opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta. Qualora non si trattasse di passaggi brevi ma di un aspetto della vicenda che richieda del tempo, potrebbe essere opportuno lasciarlo alla fine in modo da non interrompere continuamente l'audizione.
Alcuni di noi hanno letto l'ordinanza e altri nel possiedono una sintesi efficace; siamo quindi a conoscenza della vicenda, ovviamente in modo molto parziale.
L'indagine territoriale sulla Campania è una tra le prime deliberate da questa Commissione insieme a quella sulla regione Lazio. Abbiamo già effettuato tre missioni in Campania che ci hanno consentito una conoscenza diretta del territorio e di svolgere una importante quantità di audizioni.
Lascio la parola agli auditi. Seguiranno sicuramente domande da parte dei commissari.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Riterrei forse utile, per un quadro complessivo della situazione, lasciare la parola innanzitutto al collega Sirleo, perché in un certo modo l'indagine «Marea nera» costituisce un continuum rispetto alla precedente indagine «Rompiballe», in particolare sotto il profilo di ciò che si ritiene essere accertato in ordine a quanto accadeva in sede di smaltimento dei rifiuti a valle degli impianti cosiddetti ex CDR, poi definiti STIR, quindi in ordine alla gestione delle


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discariche dalle quali proveniva il percolato che, secondo l'indagine «Marea nera», è stato poi indirizzato con modalità integranti forme di illecito.
Può essere pertanto utile che il collega rappresenti quell'aspetto dell'indagine «Rompiballe» che ha riguardato in particolare la tipologia di rifiuto inviato alle discariche e, di conseguenza, ciò che si determinava presso tali discariche.

PAOLO SIRLEO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Il legame che sussiste tra l'indagine cosiddetta «Rompiballe» e l'indagine «Marea nera» trae origine dal fatto che l'indagine «Rompiballe», che copre il periodo di gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani in Campania dal gennaio 2006 al maggio 2008, trae origine dal fatto che, a seguito della risoluzione ex lege, ad opera del decreto legge n. 245 del 2005, dei contratti di appalto tra il Commissariato di Governo per l'emergenza rifiuti e Fibe e Fibe Campania SpA, la gestione degli impianti esistenti - per impianti intendo impianti di trasformazione del rifiuto, che attualmente vengono denominati STIR - e delle discariche era passata sotto la regia del Commissariato di Governo il quale, come recitava il decreto legge, aveva come braccio operativo sempre le dotazioni della Fibe.
Qual è il problema che, a quel punto, si è prospettato? In precedenza, quindi in pendenza di contratti di appalto, la gestione del percolato prodotta dagli impianti di CDR e dalle discariche era, sia sotto il profilo economico che sotto il profilo giuridico, un onere della Fibe e Fibe Campania SpA, le quali provvedevano a smaltirlo autonomamente presso determinati depuratori. Nel momento in cui gli impianti e le discariche, se pur gestite concretamente da Fibe, passano sotto il controllo del Commissario di Governo, si pone il problema di dove smaltire questo percolato.
La parte della gestione verrà poi affrontata dal collega, ma io vorrei sottolineare un aspetto importante. Innanzitutto, il percolato viene prodotto durante la lavorazione dei rifiuti presso gli impianti cosiddetti ex CDR e, chiaramente, presso le discariche di servizio. Lo smaltimento del percolato era oggetto di apposita fatturazione, da parte degli impianti di destino finale, alla Fibe, la quale provvedeva a rendicontare queste spese al Commissariato di Governo, ad ulteriore dimostrazione che anche l'onere economico era assunto direttamente dal Commissario di Governo.
Il problema che si pone innanzitutto è legato a un duplice aspetto: la produzione ingente di percolato rispetto al normale e la qualità del percolato.
Questi sono aspetti che collidono con l'indagine «Marea nera» perché, sulla base di evidenze scientifiche, si è appurato che la mancata o pressoché inesistente lavorazione della frazione umida del rifiuto determina la produzione di percolato mentre invece, in caso di lavorazione corretta, questa frazione umida sarebbe evaporata; soprattutto, però, la mancata stabilizzazione di questa parte umida avrebbe fatto in modo che il percolato, sotto il profilo qualitativo, sarebbe stato carico di determinati parametri inquinanti che ne avrebbero reso molto difficoltoso lo smaltimento presso gli impianti di destino.
L'indagine «Rompiballe» ha appurato come fosse insussistente o pressoché inesistente l'attività di lavorazione della frazione umida che ha determinato una notevole produzione di percolato, sia presso gli impianti di smaltimento che presso le discariche di servizio.
Nell'ordinanza di custodia cautelare «Marea nera» sono indicati due aspetti importanti che riguardano proprio le discariche di Montesarchio e Villaricca, attive nel 2006 e nel 2007, le quali hanno presentato, per l'appunto, un'elevata produzione di percolato e una qualità del percolato che eccedeva le normali caratteristiche di un percolato da discarica laddove - ripeto - il rifiuto abbancato sia correttamente selezionato.
Questo aspetto della produzione di percolato che ha creato la necessità di uno smaltimento costituisce l'intersecazione tra l'indagine «Rompiballe» e l'indagine «Marea nera», tanto è vero che taluni


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degli indagati, sia a piede libero che in origine raggiunti da misura cautelare, sono stati interessati da entrambe le indagini proprio perché, in qualche modo, sia come Commissariato di Governo per l'emergenza rifiuti che come Fibe Impregilo, hanno dimostrato di gestire il percolato utilizzando gli impianti di depurazione secondo le modalità disvelate nell'indagine «Marea nera».
Per questo motivo rientrano nell'indagine «Marea nera» personaggi come la dottoressa Marta Di Gennaro, o alcuni soggetti che rientrano nell'orbita Fibe come, ad esempio, l'ingegner Angelo Pelliccia, o anche chimici che hanno provveduto a caratterizzare e a stilare certificati analitici del percolato in ordine ai quali vi sono evidenze circa la loro falsità.
Da qui il collegamento con l'indagine «Marea nera», a proposito della quale lascio la parola al collega.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Grazie. Considerando questo continuum, l'indagine «Marea nera» ha cercato di mettere a fuoco il profilo della destinazione e della gestione di questo percolato.
Con riferimento alla gestione, come ha evidenziato il collega Sirleo è emersa una compartecipazione piena di chi gestiva in prima battuta questo percolato, sia uomini di Fibe che del Commissariato per l'emergenza rifiuti. Quando parlo di uomini del Commissariato per l'emergenza rifiuti mi riferisco ad alcuni degli attuali indagati come Corrado Catenacci, Claudio De Biasio, Marta Di Gennaro e Lionello Serva.
Questi uomini della parte pubblica, inoltre, insieme agli incaricati del pubblico servizio di Fibe si sono avvalsi della collaborazione di altri soggetti, sia della regione Campania, sia privati gestori dei singoli depuratori regionali.
Va detto che la situazione dei depuratori era da tempo, in modo chiaro e noto a tutti, quella di una pessima gestione, tanto è vero che nell'indagine si è messo in evidenza come, fin dal 2000, si succedano una serie di atti deliberativi e di provvedimenti - in particolare della regione, ma anche del Commissariato straordinario per la tutela delle acque e delle bonifiche - che esplicitano in maniera evidente ed oggettiva il fatto che si trattasse di impianti inadeguati alla depurazione.
Nel corso degli anni, infatti, si giunge ad effettuare nel 2003 addirittura un appalto di cosiddetta «rifunzionalizzazione» dei depuratori o, almeno, di un certo numero di depuratori campani. Tale appalto viene vinto dalla società Termomeccanica, la quale crea la società Hydrogest per la gestione. Sul presupposto dell'incapacità depurativa di questi impianti, questo appalto prevedeva un'attività di rifunzionalizzazione attraverso la creazione di particolari impianti che garantissero il rispetto dei limiti di legge per alcuni parametri come, ad esempio, l'azoto, e di altri parametri di rilievo, unitamente alla gestione più possibile corretta e regolare di questi impianti.
Su questa situazione storica, impiantistica e fattuale, a partire dal 2006, all'indomani della risoluzione del contratto con la società Fibe, si innesta un accordo certificato attraverso lettere, riunioni e verbali - che abbiamo acquisito e che sono agli atti - con i quali si infittisce l'interlocuzione tra il Commissariato, la Fibe, gli uomini della regione Campania e i gestori dei depuratori, e attraverso ciò si determina di fatto, fin dal gennaio 2006, questo avvio del percolato direttamente negli impianti.
La normativa sugli impianti di depurazione prevede, in realtà, che i rifiuti liquidi - tra cui il percolato - possano essere conferiti negli impianti di depurazione a condizione che vi sia, accanto ad un'autorizzazione agli scarichi finali del depuratore, un'altra autorizzazione al conferimento del rifiuto liquido, la quale presuppone, tra i vari requisiti, la cosiddetta capacità residua del depuratore. Capacità residua del depuratore che, appunto, non esisteva.
Questa attività trova il suo acme in una riunione del luglio 2006 - di cui esiste il verbale - organizzata da parte dell'assessore regionale all'ambiente Luigi Nocera, nella quale emergono anche le obiezioni


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che, in prima battuta, i gestori dei depuratori prospettano, evidenziando come non vi fossero né i presupposti di legge, né i presupposti tecnici per poter ricevere il percolato. Ciò nonostante, dall'altra parte vi è una chiara determinazione della parte pubblica a garantire di assicurarsi il conferimento di questo percolato.
Sotto questo aspetto, tra l'altro, emergono dei momenti di conflittualità e di imposizioni direttamente da parte di soggetti pubblici come, ad esempio, l'assessore Nocera, il quale prospetta altrimenti ai gestori il ricorso a sequestri e ad altro pur di garantirsi l'accettazione di questi conferimenti.
Sta di fatto che tutti, alla fine, per un motivo o per l'altro si accordano per la ricezione di questi percolati. Viene formato un atto autorizzatorio che noi riteniamo giuridicamente assolutamente irrilevante, sia perché mancante della necessaria istruttoria per l'autorizzazione di un depuratore a ricevere percolato, sia perché, in realtà, anche i limiti posti in questa autorizzazione - ad esempio, determinati limiti massimi di COD (Chemical Oxygen Demand) del percolato, o il rispetto di determinati limiti quantitativi giornalieri -, se pur minimali vengono poi chiaramente superati.
Dal luglio 2006 questa attività continua: si susseguono anche ulteriori riunioni, addirittura per aumentare l'arrivo di quantitativi di percolato. Tutta questa attività, che è certificata in documentazioni, lettere, note, missive e analisi, si accompagna all'attività di intercettazione che nel frattempo era stata avviata, e che si arricchisce anche di intercettazioni dell'indagine «Rompiballe», secondo regole giuridiche che ci consentono di fare uso anche di queste ultime.
Il quadro che ne emerge è quello di una piena consapevolezza, da parte di tutti i personaggi di questa vicenda, nell'assicurare ad ogni costo, costi quel che costi, l'arrivo e la gestione di questo percolato nei depuratori, nella piena consapevolezza che, in sostanza, di fatto il percolato entrava nei depuratori e ne usciva così com'era per andare a mare, violando tutti i parametri di legge.
Questa vicenda ha portato all'individuazione di un ulteriore fatto, ovvero la cattiva gestione del contratto di appalto Hydrogest. Nel contesto di questo traffico illecito di un rifiuto quale è, appunto, il percolato, sono emerse chiaramente una cattiva gestione dei depuratori ed anche la violazione del contratto di appalto tra regione e Termomeccanica Hydrogest, tanto è vero che viene poi contestato, tra l'altro, un tentativo di truffa.
Ad un certo punto, nel 2007, si crea un contrasto: quella unità di intenti che fino ad allora era emersa tra la parte pubblica e privata, salta. Cominciano ad esservi delle reciproche contestazioni circa la correttezza della gestione del contratto di appalto per gli impianti di depurazione, che sfociano nel 2008-2009 in un tentativo di accordo - il cosiddetto «atto integrativo» - che arriva quasi alla sua conclusione e nel quale, in sostanza, quei forti contrasti e quelle grosse contestazioni sorti nel 2007 sostanzialmente scompaiono.
Allo stesso modo, la citazione del fatto che quegli impianti fossero mal gestiti anche sotto il profilo del conferimento del percolato, pur essendo un dato rilevante non compare mai in questo accordo che si è tentato di raggiungere nel 2009, e che allo stato ci risulta non essere giunto a compimento anche in ragione di alcuni ostacoli interni tra cui, ad esempio, i pareri dell'Avvocatura regionale, che si pronunciavano in senso contrario anche se non per le ragioni relative al percolato, che evidentemente non potevano essere conosciute dall'Avvocatura.
Quest'indagine porta, quindi, anche ad evidenziare il più complessivo problema della pessima gestione dei depuratori nella regione Campania.

VINCENZO DE LUCA. Sono a conoscenza della tragica ricaduta sull'ambiente di questa vicenda. Vi chiedo se, in queste due inchieste, specialmente nella seconda,


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sia risultata una commistione fra la pubblica amministrazione, la politica e la malavita organizzata.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Posso dire che sicuramente emerge una commistione di rapporti tra pubblica amministrazione e imprenditoria e anche con alcuni soggetti - l'assessorato, per non dire anche la presidenza regionale - che hanno ruoli politici.
Con riferimento, invece, all'intervento della malavita organizzata, posso dire che dalle indagini emerge come questi reati siano compiuti assolutamente senza alcun intervento da parte sua. Sono reati che vengono compiuti attraverso l'omissione totale di doverose attività di controllo, in cui la malavita organizzata non si insinua assolutamente.
Le scelte fatte in merito alla gestione del percolato, come il fatto che esso vada in un luogo piuttosto che in un altro, non sono assolutamente influenzate dalla malavita organizzata, e posso dire che questo aspetto per certi versi ci conferma il filone emerso da queste indagini in materia ambientale, ovvero che questi reati accertati in Campania non dipendono necessariamente dalla criminalità organizzata, anzi: mi sentirei di dire che, probabilmente, un controllo attento e un rispetto delle regole costituirebbero uno sbarramento sicuramente più forte in quei gangli in cui, chiaramente, la criminalità organizzata - o, mi sentirei di dire, qualunque tipo di forma di criminalità - riesce a insinuarsi.
Nella mia esperienza posso dire che per insinuarsi, ad esempio, nei trasporti ai fini di realizzare illeciti sui rifiuti, molti imprenditori non hanno bisogno di diventare camorristi: lo fanno abilmente già da soli.

ALESSANDRO BRATTI. Qui ci troviamo di fronte ad una serie di reati di carattere ambientale come, ad esempio, la violazione dei limiti.
Mi chiedo se la motivazione era solo ed esclusivamente quella di dover smaltire in una situazione di emergenza - capita spesso che, in queste forme di emergenza, per risolvere il problema si trovino tutte le scorciatoie immaginabili possibili e non si rispettino le regole ambientali che, a volte, possono sembrare dei cavilli - oppure se, attorno a questa operazione, qualcuno che ci ha guadagnato dei soldi e se li è intascati.
Sapere se si tratta di malavita organizzata o se ci sono anche interessi di lucro serve per capire quali sono le dinamiche che muovono situazioni che probabilmente in futuro riscontreremo anche altrove.
Vorrei sapere fino a che punto i vertici ed i responsabili del sottosegretariato erano a conoscenza della situazione. A parte quelli indagati, visto che comunque c'erano anche altri responsabili e che alcune di queste figure non sono marginali all'interno della struttura, vi chiedo se avete escluso che ci fossero anche coinvolgimenti dei responsabili numeri uno di tutta la faccenda.
Nei sopralluoghi che abbiamo effettuato nei Regi Lagni e nel casertano era risultata quasi evidente una gestione fuori norma dei depuratori; quindi, al di là di questa indagine che, rispetto al percolato, ha portato alla luce la gestione illecita, vi chiedo se complessivamente ci sono altre indagini riguardanti questa complessa vicenda che meritino attenzione da parte delle autorità giudiziarie.
Vorrei comprendere gli sviluppi della vicenda, se si tratta solo - ma non è poco - di reati di carattere ambientale o se, dietro al reato ambientale, esiste un accordo tra funzionari della pubblica amministrazione, personaggi politici, imprenditori locali o tutti e tre insieme.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Per quanto riguarda la domanda su chi ci guadagna posso dire che, allo stato delle indagini, i gestori privati - come emerge da quella riunione del luglio 2006 cui vi accennavo - avevano il guadagno e la necessità di fare in modo che una gestione, che già di per sé, a prescindere dal percolato, non era adeguata, non venisse fatta oggetto di contestazioni.


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Questo emerge in quel verbale dove l'assessore Nocera dice: «Attenzione: o vi prestate alla mia richiesta, oppure io intervengo presso i vostri depuratori».
Un impianto di depurazione ha evidentemente dei ritorni economici, tanto più a fronte di una gestione ispirata ad un sostanziale risparmio delle spese. Alla luce di altre indagini su un depuratore, posso dire che il depuratore si può gestire in maniera attenta, con una spesa rilevante, oppure lo si può gestire lasciando ammalorare alcuni impianti, chiudendo alcune vasche, lasciando alcune griglie o altri passaggi in condizioni non adeguate, non curando certi settori. In questo caso, il guadagno è rilevante.
Chiaramente, poi, a questo si aggiungeva oggettivamente anche il guadagno dell'ulteriore introito costituito dallo smaltimento di un rifiuto liquido che, a rigore, non avrebbero mai potuto accettare. Anche il percolato veniva pagato.
Per quanto riguarda la parte pubblica, posso fare degli esempi che, allo stato, non corrispondono necessariamente ad un guadagno economico. Abbiamo un indagato, l'ingegner Generoso Schiavone, che assume progressivamente un ruolo sempre più centrale e viene poi nominato addirittura soggetto attuatore per conto del Commissariato, quindi passa da un ruolo meramente regionale ad un ruolo che potrei definire nazionale. L'ingegner De Biasio, che già in altri casi, in realtà, era stato attinto da indagini, a fronte di condotte che la Procura ritiene essere illecite ha visto progressivamente sviluppato il suo cursus all'interno della pubblica amministrazione, peraltro non come soggetto dipendente ma come soggetto privato che si sceglieva di incaricare di specifiche attività.
Sotto questo aspetto, quindi, se non vogliamo ridurre il vantaggio essenzialmente ed esclusivamente ad una tangente o ad un introito di danaro in nero, ma vogliamo intenderlo in senso più ampio, come ormai negli ultimi anni risulta essere sempre più chiaro - a volte i vantaggi possono essere anche una consulenza data ad hoc, anche se formalmente corretta - abbiamo esempi di soggetti privati che entrano nella pubblica amministrazione e che sviluppano, grazie alla loro malintesa fedeltà allo Stato, una notevole progressione di carriera.
Per quanto riguarda i soggetti politico-amministrativi, quello che emerge complessivamente da questa indagine, ma anche dalle precedenti, è che si riteneva che la risposta da dare all'esterno fosse quella di risolvere il problema più apparente, ovvero quello della «spazzatura» per le strade (devoluta altrove), con il ritorno di una apparente immagine di efficienza ed efficacia di amministratore, oltre che di politico. Anche questo, in prospettiva - ma anche nell'immediato - costituiva un vantaggio, sia perché se si fosse per questa via mai risolto il problema - e ahimè non era quella la strada - vi sarebbe stato un ritorno non da poco, sia perché si manteneva la gestione di una struttura non indifferente quali sono i Commissariati straordinari, che nel tempo hanno gestito notevoli risorse economiche in tutti settori.
Diciamo che, inteso in senso più ampio il vantaggio economico - quindi non con un ritorno puramente economico e magari illecito, almeno chiaramente illecito -, possiamo dire che i ritorni ci sono stati e si prospettavano sicuramente, in nome di un indirizzo che partiva dall'alto e che veniva recepito pienamente.
Devo dire che vi sono dei «fenomeni» che stupiscono: un indagato, il dottor Lionello Serva, appartenente all'apice della pubblica amministrazione, è stato scelto come un esperto. Dalle intercettazioni, ma anche dai documenti che testimoniano le scelte da lui fatte, emerge che nel giro di quattro mesi entra in questo ambito e si adatta subito a questa cultura, a questo modo di ragionare. Colpisce come un rappresentante dello Stato entri in un certo ambito e si adegui subito ad un indirizzo di azione totalmente diverso da quello che, invece, è l'indirizzo fissato con provvedimenti che lo Stato, la Protezione civile, il Governo avevano dato in maniera chiara, e che non erano certamente quelli di trovare scorciatoie alla soluzione del problema dei rifiuti.


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Richiamo - è un atto a disposizione - anche l'interrogatorio del dottor Gianfranco Mascazzini, nel quale il GIP gli chiede perché mai non abbia dato indicazioni diverse da quella di sostenere questo andazzo nella gestione del percolato, e lui risponde dicendo che l'alternativa sarebbe stata quella di mandarlo in Calabria, dove avrebbero aperto i rubinetti e l'avrebbero riversato addirittura a terra. Una risposta che proviene da un alto rappresentante del Ministero e che indica che lo Stato italiano non è in grado di dare un'altra alternativa legale, lascia perplessi e fa riflettere.
Per quanto riguarda gli altri soggetti del sottosegretariato, mi riservo di rispondere alla fine.

PAOLO SIRLEO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Rispondo alla domanda sulle altre indagini. Bisogna fare una considerazione: questa indagine ha avuto una valenza più generale, in quanto è stato contestato il delitto di attività illecita del traffico di rifiuti, reato che, nel decreto legge n. 90 del 2008, è passato sotto la competenza della Procura di Napoli.
Partendo dal dato per cui il percolato è un rifiuto liquido, è stato possibile monitorare gli impianti di depurazione anche extra-circondario della Procura di Napoli.
Tenete presente che in questa indagine si parte da discariche quali quella di Macchia Soprana e Montesarchio, che sono al di fuori del circondario della Procura di Napoli. Abbiamo otto depuratori che abbracciano quest'area e quella dei circondari della Procura di Santa Maria Capua Vetere, di Nola e di Torre Annunziata. Questa indagine ha un carattere generale, perché va a intersecare la materia dei rifiuti.
Per quanto concerne invece la parte che riguarda essenzialmente la gestione dei depuratori o, comunque, di altri depuratori rispetto a quelli interessati da questa indagine, possiamo dare una risposta molto parziale perché, ovviamente, ciascun depuratore ha come territorio di competenza altra Procura.
Posso dire che, per la Procura di Napoli, vi era un'indagine sul depuratore di Cuma. Andò a giudizio per la contravvenzione inerente agli scarichi e per una serie di ipotesi di reato contro la pubblica amministrazione. Successivamente, era stato chiesto il sequestro del depuratore; attualmente, la richiesta è stata rigettata e la decisione finale pende davanti al Tribunale del riesame. Per altri impianti di depurazione, per quello che a noi consta, ci sono altre Procure che se ne occupano.

PAOLO RUSSO. Vi chiedo se potete illuminarci non sul valore del danno prodotto, ma sul valore dell'illecito smaltimento di questo percolato. Mi spiego meglio: immagino che questo percolato, prima di quella data, fosse conferito ad impianti privati, campani o non campani. Vorrei capire qual è il valore che è stato trasferito dalla competenza di un soggetto privato alla responsabilità di un altro soggetto concessionario della regione. Vorrei capire, anche, se in questo c'è stato magari un piccolo vantaggio, dal punto di vista della spesa, per il Commissariato, o se nemmeno questo c'è stato.
Vorrei inoltre sapere se le aziende che trattavano il percolato prima che fosse indirizzato illecitamente verso i depuratori erano aziende campane o meno, o se erano aziende interdette.
Comprendo che il sinallagma che si celebra - confermatemi se ho ben capito - è tra chi gestiva male un depuratore e chi aveva il desiderio di essere appellato come risolutore, nel senso che il vantaggio di chi operava in modo illecito era quello di far carriera o, per i vertici - come la Di Gennaro o Catenacci -, di apparire come risolutori del problema. Vorrei capire se lo scopo era questo.

PRESIDENTE. Possiamo anche aggiungere: o se non avevano alternative.

PAOLO RUSSO. Lei ha riferito che l'Avvocatura dello Stato creava problemi all'accordo tra regione e Hydrogest. Vi chiedo se c'è qualche altro ente che in qualche modo frapponeva difficoltà a percorsi evidentemente illeciti?


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Leggo dai giornali che la provincia di Napoli si è particolarmente distinta nell'ufficio tecnico; vorrei capire bene qual è il ruolo anche di quella funzione.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Per quanto riguarda i valori di conferimento, in questo momento sono in corso di approfondimento. Al momento della richiesta, quello che rilevava accertare erano i quantitativi di percolato ai fini della configurazione adeguata del reato ex articolo 260. Sono indicati nella richiesta e nell'ordinanza del GIP i quantitativi complessivi - notevoli - che sono stati conferiti nei vari impianti.
In merito ai risolutori e all'eventuale mancanza di alternative, posso dire che dall'indagine non emerge mai che ci si sia domandati se c'erano delle alternative, né che vi sia stata una verifica per stabilire se c'erano depuratori effettivamente già in grado di ricevere percolato.
Dall'indagine emerge che il 1o gennaio, all'indomani della risoluzione del contratto, si decide che questo percolato deve andare in questi depuratori regionali. Non c'è uno studio, una relazione o un'affermazione di qualcuno in cui si dica che non ci fossero altre strade, altri depuratori in tutta Italia per affrontare questo tema, anzi.
I gestori, sotto un profilo tecnico dicono che quantomeno servirebbe un pretrattamento, quel famoso pretrattamento del percolato che, in realtà, per legge dovrebbe essere già presente presso le discariche e che, in questa riunione del luglio 2006, si indica da realizzarsi quantomeno presso gli impianti di depurazione.
Ciò nonostante, pur dicendosi (se lo dicono, se lo riconoscono) che c'è quanto meno la necessità di fare degli impianti di pretrattamento per abbattere gli inquinanti del percolato; pur dicendosi che, nel frattempo, si sta cercando di comperare un impianto, di installare l'impianto e via dicendo; pur ponendosi il problema che in quel modo non si potrebbe procedere e che un'alternativa ci sarebbe, iniziano comunque immediatamente il conferimento ai depuratori regionali.
Un impianto di pretrattamento realizzato e gestito correttamente, astrattamente avrebbe potuto abbattere gli inquinanti, salvo poi il problema di fondo degli impianti che, comunque, rimanevano privi di capacità depurativa residua, perché non erano capaci di per sé di lavorare. C'è anche questa particolarità, costituita dal fatto di sapere che quella «piccola alternativa» costituita dal passaggio attraverso impianti di pretrattamento non c'era, e che questi soggetti hanno proseguito comunque.
Pertanto la domanda, che ritengo legittima, volta a chiedersi se magari non avessero alternative, ad oggi, almeno dall'indagine, deve avere risposta che le alternative non le hanno mai cercate.

PAOLO RUSSO. Prima la Fibe dove li portava?

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Prima, la Fibe - questo è un aspetto che mi viene riferito in sede di dichiarazione - pare che si avvalesse di propri depuratori come gestori privati, mentre all'indomani della risoluzione avrebbe deciso di riversare interamente qualsiasi onere problematico e gestionale al Commissariato. In sostanza la Fibe, all'indomani della risoluzione del contratto - questo è un dato storico - ritiene di non doversi più occupare di alcun problema e di interpretare il suo ruolo semplicemente come braccio operativo che fa quello che gli dice il Commissariato, senza preoccuparsi di nulla, senza preoccuparsi del fatto che, comunque, chi gestisce un rifiuto ha l'onere in prima battuta di verificare dove lo manda, se rispetta le leggi e via dicendo.
La scelta che emerge sia dall'indagine «Rompiballe» che da «Marea nera» è che la Fibe, all'indomani della risoluzione del contratto, ritiene di essere un semplice «operaio» che agisce sull'impianto secondo le direttive che qualcun altro gli deve dare, tanto è vero che la difesa spesso


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sostenuta da Fibe è che seguiva semplicemente le indicazioni che le venivano date dal Commissariato, quando invece, sotto il profilo giuridico, in realtà il rapporto non era così semplificato. Questo è l'atteggiamento che viene ad assumere Fibe.
Per quanto riguarda il ruolo della provincia, non attiene al tema del tentativo di compiere un accordo tra la regione e Hydrogest ai fini della risoluzione del contrasto relativo alla gestione dell'appalto di rifunzionalizzazione; la provincia emerge come ente che si oppone sull'altra vicenda, cioè quella del percolato.
La provincia è l'ente che autorizza i depuratori non al conferimento del percolato, ma allo scarico finale; è chiaro, però, che si autorizza lo scarico finale quando il depuratore sia idoneo alla sua funzione. In sede di conferimenti, in occasioni documentate, c'è un funzionario della provincia di Napoli, l'ingegner Sarno, che nell'esercizio delle proprie funzioni evidenzia più volte che quei depuratori non sono adeguati e che, di conseguenza, il dibattito sul conferimento del percolato andrebbe risolto in unica maniera, e cioè senza conferire.
Per questo motivo l'ingegner Sarno viene visto da alcuni indagati - abbiamo le intercettazioni di Schiavone con altri - come un ostacolo burocratico. Si dice che debba essere eliminato, sostituito; ci sono intercettazioni in cui si dice: «Io ho parlato con Nocera, parlerò anche con Di Palma, perché questo lo dobbiamo togliere di mezzo».
Questo è il ruolo che assume la provincia, effettivamente l'unico ente che mostra un atteggiamento vicino ad un'attività legale.

PRESIDENTE. Adesso il percolato dove viene mandato?

GENNARO CORONELLA. Col permesso dei commissari e del presidente, da campano vorrei innanzitutto rivolgere ai magistrati Noviello e Sirleo la mia profonda gratitudine, perché hanno scoperchiato questo pentolone. Da tempo si diceva che ci fossero attività illecite di questa portata connesse al ciclo dei rifiuti, la cui indagine si collega anche a quella delle depurazioni. Lo dico anche con un pizzico di amarezza, perché che la depurazione in Campania non funzionasse lo si sapeva da tempo immemore. Nella XIV legislatura ho più volte richiamato l'attenzione del Governo a tal proposito, addirittura con una interpellanza firmata da 40-50 colleghi.
L'indagine che avete fatto porta a un ruolo generale del 2006. Ma prima? Voi avete individuato e contestato delle condotte, ma io penso che la questione andasse allargata anche al periodo precedente il 2006. Perché la vostra indagine parte dal 2006?
Il consigliere Noviello faceva riferimento al decreto, cioè da quando si è risolto il contratto con la Fibe. Vorrei però capire perché partite dal 2006.
Vorrei porvi un'altra domanda sulla questione Hydrogest. Voi avete contestato il reato di tentata truffa, perché il personale del Commissariato e la Hydrogest prima si sono palleggiati la responsabilità e poi hanno fatto finta di accomodarsi perché era in scadenza una revisione del contratto. Questo si legge dalla vostra indagine.
Vi chiedo se siete a conoscenza del fatto che la regione Campania o il Commissariato - pare che oggi sia la regione a gestire questa materia - abbiano risolto il contratto, oppure se la Hydrogest continui a gestire questi impianti.
Durante una missione in Campania ci recammo all'impianto di Villa Literno, e vi trovammo il personale della Hydrogest. Sarebbe però proprio il colmo se la Hydrogest continuasse a gestire gli impianti che non funzionano e che non hanno mai funzionato. Sul giornale ho letto anche di una rivendicazione da parte della Hydrogest la quale, addirittura, vanta crediti nei confronti della regione. Vorrei sapere se, nell'emettere l'ordinanza, vi è capitato anche di appurare questa situazione contrattuale della Hydrogest.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Per quanto riguarda la Hydrogest tenga presente


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che, al momento della richiesta di misura depositata a luglio 2010, risultava che la Hydrogest svolgesse l'attività di gestione e fosse in corso questa attività diretta ad un accordo. Allo stato non posso dirle con certezza se, come ultimamente è emerso anche dai giornali, la Hydrogest abbia o meno raggiunto il tentativo di accordo e, per questa via, abbia ritenuto di avviare la risoluzione.
In questo posso dire - è una dichiarazione depositata agli atti ed anche al riesame - che l'ingegner Gaetano De Bari avrebbe riferito che, non essendosi raggiunto quel tentativo di accordo, si sarebbe avviata una procedura di risoluzione del contratto. Questo però è un dato che le riporto de relato e che non è stato, ad oggi, oggetto di verifica nell'ambito dell'indagine.

PAOLO SIRLEO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Come è già stato accennato, il procedimento approfondisce la gestione del percolato e va poi a interessare la gestione dei depuratori. Mi devo riallacciare al discorso di prima: questo procedimento ha potuto monitorare questi depuratori proprio grazie alla presenza dei reati ambientali per i quali il decreto legge del 2008 dava alla Procura di Napoli una competenza regionale.
Per quanto riguarda il pregresso possiamo dire che, rispetto a questi impianti, nell'indagine è stata fatta un'analisi del loro stato - quindi come antefatto rispetto al 2006 - e della situazione di malora in cui versavano.
Bisogna poi considerare che, rispetto in particolare alla contravvenzione tipica delle acque, cioè l'articolo 37 del decreto legislativo n. 152, dobbiamo scontrarci con un problema di prescrizione, che riguarda i quattro anni; siamo nel 2011, quindi necessariamente dobbiamo fare i conti con il passato.
Non avendo la possibilità di configurare ipotesi delittuose per il periodo precedente, rimane difficile poter colpire anche quella fase; però possiamo dire che l'indagine, limitatamente a questi otto depuratori - certo non è ipotizzabile fare un'indagine su tutti i depuratori campani indistintamente senza che vi siano criteri giuridici di connessione - lo stato degli impianti e della depurazione è affrontato analiticamente per ogni impianto.

PRESIDENTE. Che periodo riguarda l'indagine cosiddetta «Marea nera»?

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Il periodo va dal 2006 fino alla fine del 2009. Comprende tutta la sequela di reati che vengono contestati.
In particolare, per il percolato inviato ai depuratori campani l'indagine ha portato ad un conferimento durato all'incirca fino ai primi mesi del 2008. Questo per quanto riguarda il reato ex articolo 260 in relazione al traffico illecito di percolato.
Si tenga conto che l'indagine emerse intorno al 2007-2008, l'ingegner De Bari venne sentito in sede interrogatoria e, in seconda battuta, l'intercettazione rivelò che a quel punto decise di non ricevere più il conferimento del percolato. Pertanto, mentre l'indagine emerge inevitabilmente in alcuni aspetti, si accerta che, pian piano, dapprima il percolato viene concentrato soltanto su alcuni impianti (l'ultimo è quello di Nola), mentre poi il dato probatorio sul conferimento agli impianti cessa intorno ai primi del 2008.
I reati di truffa e falsi - perché vi sono anche dei falsi ideologici per alcuni atti amministrativi assunti, nonché il tentativo di truffa - proseguono; in particolare, il tentativo di truffa è datato, se non ricordo, male al dicembre del 2009.

GENNARO CORONELLA. Quando viene dichiarato lo stato di emergenza in Campania, si concentrano su un'unica struttura tutte e tre le emergenze: rifiuti, depurazione e acque. Un'unica struttura fronteggiava tutte e tre le emergenza.

PRESIDENTE. Quindi era più facile da controllare. Infatti la mia domanda è questa: dal 2006 al 2008 - o anche prima, se tutto questo accadeva anche prima - gli enti di controllo come l'ARPAC (Agenzia


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regionale per la protezione ambientale della Campania), il NOE (Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri), la Polizia forestale o i tantissimi enti di cui siamo venuti a conoscenza durante le inchieste che abbiamo fatto, non hanno mai rilevato nulla? Non hanno mai fatto l'analisi delle acque del mare?
Se ricordo bene, durante una missione abbiamo visto che uno di questi depuratori aveva addirittura un bypass, cioè veniva fatto in modo che il percolato non passasse nemmeno dal depuratore perché tanto era lo stesso, ci hanno spiegato.
Ebbene, quali responsabilità avete potuto individuare agli enti di controllo, e perché non hanno controllato?

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Allo stato delle indagini, possiamo individuare gli enti di controllo nella provincia che, bene o male, come ho detto, fa il suo lavoro, nel senso che ha negato quell'autorizzazione allo scarico finale che avrebbe già potuto costituire, di per sé, un ostacolo a tutto quello che poi è accaduto con i conferimenti.
Per quanto riguarda l'ARPAC, nel caso di quella di Caserta abbiamo taluni atti nei quali, a seguito di riunioni cui partecipano Schiavone e i gestori degli impianti, l'Agenzia oppone il cattivo stato di quegli impianti come ragione per la quale non si poteva consentire l'accesso del percolato.
Pur tuttavia, devo dire che il problema che si pone con l'ARPAC è che a volte ci si limita a fare degli accertamenti che rimangono al suo interno e non sempre vengono rivolti alle sedi deputate, Procura compresa. Un altro problema è che, a volte, il dato viene trasmesso in Procura non nella sua interezza; un conto può essere il riferire che un impianto di depurazione non riesce a depurare o non rispetta una serie di parametri (che in alcuni casi integrano solo in un illecito amministrativo, ma in altri casi integrano anche in un possibile illecito penale); altra cosa è poter invece aggiungere a questo dato, anche se si trattasse di un illecito amministrativo soltanto, si aggiunge anche il dato che magari a monte non c'è la necessaria autorizzazione, oppure non ci sono tutti i presupposti. Purtroppo, almeno dalla mia esperienza generale, devo dire che questa capacità organica di mettere insieme i dati - si dovrà verificare di volta in volta se è una semplice incapacità o se c'è malafede - non è effettivamente una dote che possa «attribuirsi» all'ARPAC.
Per quanto riguarda le forze di Polizia devo aggiungere che, da anni, nonostante l'emergenza rifiuti disponiamo di forze specialistiche in materia ambientale che sono a dir poco irrisorie. Quelle poche che abbiamo sono impegnate nelle indagini con la Procura, per cui spesso manca il controllo di iniziativa del NOE così come anche di altre forze.
Aggiungo inoltre - dato che questa magari può essere un'occasione utile, vista la competenza della Commissione - che spesso le forze di Polizia che magari operano sul territorio e che potrebbero dare un contributo effettivo, mancano della preparazione di base per - dico una banalità - fermare un camion che, si vede ad occhio nudo, contiene rifiuti e non ha le autorizzazioni.
Oggi noi assistiamo - mi permetto di ampliare, perché credo che il tema sia quello - ad una legislazione di emergenza che prevede l'arresto di chi trasporta rifiuti senza autorizzazione; prima l'arresto non c'era, però era possibile sequestrare il camion, che poteva essere confiscato. Ebbene: vi riferisco un dato statistico e di esperienza ovvero che, finché non c'è stata la previsione dell'arresto, durante il servizio che periodicamente si svolge come Pubblico ministero di turno cosiddetto esterno io non ho mai avuto, da parte della Polizia giudiziaria, una comunicazione in cui mi si diceva «abbiamo fermato questo camion senza autorizzazione, lo sequestriamo e lo confischiamo». Questo sarebbe già un grandissimo deterrente, non fosse altro perché si tocca il patrimonio, che è la cosa principale.
Le telefonate, invece, compaiono al momento in cui è istituita la legislazione d'emergenza che prevede l'arresto di queste


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persone, le quali però, dopo poco, per tanti motivi - sono incensurate, le esigenze cautelari vengono a cessare e via elencando - non subiscono questa sanzione che e, in ogni caso, non incide più di tanto sul tema dell'emergenza.
Il problema è che, in realtà, in questi anni la necessaria collaborazione delle forze di Polizia giudiziaria è sempre mancata per un dato obiettivo: non per cattiva disponibilità, ma perché le forze specialistiche sono poche, e quelle che potrebbero imparare, in realtà, spesso non hanno questa preparazione (parlo anche della Polizia municipale).
La Polizia municipale di Napoli, in quanto a reati, si occupa al più di urbanistica, ma non l'ho mai vista preparare un verbale di sequestro in materia di rifiuti, eppure è la Polizia che controlla il territorio e che potrebbe dare un contributo. Ed ecco che allora (ritornando alla domanda del presidente), un po' perché c'è un atteggiamento che probabilmente si ricollega anche ad altre indagini - richiamo ad esempio l'indagine sull'ARPAC, fatta sempre dalla Procura di Napoli, dove ci sono commistioni che rispondono a logiche illecite -, un po' perché manca una effettiva preparazione sotto più aspetti, quei controlli che ci aspettiamo debbano avvenire da parte degli enti istituzionali non pervengono, e alla fine tutto si riduce purtroppo ad un'indagine penale, che certamente non può risolvere il problema.

ALESSANDRO BRATTI. Il funzionamento delle ARPA dipende dagli assessorati regionali all'ambiente, il presidente e il direttore vengono nominati dalla regione. Avete indagato sui controlli effettuati?
Vorrei capire quali sono state le motivazioni degli arresti effettuati. Mi interessa anche capire se dal 2008 in poi ci sono state indagini o denunce su questioni analoghe, soprattutto relativamente al tema percolato e gestione illecita delle discariche.
Quanto riferito si intreccia anche con quello che abbiamo verificato in Lombardia rispetto al problema della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria degli operatori dell'ARPA, in merito al quale credo che la Commissione debba prendere una posizione. La Campania è l'esempio tipico: credo che sia una delle poche ARPA a non avere ufficiali di polizia giudiziaria. È stata fata una scelta di fondo e non ha ufficiali di polizia giudiziaria, così come la Lombardia.
Gli esperti che oggi possono entrare nel merito dei problemi ambientali perché hanno la capacità tecnica per verificare gli impianti, oltre al NOE che non sempre è in grado di farlo perché a volte i Carabinieri hanno una formazione per la quale sono più bravi a fare le indagini, sono alcuni dei nuclei tecnici rimasti nelle province e nelle ARPA. È chiaro che se alle ARPA si toglie anche la possibilità di avere la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, l'obbligo di denuncia viene meno. Diventano organismi che, all'interno di un consesso amministrativo, possono anche dire che una determinata cosa non va bene o che non sono d'accordo, ma in realtà il rapporto che lega la procura con l'ufficiale di polizia giudiziaria non esiste più, quindi dipendono esclusivamente dall'organismo regionale e la funzione di controllore ambientale viene di fatto ulteriormente sminuita.
Visto che questa logica sta cominciando a passare in tutte le regioni, credo che la Commissione debba sottolineare questo aspetto nei propri atti, perché si corre il pericolo di veder venir meno le capacità di controllo e di contrasto all'illegalità.

PRESIDENTE. Mi ha molto colpito il fatto che gli episodi risalgono agli anni 2006-2008, la vostra richiesta è del luglio 2010 e il provvedimento cautelare è del febbraio 2011. Ci sono dei tempi strani, per essere in corso un'attività dannosa per l'ambiente. Stiamo parlando degli anni 2006-2008 quindi, salvo reati come il traffico dei rifiuti, tutto il resto finisce più o meno, come contravvenzioni, in prescrizione.
Vorrei tornare alla domanda di prima: i camion si muovono e i liquami sono


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sversati in mare. Basterebbe che ad un certo punto si verificasse la situazione del litorale per comprendere che qualcosa non va, ed è quello che non riesco a capire. In questi due anni, ad esempio, sono state fatte delle verifiche sulla situazione dell'acqua davanti al litorale dove venivano versati questi liquidi? A me pare che ci sia non solo una grande responsabilità da parte di chi ha chiesto di farlo e di chi l'ha fatto, ma anche da parte di chi ha controllato, o meglio, di chi non ha controllato, perché non era difficile fare una verifica lungo le coste. È un quadro allarmante perché, se di fatti accaduti dal 2006 al 2008 ne parliamo nel 2011, esiste qualcosa nel sistema che non funziona bene.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Questo dubbio mi sembra più che lecito. Io direi che bisogna distinguere i piani, nel senso che lo scarico a mare di un depuratore comporta tendenzialmente la possibilità di illeciti amministrativi, accanto, in alcune sole ipotesi, per determinati parametri, alla possibilità di configurare dei reati. In sostanza, la gestione del depuratore è sottoposta ad una disciplina molto particolare, che ha in gran parte un risvolto amministrativo. Nel caso di depuratori come quelli della Campania, dove è notorio che i parametri, anche autocertificati dagli stessi gestori, non riescono a rispettare i limiti tabellari, non è così semplice andare sullo scarico finale, verificare che vi è la violazione del parametro e, a quel punto, muoversi sotto il profilo penale.
Le dico di più: vedrà che nella richiesta e nell'ordinanza sono raccolti - questa indagine che raccoglie più ambiti e va su più campi - i verbali mensili delle cosiddette «commissioni di esperti» che la regione Campania aveva creato per monitorare i depuratori.
Questi verbali sono riportati in maniera pedissequa in un apposito paragrafo parecchio lungo, dove praticamente vediamo che gli stessi esperti giocando su alcuni aspetti - come lo scarico che non è corrispondente alla tabella 5 ma alla tabella 3 quindi non costituisce niente altro che un illecito amministrativo che verrà al più sanzionato dalla regione - e spezzettando il problema fanno in modo di verbalizzare dati apparentemente soltanto integranti illeciti amministrativi.
Dunque la complessità di questa indagine è stata quella di prendere i singoli pezzi, abilmente spezzettati in modo da far apparire ogni pezzo rientrante al massimo in un problema amministrativo, metterli insieme e quindi ricostruire la possibilità di dire che quello scarico a mare o quella lavorazione nell'impianto è frutto di un'attività, a monte, illecita.
Accanto alle difficoltà e al carico di lavoro che vi è nella Procura di Napoli - è inutile che ve lo dica -, la particolarità dell'indagine che c'è stata in questi anni è stata quella di prendere pezzi di vicende delle commissioni di esperti e le analisi - abbiamo dovuto raccogliere le analisi dei conferitori del percolato, le analisi interne dei gestori e di altri soggetti -, di metterle insieme e poi di collegarle alle vicende dei siti conferitori per poter dire che, in sostanza, era stata fornita la prova per cui quel valore che a mare potrebbe essere diluito - perché poi di fatto veniva diluito - in realtà era un valore a monte assai inquinante, che incideva nella lavorazione di mezzo dei depuratori.
Questo è il contesto che spiega perché dal 2006 arriviamo al 2009. Non si dimentichi che, nel mentre si facevano indagini sul problema del percolato, ci siamo imbattuti nel problema della gestione del contratto di appalto, che si è protratta fino al 2009. A quel punto ci sono stati altri aspetti, come l'approfondimento dei comportamenti dei RUC (Registro unico dei controlli). Tenga presente che uno dei RUC era quel Generoso Schiavone che, mentre faceva il RUC del contratto di appalto con Hydrogest, contemporaneamente ordinava ai gestori degli impianti di ricevere il percolato.
Devo dire che è stata un'indagine che ha richiesto uno sforzo finale in cui si è dovuto unire e collegare una quantità di dati che non erano solo le intercettazioni, ma che erano in gran parte documentali.


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L'indagine mette insieme, mese per mese, una serie di documenti, e parallelamente spiega quello che accadeva attraverso le intercettazioni e quello che accadeva attraverso le commissioni di esperti.
Vedrete che nell'ordinanza vi sono dei rinvii in cui si spiega al GIP questo aspetto: pur emergendo una problematica, per ora non la si sottopone all'analisi del GIP; poi si vedrà. Questo proprio perché è un insieme di dati che, con grande sforzo e con un tentativo di sintesi, è stato messo insieme.
Il periodo richiesto dall'intervento del GIP personalmente me lo spiego proprio perché, laddove si va a leggere quella ordinanza cautelare e la mole di documenti che ci sono, risulta chiaro essere sintomo dell'attenzione con cui il GIP collegiale ha seguito la vicenda. Qui si è espresso un GIP collegiale, non un GIP semplice, credo che questo sia un'ulteriore garanzia di attenzione. Non è stata una richiesta fondata semplicemente su intercettazioni e qualche riscontro, ma è stata una richiesta partita su una descrizione storica attraverso documenti, data per data, a volte ora per ora. Anche solo leggere quella richiesta, di per sé, richiede veramente tanto tempo, ragione per cui il periodo del GIP mi sembra più che congruo, al di là della gravità dei fatti che, anzi, credo abbia potuto sollecitare l'attenzione del giudice.

PAOLO SIRLEO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. In questa indagine figurano 38 indagati e, proprio perché ci sono diverse tipologie di reato - dall'associazione per delinquere, al traffico di rifiuti, al disastro ambientale - una serie di falsità ideologiche in atto pubblico nonché la truffa e la tentata truffa, il pericolo di reiterazione va rapportato non soltanto rispetto a ipotesi tipicamente ambientali, quanto anche a ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione.
Poco prima della richiesta di misura cautelare, è stata fatta una ricognizione dello stato degli incarichi che avevano le persone sottoposte a indagini, quindi si è fatta una valutazione rispetto all'attività concretamente svolta. Per questo motivo, rispetto alla gamma delle persone sottoposte a indagine è stata fatta una scelta limitata, e di questo ne ha dato atto il GIP, che ha fatto una valutazione reato per reato.
Per alcune posizioni bisogna anche considerare un altro aspetto, ovvero che dal settembre 2010 il traffico di rifiuti diventa un reato di criminalità organizzata, secondo l'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Diventa quindi un ruolo di competenza della Direzione distrettuale antimafia e, come tale, soggiace al particolare regime di questo tipo di fattispecie come, ad esempio quello per cui, laddove ci siano esigenze cautelari, l'unica misura cautelare applicabile è quella della custodia carceraria. A questo proposito, il GIP ha fatto una valutazione anche rispetto ai tipi di reato.
Vorrei riallacciarmi al discorso sulle ARPA evidenziando l'importanza del fatto che l'ARPA abbia anche poteri di operatore di polizia giudiziaria. Al di là di situazioni nelle quali abbiamo potuto constatare come ci fossero rapporti superficiali, se non addirittura falsi, nel corso di altre inchieste - parlo in prima battuta di quella «Rompiballe» ma anche del processo Bassolino-Impregilo, che è in dibattimento - sono stati fondamentali i riscontri mediante relazioni e analisi ARPA. L'importanza del fatto che questo organo abbia poteri più incisivi e una cultura di polizia giudiziaria si evince dal fatto che, quand'anche venisse eseguito un accertamento per bene, in procura arriva semplicemente un foglio su cui c'è scritto: «Siamo andati il tale giorno nell'impianto STIR di Battipaglia - tanto per dire - e abbiamo visto che l'aia di insufflazione non funzionava».
Il magistrato che non sa cosa c'è a monte, non sa cosa deve produrre quell'impianto, non sa come deve funzionare, onestamente non sa che pesci prendere. In realtà, se avesse quell'approccio tipico della polizia giudiziaria direbbe: «Guardate che l'impianto, in base a questi atti, deve fare questo, quella determinata aia deve funzionare per un determinato numero


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di ore; se non lo fa, questi sono gli effetti», e così facendo recapita in procura un lavoro minimale sufficiente per attivare un'indagine.
Un semplice foglio di carta su cui è detto che per tre ore l'aia di stabilizzazione non ha funzionato costituisce un documento che noi abbiamo potuto utilizzare come riscontro perché avevamo la conoscenza del sistema di funzionamento; senza questo background, invece, hai in mano un foglio di carta, pensi che si tratti di una mera irregolarità contrattuale e finisce lì.

PAOLO RUSSO. Ho sentito che, soprattutto nella parte finale dell'attività di indagine, i soggetti hanno concentrato le attività su alcuni depuratori e non su altri. Questa scelta come si è motivata? Avete rilevato che, sul fronte delle attività di controllo, hanno misurato che in alcune aree ce n'era meno? Come si è arrivati a questo?
Vorrei sapere, inoltre, dove va adesso questo benedetto percolato, e se sapete o potete dirci quanto spendeva la Fibe per lo smaltimento del percolato.

PRESIDENTE. Poiché la normativa sulla Campania è stata una specie di esperimento, vi chiedo di dirci se, a vostro avviso, l'ipotesi della misura cautelare attribuita al tribunale e l'ipotesi di far rientrare nell'articolo 51-bis i reati ambientali in senso ampio hanno dato risultati positivi.
Vi chiedo se, a vostro avviso, sarebbe opportuno estendere questo esperimento all'intero sistema e se, per quanto concerne i rifiuti, sarebbe opportuno dare la competenza alla Direzione nazionale antimafia, o se la vostra esperienza in tal senso non è stata del tutto positiva. Essendo un esperimento, vorremmo capire se questo ci consente di proiettarlo anche oltre i confini della Campania.

GIUSEPPE NOVIELLO, Sostituto procuratore della Repubblica di Napoli. Devo dire che la scelta di portare almeno l'articolo 260 all'interno della competenza della Direzione distrettuale in realtà non è risolutiva. Dalla nostra esperienza, le esigenze per fronteggiare davvero il tema dei rifiuti avrebbero bisogno di risposte che sono diverse.
In merito alla concentrazione presso la Procura distrettuale antimafia del settore dei rifiuti, si tratta di un settore altamente specialistico che, se viene affidato a colleghi che non necessariamente hanno un percorso specifico e che magari provengono da altre esperienze, nel momento in cui si ritrovano a trattare d'improvviso l'argomento - o comunque nel momento in cui si entra in DDA - senza un certo tipo di esperienza specialistica, si rischia francamente che l'indagine possa non svilupparsi con la rapidità o la completezza che, magari, in mano a chi ha un'esperienza potrebbe avere.
Si determina poi un altro problema. Spostare soltanto l'articolo 260 sul traffico illecito in sede di Direzione distrettuale antimafia fa sì che si rischi di trascurare tutti i reati contravvenzionali, o comunque minori ambientali, collegati. Questo è un fatto che ritengo possa verificarsi in futuro, se già non si è verificato. Diventa quasi naturale che ci si concentri sui reati di competenza distrettuale, già competente per tanti reati, mentre il reato secondario ambientale che, magari, sotto il profilo della disciplina è trattato in maniera meno rilevante che non un delitto della 260 mentre sotto il profilo ambientale assume un suo rilievo (oltre a poter portare a sviluppi ulteriori), o non viene proprio coltivato o, alla fine dell'indagine, si dichiara che non rientra nella competenza della Direzione distrettuale antimafia e lo si rimanda alla Sezione ordinaria competente in materia di ambiente.
Ritengo che questa scelta, portata così, non sia risolutiva anche perché, dalle esperienze della Procura di Napoli ma anche di altri colleghi, mi sembra che di fatto si rischi semplicemente che per quei reati si chieda al collega della Sezione ambientale la co-delega per fare quello che già avrebbe fatto nella Sezione.
Il vantaggio è quello di poter godere di alcune discipline sicuramente più pregnanti:


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penso ai tempi della durata delle intercettazioni e quindi di rinnovo, penso ad altri aspetti procedurali che sicuramente aiutano di più; però, francamente, se dovessi pesare benefici e svantaggi non mi sembra che questa possa essere la soluzione. Io ritengo che la soluzione debba essere una valorizzazione del tema sotto il profilo della cultura da diffondere all'interno della stessa magistratura e delle forze di polizia.
Ad esempio, nelle procure accade che spesso la materia ambientale sia quella meno ambita all'interno delle richieste che i sostituti fanno per andare in una sezione piuttosto che in un'altra. Nello stesso curriculum che si richiede per passare in altra sezione - se non alla distrettuale, chi ci vuole andare - l'indagine ambientale non è considerata. Ovviamente tutto questo fa sì che non si contribuisca a creare il punto di partenza fondamentale (che però è giudiziario), cioè quello di creare soggetti che abbiano davvero consapevolezza, interesse e quant'altro per affrontare il tema dei rifiuti. Se non cambia l'atteggiamento di fondo, credo che spostare un reato da una parte all'altra, come è stato fatto, non aiuti.
Quanto poi alla concentrazione in generale dei reati ambientali presso la procura della Repubblica di Napoli, ho l'impressione che abbia rischiato soltanto di aggravare il carico di lavoro. I reati contravvenzionali a volte in loco possono essere fronteggiati in maniera più immediata, per un fatto oggettivo e fattuale, e cioè che se la discarica sta a Nola o sta a Salerno, il rapporto col territorio tra il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l'acquisizione di notizie, di informazioni e via dicendo è chiaramente più immediato. Se pensiamo che si tratti di reati contravvenzionali che a volte richiedono risposta immediata, è evidente che avere un contatto in loco a mio giudizio è un valore che, laddove non si presenti un controvalore altrettanto elevato, non riesce a superare queste obiezioni.
Mi è stato chiesto perché il percolato ad un certo punto va soltanto in alcuni impianti. Da quello che emerge allo stato delle indagini questo accade perché, mentre nel 2006 la gran parte degli impianti non erano ancora presi in carico da Hydrogest ma erano affidati a singole ditte, a partire da quel momento Hydrogest ne prende in carico sei su otto, se non sbaglio. A un certo punto, quando De Bari, amministratore delegato di Hydrogest, percepisce che ci sono le indagini, rende dichiarazioni e comprende il tenore delle contestazioni - questo emerge anche dalle telefonate - comincia a dire che nei suoi impianti il percolato non lo prende più. Ed ecco che, allora, gli impianti ancora disponibili rimangono quelli di altre ditte che non fanno parte di Hydrogest.
Per quanto riguarda, infine, le domande relative a dove sia conferito oggi il percolato e quali siano gli altri soggetti coinvolti, chiedo di secretare l'audizione.

PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio video.

(La Commissione procede in seduta segreta)

PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio video.
Vi ringrazio per la presenza e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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