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Seduta del 28/4/2010


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Audizione del direttore dell'Agenzia del demanio, Maurizio Prato, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (atto n. 196).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del direttore dell'Agenzia del demanio, Maurizio Prato, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (atto n. 196).
Do la parola al dottor Prato per lo svolgimento della relazione.

MAURIZIO PRATO, Direttore dell'Agenzia del demanio. Grazie, presidente, e buonasera a tutti. Ho inviato ieri il documento della relazione, che credo sia stato distribuito. Svolgerei un intervento di estrema sintesi, in modo da lasciare lo spazio per eventuali richieste.
Parlo sinteticamente dell'Agenzia del demanio, della quale sono stato nominato direttore da circa un anno e mezzo. L'Agenzia del demanio è stata costituita a seguito di uno spin-off da parte dell'amministrazione centrale nel 2000 ed è ormai pienamente operativa da alcuni anni, nell'attuale configurazione di ente pubblico economico. Essa ha compiuto un importante processo di riqualificazione e rinnovamento, che consente oggi di qualificarla come moderna struttura della pubblica amministrazione, con competenze e capacità in grado di coprire l'intera catena del valore immobiliare.
Con la trasformazione in ente pubblico economico, l'Agenzia ha acquisito maggiore autonomia gestionale e un patrimonio proprio, ma rimane caratterizzata da un'identità ibrida. Da un anno e mezzo cerco di rappresentare questa situazione in tutte le sedi, con scarsi risultati. Il problema è che essa non è pienamente né ente pubblico economico, né agenzia fiscale e, pertanto, questo aspetto origina confusione e incertezze attuative, anche di tipo normativo.
Si tratta di una struttura moderna e professionale, anche in relazione a contingenze favorevoli, che, all'atto della trasformazione in ente pubblico economico, hanno consentito al personale all'epoca dipendente, che costituiva la Direzione generale del demanio del Ministero dell'economia e delle finanze, un ente quindi pubblico, di optare se rimanere pubblico o invece restare nell'Agenzia con contratto di diritto privato.
L'opzione di rimanere nel pubblico - circa l'80 per cento ha optato per tale possibilità - ha comportato un rilevante ricambio e ringiovanimento dell'Agenzia, soprattutto in termini di professionalità.


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Sono rimaste circa 3-400 delle 1.800 persone che rappresentavano la quota della Direzione generale del demanio.
Il completamento delle esigenze dell'Agenzia è stato realizzato sul mercato, attraverso processi di selezione che hanno portato indubbiamente a un ricambio generazionale - l'età media è, infatti, notevolmente bassa - nonché ad attuare pienamente le pari opportunità. Vi è, anzi, una prevalenza dell'elemento femminile rispetto a quello maschile.
La struttura conta circa 1.000 unità su tutto il territorio nazionale ed è estremamente contenuta, in rapporto alla vastità dei compiti affidati e alle altre agenzie. Il contenimento delle risorse si riverbera ovviamente sui tempi, sull'ampiezza e sull'intensità di tutela del patrimonio affidato.
La denominazione di Agenzia del demanio - questo è uno degli aspetti che sono riuscito a capire dopo un po' di tempo - è importante, perché lascia intendere, come alcuni ancora fanno, che l'Agenzia abbia una competenza generale e piena su tutto il patrimonio dello Stato. Così assolutamente non è: l'Agenzia gestisce soltanto una parte del patrimonio dello Stato, ed esattamente il patrimonio indisponibile, prevalentemente costituito dagli usi governativi, quindi dagli immobili in uso alle amministrazioni centrali dello Stato, e la quota del demanio storico-artistico che non è in gestione esclusiva del Ministero per i beni e le attività culturali. Il resto è in capo a una pluralità di amministrazioni che gestiscono quote del patrimonio, sia demanio, sia demanio storico-artistico.
Il risultato di tale frammentazione è uno solo: lo Stato, a oggi, non sa esattamente di che cosa è proprietario. Nella nota che è stata consegnata sono riportate alcune tavole che mettono proprio in evidenza la ripartizione, ossia chi fa che cosa, delle amministrazioni. Ne emerge con evidenza la presenza di una pluralità di attori con competenze settorializzate, che, unitamente a una complessa e stratificata legislazione, non produce l'effetto di assicurare una piena e remunerativa tutela del patrimonio pubblico.
Tralascio il rapporto che regola l'Agenzia con il Ministero dell'economia e delle finanze, che io contesto fortemente in tutte le sedi, perché è quanto di più punitivo ci possa essere all'efficienza e all'efficacia. Non credo, però, che sia tema di questa Commissione.
Con la trasformazione in ente pubblico economico, uno dei primi temi, anzi quello principale, che l'Agenzia si è posta è stato proprio quello del censimento del patrimonio gestito, ossia degli usi governativi e del demanio storico-artistico assegnato all'Agenzia del demanio. Tale censimento è stato completato ed è stato effettuato il riallineamento con il conto generale del patrimonio gestito dalla Ragioneria. Ciò trova conferma nella tabella a pagina 10, nel senso che i dati dell'Agenzia del demanio coincidono esattamente con quelli del conto generale del patrimonio.
Su questa base, ossia conosciuto il patrimonio, si è proceduto a un'analisi e a una segmentazione delle diverse categorie di beni, con riferimento a quello che l'Agenzia ha qualificato elemento di manovrabilità: i beni manovrabili, per i quali c'è una gestione piena da parte dell'Agenzia - parliamo essenzialmente del patrimonio disponibile - salvo i vincoli urbanistici e storico-artistici; i beni parzialmente manovrabili, rappresentati dagli usi governativi, cioè dal patrimonio indisponibile, che, nel momento in cui viene meno l'uso governativo, qualora non ci siano altre esigenze da parte delle amministrazioni centrali, può passare al patrimonio disponibile ed essere oggetto di alienazione, di permute con i comuni e via elencando; i beni non manovrabili, essenzialmente costituiti dalla parte di demanio storico-artistico non in consegna al Ministero per i beni e le attività culturali; altri beni non disponibili a diverso titolo, rappresentanti una categoria residuale, ossia immobili realizzati sulla base di leggi speciali e a destinazione definita e beni in uso gratuito e perpetuo, tipo quelli alle università o agli enti ecclesiastici.


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Sono estremamente importanti, a mio avviso, sotto il profilo della conoscenza complessiva del patrimonio dello Stato, le prescrizioni inserite nella legge finanziaria del 2010. Mi riferisco, in particolare, all'articolo 2, comma 222. Probabilmente non ne è recepita l'importanza da chi non è addetto esattamente ai lavori. Per me è, invece, una norma di carattere storico, che finalmente consentirà, nel tempo, in primo luogo, di conoscere esattamente il patrimonio dello Stato e a chi è affidato; in secondo luogo, per quanto riguarda le locazioni passive, prevedendo che dal 1o gennaio 2011 l'Agenzia del demanio assumerà il ruolo di conduttore unico - quindi di unico soggetto abilitato a stipulare contratti di locazione passiva per le amministrazioni dello Stato - verremo a conoscenza di quanti sono gli immobili in locazione passiva o comunque utilizzati a qualsiasi titolo da parte delle amministrazioni dello Stato.
Si tratta di un dato oggi non disponibile. Noi ne abbiamo una parte, quella che deriva dalle amministrazioni virtuose che ottemperano a una norma tuttora vigente, in base alla quale, prima di procedere a locazioni passive, esse devono chiedere la congruità all'Agenzia del demanio, dimostrare il quadro esigenziale, ossia che esiste effettivamente l'esigenza di stipulare una locazione passiva, e indicare quali sono le opere di razionalizzazione compiute per non incrementare il costo per lo Stato.
Nella stessa norma è previsto anche che le amministrazioni devono semestralmente segnalare all'Agenzia del demanio le somme spese a titolo di manutenzione ordinaria e straordinaria. Oggi questo è un altro oggetto sconosciuto, perché non è rilevato in alcuna parte. Per questo motivo sostengo che, secondo me, si tratta di una norma importantissima, che nel tempo produrrà i suoi effetti e avrà effetti positivi sul contenimento della spesa pubblica. Credo che occorra procedere su questa strada.
La competenza dell'Agenzia non è, come ho riferito, esclusiva, ma è variegata di intensità in relazione agli ambiti, piena sul patrimonio immobiliare gestito, di diversa gradazione e affievolita sulle altre aree, con generica vigilanza e mera tutela dominicale.
In questi anni, l'Agenzia ha portato avanti un'attività importante di razionalizzazione degli usi pubblici, anche sulla base di una direttiva emanata, a fine 2008, dal Ministro dell'economia e delle finanze e indirizzata a tutte le amministrazioni, che, nella sostanza, dispone di non avanzare proposte di nuovi spazi allocativi all'Agenzia del demanio se non accompagnate dal quadro esigenziale e dalle economie. In ogni caso, la nuova soluzione non può essere più onerosa di quella precedente. Questa è la direttiva del Ministro, che in parte è stata poi ripresa e trasformata in legge con la finanziaria 2010.
La razionalizzazione degli usi pubblici è un'attività che impegna fortemente l'Agenzia. Sono stati aperti tavoli con tutte le amministrazioni pubbliche per definire le attività di razionalizzazione degli spazi occupati. Sulla base della legge n. 410, sono stati portati avanti processi di valorizzazione di singoli beni o di pluralità di beni, attraverso, per esempio, i piani unitari di valorizzazione (PUV), ovvero con concessioni di lungo periodo per i beni vincolati. Si è proceduto a operazioni di dismissioni ordinarie e straordinarie, motivate cioè da particolari esigenze di finanza pubblica.
Tali operazioni sono tutte passate, tranne le dismissioni ordinarie, attraverso concertazioni con gli enti territoriali, con i quali sono stati stipulati moltissimi protocolli. Stamattina il Sottosegretario Casero ha firmato un protocollo di valorizzazione con il comune di Trieste, che riguarda circa dodici immobili. Sono protocolli che in genere conciliano le esigenze dell'ente territoriale e quello dello Stato e consistono spesso nella permuta di beni: lo Stato individua beni di proprietà degli enti locali in locazione passiva da parte delle amministrazioni pubbliche, che, quindi, è interessato ad acquisire per ridurre l'onere


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delle locazioni passive, mentre il comune è interessato a ricevere dallo Stato beni utili per la politica sociale del territorio.
Spesso tali operazioni sono abbinate, laddove non c'è equivalenza nella permuta, con il cambio di destinazione di beni, che consente poi processi di valorizzazione per lo Stato. In questa situazione, la normativa in essere prevede il riconoscimento di una quota premiale agli enti territoriali, che va dal 5 al 15 per cento in relazione ai tempi di attuazione della variazione dello strumento urbanistico.
Ho già parlato della frammentazione e della stratificazione legislativa, nonché della sovrapposizione di ruoli. Ovviamente, questa situazione comporta anche una deresponsabilizzazione, perché, quando in un processo interviene una pluralità di attori, non si sa mai di chi sia la responsabilità finale.
Uno dei casi più significativi è quello del demanio marittimo, un settore potenzialmente idoneo, a consistente estrazione di valore, caratterizzato invece da diffuse situazioni di abusivismo e dalla disomogenea applicazione delle norme da parte degli enti territoriali. Non tutte le regioni hanno, infatti, adempiuto alle previsioni di classificazione, in particolare per quanto riguarda la destinazione turistico-ricreativa delle spiagge, richieste dalla legge quadro a livello nazionale, che prevede la classificazione in due categorie. Parliamo di enti territoriali titolari, dal 2000, in relazione alla legge n. 112 del 1998, di tutto il processo gestorio e concessorio per quanto riguarda il demanio marittimo e idrico.
Per il demanio marittimo si segnala quella che sembra obiettivamente un'incongruenza. Tutto il processo gestorio è radicato sulle regioni, molte delle quali hanno delegato ai comuni, mentre a incassare è lo Stato. Ciò, a mio avviso, non è certamente uno stimolo all'efficiente gestione del demanio marittimo, perché, se l'incasso va comunque allo Stato, nonostante una piccola percentuale, un'addizionale, destinata alla regione, si verifica una situazione che anche in alcune relazioni della Corte dei conti è stata qualificata, già in passato, come di «federalismo monco».
Nello schema di decreto legislativo sul federalismo mi pare che questa sia una delle situazioni che si andrebbero a chiarire; forse manterrà ancora con alcuni punti oscuri, ma dovrebbe chiarirsi.
In prospettiva, l'Agenzia dovrà completare il suo percorso di identità, come ho ricordato, cioè tornare a essere o ente pubblico economico, oppure agenzia fiscale, qualora non si ritenga di reinternalizzarla nell'amministrazione dello Stato. Purtroppo, si creano, a mio avviso, strutture agili ed efficienti, ma che rimangono ancorate a sistemi di controllo e di riferimento di taglio veramente antico. Se questa situazione permane, tanto vale, a mio avviso, reinternalizzare l'Agenzia e gestirla come amministrazione dello Stato, altrimenti è lavoro sprecato.
Credo che l'Agenzia del demanio - su questo le misure del federalismo possono venire in aiuto - debba concentrare la propria attività essenzialmente su due settori: la gestione efficace degli usi governativi e quella delle locazioni passive. Infatti, avere compiti di generica vigilanza per alcuni versi fa bene solo alla Corte dei conti, perché non si sa mai chi è il responsabile. Secondo me, i centri di responsabilità e di imputazione devono essere chiari. Solo in questo modo chi gestisce può rispondere.
Vengo ai riflessi del federalismo sull'Agenzia e allo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, ossia al testo ufficiale in nostro possesso, anche se mi è stato dato un documento degli uffici della Camera in cui esso è raffrontato con un testo a fronte.
Lo schema di decreto legislativo prevede, tra l'altro, il trasferimento, su richiesta da parte degli enti territoriali, di beni appartenenti al demanio pubblico dello Stato marittimo, idrico, aeroportuale e via elencando, al patrimonio indisponibile, fatti salvi i beni inseriti in protocolli d'intesa - di cui prima ho parlato - già sottoscritti alla data di efficacia del decreto legislativo.


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Premesso che i beni demaniali non sono valorizzati nel conto generale del patrimonio, con parziale eccezione di quelli storico-artistici, e che esso è in fase di completamento, non essendo possibile valutare se la richiesta sarà totale o parziale, non è quantificabile neanche il possibile valore di patrimonio disponibile da trasferire.
Peraltro, è bene precisare subito l'entità di cui parliamo. Mi riferisco al patrimonio gestito dall'Agenzia del demanio, indicato nella tabella a pagina 11: il patrimonio disponibile dell'Agenzia ammonta a 3,3 miliardi di euro. Nella tabella è riportata anche una classificazione di questi 3,3 miliardi, con l'indicazione di quali sono oggetto di protocolli definiti, quali sono già in uso agli enti territoriali (con locazione o con canone agevolato), quali sono disponibili per la vendita e quali sono assegnati ai privati.
Sotto il profilo reddituale, le minori entrate potenzialmente trasferibili, in quanto connesse ai beni suddetti, sono quantificabili sulla base del consuntivo 2009, con riferimento ai codici di tributo gestiti direttamente o indirettamente dall'Agenzia del demanio, nell'ordine di 337 milioni di euro. Tale dato non è in contraddizione con quello che risulta indicato dalla Ragioneria, di 189 milioni, perché nei codici gestiti c'è una parte che riguarda le royalty incassate dallo Stato, che certamente non rientrano. Il dato della Ragioneria, quindi, corrisponde a quello dell'Agenzia del demanio.
Per quanto concerne l'operatività dell'Agenzia, l'attuazione piena di quanto previsto nello schema di decreto legislativo, con particolare riferimento al trasferimento dei beni demaniali, consentirebbe di liberare risorse necessarie per far fronte ai nuovi, pregnanti e impegnativi ruoli attribuiti dalla finanziaria 2010.
Devo segnalare che fanno capo all'Agenzia alcuni adempimenti laboriosi di tipo procedurale per i profili attuativi del decreto legislativo, i cui tempi mi paiono estremamente stretti. Parliamo, infatti, di una miriade di beni: solo gli usi governativi ammontano a circa 20 mila beni. Mi sembra difficile pensare che in 30, 60 o 90 giorni si possa adempiere a tutto, anche perché, come previsto nello schema legislativo, le amministrazioni dello Stato devono dimostrare di avere necessità dell'uso dei beni oggi affidati e l'Agenzia del demanio dovrebbe convalidare la motivazione dell'uso stesso.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Prato, sia per la relazione, sia per la scheda, che mi sembrano molto preziose per approfondire il tema che abbiamo davanti.
Do ora la parola ai commissari che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FELICE BELISARIO. Ringrazio il dottor Prato per la puntualità con cui ha affrontato i temi e per il disarmante approccio alle problematicità che conosce e che ha messo sul tappeto a cuore libero.
Partiamo, innanzitutto, con l'affermare che non abbiamo un censimento completo dei beni. Inoltre, vi è una seconda difficoltà: ci sono beni dello stesso ceppo demaniale - ma potremmo anche parlare del patrimonio indisponibile - che sono gestiti in concorrenza da più soggetti. Questo è un dato di partenza.
Se poi caliamo tale dato nello schema di decreto legislativo, i mal di pancia aumentano. Innanzitutto, l'individuazione dei beni da parte di un soggetto che li dovrebbe richiedere e a cui dovrebbero essere trasferiti diventa monca, proprio per una panoramica mancante.
In questo clima, per esempio, l'articolo 1, al comma 2, recita: «gli enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale». Vorremmo sapere perché, anziché con questa garanzia ex post, la valorizzazione non dovrebbe essere comunicata ex ante, per capire in che modo il bene va valorizzato? Per usare un'espressione piuttosto aulica, come si concilia un'eventuale dismissione o vendita, che per alcuni interpreti è, peraltro, possibile con questa dizione del decreto, con l'esigenza di valorizzazione funzionale, che


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probabilmente significa l'assegnazione all'ente richiedente, perché serve per una finalità? Come riusciamo o riusciremmo a conciliare tutto ciò? Che tipo di indicazione o di suggerimenti può fornire l'Agenzia in via preventiva?
Passo a un'altra domanda. Sullo stesso bene ci potrebbero essere più richieste. Non mi pare che esista una gerarchia, né una griglia che possano attribuire in maniera meno discrezionale il trasferimento di tali beni. Il coinvolgimento della Conferenza unificata è previsto solo nella fase preparatoria di individuazione dei beni da attribuire e non anche in quella di assegnazione, che potrebbe coinvolgere anche un giudizio di valori. Perché si affida il bene alla provincia piuttosto che al comune o alla regione, identificando in qualche maniera le priorità?
Mi fermerei qui. Ci sarebbero altri interrogativi da porre, probabilmente non a lei; forse sarà il Ministro - ieri non sono riuscito a intervenire - a spiegare questa possibilità di conferimento dei beni nei fondi di investimento immobiliare, che cosa ciò comporta e che cosa comporta un'eventuale dismissione dei beni, quindi una vendita, per capirci, da parte del soggetto richiedente e assegnatario in termini di bilanciamento con il debito pubblico.
Oggi disponiamo di una massa infinita di beni dello Stato, che poi configuriamo come demaniali, del patrimonio disponibile e di quello indisponibile. Una volta che andiamo all'alienazione, dobbiamo capire se le agenzie di rating potranno affermare che si indebolisce la garanzia del debito pubblico. Probabilmente - ripeto - questa domanda, se lei vuol rispondere, contribuisce certamente a un approfondimento, ma è una chiave di osservazione più politica che tecnico-amministrativa.
La ringrazio.

MARCO CAUSI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al dottor Prato per il materiale che ci ha consegnato e per la relazione. Come il collega Belisario, avrei molte domande da porgli. Cerco di selezionarle.
La prima è la seguente. Sulla base dell'esperienza che l'Agenzia ha maturato negli ultimi anni - penso, tra l'altro, all'accenno che ha svolto poco fa all'accordo su Trieste e ad altri accordi locali - nei procedimenti in cui ha operato, non solo per conto dello Stato, ma anche con le regioni e gli enti locali, quali sono gli insegnamenti che essa vorrebbe trasferire come conoscenza a questa Commissione?
Noi siamo dentro la costruzione di un procedimento in cui Stato, regioni ed enti locali effettuano procedimenti congiunti e, quindi, potrebbe essere molto interessante per questa Commissione capire, per esempio, a proposito dei PUV (piani unitari di valorizzazione), quali sono le condizioni, sulla base dell'esperienza storica, che ne determinano il successo o l'insuccesso, se sono un veicolo possibile, per esempio, in alternativa ai fondi immobiliari o se sono preferibili questi ultimi. Nell'esperienza che si sta compiendo del partenariato Stato-enti locali, quali sono gli insegnamenti che possiamo trarre per questi ulteriori e futuri procedimenti?
Vengo alla seconda questione. L'Agenzia si sta sempre più specializzando non tanto come gestore patrimoniale del patrimonio dello Stato, ma come gestore dell'utilizzo efficiente degli spazi necessari all'esercizio delle funzioni statali. Concordo con il giudizio positivo della norma contenuta nella finanziaria 2010.
La domanda è la seguente: è possibile porsi un obiettivo simile per le intere amministrazioni pubbliche e pensare che, tramite i procedimenti di questo decreto o forse tramite altri decreti e norme, ci poniamo l'obiettivo di avere una gestione sempre più efficiente degli spazi occupati e utilizzati per l'esercizio delle funzioni pubbliche di regioni, province e comuni e non soltanto di quelle dello Stato?
Potrebbe sembrare un obiettivo ambizioso, ma credo che lo spirito del legislatore, quando scrisse quella norma, con l'articolo 19, fosse questo. In tale articolo, infatti, si parla proprio di efficienza delle


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funzioni. A me sembra - ma poi ne parleremo fra di noi - ci sia un limite dell'attuale testo del decreto, che è tutto virato sull'alienazione e sulla valorizzazione. Il grande tema è se sia possibile razionalizzare l'uso degli spazi esistenti non soltanto per lo Stato, ma anche per gli altri enti.
Passo alla terza domanda, che però è connessa alle precedenti. Sulla base della mia esperienza personale di amministratore locale, che il dottor Prato conosce perché ci siamo già incontrati, sono portato ad affermare che la conoscenza degli oggetti è più diffusa, probabile e forte da parte del soggetto locale. A me è successo molte volte, quando ero amministratore comunale, di ricevere uffici che comunicavano che c'era una scuola, un edificio scolastico ormai abbandonato da vent'anni, che stava diventando un rudere. La sollecitazione del territorio, del consiglio di quartiere, del municipio, dell'associazione è a richiedere e riutilizzare tali beni.
Questa conoscenza dal basso, in assenza di un censimento globale - ne abbiamo uno dello Stato, ma non è detto che l'abbiamo per tutti i beni che appartengono a comuni, province, ASL e via elencando - mi sembra l'unico modo con cui si possa sopperire all'assenza del grande censimento onnicomprensivo. Mi domando, quindi, se nel procedimento di redazione di queste liste, non potesse essere sensato introdurre una domanda da parte del basso, preliminare alla formazione delle liste stesse.
Attualmente il procedimento è tale per cui tutte le amministrazioni dello Stato vi comunicano a che cosa possono rinunciare e a che cosa no; l'Agenzia, in modo professionale e rigoroso, risponde se ciò è corretto oppure no; si compilano poi le liste, sulle quali comuni, province e regioni possono esercitare un diritto di opzione.
Sicuramente ci vorranno più di 60 o 180 giorni - su questo non c'è dubbio - ma non sarebbe il caso, e vi chiedo se lo ritenete operativamente possibile, di introdurre, a monte di tale procedimento, una consultazione territoriale in cui emergano le domande e le offerte? La si potrebbe tenere, per esempio, per provincia, assegnando un ruolo alle prefetture, ovviamente con l'assistenza tecnica permanente e costante dell'Agenzia, disponendo che tutti i soggetti locali del territorio hanno uno o due mesi di tempo per segnalare al tavolo di lavoro alla prefettura, dove deve sedere anche la regione - oppure si possono creare tavoli regionali - l'edificio scolastico abbandonato, nonché le loro esigenze di spazio. Sulla base di questa valutazione della domanda e dell'offerta territoriale, si potrebbe avere un elemento in più per stilare le liste, con un lavoro certamente più certosino e complicato. Mi domando se il dottor Prato ritenga queste considerazioni del tutto fuori luogo, oppure se operativamente un procedimento di questo tipo può essere possibile.
Vengo all'ultimo punto. Ne avrei altri, ma mi limito soltanto a questi. Che opinioni tecniche ha l'Agenzia in ordine a un possibile esito di questa proposta di procedimento, se si mantiene com'è attualmente?
Visto che gli enti locali hanno comunque una facoltà di opzione, potrebbe darsi che qualcuno opti e qualcun altro no. Su questo punto vorremmo un parere tecnico. Per esempio, pensiamo al demanio marittimo, alle coste, ai litorali: può ben darsi che la regione Toscana li prenda e magari un'altra regione rinunci perché ha già molti problemi. Una ricaduta di questo tipo, un trasferimento alla Arlecchino, dove alcuni pezzi del territorio si prendono i beni e altri no, genera, a suo modo di vedere, problemi oppure no? È un'ipotesi possibile, per come è scritto il decreto? Che tipo di problemi potrebbe generare una dispersione delle facoltà di opzione da parte dei diversi enti?

LUIGI COMPAGNA. Signor presidente, raccoglierei la staffetta da queste ultime considerazioni dell'onorevole Causi, le quali però ho la sensazione che ci riportino all'argomento sottolineato nell'intervento del collega Belisario.
Anche a trovare tempi più adatti e a far valere, non so se tramite le prefetture, la


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possibilità delle opzioni, resta il fatto che le opzioni non sono priorità. Il legislatore non indica tali priorità o il possibile ordine di priorità al quale fare ricorso. Con una certa eleganza, dettata da apprezzamento e da stima nei suoi confronti, il collega Belisario l'interpella nei limiti in cui ci può rispondere nella sua onestà intellettuale di funzionario rispetto a un quesito.
Ho molto apprezzato, per esempio, ciò che leggo a pagina 24: da buon funzionario dello Stato giolittiano, lei ha addirittura sottolineato in neretto che, rispetto all'attuazione di tutto, non sarà dato conoscere preventivamente l'entità quantitativa e qualitativa dei beni di proprietà dello Stato che saranno concretamente incisi dall'operazione.
Su questo, nell'ipotesi Belisario, che è più di un'ipotesi - non porto esempi: non si tratterà della scuola diroccata dove sono i Rom - in cui c'è competizione nelle aspirazioni, pur col supporto dei prefetti, con tempi più congrui e via elencando, ho l'impressione che l'Agenzia si trovi davanti a una voragine di assunzioni di responsabilità. Che cosa ci può dire lei, pur con tutta la stima e l'apprezzamento, sul modo in cui si possa far valere questo problema nello schema di provvedimento?

MARCO STRADIOTTO. Volevo ringraziare il dottor Prato per la relazione e i documenti molti utili che ci ha consegnato.
Intervengo molto velocemente e brevemente, perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno avuto modo di porre alcune domande che avrei posto anch'io. Voglio soffermarmi in modo particolare su una questione secondo me essenziale, ossia su qual è attualmente il reale patrimonio gestito dall'Agenzia del demanio.
Questo è il dato vero. Guardavo la tabella di pagina 10 e, in effetti, per la mia esperienza - ho lavorato negli enti locali - so che, per quanto riguarda inventari e valorizzazione del patrimonio, spesso vengono riportati valori che non corrispondono alla realtà. Mi pare effettivamente sottostimato che il patrimonio pubblico del nostro Paese in carico allo Stato possa essere pari a 49 miliardi. Mi pare effettivamente poco. Significa, infatti, che sarebbe bastata la metà dei soldi rientrati dall'estero perché i soggetti che li possedevano si comprassero tutto il patrimonio pubblico.
Questo è un punto fondamentale, perché o mettiamo i numeri a posto, oppure il federalismo salta. Mi spiego meglio. All'articolo 2 leggiamo: «individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a comuni, province e città metropolitane». Per «titolo non oneroso» intendiamo non oneroso per il Ragioniere dello Stato, per il ragioniere capo della regione o per il ragioniere capo del comune? Questo per me è fondamentale.
Capisco perfettamente il fatto che tali beni oggi producano un introito per lo Stato stimato in 189 milioni di euro. Si afferma che, se trasferiamo questi beni alla regione, al comune o ad altri enti, togliamo a tali enti trasferimenti pari a 189 milioni di euro. Va benissimo, il discorso quadra. Nel momento, però, in cui qualcuno parla di trasferire anche la proprietà, qualcosa non funziona, innanzitutto perché quei beni appartengono a tutta la collettività. Tutti i cittadini italiani, con il debito pubblico, hanno in parte permesso che quelle opere o quei beni fossero costruiti, realizzati o mantenuti. Nel momento in cui restringiamo la collettività cui tali beni vengono destinati, nasce un problema.
Su questo punto è assolutamente necessario che, nel momento in cui questi beni vengono trasferiti, servano per ridurre non il debito pubblico di una singola amministrazione, ma dell'intera pubblica amministrazione. Qualcuno ha affermato che è sufficiente che ci sia una norma che dispone che, se l'ente vende il tale bene, l'introito relativo va destinato alla riduzione del debito di quell'amministrazione. Non funziona così: se serve a ridurre il debito dell'intera pubblica amministrazione, mi sta bene, ma non della singola amministrazione, perché, pur essendo vero che ciò è utile ai fini statistici per Maastricht, però non è lo stesso. Su questa


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vicenda, la domanda è, dunque, la seguente: la stima effettuata è attendibile, oppure no, come immagino?
Relativamente all'altra questione, oggi l'Agenzia del demanio dispone di 1.050 unità. Nel momento in cui una parte del demanio passa a regioni e comuni, quanto di questo personale viene trasferito? È una questione fondamentale, altrimenti iniziamo già a sostenere che il federalismo costa di più.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCO CAUSI

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. La mia è una domanda secca. Nella relazione, il direttore sostiene che né lui, né gli uffici sono al momento in condizione di stabilire quanti e quali, naturalmente, siano i beni incisi dalla manovra.
A pagina 12, che riporta un grafico, trovo scritto che i beni di dichiarato interesse degli enti locali hanno un valore stimato di 0,39 miliardi. Immagino che sia una stima dovuta a relazioni intercorse negli anni con gli enti locali. Se abbiamo una stima, evidentemente possiamo già capire verso che situazione andiamo. Perché questa premessa così cauta?

GIAN LUCA GALLETTI. Sarò sintetico, perché gran parte delle questioni sono già state sollevate.
Con che criterio è stata effettuata la valutazione dei 3,3 miliardi del patrimonio disponibile che oggi potrebbe essere trasferito? Mi pare di capire dalla sua relazione, quella scritta che ci ha consegnato, che sia un valore di libro aggiornato ISTAT. È un valore che si avvicina a quello di mercato o, in base all'esperienza che avete, è sottostimato o sovrastimato e, in tal caso, di quanto? Quale potrebbe essere un valore di mercato di questi beni?
In secondo luogo, è vero che oggi non possiamo conoscere quali saranno le richieste da parte degli enti territoriali e, quindi, non possiamo stimare quanto sarà il valore del patrimonio che andiamo a trasferire. Possiamo, però, ipotizzare - anzi, chiedo se è possibile farlo - qual è il patrimonio che ipoteticamente può essere trasferito.
In altri termini, quando stiliamo l'elenco ai sensi dell'articolo 2, vi dovranno figurare beni, nome, cognome e valorizzazione. È vero che parte di un dato bene può non essere optata - utilizziamo questa parola - dall'ente locale, però prima possiamo sapere a quanto ammonta il totale dei beni che, in teoria, possono essere trasferiti, se richiesti tutti dalle amministrazioni territoriali.
Se andiamo a esprimere un parere su questo schema di decreto legislativo senza conoscere i beni e il loro valore, mi pare che stiamo compiendo un'operazione al buio. Il mio giudizio su questo tema cambia totalmente, infatti, come posizione politica, oltre che tecnica, se stiamo parlando di 3,3 miliardi o di 330 miliardi, perché allora tutte le valutazioni diventano diverse. Se non riusciamo ad avere, neanche minimamente, un ipotetico valore dell'ammontare di ciò di cui stiamo parlando non arriveremo da nessuna parte.
Aggiungo - attenzione - che anche la dislocazione dei beni è importante: sono al nord, al sud o al centro? Per esempio, mi piacerebbe conoscere dove sono dislocati i 3,3 miliardi che valorizzate nella relazione. Non vi chiedo il comune, ma se sono in Lombardia, nel Lazio o in Calabria. Quanti sono in ogni regione? C'è un'omogeneità dei beni posseduti oppure no?
Anche questo fattore incide, basti pensare ai discorsi che venivano svolti prima dal collega. Se parliamo di cifre grandi, infatti, ciò diventa, secondo me, motivo quasi di incostituzionalità. Se si parla di cifre importanti, è chiaro che, se si trasferiscono molti beni a titolo non oneroso alle collettività locali, improvvisamente, da beni posseduti da tutti i cittadini italiani essi diverranno di proprietà - gioco in casa - solo dei cittadini di Bologna. Fa una bella differenza. Si stanno attribuendo a un comune beni che esso valorizza e vende e la cassa che realizza rimane solo a tale comune. Su questo fronte nutro alcuni dubbi.


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Se i valori fossero interessanti, mi chiedo se non valga la pena di istituire un fondo di perequazione, parte del quale vada a diminuire il debito pubblico. Secondo me, è un vincolo che dobbiamo inserire a prescindere, perché si tratta di beni che abbiamo ereditato dai nostri genitori e che non possiamo spendere noi, ma dobbiamo lasciarli ai nostri figli e possiamo farlo solo diminuendo il disastro che abbiamo compiuto con il debito pubblico. Dovremo, a mio avviso, utilizzare necessariamente la cassa di tali beni per la riduzione del debito, ma della riduzione del debito solo dei cittadini di Bologna o di tutti i cittadini italiani?
Probabilmente va premiato il lavoro di Bologna, che ha valorizzato quel bene e ha speso anche risorse per la sua valorizzazione, ma una parte va portata in un fondo perequativo, che vada a beneficio di tutti i cittadini italiani.
A mio avviso, comunque, prima di qualsiasi valutazione, dobbiamo avere un'ipotesi sul valore di cui stiamo parlando, nonché sulla territorialità dei beni.

ROLANDO NANNICINI. Signor presidente, voglio rivolgere una domanda secca: siamo a conoscenza degli oneri passivi che lo Stato ha negli affitti per gli organi decentrati di giustizia, per le caserme, che appartengono a privati, su cui lo Stato paga gli affitti costantemente ai ministeri? Sarebbe una stima interessante che dovremmo riavere, perché, svincolando alcuni beni, potremmo riavere elementi di bilanciamento.
Siamo tutti a conoscenza del fatto che le caserme dei carabinieri o di pubblica sicurezza sono di privati, che le hanno costruite e poi recepiscono affitti, con oneri passivi da parte dello Stato, come molte sedi di giustizia. Lo Stato ha una conoscenza di questo tema, nel processo di federalismo immobiliare che si sta aprendo?

PRESIDENTE. Mi sembra che siano state raccolte un bel po' di domande, su cui il dottor Prato, cui do immediatamente la parola, potrà fornirci numerose risposte.
In merito all'ultima questione sollevata dal collega Galletti, si potrebbe provare a effettuare una stima sulla base di campioni di attività di valorizzazione o di vendita già esistenti, per capire qual è il possibile moltiplicatore di quei tre, se in teoria si vendessero tutti i beni. Sulla base dell'attività che l'Agenzia ha svolto con gli enti locali, si potrebbe capire se esiste un possibile campione di casi già avvenuti a cui riferirci.

MAURIZIO PRATO, Direttore dell'Agenzia del demanio. L'avrei introdotto a fattor comune, perché il valore dei beni è un dato di fondo. Ci sono commissioni che si riuniscono e questo è l'apporto dell'Agenzia del demanio. Non so che cosa mettano nel paniere le altre amministrazioni, ammesso che vi mettano qualcosa.
Il dato di 3,3 miliardi non è lontano dalla realtà: 3 non diventa 300, né 30. Può darsi che, in relazione ai cambi di strumento urbanistico, possa diventare 4-4,5. È di questo che parliamo.
Parliamo di 3-4 miliardi: questo è il patrimonio disponibile gestito dall'Agenzia. Non credo che sia questa la base per un processo federalista. So che nel decreto legislativo ci sono considerazioni a parte.

PRESIDENTE. La Difesa per ora è fuori.

MAURIZIO PRATO, Direttore dell'Agenzia del demanio. Sì, in parte. Sostanzialmente, mi sembra fuori. Di questi 3,3 miliardi, la maggior parte, oltre la metà, deriva proprio da beni ex demanio militare o ex uso governativo al Ministero della difesa per caserme dismesse.
Prima del decreto legge n. 112 del 2008 quando le amministrazioni dello Stato - questa è una regola che vale per tutte - non utilizzano più il bene in uso governativo, dovrebbero riconsegnarlo all'Agenzia del demanio, il che non sempre è avvenuto.
Con il Ministero della difesa fu prevista, mi pare dalla finanziaria 2007, la riconsegna all'Agenzia del demanio di caserme dismesse nell'ordine di 4 miliardi di


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euro. Dei quattro decreti previsti ne sono stati emanati due. Con i primi due, poi diventati tre per un completamento, sono state riconsegnate all'Agenzia del demanio caserme valorizzate per 2 miliardi. Non è un valore di libro, perché non erano contabilizzate, ma è piuttosto vicino al valore di mercato.
Il valore «per circa 2 miliardi o quasi» è rappresentato da tali caserme; poi, con il decreto legge n. 112, si è stabilito che il Ministero della difesa gestisse in proprio i processi di dismissione e di valorizzazione, attraverso Difesa Servizi SpA, e che si interrompesse il flusso di riconsegne.
In effetti, i 2 miliardi, visto che abbiamo parlato di tale cifra, nei 3,3 miliardi sono valorizzati per 500 milioni. A livello di conto patrimoniale dello Stato, che aggiorna secondo determinati criteri, ci si basa sull'indice ISTAT. Poi, invece, sulla base della finanziaria del 2007, l'Agenzia pubblica sul proprio sito web i valori dei beni desumibili dai valori stabiliti dall'Osservatorio immobiliare italiano; vi è, infatti, una nota per cui i valori di 49 milioni di euro diventano circa 70.
Nel conto patrimoniale dello Stato le restituzioni di caserme che il Ministero della difesa ha quantificato in 2 miliardi attraverso il costo di ricostruzione sono iscritti per 500 milioni. Non so se poi valgano effettivamente 2 miliardi e se il costo di ricostruzione è un parametro che troverà conferma nel mercato. Prendendolo per buono, significa che i 3,3 miliardi diventano 5, ma lì ci fermiamo.
È importante la spaccatura a pagina 12. Dei 3,3 miliardi, circa un terzo è già oggetto di accordi e protocolli con gli enti territoriali, che abbiamo promosso in tutta Italia, con reciproca soddisfazione e interesse. Il fatto che ancora oggi ci siano comuni o regioni che, nonostante sia in fase di completamento l'iter del decreto legislativo sul federalismo, optano per stipulare protocolli, evidentemente dimostra che vi sono alcune incertezze anche a livello territoriale.
In caso contrario, oggi il comune di Trieste non avrebbe firmato il protocollo che riguarda la permuta di alcuni beni e la valorizzazione di altri: il comune prende un bene importante a Trieste di proprietà dello Stato, destinandolo alle finalità del proprio territorio, e lo Stato prende alcuni immobili in cui le sue amministrazioni sono in locazione passiva.
Sempre in quella segmentazione, ci sono i beni in uso agli enti locali, che sono o in locazione passiva agli enti locali o a canone agevolato. Credo che essi costituiscano il primo pacchetto, perché sono già utilizzati dagli enti territoriali.
Sono poi indicati, nel secondo grafico, i «beni di dichiarato interesse»; si parla di dichiarato, perché, in questa ricognizione su tutto il territorio nazionale, le filiali dell'Agenzia contattano regioni, province e comuni e avviano con essi le basi che avrebbero dovuto portare alla stipula di protocolli. Sappiamo, quindi, che diversi comuni hanno indicato come di loro interesse alcuni beni, qui quantificati in 0,39 miliardi.
Ci sono poi i beni in uso ai privati, anche in questo caso o in locazione o in concessione, e anche questi potrebbero essere di interesse degli enti, che li rilevano e ne ricavano un provento.
Poi ci sono i beni liberi, che sono oggetto dell'attività di dismissione ordinaria da parte dell'Agenzia. Il comitato dell'Agenzia ha già valutato per l'inserimento nei bandi di vendita circa 700 milioni di euro. Ovviamente, questo processo si fermerà. Non potremo certo continuare a fare i bandi. Già in questa fase è sufficiente che qualcuno indichi all'Agenzia di non vendere più. La conciliazione con le previsioni della legge finanziaria 2010, che prevedono introiti da dismissioni per circa 400 milioni di euro, vanno conciliate in qualche modo.
La ripartizione dei beni esiste, è distribuita ma non è dosata, indubbiamente. Mi pare che vi sia prevalenza nel nord e nel Lazio.
Riprendo le risposte dal senatore Belisario, che domanda se gli enti territoriali sono tenuti a garantire la valorizzazione funzionale. Sì, è scritto nel decreto legislativo.


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Probabilmente possono farlo mutuando, se operano come l'Agenzia del demanio...

FELICE BELISARIO. Lo chiedevo per cercare di dare istruzioni per l'uso o, quanto meno, suggerimenti sul pregresso. La scienza del precedente offre sempre un aiuto.

MAURIZIO PRATO, Direttore dell'Agenzia del demanio. Senz'altro, però mi pare che molti enti territoriali abbiano avviato processi analoghi sui beni di loro proprietà. Per caratteristiche il bene dello Stato non si differenzia rispetto a quello dei comuni, però mi permetto di richiamare sempre l'attenzione sulla quantità di cui parliamo, che è parva res. Diamo l'istruzione per 3-4-5 miliardi di euro.
Senz'altro si può sondare, se gli enti territoriali non si offendono. In genere, infatti, la posizione è che gli enti locali gestiscono meglio dello Stato, ma senz'altro si può mutuare. Credo che i processi che l'Agenzia ha in corso da alcuni anni possano essere indicati a modello. Sono pronti e anche disponibili sul sito Internet dell'Agenzia stessa.
Sulla valorizzazione funzionale, mi pare però che le norme del decreto legislativo prevedano il discorso dell'attribuzione ai diversi livelli; si fa, cioè, riferimento all'attribuzione ai diversi livelli di governo. Forse ciò va disciplinato più dettagliatamente nello schema di decreto legislativo, oppure va rinviato successivamente: credo che la domanda a chi vada un bene se richiesto dal comune, dalla provincia e dalla regione formerà oggetto di disciplina.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO LA LOGGIA

PRESIDENTE. Chiedo scusa al dottor Prato. Poiché alle 16 dobbiamo essere in Aula - peraltro, si procederà a votazioni piuttosto delicate - vi pregherei di permettere al dottor Prato di concludere il suo intervento. Capisco che ci sia la voglia di interloquire e ulteriormente approfondire, ma la ristrettezza dei tempi non lo consente.
Peraltro, dobbiamo prima riunire rapidamente l'ufficio di presidenza sul programma successivo.
Vorrei pregare il dottor Prato di proseguire tranquillamente senza lasciarsi interrompere.

MAURIZIO PRATO, Direttore dell'Agenzia del demanio. Onorevole Causi, lei ha chiesto se l'attuale normativa funziona sulla base dell'esperienza. Rispondo senz'altro di sì: abbiamo apportato alcune modifiche, introdotte sempre in finanziaria, per semplificare ulteriormente il processo di dismissione e credo che anche questo esempio possa essere mutuato a livello locale.
Per quanto riguarda i PUV, funzionano, ma personalmente preferisco i protocolli, perché il PUV (piano unitario di valorizzazione) ha una durata che va mediamente dai tre ai cinque anni e comporta sostanzialmente il ridisegno urbanistico della città, con la previsione di affidare a consulenti esterni ed esperti, di bandire gare e via elencando.
Stiamo arrivando alla conclusione con Bologna, ma ora è cambiato il sindaco e, quindi, ci troviamo in mezzo al guado, però stiamo parlando con il commissario. Il processo è partito tre anni fa e si doveva concludere entro giugno, ma ciò non avverrà perché per l'ultimo passaggio - il cosiddetto POC - il commissario straordinario ovviamente non se la sente di portare avanti un atto simile. Ci sarà, quindi, un rescheduling.
A me paiono molto più snelli, funzionali e personalizzati per l'ente territoriale e per lo Stato i protocolli, che sono un misto di permuta di beni e di valorizzazione con la quota premiale agli enti territoriali. È la procedura più snella.
Per quanto riguarda i fondi, si tratta di una mia limitazione: non ho mai partecipato, né come Fintecna, né come Agenzia del demanio a un fondo immobiliare. Feci, a suo tempo, ma le avevo messe in busta chiusa, le previsioni di


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quanto sarebbe successo al termine del periodo del fondo.
È senz'altro vero e condivido l'osservazione che la conoscenza sia più forte da parte del soggetto locale. Nutro, però, ancora alcuni dubbi che tutti i soggetti abbiano il proprio censimento, un po' come lo Stato, e che sappiano di che cosa sono proprietari. Credo, quindi, che il discorso del censimento sia alla base anche per gli enti territoriali.
Come opinioni tecniche sul tipo di procedimento, non svolgo valutazioni sullo schema di decreto legislativo, ma mi aggancio a una domanda, che è stata posta più avanti, relativa alla richiesta degli enti territoriali. Come può funzionare il discorso della richiesta? Per quanto riguarda il patrimonio disponibile, ritengo che possa funzionare tranquillamente. Peraltro, la lista dei beni è pubblicata sul sito dell'Agenzia: tutti ne conoscono le caratteristiche, che sono illustrate con fotografie e dati quantitativi. I beni del patrimonio disponibile sono, dunque, sul sito internet dell'Agenzia e i comuni, che comunque li conoscono, possono tranquillamente vedere quali sono i beni di loro interesse.
Ho riserve, ma in termini di gestione. Sul demanio marittimo, in epoca ancora non sospetta - quindi antecedente alla legge delega sul federalismo - come Agenzia avevo prospettato una riforma organica dell'ente, che è andata avanti un po' a macchia di leopardo e difatti non si è completata, ma che prevedeva ai primi punti proprio la riunificazione della proprietà con il soggetto gestore, per individuare esattamente chi ha la responsabilità del processo. Il demanio marittimo è uno dei settori interessati.
Sul demanio idrico non c'è l'asimmetria per cui chi gestisce non incassa, perché incassano anche gli enti territoriali e solo la proprietà è rimasta allo Stato, con una generica attività di tutela dominicale.
Ciò significa che, quando succede qualcosa, si cerca l'Agenzia del demanio. Vorrei chiarezza nella normativa: si deve essere responsabili di ciò che si gestisce e lo stesso discorso vale anche per il demanio marittimo. Nel caso del demanio marittimo, infatti, l'agenzia, a parte gli abusivismi che si trattano con la Guardia di finanza, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con le Capitanerie di porto, è chiamata ad andare a verificare saltuariamente se i comuni hanno eseguito bene i conti per i canoni da applicare. Mi pare offensivo per i comuni e un lavoro inutile per quanto riguarda l'Agenzia del demanio.
Per tornare al tema, la richiesta su questa categoria di beni potrebbe essere oggetto di incremento di costi e non di una semplificazione di sistema. Se il demanio marittimo o quello idrico si danno a richiesta, quindi ad nutum degli enti territoriali, si potrebbe verificare una situazione a macchia di leopardo, tale che, per esempio, la Liguria accetta e la Toscana no. Per le regioni che accettano, si riunifica il processo, mentre per quelle che rifiutano, lo Stato deve mantenere in piedi un sistema di controllo e tutela. Secondo me, ciò diventa anche irrazionale, complesso e complicato.
Questo vale per il demanio, mentre il demanio storico e artistico è escluso dalla delega. Per il demanio marittimo e idrico, miniere e quant'altro, se si decide per il trasferimento, ci dovrebbe essere il trasferimento totale, eventualmente con linee direttive che possono essere come quelle attuali per il demanio marittimo.
Esiste una legge nazionale che suddivide le spiagge per la destinazione turistico-ricreativa secondo fasce A e B, in base alle quali scattano poi le tariffe tabellari, oppure le strutture non amovibili, il valore di mercato. Questa gestione è in capo alle regioni, però esiste una norma quadro che indica le guideline che devono essere seguite.
Senatore Compagna, sulle assunzioni di responsabilità per l'Agenzia del demanio, condivido pienamente e vorrei poterle evitare. In merito all'implementabilità - è un termine brutto - di questo patrimonio disponibile al termine del censimento delle comunicazioni ex articolo 2, comma 222, non credo che molte amministrazioni dichiareranno di essersi accorte di utilizzare più spazi di quanti in effetti ne servono. Ciò potrà avvenire nel tempo, attraverso


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un'analisi che stiamo avviando per ogni amministrazione nel quadro esigenziale, ma non spontaneamente. A mio avviso, comunicheranno che tutto ciò che occupano è essenziale e che, anzi, non è sufficiente. Spero di sbagliare, ma penso che sarà così.
Il senatore Stradiotto chiede se il patrimonio dello Stato ammonta ad appena 49 miliardi. In realtà, sono 49 miliardi secondo i criteri del conto generale, aggiornati con i criteri ISTAT, che diventano 68 sulla base dell'Osservatorio immobiliare italiano, i cui dati l'Agenzia pubblica sul proprio sito internet. Parliamo, però, sempre dei beni del patrimonio disponibile e del patrimonio del demanio storico-artistico, che in parte è valorizzato, e del patrimonio indisponibile.
Il demanio non è valorizzato col conto generale dello Stato ed è anche difficile farlo. Come si valorizzano le spiagge? Per le destinazioni turistico-ricreative, si capitalizza la rendita, sapendo che è di gran lunga inferiore a quella che dovrebbe essere di mercato. Come si valorizza, però, tutto il demanio, idrico e via elencando? È difficile poterlo fare.
I beni incisi dalla manovra, per quanto riguarda il demanio, sono quelli di cui abbiamo parlato, ossia i 3,3 miliardi, più il demanio che non è quantificabile. Ovviamente, il dato dei 189 milioni del minor gettito che viene in caso di trasferimento, dato della Ragioneria che trova conferma in quelli dell'Agenzia del demanio, si riferisce alla parte reddituale e non a quella di valore patrimoniale.
La parte di valore patrimoniale sui 3,3 miliardi o sui 5 dipende da quante saranno le richieste di beni. Ragionevolmente, gli enti territoriali richiederanno i beni gestibili e valorizzabili e rimarrà un po' di residuo cianfrusaglia, che vedremo, come stiamo facendo, di mettere sul mercato in ogni caso.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Prato per la sua interessantissima relazione, per gli approfondimenti, nonché per i documenti che ci ha fornito, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e per quelli che ci fornirà in seguito, che saranno estremamente utili per il nostro lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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