COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 gennaio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 13,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sugli ulteriori sviluppi della situazione in Medio Oriente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sugli ulteriori sviluppi della situazione in Medio Oriente.
Nel porgervi il mio saluto, mi preme segnalare che le Commissioni esteri di Camera e Senato stanno seguendo in modo continuo l'evoluzione della situazione lungo la Striscia di Gaza e sono in costante contatto con il Ministero degli affari esteri per dare il proprio supporto istituzionale al lavoro del Governo e della diplomazia italiana.
Segnalo, altresì, che le Commissioni, sulla base di una sollecitazione da parte dei gruppi, anche di opposizione, hanno condiviso l'opportunità di avere un nuovo confronto con il Ministro Frattini, dopo quello di qualche giorno fa. Comunque, l'evolversi della situazione ci obbliga a seguirla ad horas. Pertanto, ringrazio il Ministro Frattini della sua immediata disponibilità, anche se sappiamo che per lui questi sono giorni molto pieni. Credo, tuttavia, che il tentativo di fermare la spirale di violenza che si è innestata debba avere il supporto di tutti.
Ringrazio il Ministro Frattini e gli do la parola.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Desidero ringraziare lei, signor presidente, e naturalmente tutti i colleghi deputati e senatori per questa ulteriore opportunità di incontro dopo quella, che io giudicai e continuo a ritenere particolarmente utile, del 30 dicembre scorso. L'evoluzione della drammatica situazione a Gaza credo giustifichi un ulteriore scambio di vedute.
Imposterò la mia relazione su due aspetti: l'evoluzione della situazione sul terreno e le prospettive che abbiamo, anche alla luce degli ultimi sviluppi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; l'azione messa in campo dall'Italia negli scorsi giorni e in queste ore per contribuire al miglioramento di una situazione su molteplici piani.
È chiaro che, dal 30 dicembre scorso, è aumentato a livello drammatico il numero delle vittime nella Striscia di Gaza. Certamente, una parte di queste vittime non sono combattenti delle milizie di Hamas, ma sono vittime innocenti palestinesi. Questo è un aspetto che, nonostante l'impegno formale ribadito più volte, anche pubblicamente, nei colloqui che ho personalmente avuto con le autorità israeliane, resta tuttora una sfida importante per Israele: quella di limitare ed evitare in assoluto il coinvolgimento di vittime civili.
Abbiamo avuto dal Governo israeliano delle risposte che, in alcuni casi, sono documentate e in altri sono anche filmate,


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che rappresentano uno degli aspetti più drammatici di questa vicenda: l'uso da parte dei miliziani di Hamas di civili innocenti come scudi umani, diretti o indiretti. Dico «indiretti» perché la pratica di occultare grandi depositi di armi nelle cantine delle abitazioni civili o anche in altri luoghi fortemente abitati è un modo indiretto di sottoporre a gravissimo rischio e, purtroppo, al tragico rischio di morte civili innocenti. Questa è una parte della strategia di Hamas.
Ho chiesto personalmente al Governo israeliano di adottare tutte le misure possibili per evitare che, malgrado questa strategia particolarmente efferata da parte di Hamas, ciò accada. In particolare, se è possibile, ricorrendo a forme addirittura dirette di avviso preventivo ai civili che vivono nelle abitazioni e nei luoghi dove Hamas ha occultato armi o missili. Non è facilissimo, ma io credo che, con le moderne tecnologie disponibili, sia possibile almeno tentare un avviso e un raggiungimento dei civili che vivono in queste aree e che, purtroppo, sono stati drammaticamente vittime innocenti di questo conflitto.
Uno degli aspetti che sta emergendo in questa fase drammatica è che Hamas non soltanto ha violato la tregua dal 19 dicembre, non soltanto ha violato uno dei pilastri del processo di pace; come correttamente ricordò il 30 dicembre l'onorevole Fassino, uno dei pilastri del processo di pace era land for peace: terra in cambio di sicurezza di Israele.
Israele si è ritirato da Gaza e non intende rioccuparla, ma la sua sicurezza non è stata garantita. Questo è più che aver violato la tregua del 19 dicembre, questo è aver violato uno dei pilastri del processo di pace. Sta emergendo, però, un ulteriore aspetto, che ci viene indicato dai nostri rapporti, dai nostri ambasciatori, dai contatti che ho personalmente e anche dal rapporto dell'inviato che io ho pregato di andare nei territori ad incontrare sia le massime autorità palestinesi, il Presidente Abu Mazen e il Primo Ministro Fayyad, sia il Governo israeliano. Mi riferisco all'ambasciatore Ragaglini, direttore generale del Ministero degli affari esteri per il Medio Oriente, che mi ha riferito di un'attività violenta dei miliziani contro gli esponenti di Fatah a Gaza.
Questo è un aspetto importante che viene troppo poco sottolineato in queste ore. Vi sono uccisioni, gambizzazioni, arresti illegali da parte dei miliziani di Hamas ai danni di esponenti di Fatah. Questa è un'azione contro il Presidente Abu Mazen e corrisponde alla preoccupazione di Hamas che il Presidente Abu Mazen riprenda il legittimo controllo di Gaza e arrivi a quello che noi vogliamo, ossia la riunificazione del territorio palestinese in uno Stato e l'estromissione di un controllo che la comunità internazionale non può ritenere legittimo.
Io ritengo che in queste ore il Governo italiano, come ha fatto, debba riconfermare il suo sostegno pieno al Governo dell'Autorità nazionale palestinese e in particolare la solidarietà al Presidente Abu Mazen per tutti i suoi uomini, che sono anche in queste ore, come tanti altri palestinesi innocenti, vittime delle violenze per ragioni politiche, perché esponenti di Fatah. Questo è un aspetto importante.
La prima richiesta che l'Italia ha ribadito più volte dopo il 30 dicembre - in Parlamento, come primo punto della mia relazione, rivolsi un appello immediato a cessare il fuoco - è di procedere a un cessate il fuoco, da subito, temporaneo ma, entro breve termine, destinato a trasformarsi in un cessate il fuoco permanente.
Un cessate il fuoco temporaneo, senza la garanzia di un ristabilimento delle condizioni di sicurezza sul terreno, sarebbe un palliativo a cui la comunità internazionale non si può accomodare. Negli ultimi colloqui condotti dall'ambasciatore Ragaglini a Ramallah e a Tel Aviv nelle scorse ore, il cessate il fuoco è la prima richiesta formulata dall'Italia.
In queste ore, l'esercito israeliano, con il suo portavoce, ha comunicato la disponibilità di Tel Aviv ad accogliere la richiesta di un'apertura dei corridoi umanitari per tre ore ogni giorno. Mentre noi parliamo,


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tra le 12 e le 15 ora italiana, i bombardamenti ogni giorno saranno sospesi.
Non è una tregua permanente, ma è un segnale che io personalmente, il Governo italiano e, ovviamente, tutta la comunità internazionale attendevano: un'apertura dei corridoi umanitari nella Striscia di Gaza per consentire l'afflusso costante, quotidiano degli aiuti umanitari di ogni tipo.
Evidentemente, questo è semplicemente un primo passo che io definirei uno «spiraglio» verso una tregua permanente. Il prossimo passaggio è come lavorare per trasformare queste tre ore di sospensione quotidiana dei bombardamenti in una tregua più significativa e, infine, permanente. Io sono convinto - e ne ho parlato, come poi vi informerò, in queste ore con molti colleghi in molte parti del mondo - che una tregua permanente imponga, come precondizione, l'assoluta garanzia che Hamas non sia più rifornita di armi. Questa è la prima delle precondizioni, perché è evidente che Israele non potrà accettare una tregua permanente se non vi sarà la garanzia che, in un corridoio non particolarmente lungo di frontiera, tra Gaza e l'Egitto, non continui ad affluire quell'arsenale militare che sta permettendo ad Hamas di lanciare missili sulle città israeliane.
Si tratta di un corridoio di quattordici chilometri, particolarmente limitato, che a mio avviso va controllato. Una proposta, ancora una volta, di cui discutemmo in questa sede il 30 dicembre, che oggi siamo in grado di formulare in modo più compiuto, è la seguente: trasformare il mandato della missione internazionale che dal 2005 esiste per il controllo del valico di Rafah in una missione multinazionale e internazionale, quindi non più solo dell'Unione europea. Intendo una missione a cui partecipino forze arabe, in particolare dell'Autorità nazionale palestinese.
In altri termini, credo che il Presidente Abu Mazen debba avere la possibilità di spiegare proprie forze per il controllo di quei quattordici chilometri di confine tra Gaza e l'Egitto. Ritengo, altresì, che le forze egiziane debbano poter partecipare, come altre forze arabe, al controllo di quella parte di confine da cui arrivano le armi ad Hamas. Mi riferisco, in particolare, alla Turchia con la quale abbiamo parlato negli scorsi giorni e direi in queste ore, che ha risposto positivamente all'indicazione di un suo coinvolgimento in un'eventuale missione multinazionale di controllo di quella parte del confine e, più in generale, del rispetto della tregua basata sul reciproco cessate il fuoco.
Evidentemente, questa seconda possibilità, questo obiettivo a cui noi tutti puntiamo potrà essere raggiunto solamente se e quando Egitto e Israele avranno un'ulteriore possibilità di incontro che in queste ore sta maturando. L'instancabile impegno egiziano lo definirei come l'impegno dell'unico Paese che può fare davvero la differenza in queste ore; uso una frase del Presidente Sarkozy rivolta al Presidente Mubarak. Se l'impegno dell'Egitto continuerà in queste ore ed otterrà l'obiettivo di un incontro in giornata con il primo ministro Olmert, questa prospettiva potrà concretizzarsi con maggiori probabilità.
L'Italia si sta impegnando non soltanto su un'azione di tipo politico in contatto con la Lega araba, con l'Egitto, con la Turchia, con i partner europei, con l'Autorità palestinese e con Israele. Questa mattina, ho ritenuto di avviare dei colloqui con i colleghi del G8. Finora, ho parlato con il collega giapponese, con quello tedesco e con quello russo.
Durante questa seduta - vi chiederò la cortesia di interromperla per pochi minuti alle ore 15,30 - parlerò con il collega Miliband che mi richiamerà da New York.
L'intenzione è quella di mobilitare un'attenzione, come Presidenza italiana, dei colleghi membri del G8, su due aspetti: uno di carattere politico e uno connesso agli aiuti umanitari.
L'aspetto politico consiste nel far sentire, in un momento in cui occorre fortemente il coordinamento della comunità internazionale, che l'Italia, nel suo ruolo di Presidenza del G8, vuole promuovere un sostegno corale e internazionale alla soluzione che il presidente Mubarak ha esposto


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ieri al Consiglio di sicurezza, attraverso il collega ministro degli esteri, Abul Gheit.
Si tratta di una posizione che condividiamo, che sosteniamo e alla quale auguriamo il pieno successo, perché è l'unica possibilità concreta attualmente sul terreno, che come è ovvio include tendenzialmente - vale a dire con gradualità - un cessate il fuoco che sia permanente e non più temporaneo, che include l'apertura del corridoio umanitario sui valichi, quindi il flusso degli aiuti umanitari e il controllo internazionale affidato a una missione integrata nel modo che vi ho appena accennato.
Come Presidenza italiana del G8, ho discusso tale posizione in particolare con i colleghi che in queste ore avevano avuto importanti colloqui, ma non erano stati fisicamente presenti, ad esempio, agli incontri o alle discussioni promosse dall'Unione europea.
Il collega giapponese, in primo luogo, ha assicurato pieno sostegno a questa prospettiva, così come il collega Lavrov e il collega tedesco Steinmeier.
A tutti loro ho prospettato anche - e lo farò con gli altri colleghi del Gruppo G8 - un coordinamento degli aiuti umanitari. È un aspetto di cui si è parlato in termini di bisogno pressante; su questo siamo tutti d'accordo.
Ricorderete che il 30 dicembre scorso informai il Parlamento che l'Italia era il primo, e sino ad allora unico, Paese europeo ad avere inviato aiuti umanitari urgenti nella Striscia di Gaza. Mi riferisco ad aiuti aggiuntivi.
Si è aggiunta la Grecia e anche una decisione tedesca, che si sta traducendo in realtà. Tuttavia, il collega giapponese e quello russo mi hanno parlato di un loro impegno, anch'esso già deciso, che sarà sviluppato nelle prossime ore.
La proposta di un coordinamento dei contributi dei Paesi del G8 è stata raccolta positivamente dai miei interlocutori. Tramite i nostri ambasciatori, metteremo insieme le liste di interventi e di settori, anche territoriali, della Striscia di Gaza su cui intervenire, onde ottimizzare il nostro lavoro, evitare duplicazioni e raggiungere tutti i settori, da quello medico a quello farmaceutico, a quello alimentare, a quello delle infrastrutture di uso quotidiano, su cui è assolutamente e urgentemente necessario intervenire a Gaza.
Credo che un impegno del G8 da questo punto di vista rappresenti un segnale particolarmente importante proprio per quanto riguarda gli aiuti concreti.
Ho ritenuto, inoltre, che l'Italia possa attribuire agli aiuti umanitari un'ulteriore particolare priorità nel coordinare lo sforzo della cooperazione decentrata italiana.
Molte regioni sono già impegnate autonomamente sotto questo profilo; alcune proprio a Gaza e nei territori palestinesi.
Abbiamo quindi iniziato a contattare i presidenti delle regioni italiane e abbiamo ricevuto subito la risposta del governatore della Toscana, Martini, che si è reso disponibile a lavorare in coordinamento, alla luce del protocollo politico che la Conferenza Stato-Regioni ha adottato il 19 dicembre scorso. Ciò significa che, con il coordinamento del Ministero degli esteri, gli aiuti dispiegati dalle regioni italiane affluiranno in forma di un pacchetto Italia, un pacchetto nazionale, che non sarà più composto soltanto dai fondi straordinari della cooperazione che stiamo impiegando, ma anche dalle possibilità che le regioni italiane hanno già dimostrato e stanno dimostrando di voler offrire.
Lunedì incontrerò i presidenti delle regioni italiane, o i loro rappresentanti, per definire le modalità e le liste concrete di azione in campo medico, ospedaliero, relativamente ai medicinali, agli alimenti e via dicendo.
Credo quindi che lo Stato e le regioni italiane potranno applicare, per la prima volta, il protocollo politico firmato in Conferenza Stato-regioni. Peraltro, questo sarebbe un momento particolarmente significativo per procedere alla prima applicazione del nostro protocollo.
È evidente che il punto politico, a cui ho sostanzialmente accennato, è stato sollecitato e sottoposto ad entrambe le parti.
Tale punto consiste nel definire quale sia l'end game, la fine di questo esercizio,


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non la semplice sospensione dell'azione di autodifesa che purtroppo, da parte di Israele, era necessitata alla fine di dicembre scorso e che, ancora una volta, sta cagionando vittime innocenti, così come vittime innocenti sono state quelle causate dai missili di Hamas nei villaggi israeliani.
Non credo che si debbano comparare numericamente le vittime. Anche una sola vittima è una tragedia. È evidente che quando, per un tragico errore, si colpisce un luogo dove si trovano dei bambini che studiano, una scuola, la tragedia è particolarmente grande.
L'end game, dunque, consiste nell'impossibilità del ritorno allo status quo ante. Non possiamo immaginare che ci si fermi, dando ad Hamas la possibilità che il suo arsenale venga usato di nuovo. Occorre un'azione politica, ma soprattutto un controllo del territorio da parte di autorità legittimate. Non credo, dal momento che è stato detto esplicitamente e anche pubblicamente dalle autorità israeliane, che Israele abbia né interesse, né volontà ad una rioccupazione della Striscia di Gaza. Non ha interesse per i costi politici ed economici che questo implicherebbe, né volontà per le parole del Presidente Peres e del Ministro della difesa, e anche perché evidentemente questo costituirebbe la fine del processo di pace che dobbiamo riprendere appena possibile.
È evidente quindi che tutto questo passa per una azione di sensibilizzazione. Chi può svolgere tale azione? In proposito, ho già citato l'Egitto, che credo abbia un ruolo chiave.
Ieri, abbiamo sottolineato ancora una volta la nostra fiducia nel fatto che l'azione egiziana continuerà.
Siamo anche convinti che le Nazioni Unite oggi siano in condizione di sostituire mandato e caratteri della missione internazionale del 2005, decisa dall'Unione europea in formato PESD.
Ripeto, si tratta di quattordici chilometri, ma se le Nazioni Unite non assumono una decisione politica per costituire una missione che sia formata dall'Autorità nazionale palestinese, dalle forze arabe e dalle forze dei Paesi occidentali, ivi comprese quelle europee e quelle italiane, che siano disponibili a contribuire, non vi sarà la vera garanzia che non si ritorni, un giorno, allo status quo ante, al quale non possiamo assolutamente tornare.
Ieri, il Presidente Abu Mazen ha espresso il suo appello in questa direzione. Egli sostiene la necessità della costituzione di una forza internazionale, sostitutiva della missione EUBAM, la missione europea del 2005, cambiandone il mandato ed inserendo l'azione delle forze dell'Autorità nazionale palestinese in quelle delle altre forze di Paesi europei, o comunque occidentali.
Credo che il Consiglio di sicurezza, che non ha ancora raggiunto un accordo per una risoluzione, debba e possa proseguire sui tre punti, sui quali emerge un accordo di principio, anche se non ancora di dettaglio: cessazione delle ostilità definitiva; riapertura dei valichi permanente e cessazione completa, come precondizione, del contrabbando delle armi verso Gaza, e quindi, come condizione politica di contorno, ristabilimento dell'unità palestinese.
Quello che abbiamo definito come il processo di riconciliazione interna palestinese è un cammino che, a mio avviso, deve continuare.
Certamente, in queste ore, due sarebbero i fatti importanti. Il primo di essi sarebbe un incontro tra Olmert e Mubarak che consentisse al Presidente egiziano di contare sul sostegno di Israele, che sinora non è stato dato, all'Unione europea, durante la missione della troika.
Se si realizzasse questo accordo, sulla base del piano egiziano, saremmo più vicini al raggiungimento dell'obiettivo.
Il secondo punto politico importante sarebbe la possibilità, da parte dell'Egitto, di indurre - uso questa espressione - Hamas ad accettare ciò che non ha mai accettato: il controllo della frontiera anche da parte dell'Autorità nazionale palestinese, ovviamente con la consapevolezza che il loro potenziale di armamenti dovrà essere bloccato o smantellato.
In questi minuti, si registra l'arrivo al Cairo di una missione di Hamas. A quanto


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ci risulta, tale missione appare guidata dal vicesegretario generale di Hamas, che da Damasco è partito per Il Cairo.
Credo che se si compisse lo sforzo egiziano di imporre ad Hamas questa condizione, che è di carattere politico, ma anche militare e operativo, potremmo completare il circolo positivo ed arrivare al raggiungimento dei tre punti chiari di accordo a cui ho fatto riferimento.
In conclusione, sono convinto che il ruolo dei Paesi arabi, della Lega araba e dell'Egitto, da un lato, sia assolutamente importante per non attribuire ad Hamas la legittimazione internazionale che desidera, e che correttamente l'Unione europea non considera possibile - sapete che la troika europea non ha incontrato alcun rappresentante di Hamas durante la sua non lunga visita nei territori nei giorni scorsi -, ma, dall'altro lato, sarebbe la dimostrazione importante della capacità della Lega araba e dei Paesi arabi con i Paesi occidentali e con l'Unione europea di arrivare a questo accordo.
Aggiungo infine un riferimento a un importante incontro con il Primo ministro Fayyad, che ha registrato con soddisfazione l'iniziativa italiana di un coordinamento G8 per gli aiuti alla Striscia di Gaza. Riteniamo che il primo ministro Fayyad possa essere l'interlocutore per questo aspetto, essendo l'autorità palestinese che ha competenza sulla ricostruzione economica e sugli aiuti. Abbiamo fiducia nel primo ministro, così come nel presidente palestinese. Riteniamo quindi che nelle prossime ore questa iniziativa potrà rappresentare un ulteriore, concreto contributo avvicinandosi alla soluzione indicata nei tre punti oggi in discussione, che l'Italia ha caldeggiato personalmente e che continuerà a caldeggiare.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

WALTER VELTRONI. Signor Ministro, la ringrazio innanzitutto per aver accettato l'invito a riferire qui in Commissione per la seconda volta sulla gravissima crisi in atto, che in questo momento legittimamente catalizza l'attenzione e la preoccupazione della comunità internazionale.
Nel mio intervento, mi sforzerò di svolgere la nostra discussione su questo tema al riparo dalle nostre vicende interne, giacché nella storia recente e meno recente del nostro Paese si rileva una felice tradizione, che induce il Paese a cercare di presentarsi unito sulle questioni internazionali, soprattutto quando tali posizioni siano richieste dalla durezza e dalla pericolosità di una crisi come quella attuale.
Vorrei dunque che le mie riflessioni, anche critiche, fossero considerate di merito e non riferite a ragioni di schieramento o di appartenenza.
Come lei ha giustamente rilevato, la situazione è precipitata al di là delle nostre e delle sue previsioni, signor Ministro, laddove nella sua comunicazione del 30 dicembre affermava testualmente di aver avuto dal Governo israeliano la conferma di non avere intenzione di autorizzare un attacco di terra su Gaza per le conseguenze che questo provocherebbe, sia nel senso di una nuova, anche se temporanea, rioccupazione di Gaza, da cui Israele si era totalmente ritirato, sia per l'impegno che un'azione militare di terra comporterebbe con ricadute ancora più tragiche in termini di vite umane.
Questa previsione, questa informazione si è rivelata non corrispondente alla realtà e ciò che è accaduto dopo aver confermato le sue preoccupazioni che questo intervento - determinato da ragioni su cui tornerò tra un attimo - comportasse rischi molto elevati e ricadute ancor più tragiche in termini di vite umane. Queste ricadute ci sono state, hanno riguardato non solo i miliziani, ma anche la popolazione civile, bambini di scuola, in una situazione che rischia di accrescere la sua pericolosità sia sul teatro di questo scontro, ovvero nella Striscia di Gaza, sia per le eventuali conseguenze negli equilibri di quell'area.
Poiché desidero portare questa discussione fuori dalla dinamica delle nostre


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legittime differenze di politica interna, invito tutti a non considerare queste considerazioni, che peraltro si fondano sulle sue preoccupazioni, come una sottovalutazione del pericolo vissuto e percepito dalla popolazione e dallo Stato di Israele.
Da tempo, infatti, Israele si trova in una condizione molto difficile, in cui si sente assediato da una quantità di soggetti, che si ripropongono persino il suo annientamento, come testimoniano le dichiarazioni formulate in questo senso da Ahmadinejad e le posizioni assunte in più occasioni da diversi soggetti operanti nell'area, a cominciare da Hamas.
Da mesi si susseguono lanci di missili dalle postazioni di Hamas verso città israeliane, e dunque è del tutto evidente che Israele sente minacciata la sua sicurezza. La domanda che però dobbiamo porci, partendo da questa affermazione che credo ci unisca tutti - lo dico perché ho sentito delle scomposte reazioni di qualche esponente, peraltro abituato a qualche reazione un po' grossier - è un'altra; su questo siamo tutti d'accordo, ci mancherebbe altro, ma la domanda che dobbiamo porci è se la reazione che a questo pericolo è stata proposta sia la strada giusta per risolvere il problema.
La storia è lunga e ben nota, costellata da ripetuti tentativi di pace, che si sono avvicinati quando si è usato lo strumento della politica, perché nessuno può negare che l'uso della forza non sia uno degli strumenti attraverso cui affrontare grandi conflitti. Poco lontano da qui, nei Balcani, l'uso della forza è stato necessario, naturalmente con le egide necessarie delle organizzazioni internazionali. Questo però non può mai sostituire la politica. Ci si è maggiormente avvicinati a una soluzione di pace nel Medio Oriente quando la politica ha avuto la forza e il coraggio di parlare prima delle armi. È stato il caso dell'accordo stipulato con Clinton, con Isaac Rabin e con Yasser Arafat, non del secondo tentativo fatto con Barak e Arafat per responsabilità precipue del presidente palestinese Arafat. Un'occasione di pace è stata perduta e quando la pace, come un elastico teso, non raggiunge l'obiettivo, si apre una fase di conflitto.
Tale fase di conflitto è stata esasperata dalla totale assenza di iniziativa politica internazionale, volta a risolvere con gli strumenti della politica una crisi il cui esito tutti conosciamo. Un grande scrittore israeliano si chiedeva: «Quanto sangue ci vorrà ancora prima che tutti si arrivi alla consapevolezza che questa vicenda ha una sola naturale conclusione: la sicurezza dello Stato d'Israele e il riconoscimento dello Stato di Palestina ?». Il sangue che si è versato e che si versa è ancora troppo. Questa prospettiva deve essere accelerata innanzitutto attraverso la capacità di contrastare il terrorismo non favorendo una radicalizzazione, un'ulteriore esasperazione delle tensioni, che rischiano di trascinare quell'area, e con essa, per la sua importanza strategica, una parte importante del mondo, verso un esito molto pesante e negativo.
Lei stesso, riferendo della situazione, ha evidenziato come sia in corso una rappresaglia da parte di Hamas nei confronti di dirigenti ed esponenti di Fatah.
Questo non solo ci deve confermare nel giudizio su Hamas, che - ripeto - non è materia che ci divida, ma ci deve anche far capire il rischio di una radicalizzazione, il rischio che questa vicenda, la decisione di utilizzare questi mezzi - a mio avviso sproporzionati per l'esito in vite umane che si è determinato - metta in seria difficoltà i principali soggetti sui quali la pace può fondarsi, ovvero le forze moderate che agiscono in Palestina, il presidente Abu Mazen per il quale si susseguono unanimi elogi e dichiarazioni di sostegno sebbene in parte tardive. La crisi di Gaza è infatti anche determinata dalla condizione di abbandono in cui Gaza e la Palestina si sono trovate, oltre che per le responsabilità e talvolta per la dilagante corruzione diffusa in quell'area. Oggi, però, una radicalizzazione che metta in difficoltà proprio i soggetti in grado di aiutare la costruzione di una prospettiva di pace è il rischio principale con cui ci misuriamo.


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Confermo quindi il mio giudizio di merito, che non ha riferimento a ragioni altre. La nostra iniziativa è stata inadeguata, perché il nostro Paese ha una storia e una presenza vitale, siamo la parte più avanzata dell'Europa verso quella parte del mondo, in grado di svolgere una funzione di mediazione per le ragioni storiche di amicizia che ci legano al popolo israeliano e al popolo palestinese. La nostra voce non si è sentita in modo adeguato, perché l'annunciata iniziativa italo-francese, che lei qui aveva ventilato, non si è materializzata, e la voce dell'Italia non si è sentita con la stessa forza della voce della Francia o della Gran Bretagna, Paesi guidati da schieramenti diversi tra di loro, ma uniti nella convinzione che l'intervento delle truppe di terra e il conflitto portato sul territorio potessero avere conseguenze drammatiche per la pace.
Peraltro, anche nella sua esposizione - ma di questo non si può fare carico a lei - un soggetto appare abbastanza defilato, l'Europa.
L'Europa ha parlato in modo confuso e incerto, con dichiarazioni della presidenza ceca e dei singoli Paesi, senza una voce unitaria. Questo rimanda all'assoluta necessità - lo faccia dire a chi da sempre è un «euro convinto», non un euroscettico, come molti sono in questo nostro Parlamento - che vi sia una politica estera e di difesa comune e che, soprattutto in crisi di queste dimensioni, l'Europa debba far far sentire la sua voce come ha fatto in occasione della vicenda libanese.
La vicenda libanese è stata la prova che l'Europa e l'Italia possono svolgere una funzione di guida, di leadership e di protagonismo, con effetti che sono stati importanti anche per la sicurezza dello Stato di Israele. Leggendo oggi le dichiarazioni di Nasrallah ci si rende conto di che cosa sarebbe potuto accadere se non vi fosse stata questa presenza, con le coperture internazionali necessarie, da parte italiana.
Ai miei amici della comunità ebraica di Roma voglio dire che se promuovono delle iniziative, alle quali personalmente non sono mai mancato, queste devono rivolgersi a tutte le forze politiche e devono riconoscere il ruolo e il valore delle posizioni che, anche a tutela dello Stato di Israele, sono state espresse anche nell'esperienza di governo di centrosinistra da parte di chi allora presiedeva il Governo e da parte di chi aveva responsabilità al Ministero degli affari esteri. È necessario, in questa crisi, cercare di costruire il massimo di unità possibile, ma con un'iniziativa forte.
Signor Ministro, i tre punti da lei richiamati sono ovviamente condivisibili, come è condivisibile l'idea di un impegno italiano, come Presidenza del G8, soprattutto per favorire l'iniziativa umanitaria. In questo momento, però, dobbiamo dire con grande forza che non bastano tre ore al giorno di sospensione dei bombardamenti (ne rimangono altre ventuno di bombardamenti e di combattimenti di terra). Dobbiamo affermare che, con le garanzie che sono necessarie, il cessate il fuoco, quello che ha chiesto il presidente Sarkozy e che hanno chiesto altri Paesi, deve diventare la posizione che caratterizza l'impegno del nostro Paese.
Questa è la sollecitazione e la richiesta che le rivolgiamo, che credo possano e debbano trovare unito il nostro Paese nell'affrontare questa crisi così rischiosa e dai possibili esiti drammatici.

MAURIZIO GASPARRI. Signor presidente, voglio esprimere apprezzamento per le proposte e le iniziative del Governo, qui rappresentato dal Ministro Frattini.
Il dibattito, giustamente, può e deve lasciare spazio a ogni tipo di critica. Mi dispiace che qualche critica, anche se in maniera meno esplicita, sia stata rinnovata anche poc'anzi, in una fase in cui tutti sosteniamo la necessità di una forte coesione.
Tra i tanti commenti che questa mattina ho avuto modo di leggere su questa crisi, cito quello di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, che riassume in maniera chiara il dato sostanziale: «Tutte le espressioni che modulano con ripetitiva monotonia l'esigenza della tregua, dal "cessate il fuoco" al "tacciano le armi", dai


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"tavoli della pace" alle "conferenze internazionali per il dialogo" ai "corridoi umanitari" presuppongono una condizione fondamentale che è proprio quella assente nell'inferno di Gaza; la tregua, perché sia tale, si fa sempre in due. È ragionevole, è realistico, è possibile che Hamas voglia essere una delle due parti a rispettare una tregua? Non l'ha già violata lanciando razzi Qassam sulle città israeliane per fare espressamente vittime civili? E poi, su quali basi è possibile per Israele trattare con chi non nasconde un'ostilità assoluta e non negoziabile verso la sua stessa esistenza?».
Il problema è questo, purtroppo. È ovvio che tutti siamo per la pace in Medio Oriente e vorremmo finalmente salutare un'alba in cui due popoli e due Stati possano convivere in quell'area così martoriata del nostro pianeta. Ma credo che non possiamo trascurare questo dato di fatto: chi ha tradito gli accordi? Rammento, infatti, che erano state raggiunte intese, che sono state richiamate.
Oggi anche il presidente D'Alema, in un suo articolo, ricorda episodi di grande importanza nella politica internazionale ai quali, come Ministro degli affari esteri in quel momento, ebbe modo di assistere.
La comunità internazionale, la Presidenza americana, i vertici dell'Autorità palestinese e lo Stato d'Israele hanno sinceramente sottoscritto accordi, si sono stretti la mano, ma poi purtroppo le vicende sono andate come sappiamo.
C'è questa drammatica crisi in atto e tutti siamo sconvolti dalle vittime civili dell'una e dell'altra parte. Per quanto Hamas abbia conquistato un consenso democratico, c'è da dire che questo non può consentire il massacro di popoli confinanti. Sono stati richiamati, in questi giorni, esempi del passato noti a tutti, che è inutile ricordare. Appare strano che, da parte della sinistra, qualcuno insista sul fatto che Hamas ha un mandato democratico. Ha avuto forse un mandato per massacrare il popolo di Israele e per mantenere in vita il suo statuto, che ha come primo obiettivo la distruzione e la cancellazione dello Stato di Israele? Questo è il linguaggio che la Presidenza dell'Iran utilizza, un linguaggio al quale, per fortuna, non si uniscono molti altri Stati arabi, che però non hanno neppure il coraggio di prenderne in maniera vistosa e plateale le distanze, perché forse temono, al loro interno, l'attacco di gruppi fondamentalisti estremisti che minacciano non solo Israele, ma anche i vertici di tanti Stati arabi, che sono le prime vittime di un ricatto e di una minaccia espliciti.
Credo che su Hamas ci siano state prese di posizione significative. Nei giorni scorsi, anche il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto sottolineare, ricordando la sua recente visita nel Medio Oriente, come la presenza di Hamas abbia segnato la spaccatura del mondo palestinese e abbia condizionato quello scenario.
Devo dire che anche all'interno dei partiti di opposizione c'è una dialettica; non abbiamo letto o sentito valutazioni uniformi da parte dei diversi esponenti, alcuni dei quali sono presenti anche in quest'aula. L'onorevole Fassino, ad esempio, ha usato parole per molti aspetti chiare e condivisibili, anche in queste ultime ore, ribadendo le responsabilità di Hamas e anche il diritto di Israele a difendersi. Su come Israele debba difendersi, ovviamente, si apre una grossa e dolorosa discussione. Altre posizioni, francamente, non possiamo condividerle.
Temo che da questa riunione non verranno soluzioni decisive - magari fosse possibile - per questo dramma, ma a mio avviso è nostro dovere sottolineare chi ha rotto gli accordi, chi ha colpito per mesi e mesi le popolazioni civili di Israele (vediamo immagini drammatiche, anche di queste ore). Tra gli atti più gravi di Hamas vi è sicuramente quello di lanciare missili verso Israele in mezzo alla popolazione, utilizzando forse anche scuole e abitazioni ed esponendo quindi come scudi umani e come bersagli potenziali luoghi, ambienti, famiglie, che vengono scientemente utilizzati quasi per attrarre una risposta che, in una logica di guerra, diventa folle. Le guerre hanno una loro follia che non è


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maggiore o minore a seconda delle parti che muovono l'offensiva. Hamas usa anche questa tattica, come sanno tutti.
Credo che noi non possiamo mettere sullo stesso piano uno Stato democratico come Israele, che da decenni deve difendere la sua esistenza, e organizzazioni terroristiche. Devo dire che il Ministro Frattini ha giustamente sottolineato il sostegno del Governo italiano all'azione di Abu Mazen e dell'Autorità palestinese, che non solo è vittima di minacce, probabilmente, ma è anche la vera assente, in questo momento, perché non riesce ad avere la forza politica, morale o fisica di far sentire la propria voce, mentre altri, attraverso i razzi Kassam, hanno fatto sentire la protervia della loro forza.
A mio avviso, come Parlamento dobbiamo dare sostegno all'azione del Governo, anche attraverso i contatti e le iniziative che il Ministro Frattini ci ha illustrato; dobbiamo tener conto del ruolo che l'Italia nel 2009 riveste nell'ambito del G8 e degli altri organismi (G14, G20) ad esso collegati, anche per il ruolo storico ed importante che ci compete nell'ambito dell'Unione europea che in questi giorni, con la nuova Presidenza, su questi passaggi sta registrando le proprie posizioni.
Non possiamo, però, dimenticare di denunciare come agisce Hamas e come il terrorismo ha agito nei confronti di uno Stato democratico. Ribadiamo l'idea di un sostegno alla politica degli aiuti umanitari e agli appelli per il cessate il fuoco, che noi vorremmo non fosse di sole tre ore, ma totale, definitivo e irreversibile. Il cessate il fuoco, però, deve essere di tutti, non solo di alcuni, mentre i missili vengono lanciati sulla popolazione civile dello Stato di Israele.
Concludo sottolineando la necessità di disarmare i terroristi. Questo è un problema che riguarda Hamas, ma anche Hezbollah, soggetti con i quali non è utile fare passeggiate sottobraccio, come avvenne anni fa, ma vanno condannati in ogni occasione.
La frase che considero più di sintesi dell'intervento del Ministro Frattini - la sottoscrivo personalmente ma credo lo facciano anche i nostri gruppi parlamentari - è che non si possa tornare allo status quo ante. Questo è evidente. Il drammatico conflitto in atto, che tutti ci auguriamo cessi rapidamente - e dobbiamo adoperarci perché ciò avvenga - è nato perché per mesi c'è stato un quotidiano lancio di missili su popolazioni civili dello Stato di Israele.
Forse, se è possibile fare un'autocritica collettiva, la comunità internazionale avrebbe dovuto intervenire prima, cogliere prima l'allarme di quella situazione. Oggi dobbiamo agire nelle direzioni indicate dal Ministro Frattini e credo che il Popolo della Libertà darà tutto il sostegno politico e parlamentare, nelle sedi interne e, dove sarà possibile, internazionali, all'azione del Governo italiano che merita ampia fiducia ed ampio sostegno.

GIORGIO LA MALFA. La volta scorsa, quando riferì il Ministro, ero a letto con una bronchite che ho ancora; ebbi, però, occasione di ascoltare, attraverso Radio Radicale, l'intero dibattito e mi colpì molto la posizione del Governo, che condividevo e condivido nella sua espressione di oggi, ma anche il vasto accordo delle Commissioni riunite, con l'eccezione di pochissime voci. Direi che maggioranza e opposizione, in quella circostanza, più di quanto non risulti oggi, diedero una visione comune che era basata essenzialmente sulla convinzione che la responsabilità di quello che di doloroso sta succedendo è soltanto di Hamas, per avere rotto una tregua.
Onorevole Veltroni, non è che Israele senta minacciata la sua sicurezza, come lei ha detto; Israele viene colpita nelle sue popolazioni, e questo è un problema molto diverso. La natura del problema che si pone in questo momento non consiste nel fatto che Israele reagisce, come lei dice, con mezzi eccessivi alla percezione di una minaccia; Israele reagisce a un attacco al suo territorio e ai suoi cittadini. Da questo punto di vista, io credo che, come l'altra volta, noi non possiamo che dare pieno sostegno alla posizione del Governo che mi pare consista nel cercare una via d'uscita politica a questo problema e di far tacere


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le armi. Questo far tacere le armi, però, deve essere accompagnato dalla garanzia che da quel momento in avanti quel tipo di attacchi alla sovranità e alla sicurezza dei cittadini dello Stato d'Israele non possa più determinarsi.
Questa soluzione può essere determinata da un monitoraggio, da parte di un'organizzazione internazionale più ampia della UE, dei quattordici chilometri attraverso i quali si infiltrano le armi nel territorio di Gaza? Se questo sarà possibile, dando un ruolo importante all'Egitto, ad altri Paesi arabi, all'Autorità palestinese, tanto di guadagnato. Credo che non ci sia altro da dire in questa circostanza.
Quello che ci preoccupa molto - e qui riprendo positivamente un'osservazione dell'onorevole Veltroni - è questa specie di cacofonia delle voci europee. Il Ministro degli affari esteri non ha riferito i contenuti delle iniziative del Presidente Sarkozy, il cui viaggio in Medio Oriente ha coinciso con il viaggio dell'Unione europea e con il viaggio di un alto esponente del Ministero degli affari esteri italiano.
Ha ragione l'onorevole Veltroni, l'Europa dovrebbe essere tutta assente o presente con una sola voce. L'idea che ci sia, contemporaneamente, una missione di un alto funzionario italiano, una missione di una troika europea che comprende il Ministro degli esteri francese e una missione del Presidente della Repubblica francese dà il senso di un'Europa che, forse, partecipando fa più danno che altro. La mia idea è che si debba essere molto prudenti, e in questo senso approvo l'azione del Governo.
Bisogna essere molto prudenti, perché per far tacere le armi occorre creare le condizioni per cui queste tacciano davvero da entrambe le parti e per molto tempo.
Signor Ministro, non avrei altro da raggiungere, se non questa espressione di sostegno.

ROBERTO COTA. Signor presidente, innanzitutto vorrei ringraziare il Ministro Frattini per la sua disponibilità. Nel giro di pochi giorni, egli è venuto per due volte di seguito in Commissione, non limitandosi ad adempiere a un dovere formale.
Inizio il mio intervento formulando una riflessione. Ho preso atto della posizione e delle dichiarazioni espresse dall'onorevole Veltroni.
Se questa è la posizione del gruppo del Partito Democratico, essa può essere condivisa o meno ma almeno è stato assunto un atteggiamento chiaro. Dico questo, perché, nonostante si facciano delle imputazioni al Governo, la posizione che ha caratterizzato le opposizioni fino ad oggi non è stata chiara, né univoca.
Inoltre, le riflessioni diverse che hanno caratterizzato Hamas non sono semplici sfumature, bensì considerazioni politiche che hanno un'importanza fondamentale.
Detto questo, penso che non sia giusto strumentalizzare per fini interni una situazione che non ha nulla a che fare con la contrapposizione tra maggioranza e opposizione che può esserci all'interno del nostro Parlamento e che per tanti aspetti è anche fisiologica.
Imputare al Governo una previsione sbagliata dal punto di vista politico non è corretto, nel senso che la situazione in quei territori non è certo degenerata o non si è evoluta in una certa direzione a causa di errori dal punto di vista diplomatico del nostro Governo. Questo è pacifico.
La situazione ha conosciuto quel tipo di evoluzione, perché abbiamo a che fare con una vera e propria polveriera e perché, evidentemente, riuscire ad annodare i fili della pace è un'operazione che si presenta molto complicata.
In ogni caso, tuttavia, non c'è alcuna responsabilità o inefficienza da imputare all'azione della nostra diplomazia. Vorrei sottolineare tale punto, perché assumere una posizione diversa vuol dire fare proprio quello che l'onorevole Veltroni ha detto di non voler fare in apertura del suo intervento, ossia procedere a strumentalizzazioni e trasportare su un tema molto delicato come quello dello scenario internazionale di questi giorni nel Medio Oriente contrapposizioni e strumentalizzazioni di tipo interno.


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Si registra, perlomeno dai primi interventi, una condivisione su molti punti. Questo è sicuramente un fatto positivo. Spero che possa essere anche di supporto all'azione del Ministro, dal momento che sulla base delle riflessioni formulate dall'onorevole Veltroni, mi pare che da parte anche del PD ci sia condivisione rispetto ai tre punti indicati dal Ministro Frattini.
I tre punti in questione sono tutti finalizzati, ovviamente, al raggiungimento dell'obiettivo di porre fine alle ostilità, di realizzare un cessate il fuoco e di raggiungere a tempo indeterminato quella tregua che già oggi si realizza, seppur molto parzialmente.
È positivo il fatto che proprio oggi, mentre si tiene questa audizione, sia stata determinata una tregua che consente anche l'apertura di un corridoio umanitario per tre ore al giorno.
L'obiettivo è sicuramente questo. Del resto, il permanere delle ostilità oltre che causare continuamente delle vittime, da una parte e dall'altra, è molto pericoloso anche da un punto di vista politico internazionale, perché è chiaro che rafforza, anzi consolida e ricompatta, il radicalismo islamico. Pertanto, bisogna assolutamente intervenire e fermare questa escalation.
Quel che occorre fare lo ha indicato il Ministro, quindi, si deve seguire la direzione indicata.
È giusto responsabilizzare l'Egitto, che in quel contesto può giocare un ruolo importante. Tuttavia, è anche giusto richiamare l'Europa alle proprie responsabilità.
Quando diciamo che l'Europa compie operazioni che non dovrebbe realizzare e invece non si occupa di attività che dovrebbe attuare ci riferiamo proprio a situazioni come questa.
Avere una politica estera comune, soprattutto quando abbiamo a che fare con situazioni che esplodono vicino a noi, deve essere una caratteristica imprescindibile se si vuole parlare di una unione di Stati, o di una confederazione che dir si voglia, che abbia un senso.
Questa è la nostra posizione e invitiamo il Ministro ad andare avanti.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per una comunicazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Devo dare una comunicazione importante.
Mi hanno informato che alcuni minuti fa l'Autorità nazionale palestinese e Israele hanno aderito alla proposta egiziana del piano in tre punti, come presentata dal ministro Abul Gheit ieri notte al Consiglio di sicurezza.
Con l'occasione, essendo emerso tale tema in questa prima parte del dibattito, tengo a fare una precisazione subito, anche per il seguito della discussione.
Credo che possiamo tutti unirci alla soddisfazione del presidente Sarkozy che - lo ricordo, ma lo sappiamo tutti - dal 1o gennaio è presidente di turno del Consiglio di sicurezza. In tale veste, egli è intervenuto e ha parlato; e per questo lo abbiamo sostenuto fortemente.
Le parole di consenso e di apprezzamento del presidente Sarkozy riguardano evidentemente questi tre punti: cessate il fuoco permanente, apertura dei valichi e dei corridoi umanitari, missione internazionale per il controllo delle frontiere e per impedire il traffico delle armi.
Mi permetto di ricordare a me stesso, come si dice, che questi sono i tre punti che vi avevo illustrato il 30 dicembre, e quindi il Governo non è stato preso alla sprovvista.
Questi punti, e solo questi, avevo ricordato, come risulta dagli atti parlamentari. Non è dunque vero - mi permetto di dire - che la cosiddetta proposta italo-francese non si sia materializzata. Non si è materializzata perché il 1o gennaio l'Italia è uscita dal Consiglio di sicurezza, ma la sostanza di cui vi avevo parlato, raggiungendo un amplissimo consenso del Parlamento, è quella su cui si è formato il consenso.
Ognuno può ritenere legittimamente tutto, ma questi sono punti di fatto e non opinioni.

FABRIZIO CICCHITTO. In merito a questa ultima precisazione del Ministro


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Frattini, per sgombrare il campo da ogni equivoco, e non per assumere un atteggiamento precostituito, reputo che l'azione del Governo in questa vicenda sia stata assolutamente adeguata e all'altezza dei problemi che abbiamo davanti.
Certo, è necessario capirsi circa il senso che l'iniziativa del Governo deve avere. Infatti, se si chiede al Governo di esercitare un ruolo di mediazione, assumendo una posizione estranea sia ad Israele che ad Hamas, questa è una posizione insostenibile, non condivisibile e assolutamente in contraddizione con quanto sta avvenendo.
Se fosse questa la vera ragione della critica mossa al Governo e non quella relativa alla previsione di un intervento di terra o meno, allora vi sarebbe un profondissimo dissenso su questa questione. Se invece ci troviamo di fronte a obiezioni derivanti dal fatto che le critiche si devono comunque muovere, credo che le precisazioni del Ministro ci consentano di andare avanti.
Voglio anche aggiungere - per memoria, ma ne siamo assolutamente tutti consapevoli - che ci troviamo in questa situazione, perché nella precedente gestione nella guida del popolo palestinese sono state perse le occasioni storiche di Oslo e di Camp David. Infatti, le posizioni estreme, all'interno del mondo palestinese, non sono derivate da Israele, ma dai tragici errori di Arafat e anche dalla presenza di una gestione con elementi di corruzione.
Entrambi questi elementi, la mancanza di uno sbocco politico e una gestione politica sbagliata, hanno dato spazio ad Hamas.
Se si dimentica questo punto di partenza, si perde il filo del ragionamento. Tuttavia, ciò può avvenire anche se dimentichiamo, o facciamo finta di dimenticare, il fatto che questo è l'ottavo anno - credo - che vengono inviati missili, o altri esplosivi, da quelle zone a Israele.
Ci troviamo di fronte a una situazione che fu rilevata nella precedente riunione della nostra Commissione da un collega che non appartiene alla maggioranza.
Mi riferisco all'onorevole Adornato, il quale ha giustamente rilevato, da parte di tutti noi, una manifestazione di totale insensibilità per il fatto che, per anni, Israele è stata bombardata: nessuna delle persone che oggi alzano la voce nel modo che vediamo ha detto alcunché rispetto a quanto stava avvenendo. Ciò diminuisce anche la credibilità e la presa di intervento rispetto ad Israele, quando è costretta ad intervenire. Del resto, non si può dare il caso di uno Stato sovrano che viene bombardato per anni senza reagire, dopo aver avvertito mille volte, ultimamente in modo assai pesante, con tutta l'azione esterna e diplomatica, che sarebbe stato costretto a intervenire.
In secondo luogo, voglio ricordare che Hamas ha condotto una partita non in una sola direzione, ma in due sensi. Inoltre, non è neanche vero che è «purificata» dal fatto di aver vinto le elezioni. Hamas, infatti, ha vinto le elezioni, ma contemporaneamente credo che abbia causato 500-600 morti nella zona di Gaza, con un colpo di Stato.
Quindi, non ci troviamo di fronte a dei cherubini e serafini, i quali hanno vinto un nobile confronto democratico, dopodiché si lasciano andare inviando ogni tanto qualche missile. Abbiamo a che fare con una realtà molto seria che combina insieme - e questo deve essere ragione di riflessione - la lotta armata con una sorta di intervento umanitario nei confronti del popolo palestinese, utilizzando i soldi che riceve dall'Iran e da altri Paesi.
Senza dubbio, dunque, non si tratta di un puro e semplice gruppo terrorista. Siamo di fronte a una combinazione di azione terroristica e azione politica, quindi ancora più seria e grave rispetto un semplice gruppo terroristico, che però è caratterizzata da un'assoluta spietatezza nei confronti di Israele e del popolo palestinese e delle altre componenti del mondo palestinese. Come il Ministro Frattini evidenziava, anche in questo periodo vengono inferti altri colpi nei confronti delle altre componenti organizzate del popolo palestinese.


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Ci stiamo misurando con questo contesto, rispetto al quale, come alla doverosa risposta di Israele, non rilevo inadeguatezze da parte del Governo italiano, che ha subito cercato di individuare i possibili sbocchi politici di tregua e di pace. A fronte di tregue limitate o prolungate, questi sbocchi hanno come condizione l'arresto dell'azione militare israeliana e dell'azione militare di Hamas, e anche la possibilità di blocco dei rifornimenti. Purtroppo, l'arresto dell'azione di Hamas poteva essere realizzato solo per via militare, giacché i numerosi interventi effettuati nel corso di questi anni non hanno sortito nessun effetto. Questa è la tragedia con cui ci stiamo misurando, che è anche alimentata dall'Iran. Non si può infatti dimenticare l'esistenza di un convitato di pietra in questa situazione. Rispetto a tale tragedia, però, Israele ha fatto tutto quello che doveva fare.
Non stiamo parlando di una logica di occupazione di Israele, perché il paradosso tragico che stiamo vivendo è che ogni volta che Israele ha compiuto un passo indietro sulla linea «pace contro territori» i territori sono stati ceduti - il Libano prima, Gaza poi - e occupati non dagli arabi moderati, ma da organizzazioni terroristiche alimentate dall'Iran. Questo è il punto.
Non sarei inoltre così ottimista rispetto alla situazione libanese, perché fortunatamente si è giunti a una situazione di interposizione anche perché lo Stato libanese ha un maggiore spessore e una maggiore forza politica di quelli di Abu Mazen. In Libano, il colpo di Stato degli hezbollah non è riuscito totalmente, pur avendo creato condizioni difficili. Le forze di interposizione hanno spostato i confini del pericolo, fatto positivo, che ha bloccato la situazione. Gli hezbollah sono stati però riarmati in forme molto consistenti.
È dunque evidente che le tre condizioni qui identificate rappresentano il minimo possibile per cambiare la situazione.
Non possiedo gli strumenti conoscitivi e interpretativi a disposizione del Ministro degli affari esteri e di altri esperti in materia, però vorrei capire il senso del positivo comunicato letto poco fa cui fa seguito un altro, secondo cui Hamas respingerebbe l'idea del dispiegamento delle forze internazionali. Questo dimostra come ci troviamo di fronte non a puri spiriti che possano essere convinti con una predica, bensì a una situazione estremamente seria e grave. Piuttosto che spendere parole sull'inesistente inadeguatezza del Governo italiano, rifletterei su una lucida strategia tesa a mantenere aperti i canali per riarmarsi e ripartire nuovamente.
L'attuale tragedia richiede un'unanime, seria valutazione, nella consapevolezza che la ricerca della pace deve essere reale, perché appaiono evidenti nel loro dramma i precedenti storici degli anni Trenta di qualcuno che aveva vinto le elezioni e della funzione per anni svolta da Chamberlain e Daladier con i noti risultati.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini che ha chiesto di intervenire.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Devo parteciparvi un comunicato che segue quello dell'onorevole Cicchitto ed è altrettanto preoccupante. Hamas conferma che non accetterà il dispiego delle forze internazionali, Nasrallah, capo di Hezbollah, dichiara testualmente: «Siamo pronti a una nuova guerra contro Israele».
Alla luce di questo, purtroppo, il Governo israeliano ci comunica che i colloqui devono continuare; quindi l'accettazione del piano in tre punti a questo momento non si può dire raggiunta.

PRESIDENTE. Le notizie purtroppo non sono mai tutte favorevoli. Naturalmente, Ministro, può prendere la parola quando crede.

FRANCO MARINI. Sarebbe stato meglio non ascoltare queste ultime comunicazioni. La ringrazio, signor Ministro, per l'accuratezza della sua esposizione. Del resto, nonostante il ridimensionamento di ottimismo che abbiamo avuto in questi ultimi istanti, esprimo soddisfazione per


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questo primo punto di attenzione con indicazioni fornite anche dall'ONU di garanzia per i civili. Sono parziali, ma rappresentano il primo punto positivo registrato in questi giorni.
Desidero esprimere solo una considerazione. Al di là del raggiungimento delle condizioni di una tregua stabile e lunga, che faccia cessare il rumore della armi, ritengo che per quanto concerne gli interessi strategici dell'Europa e di un Paese come l'Italia nel Mediterraneo, in questa tragedia il Governo italiano, come gli altri Governi e l'Europa, non possano trascurare il passaggio fondamentale di un sostegno alle posizioni dei Paesi arabi moderati, che, al di là dell'uso della forza, rappresentano un punto fondamentale per poter perseguire la cessazione delle ostilità e successivamente una più stabile situazione politica.
Condivido le considerazioni dell'onorevole Veltroni, secondo cui solo gli strumenti della politica sono in grado di dimostrarsi essenziali e senza i presupposti politici il successo temporaneo di una sospensione delle ostilità sarebbe condannato a durare lo spazio di un mattino o di sei mesi, come avvenuto l'ultima volta nel rapporto guidato da uno degli attori fondamentali, l'Egitto, all'interno degli arabi moderati. L'Egitto rimase sconvolto, non accettò passivamente i sei mesi, la fine della tregua, cercò di intervenire. Attorno al 15 dicembre, mi colpirono le parole con cui Abdul Gheit, il Ministro degli esteri, accusava alcuni palestinesi di essere divenuti giocattoli nelle mani dell'Iran, che sta tentando di imporre la sua ideologia su Gaza. Si trattava quindi di una protesta esplicita, che i ministri degli esteri non sono abituati a esprimere in questi termini e con questa durezza, e dell'espressione di una profonda preoccupazione di non riuscire a raggiungere una situazione di pace stabile.
Meshaal, il capo dell'ufficio politico di Hamas, ha risposto a questa preoccupazione di Gheit affermando di voler giungere a una situazione né di tregua né di guerra. È questa una esplicitazione fondamentale di una strategia, in parte già consumata e perciò credibile, secondo la quale non si afferma una tregua e intanto si continua a lucrare la posizione di chi fa guerra a Israele: un missile ogni tanto cade su un kibbutz o su una cittadina causando vittime; non si fa rumore, però essi continuano ad essere i duri, coloro che tengono la bandiera del popolo palestinese. Non si tratta neanche di guerra, perché la colpa degli immani sacrifici e della vita invivibile che caratterizzava già i palestinesi di Gaza è attribuita al blocco israeliano.
Nello spirito richiamato anche dall'onorevole Veltroni nel dibattere di politica estera, all'interno della quale, al di là della nostra forza, della nostra capacità, del nostro ruolo, siamo massimamente interessati alla politica mediterranea, alla prospettiva del Medio Oriente, alla politica di pace mondiale, noi del Partito Democratico desideriamo raggiungere la pace.
Desidero però sottolineare un aspetto che riguarda il rapporto con Hamas. Subendo gli attacchi di Hamas che in questi giorni lo ha accusato di aver assunto una posizione filo-israeliana, Sarkozy sta valutando la possibilità che il dialogo riprenda nei prossimi giorni. I tre punti sono fondamentali e mi soffermerò in particolare sul blocco dei rifornimenti di armi, che sappiamo andare ad Hamas.
All'interno di questa strategia, il problema non è far negoziare tutti - anche Hamas, qualora sia disponibile - ma valutare a quali condizioni. Per arrivare alla pace politicamente forte, abbiamo il dovere di imporre a tutti alcuni punti insieme ai tre ricordati dal Ministro.
Oggi non possiamo chiedere ad Hamas di smettere di «ricacciare a mare» gli israeliani, ma possiamo chiedere di riconoscere la strategia di territori in cambio di sicurezza. Sul piano del blocco dei rifornimenti strategici e della fine dichiaratamente espressa degli attacchi allo territorio israeliano, della «non-tregua», questo fa parte di un quadro complessivo che ci potrebbe consentire il raggiungimento di una soluzione appena un po' stabile che consenta la ripresa di una strategia di dialoghi di pace. Senza questo,


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non andiamo da nessuna parte. Il problema è porre la tregua generale quale condizione per la ripresa del dialogo di pace entro le condizioni che ho descritto.
Per arrivare a un successo, devono essere condizioni chiare e imposte dall'intera Europa, senza escludere Hamas, che pure l'Europa non riconosce come interlocutore ufficiale. Occorrono però condizioni precise, in assenza delle quali le nostre aspirazioni a una tregua stabile difficilmente potranno essere realizzate.
Credo che anche noi, su questo punto di chiarezza assoluta, dobbiamo porre ad Hamas delle condizioni.

FIAMMA NIRENSTEIN. Desidero ringraziare il Ministro Frattini dell'ottima e interessante relazione, che contiene anche spunti di novità; la dinamica descritta ci dice, infatti, che ci sono situazioni in movimento, dalle quali vorrei partire.
Una delle posizioni più comuni, in questo momento, consiste nel dire che l'azione di Israele non serve a niente, che gli sbocchi in vista sono alquanto esigui, che niente accadrà, che tutto resterà uguale a prima e che il fatto che l'organizzazione islamica terrorista venga oggi combattuta, sia pure duramente, non farà sì che si passi a una realtà migliore, ma si potrebbe addirittura passare a una realtà peggiore dell'attuale. Si fa riferimento alla presenza di Al Qaeda e della Jihad islamica.
Ebbene, che questa missione di Israele abbia gli elementi della necessità, tutti ormai lo riconoscono, né si può dimenticare che sia stata Hamas a rifiutare il rinnovo della tregua. Questo è un fatto essenziale. Anzi, la sera stessa in cui la tregua avrebbe dovuto essere rinnovata, vale a dire la notte di Natale, ci fu la famosa pioggia di cento missili sulle città di confine. In quel caso, c'è stata un'esplosione vera e propria da parte di Hamas e Israele non poteva fare altro se non rispondere.
Il prosieguo dell'operazione, quella di terra in particolare - poi dirò qualcosa al riguardo, perché mi sembra che questa operazione venga considerata in termini errati - porta con sé dei cambiamenti. È un peccato che ancora non si possa considerare un cambiamento completato quello cui il Ministro accennava. Tuttavia, vorrei ricordare che, nel novembre scorso, Mubarak invitava al Cairo insieme Hamas e Fatah. Erano i prodromi di questa situazione esplosiva. Mubarak si riprometteva di cercare un rapporto tra Fatah ed Hamas che calmasse Hamas, la riportasse nei binari e le impedisse quelle azioni di provocazione che si sono moltiplicate nei giorni successivi. Ebbene, Hamas ha «dato buca» - così si direbbe in uno slang da ragazzi - sia a Mubarak che a Fatah perché l'Iran le ha impedito di partecipare a quell'appuntamento. Dobbiamo sempre tenere conto del fatto che ogni operazione di Hamas - ed è anche il motivo per cui adesso, pur ridotta in uno stato di necessità, non accenna alla possibilità di accettare una tregua - è legata ad una situazione internazionale in cui molteplici attori glielo impediscono. L'Iran non vuole che Hamas accetti una tregua con le mani alzate, perché questo significherebbe che tutto il fronte integralista islamico aggressivo sarebbe costretto ad alzare le mani insieme ad Hamas. Per questo Hamas, in questo momento, vive una situazione di difficoltà su svariati fronti.
Tuttavia, Hamas è stata costretta a «rompere» con l'Iran e ad andare da Mubarak, restituendo il palcoscenico all'Egitto, al quale era stato tolto il ruolo importante di mallevadore a cui l'Italia e tutte le nostre parti politiche tengono così tanto. I colleghi della maggioranza e dell'opposizione - lo ha ripetuto il Ministro Frattini, ma anche il senatore Marini - tengono moltissimo al ruolo dei Paesi arabi moderati e delle forze musulmane moderate.
Fra questi, in prima linea, naturalmente, Abu Mazen e l'Egitto. Quel che noi vediamo in questi giorni, dopo che Israele ha compiuto il suo attacco e avanza con le forze di terra, è che questo è esattamente quel che sta succedendo. Mubarak ha riconquistato il suo ruolo e propone, insieme a Sarkozy e a noi, che l'avevamo preparata insieme ai francesi, una tregua


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che sia accettabile per entrambe le parti. Finalmente vediamo restituito un minimo di ruolo ai Paesi arabi moderati che vivevano nella soggezione e nell'impossibilità di far sentire la propria voce.
Non vi siete accorti che la Lega araba, che doveva riunirsi venerdì scorso, non ha potuto farlo? Ebbene, non ha potuto farlo per le spaccature interne che la caratterizzano e per la terribile debolezza dei moderati. Ormai, però, questa debolezza si sta modificando, grazie al fatto che Israele ha avuto il coraggio di dire basta alla scelta di dare al movimento islamista più aggressivo la voce di tutto il mondo arabo. Vediamo, allora, se si ritorna a un colloquio effettivo. Se c'è una strada per riprendere il percorso di pace, è proprio questa.
Io capisco la vostra - e la nostra - sensibilità nel vedere le immagini televisive che ci mostrano il sangue. È terribile. A dire il vero, davanti a un bambino ferito o addirittura morto, anch'io mi sento immediatamente in enorme difficoltà cognitiva; in altre parole, la mia capacità di ragionare diventa nulla e non ho più voglia di sentire quello che dicono la radio, la televisione israeliana, i miei amici che mi parlano da Israele. Insomma, in quel momento non ho voglia di sentire che quella non era più una scuola da tempo, che nel momento in cui è stata colpita è saltata per aria in tanti punti diversi, il che dimostra che era un deposito di armi, con parecchie riserve di esplosivo, che dalle finestre di quella scuola si stava sparando sui soldati israeliani. Perché non ci vogliamo far carico di questo immenso problema dell'uso dei civili come scudo di difesa? Perché non diciamo mai una parola su questa terribile realtà? È una strategia che useranno gli iraniani, se mai dovessero scendere in campo, l'hanno usata gli hezbollah, nel momento in cui hanno fatto la guerra, la useranno tutti quelli che hanno intenzione di condurre una guerra contro i criteri morali e conoscitivi dell'Occidente, sapendo di colpire un punto debole. Quando vedo soffrire un bambino non ho la possibilità di pensare. In questa situazione, però, siamo obbligati a pensare.
Infine, per quanto riguarda l'attacco di terra, innanzitutto non era prevedibile se sarebbe stato compiuto o meno. Ve lo dice una persona che in quel momento era in Israele e ascoltava tutte le fonti di informazione possibili dalla mattina alla sera.
C'era uno scontro interno tra Barak da una parte e Livni e Olmert dall'altra. Israele non voleva ricorrere all'attacco di terra, che ha procurato fino a questa mattina - non so cosa accada in queste ore - la morte di soldati israeliani, tutti figli di un Paese che li piange disperatamente, perché difendono uno a uno i loro bambini in maniera ossessiva. Questo, tra l'altro, è anche uno dei motivi per cui in Israele ci sono pochi morti: la gente viene condotta continuamente nei rifugi. La popolazione civile è il primo pensiero dell'esercito; un organismo denominato Pikud ha Oref si dedica esclusivamente a questo.
Israele, dunque, non voleva l'attacco di terra, ma a un certo punto è stato costretto a ricorrervi perché ha valutato che i missili altrimenti sarebbero stati portati tranquillamente da una parte all'altra. La Striscia è lunga, se al suo interno ci si può muovere impunemente si arriva a colpire fino a 40 chilometri di distanza, ora si arriva fino a Beersheba, Ashdod, Ashkelon.
L'esercito, quindi, doveva diminuire la possibilità di Hamas di colpire. È stata una scelta puramente strategica. Vi ricordo che quando c'è un attacco di terra i soldati muoiono, al contrario dell'attacco d'aria. Israele, lo ripeto, non voleva ricorrere all'attacco di terra. Per un attacco di terra a Jenin ci furono ventinove soldati israeliani e trentanove palestinesi morti. Tutti gridarono alla strage ma laddove c'è l'attacco di terra la strage è molto più difficile, perché si combatte casa per casa. Con l'attacco d'aria, invece, la strage è più facile.
Quello che dobbiamo evitare è l'occupazione. Un'occupazione è fuori di ogni ragionevolezza; per evitare che si verifichi bisogna seguire la linea della tregua sensata,


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ossia la tregua che impedisca il ricrearsi dello status quo. Ma Hamas seguita a dire - ce l'ha ricordato l'onorevole Cicchitto - che non è interessata ad una tregua che cambi lo status quo ed è, quindi, molto difficile imporgliela. Perché accetti la tregua, come è successo nel caso in cui è stata costretta ad andare da Mubarak, Hamas deve sentirsi guardata a vista dall'Occidente. Noi dobbiamo essere chiari e dire ad Hamas che sappiamo bene che nelle scuole vengono nascoste armi e popolazione civile.
La tregua, dunque, è una giusta strategia. È il punto di arrivo, non il punto di partenza. Non potremo ottenerla se non quando i Paesi arabi moderati saranno abbastanza forti da imporgliela e, per fare questo, Hamas si deve sentire costretta ad andare in questa direzione.

MASSIMO LIVI BACCI. Vorrei svolgere quattro punti, peraltro molto rapidamente e con la massima sintesi. Il primo problema che dobbiamo valutare è se non c'erano altri modi, da parte di Israele, per riuscire in qualche modo a frenare Hamas. Questo è un punto che viene affrontato in tutti i talk-show internazionali, da Fox a CNN a BBC. Non appena si fa un piccolo round fra i vari dibattiti viene fuori questo elemento: era necessario ricorrere all'attacco di aria e all'attacco di terra? Nessuno lo può dire, ma questo è un punto che legittimamente dobbiamo porci e sul quale dobbiamo interrogarci e dovremo interrogarci anche in futuro.
Un'altra questione aperta alle interpretazioni è se, per così dire, lo «strangolamento» economico della Striscia di Gaza e dei suoi abitanti sia stata una politica lungimirante da parte di Israele e se non c'erano altre vie per equilibrare lo strangolamento, il blocco, con altre forme di dissuasione. Lascio aperto questo punto. Noi dobbiamo avere dei dubbi, non possiamo esserne privi. In questo caso, vorrebbe dire che avremmo delle certezze basate, purtroppo, su elementi abbastanza incerti.
In secondo luogo, il Ministro ha parlato di scudi umani, di tragici errori e via dicendo. Tutto vero, ma basta guardare su Internet attraverso il motore di ricerca Google Earth o sulle fotografie aeree che cos'è la Striscia di Gaza per capire che qualsiasi attacco aereo che scatena decine di F16 e centinaia di tonnellate di bombe su uno spazio così ristretto è destinato a fare vittime civili, nonostante la precisione.
Vorrei ricordare ai colleghi che la Striscia di Gaza è equivalente, in dimensioni, alla distanza che esiste tra Rimini e Pesaro, con una fascia di cinque-dieci chilometri dal mare; oppure, se preferite, tra Viareggio e Massa Carrara, sempre con cinque o dieci chilometri di larghezza; oppure, se preferite qualcosa nel sud, tra Molfetta e Barletta. In quella striscia di 350 chilometri quadrati vivono 1,5 milioni di persone, con una densità pari a quella di Hong Kong o di Singapore. Se si tiene a mente, come è bene fare, il fatto che questo è un territorio limitatissimo, densissimamente abitato e sigillato, dal quale non si può scappare - non è Cuba assediata dall'embargo, ma una piccola striscia sigillata - credo che la questione degli scudi umani vada posta in un'altra prospettiva.
Ritengo che l'attacco aereo, e ancor più quello di terra, certamente avessero in preventivo numerosissime vittime civili, la cui proporzione, sul totale delle vittime, è molto superiore nell'attacco di terra che non in quello d'aria.
Quanto all'attacco di terra, che c'è stato, Israele non voleva farlo? Può darsi. Certamente sarebbe stato meglio se non fosse avvenuto, come sarebbe meglio se, dopo l'attacco di terra che ha diviso in due la Striscia di Gaza, non ci fossero ulteriori attacchi, casa per casa, all'interno di Gaza City o delle altre aree urbane, perché in quel caso le vittime civili diventano ancor di più.
Tuttavia, l'attacco di terra potrebbe essere necessario per perseguire terroristi che si nascondono in mezzo alla popolazione civile.
Questi sono dati di fatto, che non possiamo dimenticare e che non possiamo far dimenticare all'opinione pubblica.


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È dolorosissimo e certamente questo non assolve Hamas. Ci mancherebbe altro! È chiaro che io e la parte politica alla quale mi riferisco siamo del tutto d'accordo con la posizione del cessate il fuoco e con i tre punti indicati dal Ministro.
Per quanto riguarda il terzo punto, quello relativo all'efficacia di lungo termine, il senatore Gasparri ha letto un brano dell'articolo di Luigi Battista del Corriere della Sera, ma se fosse andato alla seconda pagina dello stesso quotidiano, nella stessa prima colonna, avrebbe trovato il servizio del giornalista omonimo del nostro Ministro degli affari esteri, Davide Frattini.
Ebbene, alla fine dell'articolo, si legge che «Ben-Dror Yemini, editorialista di Maariv» - che, come sapete, non è un giornale di sinistra - «ha evocato da destra lo spettro della Cecenia. «"La devastazione portata dai russi non ha risolto la crisi o fermato il terrorismo. È vero, siamo giustificati: un gruppo fondamentalista e antisemita va sradicato. Non vuol dire che dobbiamo cascare in qualunque trappola preparata da Hamas. Dobbiamo fermarci adesso che abbiamo un vantaggio. L'obiettivo è sradicare Hamas, non noi stessi. Domani potrebbe essere troppo tardi"».
«Domani potrebbe essere troppo tardi» significa che, come molti amici israeliani sostengono che, purtroppo, una riconciliazione - chiamiamola così - con i palestinesi e con il mondo arabo dovrà aspettare una generazione o forse due per realizzarsi, con questo attacco di terra si rischia che si debbano aspettare tre generazioni e non solamente due.
Concludo il mio intervento sollevando un altro punto. Gordon Brown e Nicolas Sarkozy hanno parlato. Il nostro Premier, invece, è singolarmente silente sull'argomento spinoso che stiamo trattando oggi, forse a causa delle vacanze, o forse perché non si tratta di un argomento sufficientemente importante.
Ad ogni modo, ci sarebbe piaciuto che il Capo del Governo si fosse mostrato coinvolto in questa tragedia, che riguarda noi, il mondo civile e tutta l'umanità.

MARIO BALDASSARRI. Signor presidente, desidero ringraziare il Ministro Frattini per aver esposto in Parlamento la situazione e la sua evoluzione non solo con lucidità, ma anche con tempestività.
Pertanto, considero unitamente sia l'audizione che abbiamo avuto il 30 dicembre scorso che quella odierna.
Mi pare, tuttavia, di dover concentrare il mio intervento su un punto in particolare. Tutti auspichiamo che in politica estera la Repubblica italiana abbia una sola posizione coerente e coesa. Francamente, questo risultato politico, che a mio parere è un bene pubblico, di tutti, deve poggiare sulla chiarezza e non sull'ipocrisia. Mi pare che le forze di maggioranza abbiano una posizione unitaria e coesa intorno a quanto il Ministro Frattini ha riferito in Parlamento, oggi per la seconda volta.
Non si capisce, o si fa finta di non capire, che è finita una fase e ne è cominciata un'altra e che il nodo si chiama Hamas.
Ricordo che, nella riunione delle Commissioni riunite del 30 dicembre, furono espresse palesemente due posizioni importanti, entrambi legittime politicamente, ma in contrasto l'una con l'altra. L'onorevole D'Alema sosteneva la necessità di coinvolgere Hamas nelle trattative. L'onorevole Fassino, invece, a mio parere molto più correttamente, partiva dal presupposto che Hamas è un'organizzazione terroristica che spara da mesi missili sul territorio dello Stato di Israele.
Cari colleghi, credo che la gravità della situazione imponga a tutti di chiarire quelle che chiamo ipocrisie e di fare chiarezza.
Pochi minuti fa, infatti, abbiamo sentito il presidente Marini dire, tra le righe, che i rappresentanti di Hamas sono personaggi cattivi, ma che occorre coinvolgerli al tavolo delle trattative.

FRANCO MARINI. Ho detto che a condizioni precise si possono coinvolgere al tavolo delle trattative.

MARIO BALDASSARRI. Collega Marini, questo mi dimostra che si sta rifiutando


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di capire il nodo centrale di questa crisi.
La crisi significa, come hanno detto altri colleghi, che la fase precedente, caratterizzata dalla presenza di due popoli e di due Stati e dallo scambio della terra per la pace, è finita.
Purtroppo - basta rileggere le cronache di quei giorni - quando questa fase cominciò, il 12 settembre 2005, Hamas e i suoi capi, in netta contrapposizione con l'Autorità nazionale palestinese - con Abu Mazen che stava a Ramallah, e che si è dovuto spostare a Gaza con le sue guardie di sicurezza - hanno dichiarato che non avrebbero mai deposto le armi e che la loro lotta sarebbe continuata fino alla sopravvivenza dello Stato di Israele e dell'ultimo ebreo.
Non occorre conoscere l'arabo o l'ebraico per capire tali parole, perché sono state pubblicate in giornali di lingua inglese.
Come ho detto, quindi, quella fase è finita. Non stiamo più discutendo del problema della pace tra israeliani e palestinesi, ma di un altro argomento.
Hamas è una organizzazione politico-militare di grande intelligenza e di grande strategia. Se non capiamo questa strategia, non riusciamo a fare una corretta valutazione neppure di quel che il Ministro Frattini, a mio parere correttamente, ha definito.
La strategia di Hamas è contro due popoli e due Stati, è contro la tregua, perché è contro la pace. La strategia di Hamas, infatti, è quella di usare la Striscia di Gaza, con il supporto a nord degli hezbollah, via Siria, a sud, con la frontiera dell'Egitto, dell'Iran, per creare la strategia dell'estremismo islamico, in modo tale che le reazioni, prima di Israele e poi dell'Occidente, creino le condizioni per il grande scontro epocale.
Se queste parole vi sembrano troppo enfatiche, andate a leggere gli statuti e i giornali arabi di queste persone. Il leader iraniano non dice sciocchezze. Ripete ogni due giorni che lo Stato di Israele deve scomparire dalla faccia della terra. Non prendiamolo sottogamba.
Nella storia qualcun altro è stato preso sottogamba negli anni Trenta, è stato già detto da altri colleghi. Questa è la valutazione, almeno dal mio punto di vista, della nuova fase e della strategia intelligente e mirata di Hamas, che è sotto gli occhi di tutti.
Hamas ha agito su tre fronti. In primo luogo, ha creato nella Striscia di Gaza un minimo di assistenza sociale - come direbbe l'amico Marini - e, attraverso quello, ha vinto le elezioni. Non ha vinto le elezioni perché ha promesso di sparare i missili sui territori israeliani, ma perché ha dato un po' di cibo e quattro soldi alle scuole e alla sanità di quella popolazione.
In secondo luogo, secondo la strategia di politica interna, ha proceduto al colpo di Stato, perché ha eliminato sistematicamente dalla Striscia di Gaza tutte le espressioni di Al-Fatah.
Sfido chiunque a dimostrare il contrario, possibilmente, però, essendo stato in quei territori e avendo parlato con le persone. Ricordo, infatti che 500-600 dirigenti di Al-Fatah nella Striscia di Gaza sono stati fisicamente eliminati.
In terzo luogo, ha cercato una reazione. Capisco la collega Fiamma Nirenstein, perché anche io ho quel tipo di reazione. Tuttavia, di fronte ai corpi dei bambini morti, penso che quello è il risultato di una strategia lucidissima di Hamas, che usa anche l'aspetto mediatico facendosi scudo umano di scuole e di bambini e facendo partire i missili dalle scuole. Tutto questo accade, perché Hamas vuole che ci sia una reazione, in modo tale da far diffondere dalle televisioni del mondo quel tipo di immagini.
Tali eventi fanno parte del suo tridente strategico che consiste nel cercare il consenso socio-economico, per vincere le elezioni, effettuare il colpo di Stato politico, con eliminazione degli avversari interni e uso mediatico degli scudi umani.
Questa è la sintesi. Allora, su questa analisi, è bene che la maggioranza ovviamente, ma anche le forze di opposizione facciano chiarezza.


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Se questa analisi è condivisa e condivisibile, da qui discende - e chiudo, presidente - il consenso a quanto il Ministro Frattini ha espresso.
Ciò che il Ministro Frattini ha fatto, ha proposto e ha riferito al Parlamento, infatti, è la conseguenza coerente di questo tipo di analisi. Non siamo in presenza di persone che sostengono che Hamas è buona e di altre che credono che sia cattiva. Quella esposta è un'analisi storico-politica, socio-economica e anche di strategia militare, se permettete.
Per chiudere, propongo uno spunto di riflessione al Ministro Frattini.
Quanto al piano di sostegno, nel nostro ultimo incontro dissi che occorrevano le due linee, ossia che l'Europa realizzi un'adozione internazionale del popolo palestinese e che apra le trattative per inserire nell'Unione europea lo Stato di Israele. Confermo questa mia posizione.
Ora, nel piano che ha illustrato il Ministro Frattini si dice che non solo l'Europa, ma anche il G8 - di cui tra l'altro abbiamo anche la Presidenza - devono svolgere correttamente questa azione su due linee: sulla parte politica e sulla parte umanitaria, che definisco «socio-economica».
Sulla parte politica, la posizione da assumere sarebbe quella di usare la frontiera egiziana con gli osservatori internazionali per chiuderla ai missili e aprirla ai sostegni dedicati alla sanità, alla scuola, al cibo e a tutto quello che riguarda l'aspetto socio-economico.
La riflessione che sottopongo al Ministro Frattini sulla parte umanitaria e socio-economica è la seguente. In una prima fase, stiamo attenti a non fornire semplicemente denari, ma servizi.
Non dimentichiamoci, infatti, che uno degli elementi di consenso dei palestinesi della Striscia di Gaza ad Hamas è stata, negli anni passati, la palese strumentalizzazione a fini economici, finanziari e affaristici dello scontro, anche da parte di quella che si chiamava OLP che è diventata ANP.
Forse non tutti ricordano che il giorno in cui morì Arafat un aereo volò a Parigi e scoppiarono litigi tra l'erede, signora Suha, e i dirigenti di Al-Fatah in merito a chi avrebbe dovuto prendere le valigette dei codici dei conti correnti in Svizzera.
Mi consenta di suggerirle, Ministro Frattini: che questa volta i codici dei conti correnti che aiutano i palestinesi moderati siano ospitati in Europa, non in Svizzera; meglio servizi in natura, piuttosto che finanziamenti in denaro, almeno nella prima fase.

PRESIDENTE. Sospendo la seduta per consentire al Ministro Frattini di assentarsi per pochi minuti, secondo quanto preannunciato all'inizio del suo intervento.

La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa alle 15,30.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Do la parola al Ministro Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Soltanto per dire ai colleghi delle Commissioni che il Ministro Miliband, che è a New York per il Consiglio di sicurezza, mi informa che la discussione non procede, non riesce a superare le differenze ancora esistenti per l'adozione di un'eventuale risoluzione del Consiglio di sicurezza, mentre anche il Regno Unito si dichiara disponibile a lavorare con la Presidenza italiana del G8 per un'idea di sistema coordinato di aiuti umanitari.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Siamo arrivati a buon punto di questa importante discussione. Non desidero contingentare i tempi degli interventi, ma mi appello alla sensibilità dei colleghi per essere sintetici e mandare il Ministro in ufficio, ove ha altri appuntamenti.

MATTEO MECACCI. Signor presidente, cercherò di adeguarmi al suo appello.
Alla luce di questo dibattito, rilevo l'esigenza di qualche informazione in più anche in riferimento alla riunione aperta del Consiglio di sicurezza svoltasi ieri pomeriggio a New York. Sono rimasto


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sorpreso per il fatto che non ci sia stato un intervento dell'Italia. Dal 31 dicembre il nostro Paese non fa più parte del Consiglio di sicurezza, ma erano presenti Miliband, il Presidente Kouchner ed anche Paesi come la Giordania, la Norvegia, che sono intervenuti. Ritengo che anche in qualità di Presidenza del G8 un nostro intervento, suo o di qualche sottosegretario, sarebbe stato importante.
In quella sede, il Segretario generale dell'ONU ha aperto la discussione parlando di quanto avvenuto in particolare a Gaza alle tre scuole (non una sola) delle Nazioni Unite bombardate. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, quindi non un portavoce di Hamas o una fonte di informazione inattendibile, ha chiesto di svolgere un'inchiesta internazionale su quanto avvenuto. Questo mi sembra in linea con quanto avviene in tutte le operazioni militari internazionali, che vedono impegnate la NATO, l'ISAF, o le nostre forze militari: quando si hanno vittime civili causate da scontri militari occorre che vi siano inchieste credibili e possibilmente indipendenti che attestino quanto accaduto.
Ritengo sbagliato arroccarsi in una difesa di principio di tutto quanto accade in un'operazione militare e dannoso per quei Paesi dei quali siamo amici, ai quali siamo stati accanto in tutti questi anni, ma rispetto ai quali occorre esigere anche qualcosa in più per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani fondamentali.
Se infatti Hamas utilizzando i civili come scudi umani commette una violazione del diritto umanitario internazionale, della Convenzione di Ginevra, aspetto che deve essere ribadito e condannato chiaramente, anche lanciare bombe e missili con il rischio consapevole di uccidere civili è una violazione della Convenzione di Ginevra. Non dobbiamo dimenticarlo, perché questo fa parte della civiltà della comunità internazionale, di cui Israele e il nostro Paese fanno parte. Su questo dobbiamo continuare a insistere.
Spero che il Governo italiano si associ a questa richiesta di inchiesta su quanto avvenuto, senza pregiudizi.
Per quanto riguarda noi Radicali, da lungo tempo la proposta land for peace, terra in cambio di pace, non ci convince, che riteniamo abbia fallito in passato e sia destinata a fallire anche in futuro. Consideriamo necessario superare l'idea del nazionalismo e dello Stato nazionale come un'istituzione adeguata a gestire i problemi di questo mondo. Sono presenti politici che hanno molta più esperienza di me, che conoscono bene la storia dell'Europa e probabilmente possono riconoscere come l'Europa dominata dal nazionalismo abbia saputo solo produrre due guerre mondiali, mentre quando gli Stati nazionali dell'Europa hanno coscientemente ceduto quote della loro sovranità nazionale per costruire una comunità più ampia sono riusciti a dominare gli istinti etnici e di revanscismo nazionale che hanno prodotto questi conflitti. Questo vale per il Medio Oriente, per il Caucaso, dove il riemergere del nazionalismo russo sta producendo di nuovo conflitti, per l'Africa, dove tutte le guerre sono ispirate da conflitti nazionali.
Ritengo che a fianco di queste iniziative di monitoraggio e di sicurezza internazionale ci debba essere anche un aspetto politico di coinvolgimento e di creazione di una federazione anche all'interno del Medio Oriente, a partire dall'ingresso di Israele nell'Unione europea, proposta che è stata sostenuta anche da buona parte della Knesset in passato. Il 40 per cento della popolazione israeliana può aver diritto a un passaporto europeo se ne fa richiesta e i legami economici tra Israele e l'Unione europea sono rilevantissimi, laddove l'Europa è largamente il primo partner commerciale di Israele.
Ritengo infatti che quanto si sta discutendo in queste ore, ovvero il «cessate il fuoco», la tregua e la necessità di monitorare l'accesso a Gaza dall'Egitto, siano tutte richieste legittime che, se non agganciate a un processo politico più ampio, che internazionalizzi la questione a partire non dal principio dei due popoli e dei due Stati, ma da un'integrazione e dal rispetto dei diritti di tutti, siano però destinate a fallire. Credo che anche la situazione in


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Libano testimoni come si tratti di una soluzione temporanea, destinata ad avere vita lunga solo se affiancata da un processo di soluzione politica più ampio.

ROBERTO ANTONIONE. Cercherò di raccogliere la sua sollecitazione, presidente, cercando di sintetizzare le mie considerazioni. Desidero ringraziare, innanzitutto, il Ministro per la puntualità, la precisione e la disponibilità, che continua a dimostrare nei confronti del Parlamento tanto più in una circostanza come questa, che ci vede tutti molto preoccupati.
Vorrei esprimere qualche riflessione sulla base degli avvenimenti che si sono verificati a partire dalla rottura della tregua da parte di Hamas. Non è credibile che Hamas abbia deciso deliberatamente di rompere la tregua lanciando razzi sulle città israeliane di confine senza considerare l'eventualità di una ripercussione. Credo che nessuno possa pensare che Hamas non abbia considerato che Israele avrebbe risposto a questa aggressione o valutato la pesante sproporzione militare tra Israele e la realtà palestinese e l'eventuale coinvolgimento dei civili, considerando la situazione logistica della Striscia di Gaza.
La strategia di Hamas è stata quindi scientifica e deliberatamente voluta con obiettivi in parte già evidenziati. Il primo probabilmente era un obiettivo interno, che tendeva a rafforzare la posizione di Hamas all'interno della Striscia di Gaza e quindi dell'opinione pubblica palestinese non solo facendo leva sulle situazioni drammatiche subìte dai civili, ma anche approfittando di questo per liberarsi dei suoi avversari, di Al-Fatah.
Il secondo vantaggio che pensa di ottenere da questa sua sconsiderata azione è quello di alimentare un risentimento pesante nel mondo arabo moderato. È sufficiente considerare la rassegna stampa e le immagini delle televisioni arabe che mostrano costantemente quelle che sono tragedie obiettive che coinvolgono, da ogni punto di vista, anche noi; figuriamo quale possa essere l'effetto nelle comunità musulmane, se non quello di spingere anche i moderati a posizioni più intransigenti ed estremiste.
Terzo obiettivo è quello di diventare interlocutore internazionale. È evidente, infatti, che se oggi - secondo un ragionamento che viene fatto - è difficile cercare una tregua senza discutere con Hamas, c'è un passo avanti anche da questo punto di vista.
Quarto e ultimo obiettivo, nella sintesi e nella semplificazione, è un'evidente attività di propaganda, che vuol far credere ciò che in realtà non è, vale a dire che l'aggressore è Israele, e non Hamas. È del tutto evidente che oggi la comunità internazionale, anche per le immagini che continuamente ci vengono riproposte, si sente coinvolta emotivamente e in qualche modo vede Israele nella sua azione di difesa che va in qualche modo, secondo alcuni giudizi, al di là della aggressione fatta da Hamas, come un Paese da mettere sul banco degli imputati.
È indispensabile avere presente questa strategia se si vuole, come giustamente sta facendo il nostro Governo - di questo continuiamo a dare atto, sostenendo l'iniziativa del Governo stesso - trovare una soluzione, che, a mio modo di vedere, è quella che il Ministro ha ben indicato.
Mi permetto di sottolineare un ulteriore aspetto: a mio avviso, sarebbe fondamentale che oggi l'Unione europea facesse un passo in avanti rispetto al passato, non solo nei confronti dei due principali protagonisti della vicenda, Israele e Palestina, ma in direzione della sensibilizzazione e del coinvolgimento del mondo arabo, che è un elemento fondamentale. Il Ministro ha sottolineato più volte quanto può essere determinante il ruolo di mediazione dell'Egitto. Credo che l'Egitto sarà il punto, il paese principale, però è importante anche tutta la comunità araba, anche in termini di contropropaganda.
È chiaro che dobbiamo muoverci esattamente nella direzione opposta alla strategia di Hamas. Facendo questo non riusciremo certo a risolvere il problema a breve, quindi anche le critiche che vengono utilizzate a fini interni lasciano il tempo che trovano, ma potremo incamminarci


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verso un percorso che individui, in tempi più o meno lunghi, una soluzione.

FRANCO NARDUCCI. Vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro Frattini dell'attenzione ripetutamente manifestata nei confronti del Parlamento in un periodo così breve. Nel giro di pochi giorni, questo è infatti il secondo incontro in cui riferisce sulla situazione al Parlamento. Vorrei altresì ringraziare il Ministro per aver posto l'accento, preannunciando un'ulteriore iniziativa, sul discorso degli aiuti umanitari, che mi pare rappresenti un punto fondamentale per l'Italia, che si innesta in una tradizione che il nostro Paese ha sempre rispettato.
In rapida sintesi, vorrei sottolineare alcuni aspetti sulle immagini di questa colossale tragedia, che si ripete continuamente, quasi a testimoniare che nessuna guerra ha mai messo fine alla guerra, quindi sulla necessità che la comunità internazionale prenda in mano una situazione e lo faccia con forza.
Dobbiamo anche riconoscere, evidentemente, che c'è stata una sottovalutazione da parte della comunità internazionale, che non ha colto per tempo il rischio, il pericolo, la catastrofe cui si andava incontro quando Hamas ha unilateralmente messo fine alla tregua, che in qualche modo aveva invece fatto sperare in un processo di pace diverso.
Mi pare che, così come è stato detto con molta chiarezza dall'onorevole Fassino nella riunione del 30 dicembre scorso, la posizione del Partito Democratico nei confronti di Hamas sia di totale condanna, non ci possono essere dubbi, anche se bisogna tener conto che questa tragedia, così come si è profilata, ci obbliga a cercare tutte le soluzioni possibili e immaginabili per riannodare questo filo del dialogo. Credo che solo il dialogo possa e debba ristabilire le condizioni per la pace, soprattutto nell'interesse di Israele; il dialogo è l'unica strada che può dare delle prospettive di certezza e di sicurezza anche per Israele.
Come avvenuto in altre situazioni, in altri tempi e in altre zone del mondo, credo che la comunità internazionale debba esercitare pressioni forti sia sul mondo arabo moderato, sia su altri attori di quella regione. Occorre, però, soprattutto che l'Europa e gli Stati Uniti parlino con una sola voce. Credo che questo sia uno dei punti importanti che non bisogna perdere d'occhio.
È certo che fin quando negli Stati Uniti non si insedierà la nuova Presidenza difficilmente potremo assistere ad un'azione concertata forte, ma bisogna andare in quella direzione, parlare con una sola voce. Soltanto così si potranno evitare i rischi ancora maggiori che la radicalizzazione di questo conflitto potrebbe portare.
Da questo punto di vista, credo che l'onorevole Veltroni abbia avuto ragione nel lanciare l'allarme: la radicalizzazione potrebbe portare altri conflitti, altri scenari. Certamente non voglio dire, con questo, che ci siano già le condizioni per arrivare a un risultato certo; bisogna proseguire su questa strada. I tre punti indicati dal Ministro Frattini, mi pare condivisi fondamentalmente da tutti, devono avere il pieno sostegno delle forze politiche in Parlamento, e soprattutto devono rappresentare la via per ridare alla politica, come indicava l'onorevole Veltroni, il ruolo forte che ha avuto nei momenti migliori della road map della pace. Diversamente sarà difficile arrivare a una soluzione e a una stabilizzazione di questa crisi.
L'obiettivo deve essere, come ha detto anche il Ministro Steinmeier, un cessate il fuoco duraturo, che garantisca la sicurezza per Israele e per i palestinesi. In questo scenario, credo che la soluzione «terra in cambio di pace» possa essere una chiave di apertura per aprire un fronte di dialogo e per cercare di stabilizzare quell'area, mettendo fine allo spargimento di sangue. Sono certamente terribili le immagini dei bambini coinvolti, è vero che esiste il problema dei civili usati come scudi umani, ma è terribile anche il bombardamento di missili su una scuola. Per questo dobbiamo lavorare insieme per mettere fine a questo stato di cose.


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Vorrei ricordare le parole pronunciate oggi dal cardinale Raffaele Martino: in Terra Santa vediamo un eccidio continuo, dove la stragrande maggioranza non c'entra nulla, ma paga con la vita l'odio di pochi.
Questo deve portare i Governi e la comunità internazionale ad aumentare i propri sforzi, come detto in precedenza.
Bisogna dare sostegno ad Abu Mazen: condivido quanto detto dal Ministro Frattini già il 30 dicembre e ripetuto oggi. Questa è anche la posizione che noi abbiamo sostenuto. Bisogna anche ricordare, però, che probabilmente in passato non è stato fatto molto, o forse non è stato fatto tutto quel che si poteva fare per aiutare Abu Mazen, quindi l'Autorità palestinese. Penso al problema dell'acqua, della deviazione dei fiumi, del controllo dei valichi, dei nuovi insediamenti. Credo che, se veramente si vuole premiare lo sforzo politico a livello internazionale, questa debba essere la strada per arrivare a una situazione di stabilità e per evitare radicalizzazioni che potrebbero esportare le tensioni in altre aree, forse al di fuori della Striscia di Gaza.

LUIGI RAMPONI. Ringrazio il Ministro per la puntuale relazione. Sessanta anni fa, a diciott'anni, percorrevo su un piroscafo il canale di Suez, profugo dall'Africa, dove sono cresciuto, e subimmo un arresto di diversi giorni perché nel 1948 si apriva il primo conflitto arabo-israeliano. Da sessanta anni, quindi, chi ha la mia età sta assistendo al terribile ripetersi di questa conflittualità e oggi francamente non saprei cosa suggerire, come del resto nessuno di coloro che hanno parlato perché siamo qui per ascoltare lei ed eventualmente formulare proposte. Ritengo però che ogni persona seria ricordi come siano stati esperiti tutti i tentativi politici, militari, economici, i condizionamenti economici degli aiuti americani ed europei, persino iniziative di organizzazioni non governative.
A questo punto, ritengo arduo e pressoché impossibile formulare suggerimenti. Mi limiterò a esprimere alcune considerazioni. Vorrei intanto sapere perché sia stato possibile che lo spazio molto limitato di quattordici chilometri di frontiera venisse ripetutamente attraversato da chi riforniva Hamas di sistemi missilistici e se si parta dall'Egitto, che adesso sarebbe il protagonista di questa tregua. Poiché si tratta di quattordici chilometri, anche i tunnel attraverso cui si sono fatti i rifornimenti partono dall'Egitto, sarebbero sufficienti un paio di chilometri di interdizione nella possibilità di aprire tunnel, mi chiedo come mai non si sia riusciti ad evitare tale traffico.
Per quanto riguarda la scuola, a parte l'elevata possibilità di errori in occasione di combattimenti così ravvicinati, tanto che gli israeliani hanno ucciso quattro loro soldati in episodi di «fuoco amico», il sistema di occultare nella scuola i comandi o i sistemi di lancio non rappresenta una novità o una prerogativa di questi terroristi. Venti anni fa, visitando a Bucarest i comandi dell'allora Patto di Varsavia, tutti gli ingressi e tutte le uscite erano collocati in corrispondenza di istituti scolastici. Naturalmente, se la NATO avesse distrutto l'istituto scolastico, saremmo inorriditi.
Condivido l'inizio e la fine degli interventi dei rappresentanti dell'opposizione, che hanno dichiarato di concordare sulla denuncia nei confronti delle responsabilità di Hamas rilevando poi nella conclusione l'esigenza di essere uniti in una soluzione nazionale senza indulgere in polemica. Considero però inappropriate alcune precisazioni, laddove ci si è chiesti se la reazione sia stata giusta. Due anni fa, in Libano, quando gli israeliani reagirono gradualmente senza distruggere in modo completo, si dichiarò che essi non avevano più capacità operativa, che gli Hezbollah si erano rinforzati, che sarebbero confluiti nel governo libanese e sarebbe stato un disastro.
Adesso, invece, vorremmo che gli israeliani l'avessero fatto. La realtà è che gli israeliani hanno deciso di dare una potente «mazzata», una lezione pesantissima nei confronti di chi continua da anni ad assumere un atteggiamento terroristico, pur avendo vinto democraticamente.


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Sono d'accordo con chi sostiene che si debba tener conto del fatto che Hamas ha vinto democraticamente, ma allora che si comporti da partito democratico e non da terrorista. Nel momento in cui avrà capito questo, sarà finito il dramma.
Si è detto che l'iniziativa del nostro Governo è stata inadeguata. Subito dopo però si è detto anche che l'Europa ha fatto una magra figura, dal momento che da una parte si è presentato Nicolas Sarkozy e da un'altra parte un altro.
Che cosa vogliamo? Che il nostro Governo, come ha fatto disciplinatamente, agisca nel contesto dell'Unione europea o che faccia il protagonista?
Si è detto che l'Unione europea non ha agito come avrebbe dovuto e come invece ha fatto in Libano. Ebbene, è esattamente il contrario: in Libano, l'Unione europea non esistette. Semmai, esistettero la Francia e l'Italia che presero questa iniziativa; tanto è vero che le forze presenti in Libano sono quelle delle Nazioni Unite, e non esiste nessun simbolo dell'Unione europea sull'uniforme di quei soldati.
Questa volta, invece, l'Unione europea, nella figura del suo Presidente, di Solana e di altri, è stata più che presente. Dico questo tanto per fare qualche precisazione.
Concludo, dicendo che oggi - non per scetticismo, ma per presa di coscienza di sessanta anni di dibattiti e di soluzioni regolarmente fallite - il primo e unico obiettivo da raggiungere deve essere quello di impegnarci per fermare la strage di questi innocenti. Credo che questo sia l'unico obiettivo da perseguire.
Non credo che attualmente vi siano delle serie prospettive future, visto il passato. A volte ho sperato che prevalesse la stanchezza, ma ciò non avviene perché i saggi settantenni, che sono stanchi, vengono sostituiti dai cinquantenni e dai quarantenni. Quindi, sono molto scettico al riguardo.
Voglio chiudere il mio intervento con un minimo di speranza. Ci sono due fatti che mi piacciono in questa realtà. In primo luogo, in ambito internazionale, vi è stata meno ipocrisia. Per la prima volta, ho sentito denunciare chiaramente le responsabilità di Hamas. Non si è cercato di tenere i piedi in due staffe, ma si è detto molto chiaramente che la causa originaria prima è l'iniziativa di Hamas.
Poi, approfondendo il discorso, si possono trovare anche altre responsabilità. Inoltre, la potente reazione israeliana mi fa sperare che si riesca ad «anemizzare» Hamas, che sentirà soltanto la voce della forza. Se si riesce a far sì che Hamas, dal punto di vista operativo, non abbia più efficacia, allora, con ogni probabilità, diventerà democratica, si avvicinerà ad Al-Fatah e si potrà cominciare a impostare un discorso di sviluppo della già avviata azione di contatto fra Israele e Al-Fatah.
In secondo luogo, e concludo, nella fattispecie positiva, Al-Fatah ha tenuto molto duro ed è rimasto assolutamente dalla parte di chi vuole continuare una soluzione pacifica e non cruenta.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor presidente, la questione fondamentale è cercare di riportare Al-Fatah al centro della trattativa e della questione politica. Difatti, l'uscita dalla situazione di guerra guerreggiata nella quale oggi siamo, l'apertura di una fase di tregua e la riapertura di un percorso di pace presuppongono inevitabilmente l'individuazione di un interlocutore.
Naturalmente, penso che questo possa essere soltanto Al-Fatah, ovviamente favorito dall'Egitto e da tutte le considerazioni che ho ascoltato non solo dal Ministro, ma anche durante il dibattito, e sulle quali concordo.
Occorre portare al centro Al-Fatah, perché è in questo che, a mio avviso, si trova il centro del tema non dichiarato - che per fortuna non c'è stato in questa discussione -, quello del riconoscimento di Hamas, che nasce come conseguenza della strategia di Hamas.
Tale strategia, sostanzialmente, ha puntato a rompere l'unità dell'autonomia palestinese, sapendo che questo avrebbe significato il blocco del processo di pace e della discussione sullo scambio tra la sicurezza e i territori.


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Quindi, i prodromi della situazione che ci troviamo di fronte si sono visti con il rifiuto di Hamas di aderire all'invito di Mubarak per una riconciliazione palestinese (personalmente annetto molta importanza al fallimento di quel tentativo e concordo con quanto detto da Fiamma Nirenstein in merito nel nostro precedente incontro).
La rottura dell'unità, che esiste in funzione di un gioco più ampio, di carattere regionale, è il centro di tale questione. Questa non è una discussione da affrontare oggi, ma meriterebbe comunque un'altra sede di approfondimento.
In ogni modo, sarebbe il caso di evitare la trappola di un processo che nei prossimi giorni e nelle prossime ore porti quasi ineluttabilmente a dire che comunque è che con Hamas che dobbiamo trattare.
L'unico modo per evitare questo, naturalmente, è favorire - ecco perché acconsento al tipo di iniziativa con cui il Governo si è mosso e vorrei cercare di dare una motivazione, non del tutto banale - l'autonomia palestinese e rimettere al centro Al-Fatah, pur con tutte le difficoltà che sappiamo essere presenti. Del resto, è strategicamente decisivo che l'apertura di una trattativa preveda un interlocutore rimesso in qualche modo in campo, dopo i troppi errori che la comunità internazionale ha commesso nel corso di tutti questi mesi. A mio parere, quindi, esiste uno spazio per i moderati.
Da questo punto di vista, probabilmente, l'offensiva militare, che non poteva evitarsi, consente in qualche modo di rilanciare la questione. Non si tratta di stabilire - come ha tentato di fare Hamas e come fa sul campo, massacrando coloro che sono legati ad Al-Fatah - una connessione di cosiddetti «traditori della terza sponda», come cerca di dire Hamas, parlando di Al-Fatah.
Il problema è che oggettivamente questa iniziativa militare, ovviamente discutibile e inaccettabile per tutto ciò che esiste di politicamente corretto in questo mondo, è lo strumento attraverso il quale credo che, forse, i moderati possano giocare una carta, ma devono allora caricarla fortemente su Al-Fatah. Del resto, egli è lo strumento per evitare che nelle prossime ore, nelle prossime giornate ci si trovi di fronte allo scoglio - ripeto -, per il quale, alla fine, sul campo occorre parlare con Hamas e quindi alla fine, in qualche modo, si riproponga uno scenario che siamo tutti d'accordo a considerare sbagliato. Personalmente, lo considero errato per i motivi che ho esposto, perché strategicamente Hamas è la negazione di un processo di pace, fondato sullo scambio sicurezza-territori che non è finito. È l'unico strumento che ancora la comunità internazionale può giocare, naturalmente modernizzato, adeguato alle nuove esigenze di sicurezza che anche questa vicenda dei missili ha fatto comprendere al colto e all'inclita.
Certamente, tuttavia, quella resta l'unica strategia possibile. Vorrei che, da questo punto di vista, le parole del Governo fossero rassicuranti rispetto ad alcune considerazioni che ho sentito esprimere in questa sede relative al fatto che si intende abbandonare quella strategia. Se così fosse, francamente non vedo come la comunità internazionale potrebbe sostituirla.

RENATO FARINA. Ridurrò il mio intervento all'essenziale per rispetto dei presenti.
In primo luogo, parlo come sottoscrittore dell'appello che ha come primo firmatario Formigoni, a proposito di quanto sta accadendo a Gaza e che era una ripresa, a sua volta, dell'appello del Papa.
Il senso della nostra azione è quello di dire grazie all'opera del Ministro Frattini che, credo con coerenza, si è prestato in ogni modo, rispettando giustizia e verità, a un esito positivo o, almeno, il meno possibile tragico di questa situazione che è tuttora aperta, naturalmente. Il metodo, tuttavia, mi sembra quello giusto.
Oltre a quello appena esposto, vi era un ulteriore senso nella nostra azione. Credo che la presenza egemonica di Hamas cambi radicalmente le carte in tavola nella questione mediorientale e in particolare palestinese, perché ha innestato un fattore


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di fondamentalismo religioso a giustificazione del terrorismo che è ben diverso da una giustificazione del terrorismo a base nazionalistica.
Il nazionalismo, infatti, si placa quando ottiene dei risultati; il fondamentalismo religioso, propenso al terrorismo, non ha nessun risultato parziale che lo accontenti. Vi è un'impossibilità negoziale nello stesso DNA di questo tipo di formazioni.
Questo porta anche ad un giudizio sul passato, sulla sottovalutazione tragica di questi movimenti fatti dall'Occidente, dallo stesso Israele che, in funzione anti-Arafat, ha finanziato a suo tempo Hamas.
Questa circostanza non si ricorda, ma è bene tenerla a mente, non per dire che Israele se l'è voluta - ci mancherebbe -, ma per non ripetere la sottovalutazione di questo fenomeno che ha portato, a mio avviso, anche ad una certa faciloneria nel gestire le questioni in Iraq.
Del resto, è come pensare che, avendo ragione e più forza, le questioni si risolvono. Non è così. La storia è un calderone e occorre tener conto anche di grandi saggezze storiche come quella della Chiesa, che ha - credo sia allora che oggi - invitato a considerare gli effetti di una guerra che, seppur giusta, può portare a delle conseguenze non volute nella sua gestione e nei suoi risultati.
Questo era il senso della questione. Ritengo che anche l'America, che è il nostro principale amico e che è amico di Israele, fino a prova contraria, ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Questo non è un giudizio morale su Israele, ma di opportunità politica e strategica.
Hamas, in questo momento, come è stato messo a fuoco da molti interventi, è all'interno di un network internazionale di terrorismo islamico, anche se la sua natura è più complessa.
Come ha rilevato il presidente Cicchitto, essa ha anche una rilevanza sociale, che è caratteristica dei movimenti religiosi complessivi, dove non c'è distinzione di piano in nulla.
Tutto questo comporta anche un giudizio su quanto è accaduto in Italia nelle piazze islamiche italiane. Il problema non riguarda il fatto che si sia pregato o meno dinanzi al Duomo, ma il fatto che banalmente, a Milano, la preghiera in piazza Duomo, sulla Palestina, era guidata dall'imam Abu Imad che ha avuto una condanna di tre anni e otto mesi per terrorismo internazionale.
Nessuno l'ha detto. Tutti hanno svolto considerazioni sul fatto che fosse giusto o meno pregare. Vogliamo accorgerci della realtà o ragionare sulle teorie o sulle teologie puramente desunte da chissà quali dibattiti in televisione? Questa è la realtà.
Un network così vasto, in cui emergono anche le dichiarazioni di Al-Zawahiri di questi giorni, mostra come tutto questo sia in funzione anche anti-Obama, per cui la recrudescenza di questi giorni di Hamas potrebbe essere connessa anche all'ipotesi di voler mettere in difficoltà Obama e il tentativo che Obama farà di mettere in scacco l'Iran con accordi di altro genere con un'altra coalizione dei benevolenti.
Ho quindi notato come la posizione della Federazione Russa non sia incisiva o comunque non particolarmente visibile. Mi chiedo quindi perché il Governo italiano non giochi il tesoro di considerazione accumulata in questi mesi anche con la mediazione e la posizione assunta sulla questione georgiana, per rimettere in gioco la Federazione Russa all'interno di queste trattative.
Putin e Medvedev sono a capo della Shanghai Cooperation Organization, dove ci sono Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, hanno la leadership del Collective Security Treaty Organization (CSTO), che è un vero patto militare tra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. La Federazione Russa sta inoltre ripristinando l'antica influenza sul mondo arabo annullando i debiti con Egitto, Siria, Libia, Marocco e Algeria, che ha tramutati in accordi commerciali, mettendo sul piatto le forniture militari e l'energia.
Per quanto riguarda l'Iran, Putin ha fatto chiaramente capire a Teheran che


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conviene a entrambi non volere i missili in Polonia, ma intanto protegge di fatto con i suoi missili antiaerei, specie i Tor-M1, i siti nucleari iraniani da eventuali azioni israeliane. Sarebbe quindi importante coinvolgere in queste trattative la Federazione Russa in una chiave strategica più larga della Striscia di Gaza.

ENRICO PIANETTA. Il 30 dicembre scorso c'era stato un lungo dibattito ed era emerso un consenso molto ampio sull'azione esposta dal Ministro Frattini. Desidero riconoscere e apprezzare la coerenza, l'equilibrio e l'impegno del Governo che ha dato luogo a una serie di azioni operative che facevano riferimento a quel dibattito.
Tale dibattito aveva avuto un largo consenso, salvo una voce che aveva proposto con grande forza il negoziato con Hamas senza riscuotere alcuna condivisione, per cui il mandato del Parlamento era forte, chiaro e univoco.
Non voglio entrare in polemiche con affermazioni secondo cui l'azione del Governo italiano sarebbe stata inadeguata e quella del Governo israeliano sproporzionata. In quella sede, il punto centrale della discussione fu proprio il terzo punto dei tre illustrati dal Ministro Frattini, ovvero la definizione e la modalità degli osservatori internazionali accanto al cessate il fuoco e alla ripresa dei flussi umanitari. Già allora il Ministro dichiarò che Hamas era contrario. Qui emerge il punto centrale della questione. Finché infatti non ci sarà la possibilità di non alimentare l'armamento a favore di Hamas e di evitare quindi che Hamas possa continuare quello stillicidio di bombardamenti, che da sette anni hanno luogo sul territorio israeliano, le difficoltà saranno numerose.
Desidero ricordare come Kissinger dichiarasse che l'azione di un movimento - aggiungo terrorista - se non è distrutta completamente, viene considerata vittoriosa, mentre uno Stato, se non vince completamente, viene considerato perdente. Questa è stata la storia di Israele per quanto riguarda la questione del Libano, cui ha fatto seguito un'ulteriore fase di armamento da parte degli Hezbollah, che prima della guerra del 2006 avevano installato nel territorio a sud del Libano circa 10 mila missili, mentre oggi ce ne sono circa 40 mila. Questo dimostra la pericolosità di un Hamas che riceve costantemente armamenti, punto nevralgico, sul quale concordo con il Ministro sull'esigenza di mettere in atto una forma di embargo, per evitare il continuo traffico di armi a favore di Hamas.
Ritengo che questa volta Israele abbia deciso in maniera molto determinata di non lasciare più spazio, di non percorrere più quella vicenda libanese. Per conseguire un risultato, dunque, è necessario dimostrare la capacità di non alimentare più Hamas con armi, recuperare l'azione dei cosiddetti «Paesi arabi moderati» o maggiormente equilibrati, quali l'Egitto, che ne è indubbiamente il fulcro, ma anche la Giordania, l'Arabia Saudita, e conseguentemente considerare anche la funzione fondamentale di Al Fatah. Si devono quindi creare queste condizioni, laddove la cartina di tornasole è rappresentata dalle attuali dichiarazioni di Hamas, che non vuole gli osservatori, che non vuole questa azione. Come evidenziato dall'onorevole Tempestini, infatti, Hamas è la negazione di chi vuole un processo di pace e continua questi massacri e queste torture nei confronti degli esponenti di Al Fatah, rappresentando un grosso pericolo nei confronti del quale è doveroso un consenso per un'azione di Israele, che identifica nell'impossibilità di Hamas di essere ancora offensivo la propria sopravvivenza e la propria sicurezza.
È quindi necessario assecondare l'iniziativa del Governo italiano di grande equilibrio, di grande impegno e di grande attività, anche in ragione della sua posizione di Presidente del G8. Giustamente, l'Italia è stata una promotrice degli aiuti umanitari, linea su cui è doveroso continuare perché è straziante vedere un popolo di inermi che subisce l'azione terroristica di Hamas.


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PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Non mi dilungherò. All'inizio di queste mie riflessioni avevo detto che auspicavo un dibattito approfondito e ringrazio tutti i colleghi della maggioranza per le parole di apprezzamento che hanno rivolto all'azione del Governo e per le espressioni di consenso anche alla strategia che oggi ho delineato, e i colleghi dell'opposizione di aver dichiarato la loro intenzione di non strumentalizzare questa vicenda troppo delicata e troppo tragica per essere oggetto di scontro politico, ma soprattutto di voler motivare le loro critiche, che come sempre io accetto e il Governo accetta.
Oggi, in questa sede ho espresso non la mia posizione personale, sebbene sia anche la mia posizione personale, ma la posizione del Governo, che ogni giorno concordo con il Presidente del Consiglio. Talvolta si sostiene infatti che il Capo del Governo in Italia sia troppo presente in politica estera, talvolta troppo poco. Considero dunque mio dovere sviluppare linee d'azione su cui ovviamente raccolgo ogni giorno il consenso del Presidente Berlusconi. Questa è l'intenzione su cui continueremo a lavorare con il Presidente del Consiglio.
L'Italia continuerà a lavorare incessantemente per la pace, per una strategia euromediterranea che si basi sul dialogo e lo faremo innanzitutto con l'Europa. Se però si vuole l'Europa, non si possono poi auspicare sparpagliate iniziative nazionali.
Ho apprezzato molto l'azione del presidente Sarkozy, che era Presidente dell'Unione europea e in quanto tale aveva pieno titolo per agire, che da ora è Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non considero questa una azione di rottura dell'unità europea. Ma anche se questo non è stato, tutti gli osservatori internazionali hanno osservato come la troika europea si trovasse oggettivamente in difficoltà, perché su questa posizione così complessa i 27 Paesi membri dell'Unione europea, che pure condividono un analogo punto di vista, si sono trovati dinanzi a posizioni di divisione all'interno della Lega araba e all'interno della comunità internazionale. Per rafforzare l'Europa, quindi, dobbiamo lavorare all'interno del quadro europeo. Sono grato a tutti coloro che l'hanno qui esplicitamente riconosciuto.
Gli sforzi personali dell'Egitto così come del Presidente Sarkozy devono ricevere il nostro plauso perché hanno una legittimazione forte, l'uno dalla Lega araba, l'altro dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dal ruolo di Presidente dell'Unione europea ricoperto fino al 31 dicembre scorso.
L'Europa è il contesto in cui l'Italia si muoverà, come anche le Nazioni Unite. Come vi ho accennato, sono stato e sono tuttora in contatto con colleghi che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ho avuto al telefono il collega Miliband, ho parlato con il collega Lavrov, che questa mattina, pur essendo oggi il Natale ortodosso, si è intrattenuto a parlare del G8 e dell'ONU.
Ho parlato proprio del ruolo della Federazione Russa, onorevole Farina, con il collega Lavrov, che ho incoraggiato a confermare l'impegno della Federazione Russa a invitare per colloqui di pace a Mosca in primavera, così come annunciato sei mesi fa in una riunione del quartetto. Lavrov mi ha detto che è sua intenzione, se le condizioni lo permetteranno. Ho quindi rinnovato un incoraggiamento forte raccogliendo il consenso.
Per quanto riguarda Hamas, molti colleghi hanno parlato e oggi non ho sentito voci dissonanti, come invece accaduto nell'audizione del 30 dicembre scorso. Credo che non si possa rinunciare a imporre ad Hamas un quadro strategico che preveda terra contro pace. Questo è il pilastro del processo di pace. Se neghiamo questo principio, neghiamo il principio che debba esservi uno e un solo Stato palestinese.
Se accettiamo che il popolo palestinese sia diviso in due, avremo una parte dominata da Hamas, per le ragioni riferite


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dal collega Farina, che vuole imporre il fondamentalismo islamico come base dello Stato e un'altra da Al-Fatah, che ha sempre tenuto una posizione laica nel governo dello Stato palestinese. Questo è l'altro punto di differenza forte.
Gli interlocutori che noi riteniamo legittimi - Fatah, il Presidente Abu Mazen e il Primo Ministro Fayyad - non hanno mai pensato ad un governo basato sulla legge islamica, o su uno Stato islamista. Ecco perché sono visti con ostilità proprio da coloro che con Hamas hanno occupato il territorio di Gaza.
Allora, se vogliamo uno Stato palestinese unico, così come vogliamo, e uno Stato israeliano che non solo abbia il riconoscimento alla sua esistenza, ma anche alla sua non negoziabile sicurezza, non dobbiamo assolutamente rinunciare a questa prospettiva, che purtroppo Hamas rifiuta di accettare.
Come ho detto il 30 dicembre, lo ripeto ancora oggi: Hamas è oggi il problema.
Capisco coloro che vorrebbero negoziare, ma l'Unione europea giustamente non lo ha fatto e Israele giustamente non lo sta facendo in queste ore.
Hamas, come ci dice un'agenzia di mezz'ora fa, ha ripreso il lancio di missili su Israele, trentacinque minuti fa. Nel mezzo di una situazione di questo genere, continuare a lanciare razzi cinque minuti dopo lo scadere delle tre ore di tregua temporanea, vuol dire veramente continuare un'azione sconsiderata.
Credo che questo sia un punto chiaro e che il salto di qualità che dobbiamo evitare è che si abbandoni il processo di pace.
Mi permetto di dire che il nostro obiettivo è che cessi la tragedia, che si fermino le armi, che si torni subito al cessate il fuoco; ma abbiamo anche lo scopo che non si fermi per sempre il processo di pace. Se miniamo il principio del processo di pace, due popoli, due Stati - non concordo con l'onorevole Mecacci -, quindi il principio della nazionalità dello Stato ebraico e dello Stato palestinese, noi neghiamo il pilastro.
Se vogliamo evitare questo, dobbiamo assolutamente impegnarci in un'azione che in qualche modo impedisca ad Hamas di lavorare contro il popolo palestinese. Esprimo il mio pensiero forse con troppo coraggio - forse con brutalità -, ma vorrei dire che si lavora contro il popolo palestinese e contro lo Stato palestinese, non per il popolo palestinese, quando si boicotta il pilastro del processo di pace.
Registro - e ringrazio tutti i colleghi per questo - il consenso ai tre punti che avevo preannunciato il 30 dicembre e che sono quelli su cui oggi si sta ancora negoziando.
Registro, quindi, che sul cessate il fuoco permanente, su una forza di interposizione per garantire lo stop alle armi di Hamas e sul via libera permanente ai canali umanitari vi è un consenso generalizzato, di cui prendo atto con soddisfazione.
Quello che si chiama Philadelphi Corridor, un'area di quattordici chilometri, purtroppo non è stato controllato finora, per una ragione molto semplice, perché l'Autorità nazionale palestinese, non ha avuto la forza e la volontà di riassumere un controllo, anche militare, delle frontiere.
Ecco perché, nella mia introduzione, ho detto che la vera effettività di questa missione implicherebbe una presenza dell'Autorità nazionale palestinese.
Come ha detto l'onorevole Tempestini, se non ripristiniamo il ruolo dell'Autorità palestinese legittimata, diamo la sensazione che ci pieghiamo a chi la sta delegittimando per toglierla definitivamente dal controllo di Gaza. Vogliamo che Gaza torni sotto il controllo dell'Autorità nazionale palestinese il più presto possibile; altrimenti uno Stato palestinese unico non esisterà fino a quel momento.
Registro anche un consenso, del quale vi ringrazio, per l'azione del Governo italiano con le regioni italiane.
Il presidente della regione Toscana, insieme ad altri, che ci stanno chiamando, dimostrano che le regioni italiane sono pronte a partecipare a quella che potremmo


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definire come una proposta italiana di aiuto umanitario e di interventi, anche nel campo della sanità pubblica.
Da questo punto di vista, abbiamo l'esempio di istituzioni, anche ospedaliere o comunque sanitarie, che in qualche modo sono pronte a impegnarsi. Il presidente Baldassarri citava in precedenza alcune esperienze importanti come quella dell'Istituto mediterraneo di ematologia, ma ce ne sono moltissime altre.
Possiamo coagulare lo Stato e le regioni per evitare azioni scoordinate. Di questo ci occuperemo nei prossimi giorni, così come il G8, evidentemente, deve coordinare le iniziative.
Proprio questa mattina, il collega Nakasone mi ha detto che loro vogliono destinare tredici milioni di euro sulla Striscia di Gaza, ma evidentemente, per coordinare tale azione con quelle che anche noi stiamo portando avanti è meglio sentirci e lavorare insieme.
Come Governo italiano, incoraggeremo la conclusione - spero positiva - di questo negoziato, che ancora è in corso, così come la possibilità di un'azione da parte del Consiglio di sicurezza.
Voglio ribadire un ulteriore punto importante evocato dall'onorevole Veltroni. Tra i punti della sua opinione, critica per alcuni aspetti perché anche lui condivide i tre punti del piano attuale che abbiamo in qualche modo caldeggiato, sostiene che il Governo, in particolare chi vi parla, non avrebbe previsto al 30 dicembre scorso l'attacco di terra in Gaza.
Tuttavia, il 30 dicembre scorso, mi permisi di riferire le parole di uno dei più grandi uomini di pace che abbiamo, vale a dire il Presidente israeliano Peres. Credo che nessuno in questo Parlamento abbia dubbi sulla sincera volontà del Presidente Peres, che non a me, ma al Presidente Napolitano, altra persona su cui nessuno può nutrire dubbi, aveva detto che escludevano la possibilità di effettuare un attacco di terra.
Le situazioni sono cambiate, onorevoli colleghi. Non potevo immaginare che la spiegazione che mi era stata data - perché a Gaza non ci sto - fosse quella che poi ha indotto l'attacco di terra. La spiegazione che mi era stata data è che, avendo scoperto i depositi di armi sotto le case e nelle cantine dei negozi, non si poteva moltiplicare l'attacco solamente aereo, perché si sarebbero fatte ancora più vittime civili.
Questa è stata la spiegazione che ha indotto Israele a cambiare opinione. Si può, credo, cambiare opinione, ma francamente non si può rimproverare - questo mi permetto di dirlo - a me di non averlo previsto quando il Presidente israeliano Peres aveva fatto pubblicamente tale affermazione. Sono stato alle sue parole, le ritenevo - e in quel momento lo erano - fondate su assoluta e totale buona fede. Le circostanze sono cambiate, purtroppo, nelle ore successive.
Un altro punto importante toccato dal presidente Gasparri riguarda la disponibilità di Hamas. Ebbene, tale disponibilità non c'è stata e finora non c'è. Che questa sia una precondizione è ancora evidente, dal momento che la pace si può realizzare con chi è interlocutore. Hamas non è un interlocutore politico, ma evidentemente il rifiuto anche di accettare quello che la comunità internazionale decide costituisce per noi, ancora una volta ripeto la stessa parola, il problema.
Del resto, Israele avrebbe già detto di sì, se Hamas avesse detto siamo pronti ad interrompere il lancio di razzi e ad accettare una missione internazionale che blocchi le gallerie e i condotti sotto il Philadelphi Corridor di quattordici chilometri.
Il presidente Marini ha parlato del sostegno ai Paesi arabi moderati. Continueremo certamente a lavorare in questa direzione, e lo faremo anche nelle prossime riunioni dell'Unione euromediterranea che - rammento - non è occasione per il dialogo politico, ma rappresenta l'unico luogo dove intorno allo stesso tavolo siedono palestinesi e israeliani con pari dignità. È un luogo dove un dialogo su altri temi che non siano il processo di pace si deve e si può ricostituire.


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Aggiungo un'ultima considerazione. Certamente tutto questo vuol dire che il Parlamento e il Governo hanno ancora una volta dimostrato la volontà di lavorare su questo tema.
Ringrazio davvero coloro che hanno detto - ne sono profondamente convinto - che su temi come questo di politica estera, se vi è dialogo di merito e condivisione di grandi obiettivi, è l'Italia, non chi governa l'Italia in questo momento, ad essere più forte.
Siccome voglio bene al mio Paese, ringrazio quanti hanno agito esattamente in questa direzione.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro Frattini per la disponibilità manifestata, anche a nome di tutti i commissari, sia della Camera, sia dal Senato, e ringraziando tutti coloro che hanno voluto tenerci compagnia fino alla fine, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,50.