COMMISSIONE XIV
POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA
Comitato permanente per il monitoraggio sull’attuazione delle politiche dell’UE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 12 marzo 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE NUNZIANTE CONSIGLIO

La seduta comincia alle 15.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'ambasciatore Fabio Fabbri, direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea: attuazione della legge n. 11 del 2005 e prospettive di riforma, l'audizione dell'ambasciatore Fabio Fabbri, direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri.
L'audizione odierna è di particolare importanza, in quanto la Direzione generale per l'integrazione europea svolge un ruolo importantissimo, con particolare riferimento alla fase ascendente.
Tra i compiti di questa struttura rientrano infatti la promozione della formulazione delle posizioni italiane presso le istituzioni e gli organi dell'Unione europea, la cura dei rapporti con la Commissione europea e con le altre istituzioni dell'Unione europea, nonché la cura dei negoziati sulle questioni attinenti al processo di integrazione europea.
È dunque anche da questo ufficio che dipendono la coerenza e l'organicità della posizione italiana nelle sedi negoziali europee. Ritengo, pertanto, che l'odierna audizione possa portare a questo Comitato significativi informazioni e chiarimenti, sicuramente molto preziosi per il lavoro che ci accingiamo a svolgere, ovvero la rivisitazione della legge n. 11 del 2005.
Do la parola all'ambasciatore Fabbri per lo svolgimento della sua relazione.

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per avermi invitato a questa audizione.
Permettetemi di iniziare il mio intervento illustrando l'attività della Direzione generale per l'integrazione europea, che dirigo da oltre un anno anche se la mia esperienza comunitaria è decennale, avendo lavorato alla rappresentanza permanente a Bruxelles in tre differenti occasioni, delle quali l'ultima come rappresentante permanente aggiunto, ovvero la figura che segue il Coreper I.
La Direzione generale per l'integrazione europea è stata istituita nell'anno 2000 presso il Ministero degli affari esteri, al fine di dare specifico rilievo alle numerose attività tradizionalmente svolte dal MAE in ambito comunitario e di fungere da interfaccia della nostra rappresentanza permanente presso l'Unione europea.
Tali attività si basano sulle competenze che, per tradizione comune anche agli altri Stati membri, vengono esercitate dal Ministro degli esteri in quanto membro del Governo che partecipa al Consiglio affari


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generali e relazioni esterne (il cosiddetto CAGRE).
In tale istanza, vengono trattati sia gli affari generali che le questioni relative alle relazioni esterne dell'Unione. Queste ultime comprendono la politica estera e di sicurezza comune, la politica di sicurezza e di difesa - che comprende sia missioni militari che civili - le relazioni esterne, le questioni commerciali, gli aiuti allo sviluppo e gli interventi umanitari.
Con particolare riguardo alla politica di sicurezza e di difesa, essa sta assumendo crescente importanza, dando un rilievo assai concreto alla dimensione esterna dell'Unione.
Sotto il cappello della PESD si svolgono le numerose missioni, anche civili, cui partecipa il nostro Paese, e che la mia Direzione è chiamata a coordinare.
Nel volet affari generali vengono invece trattate le questioni istituzionali, comprese le revisioni dei trattati, i negoziati di allargamento e le prospettive finanziarie, tutti temi orizzontali per i quali vi è ancora una competenza intergovernativa.
Il Consiglio affari generali esercita, inoltre, un ruolo di coordinamento delle politiche settoriali dell'Unione europea, in quanto formazione consigliare a competenza trasversale che, ai sensi del Trattato, deve preparare le riunioni del Consiglio europeo a cui i ministri degli esteri partecipano accanto ai rispettivi capi di Stato e di Governo.
Ovviamente, come Ministero degli esteri esercitiamo questa azione di coordinamento in raccordo con la Presidenza del Consiglio e con le altre amministrazioni interessate. Infine, il Ministro degli esteri o un suo sottosegretario solitamente riferiscono al Parlamento, per conto del Governo, prima e dopo i Consigli europei, e ne raccolgono le valutazioni.
Accanto a tali competenze, il nostro Ministero svolge altre importanti attività a livello centrale, in collaborazione con tutte le altre amministrazioni interessate alla partecipazione dell'Italia all'Unione, in primis il Dipartimento per le politiche comunitarie.
La nostra Direzione generale fornisce, in particolare, un qualificato contributo ai lavori comunitari per la costruzione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in stretto raccordo con i ministeri più direttamente interessati.
Di recente, abbiamo avviato un tavolo interministeriale per mettere a punto le priorità italiane nell'ambito del prossimo negoziato per il futuro Programma di Stoccolma, ovvero il quadro quinquennale 2010-2014, che sarà varato alla fine del 2009, per rafforzare la libertà, la sicurezza e la giustizia nell'Unione europea.
Inoltre, sosteniamo attivamente la crescente dimensione europea delle politiche dell'immigrazione e la loro proiezione nei confronti dell'Africa e del Mediterraneo.
La Direzione generale guida, in particolare, la delegazione italiana al gruppo di alto livello Asilo e immigrazione del Consiglio dell'Unione europea e coordina la partecipazione italiana agli esercizi di dialogo Unione europea ed Africa in materia migratoria, assicurando anche una copertura di quei gruppi ristretti o informali che ne orientano, di fatto, i lavori.
Per quanto riguarda le procedure di infrazione, anche attraverso la nostra rappresentanza permanente svolgiamo un ruolo di raccordo fra le diverse istanze competenti a trattare il contenzioso comunitario; in particolare, con il Dipartimento politiche comunitarie e con l'agente del Governo, collocato presso la nostra unità del contenzioso con il compito di coordinare le attività di difesa tecnica condotte dagli avvocati dello Stato quando la procedura si trova in Corte di giustizia.
Interveniamo anche nell'eventuale fase successiva, in base all'articolo 228 del Trattato che, come segnalato, può comportare, a termine, anche sanzioni finanziarie per lo Stato inadempiente.
La nostra rappresentanza espleta, a sua volta, un continuo raccordo con i servizi tecnici della Commissione, il che sul piano negoziale è utilissimo per individuare le modalità attraverso cui giungere all'archiviazione di un dossier.
Gli ottimi risultati ottenuti negli ultimi anni consistono nella diminuzione del numero


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di procedure complessivamente aperte e nell'assenza, almeno sino ad ora, di condanne con sanzioni finanziarie (a differenza, ad esempio, della Francia, che ne ha avute due, e di Grecia e Spagna, che ne hanno avuta una ciascuno).
Al contempo, vorrei qui evidenziare i rischi connessi all'alto numero di procedure per cui si è già avuta una prima sentenza di condanna - circa una trentina - e al fatto che molte delle procedure ex articolo 228 si trovano nell'anticamera di uno nuovo deferimento alla Corte.
Appaiono pertanto necessari una sensibilizzazione complessiva ed uno slancio rinnovato da parte di tutte le amministrazioni interessate, nella consapevolezza che una condanna avrebbe gravi conseguenze non solo sul piano politico ma anche su quello finanziario.
La Direzione generale per l'integrazione europea svolge anche un'importante azione di supporto al sistema regionale nell'attuazione dei programmi comunitari e di cooperazione transfrontaliera.
Per il loro carattere innovativo e per la complessità degli scenari internazionali di riferimento, tali esercizi sono diventati un importante banco di prova dell'attitudine del Governo centrale a dialogare con il sistema regionale e a sostenerne l'internazionalizzazione.
Il Ministero degli affari esteri ha negoziato a Bruxelles quasi tutti gli strumenti normativi che disciplinano la cooperazione transfrontaliera e ha partecipato, il più delle volte rivestendo un ruolo fortemente propositivo, alla redazione dei documenti di programmazione che da questi sono derivati.
Il Ministero, inoltre, partecipa a tutti i comitati di sorveglianza dei programmi transfrontalieri ENPI (European Neighbourhood Policy), lo strumento finanziario europeo di partenariato e vicinato, e dell'IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance), lo strumento di preadesione in cui sono coinvolte regioni italiane, e svolge, nel più ampio dei casi - il programma di Bacino Mediterraneo - le funzioni di capo delegazione.
Da tale articolato insieme di attività deriva un migliore coordinamento delle posizioni nazionali su programmi transfrontalieri, col MAE impegnato in stretto coordinamento col Ministero dello sviluppo economico nel delicato ruolo di mediatore fra diverse istanze regionali, e tra queste e le amministrazioni centrali.
Il negoziato internazionale in cui tali posizioni vengono infine difese è soltanto l'ultimo tratto di un percorso molto più complesso, che si svolge in gran parte all'interno dei confini nazionali.
Assieme al Dipartimento, alla Presidenza del Consiglio e alla nostra rappresentanza permanente, partecipiamo all'attività di promozione dei funzionari italiani presso le istituzioni dell'Unione europea.
Non si tratta solamente di rafforzare la presenza di italiani nelle posizioni apicali, ma anche di dare un contributo alla presenza italiana in genere, nonché alla formazione comunitaria dei funzionari delle nostre amministrazioni centrali, regionali e locali.
A tale ultimo riguardo, ricordo che il MAE è attualmente il centro di coordinamento nazionale delle attività a sostegno degli esperti nazionali distaccati (i cosiddetti END), su cui negli ultimi due anni penso abbiamo ottenuto ottimi risultati.
Abbiamo infatti realizzato più ampie ed agevoli modalità di pubblicizzazione di questo strumento, che hanno favorito la presentazione di un numero molto più ampio di candidature valide.
Di conseguenza, il numero complessivo dei nostri END presso tutte le istituzioni dell'Unione europea - non solo la Commissione, che resta comunque la destinazione prevalente - ha raggiunto a gennaio le 156 unità.
È un record storico: siamo infatti nettamente il terzo Paese dopo Francia e Germania, con un buon margine rispetto a Regno Unito e Spagna; tutto questo, nonostante continuino a mancare meccanismi adeguati di incentivazione finanziaria o legislativa, che pure sarebbero quanto mai opportuni in analogia con quanto fanno i nostri principali partner.


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Andando più al tema dell'indagine, il MAE è pienamente associato alle attività condotte dal Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, il cosiddetto CIACE. Garantiamo, con i nostri funzionari, una copertura completa di tutte le riunioni e assicuriamo un contributo di sostanza sulle varie tematiche, in raccordo con la rappresentanza permanente.
A tre anni dal suo concreto avvio, il CIACE ha ormai dimostrato la sua utilità, contribuendo alla definizione di posizioni di carattere generale e di dossier che interessano più amministrazioni. Soprattutto, ha favorito un approccio collegiale, che è imposto dalla natura sempre più orizzontale delle tematiche europee e che ha reso, nel complesso, più coerenti le posizioni rappresentate a Bruxelles dalle singole amministrazioni. Pur sussistendo, ovviamente, ancora margini di miglioramento, il giudizio non può non essere positivo.
Per quanto riguarda la fase discendente, partecipiamo, in quanto amministrazione concertante, al meccanismo italiano di recepimento delle direttive imperniato sulla legge comunitaria e coordinato dal Dipartimento politiche comunitarie.
Tra l'altro, nella prospettiva dei lavori dell'indagine conoscitiva la mia Direzione ha promosso, circa un anno fa, una ricognizione sui meccanismi di adeguamento al diritto comunitario nei Paesi membri, compresi quelli di nuova adesione.
Da tale ricognizione, realizzata a partire dai dati raccolti tramite le nostre ambasciate, è emersa una discreta varietà di soluzioni: ai due estremi vi sono da una parte i Paesi che prevedono che il recepimento avvenga tramite l'applicazione dei meccanismi parlamentari ordinari, sia pure su iniziativa del Governo; dall'altra, quelli che invece attribuiscono al Governo un ruolo primario, e questo è un modello storicamente prevalente.
Quest'ultimo ruolo del Governo può consistere in una delega legislativa automatica all'Esecutivo, a volte accompagnata da meccanismi che riconoscono al Parlamento la facoltà di intervenire ma solo ex post, ovvero annullando entro un determinato periodo la normazione effettuata dall'Esecutivo, come avviene nel caso della negative declaration inglese.
Per quanto riguarda, invece, i Paesi che recepiscono per via parlamentare ogni singola direttiva, si tratta spesso di Paesi di recente ingresso, che hanno effettuato un considerevole sforzo di adattamento in un'unica soluzione al momento dell'adesione.
In altri casi, si tratta di Paesi in cui l'iter parlamentare risulta comunque agevole e rapido, vuoi perché vi sono sistemi monocamerali, vuoi perché al Governo sono comunque garantiti effettivi strumenti di indirizzo e controllo sull'attività delle rispettive assemblee, vuoi perché ai Parlamenti sono imposti precisi limiti temporali per l'approvazione dei progetti di legge e di trasposizione.
In sintesi, il nostro meccanismo di recepimento basato su una legge comunitaria annuale con funzioni di legge delega complessiva riveste senza dubbio caratteristiche originali nel panorama europeo, non avendo in pratica equivalenti negli altri Paesi.
Ciò premesso, mi sembra che nel contesto italiano esso non possa che essere mantenuto, in quanto rappresenta una soluzione equilibrata rispetto al nostro sistema costituzionale e alle prerogative da esso riconosciute al Parlamento.
Assolutamente da scartare sono, in ogni caso, ipotesi di ritorno al passato, ovvero a quelle modalità di recepimento singolo applicate prima dell'entrata in vigore della legge La Pergola e che - è bene ricordarlo - con i ritardi che comportavano sono state all'origine di gran parte delle condanne italiane da parte della Corte di giustizia.
A nostro avviso, le criticità del nostro sistema non risiedono tanto nella sua impostazione giuridica quanto nella sua capacità di rispettare una tempistica sufficientemente celere ed affidabile. Confrontando i dati sul recepimento degli ultimi anni emerge infatti che, sia pure con un recente significativo miglioramento, l'Italia si pone quasi sempre agli


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ultimi posti a livello europeo in termini di capacità di trasposizione delle direttive entro i termini.
Ciò deriva, a mio avviso, innanzitutto dai ritardi dell'approvazione della legge comunitaria, che spesso viene approvata un anno dopo la sua presentazione alle Camere da parte del Governo.
La lunghezza di tale iter comporta, inoltre, l'incompletezza dell'elenco, ad essa allegato, di direttive da recepire. L'elenco, infatti, dovrebbe essere continuamente aggiornato, per tenere conto delle direttive successivamente approvate.
Inoltre, il ritardo riduce il tempo a disposizione delle amministrazioni competenti per predisporre i decreti legislativi.
La necessità di migliorare la tempistica è auspicabile non solo per prestigio nazionale, ma anche per evitare pesanti sanzioni finanziarie. Sino ad ora, infatti, i ritardi nel recepimento non hanno comportato conseguenze reali, in quanto il tempo necessario per giungere ad una seconda condanna era infatti assai lungo e l'Italia riusciva intanto a recepire, sia pure in extremis.
Adesso, tuttavia, la tempistica delle procedure di infrazione si è sensibilmente accelerata, e dal momento della scadenza dei termini della direttiva al deferimento alla Corte di giustizia passano ormai appena sei mesi. Anche la stessa condanna arriva, ormai, dopo qualche mese.
Qualora il mancato recepimento dovesse persistere, verrebbe rapidamente attivata una nuova procedura che, a sua volta, porterebbe ad uno nuovo rinvio di fronte alla Corte con la proposta, questa volta, di sanzioni finanziarie. Inoltre, la Commissione ha iniziato a proporre il pagamento di una sanzione forfettaria anche qualora lo Stato membro abbia nel frattempo adempiuto.
Bisogna anche tenere in considerazione che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il quadro sanzionatorio verrebbe ulteriormente inasprito, con l'attribuzione alla Commissione della possibilità di proporre il pagamento di una sanzione pecuniaria già nell'ambito di un primo deferimento alla Corte di giustizia e non, come avviene adesso, solo al momento di un secondo deferimento. Ciò comporterebbe un anticipo delle sanzioni per mancato recepimento di due o tre anni rispetto ad ora.
Vi è, pertanto, l'indubbia esigenza di migliorare la tempistica del nostro recepimento attraverso interventi che potrebbero situarsi tanto a monte che a valle nella fase discendente.
Si potrebbe, innanzitutto, agire sulla legge comunitaria, assicurandone tempi di approvazione più brevi e certi in modo da anticipare l'avvio dell'azione di recepimento vera e propria.
Si potrebbe, ad esempio - e credo che sia già stato prospettato - considerare l'ipotesi di una sessione comunitaria dedicata, come già avviene per la legge finanziaria.
Si potrebbe altresì considerare l'ipotesi di un alleggerimento dei contenuti della legge comunitaria, in modo da accelerarne l'iter di approvazione, ad esempio trasferendo in uno strumento legislativo distinto le tipologie diverse dal recepimento di direttive, quali le norme introdotte per sanare procedure di infrazione, le quali, spesso, hanno assorbito i tempi di discussione della comunitaria nelle aule parlamentari, allungandone i tempi di approvazione.
In concreto, si potrebbe trattare di un decreto-legge, come è avvenuto di recente, oppure di un disegno di legge da esaminare comunque con corsia preferenziale, visti i tempi assai stringenti connessi alle procedure di infrazione.
Più a valle, si potrebbe agire sulla riduzione dei termini assegnati a ciascuna amministrazione per la predisposizione dei decreti legislativi di recepimento. Da questo punto di vista, appare decisiva la modifica introdotta nella legge comunitaria 2007 che pone, quale punto di riferimento, la scadenza fissata dalla stessa direttiva.
Potrebbe anche essere considerato un eventuale ritocco della norma, anticipando tale scadenza in modo da tener conto del tempo necessario per l'espressione dei pareri parlamentari.


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La ricognizione che abbiamo effettuato presso gli altri Paesi ha confermato l'utilità di alcuni strumenti amministrativi e organizzativi suscettibili di migliorare l'efficienza del sistema. In particolare, sarebbe senz'altro utile che presso ciascuna amministrazione siano costituite apposite antenne o nuclei comunitari.
Appare in ogni caso necessario che per ogni amministrazione siano gli stessi uffici a seguire la fase ascendente e discendente di ogni singolo atto. Ciò potrebbe consentire di avviare il lavoro di recepimento a livello tecnico già in parallelo addirittura al negoziato a Bruxelles, o subito dopo l'approvazione della direttiva stessa (sul modello peraltro già seguito da Francia, Germania e altri Stati).
Vi è poi l'aspetto del ruolo svolto dalle regioni, anche alla luce delle competenze loro attribuite dalla recente riforma costituzionale. La legge Stucchi prevede diversi strumenti, relativi tanto alla fase ascendente che a quella discendente, che sono già stati esaminati nel corso dell'indagine.
Mi sembra che, complessivamente, i nuovi strumenti abbiano sin qui funzionato tutto sommato abbastanza bene, seppur con qualche difficoltà per quanto riguarda l'implementazione degli strumenti previsti nella fase ascendente, anche per la necessità di rendere compatibile il laborioso processo decisionale delle regioni con la tempistica del negoziato comunitario. Si tratta, tuttavia, di un work in progress, per cui un miglioramento è sempre possibile.
In conclusione, si può ritenere che i meccanismi previsti dalla legge Stucchi rappresentino tutt'oggi uno schema abbastanza completo e bilanciato.
Ritengo che eventuali correttivi potrebbero essere realizzati non necessariamente a livello legislativo, ma attraverso un mix di soluzioni amministrative e di modifiche dei regolamenti parlamentari. Al di là dei meccanismi applicabili, è in ogni caso evidente che l'azione di adattamento al diritto comunitario tanto più sarà efficace quanto più vi sarà una comune volontà di cooperare in tal senso fra tutti i livelli interessati.
Al di là dell'architettura formale dei singoli sistemi, l'esperienza degli altri Paesi dimostra infatti che, quanto più sulle tematiche comunitarie si registra un comune sentire di tutti gli attori coinvolti - il che facilita l'identificazione delle priorità negoziali nazionali -, tanto più la partecipazione alla formazione del diritto comunitario risulta efficace e il conseguente adattamento dell'ordinamento interno risulta agevole.
Resta infine da valutare l'opportunità di un possibile aggiornamento della legge n. 11 del 2005 in funzione della possibile - mi auguro probabile - entrata in vigore del Trattato di Lisbona. A tale proposito, ricordo che ad oggi sono state raggiunte 25 ratifiche parlamentari su 27, e si auspica che l'iter di ratifiche si possa concludere entro la fine dell'anno, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di dicembre.
Una volta che il nuovo Trattato sarà entrato in vigore, potrebbe essere opportuno rinfrescare la terminologia della legge Stucchi eliminando espressioni quali «legge comunitaria», «Comunità europea», «decisioni quadro» e via dicendo, termini che verrebbero a scomparire con il nuovo Trattato.
Oltre a tali aspetti formali che, volendo, potrebbero essere superati semplicemente in via interpretativa, ve ne sono altri più sostanziali. Si tratta, ad esempio, in particolare del nuovo ruolo riconosciuto ai Parlamenti nazionali, che potranno esercitare la procedura di allerta precoce laddove ritengano che le proposte legislative non siano conformi al principio di sussidiarietà; potrebbero finanche promuovere la presentazione di ricorsi alla Corte di giustizia, qualora ritengano che tale principio sia violato. Sarebbe opportuno procedimentalizzare tali meccanismi sia a livello europeo che a livello interno.
Le altre innovazioni introdotte dal Trattato non sembrano, di per sé, richiedere correttivi legislativi interni. Parlandone con i colleghi del Dipartimento, è comune l'idea di costituire in tempi brevi un tavolo di lavoro per discutere ed esaminare tutti questi aspetti.


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I nuovi assetti istituzionali e l'ampliamento delle competenze attribuite all'Unione europea avranno poi un impatto anche sugli strumenti di partecipazione ai lavori comunitari. In tal senso, sarà necessario rafforzare, non solo da un punto di vista amministrativo ma anche delle risorse umane e finanziarie disponibili, gli uffici competenti per le questioni comunitarie, sia a Roma, sia alla rappresentanza permanente presso l'Unione europea.
Andranno altresì programmate per tempo le risorse necessarie per consentire una nostra adeguata partecipazione al servizio europeo per l'azione esterna, in linea con quanto intendono fare i nostri principali partner.
In ogni caso, una valutazione più completa su questi temi potrà essere effettuata una volta che si sarà chiarita la situazione a seguito del nuovo referendum irlandese, che dovrebbe probabilmente svolgersi fra settembre e ottobre.
Vi ringrazio per l'attenzione e la pazienza. Sono a vostra disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

SANDRA ZAMPA. Ringrazio l'ambasciatore; il suo intervento è stato di grandissimo interesse, quindi non si scusi affatto della sua lunghezza perché, in realtà, è stato molto utile ascoltarla.
Avrei parecchie domande da farle, e ho molte curiosità; tuttavia, mi soffermerò soltanto su alcune delle questioni più scottanti che lei ci ha illustrato.
Innanzitutto, se ho capito bene, lei lancia una sorta di allerta quando chiede una sensibilizzazione complessiva sull'alto numero di procedure rispetto alle quali c'è già una sentenza. Sono trenta, se non erro. È corretto?

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Sì.

SANDRA ZAMPA. Rispetto a questo fatto, le chiedo quali sono i tempi per non arrivare alla sentenza successiva, ovvero quella che poi farebbe scattare la condanna e, di conseguenza, le gravi ripercussioni sul piano politico e finanziario.
Lei ha affrontato il tema della formazione dei funzionari - argomento che mi trova da sempre molto sensibile - e ci faceva notare che, negli altri Paesi, esistono a tal proposito incentivi di tipo economico e legislativo. Mi piacerebbe avere informazioni più dettagliate su come funzionano questi incentivi, e vorrei sapere da lei quale segnalazione potrebbe essere fatta, da questo punto di vista, al Governo o al ministro competente.
Duole sentirle dire che l'Italia è sempre agli ultimi posti quando si tratta di recepimento. Lei dice che questo dipende, probabilmente, dai tempi incerti, oltre che lenti, dell'approvazione della legge comunitaria, ed erano particolarmente interessanti le proposte che lei faceva a riguardo.
Lei ha sottolineato che soltanto l'Italia - se ho capito bene - ha questo tipo procedimento sul recepimento, mentre altrove il recepimento delle leggi avviene in modo diverso.
Lei propone una sessione comunitaria dedicata, penso con un'anticipazione dei tempi, dal momento che, allo stato attuale, noi arriviamo un anno dopo. Le chiedo: di quanto si potrebbe immaginare la durata e, soprattutto, l'anticipazione? All'anno corrente? Lei vorrebbe che il recepimento non avvenisse con un anno di ritardo?
Lei ha detto che, con il Trattato di Lisbona, non solo aumenterà il rischio di incorrere in un'infrazione, ma anche le sanzioni saranno comminate subito. Avete fatto un calcolo sull'entità di questo rischio, stante l'attuale situazione?
Capisco che non possiate fare un calcolo, ma è immaginabile una quantificazione di quanto vale questo rischio per il Paese?

PRESIDENTE. Mi riallaccio alle domande dell'onorevole Zampa. Lei ha ricordato che, tra i compiti della Direzione generale per l'integrazione europea, vi è


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quello della collaborazione con l'Istituto diplomatico e con le amministrazioni competenti nella formazione dei funzionari pubblici nelle materie comunitarie. Si tratta di un aspetto che è stato più volte richiamato nell'ambito di questa Commissione - come una mancanza, una scarsa attenzione -, sottolineando la necessità di potenziare la presenza di funzionari italiani presso le istituzioni comunitarie. Le chiedo cosa pensa che si possa fare, anche a livello di Governo, per far sì che questa mancanza sia colmata.
Lei ha parlato di uno studio comparativo, e vorrei sapere se potete metterlo a disposizione della Commissione.
La Direzione generale svolge funzioni di raccordo tra le diverse istanze che intervengono in materia di contenzioso e di procedure di infrazione. Alla luce di questa esperienza, le chiedo quali sono i correttivi legislativi che le Camere possono approntare per ridurre il volume del contenzioso e, soprattutto, per prevenirne l'insorgenza. In particolare, le chiedo se può esprimere un parere sull'efficacia delle attuali forme di coordinamento tra le diverse amministrazioni centrali e periferiche.

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Per quanto riguarda i tempi relativi alle procedure di infrazione e i rischi legati al raggiungimento della sua fase finale, tutto dipende da dove si parte e dal dialogo che abbiamo con la Commissione. Si può andare da un minimo di uno fino a due anni, più il tempo della discussione in Corte. Il tempo c'è, ma i tempi si sono abbreviati, considerando i precedenti e quello che è avvenuto in passato.
Per quanto riguarda la formazione dei funzionari, ho già parlato degli END, degli esperti nazionali distaccati.
La nostra Direzione ha una funzione di coordinamento; innanzitutto, raccogliamo tutti dati e li inviamo; abbiamo un buon sistema informatizzato che, come diceva il mio collaboratore, viene utilizzato anche da altri Paesi, tanto è completo, e questo ci ha permesso di ottenere buoni risultati.
Rispondendo anche alla domanda che mi è stata posta sulla formazione dei funzionari pubblici, a mio avviso si tratta di sfruttare al ritorno l'esperienza fatta, che non deve andare persa. I funzionari che si sono così formati dovrebbero essere utilizzati proprio per il lavoro che hanno appreso, essere di servizio anche del Dipartimento, oppure all'interno delle loro amministrazioni.
Nell'esperienza che ho avuto in passato, in tutti questi anni, una cosa che mi colpiva è che questo non accadeva con i diplomatici e i funzionari del Ministero degli affari esteri, mentre tutti noi dopo l'esperienza venivamo sempre «riacchiappati»!.
Io ho cominciato ad occuparmi di affari e questioni europee nel lontano 1980; poi sono stato in Russia, negli Stati Uniti e, infine, riassorbito. Il risultato è che per almeno undici anni mi sono occupato di tematiche comunitarie.
Con altri Ministeri, invece, le persone che avevano accumulato un'esperienza proprio per il fatto di essersi allontanate dalle amministrazioni centrali, quando tornavano trovavano i posti occupati o erano ricollocati in posizioni di svantaggio, come se avessero beneficiato di quei quattro o otto anni all'estero e poi basta. Alcuni li ho poi incontrati in posizioni di direzione generale, ma altri non venivano più utilizzati.
Io credo che, invece, bisognerebbe valorizzare questo patrimonio di conoscenze estremamente complesse, soprattutto se fatte a Bruxelles perché in quella sede si acquista una sensibilità rispetto ai meccanismi, le procedure, gli equilibri; sono conoscenze veramente preziose, che non dovrebbero essere disperse.
Gli END sono certamente una struttura che va utilizzata con sapienza. Per incoraggiare le amministrazioni a distaccare i propri funzionari, queste vengono compensate anche finanziariamente. Questo - mi diceva il collega - avviene ad esempio nel caso della Spagna.


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SANDRA ZAMPA. Non ho capito come funziona.

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Vengono dati incentivi finanziari alle amministrazioni che si privano per un certo periodo dei loro funzionari.

SANDRA ZAMPA. Sono incentivi messi a disposizione dall'Unione europea?

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. No, dal Governo nazionale. È una politica mirata ad incoraggiare il distacco, cosa che invece, ad esempio, da noi non sempre succede. Anzi, a volte c'è il rischio che accada il contrario: il Ministero del lavoro aveva l'intenzione di decurtare una parte della retribuzione ai funzionari che venivano distaccati. Recentemente, abbiamo fatto una riunione per evitare questo problema.
Per quanto riguarda la sessione comunitaria dedicata e con tempi certi, si tratta di avere un tempo sicuro, come avviene ad esempio con la legge di bilancio. Se non erro la senatrice Emma Bonino, quando era Ministro per le politiche comunitarie, aveva proposto addirittura due leggi comunitarie.
Io penserei piuttosto ad una semplificazione, all'idea di separare le procedure di infrazione dalle direttive e dal recepimento. Così facendo, poi, si avrebbero due strumenti diversi. Non dico che adesso si perda del tempo, ma alle volte viene assorbito da discussioni molto difficili in materia di infrazioni ed altro.
La procedura più veloce nell'arrivare alle sanzioni si applica al recepimento delle direttive, non si applicherebbe alle procedure di infrazione.

SANDRA ZAMPA. I nostri tempi attualmente quali sono?

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. La Commissione ha stabilito una procedura accelerata all'interno dell'attuale Trattato. Un mese dopo la prima sentenza, ex articolo 226, parte la lettera; dopo due mesi si apre la procedura ex articolo 228 e dopo un anno, un anno e mezzo circa si arriva alla sentenza. Questa è la situazione attuale.

SANDRA ZAMPA. Se dovessimo quantificare un tempo medio di recepimento delle direttive europee da parte del Governo italiano, saprebbe dirmi qual è?

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Adesso come adesso, direi qualche mese. Noi sforiamo il termine delle direttive circa in una quarantina di casi. A mio avviso, sarebbe utile armonizzare i termini di recepimento delle direttive con i termini che diamo per il recepimento. Penso che sarebbe opportuno farli coincidere o ridurli un poco, in modo da agevolare le cose.
Sulla formazione di funzionari pubblici, credo di aver già risposto in generale parlando della procedura e anche degli END.
Per quanto riguarda lo studio comparato, ve lo faremo avere. Sono ben felice di dire che è uno studio abbastanza prezioso, che scende anche nei dettagli sui vari Paesi ed è il frutto di una indagine che abbiamo fatto mobilitando tutte le nostre ambasciate.
Il collega attirava l'attenzione su ciò che dovrebbe essere ovvio: per meglio gestire le procedure di infrazione, il problema è sensibilizzare le amministrazioni interessate. Questo poi si genera anche avendo le persone giuste - persone che hanno seguito la fase ascendente e che seguono anche la fase discendente - e avendo una maggiore integrazione fra quello che avviene nelle nostre amministrazioni e quello che avviene a Bruxelles.
Io non sarei così negativo rispetto a quello che stiamo facendo. Forse si ha sempre la tendenza a mettere in rilievo i difetti, ma devo dire che, rispetto al passato, un miglioramento c'è stato perché c'è una missione, una struttura al Dipartimento.


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Tra l'altro, per quattro anni sono stato via dalle cose comunitarie perché ero ambasciatore in Ucraina, e quando sono tornato ho trovato molte cose migliorate rispetto a quattro anni prima.
Facevo il Coreper I, ovvero la figura che tratta diverse questioni come l'ambiente, l'agricoltura, l'industria e via dicendo. I miei problemi erano avere le istruzioni in tempo e avere una posizione da parte dei vari direttori generali, cosa che, alle volte, ero costretto a risolvere chiamandoli personalmente.
Adesso c'è il CIACE, struttura che funziona in modo assai positivo soprattutto per il modo in cui si lavora assieme. Si potrebbe pensare che ci sia rivalità fra Ministero degli affari esteri e Dipartimento, ma non è così. Io ho i miei funzionari, che partecipano ai lavori del CIACE.
Lunedì c'è il Consiglio affari generali, giovedì e venerdì della settimana prossima ci sarà il Consiglio europeo. I miei funzionari erano a Palazzo Chigi per discutere. Quando si tratta di preparare i consigli europei, è soprattutto la mia Direzione che se ne occupa; la documentazione viene preparata da noi, ma è un lavoro di squadra, molto migliorato in questi anni anche se c'è ampio margine per fare di più e meglio.

SANDRA ZAMPA. Da questo punto di vista, credo che il lavoro fatto dal Ministro Bonino abbia lasciato un segno; certamente, affinché le cose funzionino bisogna crederci.

FABIO FABBRI, Direttore generale per l'integrazione europea del Ministero degli affari esteri. Essendomi occupato di queste cose per undici anni, dico sempre ai miei colleghi che questo lavoro diventa come una specie di malattia, un virus al quale si rimane legati per sempre con grande entusiasmo, ed è una cosa che noto in molti di quelli che hanno vissuto e continuano a vivere questa esperienza.
Ringrazio questa Commissione. Io e i miei collaboratori restiamo a vostra disposizione in qualunque momento.

PRESIDENTE. Ambasciatore, la ringraziamo per questa audizione. Il materiale che ci farà pervenire, relativo a quanto lei ha puntualmente detto in questa Commissione, verrà preso in esame.
Cercheremo di utilizzarlo al meglio per la rivisitazione della legge n. 11 del 2005, la cosiddetta legge Stucchi. Avremo modo probabilmente di vederci ancora, nel caso ce ne fosse bisogno.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.