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nel settore della Difesa a preoccupare è soprattutto il calo continuo delle risorse destinate al settore esercizio, fattore cruciale per la disponibilità di personale preparato fisicamente, professionalmente e mentalmente allo svolgimento delle proprie funzioni. Ma servono anche mezzi, materiali ed equipaggiamenti idonei, efficienti e sicuri per lo svolgimento delle attività operative;
lo squilibrio interno tra le varie voci di spesa aumenta ulteriormente e sempre a discapito dell'esercizio e del personale militare e tra le molteplici conseguenze emerge che i fondi attualmente disponibili non sono sufficienti ad assicurare l'addestramento di tutto il personale, né ad eseguire la manutenzione dei mezzi se non a livello basilare e ciò rischia di mettere a repentaglio l'efficienza delle Forze armate;
eppure, il programma pluriennale di acquisizione armamenti, legato al crescente impegno bellico dell'Italia sul fronte di guerra afghano e alle esigenze strategiche della Nato, prevede una spesa complessiva di 933,8 milioni di euro nell'arco dei prossimi quattro/nove anni;
per le sole missioni Isaf e Eupol, il Governo ha stanziato dal 2002 a oggi, oltre 3 miliardi di euro, dei quali oltre il 90 per cento destinato ad armamenti ed equipaggiamento e solo il restante per interventi di carattere civile, per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione;
le ultime rivelazioni di Wikileaks, a quanto consta l'interrogante, non ancora ufficialmente smentite dal Ministro interrogato, rivelano che l'Italia è pronta ad inviare in Afghanistan più uomini, più mezzi blindati, aerei ed elicotteri da combattimento e ad eliminare i caveat che limitano le operazioni dei soldati italiani;
è evidente pertanto che l'Italia si allontana sempre di più dall'obiettivo principale che vede interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione e caratterizza la propria mission esclusivamente in ambito militare -:
come il Governo intenda giustificare l'impegno, ad avviso dell'interrogante irrisorio, profuso finora in Afghanistan per interventi di carattere civile e per interventi di ricostruzione e aiuto alla popolazione e quali siano le imminenti iniziative in tale ambito a seguito anche delle ultime dichiarazioni che prevedono più armi e mezzi e la possibilità del contingente italiano di combattere in prima linea senza alcun impedimento.
(4-11045)
da agenzie stampa si evince che Rete italiana per il disarmo e Tavola della Pace hanno denunciato che nel 2009 l'Italia avrebbe triangolato attraverso Malta al regime del Colonnello Gheddafi oltre 79 milioni di euro di armi leggere a uso militare della ditta Beretta e che è anche con queste armi che «l'esercito di Gheddafi sta sparando sulla popolazione»;
si tratta di armi che, come avrebbe confermato direttamente a Rete Italiana per il Disarmo un funzionario del Ministero degli affari esteri di Malta, sono «di
provenienza italiana, e non hanno mai toccato il suolo maltese», anche perché nel piccolo stato insulare non sono presenti fabbriche di armi e munizioni;
sempre secondo quanto riportano le agenzie stampa, il Ministero degli esteri maltese avrebbe precisato poi che «come confermato dall'ambasciata italiana a Tripoli, il destinatario finale della consegna era il Governo Libico» e siccome nel 2009 non erano attive forme di sanzione verso il regime di Gheddafi «l'autorizzazione al traffico - comprese quelle doganali - sono state rilasciate senza problemi»;
tuttavia, dalle relazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri italiano sull'export di armamenti non risulta alcuna autorizzazione all'esportazione di quelle armi né a Malta né alla Libia, creando quindi un buco impressionante in termini di controllo;
analisti della rete Unimondo.org e analisti della Rete Italiana per il Disarmo confermano che «il Rapporto dell'Unione Europea sull'esportazione di armamenti pubblicato nel gennaio scorso riporta per l'anno 2009 autorizzazioni e consegne da Malta verso la Libia di 79.689.691 di euro e che si tratta di armi della categoria ML 1, cioè armi ad anima liscia di calibro inferiore a 20 mm, altre armi e armi automatiche di calibro 12,7 mm (calibro 0,50 pollici) e accessori e componenti appositamente progettati»;
contestualmente, da nessun rapporto ufficiale della Presidenza del Consiglio dei ministri (quelli dovuti al Parlamento in base alla legge n. 185 del 1990 sull'export di armamenti militare) si evince che ci sia stata una qualche autorizzazione in merito. Anche i dati dell'ISTAT (che riportano tutte le esportazioni di armi italiane a uso civile) non segnalano per il 2009 alcuna esportazione di quel valore né a Malta né alla Libia;
come riferiscono ancora le citate associazioni, per quell'anno si parla solo di 390.584 di euro di armi, munizioni e loro parti e accessori per Malta e per la Libia solo 8.171.698 di euro di forniture;
in base a quanto evidenziato, i casi sono due: o una ditta italiana ha esportato queste armi senza l'autorizzazione del Governo italiano (ma in questo caso ci si sarebbe dovuto aspettare un blocco dalle dogane maltesi) o, come sembrerebbe più plausibile, vi è stata un'autorizzazione da parte di qualche ufficio del Governo italiano che però non è stata mai notificata né nelle Relazioni al Parlamento né all'Unione europea;
va precisato che un valore così alto di armi leggere potrebbe significare (e lo testimoniano i controvalori di forniture simili recentemente fatte proprio verso la Libia) centinaia se non migliaia di fucili e pistole, oltre a possibili forniture anche di munizioni e granate, cioè proprio le armi protagoniste maggiormente delle uccisioni in questi giorni di rivolta in Cirenaica e Tripolitania;
si apprende, inoltre, che secondo quanto dichiarato ad EU Observer (una testata giornalistica online che si occupa principalmente di politica legata all'Unione europea) da una fonte diplomatica dell'Unione europea (esperta delle documentazioni di autorizzazione per l'export militare) si tratterebbe di armi provenienti dalla fabbrica d'armi Pietro Beretta di Gardone Valtrompia (Brescia), ditta che ha però rifiutato qualsiasi commento affermando che «non risponde nel merito dei singoli trasferimenti»;
i fatti citati, se confermati, risulterebbero, a parere degli interroganti, di una gravità inaudita soprattutto perché non sono l'unico esempio di passaggio di armi leggere verso la Libia attraverso il nostro Paese come conferma Rete Italiana per il Disarmo nel suo comunicato dato alle agenzie stampa: «Nello stesso 2009 come ricostruito da un'inchiesta di Altreconomia poi rilanciata da altri organi di stampa la Magistratura italiana aveva bloccato un possibile traffico di centinaia di migliaia di Kalashnikov di produzione cinese che trafficanti italiani volevano vendere all'esercito di Gheddafi»;
dunque, anche in quel caso si utilizzava (in maniera però pienamente illegale)
la triangolazione verso Paesi terzi e la gestione del trasporto attraverso società con sede estera per coprire la fornitura alla Libia di armi leggere;
infine, Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della Pace denunciano: «Qui invece ci troviamo di fronte o ad un'autorizzazione rilasciata con leggerezza e in qualche misura schermata dal passaggio a Malta (tanto è vero che anche i dati europei nei sono stati tratti in inganno) oppure una vera e propria omissione per favorire il regime di Gheddafi, considerato ormai amico e funzionale alla nostra politica estera»;
appare urgente la necessità di un maggiore e più ferreo controllo su tutte le forniture di armamenti, controlli che non devono ridursi a procedure formali ma essere sostanziali e ponderati, con prese di posizione forti anche negando contratti di vendita, perché ci troviamo di fronte ad armi responsabili delle uccisioni e dei massacri che tutti vediamo e condanniamo in questi giorni -:
quali urgenti spiegazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano fornire per fare chiarezza su quanto su esposto e per bloccare la vendita di armi italiane, nella fattispecie alla Libia;
come sia potuto accadere che si sia determinata l'incongruenza denunciata da Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della Pace e soprattutto chi ne era a conoscenza e chi si è reso responsabile nell'aver omesso le comunicazioni utili per la trasmissione della relazione al Parlamento prevista dalla legge n. 185 del 1990;
se e in quante altre simili attività sia coinvolto il nostro Paese.
(4-11047)
in particolar modo in Iraq e in Afghanistan è emersa la figura dei contractor, dei militari di società private che combattono al fianco degli eserciti regolari. Gli Stati Uniti, prima e più degli altri, hanno capito il vantaggio di schierare i contractor (i mercenari): si demanda al privato il combattimento di una guerra il cui consenso è in picchiata libera;
in questo caso i Governi non si assumono nessuna responsabilità e i dipartimenti della difesa possono sorvolare sul numero dei contractor caduti in azioni di combattimento;
la rivista specialistica Service Contractor ha pubblicato dei numeri che fanno riflettere. Prendendo in considerazione le guerre in Afghanistan e Iraq, dal 2001 fino a giugno 2010 il numero dei soldati Usa morti in battaglia sono 5.531, i feriti 16.210. Questi numeri non dicono tutta la verità sullo svolgimento di quelle guerre: a fianco di quelle cifre, vanno considerati gli oltre duemila contractor morti in combattimento e i 44.152 feriti. Il conto pagato dai contractor costituisce dunque il venticinque per cento sul totale di 7.500;
nel 2003 le morti dei mercenari costituivano solo il 4 per cento del totale nelle due guerre, fino a raggiungere il 40 per cento nel biennio 2008-2010. A partire dal 2010 i mercenari morti in battaglia hanno superato quello dei soldati statunitensi, raggiungendo n 53 per cento del totale. Ciò rappresenta una diretta conseguenza di due fattori: a) il numero dei contractor utilizzati in battaglia supera di oltre 30 mila unità il numero dei soldati in uniforme (207.600 a 175.000); b) l'equipaggiamento dei soldati privati (che invece dell'elmetto portano dei cappellini da baseball) non è equiparabile a quello dei colleghi «regolari»;
il vero ruolo dei contractor è proprio quello di restare nell'oscurità per non allarmare la società americana di fronte a cifre che sono ben lontane da quelle ufficiali -:
se il Governo sia a conoscenza delle informazioni riportate in premessa e se l'utilizzo di contractor in Afghanistan coinvolga anche l'Italia.
(4-11055)