XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 8 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'Istat solo in Italia vivono 362.000 ciechi mentre si stima che gli ipovedenti siano oltre un milione e mezzo;
              per una migliore qualità della vita e per una migliore autonomia è necessario dotare queste persone di una sempre maggiore accessibilità alle nuove tecnologie impiegate in tutti i settori quali: lo studio, il lavoro, l'autonomia e il tempo libero e ogni altra situazione della vita quotidiana, senza dover sempre ricorrere all'aiuto di altre persone;
              la dichiarazione contenuta nella carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e accettata da tutti gli Stati membri, tra cui l'Italia, sancisce il diritto delle persone con disabilità a beneficiare di misure tendenti ad assicurare la loro autonomia, la loro integrazione sociale ed educativa nonché la loro partecipazione alla vita della comunità;
              la convenzione dell'ONU sui diritti dei disabili nei suoi princìpi ispiratori non riconosce nuovi diritti alle persone con disabilità, intendendo piuttosto assicurare che queste ultime possano godere, sulla base degli ordinamenti degli Stati di appartenenza, degli stessi diritti riconosciuti agli altri consociati, in applicazione dei principi generali di pari opportunità per tutti;
              rispetto al passato, in cui i soggetti con difficoltà fisiche o psichiche erano privi di tutela, non riconosciuti i loro diritti ed erano in condizione di isolamento e di istituzionalizzazione, nel nostro Paese si è ormai di fronte ad un presente che non pone più in discussione il diritto, per i disabili, ad essere parte reale della vita sociale, a possedere tutte le opportunità di qualunque altro cittadino, a richiedere, volere e pretendere la piena integrazione quale elemento costituente la qualità della vita di tutti;
              tale processo d'integrazione non si manifesta in modo spontaneo ed automatico, ma richiede un impegno attivo e permanente affinché le affermazioni, e le annunciazioni di principio non rimangano lettera morta ma si traducano in atti concreti, e la cultura dell'integrazione della persona disabile sfoci nel diritto reale ed esigibile della stessa persona disabile ad «essere parte» a pieno titolo, del mondo sociale, scolastico, sportivo, lavorativo;
              è necessario intervenire a tutti i livelli nazionali ed internazionali ritenuti di volta in volta competenti allo scopo di emanare norme che impongano standard universali ai quali si debbano attenere i produttori di materiali e di dispositivi, nonché i prestatori di servizi, al fine di garantire al massimo l'accessibilità e la sicurezza degli utenti e, in particolar modo, di quei soggetti che per i loro deficit sensoriali necessitano di una maggiore attenzione;
              è necessario ormai pervenire al pieno e completo abbattimento delle barriere architettoniche e percettive in particolar modo tenendo conto anche dei problemi specifici che incontrano le persone cieche ed ipovedenti,

impegna il Governo:

          ad individuare, sviluppare e promuovere linee guida per le politiche dell'handicap, attraverso tutti gli elementi ritenuti necessari, affinché all'interno della società si sviluppi una reale e concreta cultura volta al superamento delle problematiche dell'integrazione delle persone disabili, anche mediante l'introduzione di norme che impongano alle imprese produttrici standard qualitativi ed universali tali che tutti gli utenti, anche quelli disabili ed in particolare quelli che presentino un deficit visivo possano, in tutta sicurezza e tranquillità, poter accedere a tali strumenti;
          a promuovere, con il coinvolgimento dell'ABI e dell'amministrazione delle Poste, un'intensificazione dell'impegno per rendere effettivamente fruibile da parte delle persone cieche e degli ipovedenti, tutti i servizi bancari e postali, con particolare riferimento al bancomat, al postamat e l'accesso ai servizi web forniti alla clientela;
          ad elaborare linee guida vincolanti da fornire ai progettisti di dispositivi elettrici, elettronici o elettrodomestici, in modo da renderli utilizzabili in piena autonomia da parte delle persone cieche ed ipovedenti, in particolare promuovendo iniziative volte alla realizzazione di soluzioni avanzate che permettano a chi non vede di assumere informazioni anche attraverso sistemi di sintesi vocale, anche mediante il ricorso alla nuova tecnologia del touch screen la quale non deve dimostrarsi una ulteriore barriera per tali persone;
          ad assumere iniziative per istituire borse di studio destinate ai ricercatori nel campo dell'alta tecnologia e nei settori innovativi che abbiano attinenza con possibili soluzioni dei problemi connessi all'autonomia e all'emancipazione delle persone cieche e degli ipovedenti.
(1-00031) «Carra, Arlotti, Biondelli, Boccuzzi, Cardinale, Cenni, Cimbro, D'Incecco, Fedi, Grassi, Iori, Magorno, Marantelli, Marchi, Martelli, Moscatt, Oliverio, Realacci, Velo».


      La Camera,
          premesso che:
              il 31 marzo 2008 il Bureau international des expositions ha designato Milano quale sede per l'esposizione universale del 2015; l'Expo 2015 sarà uno straordinario evento universale che ha come tema «Feeding the Planet, Energy for Life» con l'obiettivo di predisporre un piano per la visibilità alla tradizione, alla creatività e all'innovazione nel settore dell'alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate dalle precedenti edizioni di questa manifestazione e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali al centro dei quali c’è il tema del diritto ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta;
          le grandi opportunità di rilancio e sviluppo per il nostro Paese, connesse alla piena riuscita dell'appuntamento di Expo 2015, rendono più che mai necessario una tempestiva azione del Governo per affrontare e superare gli ostacoli che in questi anni hanno rallentato la realizzazione degli interventi, sia per effetto di una governance non adeguata, sia per effetto della riduzione delle risorse economiche originariamente previste e destinate all'evento;
          nella seduta n.  114 di mercoledì 14 gennaio 2009, la Camera dei deputati ha approvato parzialmente l'ordine del giorno n.  9/1972/86 nelle parti che riguardano l'impegno «a reperire la totalità dei fondi necessari per il completamento di tutte le opere previste dal dossier di candidatura di Expo 2015» e «a relazionare annualmente sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione e sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate per il raggiungimento di Expo 2015»; quest'ultimo impegno non risulta al momento in alcun modo attuato;
          in ordine al mantenimento dell'obbligo di reperimento delle risorse economiche necessarie alla realizzazione dell'obiettivo Expo 2015, la legge 24 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013), ha previsto all'articolo 1, comma 214, che, in considerazione dell'eccezionale rilevanza degli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana nei confronti del BIE per la realizzazione dell'evento Expo 2015, in luogo della riduzione dell'autorizzazione di spesa, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti individua, a decorrere dall'anno 2013, idonea compensazione nell'ambito delle dotazioni finanziarie delle spese rimodulabili;
          la legge di riforma della protezione civile varata dal Governo Monti ha sottratto dagli interventi di protezione civile quelli connessi alla gestione dei cosiddetti «Grandi Eventi». La stessa legge, tuttavia, in considerazione della straordinaria importanza e degli impegni internazionali assunti in relazione all'evento, ha espressamente mantenuto come evento da gestire con poteri straordinari l'Expo 2015;
          al fine di accelerare la realizzazione degli interventi connessi ad Expo 2015, il Governo Monti ha approvato nell'ultima seduta del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2013 un decreto di modifica della governance per la gestione di Expo 2015, con il quale è nominato il commissario unico delegato del Governo per Expo 2015, al quale vengono attribuiti tutti i poteri e tutte le funzioni, già conferiti al commissario straordinario delegato del Governo per Expo Milano 2015, e al commissario generale per l'Esposizione, ivi compresi i poteri e le deroghe previsti nelle ordinanze di protezione civile richiamate all'articolo 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 15 maggio 2012, n.  59, convertito, con modificazioni dalla legge 12 luglio 2012, n.  100. Al nuovo commissario unico, che verrà nominato dal Presidente del Consiglio in carica, vengono attribuiti poteri in deroga alla legislazione vigente a mezzo ordinanza, nonché poteri sostitutivi per risolvere eventuali criticità; in tali attività potrà essere coadiuvato da un massimo di 3 delegati da scegliere nell'ambito di riconosciute professionalità nelle discipline giuridiche, economiche ed ingegneristiche e tra soggetti di comprovata esperienza istituzionale (in particolare il decreto prevede che uno dei delegati sia scelto nel ruolo dei prefetti);
          riguardo al tema della regolarità delle procedure di appalto per la realizzazione degli interventi connessi ad Expo 2015 e al rischio concreto di infiltrazioni della criminalità organizzata, occorre ricordare che la procura di Busto Arsizio ha aperto tempo fa un fascicolo, destinato a essere trasferito alla procura distrettuale antimafia di Milano, sull'ipotesi d'infiltrazione mafiosa su Expo 2015;
          i carabinieri di Monza, a seguito di un'indagine avviata dalla compagnia Carabinieri di Sesto San Giovanni nei confronti di una presunta associazione di ’ndrangheta, il 17 marzo 2009 hanno dato esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di oltre venti persone, tra Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro, indagate per associazione per delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto illegale di armi, tentato omicidio, estorsione; secondo quanto riportato dalla stampa, nei due episodi specifici, il rischio infiltrazione mafiosa per gestione, il controllo degli appalti e i contratti di Expo 2015 pare abbastanza concreto,

impegna il Governo:

          a confermare l'erogazione delle risorse di competenza statale già stanziate per la realizzazione di Expo 2015, escludendo le stesse da qualsiasi eventuale taglio in virtù della straordinaria importanza e degli impegni internazionali assunti nei confronti del Bureau international des expositions;
          ad assumere le necessarie iniziative volte a consentire la deroga per il comune di Milano dai vincoli del patto di stabilità delle spese relative alle opere di investimento inerenti Expo 2015;
          a potenziare la sezione specializzata del comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle Grandi opere e il Gruppo interforze centrale per l'EXPO 2015 - GICEX al fine di assicurare il pieno contrasto dei rischi di infiltrazione mafiosa in tutti gli appalti relativi ad Expo 2015, compresi quelli affidati in deroga alla normativa vigente in materia;
          a potenziare l'organico degli ispettorati del lavoro delle province in cui ricadono le opere previste per Expo 2015 e a promuovere un accordo di programma per gli interventi di controllo dei cantieri di Expo 2015 tra le direzioni provinciali del lavoro, le Asl, gli enti locali e le forze di polizia, al fine di potenziare l'opera di prevenzione e contrasto alle irregolarità nei molteplici cantieri;
          a riferire periodicamente al Parlamento, con cadenza quantomeno semestrale, sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione, sull'apporto di risorse private e sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate alla realizzazione di Expo 2015;
          a predisporre, con gli enti locali, un piano strategico per la promozione e la conoscenza dell'evento, accompagnato da un programma dettagliato sulle infrastrutture turistico-ricettive e sulle potenzialità di riutilizzo delle stesse anche in un'ottica di ritorno sociale per la cittadinanza;
          a programmare un piano comunicativo internazionale sul tema dell'Expo e ad attuare un tavolo permanente tra Governo, Expo, ONG, privati ed enti locali per lo sviluppo di progetti di cooperazione internazionale, anche attraverso l'apertura di bandi specifici.
(1-00032) «Peluffo, Braga, Mosca, Berlinghieri, Carra, Casati, Cimbro, Ferrari, Fiano, Cinzia Maria Fontana, Fragomeli, Gadda, Gasparini, Guerra, Laforgia, Malpezzi, Misiani, Quartapelle Procopio, Rampi, Senaldi, Tentori, Luciano Agostini, Tidei, Cenni, Garavini, Castricone, Coccia, Martella, Lenzi, Tullo, Porta».


      La Camera,
          considerato che:
              le analisi economiche, scientifiche e ambientali che in sede europea sono state fatte negli ultimi anni dimostrano l'importanza strategica delle reti di trasporto su rotaia Ten-T per lo sviluppo dei prossimi decenni;
              l'Europa deve recuperare competitività nei confronti delle nuove potenze economiche mondiali e si stima che una rete di trasporto passeggeri-merci efficiente possa determinarne un incremento del 17 per cento;
              con la globalizzazione dei mercati il flusso mondiale delle merci è in costante aumento e, dopo il momentaneo calo del 2009, ha ripreso a salire in modo importante, sia in importazione sia in esportazione e produce ricchezza e crescita, economica e occupazionale;
              il recente documento europeo sul settore stima nel 30 per cento l'aumento della occupazione nella logistica entro il 2020;
              in Germania, a seguito di una politica mirata, la logistica è il terzo settore per occupazione con 2,6 milioni di addetti; i margini di crescita sono dunque molto alti per l'Italia, dove gli occupati sono appena 1 milione;
              il Governo Berlusconi, nel corso del semestre di presidenza italiana del 2003 aveva sostenuto durante i lavori del gruppo Van Meert l'inserimento del corridoio Genova-Rotterdam come prioritario; nel giugno del 2008 chiese la rivisitazione dei corridoi ferroviari strategici in vista del loro collegamento con il Mar Mediterraneo e in particolare con le economie emergenti dei Paesi che si affacciano su questo mare;
              in questi anni, grazie alle misure contenute nel collegato trasporti del 2002, che incentivano l'intermodalità ferroviario-marittima, si sono sviluppate notevolmente le cosiddette autostrade del mare, con lo spostamento su di esse del carico di circa 600.000 tir;
              la Commissione europea, nella sua decisione del 19 ottobre 2011, ha indicato i dieci corridoi ferroviari necessari per una efficiente rete di trasporti, peraltro indispensabile a raggiungere gli obiettivi di Kyoto sulla sostenibilità ambientale; fra questi c’è la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, che ha ricevuto così il via libera ai finanziamenti comunitari 2014/2020 per le reti Ten-T;
              attraverso la realizzazione di questi dieci corridoi, tutti collegati con i porti più importanti d'Europa sarà possibile trasferire dalla strada alla rotaia il 30 per cento del trasporto merci entro il 2030 e il 50 per cento entro il 2050;
              la Tav è la parte centrale del corridoio mediterraneo, ritenuto indispensabile a livello europeo per un efficiente reticolo di trasporto su rotaia. La TAV incrociando nella pianura padana i corridoi sud-nord Genova-Rotterdam, Brennero-Berlino per il corridoio adriatico metterà in rete con l'Europa tutte le nostre strutture logistiche pubbliche e private e consentirà alla pianura padana di diventare la più grande area logistica del sud Europa con importanti ricadute economiche ed occupazionali,
              per quel che riguarda le attività proprie del Governo italiano e del Parlamento, il 20 ottobre 2010 la Camera dei deputati ha approvato all'unanimità quattro mozioni che impegnavano il Governo:
                  a) a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione come asse decisivo per i collegamenti europei;
                  b) a garantire un adeguato piano finanziario con programmazione pluriennale che copra l'intero ammontare dell'opera;
                  c) a confermare i fondi – circa 200 milioni di euro – previsti nel primo atto aggiuntivo all'intesa generale quadro dell'11 aprile 2009, necessari a realizzare gli interventi prioritari di prima fase;
                  d) ad assumere iniziative per garantire un primo stanziamento per la realizzazione delle opere previste dal piano strategico, sia infrastrutturale sia intermodale per il completo utilizzo della nuova opera, approvato dalla provincia di Torino e dalla regione Piemonte;
              in tale contesto il Governo si è impegnato a monitorare tutte le fasi della realizzazione dell'opera, affinché la salute dei cittadini e il territorio vengano preservati;
              il 3 agosto 2011 il Cipe ha approvato il progetto preliminare della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, progetto che prevede il cosiddetto «fasaggio», ovvero la realizzazione per fasi dell'infrastruttura, con un rilevante risparmio sui costi;
              nel mese di settembre 2011 si è svolta la riunione del comitato intergovernativo tra Italia e Francia per la firma del nuovo accordo internazionale sulla ripartizione delle spese, con la riduzione della quota a carico dell'Italia dal 63 al 60 per cento; con la ratifica di tale accordo tutte le condizioni richieste dall'Unione europea saranno rispettate; l'accordo è stato firmato a Roma il 30 gennaio 2012 nel quadro della programmazione europea della rete «Connecting Europe» per la realizzazione e l'esercizio della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione (compresi i nodi di St. Jean de Maurienne e di Susa);
              il 29 marzo 2012 è stata approvata la mozione 1-00980 sottoscritta congiuntamente da tutti gruppi della Camera, che nel riconfermare gli impegni precedenti ha chiesto al Governo di dare concreta attuazione alle misure di inserimento territoriale e ambientale della linea e alle misure di sollievo alle popolazioni interessate, allocando le risorse secondo un criterio di proporzionalità rispetto all'impatto subito;
              entro il 31 dicembre 2013 è prevista la conclusione dell’iter di approvazione del progetto definitivo, con un'ulteriore valutazione di impatto ambientale, così da consentire l'apertura dei cantieri;
              la non realizzazione della Tav, ritenuta strategica per prima dall'Europa, oltre a indebolire l'efficienza della rete europea, escluderebbe il Piemonte dal flusso degli scambi economici e commerciali del futuro, con pesanti e durature conseguenze sul piano economico e sociale,

impegna il Governo:

          a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione;
          ad assumere tutte le iniziative economiche e normative che garantiscano la fattibilità dell'opera, d'interesse nazionale e transnazionale;
          a monitorare costantemente tutte le fasi della realizzazione dell'opera, sia preliminari sia definitive, affinché la salute dei cittadini e il territorio vengano preservati;
          a reperire ulteriori fondi finalizzati agli interventi di accompagnamento e inserimento nel territorio della nuova linea Torino-Lione, con particolare riferimento alla sezione transfrontaliera e ai comuni sede di cantiere, tenendo conto di quanto previsto dal Piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione, dall'accordo Stato-regione del 28 giugno 2008 (cosiddetto accordo di Pracatinat) e dall'atto aggiuntivo del 23 gennaio 2009;
          a dare piena attuazione all'accordo tra Italia e Francia, firmato a Roma il 30 gennaio 2012, per la realizzazione e l'esercizio della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, anche mediante presentazione del relativo disegno di legge di ratifica.
(1-00033) «Costa, Capezzone, Calabria, Vito, Baldelli».


      La Camera,
          premesso che:
              l'Unione europea ha recentemente lanciato un'importante iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, mirata, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti Neet, nelle regioni dell'Unione con un tasso di disoccupazione giovanile nel 2012 superiore al 25 per cento. Si tratta della cosiddetta garanzia per i giovani (Youth Guarantee), il nuovo pacchetto occupazionale europeo;
              la principale novità è legata all'istituzione di un Fondo europeo di garanzia per l'occupazione giovanile, circa sei miliardi di euro dal 2014 al 2020, dei quali 3 provenienti da una linea di bilancio specifica e gli altri 3 miliardi dal Fondo sociale europeo (Fse). I fondi destinati all'iniziativa intendono rafforzare e accelerare le misure descritte nel pacchetto per l'occupazione giovanile del dicembre 2012. Tali fondi verranno messi a disposizione degli Stati membri per finanziare, nelle regioni ammissibili, misure attuative della raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani concordata nell'ambito del Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali dell'Unione europea del 28 febbraio 2013;
              va ricordato che l'Italia rientra, purtroppo, nei parametri fissati di accesso al Fondo. Infatti, secondo quanto riportano i dati Istat, nel gennaio 2013 il tasso di disoccupazione per i 15-24enni è salito al 38,7 per cento rispetto al 38,7 per cento del dicembre 2012. In particolare, il fenomeno dei Neet in Italia è cresciuto esponenzialmente. Stando al Rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2013, nel 2009, anno di inizio della crisi, i Neet erano il 19,5 per cento, mentre in due anni, nel 2011, sono cresciuti di oltre tre punti percentuali, raggiungendo il 22,7 per cento. Il dato sui Neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i Neet, l'8,8 per cento è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco. Del resto gli strumenti comunitari di garanzia per i giovani sono già attivi in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, e si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro dei giovani;
              l'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di Sistema Paese, per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee;
              la garanzia per i giovani dovrebbe essere rivolta, in particolare, a tutti i giovani compresi nella fascia di età dai 15 ai 29 anni che hanno appena terminato gli studi, hanno perso un lavoro, sono inseriti in percorsi formativi e di apprendistato, nel rispetto delle definizioni stabilite dalla normativa europea. A differenza della proposta comunitaria, che fissa il limite di 25 anni per i giovani che possono accedere agli schemi di garanzia per i giovani, tali misure andrebbero estese fino ai a 29 anni, in virtù della particolare configurazione demografica del nostro Paese e visto che tale limite è quello utilizzato dai principali Istituti di statistica per inquadrare la problematica dei Neet in Italia,

impegna il Governo:

          a riconoscere l'estrema importanza degli strumenti comunitari messi in atto per il rilancio dell'occupazione giovanile, mirati, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (Neet);
          a mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati su più livelli, e, quindi: a) misure di contrasto alla dispersione scolastica e di sostegno al rientro nei percorsi di studio; b) misure a sostegno all'inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati; c) contrasto alla segmentazione generazionale del mercato del lavoro e della segregazione di genere;
          a potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, su tutto il territorio nazionale – a tal fine provvedendo mediante un'apposita iniziativa normativa a riaprire i termini per l'esercizio della delega al riguardo prevista sin dal dicembre 2007 dalla legge di recepimento del Protocollo Welfare, da ultimo ripresa dalla legge n.  92 del 2012 e non esercitata –, rafforzandone le prerogative e istituendo una figura professionale di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione e attivazione dei fondi specifici e orientamento mirato;
          ad attivare una sede di confronto stabile con le regioni e le amministrazioni locali nonché con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal programma di garanzia per i giovani;
          ad assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un Fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del Fondo europeo di garanzia per i giovani e ulteriori risorse previste da altre linee d'intervento comunitarie, nel quadro della programmazione 2013-2020.
(1-00034) «Gregori, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Epifani, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio».


      La Camera,
          premesso che:
              nella relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione dell'Unione Europea sull'attuazione del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010», l'istruzione e la formazione sono al centro dell'agenda di Lisbona per la crescita e l'occupazione e costituiscono un elemento essenziale del suo follow-up fino al 2020. Per la crescita e l'occupazione, ed anche per l'equità e l'inclusione sociale è fondamentale dar vita a un «triangolo della conoscenza: istruzione/ricerca/innovazione» che funzioni e fare in modo che tutti i cittadini siano meglio qualificati; pertanto, viene ribadita la necessità d'investire nei sistemi di istruzione e formazione anche, e soprattutto, in periodi di crisi economica per rispondere a sfide socioeconomiche essenziali;
              dalla relazione succitata si legge che, a livello nazionale, gli Stati membri dovranno, tra l'altro, garantire: investimenti efficienti nei sistemi d'istruzione e formazione a tutti i livelli (dalla scuola materna all'insegnamento superiore), migliorare i risultati nel settore dell'istruzione in ciascun segmento (prescolastico, elementare, secondario, professionale e superiore) nell'ambito di un'impostazione integrata che comprenda le competenze fondamentali e miri a ridurre l'abbandono scolastico e migliorare l'apertura e la pertinenza dei sistemi d'istruzione creando quadri nazionali delle qualifiche e conciliare meglio i risultati nel settore dell'istruzione con le esigenze dei mercato del lavoro;
              gli interventi nel settore culturale, intesi come la valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale e come sostegno delle università e degli istituti di ricerca, possono costituire incentivo alle imprese virtuose e rilanciare il turismo: basti pensare che uno studio del 2008, realizzato dall'istituto Guglielmo Tagliacarne per l'Unioncamere e il Ministero per i beni e le attività culturali, mette in evidenza un settore culturale che ricopre una posizione di primo piano nell'economia nazionale, quantificabile al 2006 in un valore aggiunto di circa 167 miliardi di euro e un assorbimento di 3,8 milioni di occupati (rispettivamente il 12,7 per cento, e 15,4 per cento del totale attività economiche);
          secondo la ricerca «Sponsor Value®- Cultura e Spettacolo» realizzata da StageUpSport & Leisure Business e Ipsos, se l'Italia investisse in cultura quanto mediamente fanno Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, il PIL nazionale indotto raggiungerebbe i 140 miliardi, con un incremento rispetto ad oggi del 253 per cento;
              per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza, tutela dei beni culturali, sviluppo e fruizione della produzione culturale, in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
              le politiche in materia di cultura che hanno caratterizzato le precedenti legislature sono state fortemente condizionate da una progressiva e perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici; basti pensare che a fronte di stanziamenti pari a 2.098 milioni di euro per l'anno 2008, si è passati a soli 1.512 milioni di euro previsti dalla legge di bilancio 2013, determinando una decurtazione di circa un quarto degli stanziamenti previsti;
              la politica dei tagli, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sconsiderata, che nella precedente legislatura nel solo settore scuola ed università ha tolto 7.565 milioni di euro all'istruzione, università e ricerca, con un taglio alla voce di bilancio dello Stato che passa, negli ultimi cinque anni, dal 10,6 per cento al 9,1 per cento producendo un processo di impoverimento culturale e sociale che mina la stabilità del vivere civile e solidale, relegando l'Italia agli ultimi posti in Europa in quanto a investimenti nell'istruzione, quando invece Germania e Francia investono fino a 10 volte più del nostro Paese;
              i tagli lineari effettuati nella scuola, compresi i pesanti tagli ai fondi Miglioramento dell'offerta formativa e Fondo delle istituzioni scolastiche che solo nell'ultimo anno sono stati decurtati del 33 per cento hanno comportato, tra l'altro, il ridimensionamento della rete scolastica, la riduzione del tempo pieno, l'impossibilità di svolgere attività laboratoriali e in compresenza, una complessiva riduzione dei servizi e delle offerte formative (come i corsi di recupero e potenziamento) fino a una grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole;
              dal settembre 2008 al settembre 2013 il numero degli alunni dalla prima elementare alla quinta liceo è cresciuto di 90.990 unità e in uno sviluppo normale del rapporto discente-docente, questa crescita avrebbe dovuto significare 9.000 insegnanti in più, al contrario, in cinque anni ci sono stati 81.614 docenti in meno;
              sempre nei cinque anni presi in considerazione, le classi sono diminuite di 9.285 unità, mentre ne sarebbero servite 4.500 in più (con una media di 20 alunni per aula), vista la forte crescita di iscritti, con la naturale conseguenza che sono aumentate le classi pollaio: il limite di 20 alunni per classe in presenza di un compagno con disabilità – regola definita per legge – quasi mai viene rispettato;
              a fronte della più bassa percentuale in Europa di spesa pubblica in istruzione (fonte Eurostat), l'Italia ha tagliato in ogni ciclo scolastico: 28.032 posti nella primaria, 22.616 nella secondaria di primo grado, 31.464 nella secondaria di secondo grado; inoltre, con gli accorpamenti, alla fine dell'anno scolastico scompariranno 2.094 scuole, il venti per cento e si calcola che sono 557 gli istituti sul territorio senza un preside né un dirigente amministrativo;
              il precariato scolastico – che conta ormai oltre 200.000 tra insegnanti abilitati e non formalmente abilitati anche se idonei all'insegnamento – è diventato un elemento strutturale del sistema, anche a causa delle suddette politiche che hanno impedito un graduale assorbimento di chi, dopo aver superato procedure concorsuali, frequentato corsi e conseguito titoli abilitanti, per anni ha prestato la propria professionalità, garantendo di fatto il funzionamento della scuola pubblica;
              secondo un rapporto di Legambiente del 2012, quasi la metà degli edifici scolastici non possiede le certificazioni di agibilità, più del 65 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36 per cento degli edifici ha bisogno d'interventi di manutenzione urgenti, senza contare che il 32,42 per cento delle strutture si trova in aree a rischio sismico e un 10,67 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico;
              il decreto 3 ottobre 2012 recante l'approvazione del programma di edilizia scolastica pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  7 del 9 gennaio 2013 relativo al Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111.800.000,00 euro; tuttavia, non si può fare a meno di rilevare che dalla ripartizione regionale dei fondi il rapporto tra il valore del finanziamento con il numero di scuole (pubbliche e private) presenti in ciascuna regione (dati ISTAT 2011), il nord ne riceverà il 69 per cento, il centro il 28 per cento e il sud e isole appena il 3 per cento, un evidente ripartizione squilibrata che ci consegna un Italia con territori che non hanno gli stessi diritti di avere scuole di uguale livello in termini di sicurezza;
              le risorse economiche destinate all'università sono state drasticamente diminuite per effetto del decreto-legge n.  112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008 ed in particolare sono stati tagliati oltre 1440 milioni di euro sui Fondi di finanziamento ordinario delle università;
              si sono ridotte in maniera drammatica le possibilità di reclutamento e avanzamento di carriera e si limitano le possibilità di utilizzo delle risorse per cessazioni, al punto che se nel 2010 gli atenei in media sono riusciti a mantenere un reclutamento pari al 41 per cento circa dei pensionamenti, per l'attuazione del decreto-legge n.  180 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n.  1 del 2009, d'ora in poi la percentuale media – stando alle simulazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – sarà almeno dimezzata, con una consequenziale migrazione di ricercatori all'estero;
              la legge n.  240 del 2010, di riforma del sistema universitario, ha soppresso la figura del ricercatore a tempo indeterminato sostituendola con quella del ricercatore a tempo determinato, escludendolo da qualsiasi possibilità di crescita professionale e di carriera; inoltre, la riforma stessa rende insostenibili molti corsi di laurea, che saranno costretti a chiudere, in quanto i criteri stabiliti non tengono conto del quadro reale esistente ma sono volti anch'essi esclusivamente ad un taglio delle spese;
              in particolare, nell'ultimo anno i ricercatori strutturati si sono ridotti di 400 unità (passando da 23.800 a 23.400), mentre quelli precari sono passati da 33.000 a 13.400. Pertanto questi quasi ventimila precari sono stati di fatto «espulsi» dal sistema accademico: niente rinnovo, niente tutele, niente università. Un risultato dovuto principalmente alla costante riduzione dei finanziamenti ministeriali e al blocco del turn-over. L'Adi stima che l'85 per cento degli assegnisti di ricerca odierni non potrà intraprendere la carriera universitaria;
              il decreto-legge 95 del 2012 cosiddetto speding review, ha modificato l'articolo 5 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997 che limitava al 20 per cento del fondo di funzionamento ordinario delle università l'ammontare complessivo del gettito delle tasse universitarie per Ateneo e di conseguenza ha liberalizzato la tassazione universitaria, facendo sì che il minor gettito di risorse da parte dello Stato sia coperto dallo studente con una tassazione molto più onerosa;
              il decreto legislativo n.  68 del 2012 ha modificato completamente l'impianto del diritto allo studio, già abbastanza iniquo, riducendo drasticamente il numero di idonei per le borse di studio in quanto i nuovi criteri sono stati studiati nell'ottica di tagliare la spesa e comportando un aumento della tassa regionale per il diritto allo studio;
              il settore dei beni culturali rientra tra gli assi principali di riferimento anche a livello europeo, fondandosi esso sul riconoscimento delle ampie potenzialità espresse dalle attività connesse alla conservazione, al restauro e alla gestione del patrimonio culturale e di quanto esse siano in grado di contribuire in modo efficace alla realizzazione di una concreta ed efficace politica costruttiva con effetto sinergico su diversi settori;
              l'Italia è il paese che possiede il patrimonio artistico e culturale più importante del mondo, sia in termini di quantità (siamo il paese con la maggior distribuzione di musei sul territorio) che di qualità; una fonte di informazione autorevole in merito è rappresentata dalla lista del patrimonio mondiale elaborata dall'UNESCO, Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione la scienza e la cultura, dalla quale risulta che l'Italia è il Paese che detiene il maggiore patrimonio culturale del mondo; pertanto se adeguatamente valorizzato, rappresenterebbe una risorsa inestimabile in termini socioculturali ed economici;
              tuttavia, l'inadeguatezza delle risorse, destinate alla conservazione e alla valorizzazione dell'immenso patrimonio italiano dei beni culturali è diventata oltremodo insostenibile; pertanto è auspicabile una politica di rilancio del piano di manutenzione ordinaria dei beni culturali, con fondi da rimodulare e con risorse ulteriori;
              anche il settore dello spettacolo subisce tagli in conseguenza delle misure della spending review e della recente sentenza della Corte costituzionale 223/2012 che ha ordinato il reintegro dei tagli agli stipendi dei dirigenti; la cifra complessiva di stanziamento del Fondo unico per lo spettacolo, il finanziamento che lo Stato dà al settore, è pari a 389,8 milioni per il 2013. Nel 2012 erano 411, 414 nel 2010, addirittura 527 nel 2001. Si tratta di un taglio consistente (20 milioni) che riduce oltremodo l'investimento statale nel settore, confermando così le peggiori previsioni;
              lo stanziamento sarà distribuito, come sempre, per il 47 per cento alle Fondazioni. Liriche (ma per effetto del taglio si divideranno 10,1 milioni di euro in meno), il cinema vedrà il 18,59 per cento e i teatri 16,4 per cento con 3,4 milioni di euro in meno, alla musica andrà il 14,10 per cento del Fondo unico per lo spettacolo;
              a fronte dei tagli effettuati, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo diventa dunque indispensabile investire nell'intero settore culturale con strategie di lungo periodo con risorse certe e continuative; alcune possibili fonti di finanziamento possono essere le seguenti:
          a) si possono distribuire in maniera più intelligente i tagli lineari definiti con le manovre di finanza pubblica recuperando finanziamenti per i settori della conoscenza e della cultura;
          b) si possono abolire le province che secondo quanto emerge dal Rapporto Italia 2008 dell'Eurispes porterebbe ad un risparmio di almeno 10,6 miliardi di euro, pur nell'ipotesi che il personale delle province (pari a 62.778 tra dirigenti e impiegati secondo la ragioneria generale dello Stato), venisse reimpiegato in altre amministrazioni o istituzioni locali;
          c) si può attuare la graduale e progressiva riduzione delle spese militari, a partire dall'abolizione del «Programma F-35» e dal ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan;
              si possono abolire i rimborsi elettorali pari a 91 milioni di euro, relativi a queste ultime elezioni, comprensivi di quelli già rifiutati dai Movimento 5 Stelle con una semplice rinuncia sottoscritta e firmata, alla portata di qualsiasi altra forza politica;
              si possono abolire i contributi elettorali ai partiti;
              si possono da subito abolire i finanziamenti diretti e indiretti all'editoria;
              si possono ridurre le indennità parlamentari;
              si possono abolire gradualmente le risorse destinate alle scuole paritarie;
              è dovere delle istituzioni favorire la realizzazione dei sistemi di istruzione e formazione più aperti al territorio, che prevedano una maggiore integrazione sistemica con gli organismi territoriali che intervengono per la risoluzione delle problematiche sociali familiari, che rispondano meglio al benessere dei cittadini e della comunità in cui vivono, al loro sano sviluppo culturale, e ad una piena occupazione nella società con adeguato reddito;
              è dovere delle stesse istituzioni attuare riforme, continuando contemporaneamente a investire nei sistemi di istruzione e formazione per rispondere alle sfide socioeconomiche che ci si presentano; sfruttando meglio le potenzialità che le nuove tecnologie offrono in termini di promozione dell'innovazione e della creatività, per rinnovare i processi di insegnamento-apprendimento;
              non si può più consentire lo sperpero dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto; è quindi imprescindibile garantire l'accesso e la fruizione delle risorse culturali del Paese, potenziando la struttura ricettiva dei musei, con evidente impatto positivo sull'industria del turismo e sull'occupazione;
              è necessario introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo, anche traendo spunto dalle soluzioni adottate in altri paesi europei,

impegna il Governo:

          ad adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza ed un piano di rientro di massimo 2 anni delle risorse sottratte nella scorsa legislatura al settore cultura, scuola e università, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato;
          a non perdere di vista l'importanza di investire nella scuola, nella preparazione dei giovani, nella valorizzazione dei saperi, anche restituendo al ruolo dei docenti la centralità che loro compete, affinché quello italiano diventi un sistema di istruzione veramente innovativo e capace di interpretare la complessità del presente e di garantire più certezze nel futuro;
              a ricoprire tutte le cattedre vacanti prima dell'inizio dell'anno scolastico 2013/2014, anche con un piano triennale di assunzioni che preveda la stabilizzazione del maggior numero di docenti precari, con l'inserimento organico nella scuola di nuove figure professionali (psicologi, pedagogisti tutor, consiglieri di orientamento, specialisti nella gestione di disabilità gravi, consuler, educatori) e con investimenti in formazione in itinere qualificata per i docenti orientata alle Best Practice in Italia e in Europa;
              a programmare la costruzione di un sistema integrato e trasversale che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture locali, trasporti sostenibili e comunicazione;
          a prevedere un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici per l'adeguamento strutturale di tutti i plessi nell'arco di 4 anni, con una maggiore entità di fondi per le regioni del sud e le isole fortemente penalizzate con la ripartizione regionale dei fondi destinati all'edilizia scolastica (decreto ministeriale 3 ottobre 2012 – Gazzetta Ufficiale N. 7 del 9 gennaio 2013);
          a prevedere un sistema che garantisca adeguate risorse per gli istituti che hanno risultati qualitativi più bassi al fine di aumentare lo standard qualitativo del sistema scuola italiano ed evitare di penalizzare i territori con maggior disagi sociali ed economici;
          a ripristinare pienamente la possibilità di esercitare il diritto allo studio con opportuni fondi adeguati a garantire borse di studio e strutture di accoglienza per gli studenti che non hanno le opportunità economiche per sostenere i costi dell'università, valutando tra questi i più meritevoli;
              a ridiscutere il metodo di finanziamento delle università legando il Fondo di finanziamento ordinario a meccanismi che valutino l'effettivo impatto socio-economico che il laureato ha nella società rivedendo il meccanismo costo standard per studente;
          a coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca, le imprese, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali il Paese può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie e umane, e a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
          a realizzare un piano d'investimenti pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria programmazione che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni;
          a prevedere forme di agevolazione, anche di tipo fiscale, per gli operatori del settore dello spettacolo, riconoscendone il valore culturale al fine di garantirne la sopravvivenza in questo momento di crisi che colpisce soprattutto le individualità e le piccole realtà artistiche.
(1-00035) «Luigi Gallo, Di Benedetto, Brescia, Simone Valente, Vacca, Marzana, D'Uva, Battelli, Chimienti, Micillo, Luigi Di Maio».

Risoluzione in Commissione:


      La XII Commissione,
          premesso che:
              la medicina di genere è un modo per rendere universalistico il diritto alla salute e, le numerose e significative differenze anatomiche, fisiologiche tra uomo e donna si riflettono nell'insorgenza, nello sviluppo e, nella storia naturale, sulla prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici delle singole patologie, per cui vi è l'assoluta necessità di conoscere le differenze;
              l'anello forte per promuovere la salute sono le donne; la salute delle donne è il diritto che promuove tutti gli altri diritti sociali, economici, civili e politici, e misura la qualità e l'equità del nostro sistema sanitario pubblico ed universalistico nonché il paradigma dello stato di salute dell'intera popolazione come ha affermato l'Organizzazione mondiale della sanità che ha lanciato la sua sfida per una rivalutazione complessiva delle politiche sanitarie e sociali in tutte le aree del pianeta;
              la stessa Organizzazione mondiale delle sanità ha stabilito che, in medicina, il concetto di equità si associa alla capacità di curare l'individuo, in quanto essere specifico e appartenente a un determinato genere;
              nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini (nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini), ma spesso vivono peggio; si recano dal medico molto più degli uomini (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna) e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili;
              sono molteplici le differenze di «genere» nell'ambito delle patologie, secondo i dati del Ministero della salute, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini; il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini; il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+ 736 per cento), malattie tiroidee (+ 500 per cento), depressione e ansietà (+ 138 per cento), cefalea ed emicrania (+ 123 per cento), Alzheimer (+ 100 per cento), cataratta (+ 80 per cento), artrosi e artrite (+ 49 per cento), calcolosi (+ 31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+ 30 per cento), il diabete (+ 9 per cento), le allergie (+ 8 per cento) e alcune malattie cardiache (+ 5 per cento);
              è opinione ormai acquisita che proprio la differenza di genere identifichi esigenze diverse sul fronte delle terapie, oltre a influenzare in modo sensibile l'accesso, la qualità e l'aderenza alle cure stesse; la medicina di genere è una branca recente delle scienze biomediche che ha l'obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell'ambito della risposta alle cure farmacologiche;
              nel riconoscere questa diversità di esigenze, la medicina di genere considera prioritario il diritto delle donne e degli uomini a un'assistenza sanitaria e farmacologica specifica, che si basi su un diverso modo di interpretare e valutare la programmazione e la produzione normativa in ambito farmaceutico, sanitario e socio-assistenziale;
              è stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, nella fisiologia umana e nei fattori sociali-culturali (ad esempio, è più facile che una donna riconosca e chieda aiuto per un disturbo psicologico rispetto ad un uomo), in caso d'insorgenza di malattia, si riflettono significativamente sulla genesi, la prognosi e la compliance degli individui;
              inoltre, le donne sono le principali consumatrici di farmaci, ne prendono mediamente circa il 40 per cento in più rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni, Eppure una buona parte delle molecole, come ad esempio alcuni psicofarmaci, non è stata sperimentata sulla popolazione femminile nonostante che tra uomini e donne esistano diverse differenze che influenzano il metabolismo dei farmaci. Le donne, poi, pesano in media il 30 per cento meno degli uomini e, poiché il dosaggio dei farmaci non sempre viene calcolato in relazione al peso, può succedere che le donne assumano una maggiore quantità di principio attivo rispetto agli uomini. Anche nei meccanismi d'azione dei farmaci la ricerca ha individuato delle differenze tra uomini e donne, a seconda delle diverse patologie. Nella depressione, per esempio, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici dagli antidepressivi triciclici (TCA)31;
              la differenza di genere influenza anche la risposta alle vaccinazioni, secondo una metanalisi condotta sugli studi scientifici esistenti relativi a una serie di vaccini da quello antinfluenzale a quelli per malattie come varicella, morbillo, febbre gialla. Sulle donne i vaccini funzionano meglio, dal momento che sembrano garantire una migliore risposta immunitaria dopo la somministrazione, tanto da suggerire la possibilità di usare dosi minori di vaccino nel sesso femminile;
              già nel 2008 il progetto «La medicina di genere come obiettivo strategico per la salute pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna» presso l'Istituto superiore di sanità nacque dall'esigenza di individuare la necessità di dedicare risorse per conoscere in maniera più specifica le differenze tra uomo e donna per offrire anche alle donne una medicina basata sull'evidenza, al fine aderire alle raccomandazioni della Organizzazione mondiale della sanità, dell'Organizzazione delle nazioni unite, e della Unione europea;
              i risultati del progetto sono stati molteplici tra cui: la costruzione, per la prima volta in Italia, di una rete di ricercatori biomedici e delle scienze sociali coinvolti nello studio e nello sviluppo della Medicina di Genere che nel corso del progetto hanno costruito un linguaggio ed una metodologia di studio che è stata anche illustrata e in parte recepita dalle Nazioni Unite; la costituzione di gruppi di lavoro per scrivere le linee guida genere specifiche per le malattie cardiovascolari e per la fibromialgia, la cui pubblicazione è oramai prossima; l'individuazione di biomarker genere specifici nel campo delle malattie dismetaboliche, cardiovascolari e di alcune malattie autoimmuni. Per quanto riguarda il campo della medicina del lavoro, è stato individuato un marker cellulare di esposizione agli endocrine disrupturs, importante per gli addetti nel comparto agro-alimentare e della plastica; va annoverata altresì la costruzione di nuovi modelli per studiare le differenze di genere in preclinica e clinica relativamente alla malattie cardiovascolari, per la riduzione delle reazioni avverse che sono quantitativamente circa il doppio nelle donne rispetto all'uomini;
              nonostante i progressi in campo medico compiuti in questi ultimi anni, c’è ancora una scarsa conoscenza dell'influenza del genere sulla salute,

impegna il Governo:

          a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la promozione ed il sostegno alla medicina di genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche, al fine di delineare migliori criteri di erogazione del servizio sanitario, che tengano conto delle differenze di genere;
          a promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, con il concorso degli enti vigilati dal Ministero della salute, come l'ISS (Istituto superiore di sanità), l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), gli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), nonché di enti di ricerca, università e aziende sanitarie, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, promuovendo così l'appropriatezza terapeutica e la personalizzazione delle terapie;
          a promuovere l'inserimento della materia della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia, scienze infermieristiche e delle scuole di specializzazione al fine di favorire l'interdisciplinarietà e la completa presa di coscienza della tematica in questione;
          ad individuare e promuovere, per quanto di competenza, percorsi che garantiscano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, la presa in carico del paziente, tenendo conto delle differenze di genere, al fine di ottenere una risposta più specifica ed idonea di fronte alle numerose richieste di assistenza delle donne;
          ad incentivare e valorizzare gli interventi di prevenzione e di diagnosi precoce delle patologie attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening, in particolare del pap test, della mammografia e della prevenzione delle malattie cardiovascolari in epoca post-menopausale, includendo le donne immigrate;
          a rafforzare gli interventi rivolti all'area materno infantile;
          ad assumere iniziative normative volte ad offrire incentivi fiscali per sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica rivolta alla medicina di genere, nonché ad individuare le risorse necessarie affinché il progetto già avviato nel 2008 «la medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna» possa essere rifinanziato;
          a predisporre linee guida, in collaborazione con l'Agenzia italiana del farmaco e con l'Istituto superiore di sanità, affinché, nelle fasi di sperimentazione clinica dei farmaci in cui sono coinvolti gruppi di persone volontarie (fase 1 e 2), venga obbligatoriamente introdotta una percentuale statisticamente significativa di soggetti di genere femminile al fine di valutare scientificamente il follow up e l'impatto del farmaco con una visione di genere;
          ad assumere iniziative per istituire, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, un osservatorio nazionale per la medicina di genere che possa raccogliere, coordinate è trasferire dati epidemiologici e clinici – al fine di assicurare il raggiungimento dell'equità nel diritto alla salute – trasmessi anche attraverso una relazione annuale al Parlamento, evidenziando l'evoluzione dei servizi in materia di medicina di genere nelle varie regioni;
          a lanciare e finanziare un piano di ricerca clinica e preclinica che veda coinvolti i Ministeri della salute e dell'istruzione, dell'università e della ricerca e per gli affari regionali e le autonomie;
          ad assumere iniziative normative per offrire incentivi fiscali alle industrie che producono ricerca con disegni e protocolli mirati alla medicina di genere;
          a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative sia a livello nazionale che locale, anche attraverso la rete dei medici di base, al fine di favorire una corretta informazione volta a migliorare le conoscenze riguardanti le diversità di genere in medicina e le loro conseguenze sulla salute dell'individuo.
(7-00001) «Murer».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          dall'11 agosto 2012, nel comune di Affile, alta valle dell'Aniene, provincia di Roma, risiede un monumento intitolato al generale fascista Rodolfo Graziani, inserito nel 1948, dalla Commissione Onu per i crimini di guerra, nella lista dei criminali internazionali per l'uso di gas tossici contro popolazioni civili e per i bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa; successivamente condannato, il 2 maggio 1950, dal Tribunale militare speciale di Roma per collaborazionismo a 19 anni di reclusione;
          come già ricordato da una precedente interpellanza parlamentare, non esiste un divieto di commemorazione del generale Graziani, come non esiste neppure per Benito Mussolini, questo però, se avviene, a giudizio degli interpellanti deve essere un fatto privato e organizzato da privati, non può essere organizzato da cariche pubbliche e deve avvenire senza oneri da parte di uno Stato democratico e fondato sul ripudio della guerra, quale la Repubblica italiana;
          conseguentemente, la dedica ufficiale, da parte dello stesso sindaco di Affile, Ercole Viri, ovvero di un pubblico ufficiale nel pieno esercizio delle sue funzioni, impegna integralmente la Repubblica italiana, nelle sue articolazioni territoriali, nel commemorare l'azione del Graziani, azione, va ricordato, giudicata dalla comunità internazionale a carattere criminale;
          la vicenda ha generato un'onda emotiva e mediatica sia a livello nazionale che internazionale. Due dei più importanti media internazionali, il New York Times e la Bbc, hanno dedicato ampio spazio, manifestando tutto lo sdegno del mondo anglosassone in particolare;
          nelle ultime settimane si sono verificati importanti aggiornamenti sul caso, in quanto, il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha chiesto agli uffici regionali competenti di sospendere il finanziamento concesso al comune di Affile e destinato, originariamente, al completamento del Parco Rodimonte e alla realizzazione di un monumento al soldato. Si tratta, quindi, del blocco dell'erogazione di un saldo pari a 180 mila euro, mentre 50 mila euro sono già stati erogati dalla regione Lazio durante la scorsa legislatura;
          la decisione del presidente della regione Lazio appare correttamente motivata. Come si legge nell'ordinanza, il comune di Affile, infatti, avrebbe commesso palesi violazioni rispetto all'utilizzo del finanziamento pubblico, alterando la finalità e la destinazione dell'opera, visto che si sarebbe dovuto trattare di un monumento di celebrazione alla figura generica del soldato. Di conseguenza, per il ripristino del finanziamento si chiede all'amministrazione comunale di apportare delle modifiche strutturali al monumento e intitolarlo come originariamente concordato «al soldato», facendo scomparire qualsiasi riferimento al generale Graziani;
          la decisione del presidente Zingaretti ha suscitato la reazione del sindaco di Affile, Ercole Viri, il quale avrebbe dichiarato di non voler ottemperare alle richieste della regione  –:
          se il Governo non intenda esercitare tutti i poteri di competenza in relazione alla vicenda di cui in premessa;
          se si intendano assumere iniziative normative per impedire che siano intestati a personalità condannate per gravi reati contro lo Stato monumenti, sacrari o pubbliche vie o piazze al fine di evitare casi come quello di cui in premessa.
(2-00036) «Gregori, Ferro, Mazzoli, Meta, Tidei, Bonaccorsi, Melilli, Coscia, Madia, Marroni, Gasbarra, Damiano, Gribaudo, Bellanova, Pastorino, Campana, Carella, Miccoli, Roberta Agostini, Casellato, Casati, Carnevali, Cinzia Maria Fontana, Giuseppe Guerini, Tino Iannuzzi, Lorenzo Guerini, Guerra, Scuvera, Ghizzoni, Marco Di Maio».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          il Ministro dello sviluppo economico on.  Flavio Zanonato alla trasmissione radiofonica di Radio2 «Un giorno da pecora» ha affermato testualmente: «l'energia nucleare è una forma di energia, se si può gestire non è sbagliata di per sé»;
          un Ministro della Repubblica, a giudizio degli interroganti, non può lasciarsi andare in affermazioni contrastanti con la volontà popolare palesatasi altresì nel risultato del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 dove ben 25.643.652 cittadini italiani hanno votato «SI» al quesito riportato nella terza scheda di colore grigio;
          l'utilizzo dell'energia nucleare è devastante in termini di costi, di costruzione, gestione e manutenzione delle centrali di produzione, di pericolo ambientale dello smaltimento delle scorie e di aspetti salutari e sanitari che ricadono sulla cittadinanza e che vedono una forte incidenza della percentuale degli effetti dalle diverse tipologie tumorali, oltre agli accadimenti che negli ultimi anni hanno intimorito il mondo intero;
          anche in casa si ha l'esempio non edificante relativo al mancato smaltimento del materiale radioattivo della Centrale Eurex di Saluggia, nei pressi di Vercelli, dove secondo recenti notizie risulterebbe che l'azienda incaricata della bonifica ambientale abbia rilevato nella vasca di stoccaggio due fessure dalle quali fuoriesce liquido radioattivo e dove sia il sindaco che il consigliere comunale di un paese limitrofo hanno presentato esposti alle procure di Vercelli e Torino a tutela della cittadinanza;
          nelle bollette, la voce «energia ed approvvigionamento» che riguarda l'importazione di fonti fossili e la produzione in centrali termoelettriche vale per circa l'85 per cento; questa componente è aumentata negli ultimi 10 anni del 177 per cento, passando da una media di 106 euro a 293 euro per la civile abitazione, ed inoltre ogni giorno 2,4 milioni di euro vengono bruciati per gli oneri di dispacciamento dovuti all'inefficienza del sistema energetico italiano  –:
          se sia intenzione del Governo promuovere l'utilizzo dell'energia nucleare in contrasto con la volontà popolare espressa;
          se le dichiarazioni rese alla citata trasmissione esprimano la linea politica del Governo; se sia altresì volontà del Governo promuovere campagne di sensibilizzazione relative agli effetti dell'uso dell'energia nucleare e a quali comportamenti porre in essere per tutti quei cittadini che, vivendo nelle aree confinarie della penisola, sono più a stretto contatto con realtà dove l'energia nucleare e la presenza delle relative centrali è quanto mai diffusa;
          se sia intenzione del Governo porre in essere tutte le iniziative per l'abbattimento dei costi relativi all'utilizzo di energia da parte dei cittadini al fine di favorire le categorie meno abbienti;
          se sia intenzione del Governo assumere ogni iniziativa di competenza per offrire ausilio nei periodi invernali alle persone anziane ed a quelle in difficoltà garantendo un contributo relativo alle spese di utilizzo energetico volte al riscaldamento ed allo stesso tempo quelle volte al refrigerio nei periodi torridi e di afa conclamata quando, troppo spesso, si verificano decessi da disidratazione e calura;
          se sia intenzione del Governo ricorrere alla messa in opera di incentivi per l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili ad uso civile.
(2-00035) «Rizzetto, Prodani».

Interrogazioni a risposta scritta:


      BRUNETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il comma 481 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità) ha disposto la proroga nel periodo 1o gennaio – 31 dicembre 2013 di misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro, introducendo una speciale agevolazione, nel limite massimo di 950 milioni di euro nel 2013 e di 400 milioni nel 2014;
          il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 gennaio 2013 ha provveduto a regolare l'erogazione di tali agevolazioni, coordinandole con la più complessiva normativa di carattere fiscale inerente il rapporto di lavoro dipendente;
          in data 21 novembre 2012 è stato realizzato il necessario accordo con le organizzazioni sindacali per l'attuazione della relativa normativa  –:
          a quanto ammontino finora le somme effettivamente utilizzate per dare attuazione alla normativa richiamata in premessa. (4-00397)


      FERRARESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la società Basell Polyolefins nasce come ragione sociale nel 2000, a seguito di una joint venture tra BASF e Shell; essa si occupa di produzione e ricerca di polipropilene di polietilene e di catalizzatori per polipropilene. Dal dicembre 2007 ha cambiato denominazione in LyondellBasell Industries, a seguito della fusione con l'azienda americana Lyondell;
          LyondellBasell è il terzo più grande produttore chimico indipendente nel mondo e ha sede a Rotterdam, Paesi Bassi, producendo, oggi, in 58 siti disseminati in 18 Paesi e ha un fatturato annuo di circa 45 miliardi dollari e più di 13.000 dipendenti;
          la LyondellBasell è una multinazionale che non ha problemi legati a dati di bilancio; nel primo trimestre 2013 l'utile, diluito per azione è stato di dollari 1,56; il reddito dell'esercizio dell'operatività corrente è stato di dollari 906.000.000. L'utile netto nel primo trimestre 2013 è aumentato del 44 per cento rispetto al quarto trimestre 2012;
          Basell Polyolefins in Italia è presente:
              a Ferrara con il Centro ricerche «Giulio Natta», dove hanno sede impianti produttivi, uffici amministrativi e la sede legale;
              a Terni con impianti produttivi in via di smantellamento;
              a Brindisi con impianti produttivi;
              a Milano con attività commerciali;
          nel sito produttivo e nel Centro ricerche di Ferrara lavorano circa 1000 dipendenti, l'azienda è presente in tre aree: Centro ricerche «Giulio Natta», con laboratori e impianti pilota; produzione catalizzatori e produzione polimeri;
          Ferrara è attualmente il sito più grande al mondo di LyondellBasell per lo sviluppo e la produzione di catalizzatori Ziegler-Natta;
          lo stretto rapporto tra ricerca e produzione è alla base del successo del sito ferrarese. Dei circa 100 brevetti depositati all'anno da parte di LyondellBasell nel mondo, due terzi sono frutto di attività svolte nel centro di Ferrara;
          il Centro ricerche «Giulio Natta» rappresenta un caso di eccellenza nel panorama industriale italiano e si colloca ai vertici più alti, a livello mondiale. Oggi vi lavorano circa 500 dipendenti e l'attività è suddivisa nelle seguenti principali funzioni: ricerca di base sui sistemi catalitici, caratterizzazione di struttura e comportamento dei prodotti, tecnologia e sviluppo di nuovi processi, progettazione di impianti, sviluppo di applicazioni industriali;
          Basell alla fine dell'anno passato ha reso nota l'intenzione di licenziare 105 dipendenti e ridurre di un quarto il budget della ricerca effettuata nel laboratorio Giulio Natta;
          il lavoro è diventata la prima emergenza del Paese a causa del perdurare della crisi del sistema produttivo. I dati sulla disoccupazione a Ferrara, in termini percentuali, sono passati dall'8,2 per cento del 2011 al 10,4 per cento del 2012;
          il 22 marzo si è riunito un tavolo regionale sulla vertenza Basell, conclusosi con un accordo che stabilisce la sospensione della mobilità, con l'impegno di riunirsi di nuovo il 10 maggio;
          hanno firmato l'accordo, oltre alle istituzioni (la regione Emilia Romagna, il sindaco Tagliani per il comune di Ferrara e la presidente Zappaterra per la provincia di Ferrara), la Lyondell Basell Spa assistita da Unindustria Ferrara, le organizzazioni sindacali nazionali, regionali e provinciali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil e le rappresentanze sindacali unitarie aziendali;
          «La priorità – ha spiegato l'assessore regionale alle attività produttive Gian Carlo Muzzarelli – è quella di salvaguardare l'occupazione e le competenze, ed a questo sarà diretto l'approfondimento delle prossime settimane per cercare possibili sinergie con il sistema regionale della ricerca. In tale contesto si potrà anche proporre una opportuna diversificazione della ricerca in ambito chimico»;
          vi è stato un primo impegno ufficiale affinché i dipendenti della Basell di Ferrara possano contare sull'appoggio delle risorse, sulle competenze regionali, sul piano sviluppo triennale della regione e sul piano della stabilizzazione del lavoro;
          in particolare si è preso l'impegno di coinvolgere ed integrare la problematica Basell all'interno del progetto «Rete regionale di alta tecnologia» e del Consorzio Aster che vede impegnata la regione Emilia-Romagna, le università, il CNR e l'ENEA, le associazioni di categoria e Unioncamere e che promuove l'innovazione del sistema produttivo, lo sviluppo di strutture e servizi per la ricerca industriale e strategica, la collaborazione tra ricerca e impresa e la valorizzazione del capitale umano impegnato in questi ambiti;
          da anni tutte le associazioni ambientaliste e comitati di cittadini sostengono che bisogna proseguire con l'operazione di bonifica dei terreni, sia delle matrici superficiali che della falda più profonda;
          il settore chimico offre competenze che possono essere diversamente indirizzate;
          come dice Vittorio Ghisolfi della Mossi&Ghisolfi, seconda industria chimica italiana con 2.300 dipendenti e 120 ricercatori, «La petrolchimica italiana è finita da tempo schiacciata dalla concorrenza mondiale. Quella europea si occupa principalmente del farmaceutico, noi siamo convinti che la chimica verde potrà rilanciare l'Italia nel Mondo»;
          la chimica verde o chimica sostenibile è essenzialmente un nuovo modo di indirizzare ricerca, progetti, processi, dettato dalla consapevolezza di un limite nel consumo di risorse e nella produzione di merci. Essa è in una prospettiva di futuro e saprà giocare un ruolo primario nella riconversione di vecchie tecnologie in nuovi processi puliti e nella progettazione di nuovi prodotti e nuovi processi eco-compatibili;
          tutela dell'ambiente, ricerca, lavoro dovrebbero rappresentare la priorità nell'agenda di qualsiasi Governo;
          l'ipotesi di ridurre il potenziale di ricerca del «Giulio Natta» di Ferrara da parte LyondellBasell rappresenta un grave rischio sotto l'aspetto delle opportunità e dell'innovazione industriale per tutto il Paese. Ricerca e innovazione sono fattori determinanti nella competizione internazionale e l'Italia non può continuare a permettere il ridursi ed il disperdersi di risorse e competenze;
          l'impegno della regione Emilia Romagna va sostenuto e non può essere un problema solo regionale risolto con risorse e strumenti solo locali;
          il polo chimico di Ferrara offre ancora un enorme patrimonio professionale e di competenze, una rara concentrazione di utility (energia, vapore, gas, servizi generali) e degli eccellenti collegamenti viari: autostradali, ferroviari e via acqua  –:
          se il Governo non ritenga di doversi adoperare per:
              a) impedire il corso della procedura di mobilità presso il centro ricerche «Giulio Natta»;
              b) chiedere alla società LyondellBasell un chiaro piano industriale in cui risulti esplicitata la logica di prospettiva della drastica riduzione del personale del centro ricerca;
          quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di favorire lo sviluppo di un programma di bonifica ambientale, rivalorizzazione, riconversione del Petrolchimico di Ferrara, per indirizzarlo verso un nuovo polo tecnologico specializzato soprattutto nella cosiddetta «chimica verde», che valorizzi le eccellenze di professionalità, logistica, coesione sociale presenti nel territorio ed offra una concreta prospettiva di sviluppo, capace di attrarre nuovi investimenti e di sostenere l'occupazione. (4-00398)


      FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il territorio della provincia di Modena è negli ultimi tempi particolarmente colpito da eventi naturali fuori dall'ordinario, con gravi danni alle persone che lo abitano, al tessuto produttivo, alle infrastrutture;
          i terremoti del 20 e del 29 maggio del 2012 hanno lasciato morti e distruzione; la situazione in merito alla ricostruzione è fortemente rallentata; in particolare, l'incertezza che caratterizza tutta la normativa in merito, nazionale e regionale, nella sua applicazione, vede un conseguente ritardo, nella presentazione delle domande di contributo/indennizzo, motivato;
          recentemente è stato prorogato lo stato di emergenza post sisma fino a fine 2014;
          l'eccezionalità delle precipitazioni che ha colpito l'Emilia Romagna, fin dai primi mesi del 2013, ha avuto gravi conseguenze sul territorio; il maltempo che ha interessato il territorio montano e pedecollinare della provincia di Modena ha comportato un susseguirsi di allarmi di protezione civile per neve, pioggia, dissesto idraulico ed idrogeologico; in merito, il 5 aprile 2013, il presidente della giunta regionale ha inviato al Governo la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il territorio regionale, richiesta che al momento non risulta essere presa in considerazione;
          il 3 maggio 2013 due trombe d'aria di portata eccezionale hanno devastato alcuni comuni modenesi già interessati dall'evento sismico del 2012;
          sono state colpite, in particolare, frazioni dei comuni di Mirandola e Castelfranco Emilia, dove i danni si quantificano, provvisoriamente, in circa 17 milioni di euro, come rilevato dai tecnici della protezione civile provinciale;
          a San Martino Spino risultano danneggiate 82 abitazioni (di cui due inagibili) e una decina di attività commerciali, artigianali, industriali e agricole; si registrano danni anche alle scuole elementari e medie, al centro sportivo, al cimitero e al teatro Politeama; a Castelfranco Emilia i danni riguardano 24 abitazioni e 22 magazzini tra la via per Panzano, via Gaidello, via Rosario e via Pioppa con 16 edifici inagibili; i tecnici del servizio provinciale agricoltura, inoltre, stanno effettuando le verifiche sui danni alle circa 15 aziende agricole colpite, in particolare alle serre dei meloni nella zona di San Martino Spino e alcuni frutteti nella zona di Castelfranco Emilia;
          il fenomeno del dissesto idrogeologico, che riguarda l'intero Paese, è la conseguenza prevedibile e risaputa di anni di mancati interventi dello Stato che ha ridotto le risorse per la prevenzione;
          la manutenzione diretta alla prevenzione del pericolo sismico e idrogeologico del territorio è la prima opera infrastrutturale di cui si sente l'urgente ed indifferibile bisogno;
          quasi la metà della Penisola (il 44 per cento) si distribuisce in aree a elevato rischio sismico interessando un comune su tre (2893 in totale) e 21,8 milioni di persone;
          le zone a elevata criticità idrogeologica occupano il 10 per cento della superficie del Paese, riguardando l'89 per cento dei Comuni e 5,8 milioni di abitanti;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali erogati complessivamente nel ventennio 1991-2010 per interventi preventivi di mitigazione del rischio idrogeologico, e in 40 miliardi quelli necessari per la sistemazione delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale. Nello stesso periodo si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni (mentre si stimano richieste per 60 miliardi);
          non è più possibile rincorrere gli eventi considerandoli occasionali, la loro inevitabile frequenza rappresenta una evidente normalità;
          oggi si assiste ad un intervento pubblico emergenziale, troppo spesso attivo solo dopo l'evento calamitoso, con norme specifiche caso per caso, creando insicurezza nei cittadini ed ingiuste e ingiustificabili differenze tra impattati  –:
          se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative, se del caso normative, per:
              a) dare accoglimento alla richiesta di riconoscimento dello stato di emergenza per la regione Emilia Romagna interessata dagli eventi calamitosi provocati dal maltempo del marzo aprile e dalla recente tromba d'aria del 3 maggio 2013;
              b) applicare le norme specifiche sulla ricostruzione post sisma anche alle abitazioni colpite dagli eventi citati precedentemente;
              c) esonerare dal pagamento dell'IMU le abitazioni e le imprese danneggiate;
              d) applicare il finanziamento, sotto forma di contributo/indennizzo, per il recupero o la ricostruzione delle abitazioni;
              e) assicurare per le aziende agricole la dichiarazione di evento calamitoso, attivando il fondo di solidarietà nazionale per l'indennizzo dei danni materiali e l'esenzione dai pagamenti fiscali, previdenziali e contributivi;
              f) prevedere per la regione Emilia-Romagna e gli enti locali coinvolti la deroga al patto di stabilità interno;
              g) pervenire ad una legislazione organica, in grado di dare garanzie in termini di prevenzione, risorse, interventi, e al fine di dare vita ad un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio. (4-00399)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          da qualche giorno, come si evince da numerosi articoli apparsi sulla stampa locale, ad esempio il Giornale di Brescia e l'Eco di Bergamo, grazie anche alla denuncia della Legambiente Basso Sebino, è apparsa sul lago d'Iseo una chiazza di colore rosso molto ampia ben visibile al galleggiamento;
          la chiazza si presenta all'osservazione di colore rosso, oleosa con una dimensione di 3 chilometri in lunghezza e 200 metri in ampiezza; essa potrebbe costituire una delle forme di più grave inquinamento del lago Sebino degli ultimi anni;
          secondo i primi rilievi dell'Arpa Lombardia di Brescia effettuati in questi giorni: «Non ci sono tracce di alghe nei prelievi analizzati. Le indagini batteriologiche e chimiche eseguite sui campionamenti fatti tra Lovere e Pisogne, non hanno portato a risultati certi. A galleggiare, probabilmente, sono i residui di qualche sversamento avvenuto per accidente o dolo; residui a tratti schiumosi, a tratti filamentosi, che hanno innescato strane reazioni a catena. Lungo la spiaggia delle Ere, a Montisola, e davanti a Predore, ad esempio, le acque erano colorate da una sospensione di minutissime particelle rosse»;
          secondo quanto denuncia l'associazione Legambiente Basso Sebino è probabile che dallo sfioratore di Pisogne che dà sul canale industriale, sia uscito un getto continuo e concentrato di liquami e oli fumanti di vario tipo che è stato riversato nelle acque del lago d'Iseo. Si tratta presumibilmente di scarichi fognari e scarichi industriali illeciti mescolati assieme, che hanno inquinato gravemente tutto l'alto lago d'Iseo  –:
          quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche per tramite degli uffici territoriali di competenza e le agenzie ministeriali specializzate, quali l'ISPRA, per fare fronte all'attuale emergenza ambientale del lago Sebino, anche al fine di individuare la natura delle sostanze in galleggiamento e la loro origine;
          se non si ritenga opportuno ripristinare la dotazione di mezzi di controllo sul lago Sebino, come ad esempio la riassegnazione della motovedetta ai carabinieri di Iseo per il controllo ambientale e della sicurezza nautica del lago, anche per prevenire episodi di inquinamento ambientale e di abusivismo edilizio. (4-00387)


      SBROLLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in località Vianelle, nel territorio a confine tra i comuni di Marano Vicentino e Thiene (Vi), è presente una discarica di rifiuti inerti, proprietà della ditta Servizi s.r.l. di Montecchio Precalcino che gestisce anche l'esercizio;
          il sito è utilizzato in parte come discarica per materiali inerti e in parte come cava e si estende per una superficie complessiva di oltre 230.000 metri quadri;
          il sito si colloca nell'alta pianura vicentina sopra una vasta falda acquifera dalla quale attingono gli acquedotti di Vicenza, Padova, di una parte significativa dei comuni dell'Alto Vicentino ed ex-Euganeo-Berico, per complessivi 700 mila abitanti serviti;
          la carta della vulnerabilità intrinseca della falda freatica della Pianura Veneta indica, per questa zona, un grado di vulnerabilità compreso tra alto ed elevato (livelli 4° e 5° in una scala da 1 a 6);
          il decreto provinciale n.  62/2012 del 20 aprile 2012 estende le tipologie di rifiuti conferibili implicando la trasformazione del sito in impianto di discarica idoneo a smaltire non più e non solo rifiuti inerti ma anche altre tipologie di rifiuti a più elevato grado di pericolosità;
          tale decreto concorre ad aumentare le seguenti criticità:
              a) Profilo idrologico-idraulico;
          si rende impermeabile un'ampia porzione di territorio azzerando la sua capacità di disperdere nel sottosuolo le precipitazioni dirette che cadono in quella stessa area:
              b) Profilo del rischio-contaminazione per le falde idriche sottostanti;
          si introduce nel territorio una ulteriore «sorgente» di potenziale inquinamento la cui pericolosità rimarrà latente per molti anni:
              c) Profilo normativo;
          all'istanza di integrazione dei codici CER presentata alla provincia di Vicenza, l'ente risponde subordinando l'integrazione dei codici CER al rinnovo della procedura VIA. Infatti, il parere della commissione provinciale VIA di Vicenza (n.  1/2002) è stato rilasciato in data 23 ottobre 2002 in relazione a diversi (e minori) codici CER. Poiché tramite decreto provinciale n.  62/2012 del 20 aprile 2012 si estendono le tipologie di rifiuti conferibili nella discarica Vianelle, modificando quindi i codici CER per cui si era ottenuta l'autorizzazione nell'anno 2002, si riscontra la necessità di rinnovare la procedura di VIA, come prevede la direttiva 2011/92/UE;
          perizie di geologi evidenziano come l'impianto sia separato dalla falda solo da una sottile barriera impermeabile artificiale che dovrebbe avere invece uno spessore doppio, dallo strato ghiaioso e sabbioso a elevata permeabilità sopra una fondamentale falda acquifera utilizzata per l'approvvigionamento di acqua potabile dagli acquedotti della zona che servono oltre 700.000 abitanti;
          alcuni pozzi spia sembrano non seguire la direzione della falda, rendendo così inutili i prelievi di acqua destinati a verificare la presenza di agenti inquinanti. Ciò si colloca all'interno di una carenza del sistema di controlli dal punto di vista della frequenza;
          in un contesto di alto grado di pericolosità per l'ambiente e per la salute dei cittadini, si inserisce l'indebolimento del sistema di controlli: la sede Arpav di Vicenza sembra destinata a chiudere a causa dei tagli; la provincia, che ha dapprima autorizzato la trasformazione del sito in impianto idoneo ad accogliere e smaltire rifiuti a più elevato grado di pericolosità, si troverà nella condizione di non poter garantire adeguati controlli;
          i comuni raggiunti dagli acquedotti che attingono dalla falda si schierano e si mobilitano a favore della tutela dell'ambiente e della falda stessa. Tra i comuni interessati, vanno segnalati quelli di Thiene e Marano Vicentino che hanno presentato due ricorsi al Presidente della Repubblica e stanno attendendo una risposta. Esprimono preoccupazione e volontà di tutelare l'ambiente e la falda anche le Asl, i consorzi della zona, nonché i cittadini, impegnati in una petizione contro la trasformazione del sito in discarica atta a smaltire rifiuti ad elevato grado di pericolosità  –:
          se sia a conoscenza per il tramite della competente autorità di bacino di eventuali rischi per la falda acquifera più importante del Nord Italia, dalla quale attingono gli acquedotti che soddisfano un così vasto numero di persone. (4-00393)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      GREGORI, FERRO, MAZZOLI, META, TIDEI, BONACCORSI, MELILLI, COSCIA, MORASSUT, MADIA, MARROCU, GASBARRA, DAMIANO, GRIBAUDO, MICCOLI, BELLANOVA, PASTORINO, CAMPANA, CARELLA, CASELLATO, EPIFANI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          a quanto risulta all'interrogante, ormai da mesi, i servizi per la valorizzazione di due tra i più importanti siti monumentali italiani, Villa Adriana e Villa d'Este, amministrati rispettivamente dalla Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali del Lazio e dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, versano in grave crisi;
          in particolare, dal 1o dicembre 2012 Villa d'Este è rimasta priva del servizio di ristorazione interna, mentre già da due anni ormai Villa Adriana versa nelle medesime condizioni, ovvero è priva di servizi adeguati di ristorazione e bar;
          di conseguenza, entrambi i monumenti, dichiarati dall'Unesco patrimonio dell'umanità, risultano al momento completamente privi di bar e servizio di ristorazione interna. Fatto particolarmente grave, se si considera la mole di turisti – le stime parlano di un volume d'ingressi pari a 700.000 unità annue, che stazionano, spesso per ore, all'interno dei siti senza avere la possibilità di approvvigionarsi adeguatamente;
          questa contingenza, stando alla ricostruzione dell'interrogante, si è verificata a seguito di un contenzioso giudiziario che ha visto opposti il Ministero per i beni e le attività culturali e la Sirio Hotel s.r.l., società concessionaria del servizio bar e ristorazione per entrambi i monumenti. Quest'ultima, a seguito della soccombenza in primo grado del contenzioso che la vede opposta al Ministero, ha rinunciato ad un'ulteriore proroga della concessione per Villa d'Este;
          tale contesto ha portato, altresì, al licenziamento di cinque dipendenti dei servizi di ristorazione, dopo molti anni di lavoro e senza che la cosa sia imputabile al cattivo andamento economico dei punti di ristoro o ad eventuali prestazioni lavorative non adeguate, ma solo al procedimento che oppone il concessionario all'ente committente;
          a seguito del contenzioso le autorità competenti hanno indetto un nuovo bando, per servizi di ristorazione e bar presso i due siti monumentali, la cui procedura varia dai 12 ai 18 mesi  –:
          se il Ministro interrogato intenda mettere in atto gli strumenti a sua disposizione al fine di accelerare i tempi di messa a bando dei punti di ristoro di Villa d'Este e Villa Adriana, due siti monumentali di alto valore strategico che non possono rimanere senza adeguati servizi di accoglienza per così lungo tempo;
          se il Ministro interrogato, nel periodo che intercorre tra lo svolgimento delle procedure del bando e l'assegnazione di un nuovo concessionario, intenda adottare misure a carattere straordinario e temporaneo per fornire, comunque, punti di ristorazione e bar;
          se il Ministro interrogato ritenga opportuno dare garanzie per la continuità occupazionale dei lavoratori licenziati.
(4-00396)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BENAMATI, DE MARIA, FABBRI, BARGERO, BINI, BARUFFI e BASSO. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'UNCEM – Unione nazionale comuni comunità enti montani – è l'organizzazione nazionale unitaria, presente in ogni realtà regionale con proprie delegazioni, che da oltre 50 anni raggruppa e rappresenta i comuni interamente e parzialmente montani e le comunità montane, oltre ad associare varie amministrazioni ed enti (province, consorzi, camere di commercio) operanti in montagna, per un bacino territoriale pari al 54 per cento di quello nazionale e nel quale risiedono oltre 10 milioni di abitanti;
          da gennaio 2011 l'UNCEM ha avviato un processo di integrazione con ANCI – Associazione nazionale comuni italiani – anche ai fini di una maggiore incisività nella azione di sostegno territoriale;
          oggi appare sempre più necessario riavviare un'azione di sviluppo integrato rivolta alla montagna, area che soffre di barriere strutturali non solo di natura geografica;
          oggi vi è un importante strumento, come quello delle Unioni montane dei comuni, per gestire i servizi ma soprattutto per organizzare lo sviluppo economico in quelle aree, ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione;
          uno Stato è moderno, avanzato, anche se riparte dalle specificità del territorio peculiari come quelli montani e rurali;
          è, però, necessario un nuovo patto tra aree urbane e montagna, tra territori solidali e non concorrenti e serve in questo l'armonizzazione della legislazione nazionale: passando dalle comunità montane a quella di Unioni montane;
          il Paese avrebbe, quindi, bisogno di un piano integrato per le aree rurali montane, al pari del «piano città» realizzato negli anni scorsi, poiché solo così si può articolare una vera politica di intervento organica ed efficace su quei territori;
          per agevolare lo sviluppo di queste aree occorrerebbero, inoltre, nuove misure mirate di sostegno specifico per favorire nuove attività commerciali e di imprese posizionate al di sopra di specifiche quote altimetriche, anche nel quadro più ampio di una politica nazionale volta alla ripresa economica  –:
          se quanto in premessa risponda al vero e se si intenda valutare assunzione di iniziative per il rifinanziamento della legge n.  97 del 1994, attivando anche ulteriori politiche di potenziamento delle capacità delle Unioni montane, per la valorizzazione socio-economica dei territori montani. (5-00101)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      D'OTTAVIO, GRIBAUDO e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n.  214 del 2013, introducendo l'IMU in sostituzione dell'ICI e stabilendo la sua applicazione anche alle abitazioni principali, ha esteso il beneficio della detrazione prevista per l'abitazione principale anche agli alloggi locati da cooperative a proprietà indivisa e IACP, ma non ha riconosciuto agli stessi alloggi; l'aliquota «prima casa». Questo ha comportato per le cooperative e per le famiglie in affitto il pagamento dell'IMU con aliquote di «seconda casa»;
          sono circa 40.000 le famiglie a basso reddito che vivono, in affitto, in alloggi di proprietà delle cooperative a proprietà indivisa, per le quali il mancato riconoscimento dello status di abitazione principale agli alloggi determina un pesante fardello su condizioni di vita già aggravate dalla crisi in atto;
          per le famiglie l'assegnazione degli alloggi in affitto è subordinata al requisito di non possidenza di un altro alloggio  –:
          se, in seguito all'annuncio del Presidente del Consiglio dei ministri del blocco della rata di giugno dell'IMU in attesa di una revisione dell'imposta, sia intenzione del Governo riconoscere alla tipologia di alloggi locati da cooperative a proprietà indivisa la stessa aliquota delle abitazioni principali o «prima casa». (4-00392)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


      DE MITA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 13 settembre 2013, in attuazione della legge 14 settembre 2011, n.  148, entrerà in vigore la nuova geografia dei tribunali, di cui al decreto legislativo n.  155 del 7 settembre 2012, che dispone la soppressione di 31 tribunali e 220 sedi distaccate;
          è noto che in merito sono state sollevate alcune eccezioni di incostituzionalità, accolte da diversi magistrati sparsi di tutta Italia e rimesse alla Corte costituzionale;
          da più parti e dopo una valutazione attenta dei possibili scenari conseguenti ai numerosi ricorsi sulla costituzionalità della normativa che pendono dinanzi alla Corte costituzionale, è stata avanzata la proposta di richiedere una necessaria e congrua proroga del termine di entrata in vigore della revisione della geografia giudiziaria che interromperà l'attività di 31 tribunali e di 220 sezioni distaccate, tra i quali i tribunali di S'Angelo dei Lombardi e Ariano Irpino;
          l'8 ottobre 2013, appena poco più di 20 giorni dopo l'entrata in vigore della soppressione delle sedi giudiziarie, sarà discussa davanti alla Consulta la questione di legittimità del decreto legislativo n.  155 del 2012, sollevata dal tribunale di Pinerolo;
          si tratta della prima di una nutrita serie di questioni pendenti presso la Consulta per cui questioni di opportunità, suggerirebbero di attendere gli esiti dei giudizi costituzionali per evitare possibili, se non addirittura probabili, impasse istituzionali;
          è opportuno ricordare che i pareri espressi a larghissima maggioranza dalle Commissioni competenti di Camera e Senato non sono stati tenuti in conto nella predisposizione del citato decreto e che la predisposizione delle strutture accorpanti è ancora ben lungi dall'essere idonea ad accogliere il personale assorbito, per cui si prevedono problemi dal punto di vista logistico ed organizzativo  –:
          se non intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per un congruo slittamento dell'operatività delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n.  155 del 2012. (3-00045)


      CAUSIN, MATARRESE, VITELLI, VECCHIO, BOMBASSEI e D'AGOSTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo strumento dei concordati preventivi è stato profondamente riformato a metà degli anni 2000 per facilitare la ristrutturazione dei debiti e, quindi, il superamento delle crisi d'impresa;
          l'articolo 33 del decreto-legge n.  83 del 2012 (decreto sviluppo) ha voluto semplificare la possibilità di ottenere il concordato e quindi di ridurre i tempi di ripresa delle imprese in difficoltà;
          tuttavia, in un periodo di crisi gravissima e diffusa come l'attuale, questo strumento sta diventando, a giudizio degli interroganti, un sistema «legale» per non pagare i fornitori, subappaltatori e altri creditori, creando oltretutto concorrenza sleale verso le imprese che rispettano gli impegni;
          l'esperienza di questi mesi ha infatti mostrato come il concordato preventivo ha rivelato alcuni punti deboli, e diverse imprese creditrici ne hanno, infatti, denunciato un uso distorto da parte dei propri debitori. Una pratica che si è manifestata con il pagamento di percentuali minimali ai fornitori (spesso inferiori al 10 per cento con punte pari a pochi decimali), la liquidazione del poco che resta del complesso aziendale e la ripartenza attraverso una newco libera da pesi e responsabilità;
          nei primi 7 mesi di applicazione del nuovo modello si è rilevato un incremento del numero delle domande di accesso alla procedura anche del 300 per cento, molte delle quali finalizzate a eludere i propri obblighi in modo che appare fraudolento, poiché il debitore può beneficiare immediatamente della sospensione dei pagamenti e delle azioni esecutive;
          questa distorsione nell'applicazione della norma va pertanto affrontata, anche per preservare uno strumento la cui utilità è fuori discussione e per agevolare operazioni di risanamento di imprese che altrimenti rischierebbero di uscire dal mercato; essa va quindi affrontata sotto due profili: applicativo e normativo  –:
          se non ritenga, alla luce delle premesse, di valutare l'opportunità di adottare iniziative anche di tipo normativo, al fine di correggere gli effetti distorsivi della norma succitata evitando alle aziende, già alle prese con una congiuntura sfavorevole, un ulteriore danno economico.
(3-00046)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


      MANFREDI e TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la strada statale 268 del Vesuvio (SS 268), già in parte nuova strada ANAS 31 Nuova Vesuviana (NSA 31), ha origine nell'hinterland napoletano e collega, in particolare, il comune di Cercola con il comune di Angri, in provincia di Salerno. Il suo tracciato attraversa due aree geografiche contigue ma distinte: una prima parte corrispondente al versante interno del Vesuvio (provincia di Napoli) ed una seconda che muove dalle ultime propaggini di quest'ultimo fino a raggiungere la piana del fiume Sarno nella zona dell'Agro Nocerino-Sarnese (provincia di Salerno). Si tratta quindi di una infrastruttura essenziale per le province di Napoli e Salerno;
          l'attuale tracciato si presenta ad una sola corsia per ogni senso di marcia per la quasi totalità del percorso, salvo recenti interventi di ammodernamento, in quanto progettata per il traffico degli anni sessanta e costruita solo agli inizi degli anni ottanta. Manca di corsie di emergenza e piazzole di sosta nel tratto Napoli-Somma Vesuviana e alcuni svincoli non presentano neanche la classica aiuola che separa fisicamente il lato corrispondente all'entrata con il lato corrispondente all'uscita. Il tracciato originale della strada statale risulta essere ormai completamente declassificato: la sede storica aveva, difatti, inizio presso la frazione di San Giovanni a Teduccio dove si innestava sulla strada statale 18 Tirrena Inferiore, proseguiva superando lo svincolo dell'A3 Napoli-Reggio Calabria e raggiungeva Cercola, da dove inizia il semianello di aggiramento del Vesuvio con l'attraversamento di tutti i relativi centri abitati (Sant'Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno). La nuova sede stradale, realizzata nel corso degli anni ottanta si rese necessaria per ovviare all'attraversamento dei vari centri abitati che si susseguivano lungo il vecchio tracciato. Sebbene il tracciato attuale corra più o meno parallelo al vecchio descrivendo un arco più grande, il caposaldo iniziale e finale risultano variati, anche per permettere l'allacciamento con infrastrutture più adeguate. Inizialmente il nuovo tracciato si configurava come strada statale 268-bis, ma al momento della declassificazione del tracciato originale a strada provinciale, il nuovo tracciato assumeva a tutti gli effetti la classificazione di SS 268;
          la strada è interessata, finalmente, a partire dal 2003, da un progetto di riammodernamento che ha portato all'inaugurazione del tratto dal chilometro 16,000 al chilometro 19,854 il 16 marzo 2010 e del tratto dal chilometro 15,325 al chilometro 16,000 il 12 luglio 2010;
          al progetto «S.S. 268 del Vesuvio – Lavori di costruzione del 3o tronco compreso lo svincolo di Angri» è destinato uno stanziamento complessivo pari a 53.414.900, euro. Il contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale per il periodo di programmazione 2007-2013 corrisponde a 26.707.500 euro;
          la strada statale (268) del Vesuvio, dovrebbe divenire fattore di sviluppo economico e sociale per l'intera vasta area del Napoletano e del Salernitano. Ritenuta anche, aspetto «non secondario», una delle principali vie di fuga in caso di eruzione del Vesuvio. Nei fatti, l'arteria rimane una delle principali «strade della morte», ponendosi in cima alla lista delle strade più pericolose d'Italia. Le cifre sono purtroppo eloquenti, 27,2 chilometri di sofferenza: quelli che vanno da Cercola per terminare all'innesto della strada provinciale Ortalonga nei pressi di Angri. Domenica scorsa l'ultima strage, nella quale hanno perso la vita, cinque persone, l'intera famiglia Monda, padre madre e tre figli. Da più parti, e da diversi anni, si è ripetutamente segnalato il rischio derivante dalla totale inadeguatezza di questa strada. Da anni, e non se ne comprende la ragione, procedono a rilento i lavori relativi all'esecuzione del 1o e 2o lotto. Eppure l'opera è completamente finanziata, e quindi i lavori dovrebbero proseguire speditamente. Invece, dal 2007, sono stati realizzati solo poco più del 12 per cento degli stati di avanzamento dei lavori;
          il presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, nel maggio del 2012, aveva garantito che i lavori di ammodernamento e messa in sicurezza della strada, una delle opere strategiche più importanti di quel territorio, sarebbero stati realizzati nel rispetto dei tempi. Purtroppo i fatti sono andati diversamente  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere con urgenza per avviare a soluzione i gravi problemi descritti, in particolare, se non reputino opportuno disporre le misure idonee al completamento, con la massima urgenza, dei lavori di ammodernamento della strada statale 268, anche per evitare di perdere i finanziamenti stanziati; quali iniziative, inoltre, intendano adottare per risolvere i gravi problemi occupazionali e sociali connessi alle difficoltà economiche dell'impresa titolare dei lavori; se non ritengano, infine, di dover valutare la possibilità di chiudere al traffico, in attesa della messa in sicurezza, i tratti stradali a maggior rischio, individuando le adeguate soluzioni alternative. (4-00391)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GENOVESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nelle istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature (elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale) emanate dal dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno – in occasione delle consultazioni amministrative del 26 e 27 maggio 2013, a pagina 14 viene precisato chi, a norma dell'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n.  53, è autorizzato ad eseguire le autenticazioni delle firme di presentazione delle liste;
          in tale testo si legge: «sono abilitati ad autenticare le firme dei sottoscrittori in base alla legge 28 aprile 1998, n.  130 e alla legge 30 aprile 1999, n.  120 e successive modifiche: notai, giudici di pace, cancellieri e i collaboratori delle cancellerie dei tribunali, i segretari delle procedure della repubblica, i presidenti delle province, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti ed i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali ed i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia, nonché consigliere provinciale o comunale che abbiano comunicato la propria disponibilità, al presidente della provincia o al sindaco»;
          lo spirito della norma sottesa al dispositivo amministrativo è sicuramente quello di favorire un ampio e corretto processo democratico di partecipazione alle consultazioni elettorali;
          il comune di Salsomaggiore Terme (Parma), in questo periodo commissariato, si avvia al rinnovo del consiglio comunale ed alla elezione del sindaco nella prossima tornata elettorale amministrativa del 26 e 27 maggio;
          fra le liste presentate per questa competizione vi è la lista «Progetto per Salso» e la collegata candidatura a sindaco di Mario Spezia con autenticazione delle firme da parte del vice presidente ed assessore della provincia di Parma signor Pierluigi Ferrari;
          la sottocommissione elettorale circondariale di Fidenza ha deliberato, con verbale n.  41 del 27 aprile 2013, di non ammettere alla consultazione elettorale la detta lista «Progetto per Salso» ritenendo l'assessore della provincia di Parma, che aveva autenticato le candidature, soggetto non abilitato alle autenticazioni stesse;
          in altri comuni che si avviano al voto, esempio di comune di Viareggio (Lucca) come si desume dalle istruzioni esposte sul sito del comune stesso, l'interpretazione della norma sembra diametralmente opposta includendo nei soggetti abilitati anche il presidente della provincia e gli assessori provinciali;
          l'esclusione di cui sopra, inoltre, oltre ad apparire incongrua con le istruzioni emanate determina sicuramente un grave danno alla lista «Progetto per Salso» che è costretta ad addivenire ad una serie di ricorsi con grave pregiudizio nell'espletamento della campagna elettorale  –:
          se quanto in premessa corrisponda al vero e quale sia la corretta interpretazione generale di quanto indicato, anche nell'ottica sempre auspicabile dell'agevolazione della più ampia partecipazione democratica. (5-00103)


      D'ARIENZO, TURCO, BUSINAROLO, FANTINATI, ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento all'azione di controllo sulle società interessate alla realizzazione del completamento dell'anello circonvallatorio a Nord-Traforo delle Torricelle;
          in questi giorni la Procura della Repubblica di Venezia ha avviato un'indagine a carico di alcuni soggetti per sistematica evasione fiscale, false fatturazioni attraverso l'uso di società «cartiere», associazione per delinquere, così come si rileva dalla stampa locale e regionale;
          tra questi figura il presidente (dimessosi in seguito all'arresto) della costruzioni ingegnere E. Mantovani Spa, società interessata – insieme ad altri – alla realizzazione del completamento dell'anello circonvallatorio a Nord-Traforo delle Torricelle;
          l'ufficio territoriale del Governo-prefettura di Verona – in ottemperanza al nuovo codice antimafia ed al recente «protocollo di legalità» sottoscritto con il Comune di Verona – ha certamente avviato accurate verifiche verso le società che a vario titolo verrebbero coinvolte nella realizzazione del «Traforo», nonché verso soci, amministratori ed altre persone fisiche a tali società collegate;
          a tal proposito, con decreto interministeriale 14 marzo 2003 è stato costituito anche a Verona presso la prefettura un gruppo interforze/tavolo di valutazione sulle grandi opere pubbliche di carattere strategico individuate dalla cosiddetta legge obiettivo composto da un rappresentante ciascuno per polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, direzione investigativa antimafia, Provveditorato alle opere pubbliche e Ispettorato del lavoro. Il gruppo interforze veronese ha il compito di svolgere accertamenti sulle imprese aggiudicatarie di appalti, subappalti o affidatarie di servizi, ordini e forniture riguardanti le opere pubbliche individuate dalla legge 21 dicembre 2001, n.  443, al fine di verificare eventuali cointeressenze in queste imprese di soggetti legati direttamente o indirettamente alla criminalità organizzata, anche con l'esecuzione di accessi ai cantieri;
          la natura dei reati contestati al vertice aziendale investe la società così come disciplina l'articolo 5 del decreto legislativo n.  231 del 2001: «l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio... da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione»;
          il decreto legislativo n.  231 del 2001 prevede sanzioni anche interdittive a carico dell'ente (cfr. articolo 9), a meno che l'azienda non provi di aver avuto ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo (cfr. articolo 6), che non è noto se nel caso in esame sia presente;
          il «modello riparatore» di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n.  231 del 2001, che si basa – come è noto – su tre elementi:
              «a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
              b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
              c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca»;
          si ritiene che solo la piena adozione di tale «modello riparatore» potrebbe evitare le pesanti sanzioni interdittive previste dall'articolo 9 del decreto legislativo n.  231 del 2001, certamente incompatibili con la regolare partecipazione alla fase esecutiva di un'opera pubblica delle dimensioni del «traforo»;
          per quanto concerne la valutazione giuridica del decreto legislativo n.  163 del 2006 appare utile chiarire il contesto normativo nell'ambito del quale si sono svolte le operazioni concernenti l'assegnazione dell'opera;
          in particolare, l'impresa di Costruzioni Ing. E. Mantovani spa risulta ausiliaria (con un avvalimento del 69 per cento) del vincitore R.T. Technital spa e Verona Infrastrutture Consorzio Stabile. La stessa Costruzioni Ing. E. Mantovani spa è compresa, tuttavia, nell'elenco delle imprese che avevano chiesto e ottenuto di partecipare alla gara (bando 56/11 Verona) per la selezione delle due migliori offerte da porre a confronto negoziato con il promotore e avevano, successivamente, rinunciato a presentare l'offerta entro il 30 gennaio 2012;
          in pratica, il tutto è avvenuto come se la procedura prevista dal bando fosse suddivisibile in due momenti totalmente separati tra loro;
          questa visione dicotomica del procedimento non apparirebbe, tuttavia, conforme all'orientamento del Consiglio di Stato che, nella sentenza del 20 ottobre 2004 n.  6847 – Sezione V, afferma il carattere sostanzialmente unitario, anche se articolato in due fasi distinte, del procedimento volto all'affidamento della concessione;
          nell'utilizzo dell'avvalimento dell'impresa di Costruzioni ingegnere E. Mantovani spa da parte del R.T. vincitore composto da Technital spa e Verona Infrastrutture Consorzio Stabile si può pertanto ravvisare, secondo gli interroganti, la possibile violazione dell'articolo 37, comma 7, del decreto legislativo n.  163 del 2006 e dell'articolo 49, comma 8, sempre del decreto legislativo n.  163 del 2006  –:
          quali siano l'orientamento del Governo e le azioni ritenute idonee che il Ministro intenderà adottare circa la validità delle ipotesi in premessa e la necessità che l'ufficio territoriale del Governo-prefettura di Verona – nello spirito delle norme vigenti e del protocollo di legalità – o qualsiasi altro organo deputato provvedano a verificare puntualmente i requisiti citati in premessa. (5-00104)

Interrogazione a risposta scritta:


      GADDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 20 aprile 2013 presso la località «Folla» del comune di Malnate, provincia di Varese, si è svolto un concerto organizzato dalla «Comunità Militante dei dodici raggi» per festeggiare il ventennale della fondazione del gruppo «Varese Skinhead». Durante la serata si sono esibiti gruppi nazirock come i Civico 88, Garrota, Legittima Offesa e Linea Ostile;
          per arrivare al luogo della festa sono stati utilizzati cartelli stradali con simbologie naziste come l'88, il numero che simboleggia il saluto «Heil Hitler». All'evento hanno partecipato centinaia di militanti di estrema destra di tutta Italia e di tutta Europa;
          il 20 aprile è la data anniversario della nascita di Adolf Hitler, il dittatore nazista che ha distrutto l'Europa provocando lo scoppio del più sanguinoso conflitto bellico della storia e poi organizzato il genocidio di milioni di innocenti, ebrei, zingari, disabili, dissidenti politici;
          la serata organizzata dal gruppo «Varese Skinhead» si è svolta presso l'associazione culturale I nostar radis, che come rivelato dal suo stesso presidente Dino Macchi, avrebbe concesso la sala per festeggiare l'anniversario della nascita dell'associazione dei richiedenti;
          i promotori del concerto fanno parte di un'associazione dal chiaro stampo neonazista, la «Comunità Militante dei dodici raggi», che si trova a Sumirago, provincia di Varese;
          l'associazione, anche chiamata per brevità «Do.Ra» ha una pagina Facebook nella quale sono pubblicate foto e messaggi che celebrano il regime di Adolf Hitler, ed anche in vista del concerto del 20 aprile questo tipo di contenuti sono stati esplicitamente promossi al fine di pubblicizzare il concerto. Il presidente dell'associazione d Do.Ra. è Alessandro Limido, condannato dal tribunale di Bologna a 2 anni il pubblico ministero aveva chiesto 4, la pena è sospesa per condizionale) per associazione per delinquere finalizzata all'incitamento e all'odio razziale, per aggressioni avvenute a Bologna. In un'intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano Limido ha affermato quanto segue: «rifiutiamo il concetto di genocidio. Secondo noi non c’è stato lo sterminio sistematico. Gli ebrei sono stati perseguitati perché nemici della Germania e dell'Italia e lo ritengo giusto»;
          dopo la diffusione della notizia di condanna dell'evento sulla stampa locale, le sedi del Partito Democratico di Varese e dell'Associazione nazionale partigiani di Busto Arsizio sono state oggetto di vandalismo dal chiaro contenuto fascista;
          infatti, nella sera tra il 25 ed il 26 aprile, in concomitanza con la Festa della liberazione, ignoti hanno deturpato i muri delle sedi e i marciapiede antistanti con il disegno di croci celtiche e frasi inneggianti alla Repubblica sociale italiana;
          il razzismo è un reato, non solo un'opinione da condannare;
          il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire avversione nei confronti di individui o gruppi, è non solo un pregiudizio, una forma irrazionale ed intollerabile di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla legge italiana;
          la Costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3 recita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»;
          ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge italiana discriminatorio (articolo 42 del decreto legislativo 286 del 1998;
          la gravità di un simile fenomeno ha portato il nostro legislatore ad introdurre gravi sanzioni per chi commette reati legati al razzismo. Secondo la legge n.  654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, è punito con la reclusione sino a tre anni, mentre chiunque commette o incita a commettere atti di violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni;
          un reato ancora più grave è invece la promozione, l'organizzazione, la direzione di movimenti o gruppi che perseguano finalità antidemocratiche tipiche del partito fascista, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica o propaganda, un crimine punito con la reclusione da cinque a dodici anni, e con multe di diversa entità. Chi fa propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo con finalità fasciste ovvero chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche è punito con la reclusione da sei mesi a due anni  –:
          quale sia stato il percorso delle autorizzazioni che ha consentito lo svolgimento di un evento che non è compatibile con l'ordinamento costituzionale e normativo italiano;
          quale sia stato l'effettivo comportamento dei partecipanti all'evento di sabato 20 aprile alla «Folla di Malnate», e soprattutto se durante la serata siano stati commessi fatti rilevanti sotto il profilo dell'ordine pubblico e se da parte delle forze dell'ordine sia stato redatto qualche rapporto e, in caso affermativo, quali ne siano i contenuti principali;
          se esistano segnali fondati di infiltrazioni di tali associazioni e movimenti nazifascisti all'interno di alcune associazioni sportive o tifoserie della provincia di Varese;
          quale sia l'orientamento del Governo in merito a questi gravi fatti conclusisi con atti vandalici subiti dalle locali sedi di Partito Democratico ed ANPI e quali eventuali iniziative di competenza verranno intraprese per arginare la recrudescenza di tali fenomeni. (4-00400)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


      AMODDIO, ALBANELLA, ANTEZZA, BIONDELLI, GRECO, GULLO, PICCOLI NARDELLI, PICCIONE, COCCIA, BERLINGHIERI, ARGENTIN, ROSSOMANDO, SCALFAROTTO, GIACHETTI, ZAPPULLA e IACONO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 449, della legge n.  296 del 2006 stabilisce che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, debbono approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro;
          l'articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n.  488, prevede che le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l'acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2002, n.  101, e la stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa;
          l'articolo 1 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, prevede che i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n.  488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa, salvo che il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa, ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza;
          l'articolo 1, comma 3, della legge n.  135 del 2012 prevede che le amministrazioni pubbliche obbligate sulla base di specifica normativa ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, stipulate da Consip Spa o dalle centrali di committenza regionali costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n.  296, possono procedere, qualora la convenzione non sia ancora disponibile e in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria e sottoposti a condizione risolutiva nel caso di disponibilità della detta convenzione;
          l'articolo 5 della legge n.  381 del 1991 prevede che gli enti pubblici, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell'IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1, della citata legge;
          l'articolo 4, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, ammette l'acquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni realizzate ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 novembre 1991, n.  381;
          l'articolo 4, comma 8-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, prevede che l'obbligo di acquisizione dei servizi e dei beni mediante le procedure concorrenziali non si applica alle procedure di cui all'articolo 5 della legge 8 novembre 1991, n.  381;
          le predette convenzioni di cui all'articolo 5 della legge n.  381 del 1991 non vengono dunque assorbite dal nuovo sistema di approvvigionamento;
          dal quadro normativo sopra riportato vi è quindi la piena salvaguardia del comma 1 dell'articolo 5 della legge n.  381 del 1991, in coerenza tra l'altro con la determina n.  3 del 2012 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP);
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali – direzione generale per gli affari internazionali ufficio IV – con circolare prot. n.  AOOGGAI/3354 del 20 marzo 2013, ha fornito precisazioni con riferimento alle «ipotesi in cui, alla luce dell'attuale quadro normativo, sia possibile procedere ad affidamenti fuori convenzione Consip mediante procedure di gara»;
          nella circolare è riportato quanto segue:
      «Alla luce del complesso sistema normativo in merito agli acquisti delle pubbliche amministrazioni, fermo restando l'obbligo di avvalersi delle convenzioni messe a disposizione da Consip, appare tuttavia possibile procedere ad acquisti extra Consip, senza incorrere nelle sanzioni previste dall'articolo 1, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n.  95 del 2012, nelle seguenti ipotesi:
          1. in caso di indisponibilità di convenzioni Consip aventi ad oggetto il bene o servizio da acquistare;
          2. qualora, in considerazione delle peculiarità del progetto, ai fini dell'attuazione del medesimo sia inderogabilmente necessario procedere unitariamente all'acquisizione di un insieme di beni e servizi non facilmente scorporabili, e tale insieme di beni e servizi non formi oggetto di una convenzione Consip;
          3. laddove il contratto stipulato dall'amministrazione, a seguito dell'espletamento di procedura di gara, preveda un corrispettivo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo delle convenzioni messe a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza (articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del decreto-legge n.  95 del 2012 come modificato dall'articolo 1, comma 154, legge n.  228 del 2012).

      Ciò posto, si forniscono suggerimenti in merito agli adempimenti richiesti.
      L'attivazione di una procedura di acquisto fuori convenzione Consip, deve essere subordinata alla preliminare verifica da parte del Dirigente scolastico della presenza o meno del bene/servizio/insieme di beni e servizi richiesti nell'ambito delle convenzioni Consip ovvero ad una analisi di convenienza comparativa.
      Qualora all'esito della verifica/analisi risulti la indisponibilità della convenzione Consip ovvero emerga che il corrispettivo dell'affidamento sia inferiore a quello messo a disposizione dalla convenzione Consip, il Dirigente scolastico deve attestare di aver provveduto a detta verifica/analisi, dando adeguato conto delle risultanze della medesima (ad esempio stampa dell'esito della verifica e acquisizione a protocollo, dichiarazione circostanziata dell'esito dell'analisi di convenienza comparativa eccetera).
      Si allega alla presente il testo dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n.  95 del 2012 come modificato dalla legge n.  228 del 2012 e si rimanda al testo integrale dei citati provvedimenti normativi per ulteriori approfondimenti. La presente nota integra la nota prot. AOODGAI/2674 del 5 marzo 2013»;
          nella nota prot. AOODGAI/2674 del 5 marzo 2013 è espressamente riportato che i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa;
          da quanto sopra esposto, nonostante il quadro normativo sopra delineato salvaguardi le convenzioni previste dal comma 1 dell'articolo 5 della legge n.  381 del 1991, in coerenza tra l'altro con la determina n.  3 del 2012 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), risulta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha indicato tra le ipotesi nelle quali è possibile procedere ad acquisti extra Consip, senza incorrere nelle sanzioni previste, le convenzioni previste dall'articolo 5 della legge n.  381 del 1991;
          che le leggi n.  135 del 2012 e n.  228 del 2012 in riferimento al mercato elettronico (cosiddetto Me.PA) e alle convenzioni stipulate da Consip Spa e da altre centrali di committenza hanno aperto alcuni nodi interpretativi concernenti la possibilità per i dirigenti degli istituti scolastici statali di stipulare le convenzioni con le cooperative sociali di tipo B per l'affidamento del servizio di pulizia degli immobili degli istituti scolastici di ogni ordine e grado  –:
          sulla basi di quali motivazioni il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non abbia indicato le convenzioni previste dall'articolo 5 della legge n.  381 del 1991, tra le ipotesi nelle quali è possibile procedere ad acquisti extra Consip, senza incorrere nelle sanzioni previste. (4-00390)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


      La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
          il 24 aprile 2013 a Dhaka, in Bangladesh, nella zona denominata Savar a circa 30 chilometri dal centro della capitale, è crollato il Rana Plaza, un edificio di nove piani che ospitava cinque aziende di abbigliamento (New Weave Bottoms, New Weave Style, Phantom Apparels, Phantom Tac Bangladesh Ltd ed Ethertex Textiles), in cui lavoravano circa tremila persone, quasi tutte donne;
          a seguito di questo crollo, più di 700 persone sono morte e circa 2500 sono rimaste ferite (come riportato da AsiaNews.it del 6 maggio 2013) alcune delle quali molto gravemente. Probabilmente non si potranno conoscere mai i numeri esatti delle vittime;
          il giorno precedente alla tragedia, numerosi lavoratori erano scappati dall'edificio, perché si erano d'improvviso aperte delle crepe sui muri. La polizia aveva anche fatto evacuare i locali, ma i datori di lavoro avevano detto che il palazzo era in sicurezza e avevano minacciato di licenziamento coloro che dicevano di avere paura a rientrare, costringendoli quindi a rientrare;
          nove persone, tra cui tre proprietari delle fabbriche e due ingegneri che avevano seguito i lavori per l'ampliamento dello stabile, sono state in seguito arrestate;
          nell'anello che circonda Dhaka, per un raggio di oltre 50 chilometri, negli ultimi decenni si sono moltiplicate le fabbriche tessili, le stime, come riporta Human rights watch si aggirano intorno a 100.000, e con esse è cresciuta esponenzialmente la popolazione immigrata proveniente dalle zone rurali;
          le stime sull'occupazione del settore tessile in Bangladesh si aggirano intorno ai 3 milioni di addetti, in massima parte donne;
          l'industria dell'abbigliamento in Bangladesh ha un giro d'affari di 20 miliardi di dollari all'anno, costituendo circa l'80 per cento delle esportazioni del Paese;
          molte di queste fabbriche, così come anche quelle del Rana Plaza, rappresentano l'ultimo anello di una catena di subappalto che trova l'origine degli ordinativi e la destinazione finale dei prodotti in grandi marchi della moda, attraverso rapporti di natura contrattuale con fornitori e subfornitori;
          il 60 per cento delle merci prodotte nelle fabbriche del Rana Plaza era destinato all'Europa;
          negli ultimi anni, contestualmente a questa enorme espansione della produzione tessile in Bangladesh, si sono verificate gravi tragedie, tutte dovute a comportamenti gravemente omissivi da parte delle imprese e delle autorità preposte ai controlli delle normative nazionali e internazionali in materia di salute e sicurezza del lavoro. Alcune tra queste, tutte nella stessa area: 75 lavoratrici morte a Savar nel crollo di una fabbrica ad aprile 2005; 18 operaie uccise in un altro crollo a febbraio 2006; 25 a giugno 2010; 112 bruciate in un incendio nella fabbrica Tazreen Fashions Limited le cui uscite erano bloccate a novembre 2012. Ad oggi nessun imprenditore è stato condannato o perseguito ai sensi di legge;
          il Bangladesh è noto come uno dei Paesi al mondo con le peggiori forme di sfruttamento anche minorile, i salari più bassi (tra 30 e 60 euro al mese), scarsissimo rispetto delle norme di tutela del lavoro, bassa percentuale di sindacalizzazione e inosservanza degli standard minimi; sono solo 18, tra ispettori e loro assistenti, gli addetti a verificare l'applicazione della legge sul lavoro, il Bangladesh Labour Act del 2006;
          diverse testate di stampa hanno riportato che marchi italiani come Benetton (fonte Huffington Post del 2 maggio 2013), Itd Srl, o la Pellegrini Aec Srl e la De Blasio Spa erano tra i clienti delle fabbriche crollate. Un'altra ditta, la Essenza spa, che produce il marchio Yes-Zee, ha confermato di essersi rifornita al Rana Plaza;
          il gruppo Benetton ha ammesso che uno dei suoi fornitori ha occasionalmente dato in subfornitura alcuni ordini a società che lavoravano nel Rana Plaza (fonti ArticoloTre 30 aprile 2013 e il Manifesto 4 maggio 2013); i resti trovati tra le macerie del Rana Plaza dimostrano che Benetton ha continuato a produrre vestiti nella fabbrica di Dhaka fino al momento del disastro. Dei nuovi documenti ottenuti dall'inglese IBTimes mostrano senza possibilità di equivoco che il 23 marzo 2013, a solo un mese dalla tragedia, nel Rana Plaza si producevano vestiti per Benetton (fonte http://www.ibtimes.co.uk/articles/464338/20130503/benetton-rana-plaza-bangladeshdocuments.htm);
          attualmente solo due delle aziende straniere «la canadese Loblaw e la britannica Primark hanno ammesso di essere acquirenti abituali e hanno anche annunciato risarcimenti alle famiglie delle vittime» (fonte Il Fatto Quotidiano 2 maggio 2013);
          una missione di alto livello dell'Organizzazione internazionale del lavoro si è recata in Bangladesh dove ha convenuto con Governo e parti sociali un piano nazionale di azione articolato con iniziative a breve e medio termine, quali la riforma della legge sul lavoro da proporre al Parlamento entro giugno 2013, con miglioramenti sull'esercizio dei diritti fondamentali di associazione sindacale, contrattazione e tutela della salute e della sicurezza; verifica delle condizioni di sicurezza di tutti i siti produttivi di abbigliamento destinato all’export; programmi di formazione e reimpiego per i lavoratori colpiti dalle tragedie come alla Tazreen o al Rana Plaza; l'assunzione di 200 nuovi ispettori; l'attuazione del Piano nazionale tripartito di azione sulla sicurezza e la prevenzione degli incendi nelle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh e dei meccanismi di verifica e monitoraggio sul piano di azione;
          l'Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia tripartita delle Nazioni Unite, competente in materia di lavoro, ha espressamente impegnato il Governo del Bangladesh a chiedere che le imprese coinvolte nei disastri degli ultimi sei mesi rispondano delle loro omissioni e negligenze ed ha richiamato i marchi e i committenti internazionali ad assumersi la propria responsabilità per il miglioramento delle condizioni di lavoro, della salute e della sicurezza;
          l'organizzazione International labour rights Forum e la campagna «Abiti puliti» in Italia hanno sollecitato tutte le imprese operanti nel paese asiatico a sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, l'accordo che le impegna a garantire standard minimi di salute e sicurezza degli edifici e degli impianti industriali. Le imprese italiane non risultano tra le firmatarie di tale documento;
          sarebbe opportuno adottare iniziative al fine di acquisire da parte di tutte le aziende italiane clienti delle fabbriche del Rana Plaza un documentato chiarimento sui loro rapporti produttivi e commerciali e chiedere loro l'assunzione di responsabilità verso i familiari delle vittime ed i superstiti, che includa dei risarcimenti in forma pecuniaria  –:
          se non ritengano di dover assumere iniziative nelle competenti sedi internazionali per assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori nei Paesi di nuova industrializzazione, in particolare quelli in cui operano le imprese italiane, facendo sì che le stesse aziende italiane subappaltanti lavoro nelle fabbriche di abbigliamento, in Bangladesh come in altre realtà, siano tenute a verificare il rispetto degli standard internazionali del lavoro, a partire dalle convenzioni fondamentali.
(2-00037) «Bellanova».

Interrogazioni a risposta scritta:


      PINNA, CARINELLI, COLONNESE, BRUGNEROTTO, MANNINO, MANTERO, VALLASCAS, SEGONI, GAGNARLI, GALLINELLA, VIGNAROLI, SPESSOTTO, RIZZETTO, LABRIOLA, CIPRINI, PRODANI, DA VILLA, CORDA, DORINA BIANCHI, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il programma Master and back, istituito nel 2006, è stato promosso dalla regione Sardegna con l'obiettivo di favorire la formazione di alto livello, presso organismi di riconosciuto prestigio nazionale ed internazionale, dei giovani laureati sardi e garantire dopo l'acquisizione del titolo post lauream l'avvio di un programma di rientro all'interno delle attività produttive e di ricerca sarde, rappresentando un fattore determinante per i risultati economici e la competitività del sistema regionale;
          l'importanza di tale progetto è rafforzata dall'analisi della grave situazione italiana: i recenti dati Istat, pubblicati l'11 aprile 2013, rivelano che nel quinquennio 2007-2012 il tasso di disoccupazione è passato dal 6,1 per cento del 2007 al 10,7 per cento del 2012 e i disoccupati e le forze lavoro potenziali considerati insieme fanno registrare una crescita nei cinque anni del 39,2 per cento, pari a più di un 1 milione 641 mila unità;
          inoltre, i dati resi noti dall'Aire (Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero) e anticipati nel programma radiofonico «Giovani Talenti» su Radio 24 denunciano un'Italia sempre più povera in termini di risorse umane. Nel 2012 l'emigrazione è passata dai 60.635 cittadini del 2011 ai 78.941 del 2012, confermando la prevalenza di giovani: gli emigrati della fascia di età 20-40 anni sono aumentati in un anno del 28,3 per cento. La cosiddetta «fuga dei cervelli» ha costituito nel 2012 il 44,8 per cento del flusso totale di espatrio;
          i dati nazionali trovano triste conferma in quelli regionali: si tratta di un'emigrazione giovane e specializzata che cerca lavoro qualificato. I giovani migliori cercano lontano da casa un impegno e una vita gratificanti e nel frattempo la Sardegna continua ad impoverirsi e a regredire. La finalità del Master and back dovrebbe essere proprio quella di contrastare questa grave situazione: dopo aver fatto significative esperienze in Italia e all'estero i fruitori del programma dovrebbero tornare in Sardegna mettendo le competenze e le professionalità acquisite a disposizione del territorio con l'importante obiettivo di favorirne lo sviluppo economico, sociale e culturale;
          il Master and back si sviluppa nell'ambito del programma operativo fondo sociale europeo 2007-2013 della regione autonoma della Sardegna e prevede l'erogazione di contributi individuali a fondo perduto per borse di studio, con il cofinanziamento del Fondo sociale europeo (FSE), per la partecipazione a corsi di alta formazione presso organismi di riconosciuta qualità e reputazione a livello internazionale che operano al di fuori del territorio regionale;
          dunque, una parte consistente del finanziamento del programma deriva dal Fondo sociale europeo, importante strumento dell'Unione europea volto a sviluppare e finanziare una serie di progetti che mirano allo sviluppo e alla promozione della coesione tra i diversi Stati membri, al fine di sostenere l'occupazione, aiutare i cittadini a trovare posti di lavoro migliori e assicurare opportunità lavorative più eque per tutti, investendo nel capitale umano dell'Europa;
          come sottolineato nei passaggi precedenti, nel caso specifico l'obiettivo dell'investimento delle risorse europee è la formazione degli individui in vista di un inserimento professionale di ritorno per la propria terra di origine. Tuttavia, l'operato dell'Agenzia regionale per il lavoro non agevola il raggiungimento di tale fine;
          ai beneficiari del Master and back è stata applicata la tassazione equiparando i loro redditi, dal punto di vista fiscale, a redditi da lavoro dipendente, articolo 50 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) e articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973. Tale ritenuta viene calcolata sull'intero contributo anziché limitatamente alla quota a carico dello Stato o della regione. Inoltre, la tassazione è resa ulteriormente iniqua poiché tale compenso non viene erogato mensilmente o annualmente, ma in rate che talvolta possono comprendere il 90 per cento della borsa in un'unica soluzione, aumentando notevolmente l'imponibile;
          da tempo esiste un intenso dibattito sulla tassabilità o meno delle borse di studio finanziate in parte dal Fondo sociale europeo (FSE) ed in particolare della quota parte oggetto di contributo europeo;
          la questione è stata affrontata per la prima volta dalla direzione regionale entrate della regione Puglia che, con nota protocollo n.  917 del 9 luglio 2010 – in risposta all'interpello 917-216/2010 dell'11 giugno 2010 (proposto dalla regione Puglia in merito alla questione delle borse di studio «Ritorno al futuro», che presentavano problematicità analoghe a quelle qui esposte) – ha stabilito la completa esenzione da qualsiasi forma di tassazione della quota di borsa studio rappresentativa dei fondi comunitari e quindi da questi ultimi direttamente proveniente. Il ragionamento è stato fondato sulla sentenza della Corte di giustizia europea n.  427/05 del 25 ottobre 2007, peraltro recepita dalla Corte di Cassazione con sentenza n.  2082 del 30 gennaio 2008;
          la Corte di giustizia con la sopraccitata sentenza ha statuito un importante principio: uno Stato dell'Unione può tassare i contributi europei soltanto se gli stessi abbiano un rapporto diretto ed intrinseco con i redditi dei contribuenti, in quanto elementi attivi del conseguimento dei redditi stessi. Dunque, se ne desume che la quota comunitaria del contributo non può essere tassata, in quanto tale contributo è privo dello specifico collegamento alla produzione e realizzazione di un reddito di lavoro dipendente, posto che è stato erogato con il precipuo ed unico scopo di consentire un'alta formazione ai giovani neolaureati;
          sempre nella nota del 9 luglio 2010, l'Agenzia delle entrate della regione Puglia ha affermato che l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai soggetti finitori del programma corrisponderebbe ad un prelievo specificatamente connesso al contributo stesso e come tale risulterebbe in contrasto con la previsione del principio dell'integrità dei pagamenti di cui all'articolo 80 del Regolamento (CE) n.  1083/2006 dell'11 luglio 2006, rubricato integrità dei pagamenti ai beneficiari, secondo cui «Gli Stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità»;
          nel caso specifico del programma Master and back, il 22 giugno 2011 l'Agenzia delle entrate, in risposta all'interpello n.  954-569/2010 promosso dalla regione autonoma Sardegna, ha affermato che la regione non deve applicare la ritenuta prescritta dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 sui contributi di cofinanziamento assoggettati alle norme del regolamento (CE) n.  1083/2006. Inoltre, considerato che l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai borsisti corrisponderebbe ad un prelievo specificamente connesso al contributo stesso – contrastando ciò con il principio di integrità dei pagamenti di cui all'articolo 80 del regolamento (CE) n.  1083/2006 – lo stesso non va incluso nella base imponibile per il conseguente assoggettamento ad imposizione progressiva in base alle disposizioni del TUIR;
          l'Agenzia delle entrate ha argomentato il suo parere sostenendo come segue: la nozione di beneficiario è data dall'articolo 2, comma 4, del regolamento (CE) n.  1083/2006 «Beneficiario: un operatore, organismo o impresa, pubblico o privato, responsabile dell'avvio e dell'attuazione delle operazioni», la disposizione sembra escludere che possa essere considerato beneficiario una persona fisica. Ciò trova giustificazione in relazione alla necessità di monitoraggio sull'utilizzo dei fondi comunitari da parte della Commissione europea, la quale in tal modo ha limitato il numero dei soggetti da sottoporre al controllo. Tuttavia, secondo l'Agenzia delle entrate non si può pervenire in una medesima conclusione nel senso di escludere le persone fisiche quali soggetti destinatari effettivi e finali del contributo di cui all'articolo 80 del regolamento (CE) n.  1083/2006;
          a conferma di quanto sostenuto l'Agenzia delle entrate fa riferimento al parere reso dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, secondo cui l'articolo 80 del regolamento (CE) n.  1083/2006 intende escludere «il dirottamento di qualsiasi parte dei contributi erogati e stanziati verso destinazioni diverse rispetto al sovvenzionamento in senso proprio del progetto finanziato»; inoltre il Ministro afferma che «l'azione sovvenzionata è direttamente e propriamente la fruizione di attività formativa, cosicchè l'integrità del finanziamento deve essere misurata con riferimento ai trasferimenti strettamente funzionali a tale fruizione (come potrebbero essere le borse di studio o altri strumenti quali i voucher formativi)»;
          tuttavia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, successivamente interpellato dalla regione Sardegna in merito al trattamento fiscale da riservare alle borse di studio finanziate nell'ambito del POR FSE 2007-2013, con nota n.  4397 del 17 ottobre 2011 ha modificato la propria posizione. Nella nota si precisa che soggetto beneficiario dei finanziamenti deve ritenersi la regione e non i neo-laureati destinatari delle singole somme e, pertanto, l'amministrazione regionale in qualità di sostituto d'imposta deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto IRPEF prevista dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 sull'intero importo della borsa di studio, compresa la parte finanziata dal Fondo speciale europeo, da considerare reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera c), del TUIR;
          l'Agenzia delle entrate, con protocollo n.  2011/156459 – in risposta alla nota protocollo 48326 del 25 ottobre 2011 con cui la regione autonoma della Sardegna ha chiesto la «formale risoluzione» della questione del trattamento fiscale da applicare alle borse di studio di ricerca/studio finanziate nell'ambito del POR FSE Sardegna – ha riformulato la propria posizione circa la portata dell'articolo 80 del regolamento (CE) n.  1082/2006, conformandosi al nuovo parere reso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          nonostante ciò, nel concreto l'ente regionale risulta agire in qualità di «autorità di pagamento», vale a dire di «mero intermediario» nell'erogazione di detti fondi comunitari. Si individua pertanto un rapporto trilaterale fra Stato membro, regione (organismo intermedio) e i singoli fruitori (reali beneficiari del contributo emesso). La disputa appare meramente incentrata sull'interpretazione letterale del termine «beneficiario», a discapito dell'interpretazione teleologica;
          infatti, la soluzione intrapresa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e conseguentemente dall'Agenzia delle entrate risulta agli interroganti essere molto discutibile e in conflitto con la ratio della normativa comunitaria e lo spirito dei finanziamenti del Fondo speciale europeo. La quota comunitaria del contributo oggetto di disamina in quanto non diretto alla specifica produzione di un reddito, ma finalizzato all'opportunità di frequentare un percorso d'alta formazione post lauream, non dovrebbe essere tassato;
          nonostante la crisi in cui versa il nostro Paese e le difficoltà che gravano sulle spalle dei giovani italiani, di cui si è fatta ampia descrizione, piuttosto che valorizzare importanti esperienze come quelle offerte dal Master and back si pongono ulteriori ostacoli e disagi nel conseguimento di una formazione eccellente che rappresenta una grande risorsa per l'Italia e per lo sviluppo economico, culturale e sociale del territorio sardo  –:
          se, alla luce di quanto detto e sulla base della normativa comunitaria, ritengano opportuno fornire un'interpretazione del combinato degli articoli 2 e 80 del regolamento (CE) n.  1083/2006 che permetta ai giovani laureati di fruire integralmente del contributo finanziato con il Fondo sociale europeo nell'ambito del programma Master and back. (4-00389)


      GAROFALO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 10 aprile 2013 è stato registrato dalla Corte dei conti il decreto interministeriale pubblicato il 10 gennaio, che avvia la sperimentazione della nuova carta sociale che coinvolgerà le dodici città più grandi del Paese: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona, con la durata di un anno avente un piano finanziario a disposizione pari a 50 milioni di euro;
          il beneficio calcolato sulla base della numerosità del nucleo familiare, sarà notevolmente superiore a quello previsto dalla carta sociale ordinaria, in considerazione che la capienza finanziaria di essa potrà arrivare ad un importo mensile di circa 400 euro per le famiglie con 5 o più componenti;
          il suddetto decreto ministeriale in particolare, definisce attraverso l'articolo 4, una serie di caratteristiche e di requisiti necessari per accedere ai benefici previsti dalla carta acquisti, a favore dei nuclei familiari svantaggiati che affrontano particolari condizioni economiche e sociali disagiate;
          il medesimo provvedimento legislativo inoltre indica attraverso le lettere a) e b) dell'articolo 1 che i comuni in cui è attuata la sperimentazione, di cui all'articolo 60, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n.  35 con popolazione residente, secondo le rilevazioni Istat, siano superiori a 250 mila abitanti;
          l'interrogante rileva come le caratteristiche della carta acquisti, istituita con l'articolo 81, comma 32 decreto-legge n.  112 del 2008, che aveva disposto l'istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti, ovvero ai richiedenti e residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, all'interno della fascia di bisogno assoluto, coinvolgano nel complesso un insieme di peculiarità che interessano, in particolare nel Mezzogiorno, ampie ed importanti aree territoriali e comunità locali ad alto indice di povertà, di degrado e di malessere sociale;
          l'interrogante evidenzia infatti come in particolare in Sicilia, nonostante siano state incluse le città di Catania e di Palermo all'interno dei comuni superiori a 250 mila abitanti indicati dal decreto ministeriale del 10 gennaio 2013 come precedentemente esposto, siano state tuttavia escluse dal beneficio previsto dalla carta acquisti sperimentale altre realtà locali all'interno della medesima regione i cui requisiti e connotati, nel complesso rientrano nell'ambito di quelle finalità e prerogative necessarie per beneficiare delle risorse finanziarie di cui la medesima carta acquisti dispone;
          città capoluogo come Messina, la cui densità abitativa è pressoché limitrofa ai 250 mila abitanti come indicato dall'articolo 1 del decreto ministeriale suesposto, rappresentando subito dopo Catania e Palermo il comune più popoloso, la cui soglia di povertà è particolarmente accresciuta negli ultimi tempi, non rientra infatti all'interno dei comuni previsti dal decreto ministeriale interessato;
          altre importanti comunità cittadine del Mezzogiorno, la cui densità della popolazione non si avvicina alla soglia necessaria dei 250 mila abitanti, ma che ciononostante necessitano adeguati strumenti finanziari di sostegno sociali ed economici a favore delle famiglie meno abbienti, il cui livello di povertà è divenuto di dimensioni preoccupanti, non sono infatti comprese all'interno dei dodici comuni beneficiari della carta sociale;
          l'interrogante in definitiva rileva come in considerazione della gravissima crisi economica in corso da anni, che impone la necessità di interventi di carattere d'urgenza, occorra prevedere una serie di modifiche al decreto ministeriale del 10 gennaio 2013, volte a correggere i parametri evidentemente restrittivi che identificano i requisiti necessari per beneficiare della carta sociale e prevedere invece maggiore flessibilità nella disciplina sull'individuazione dei titolari del beneficio e sulle modalità di fruizione dello stesso, anche in termini di densità di popolazione residente  –:
          quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non convengano che, in considerazione della grave crisi economica che persiste nel Paese ed in particolare nel Mezzogiorno, come confermano negativamente i maggiori organismi di rilevazione statistica attraverso i principali indicatori economici, sia urgente e necessario intervenire attraverso una serie di modifiche al decreto ministeriale del 10 gennaio 2013 indicato in premessa, al fine di impostare in maniera più flessibile ed estensiva i criteri ed i parametri necessari per l'ottenimento della carta sociale e considerare in via prioritaria sia la soglia di povertà in continuo aumento, sia la densità degli abitanti la cui rilevazione, superiore a 250 mila, come è stabilita attualmente, non considera adeguatamente l'ampia fascia di cittadini meno abbienti che sono esclusi dai benefici previsti dalla carta sociale.
(4-00394)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      COVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Ministero della salute 4 maggio 2006, preso atto del Regolamento (CE) n.  21/2004 del Consiglio del 17 dicembre 2003 che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina e che modifica il regolamento (CE) n.  1782/2003 e le direttive 92/102/CEE e 64/432/CEE, prevede la modifica dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n.  317 del 1996 utilizzato per la spedizione dei bovini vivi dagli allevamenti verso altri allevamenti o verso il macello;
          il Mod. 4 è un documento che deve essere, obbligatoriamente, compilato in caso di trasporto di animali della specie suina, bovina, ovina, caprina, equina, bufalina ed altri animali da cortile, quali volatili e conigli;
          nella sezione B «dichiarazione per il macello» del Mod. 4 vi è l'obbligo di dichiarare che:
              a) gli animali non siano stati trattati o alimentati con sostanze di cui è vietato l'impiego;
              b) tale trattamento non si sia verificato nei precedenti 90 giorni o fin dalla nascita;
              c) qualora siano stati trattati con sostanze di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 4 agosto 1999 n.  336, e successive modificazioni deve essere scritto;
              d) siano stati osservati i previsti tempi di sospensione per i trattamenti indicati dagli articoli 4 e 5 decreto legislativo n.  336 del 1999;
          la compilazione in tutte le sue parti della sezione B del Mod. 4 così come modificato da ultimo dal decreto del Ministero della salute del 2006 ha generato e genera negli allevatori una notevole confusione visto che le voci sembrano tra loro essere discordanti in particolar modo non si comprende perché se uno deve obbligatoriamente dichiarare di aver rispettato i tempi di sospensione dei farmaci debba poi barrare la casella relativa alla dichiarazione per cui gli animali non sono stati trattati con farmaci nei 90 giorni antecedenti o fin dalla nascita;
          l'errata compilazione del Mod. 4 prevede sanzioni amministrative e penali  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per una modifica della lettera B dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n.  317 del 1996 così come modificato dal decreto ministeriale 4 maggio 2006;
          quante siano dal 2006 ad oggi le sanzioni riscontrate relative all'errata compilazione della parte B dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n.  317 del 1996 così come modificato dal decreto ministeriale 4 maggio 2006.
(4-00388)


      SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  66 del 2003 attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro prevede agli articoli 7 (riposo giornaliero) e 9 (riposo settimanale) uno stacco tra un turno di lavoro e l'altro pari a 11 ore, che diventano 35 in occasione del riposo settimanale;
          il decreto-legge n.  112 del 2008, all'articolo 41, comma 7, permetteva di derogare alla norma di cui sopra tramite accordo sindacale decentrato;
          tale deroga è importante nel caso delle Ipab, poiché una maggiore elasticità nella gestione degli orari, purché concordata con i rappresentanti sindacali, permette di articolare gli orari di lavoro e i riposi in modo più consono sia alle esigenze dei lavoratori sia a quelle del servizio. Infatti, con tale deroga sono permessi riposi giornalieri inferiori a 11 ore che permettono riposi supplementari per recupero ore, così da concentrare più giorni di distacco dal lavoro. Inoltre, in caso di improvvisa assenza di un lavoratore, si può contare su una più vasta platea di colleghi che possono sostituire il lavoratore assente modificando il proprio orario di servizio. La possibilità del cambio turno e delle sostituzioni è fondamentale per le Ipab, poiché ben si adatta alle esigenze del personale che principalmente femminile.
          il decreto-legge n.  112 del 2008 è stato convertito nella legge n.  133 del 2008, ma alla deroga prevista dall'articolo 41, comma 7, è stata aggiunta la postilla «per il settore privato», escludendo quindi dalla possibilità di deroga le Ipab e le Asp  –:
          come intenda agire affinché le Ipab e le Asp possano godere dello stesso trattamento che la legge riserva ai soggetti privati in tema di derogabilità degli articoli 7 e 9 del decreto legislativo n.  66 del 2003.
(4-00395)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MARANTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'industria del motociclo italiana è in una condizione di difficoltà causata dalla progressiva e forte contrazione del mercato dovuta alla crisi economica degli ultimi anni, ma con un mercato italiano che è stato colpito maggiormente rispetto ad altri Paesi dell'Europa;
          la produzione italiana è scesa dalle 692.500 unità del 2007 alle 414.500 del 2011; nello stesso periodo le immatricolazioni nel nostro Paese sono passate da 436.000 a 206.000 (dati ANCMA). Nel biennio 2010-2011 le immatricolazioni in Europa hanno registrato un calo di circa il 12 per cento, mentre in Italia la diminuzione è di oltre il 25 per cento;
          in questo contesto si colloca il caso dell’Husqvarna, azienda di 240 addetti storica produttrice di moto fuori strada. L'azienda è stata rilevata nel 2007 dalla tedesca BMW (dal gruppo Castiglioni). Sotto la proprietà tedesca, Husqvarna ha attraversato anni di negativo andamento economico, accusando perdite per decine di milioni di euro e producendo volumi che mediamente sono oscillati attorno alle 10.000 unità annue;
          il 6 marzo del 2013 Husqvarna passa dal gruppo BMW all'austriaca Pierer Industrie, che è il socio di maggioranza del gruppo KTM, detenendone il 53 per cento del pacchetto azionario. Nel 2012 KTM è stato il primo produttore europeo di motocicli (oltre 100.000 unità prodotte);
          il 18 aprile Pierer Industrie ha unilateralmente avviato una procedura di cassa di integrazione straordinaria per cessazione parziale di attività per lo stabilimento Husqvarna di Cassinetta di Biandronno che riguarda 212 lavoratori su 240. L'aggettivo «parziale» è fuorviante: di fatto si tratta di una chiusura pressoché totale; ne sarebbero infatti esclusi solo gli addetti alle vendite (circa 30), mentre tutta la struttura produttiva verrebbe chiusa. Ciò significa la fine della realtà industriale Husqvarna;
          ad appena 40 giorni dal suo arrivo, la nuova proprietà ha quindi, di fatto, deciso la pressoché immediata chiusura dello stabilimento. Ciò testimonia la volontà di non proseguire l'attività in Italia è evidenzia il carattere non industriale dell'operazione: senza effettuare alcun investimento, Pierer Industrie rileva l'attività per acquisire il prestigioso marchio Husqvarna e la rete commerciale dell'impresa, che saranno integrati sinergicamente nelle strutture del gruppo KTM. Monetizza inoltre gli asset lasciati da BMW (magazzino e scorte da alienare) e acquisisce l'area dello stabilimento e gli impianti;
          acclarato appare all'interrogante il carattere non industriale dell'operazione e la sua natura di sottrazione di risorse industriali e professionali al territorio  –:
          quali strumenti di politica industriale si ritenga di dover adottare per la salvaguardia di un'attività d'impresa manifatturiera su un territorio a forte vocazione industriale e quindi per la tutela di produzioni ad alto contenuto tecnologico sul territorio nazionale che caratterizzano le migliori esperienze del made in Italy;
          quali iniziative intendano intraprendere, anche attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e delle amministrazioni locali interessate, per tutelare il patrimonio professionale presente in azienda che altrimenti, nel disegno di Pierer Industrie, verrebbe disperso;
          quali azioni si intendano adottare per l'elaborazione di un piano di tutela sociale che possa ridurre al massimo l'impatto dell'operazione effettuata da Pierer Industrie, sia con l'uso degli ammortizzatori sociali, sia chiedendo alla proprietà un adeguato contributo economico per l'aiuto dei lavoratori interessati. (5-00102)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Bellanova e altri n.  3-00039, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

      L'interrogazione a risposta scritta Rocchi n.  4-00373, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bini.