XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 57 di lunedì 22 luglio 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

      La seduta comincia alle 9.

      ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 luglio 2013.
      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Michele Bordo, Bray, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Legnini, Letta, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Valeria Valente e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

      Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

      PRESIDENTE. Colleghi, dovremmo passare ora al primo punto all'ordine del giorno, ma non vedo, ahimè, il Governo presente in Aula e quindi sono costretto a sospendere la seduta, che riprenderà non appena il rappresentante del Governo sarà arrivato. Grazie.

      La seduta, sospesa alle 9,05, è ripresa alle 9,07.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (A.C. 1248-A) (ore 9,07).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n.  1248-A: Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.
      Ricordo che nella seduta del 2 luglio 2013 è stata respinta la questione pregiudiziale Nuti ed altri n.  1.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1248-A)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
      Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto Pag. 2l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
      Avverto che le Commissioni affari costituzionali e bilancio si intendono autorizzate a riferire oralmente.
      Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione bilancio e presidente della Commissione medesima, onorevole Francesco Boccia.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Signor Presidente, il decreto-legge in discussione sulle disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia ha chiamato le due Commissioni affari costituzionali e bilancio ad un lavoro complesso nei giorni che abbiamo alle spalle e che ha seguito il lavoro che tutte le altre Commissioni coinvolte in questo decreto avevano già fatto. Non ribadisco qui in Aula quali sono i legami tra una serie di comparti, di settori e di ambiti economici che riguardano il decreto, ma stiamo parlando di un provvedimento complesso che ha tirato dentro otto, nove amministrazioni diverse e otto, nove Commissioni collegate alle stesse amministrazioni.
      Così come convenuto in sede di Conferenza dei presidenti delle Commissioni parlamentari, con il presidente Sisto avevamo concordato, per rendere i lavori della Camera più coerenti e in qualche modo più rispettosi delle competenze delle singole Commissioni parlamentari coinvolte nel decreto, di ritenere i pareri delle singole Commissioni in qualche modo vincolanti per il lavoro finale fatto dalla Commissione bilancio e dalla Commissione affari costituzionali.
      Così in sede di confronto, soprattutto in sede di valutazione degli emendamenti delle Commissioni, le due Commissioni coinvolte, affari costituzionali e bilancio, hanno fatto in modo che i pareri delle Commissioni fossero in qualche modo la direttrice su cui basare il confronto politico e il confronto anche legislativo.
      Prima di esporre i contenuti del provvedimento al nostro esame, voglio ricordare come esso abbia come base le raccomandazioni rivolte all'Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013, nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività; mi riferisco al Semestre europeo. Il decreto-legge, che nel testo originario consta di 86 articoli, il cui numero è stato consistentemente incrementato a seguito dell'esame a cui facevo riferimento in precedenza, mira, come è espresso nel titolo, al rilancio dell'economia in un contesto, in un quadro congiunturale molto complesso.
      Rispetto a quanto ipotizzato all'inizio dell'anno non sono state nascoste, nemmeno nel confronto parlamentare, le crescenti difficoltà per il «sistema Paese» nel suo complesso. La caduta anche della gran parte delle componenti della domanda aggregata ha ormai inciso sulle capacità di investimento e il mix di questi tre titoli del decreto – che a nostro avviso, alla fine, nonostante la complessità e l'enorme numero di articoli, si sono perfettamente integrati – ha avuto come obiettivo quello di provare a dare un impulso al rilancio delle politiche per la crescita, attraverso strumenti mirati, nel cui merito entrerò tra pochissimo.
      Parallelamente a questi strumenti di rilancio delle misure per la crescita, il provvedimento ha introdotto meccanismi di semplificazione amministrativa, fiscale, di innovazione tecnologica che sono stati in qualche modo correlati tra loro, e il terzo titolo sulla giustizia fa riferimento ad un enorme numero di norme, superano circa il 30 per cento di questo provvedimento, che ha come obiettivo quello di snellire una serie di procedure che incidono sul rapporto tra imprese e burocrazia.
      Alcuni elementi prima di entrare nel merito delle modifiche fatte nelle Commissioni: si tratta di elementi connessi al quadro economico che, a nostro avviso, sono stati il corollario, il perimetro dentro cui è stato proposto questo decreto-legge e dentro cui questo decreto-legge è stato modificato.
      Per quanto concerne gli elementi generali sui quali abbiamo il dovere di riflettere, Pag. 3non solo nel dibattito che mi auguro possa avvenire in maniera approfondita in Aula così come avvenuto in Commissione, ma anche dopo l'approvazione di questo decreto-legge, noi non possiamo ignorare alcuni elementi che sono fondamentali per inserire qualsiasi provvedimento di natura economica.
      Intanto la discesa dell'inflazione determinata dalla recessione, di fatto, potrebbe interrompere la discesa dei salari reali e comportare una stabilizzazione. Alcune delle misure che abbiamo inserito vanno in una direzione che dovrebbe consentirci di incidere sui meccanismi che consentono alle imprese di provare a migliorare i margini di contribuzione che poi incidono inevitabilmente sui salari. Certo, non ci sono in questo provvedimento misure che impattano direttamente sul cuneo fiscale che sarebbero state auspicabili perché il provvedimento a cui si fa riferimento, nel caso del cuneo fiscale, è evidentemente legato ad una misura che, al di fuori da questo provvedimento, quest'Aula dovrebbe approfondire in un momento successivo.
      Lo stesso rinvio dell'IVA rientra in una valutazione complessiva che, a nostro avviso, ha consentito una riflessione ancora ulteriore sulla crescita del potere d'acquisto delle retribuzioni a cui dobbiamo continuamente far riferimento in una fase come questa, quando entriamo nel merito di provvedimenti economici.
      Altri elementi che non possiamo far finta di non considerare in una fase come questa – anche se ogni volta che li consideriamo, provocano un confronto molto molto complesso anche dentro il Parlamento – riguardano il fatto che una qualche forma di miglioramento dello scenario del consumo, rispetto alle tendenze finora in corso, potrebbe risultare in linea con quanto osservato in altri Paesi, dove le famiglie, a differenza di quanto accaduto in Italia, hanno beneficiato anche del quadro favorevole dei mercati finanziari. In Italia questo beneficio è riscontrabile solo da quattro-cinque mesi a questa parte e comunque non è ancora assestato. E questo effetto – è inutile nasconderlo – guardando all'andamento delle spread pagato sui titoli del debito pubblico, consente di auspicare di qui alla legge di stabilità alcuni risparmi considerevoli.
      Sempre restando dentro il perimetro di questi elementi va considerato anche che, pur in presenza delle criticità di fondo che si sono evidenziate per l'Italia, un positivo andamento dei mercati potrebbe creare effetti sul clima delle aspettative. Ma il tema su cui voglio soffermarmi e che, a mio avviso, rappresenta un punto di riferimento essenziale rispetto alla riflessione che stiamo facendo e che abbiamo fatto anche in Commissione è che, se si analizza la spesa primaria corrente, risulta che, nel biennio 2011-2012, è rimasta sostanzialmente stabile in termini nominali e, anzi, è leggermente diminuita.
      Lo dico perché molto spesso il confronto nelle Commissioni viene condizionato da una considerazione che va esattamente in direzione opposta rispetto a questa valutazione. È un risultato importante. Questo decreto non modifica assolutamente la linea affrontata in questi ultimi 18 mesi, atteso che nel decennio 1997-2007, quando già vi era piena consapevolezza del problema, la spesa è sempre cresciuta ad un ritmo del 2 per cento l'anno in termini reali. La diminuzione registrata nel biennio in questione (3,5 miliardi in due anni) nell'insieme è certamente modesta, ma bisogna tener conto di come nel triennio la spesa per pensioni sia aumentata di 12 miliardi. Le spese correnti diverse da interessi e pensioni sono quindi diminuite di 15,5 miliardi, ovvero del 3,6 per cento in due anni e non è certamente poco. Tutto questo non basta.
      Nel lavoro finale abbiamo inserito una norma sulla spending review straordinaria e che dà sistematizzazione al modello di riallocazione della spesa. Questo lavoro in qualche modo noi lo riteniamo una sorta di recinto dentro il quale dovremmo muoverci nel rapporto tra Governo e Parlamento, nella valutazione e nella riallocazione della spesa. Questo è in qualche modo il perimetro dentro cui era necessario muoversi, per evitare di trasformare Pag. 4un decreto, che è multidisciplinare, intersettoriale e che tocca vari comparti in un omnibus, come alcuni lo hanno definito. Non è un omnibus, ha tre titoli molto chiari: crescita (e dentro la crescita ci mettiamo l'agenda digitale), semplificazioni e snellimento delle procedure connesse alla giustizia civile. Si tratta pertanto del tentativo di un rilancio che cerca strade nuove, che non si muovono all'interno dei consolidati criteri basati sul binomio minori entrate-maggiori spese, ma che puntano a rinforzare le regole del sistema Paese sul piano della semplificazione, dell'attenzione alle esigenze del cittadino, della necessità per gli operatori economici di un contesto regolatore preciso, cogente, ma nello stesso tempo più leggero.
      È un provvedimento che, per usare un'espressione figurata, non potendo in questo momento colpire al cuore il contesto recessivo che continua a caratterizzare il nostro sistema economico, lo lavora ai fianchi. Mira quindi ad indebolirne la pervasività e a favorire un orientamento del «sistema Paese» verso l'uscita dalla crisi.
      Il decreto-legge, signor Presidente, reca uno ampio novero di interventi che rispondono ad esigenze connesse al flusso del credito alle attività produttive, diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti; prosegue sulla liberalizzazione del settore dei servizi; cerca di migliorare le capacità infrastrutturali, incluso il settore dei trasporti; prova ad entrare nei meccanismi del quadro fiscale senza ignorare il lavoro parallelo che il Parlamento sta facendo; inoltre persegue lo scopo – su questo si soffermerà l'altro relatore, presidente Sisto – di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e per le imprese.
      Non ritengo necessario, in questa fase di esame, rientrare nuovamente sulle caratteristiche generali del provvedimento, ma entrerò esclusivamente nel merito delle modifiche avvenute nelle due Commissioni.
      Per quanto riguarda il sostegno alle imprese, l'articolo 1, dichiarato di potenziare gli interventi al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, contiene disposizioni non immediatamente applicative, esplicita finalità, principi e criteri a cui deve attenersi il Governo per la definizione di misure volte ad ampliare la possibilità di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese. Durante l'esame presso le Commissioni riunite ci sono stati specifici interventi per favorire l'accesso alla garanzia del Fondo da parte delle imprese sociali e delle cooperative sociali.
      Questo è un contributo che avviene dal lavoro delle due Commissioni congiunte. Un altro contributo è la possibilità, per le imprese ubicate in aree di crisi e per le piccole e medie imprese di autotrasporto merci, di beneficiare dell'innalzamento della misura massima di copertura della garanzia diretta del fondo fino all'80 per cento. Un ulteriore intervento consente ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni di professioni non organizzate di utilizzare il fondo.
      L'articolo 2 introduce un meccanismo incentivante per le piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti anche attraverso leasing di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo. Durante l'esame sono stati inseriti anche i beni strumentali di impresa tra gli acquisti incentivati ed è stato previsto che i finanziamenti possano essere erogati, oltre che dalle banche, anche dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio delle attività di leasing finanziario purché garantiti dalle banche. Sono stati estesi gli incentivi anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca, compatibilmente con la normativa comunitaria.
      L'articolo 3 attribuisce 150 milioni di euro una tantum per il finanziamento dei contratti di sviluppo nel settore industriale, riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria. All'articolo 3-bis, invece, sono previste nuove misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale. La norma accelera ulteriormente Pag. 5l'accesso alle anticipazioni di liquidità disposte dal decreto-legge n.  35 del 2013. Questo meccanismo amplia ulteriormente le possibilità già indicate nel decreto-legge n.  35 del 2013, con particolare riferimento alle aziende sanitarie.
      L'articolo 4 contiene disposizioni di diversa natura che riguardano il mercato del gas naturale e la rete di distribuzione dei carburanti. In particolare, viene limitata ai soli clienti domestici l'applicazione transitoria del servizio di tutela gas, il servizio per il quale, per alcuni clienti cosiddetti vulnerabili, i prezzi di riferimento sono determinati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera dei deputati, è stata inoltre prevista una proroga delle date entro cui convocare i comuni in merito alla scelta della stazione appaltante per quegli ambiti in cui almeno il 15 per cento dei comuni di riconsegna è situato nei comuni colpiti dal terremoto in Emilia del 2012. È estesa al GPL l'erogazione dei contributi per la trasformazione di impianti di distribuzione dei carburanti.
      All'articolo 5, che reca una serie di interventi diversi che impattano sui prezzi dell'energia elettrica con un'estensione della Robin tax in parte destinata alla riduzione degli oneri generali di sistema, è prevista una riduzione delle tariffe incentivanti CIP 6 per le fonti rinnovabili. Durante l'esame presso le Commissioni riunite, la norma è stata modificata riformulando la deroga prevista per i termovalorizzatori in relazione alla riduzione delle tariffe CIP 6. La deroga non riguarda più i termovalorizzatori più recenti, bensì tutti quelli in esercizio ammessi al regime CIP 6. Non opera più fino all'ottavo anno di esercizio, ma fino al quarto anno a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Dall'ottavo nelle zone esclusive di emergenza rifiuti.
      L'articolo 6 stabilisce un'accisa ridotta al gasolio utilizzato per riscaldamento delle coltivazioni sotto serra da parte dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale per il periodo 1o agosto 2013-31 dicembre 2015. Durante l'esame parlamentare, l'articolo è stato integrato da alcune modifiche della disciplina in materia di progetti di riconversione del comparto bieticolo-saccarifero, prevedendosi che, ai fini delle riconversioni, debba farsi riferimento, non più ai progetti di riconversione, quanto a quelli che rivestono carattere strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale.
      L'articolo 7 fissa alcune disposizioni...

      PRESIDENTE. Onorevole Boccia, siccome è all'articolo 7, e mi pare che siano 86 e le rimane un minuto, bisogna trovare una soluzione.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Sì, però sto solo parlando delle modifiche e non sono tutti miei gli articoli, quindi, ad un certo punto, vedrà che faremo un salto dal...

      PRESIDENTE. Rimane sempre che ha un minuto.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Ma c'erano tempi contingentati ?

      PRESIDENTE. Sono 20 minuti i tempi del relatore. Possiamo tollerare un minuto, però bisogna che si avvii alla conclusione.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Va bene, allora, metterò insieme gli articoli. Gli articoli 7, 9 e 9-bis si riferiscono alle modifiche di utilizzo di fondi strutturali.
      L'articolo 10, sull'Agenda digitale, è stato integrato dalle Commissioni con una serie di interventi che, di fatto, definiscono l'offerta di accesso a Internet al pubblico attraverso Wi-Fi senza richiedere l'identificazione personale agli utilizzatori, con meccanismi regolatori molto semplici. C’è tutto il capitolo di sostegno alle infrastrutture, tra le misure di sostegno all'economia.Pag. 6
      L'articolo 18 prevede una dotazione complessiva pari a 2 miliardi 69 milioni ripartita per cinque anni, che consente di accelerare i meccanismi di spesa.
      Infine, l'articolo 20, modificato nelle Commissioni, interviene in materia di sicurezza stradale e l'articolo 23 sulla nautica da diporto.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Concludo, signor Presidente, facendo riferimento ad alcune norme di razionalizzazione della spesa pubblica, che fanno riferimento all'articolo 49, all'articolo 49-bis e all'articolo 49-quater. Alcune disposizioni sono afferenti alla cosiddetta spending review: va segnalato il differimento dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013 del termine entro il quale le regioni e gli enti locali possono recedere dai contratti di locazione.
      Sulla semplificazione fiscale – e concludo davvero, signor Presidente –, c’è una serie di modifiche che recano disposizioni per le comunicazioni telematiche all'Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA. I pochissimi articoli ai quali non ho fatto riferimento sono contenuti nella relazione che consegnerò agli uffici.
      Signor Presidente, chiedo dunque che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

      PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la I Commissione, onorevole Sisto, che sicuramente con la sua capacità di sintesi pareggerà i conti dei relatori. Prego, onorevole Sisto.

      FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza per la I Commissione. Signor Presidente, qualche secondo doverosamente lo devo spendere. In genere, si ringrazia coloro che hanno cooperato per un provvedimento al termine dei lavori: io voglio farlo all'inizio, perché mi sembra doveroso per come le Commissioni I e V – posso dire con la presidenza del presidente Boccia e di chi vi parla – hanno lavorato, con grande alacrità, con ben tre sedute notturne.
      Per cui, credo che sia indispensabile rappresentare al Parlamento che grazie alla grande abnegazione dei funzionari, che sono stati sempre a disposizione, ma i colleghi parlamentari, maggioranza e opposizione, con pari intensità e con pari impegno, hanno contribuito a che si potesse raggiungere il risultato di portare il provvedimento in Aula, con un lavoro che non esito a definire approfondito, qualche volta incompleto; ma la necessità, qualche volta, costringe a delle riflessioni che possono non essere completamente esaustive.
      Ringrazio anche il Governo, nella persona soprattutto del sottosegretario De Vincenti, ma anche il Viceministro Fassina e il sottosegretario Baretta, che sono stati nostri compagni costanti e presenti nelle notti che abbiamo passato a studiare e discutere questo provvedimento.
      È un provvedimento che ha uno scopo: quello di dare una spinta, tenendo conto, però, della necessità di risparmio e di migliore organizzazione di determinati sistemi, agendo non isolatamente per quadranti, ma con una specificità organizzata e organica.
      Tutto ciò cercando di raggiungere, sia pur nel dettaglio, qualche volta, come posso dire, esasperato, di taluni provvedimenti, una organicità che possa consentire se sommata e messa in rete, e quando dico rete mi riferisco proprio a talune parti del provvedimento, un risultato che, complessivamente, possa dare al Paese una nuova chance di ripartenza. Se questo è il leitmotiv, la struttura, il filo, il fil rouge che ha legato tutte queste scelte, passo immediatamente ad illustrare quelle che sono state alcune modifiche avvenute nelle Commissioni su alcuni importanti quadranti.
      L'Agenda digitale è stata modificata dalle Commissioni, ed è importante che l'intervento delle Commissioni sia stato qualche volta, addirittura, radicalmente Pag. 7modificativo di quello che era il tessuto disegnato nel provvedimento originale, perché è stata individuata, nell'articolo 13, la composizione della cabina di regia: la vigilanza sull'Agenzia per l'Italia digitale è stata concentrata sul Presidente del Consiglio, che ha piena competenza per l'approvazione dello statuto dell'Agenzia; sono stati soppressi i poteri ministeriali di proposta e di concertazione, sia per la nomina del direttore generale sia per la determinazione della dotazione organica dell'agenzia, diminuita da 150 a 130 unità. Questa è una delle caratteristiche del provvedimento, cioè intervenire in diminuzione rispetto alle originarie composizioni numeriche di organi. La presidenza dell'organismo è attribuita al commissario del Governo, è stato aggiunto il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali come componente della cabina di regia; è stata introdotta, con efficacia vincolante, la procedura ad evidenza pubblica per la nomina del direttore generale. Anche questa è una delle caratteristiche per la ricerca di una maggiore trasparenza nell'ambito delle procedure. Sono tutti segnali che nel nostro sistema sono stati recepiti e che hanno trovato un'utile occasione di conferma, sia pure con diverse sensibilità dovute, queste sì, alla necessaria diversità dei settori in cui si è intervenuti.
      L'articolo 13-bis si occupa di linee guida per l'accreditamento di conformità alla normativa in materia di contratti pubblici; l'articolo 14 si occupa di misure per favorire la diffusione del domicilio digitale e introduce la possibilità per il cittadino di richiedere di attivare, quale proprio domicilio digitale, una casella di posta elettronica certificata governativa contestualmente alla fase di richiesta del rilascio gratuito del documento digitale unificato, con tre modifiche: la previsione, che era facoltativa nel testo vigente, è stata mutata in automatica; la casella di posta elettronica è assegnata non solamente al momento della richiesta del documento unificato, ma anche all'atto dell'iscrizione anagrafica; il documento unificato sostituisce a tutti gli effetti il tesserino di codice fiscale rilasciato dall'Agenzia delle entrate.
      L'articolo 16 si occupa dei livelli minimi dei requisiti di sicurezza, di capacità elaborativa e di risparmio energetico e le modalità di consolidamento e razionalizzazione dei centri di elaborazione dati delle pubbliche amministrazioni. L'articolo 16-bis modifica la disciplina del furto di identità, prevedendo la possibilità, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di rideterminare le misura delle componenti del contributo. L'articolo 17 introduce il fascicolo sanitario elettronico, una novità in qualche maniera importante che ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente: vengono modificati i termini e in qualche modo il fascicolo sanitario elettronico diventa un must anche per le regioni che volessero avere accesso al finanziamento integrativo a carico del Servizio sanitario nazionale. L'articolo 17-bis modifica alcune norme in tema di Istituto Poligrafico dello Stato per la ridefinizione delle carte-valori; l'articolo 17-ter si occupa del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese. Tutti articoli, questi, che hanno trovato nelle Commissioni utili ragioni di essere, secondo me, utilmente modificati.
      Posso passare, quindi, alle semplificazioni. L'articolo 28, che introduce il diritto a chiedere un indennizzo da ritardo della pubblica amministrazione – e mostra anche qui il tentativo di dare alle imprese qualche chance in più per ottenere un più sollecito ottenimento dei propri diritti – è stato modificato nell'ambito procedimentale con dei termini diversificati a seconda del tipo di intervento che viene sollecitato.
      L'articolo 29-bis viene introdotto dalle Commissioni in ordine al tema delle incompatibilità, stabilendosi una «non incompatibilità» per coloro che abbiano assunto cariche pubbliche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione tra cinquemila e quindicimila abitanti. L'articolo 30 è stata una delle norme più discusse, ci si occupava di sagome e di possibilità di modifica delle Pag. 8sagome nell'ambito di ristrutturazioni e direi che la soluzione è stata trovata con una intesa lungamente perseguita – e devo dare atto al Governo di grande pazienza su questo punto –, e la pazienza ha portato ad un risultato che potete leggere nella nuova formulazione appunto dell'articolo 30 che, con maggiore dettaglio, cerca di andare incontro a tutte le esigenze che sono state qualche volta vivacemente manifestate nel dibattito nelle Commissioni.
      L'articolo 31 introduce disposizioni di semplificazione in materia di Documento unico di regolarità contributiva. Devo dire, sull'articolo 30, che forse qualche cosa di più si poteva fare, nel convincimento che la ripresa di determinati settori nasce anche superando taluni scogli e talune prese di posizione che, a mio avviso, qualche volta ingiustificatamente si affacciano nella cultura di ciascuno e che impediscono sostanzialmente un passo in avanti. I passi in avanti costano qualche rinuncia anche sul piano culturale e l'economia qualche volta va preferita rispetto a dei pilastri che qualche volta sono di argilla e non certamente di cemento armato.
      Tornando all'articolo 31, esso si occupa di semplificazione in materia di Documento unico di regolarità contributiva; in sede referente sono state introdotte delle modifiche. L'articolo 32 interviene in tema di sicurezza sul lavoro, con alcune norme organizzatorie non certamente secondarie. L'articolo 33 si occupa della cittadinanza da parte degli stranieri nati in Italia in caso di un inadempimento riconducibile ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione. Si tratta di una modifica che certamente semplifica la soluzione di determinati problemi. L'articolo 35 prevede la semplificazione in materia di sicurezza sul lavoro per le prestazioni lavorative di breve durata. L'articolo 37 concerne percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività di impresa tramite lo strumento delle convenzioni. L'articolo 39 – parlo sempre delle modifiche delle Commissioni – si occupa di estendere l'efficacia quinquennale dell'autorizzazione paesaggistica nel caso di lavori iniziati nel quinquennio decorrente dalla data di rilascio dell'autorizzazione a tutta la durata dei medesimi lavori. È una norma, anche questa, che cerca di andare incontro a delle difficoltà di carattere spesso burocratico. Essa, inoltre, ripristina la società ARCUS Spa con dei criteri che vengono poi individuati nella stessa norma.
      L'articolo 41 si occupa di alcune norme in materia ambientale: la semplificazione della disciplina delle acque di falda; la possibilità, al comma 3-bis, di utilizzare materiale di scavo provenienti dalle miniere dismesse. I commi 6, 6-bis, 6-ter, 6-quater e 7 riguardano la situazione di criticità della gestione dei rifiuti in Campania, con nomina con decreto del Ministro dell'ambiente di uno o più commissario ad acta per provvedere alla realizzazione dell'avvio della gestione degli impianti nella regione Campania (anche qui vi è un intervento molto diretto). Il comma 6-quinquies introduce una disposizione che si occupa del contenzioso, e posso passare direttamente – dopo aver non dimenticato gli articoli 7-bis, 7-ter e 7-quater sugli impianti geotermici pilota con competenza esclusivamente statale, che vanno assoggettati a valutazione di impatto ambientale statale e sono esclusi dalla cosiddetta «normativa Seveso» – all'articolo 41-bis, che si occupa di assoggettare al regime di sottoprodotti, se ricorrono determinate condizioni, i materiali da scavo prodotti nei piccoli cantieri nel corso delle attività e di interventi autorizzati in base alle norme vigenti, in deroga a quanto previsto dalle norme vigenti. Il produttore deve quindi dichiarare all'ARPA il rispetto di una serie di condizioni. Riprendono quindi piede e importanza – ne abbiamo già visto un esempio nel «decreto Ilva» – i controlli amministrativi sul territorio che, ripeto, consentono un monitoraggio costante di quello che accade in determinate iniziative «rischiose». L'articolo 41-ter si occupa dell'esclusione di talune tipologie di impianti di attività agricola dal novero degli impianti assoggettati all'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, integrando Pag. 9rispettivamente gli elenchi degli impianti e delle attività non sottoposte alla predetta autorizzazione. L'articolo 42-bis, introdotto dalle Commissioni, introduce invece semplificazioni relative alle verifiche condotte dall'INPS sull'accertamento delle invalidità. L'articolo 42-ter, introdotto dalle Commissioni, interviene in materia di benefici previdenziali per i soggetti esposti all'amianto, con una serie di previsioni di meccanismi tesi a salvaguardare la posizione di determinati soggetti.
      L'articolo 43 riguarda la trasmissione al sistema informativo trapianti (SIT) dei dati relativi al consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti nel caso in cui questi siano stati inseriti nella carta di identità. Viene stabilito che il consenso o il diniego alla donazione degli organi confluisca nel fascicolo sanitario elettronico di cui all'articolo 12 del decreto-legge n.  179 del 2012. Sono stati aggiunti due commi, con l'articolo 44, alla normativa prevista dal decreto-legge n.  158 del 2012, al fine di garantire tempi rapidi alla dispensazione a carico delle Servizio sanitario nazionale di speciali categorie di farmaci, razionalizzando e semplificando le procedure di classificazione di rimborsabilità di competenza dell'Aifa. Sono previsti percorsi privilegiati, quindi, per farmaci che abbiano una maggiore rilevanza. L'articolo 45-bis, introdotto dalle Commissioni, reca disposizioni in tema di abilitazione all'uso di macchine agricole, prevedendo, in particolare, che in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome possano essere individuate le condizioni considerate equivalenti alla specifica abilitazione. L'articolo 46 reca disposizioni sull'Expo Milano 2015, e sono stati aggiunti tre commi con determinate caratteristiche. L'articolo 47-bis incide sulla disciplina della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. Viene ridotto anche qui – come vedete, è una costante – il numero dei componenti, che passano da dodici a dieci. Possono essere nominati componenti della Commissione anche i magistrati in quiescenza; vengono inoltre precisati i criteri deliberativi.
      L'articolo 48 si occupa del Codice dell'ordinamento militare, introducendo una norma di cooperazione con altri Stati, per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale.
      Articolo 49-ter: obbligo per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di acquisire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale tecnico-organizzativo ed economico-finanziario solo attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici.
      Parliamo adesso della giustizia, dall'articolo 62 all'articolo 85; si tratta di norme per la maggiore efficienza della giustizia e la riduzione del contenzioso civile pendente, compreso quello in materia di lavoro e di previdenza. Quali sono le caratteristiche ? Giudici ausiliari onorari, la collaborazione di laureati qualificati in giurisprudenza nel supporto dei magistrati presso uffici di primo grado e di appello, aumento organico dell'ufficio massimale della Corte di Cassazione, il ripristino della conciliazione obbligatoria, ma con determinate condizioni, ed una serie di ulteriori misure di razionalizzazione.
      L'articolo 63, ai fini della deflazione del contenzioso civile pendente, introduce 400 giudici ausiliari per la definizione ogni anno di 36 mila procedimenti, 90 per ogni giudice; per quanto riguarda le categorie che possono fare domanda, vi sono state delle estensioni, ci sono anche i magistrati onorari e comunque si è privilegiato una serie di soggetti «ancora giovani», lo dico tra virgolette, cioè in condizioni di poter garantire con efficienza anche fisica un reale supporto alla soluzione dei problemi.
      L'articolo 65 si occupa delle piante organiche dei giudici ausiliari, con modifiche delle condizioni, e delle modalità di presentazione della domanda per la nomina. L'articolo 69 fa riferimento alle incompatibilità per avvocati che siano soci o associati. L'articolo 73 fa riferimento agli stage formativi di 18 mesi per i laureati più meritevoli delle facoltà di Pag. 10giurisprudenza, con un criterio meritocratico: 105 su 110 per la laurea, 27 su 30 di media per le materie di rilievo, 30 anni l'età massima degli stagisti. C’è di tutto per poter, diciamo così, incoraggiare i più meritevoli ad essere ben addestrati ed informati in occasioni certamente rilevanti.
      Quanto alle preferenze ai corsi di perfezionamento in materie giuridiche successivi alla laurea, anche qui si cerca di stimolare l'approfondimento per il raggiungimento di determinati obiettivi.
      Si è citata la tipologia dei programmi che devono essere formati in sinergia, anche su questo si è dato molto importanza, tra magistratura e avvocatura, dandosi all'avvocatura un ruolo certamente rilevante nella formazione culturale di coloro che si devono occupare di problemi giuridici. L'articolo 74 riguarda i magistrati assistenti di studio della Corte di Cassazione, un supporto di ulteriori magistrati per definire l'arretrato civile: 30 unità all'ufficio del massimario e del ruolo.
      Articolo 75: più selettivo l'intervento del pubblico ministero; quanto all'articolo 76, nella divisione giudiziale si è stabilito che, quando vi è l'accordo, ci si può rivolgere al tribunale con la nomina di un notaio o di un avvocato con potere di autentica delle firme, per poter risolvere questo problema consensualmente.
      Articolo 77: conciliazione giudiziale, con facoltà del giudice di formulare una proposta «intelligente», lo dico tra virgolette, cioè che prenda le mosse dal caso concreto e non sia obbligatoria tout court e con l'impossibilità di dare a questa proposta un valore poi di successiva ricusazione del giudice che l'ha formulata e, certamente, il rifiuto della conciliazione non potrà avere influenza sulla lettura dello sviluppo successivo del giudizio.
      L'articolo 79 ha un passaggio importante; le Commissioni hanno escluso che, nella semplificazione della motivazione della sentenza, si possa fare esclusivo riferimento ai precedenti conformi. È un passaggio importante, cioè dire che il giudice non possa riposare o far riposare la sua decisione solo sul precedente conforme vuol dire che non si può introdurre una causa, un meccanismo di common law in un sistema di civil law, cioè è evidente che il giudice deve far riferimento, questo è stato il parere delle Commissioni, certo agli scritti difensivi e agli altri atti di causa ma giammai soltanto ai precedenti conformi. Mi sembra una decisione di particolare saggezza che va rimarcata.
      L'articolo 80 ha soppresso il foro delle società con sede all'estero: si era creato un imbuto Milano-Roma-Napoli per questo tipo di cause, mi sembra che anche qui le Commissioni con un dibattito, devo dire, facilmente unanime, hanno soppresso questo comma.
      All'articolo 82, comma 3-bis, sono state stabilite delle norme di rilevanza in tema di cooperative di lavoro. L'articolo 83 ha introdotto delle regole sulla formazione delle commissioni per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, con scelta prioritaria di magistrati in pensione e solo secondariamente di quelli in servizio.
      L'articolo 84 si occupa della mediazione. Era uno dei settori più delicati: è stata reintrodotta, nonostante la sentenza della Corte costituzionale solo per l'eccesso di delega, la n.  262 del 2012, una obbligatorietà – anche qui uso questo termine – «intelligente» della mediazione, perché è una obbligatorietà a tempo, ha un carattere sperimentale di quattro anni, vede obbligatoriamente l'assistenza di un avvocato, ha soppresso l'obbligo per il giudice che prescrive la mediazione di indicare l'organismo al quale rivolgersi; la mediazione è sì condizione di procedibilità dell'azione, ma si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo. Il mediatore fissa un incontro a 30 giorni fra le parti: fissa il primo incontro, c’è l'assistenza del difensore. Attenzione: è previsto il principio della gratuità della mediazione quando il primo incontro, che pur costituisce condizione di procedibilità, non conduce all'accordo.
      L'articolo 84-bis, introdotto dalle Commissioni riunite, novella l'articolo 2643 del Pag. 11codice civile, inserendo tra gli atti soggetti a trascrizione l'accordo di mediazione che accerta l'usucapione.
      Il lavoro delle Commissioni quindi ha avuto modo, sia pur nei diversi settori, di avere devo dire una grande attenzione; credo che, da questo punto di vista, il dibattito in Aula potrà essere sicuramente fonte di ulteriore spunto di approfondimento, di contraddittorio, ma se dovessi esprimere un mio personale giudizio, il «bonsai» che c’è stato nelle Commissioni ha già consentito di apprezzare come ciascuna forza politica abbia portato un utile contributo. Voglio citare una norma sull'Expo che ho dimenticato, ma ci tengo particolarmente: una norma che ha introdotto l'obbligo per l'Expo di pubblicare sulla Rete, e quindi di rendere pubbliche, le spese che vengono sostenute. Una norma che è stata sostenuta in Aula, che ha trovato la sua origine in un emendamento del MoVimento 5 Stelle e condiviso dai relatori, e che mi sembra possa essere il segnale forte che con questo tipo di provvedimento si intende offrire al Parlamento.

      PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la V Commissione, onorevole Castelli.

      LAURA CASTELLI, Relatore di minoranza per la V Commissione. Signor Presidente, ringrazio i relatori: li ringrazio per questo piccolo passaggio rispetto a una delle cose a cui noi tenevamo forse di più, ossia la trasparenza in una delle opere che oggi su questo territorio sta portando un po’ di problemi in termini di trasparenza e di completezza.
      Ringrazio i relatori perché comunque il lavoro svolto dalle Commissioni è stato portato in maniera costruttiva all'Aula, quindi si è voluto prendere quelli che erano davvero i suggerimenti e renderli esplicativi sul testo di legge. Ciò però non è avvenuto su alcuni articoli, quegli articoli che il Governo, nostro malgrado, voleva così come erano scritti. Per cui, proprio perché questo modo di lavorare per temi, per Commissioni ci rappresenta, illustreremo questa relazione di minoranza, partendo proprio dalle Commissioni.
      Faccio ancora un riferimento a uno degli episodi accaduti in Commissione. Mercoledì noi abbiamo ricordato al Governo che il MoVimento 5 Stelle rappresenta più o meno il 25 per cento del Paese, e quindi ci chiedevamo se questo 25 per cento dovesse essere rappresentato in una maniera considerevole e se il Governo avesse voglia di prendere in considerazione quelli che erano i nostri spunti su questo decreto-legge. Non parlo solo dei tredici emendamenti che ci sono stati approvati: parlo di quelle modifiche sostanziali, rilevanti, che fanno la differenza. E ci sono dei punti in cui la differenza il MoVimento 5 Stelle l'avrebbe fatta, perché avrebbe portato i suggerimenti che arrivano dalla società civile, dai comitati, dall'associazionismo. Questo non è avvenuto, ma chiaramente ci sono i lavori d'Aula e speriamo che si possa andare verso questa direzione.
      Per quanto riguarda la Commissione giustizia, possiamo sicuramente partire dal fatto che in un contesto economico così difficile, privo di sbocchi a breve termine e in assenza di prospettive politiche credibili, questioni che si ritorcono sul grado di fiducia dei cittadini e delle imprese, che a sua volta, in un circuito vizioso, incide sui mercati e sui consumi, sono da studiare, da capire e in ogni caso da modificare.
      Nel momento in cui i dati dell'economia, in particolare il debito pubblico, mettono i brividi, non ha giustificazione alcuna l'introduzione, avvenuta nel corso dell'esame, di norme tendenziose, nonché di norme che testimoniano una volontà politica di larghe intese, la definirei.
      Qualcuno si è preso la briga di presentare emendamenti, che poi sono stati approvati, al fine di annullare o prorogare alcune norme in materia di spending review, di far rivivere una società in house del Ministero per i beni e le attività culturali recentemente soppressa (stiamo parlando dell'Arcus Spa), di escludere determinate categorie di società pubbliche Pag. 12dalla riduzione o eliminazione delle auto blu, di rinviare di un altro anno la possibilità di ridurre le spese per gli immobili detenuti in locazione, di ripristinare la possibilità di cumulare l'attività di sindaco con il mandato parlamentare e anche con incarichi governativi.
      Le suddette novità introdotte nel testo sono uno scherno, secondo noi, verso la realtà sociale ed economica in cui cerca di sopravvivere la gran parte dei cittadini e delle imprese. Sono uno scherno al dettato costituzionale sulla decretazione d'urgenza, al Regolamento della Camera per quanto riguarda il criterio di ammissibilità degli emendamenti, diversamente applicato a seconda del nome e del peso ponderato dei presentatori (questo è successo).
      Questo decreto-legge recava fin dall'origine l'ambizioso titolo di «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», e poi ci siamo ritrovati ulteriori norme sulla governance dell'Agenda digitale. Ora abbiamo una cabina di regia, un commissario straordinario, una struttura di missione, un tavolo consultivo permanente, un'agenzia ad hoc, ma non è ancora chiaro chi comanda.
      Abbiamo norme infarcite di preamboli, programmi e procedure, ma mancano azioni concrete, pianificazione e strategia. Da questi emendamenti e da questi articoli quello che a noi sembra di avere capito è che vi è ancora confusione su questi temi. Siamo nel 2013, l'Agenda digitale dovrebbe essere la nuova frontiera, siamo fermi da qualche anno e ancora, con questo decreto, non sembra vi sia uno sblocco.
      L'indennizzo da ritardi nei procedimenti amministrativi, fermo restando che è un breve esperimento per le imprese, è talmente farraginoso da far desistere anche i più tenaci e testardi. L'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero nato e residente nel nostro Paese fino alla maggiore età non viene semplificato. Il testo introduce una disposizione semplicemente irragionevole: dispone un obbligo ad agire per gli uffici di stato civile in favore dello straniero, ma, se essi vi contravvengono, non solo non incorrono in sanzioni, ma procurano involontariamente un beneficio ancora migliore per il medesimo soggetto.
      Non vi è decreto-legge da almeno due anni a questa parte che non contenga le parole «rilancio dell'economia» o le parole «digitale» o «elettronico», che non rimaneggi o non modifichi in parte la procedura, ma senza produrre risultati apprezzabili. È vero, in questi decreti si utilizzano questi termini, ma poi di rilancio dell'economia se ne vede ben poco.
      L'articolo 29-bis, in particolare, norma di interpretazione autentica in materia di incompatibilità tra sindaco e parlamentare, di cui parlavo prima, è uno di quegli articoli rilevanti di cui ci chiediamo che cosa c'entri con il rilancio dell'economia. Vi è poi l'articolo 47-bis in materia di Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi: esso, in particolare, modifica la composizione della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, riducendo il numero dei componenti da 12 e 10. I quattro magistrati che ne fanno parte potranno essere scelti tra quelli in quiescenza.
      Vi è, ancora, l'articolo 49 concernente proroga e differimenti di termini in materia di spending review: qualcuno si è preso la briga di introdurre una norma che esonera dall'applicazione della spending review sulle auto blu le società pubbliche quotate e le loro controllate. La norma si spaccia anche per norma di interpretazione autentica, fattispecie che non dovrebbe comparire in un decreto-legge; suona un po’ a scherno l'ammissibilità stessa di tale emendamento.
      L'articolo 49-quater reca misure per il rafforzamento della spending review. Va premesso che la rubrica dell'articolo mal si concilia con tutte le misure della spending review.
      Per quanto riguarda le attività produttive, questo è uno dei pochi temi che ci stanno a cuore su questo decreto. Se è vero che sugli altri articoli vi sono stati dei problemi, questa, forse, è l'unica motivazione d'urgenza.
      Infatti, abbiamo apprezzato il rafforzamento del Fondo di garanzia per le Pag. 13piccole e medie imprese, però occorre includere tra i potenziali beneficiari le aziende dotate di capacità competitiva e di solide prospettive di crescita. Siamo contenti di avere introdotto due categorie, tra cui quella degli agricoltori.
      Il settore agricolo e il settore della pesca sono due settori che la politica si è dimenticata da troppi anni. Vado avanti un po’ velocemente: sulle coperture finanziarie, abbiamo potuto discutere abbastanza poco perché, nell'ultima giornata, quelli che erano i nostri emendamenti all'articolo 61 non sono stati discussi, probabilmente perché la Ragioneria dello Stato ha alcuni problemi a coordinarsi con il Governo e con il Parlamento. Noi non ci fermiamo a questo, ma vogliamo capire come mai ci si ferma per diversi giorni e come mai la Ragioneria ha dei problemi così rilevanti rispetto alle copertura. Noi avevamo proposto di eliminare le coperture inserite in questo decreto-legge, come l'aumento delle accise sulla benzina: non possiamo pensare di fare un decreto-legge che rafforzi l'economia e poi mettere sulle spalle dei cittadini quelli che sono i costi vivi: in più di un articolo, questo accade e questo non potrà che portare a una diminuzione dei consumi. Allora, bisogna capire come si vuole realizzare questa crescita: se parliamo di PIL e di crescita, dobbiamo parlare di consumi e, se parliamo di consumi, non si può aumentare la tassazione indiretta perché i consumi caleranno, penso che sia materia di «Economia 1» della facoltà di Economia, lo capisce anche un bambino. Su queste cose, ovviamente, non ci sono date risposte: ovviamente, le nostre proposte rispetto alla finanza erano, sì, molto ambiziose, ma forse in qualche modo recepite dal Governo. Noi chiedevamo un peso maggiore alla Cassa depositi e prestiti: questi emendamenti non sono stati accettati, ma spero che saranno frutto dei prossimi ragionamenti.
      In generale, i punti che a noi hanno fatto più male sono stati agricoltura e ambiente. Non possiamo non pensare a quell'articolo 41, che va a modificare il criterio di bonifica secondo criteri economicamente sostenibili. Ebbene, siamo arrivati, la settimana scorsa, a parlare di Ilva e ancora ci troviamo qui a parlare di «economicamente sostenibile»: questo non è un criterio che al MoVimento 5 Stelle pare rappresentare il buonsenso.
      Per quanto riguarda l'ambiente, ancora, una modifica abbastanza scellerata della parte edilizia: il Governo l'ha voluta a tutti i costi, salvo capire come andrà a finire. Per noi, questi articoli sono stati molto rilevanti, rilevanti soprattutto di una sordità da parte del Governo che, forse, dovrebbe capire chi veramente rappresenta la democrazia in questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione bilancio, onorevole Marcon.

      GIULIO MARCON, Relatore di minoranza per la V Commissione. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi deputati, il decreto-legge di cui oggi discutiamo la conversione in legge, ha come titolo – come sappiamo – «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia».
      Ci saremmo aspettati, dunque, un provvedimento che delineasse, attraverso delle misure incisive, una linea di politica economica capace di aggredire la crisi, di dare fiato alle imprese e di creare posti di lavoro. Ci saremmo aspettati, dunque, corpose misure significative, ma siamo di fronte solo a degli scampoli di interventi modesti e dal dubbio impatto. Ci saremmo anche aspettati di conoscere la linea di politica economica di questo Governo, anche nella presentazione della Nota di variazione al DEF che sia il Presidente Letta che il Ministro Saccomanni ci avevano promesso di far avere al Parlamento, in tempi brevi, già due mesi fa. Questo non è avvenuto: siamo ancora a chiedere quando avremo questa Nota di variazione. Sappiamo che il DEF di Monti era un documento provvisorio e incompleto e rimandava al nuovo Governo il compito di completarlo, cosa che non è stata fatta: c’è stato l'ennesimo rinvio – rinvio che, come Pag. 14sappiamo, c’è anche sull'IMU, sull'IVA e sugli F-35 – e questo è un modo di procedere del quale non siamo soddisfatti.
      Anche da questo provvedimento, nonostante abbia come titolo il rilancio dell'economia, non si capisce quale sia la politica economica del nostro Governo, o meglio si capisce: accanto al rinvio delle misure più importanti, un insieme di interventi eterogenei e, persino, contraddittori, nella logica di un provvedimento in stile «milleproroghe», in stile omnibus, piuttosto di un disegno coerente e organico di disposizioni incisive.
      Nel provvedimento, come nelle altre misure di questi mesi, non c’è una politica della domanda capace di far ripartire la produzione e i consumi, non c’è una politica di sostegno ai redditi, anche con misure fiscali che le allegeriscano il carico sul lavoro alle imprese, capace di dare respiro alle famiglie e attivare la domanda.
      Non c’è nemmeno il germe di una politica industriale capace di orientare lo sviluppo, le nostre vocazioni produttive, le eccellenze dei territori. Non c’è una politica dell'innovazione e della ricerca. Dico tutto questo perché un decreto con quel titolo avrebbe dovuto comprendere misure in questi settori e in questa direzione.
      Nel provvedimento c’è – mi si consenta l'espressione – uno «zibaldone» di misure molto parziali e limitate, su cui si sono dovute confrontare una dozzina di Commissioni e le caratteristiche di questo provvedimento omnibus fanno, appunto, di questo provvedimento l'oggetto di una discussione parlamentare faticosa, frenetica e che porta alla strozzatura del dibattito e, probabilmente, anche del voto.
      Che questo provvedimento possa rilanciare l'economia ci sembra molto difficile e, anzi, è sicuramente velleitario che possa succedere. In questo senso noi, come Sinistra Ecologia Libertà, diamo un giudizio negativo sulla filosofia, l'impostazione e l'indirizzo generale del provvedimento.
      Naturalmente, in ogni provvedimento omnibus ci sono anche delle cose giuste. In questo c’è sicuramente la messa in sicurezza delle scuole, anche se ancora in modo parziale, ci sono un po’ di soldi ai piccoli comuni per le opere essenziali, c’è lo sblocco parziale del turnover nelle università, c’è la garanzia della Cassa depositi e prestiti alle imprese per l'acquisto dei macchinari e il finanziamento di alcune misure sulla mobilità. Queste sono sicuramente alcune cose positive, ma ci sono anche molte cose negative che noi non ci sentiamo di condividere.
      Non condividiamo la soppressione o la riduzione delle tasse sulle barche di lusso. Non si capisce perché il proprietario di un'utilitaria debba pagare in proporzione 10, 20 volte di più di un proprietario di una barca del valore di 200, 300 mila euro. Dove è la giustizia sociale in tutto questo ? Ed è una barzelletta dire che il settore della nautica sarà rilanciato facendo risparmiare a dei ricchi benestanti o a delle società di comodo 1000 euro di tasse l'anno. Non è questo certo che li spaventa.
      Non condividiamo l'ulteriore liberalizzazione del commercio delle armi attraverso un articolo del decreto, l'articolo 48, che fa delle nostre Forze armate degli agenti di commercio per conto delle industrie belliche private. Non condividiamo l'ulteriore deregolamentazione in materia di ristrutturazioni edilizie, nonché i provvedimenti e le norme relative alla possibilità di demolire e ricostruire cambiando le sagome, all'allentamento della maglie nella concessione dei permessi di costruzione, di autorizzazioni preliminari che rischiano di allargare le maglie dei controlli e dei vincoli necessari a garantirci dal rischio di nuovi abusi ed illeciti in materia edilizia.
      Poi, si prevede anche in questo provvedimento che, ad esempio, gli stagisti lavorino gratis per i tribunali mentre in un altro provvedimento, quello del Ministro Giovannini sul lavoro, si dice che gli stagisti dovranno ricevere un compenso, seppure piccolo e modesto. Un caso di vera schizofrenia governativa, soprattutto se il primo a venire meno a questo impegno verso gli stagisti è proprio il Governo che li vuole tutelare.
      Poi ci sono altre misure che noi critichiamo. Ad esempio, riteniamo insufficienti le norme sulla liberalizzazione del Pag. 15wi-fi. Riteniamo pericolose le misure in materia di sicurezza sul lavoro con la modifica dell'articolo 32. Qui non si tratta di semplificare, qui si tratta di allargare ulteriormente le maglie delle regole. Riteniamo ambigue le misure sulla possibilità delle stazioni appaltanti di anticipare il 10 per cento alle imprese prima dell'inizio dei loro lavori. Ricordiamo che questa misura, il divieto dell'anticipo, era stata introdotta dopo Tangentopoli. Riteniamo non condivisibili le misure sulle privatizzazioni della giustizia civile. Riteniamo opaca la questione delle norme sulla governance dell'Agenda digitale e la stessa scelta delle opere pubbliche inserite in questo decreto ci lascia dubbiosi, perché più che, diciamo, una vera selezione delle priorità ci sembra che la scelta sia dovuta alla – come posso dire – individuazione dei territori di provenienza dei vari Ministri di questo Governo.
      Critichiamo molto anche la misura che ci sembra, diciamo, molto opaca per certi versi, della possibilità per la Croce rossa di avere 150 milioni di anticipi dalla Cassa depositi e prestiti in un modo che sicuramente non è trasparente.
      Concludo dicendo che noi non condividiamo – e questa è la cosa più importante – la sottovalutazione, contenuta nel decreto, delle misure necessarie per fronteggiare la crisi e rilanciare l'economia. Non c’è, come dicevo prima, una linea di indirizzo di politica economica che ribalti il paradigma delle politiche di austerity e che abbia un impatto realmente anticiclico e rimetta al centro la politica della domanda, il lavoro e la redistribuzione della ricchezza.
      Noi abbiamo provato a introdurre, con degli emendamenti, alcune modifiche in senso positivo. Ne abbiamo, diciamo, segnalate diverse di queste proposte. Alcune sono state approvate. Abbiamo anche chiesto un miglioramento della normativa sulla Tobin tax.
      L'emendamento è stato accantonato, ma il presidente Boccia si è impegnato in Commissione a riproporre la questione della riforma della Tobin tax attraverso un'iniziativa, qui alla Camera, rappresentata da un documento, un ordine del giorno e poi, ovviamente, da un testo di carattere legislativo che vada in quella direzione.
      Abbiamo presentato tante altre proposte: l'introduzione di fondi ad hoc per le politiche di incentivi, interventi per la riconversione ecologica dell'economia. Molte di queste proposte, come ricordavo, sono state bocciate ed è anche per questo che esprimiamo un giudizio negativo su questo provvedimento. Si tratta un provvedimento limitato e contraddittorio ed è tale perché contraddittoria e innaturale è la maggioranza che sta alla base del Governo e che ha scritto questo decreto-legge.
      È un decreto «zibaldone» perché il Governo è un Governo «zibaldone», incoerente e abborracciato. Non è una misura che rilancerà l'economia, non avrà un impatto anticiclico, come dicevo poc'anzi, e non produrrà le condizioni per creare nuovi posti di lavoro. È un insieme di misure frammentate che possono mettere qualche toppa e dare qualche contentino, senza realmente dare quell'impulso di cui avrebbe bisogno la nostra economia, che avrebbe in realtà bisogno di una politica economica capace di far uscire il Paese dalla crisi.
      È il «decreto del fare», ma si poteva e si può fare meglio, molto meglio. Si sarebbe potuto fare meglio se si fossero messe in campo misure di sostegno ben più significative a favore di un piano straordinario di investimenti pubblici, di redistribuzione della ricchezza e di un piano di lavoro di cui non c’è traccia. Il lavoro si crea con una politica della domanda, non con politiche di incentivi fiscali che funzionano una volta su dieci, come si è visto negli ultimi anni, e vedono svanire gli effetti una volta terminati gli interventi.
      Serviva e servirebbe una riduzione drastica della spesa pubblica, ma non quella del welfare, bensì quella delle spese militari, delle grandi opere, dei sussidi perversi, delle convenzioni con le strutture private nella sanità, come nell'istruzione.Pag. 16
      Concludo veramente il mio intervento: servirebbero misure fiscali progressive e giuste, e non la soppressione, come dicevo poco fa, della tassa sulle barche di lusso; piuttosto servirebbe una maggiore tassazione delle rendite e dei patrimoni, alleggerendo il carico fiscale su lavoro e imprese. Servirebbero misure per sostenere i redditi e i diritti, come reddito di cittadinanza, e politiche di welfare universali, non una social card rivisitata, come in un altro provvedimento si prevede, ma servizi sociali; non un bonus bebé, ma asili nido, non il credito per gli studenti universitari, ma borse di studio.
      Tutto questo nel «decreto del fare» non c’è e per questo ribadiamo il nostro giudizio negativo. Nelle prossime ore ci batteremo per migliorare, con nostri emendamenti, il provvedimento anche in Aula, ma stante le cose così come sono il nostro giudizio è contrario al provvedimento e ci batteremo per cambiare la politica economica di questo Governo nella direzione di misure espansive di sostegno al lavoro e ai redditi.
      Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

      PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione bilancio, onorevole Guidesi. Ne ha facoltà.

      GUIDO GUIDESI, Relatore di minoranza per la V Commissione. Signor Presidente, onorevoli deputati, gentile sottosegretario, abbiamo esaminato con attenzione e senza pregiudizi il decreto-legge n.  69, con la volontà di sostenere e condividere ogni misura, in una congiuntura economica i cui caratteri drammatici sono stati ormai riconosciuti unanimemente, che potesse avviare quel rilancio dell'economia a cui il decreto-legge avrebbe dovuto essere mirato.
      Alla luce del testo proposto dal Governo e dell'esame parlamentare fin qui svolto, possiamo affermare certamente che se la direzione in generale è apprezzabile, certamente la montagna, rappresentata da questo Governo delle larghe intese e delle larghe maggioranze, ha prodotto un vero topolino.
      A ciò si è aggiunto, durante l'esame da parte delle Commissioni referenti, un atteggiamento a nostro avviso poco costruttivo e poco rispettoso delle opposizioni e dell'efficacia del lavoro parlamentare, alternando attese senza senso alla presentazione precipitosa di interventi da parte di Governo e relatori, peraltro lasciando il lavoro a metà in molti punti, a causa della mancata approvazione da parte della Ragioneria generale dello Stato.
      Tutto questo ci ha portato coerentemente a non poter condividere la relazione di maggioranza.
      L'intento della presente relazione di minoranza non è quello di contestare le misure positive previste dal decreto-legge, ma di evidenziare quanto di più poteva e ancora può esser fatto, di stimolare (concedetecelo) ad avere più coraggio, a cogliere in questo momento di gravità eccezionale l'opportunità di fare riforme altrettanto eccezionali.
      Negli ultimi mesi l'ammissione collettiva che la mera politica di austerità ha impedito ai Paesi europei di reagire alla crisi mondiale ci lascia sperare che si possano produrre misure più coraggiose.
      Secondo noi questo dovrebbe significare anche affrancarsi da diktat ottusi, elaborati da istituzioni comunitarie ed internazionali prive di legittimazione democratica. Leggere la relazione introduttiva che il Governo ha premesso al decreto invece è desolante. Il provvedimento, stando al testo, non è stato messo a punto avendo come orientamento le condizioni del Paese, il modo migliore per favorire una ripresa orientata alla preservazione del tessuto industriale o dello stato sociale, nella dinamica tra categorie più consona a garantire il benessere dei nostri concittadini.
      Il Governo ha inteso con questo decreto solo adempiere puntualmente e compilativamente alle raccomandazioni rivolte all'Italia Pag. 17nel quadro del Semestre europeo 2013, presentate dalla Commissione europea con cui la Commissione stessa ha dato i compiti a casa a ciascuno degli Stati membri. Non occorreva che fosse la Commissione di Bruxelles a chiederci di diversificare l'accesso delle imprese ai finanziamenti. Bastava ascoltare davvero le nostre imprese che da almeno cinque anni sono strozzate da un sistema bancario che ha scaricato sul mondo produttivo i propri errori finanziari. Non occorreva che la Commissione ci dicesse che il Mezzogiorno deve impiegare i fondi ingenti che la politica di coesione mette a disposizione. Posto che quella è la parte del Paese che beneficia di stanziamenti nazionali e comunitari superiori a tutte le altre, ha il dovere non solo economico, ma morale, di non sprecare queste risorse, per incuria o incapacità, in un momento nel quale ogni euro potrebbe essere fondamentale per altre imprese ed altri territori.
      Certamente non ci siamo accorti ora che, con le parole della Commissione ancora una volta riportate dalla relazione del decreto, occorresse semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese.
      Riguardo al decreto, inoltre, stigmatizziamo la scelta operata dal Governo di far confluire in un unico calderone, decisamente eterogeneo, disposizioni che necessitavano di un approfondimento settoriale e delicato. Emblematico il caso delle norme riguardanti la giustizia, certamente non cosmetiche, ma che disegnano, anzi, una vera e propria riforma, sulle quali la Commissione di merito ha potuto riunirsi solo per poche sedute e limitarsi ad esprimere un semplice parere.
      Questo parere di minoranza è animato da positiva volontà, da parte nostra, di proporre all'Assemblea un contributo al testo in senso assolutamente migliorativo. Procedo pertanto alla disamina di alcuni degli articoli del provvedimento che riteniamo possano essere concepiti in maniera più efficace e sui quali il nostro gruppo ha presentato proposte emendative e migliorative sull'intento di richiamare l'attenzione del Governo, dei relatori e dei colleghi, chiedendo loro di sostenerle. In questo intervento mi limiterò a citarne alcuni. Stante il ridotto tempo a disposizione consegnerò poi il testo completo della mia relazione.
      Partirei dall'analisi delle misure che riguardano il comparto industriale. Il decreto che stiamo per convertire sembra compiere un timido passo verso una nuova fase di crescita, il quale non si ritiene tuttavia decisivo per ridare slancio all'economia italiana, in quanto privo di una visione politica di ampio respiro finalizzata a restituire competitività al tessuto produttivo del Paese. Una seria politica di rilancio del comparto produttivo italiano non può prescindere da una incisiva azione a sostegno delle micro, piccole e medie imprese, che affronti in maniera strutturale quelli che sono i maggiori ostacoli alla loro crescita, primo fra tutti l'accesso al credito; accesso al credito, appunto, che negli ultimi anni è di fatto diventato sempre più problematico sia per le aziende che, addirittura, per i privati, comportando un grave rallentamento all'interno del processo di produzione, vendita e consumo.
      L'articolo 1 del presente decreto si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso al Fondo di garanzia, alle piccole e medie imprese, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un ampio accesso al credito. Seppure in linea di principio l'intervento può essere condivisibile, bisogna tuttavia tener conto che per quest'anno le misure adottate avranno un impatto di poco rilievo sull'operatività del fondo. Infatti, l'adeguamento dei criteri di valutazione delle imprese per l'accesso al fondo stesso, verrà definito soltanto a fine 2013 con l'adozione di un decreto ministeriale. Noi abbiamo in primo luogo proposto che le risorse assegnate al fondo vengano ripartite tra le regioni in maniera proporzionale alla capacità contributiva di ciascuna regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di imprese, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed Pag. 18occupazionale, generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita di posti di lavoro.
      A nostro giudizio il decreto per favorire la ripresa economica avrebbe dovuto anche preoccuparsi di fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa nei territori nazionali. Abbiamo avanzato perciò una proposta, a nostro avviso interessante, che prende le mosse da sperimentazioni già avviate positivamente in regione Lombardia. Il nostro emendamento, respinto in Commissione dal Governo e dai relatori senza alcun approfondimento, propone di riconoscere alle regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive. Quest'ultimo è incentivato attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale. Con le nostre proposte di sostegno alle piccole e medie imprese abbiamo cercato e cerchiamo oggi con il consenso di quest'Aula di dare un ulteriore impulso alla crescita del Paese, impegnando le stesse imprese a non delocalizzare la produzione al di fuori dello Spazio economico europeo.
      L'articolo 2, sempre con l'obiettivo di accrescere la capacità di credito al sistema produttivo, consente alle imprese di accedere a finanziamenti a tasso agevolato per l'acquisto di nuovi macchinari. Tale iniziativa potrebbe avere effetti positivi sul tessuto imprenditoriale stimolando la ripresa dei consumi interni a vantaggio di tutti i comparti produttivi, specie quello manifatturiero. Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo constatare che le misure saranno operative soltanto a partire dall'anno successivo, rischiando di arrecare un danno alle imprese e non certo un beneficio, dal momento che lo slittamento al 2014 dei previsti benefici ha già prodotto il blocco degli ordini programmati. Anche qui la nostra proposta di anticipare all'anno in corso le misure di sostegno agli investimenti non ha trovato finora ascolto.
      L'articolo 3 stanzia ulteriori 150 milioni di euro per questi fantomatici «contratti di sviluppo» a valere sul Fondo per la crescita sostenibile. È un dispositivo che non sta funzionando – lo sappiamo – e non capiamo il motivo di usare altri 150 milioni di euro senza una verifica dell'efficacia dei progetti messi a punto fin d'ora. Lascio per cui, all'interno della relazione, ogni singola valutazione degli articolati, ripresentando i nostri emendamenti. Il gruppo ha ripresentato gli emendamenti che erano stati bocciati, comunque gli emendamenti che avevamo presentato a suo tempo, con l'intento di cercare di migliorare questo testo e con l'intento di creare qualcosa di concreto e non di lasciare – come detto precedentemente –, dopo il lavoro di una montagna intera, il frutto di un topolino.
      Ho già richiamato all'inizio l'intero capo III, relativo alla giustizia, che trova a nostro avviso una collocazione del tutto impropria in un decreto-legge come questo, ancor più in un decreto-legge che ha ad oggetto tematiche di altro segno.
      Condividiamo, tuttavia, con il Governo l'opinione che la giustizia necessiti di riforme necessarie e urgenti e avremmo voluto ben più significative. Sono stati depositati dal nostro gruppo diversi emendamenti che, in merito ai giudici ausiliari, pur confermando l'istituzione di questa figura di giudice temporanea per smaltire l'arretrato, chiedevano che vi accedessero gli avvocati e i ricercatori.
      Il nostro giudizio complessivo sul provvedimento al momento non può, dunque, essere positivo per i tanti obiettivi non colti e per la scarsa incisività delle misure adottate, anche laddove la direzione intrapresa è giusta. Riteniamo che il lavoro dell'Assemblea e in Assemblea sugli emendamenti presentati possa essere migliorativo e che questa possibilità non debba andare sprecata.

      PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Guidesi. Lei, come precedentemente l'onorevole Marcon, può consegnare il resto del Pag. 19testo che non siete riusciti a esplicare in Aula per la pubblicazione in calce al resoconto della seduta.
      Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

      CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, vorrei prima di tutto ringraziare i componenti delle Commissioni I e V, come anche delle altre Commissioni che hanno fornito i loro pareri sul provvedimento, per il lavoro fatto in questi giorni, che credo sia stato un lavoro importante, di miglioramento del testo.
      Il Governo giudica il testo migliorato dal lavoro parlamentare rispetto al testo come era entrato nelle Commissioni. E qui un ringraziamento particolare vorrei farlo ai due presidenti, l'onorevole Boccia e l'onorevole Sisto, che hanno anche fatto da relatori, per il lavoro svolto insieme che è stato un lavoro di confronto, a volte anche molto dialettico, ma molto costruttivo.
      Per il Governo è molto importante che si sia arrivati ad un testo condiviso dalle Commissioni e che su questo testo il Governo si impegni a lavorare e a portarlo avanti qui, nel lavoro d'Aula. Infatti per il Governo è molto importate che sia il testo delle Commissioni ad essere il testo che viene discusso in Aula e che, quindi, i lavori delle Commissioni abbiano potuto completarsi e portare ai miglioramenti che dicevamo.
      Non riassumerò tutti i punti del provvedimento, già richiamati dai relatori e dagli interventi che mi hanno preceduto. Però vorrei sottolineare come il provvedimento, pur nella sua ampiezza e articolazione, ha un significato di fondo per la possibilità di accelerare una ripresa economica del nostro Paese. Non mi soffermerò sul Titolo III, di cui il presidente Sisto ha chiarito bene i tratti fondamentali, ma ricordo come il tema della giustizia civile, della sua celerità e affidabilità è un tema fondamentale per la stessa possibilità di ridare fiato all'economia italiana. Come pure importante è il Titolo II, sulle semplificazioni, dove proprio la possibilità di rendere fluido il rapporto tra cittadini e imprese, da una parte, e pubblica amministrazione, dall'altra, sia un elemento essenziale per il buon funzionamento dell'economia. A questo riguardo segnalo in particolare tra i miglioramenti introdotti dei lavori di Commissione l'emendamento che assegna per i farmaci a più alto contenuto innovativo un termine di 100 giorni all'AIFA per l'autorizzazione alla immissione in commercio, quindi accelerando l'ingresso di questi farmaci in Italia. Questo ha un significato oltre che per la salute dei cittadini anche per l'attrattività del nostro Paese nei confronti delle imprese farmaceutiche.
      Ricordo gli emendamenti presentati all'articolo sull'Expo 2015 che rafforzano il ruolo dell'Expo come volano per la presenza italiana nel mondo e per la competitività dell'economia italiana, e sottolineo ancora le semplificazioni in materia di DURC e, come già richiamava anche il presidente Sisto, i chiarimenti che sono stati introdotti grazie al lavoro delle Commissioni sull'articolo 30 e sul ruolo dei sindaci nel definire le zone dove le semplificazioni di procedure autorizzative, attraverso la cosiddetta SCIA, possono aver luogo e le zone in cui, invece, queste devono rispettare comunque dei vincoli maggiori.
      Passando al Titolo I, in questa rapida rassegna, credo che qui vi siano alcune misure di grande rilievo per l'economia italiana. Prima di tutto: le misure riguardanti il Fondo centrale di garanzia, dove il Governo prevede un potenziamento delle risorse a disposizione e una messa a punto dei criteri di accesso al Fondo affinché un maggior numero di piccole e medie imprese possa utilizzare il Fondo e, sulla base del Fondo, finanziare la propria attività. In una fase come sappiamo difficile dal punto di vista del credito alle imprese questa è una misura fondamentale, a cui il Governo dà grande importanza, e ricordo come nel lavoro delle Commissioni siano stati introdotti due temi importanti, cioè sia stato previsto che l'accesso al Fondo centrale di garanzia è esteso alle imprese sociali ed è per la prima volta esteso anche ai professionisti.Pag. 20
      In secondo luogo, l'articolo 2 prevede il finanziamento agevolato per l'acquisto di macchinari e impianti e attrezzature per le imprese.
      Segnalo che questo punto ha un effetto leva molto importante sulle risorse private e quindi – mi sia consentito di sottolinearlo – ha un effetto proprio sul versante della domanda aggregata, via potenziamento degli investimenti delle imprese, a rilancio degli investimenti delle imprese, una componente della domanda aggregata in questi anni mortificata e che ha limitato le nostre capacità di crescita. Inoltre, questo effetto leva sulla domanda aggregata avviene proprio su un terreno – cioè quello degli impianti – che rafforza le capacità di crescita di lungo periodo dell'economia. E qui di nuovo un altro miglioramento nelle Commissioni, con il chiarimento che a questo tipo di finanziamento possono accedere anche le microimprese.
      Sui contratti di sviluppo vorrei sottolineare come l'articolo 3 consente l'applicazione dei contratti di sviluppo – e dà una dotazione a questo riguardo di 150 milioni – per imprese situate fuori delle regioni dell'obiettivo convergenza e quindi anche delle imprese del Centro-nord. Questo è un elemento importante, di cui abbiamo sentito il bisogno proprio di fronte alle crisi che investono alcune imprese anche del Centro-nord e per le quali questo strumento può avere effetti importanti.
      Le misure sull'energia hanno effetti complessivi di riduzione del costo dell'energia nel nostro Paese e poi sono importanti le misure di accelerazione nell'utilizzo dei fondi strutturali europei. Ancora, misure di rafforzamento dell'Agenda digitale e di rilancio delle infrastrutture: c’è un Capo III del Titolo I dedicato alle infrastrutture. È una parte articolata e complessa del decreto-legge, noi la riteniamo di grande importanza. Mi sia consentito richiamare in particolare la norma cosiddetta sblocca cantieri, che quindi consente di finanziare una serie di opere che sono già in atto o cantierabili e che, grazie a questa norma, potranno decollare rapidamente.
      L'altra norma che vorrei ricordare, molto importante per il futuro infrastrutturale del nostro Paese, è quella che migliora l'assetto del credito di imposta per progetti infrastrutturali approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.
      Nell'insieme crediamo che questo sia un provvedimento che va nella direzione di cui l'economia e la società italiana hanno bisogno. Il provvedimento, come dicevo all'inizio, è risultato nettamente migliorato dal lavoro delle Commissioni, e crediamo che sia molto positivo che all'esame dell'Aula arrivi appunto questo provvedimento con tutte le modifiche varate dai lavori delle Commissioni.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

      ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione che giunge in Aula oggi interviene su una moltitudine di settori e contiene una notevole quantità di disposizioni ampie e complesse, molto spesso eterogenee fra loro, che si inseriscono all'interno di un contesto europeo più generale, rappresentato dalle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività rappresentata dal Semestre europeo per il 2013 e presentate dalla Commissione europea lo scorso maggio. L'impianto normativo, a seguito di un ampio, approfondito e certamente complesso esame predisposto dalle Commissioni affari costituzionali e bilancio, riunitesi nelle scorse settimane a partire dallo scorso 2 luglio, è stato certamente migliorato sotto il profilo della qualità, dell'efficienza e della valutazione dell'impatto sulle norme vigenti attraverso un'intensa attività emendativa, anche grazie al contributo di tutti i colleghi di tutti i gruppi parlamentari.
      La qualità delle disposizioni del provvedimento approvato nelle Commissioni Pag. 21riunite risulta dal complesso condivisibile e coerente sia con i saldi e i vincoli di finanza pubblica sia con l'obiettivo comune ed unificato di sostenere il tessuto socio-economico nazionale, per rafforzare le prospettive future dell'economia italiana, avvolta dalla morsa di una crisi economica, certamente la più intensa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Le criticità delle condizioni economiche e sociali del Paese, gli effetti recessivi e regressivi che ormai da sei anni si stanno manifestando sull'economia reale, facendo indietreggiare il tenore di vita di larghi strati della popolazione, impongono scelte urgenti e coraggiose per chi è alla guida del Paese.
      Il provvedimento, pertanto, si inserisce all'interno di quelle ulteriori misure di rilancio già approvate dal Parlamento nel corso di questo inizio di legislatura, attraverso i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese, gli interventi di alleggerimento del peso fiscale sul settore immobiliare e sulle imprese, il sostegno ai lavoratori disoccupati attraverso il ricorso ai sussidi previsti per la cassa integrazione e le misure di incentivo relative agli ecobonus. Tutti interventi che, attraverso la decretazione d'urgenza, rappresentano un insieme di misure che, nella loro complessità, si intendono indirizzate e concentrate in un'azione comune rivolta proprio a sostenere le famiglie e le imprese, con un unico obiettivo di rilanciare la ripresa e i consumi interni e migliorare, pertanto, i tristi numeri del prodotto interno lordo, che ha perso ben sette punti percentuali rispetto al 2007.
      Pertanto, nonostante i ristretti ambiti su cui intervenire, considerando i margini di spesa pubblica ridottissimi a causa dei vincoli di bilancio europei e degli impegni internazionali presi per il pareggio di bilancio, il decreto-legge che ci accingiamo a discutere e a votare in questa settimana ritengo possa essere valutato positivamente. Nell'ambito dei contenuti del provvedimento che ci apprestiamo oggi a votare, il disegno di legge di conversione, inizialmente, così com’è stato già ricordato, composto da ottantasei articoli, suddivisi in tre titoli, che recano rispettivamente misure per la crescita, per la semplificazione, per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile, prevede, nella prima parte, una serie di misure per il sostegno alle imprese, per il potenziamento dell'Agenda digitale italiana e per il rilancio delle infrastrutture.
      Tra le disposizioni più significative e di maggior rilievo previste all'interno del Capo I del Titolo I evidenzio, nella prima parte, le misure rivolta alla crescita e allo sviluppo attraverso l'estensione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese anche ai professionisti nel limite di assorbimento delle risorse non superiore al 5 per cento. È prevista, inoltre, la possibilità del credito agevolato per i macchinari, la cosiddetta «nuova legge Sabatini», inizialmente limitata alle piccole e medie imprese, allargata anche alle microimprese e ai settori dell'agricoltura e della pesca. Inoltre, saranno agevolati anche i finanziamenti concessi dalle società di leasing, oltre a quelli concessi dalle banche. Ulteriori interventi di semplificazione in materia fiscale volti a sostenere l'economia sono le modifiche alla disciplina delle responsabilità fiscali negli appalti, l'abrogazione del modello relativo alla semplificazione della dichiarazione annuale presentato dai sostituti d'imposta. Inoltre, si prevede una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità. In particolare, si estende fino a dieci anni, fino a centoventi rate mensili, la possibilità di rateizzazione del pagamento delle imposte nei casi di comprovata difficoltà.
      Grazie ad una proposta emendativa approvata e presentata dal gruppo del PdL, non potrà essere sequestrato da Equitalia o dall'agente della riscossione il macchinario o il bene mobile se l'azienda o il professionista dimostreranno che esso è strumentale alla propria attività. Si completa il federalismo demaniale, con il trasferimento agli enti locali di immobili pubblici attualmente gestiti dalle amministrazioni statali. Sono previsti, inoltre, interventi Pag. 22di sostegno anche per il trasporto pubblico locale con la disposizione che ripiana i debiti regionali. In tema di energia, ricordo come il provvedimento prevede l'estensione per il GPL, oltre che per il metano, dell'accesso al Fondo per la regionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti. Nel settore delle energie rinnovabili si introduce, invece, il meccanismo di regime di uscita graduale degli incentivi per i titolari di impianti alimentati da bioliquidi.
      Per recuperare i livelli di competitività in ambito agricolo, il decreto-legge stabilisce, inoltre, la riduzione dell'accisa sul gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra pari al 22 per cento rispetto all'aliquota ordinaria che viene ridotta a 25 euro per mille litri. Nel programma «6.000 campanili» è, inoltre, estesa per i piccoli comuni la realizzazione di reti infrastrutturali telematiche. Ricordo, inoltre, che, all'interno del medesimo piano, sono previsti finanziamenti pari a 100 milioni di euro a valere sui fondi strutturali comunitari. Segnalo alcune norme sulla digitalizzazione dei servizi, che intervengono su materie già oggetto in tempi recenti di altri provvedimenti d'urgenza in materia di Agenda digitale che seguono quelle del decreto-legge n.  70 del 2011, il «decreto sviluppo» del Governo Berlusconi, e di due decreti del Governo Monti, rispettivamente n.  83 e n.  179 del 2012.
      L'insieme delle suindicate norme, che si inseriscono all'interno di quelle disposizioni introdotte dal Governo Berlusconi nel recente passato, proseguono, quindi, nella realizzazione di quelle misure di rilancio da cui l'Italia non può prescindere in tema di modernizzazione dei servizi per le imprese e ai cittadini e, quindi, per l'intensificazione della diffusione della banda larga e ultralarga fortemente sostenuta nel recente passato dall'ex Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Brunetta.
      In materia di spending review, si introduce la figura del Comitato interministeriale in forma permanente e sarà presieduto da un commissario che dovrà presentare, entro venti giorni dalla nomina, il programma.
      Per l'Expo 2015, il comune di Milano potrà utilizzare la tassa di soggiorno per finanziare la Milano 2015 City Operations, che rappresenta il piano per l'immagine turistica della città.
      Il disegno di legge di conversione, inoltre, prevede aree di intervento attraverso un corposo numero di norme per il rilancio di infrastrutture, edilizia, urbanistica. Il provvedimento interviene, infatti, con numerose norme, alcune delle quali di rilevante interesse, finalizzate ad avviare tempestivamente una serie di opere pubbliche e consentire, in una fase attuale di crisi economica così depressiva, una ripresa di un settore, qual è quello delle costruzioni, così pesantemente investito dal calo della produzione.
      Un'ulteriore norma che rafforza i segnali d'importanza del rilancio socio-economico che il decreto-legge configura è l'ulteriore stanziamento per l'edilizia scolastica. Inoltre, ai 300 milioni di fondi INAIL previsti per il piano di manutenzione straordinaria, se ne aggiungono altri 150, che si indirizzeranno per un successivo piano prioritariamente rivolto per lo smaltimento dell'amianto. Nel capitolo semplificazioni, un ulteriore gruppo di norme riguarda gli interventi in materia ambientale. Si tratta di disposizioni aventi l'obiettivo di semplificare le norme ambientali, al fine di determinare ricadute significative per la diminuzione di oneri a carico degli operatori interessati ed accelerare le procedure amministrative relative agli interventi, con positive conseguenze per la crescita delle attività economiche interessate. Tali obiettivi sono perseguiti senza diminuire le garanzie di tutela delle risorse ambientali.
      Sempre in materia di infrastrutture, c’è il Piano nazionale per la sicurezza stradale e, inoltre, sempre in materia stradale e di disposizioni relative al codice della strada, ritengo opportuno rilevare come la proposta emendativa avanzata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, favorevolmente accolta dalle Commissioni riunite, Pag. 23che stabilisce lo sconto del 30 per cento sulle multe pagate entro cinque giorni, consentirà senz'altro di ridurre i tempi per l'amministrazione dello Stato dei dovuti incassi, favorendo, pertanto, un gettito finanziario più immediato e consentirà, dall'altro lato, un onere più leggero per i trasgressori.
      Sono previsti, ancora, interventi in favore di un settore strategico e fondamentale per il Paese, ovvero il sistema portuale.
      Un altro novero di misure dirette in materia di semplificazioni sono quelle rivolte alla ricerca fondamentale industriale all'università e agli enti ricerca e prevedono una pluralità di interventi volti a favorire lo sviluppo dell'attività tramite il sostegno del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      ROCCO PALESE. Con la parte finale del provvedimento si interviene in una serie di ambiti volti a migliorare l'efficienza – sono alla fine, signor Presidente – del sistema giudiziario, giudicato dalla Banca mondiale il tallone d'Achille del nostro sistema economico. Si introducono misure per la definizione del contenzioso civile, attraverso la riduzione di quanto risulta pendente, nonché l'incremento dei giudici ausiliari, con la nomina di una platea di figure professionali specifiche e determinate in grado di aggredire ed incidere adeguatamente il grave arretrato civile esistente presso gli uffici a livello nazionale.
      Onorevoli colleghi, il decreto-legge, in considerazione della moltitudine delle disposizioni previste ed evidenziate nelle considerazioni precedentemente esposte, che rilevano le numerose aree di intervento che coinvolgono nella sostanza l'intero ordinamento dell'amministrazione statale, intende perseguire nella realizzazione degli impegni intrapresi da questo Governo, caratterizzato dalla sua natura emergenziale.
      Sul piano della politica economica, finanziaria e sociale, dell'iniziativa europea e, insieme, del cronoprogramma di 18 mesi per le riforme istituzionali già partito anche in Parlamento con il primo voto sulla legge costituzionale che ne faciliterà il percorso, il decreto-legge oggi all'esame, per quanto migliorabile e perfezionabile – come, del resto, qualsiasi altro testo –, è tutto rivolto, nonostante le esigue risorse finanziarie disponibili, a stimolare la ripresa economica, ancora ardua, e innestare meccanismi virtuosi, in grado uscire finalmente dal tunnel di una crisi insopportabile, in favore delle imprese e delle famiglie italiane.
      Altre misure d'urgenza sono all'esame del Governo e del Parlamento, relative alle soluzioni di politica fiscale, economica e del lavoro. Necessita, pertanto, a mio avviso – e concludo –, un comune senso di urgenza e di determinazione da far valere anche nel contesto europeo.
      Do atto ai rappresentanti del Governo nelle Commissioni di aver svolto non solo una presenza costante, ma anche un proficuo confronto: e questo era doveroso affermarlo anche in quest'Aula.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonafede. Ne ha facoltà.

      ALFONSO BONAFEDE. Signor Presidente, colleghi, mai come oggi, la discussione sulle linee generali di un provvedimento è destinata ad apparire come una Babele di istanze, parole d'ordine, slogan più o meno elettorali; un coro stonato di voci che si accavallano l'una sull'altra, per parlare di coltivazioni in serra, di certificati medici di gravidanza, di cooperazione allo sviluppo, mentre il sottoscritto è chiamato ad analizzare, suo malgrado, i temi della giustizia civile.
      Non so cosa sia un decreto omnibus se questo non è un decreto omnibus. Verrebbe da chiedersi, tra l'altro, se tutta questa carne al fuoco sia dovuta alla presenza di un ventaglio di riforme epocali che, dall'ambiente al fisco, dalla giustizia alla sanità, stiano per cambiare, finalmente, il volto dell'Italia. Verrebbe da chiederselo in un Paese in cui il Governo ha veramente a cuore gli interessi della Pag. 24gente. Ovviamente non ce lo chiediamo nemmeno in Italia, dove c’è un Governo che ha a cuore soltanto la propria sopravvivenza e, conseguentemente, la sopravvivenza di quel sistema del politichese che ha devastato l'Italia. Ancora una volta il Governo sta semplicemente costringendo il Parlamento a digerire l'ennesimo decreto-legge che, con la scusa dell'urgenza, ha l'unico obiettivo gattopardesco di legiferare su tutto per non legiferare su niente, di alzare un polverone per convincere i cittadini, grazie ad un sistema di informazione compiacente, che qualcosa, in fondo, il Governo la sta facendo. In altre parole, il decreto «del fare» può già essere ribattezzato come il decreto «del fare finta di fare». Vi sono tanti articoli, tanti temi che hanno costretto le Commissioni a un lavoro molto intenso, a tratti forsennato, riducendo talvolta, forse volutamente, lo spazio per doverosi supplementi di approfondimento. Il nostro gruppo, in Commissione Giustizia ha seguito con attenzione l'iter del provvedimento; abbiamo proposto un articolato parere di minoranza e depositato più di cento emendamenti, nessuno dei quali con intenti ostruzionistici. Abbiamo valutato con attenzione il contenuto degli articoli al nostro esame e siamo riusciti a formulare proposte utili, ne siamo certi, per un concreto miglioramento del testo. Insomma, non ci siamo sottratti al contraddittorio e abbiamo avanzato le nostre proposte.
      Tuttavia, un punto deve essere chiaro: il pacchetto giustizia, contenuto nel decreto «del fare finta di fare» rappresenta una vera e propria aberrazione giuridica, una congerie delirante di norme che hanno lo scopo principale di degradare e relegare la giustizia all'ultimo posto delle pseudo priorità del nostro Paese, una serie di interventi raffazzonati con un'approssimazione sconcertante, la totale assenza di una visione di insieme o di un brandello di prospettiva, sono tutti elementi che fanno emergere la figura di un Ministro chiamato a garantire che non devono esserci investimenti nella giustizia e che qualsiasi modifica o riforma deve essere a costo zero. Quello che però questo Governo non capisce è che, in settori nevralgici della società, non possono esistere riforme a costo zero perché, se esistono, allora vuol dire che, in quel momento, c’è qualcuno che il costo lo paga e in maniera sempre più salata; quel cittadino si chiama cittadino italiano.
      Dico subito, perché non so se avremo l'opportunità di ripeterci successivamente, vista l'imminenza della possibile questione di fiducia, che l'emendamento principale, quello che sostanzialmente riassume il punto di vista del MoVimento 5 Stelle sul titolo III del decreto del «fare finta del fare» consiste, appunto, nella soppressione e nello stralcio dello stesso titolo III. Abbiamo chiesto e chiediamo lo stralcio dal decreto-legge delle misure sulla giustizia perché tali disposizioni vanno a modificare il diritto processuale (mi riferisco alle modalità di accesso al processo civile e alla reintroduzione dell'obbligatorietà della mediazione), incidendo sulla tutela del diritto costituzionale alla difesa in giudizio. Abbiamo chiesto e chiediamo al Governo lo stralcio, dal decreto-legge, delle misure sulla giustizia perché la materia dell'ordinamento giudiziario è soggetta ad una riserva di legge sancita dalla Costituzione, una riserva di legge posta a salvaguardia del principio di separazione dei poteri e in particolare dell'indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo. Chiediamo lo stralcio del titolo III perché gli stessi presupposti di necessità e urgenza sono di fatto sconfessati da numerose norme la cui effettività è procrastinata oltre 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge e, addirittura, alcune fino a sei mesi dalla conversione del decreto-legge; ci chiediamo come si possa parlare di urgenza. Ne abbiamo chiesto lo stralcio perché questo Parlamento deve essere rispettato e ne abbiamo chiesto lo stralcio perché la giustizia deve essere rispettata.
      Il decreto-legge è arrivato in Commissione Giustizia chiaramente privo di qualsiasi collegamento con la realtà; ci siamo attivati, tutti, per cercare di fare tutto il Pag. 25possibile per ascoltare le categorie di operatori del diritto e per avere il loro contributo.
      Un contributo che si è rivelato in Commissione preziosissimo. Abbiamo dovuto fare, insomma, quello che non aveva fatto il Ministro. Per il futuro, se il Ministro Cancellieri comincerà ad ascoltare veramente i cittadini per apprendere e non per levarseli dai piedi, farà certamente un favore, oltre che a se stessa, anche al Paese intero. La Commissione ha presentato alcune proposte che si sono infrante con un vero e proprio muro di indifferenza. C'erano alcune proposte su cui eravamo praticamente tutti d'accordo: qualcuno dovrebbe spiegarci come è possibile che maggioranza e opposizione concordano su alcuni punti e poi questi punti non vengono approvati. Ciò perché, francamente, come opposizione ci troviamo in difficoltà in Commissione nel non avere un interlocutore. Ci ritroviamo a parlare con la maggioranza, a volte siamo d'accordo e ci viene detto, però, che il Governo su quei punti non si trova d'accordo, ma fino a prova contraria il Governo dovrebbe essere espressione della maggioranza. Come facciamo a fare opposizione se non possiamo avere un interlocutore ? Il MoVimento 5 Stelle condivide le preoccupazioni dei cittadini sui nodi legislativi, procedurali e di funzionamento – o meglio di non funzionamento – della giustizia civile nel nostro Paese, ed è prontissimo a lottare per operarne una radicale rivisitazione. Ma proprio per garantire una riforma che sia veramente tale e che sia allo stesso tempo duratura perché condivisa riteniamo che le misure relative alla giustizia debbano essere stralciate dal cosiddetto decreto del fare, non per essere abbandonate, ma per essere trasformate in disegni di legge da sottoporre all'esame del Parlamento nelle forme ordinarie, rispettose di quella funzione legislativa che la Costituzione riconosce al Parlamento. Diciamo subito che il pacchetto giustizia del decreto «del fare» – e così entriamo nel merito – tenta di risolvere i problemi dell'eccessivo carico di giustizia semplicemente impedendo ai cittadini di accedere alla giustizia. Insomma, sei un cittadino e pensi che il tribunale funziona male ? Semplice, non ci vai in tribunale. Torna l'obbligatorietà della mediazione, che solo grazie all'approvazione di un nostro emendamento non sarà a pagamento se con esito negativo. Successivamente, quando il cittadino accede in tribunale, il giudice è obbligato a proporgli una soluzione conciliativa. In caso di fallimento del tentativo, il giudice può ordinare al cittadino, fino al secondo grado, di tornare presso un istituto di mediazione. Nel caso in cui una parte arrivi in fondo al processo senza aver accettato le proposte di conciliazione rischia anche conseguenze sulla decisione finale. Praticamente è un continuo cercare di convincere il cittadino ad andare via dal tribunale. Ora, se la direzione doveva essere proprio questa, allora tanto valeva che il decreto prevedesse che, dopo il raggiungimento di un certo numero di cause, venisse posta una transenna o un cartello davanti al tribunale con la scritta «vietato l'ingresso». Al limite, si poteva chiedere al Ministro dell'interno o alla polizia municipale di apporre transenne o cartelli, tanto poi la colpa sarebbe stata della polizia municipale e nessuno avrebbe assunto alcuna responsabilità. Tutto il nuovo sistema è finalizzato a convincere il cittadino a non accedere alla giustizia, con grave violazione dell'articolo 24 della Costituzione. Ma ammettiamo che le parti riescano finalmente ad accedere alla giustizia e a portare avanti una causa fino in fondo: che tipo di giustizia trovano i cittadini italiani ? Anche qui si apre una pagina di non sensi economici, giuridici e sociali. Ovviamente non viene fatto alcun investimento nel settore e per diminuire il carico giudiziario a costo zero il decreto «del fare finta di fare» assume a prezzi mortificanti giudici, magistrati, avvocati e ricercatori anche a riposo e gli chiede di andare a fare i giudici. Nessun concorso, quindi, perché non ci sono soldi. Viene creato sostanzialmente un sistema in cui vengono reclutati esternamente e provvisoriamente 400 giudici, una sosta di cottimizzazione della funzione del giudice. Entriamo però, per un attimo – e con Pag. 26grande difficoltà, lo confesso –, nella non logica del decreto: io Governo, io Paese, ho bisogno di giudici, chiamo alcuni operatori del diritto e li pago fino a un massimo di 20 mila euro all'anno per venire a fare i giudici. In altre parole, sottopago persone competenti che tanto di questi tempi accettano qualsiasi cosa. In questa non logica, il MoVimento 5 Stelle aveva almeno proposto che venissero esclusi soggetti che non hanno bisogno di soldi, come giudici e notai, soprattutto se sono a riposo. È inutile dire che questa proposta non è stata presa in considerazione.
      Vi è di più. Siamo ancora alla ricerca, e ci piacerebbe che il Governo lo spiegasse in questa sede perché francamente non riusciamo a risolvere il mistero, siamo alla ricerca, dicevo, del motivo per cui il limite di età per gli avvocati è di 60 anni mentre per le altre categorie è di 75 anni; siamo in attesa di un report scientifico del ministro Cancellieri che dimostri che gli avvocati a 60 anni hanno una minore capacità di intendere e di volere rispetto alle altre categorie, evidentemente.
      La verità è che il famoso fuori onda in cui il ministro dice di andare a parlare con gli avvocati per levarseli dai piedi, è l'emblema di un approccio sbagliato, palesemente ed ingiustificatamente contrario ad una categoria di operatori che chiedevano soltanto di poter essere ascoltati.
      Altro punto importante: per evitare piccoli e grandi conflitti di interesse avevamo presentato un emendamento che impediva ai politici, anche a livello locale, di poter svolgere la funzione di giudice ausiliario nei cinque anni successivi alla decadenza del proprio mandato. È incomprensibilmente ovvio, però, che questo emendamento è stato respinto.
      Ma l'assunzione dei giudici ausiliari provvisori non bastava, i giudici avranno bisogno di aiuto, nessun problema avrà pensato il Ministro della giustizia, di questi tempi ci sono tantissimi ragazzi che non hanno lavoro e accettano tutto, facciamoli venire a lavorare per la giustizia gratuitamente con la scusa che comunque è un'esperienza formativa. Sia chiaro, l'ufficio del processo è una grande innovazione e l'esperienza virtuosa del tribunale di Firenze merita di essere estesa perché ha avuto grande successo in termini concreti, ma non si può pensare che il Governo approfitti della situazione di precariato dei giovani e della loro volontà di imparare per implementare manodopera a costo zero. Avevamo proposto, tutta la Commissione lo avevo proposto, quindi tutte le forze politiche qui presenti, di prevedere una indennità o una borsa di studio; ovviamente non è stata accolta questa proposta.
      Il Governo si propone sostanzialmente di sfruttare i giovani laureati per risolvere i problemi della giustizia. In verità, il Governo avrebbe trovato una soluzione: l'unica possibilità di compenso previsto per gli stagisti impiegati presso gli uffici giudiziari è l'apporto finanziario di terzi. Ora, prima di formulare certe norme, per giunta con un decreto-legge, vorremmo sapere se il Governo in questa sorta di discount della giustizia ha immaginato quali possano essere soggetti terzi, privati, interessati a finanziare a fondo perduto giovani precari a cui, tra l'altro, viene consentito l'accesso ai fascicoli giudiziari; ci chiediamo quali potranno essere gli interessi e anche le pretese, anche non giustificate, di quei terzi che finanzieranno privatamente la giustizia.
      Ma mettiamo, in questa sorta di calvario che è diventato il processo, che le parti riescano ad arrivare alla fine del processo: è finalmente il momento della sentenza tanto agognata dalle parti. L'articolo 79, leggermente migliorato grazie a un nostro emendamento, riduce la motivazione ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata. La sentenza, che è l'atto finale di un processo spesso lungo e tormentato, viene praticamente ridotta a brandelli; il cittadino paga, col suo denaro e con il suo tempo, una giustizia che si auto mortifica prevedendo la possibilità di una sentenza che è concisa perché, parliamoci chiaramente, non deve mettere le parti nelle condizioni di impugnarla e poter ricorrere in appello. Insomma, come si fa se ci sono troppe cause in appello ? Pag. 27Semplice, rendiamo le sentenza di primo grado incomprensibili e concise così nessuno andrà in appello. Tutto questo ovviamente in totale spregio del diritto di difesa e dell'obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali sanciti rispettivamente agli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione.
      Presidente, non voglio dilungarmi oltre sulle criticità presenti nel decreto in esame, anche perché probabilmente farei notte e ho un tempo limitato; tra le tante ho voluto citarne solo alcune e mi auguro che magari, a partire dalla mediazione obbligatoria, avremo modo di affrontarle puntualmente in sede di illustrazione degli emendamenti. Ma è il momento di dire basta alla mercificazione dei settori centrali che incidono sul livello di civiltà di questo Paese. Il decreto «del far finta di fare» è l'emblema di uno Stato che ha perso di vista i propri obiettivi centrali.
      Allo stato attuale il messaggio del Governo e del Ministro Cancellieri è chiarissimo: il problema del malfunzionamento della giustizia va risolto alla radice, basta eliminare la giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

      DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, il «decreto del fare» è sicuramente un intervento legislativo ampio, eterogeneo e che ha, comunque, un filo conduttore: quello di cercare di dare impulso al nostro sistema economico e produttivo, e quindi risollevare le sorti dell'Italia.
      In questo decreto-legge una larga parte, il Titolo III, è dedicata alla giustizia. Soprattutto la giustizia civile ha misure organizzative e ordinamentali. Lo stato della giustizia civile costituisce, senza dubbio, uno dei fattori esogeni di svantaggio competitivo della società italiana, in particolare per chi produce e lavora, considerato che l'Italia si colloca al 158o posto nel mondo per indice di efficienza di recupero del credito a causa dei tempi lunghi, che la durata media dei procedimenti civili per il recupero dei crediti è di 1.210 giorni e che sono in costante aumento, purtroppo, le condanne dell'Italia per la durata non ragionevole dei processi.
      Ecco che quindi la giustizia ha avuto questa larga parte all'interno di un provvedimento che vede, però, come Commissioni referenti la Commissione bilancio e la Commissione affari costituzionali. A questo la Commissione giustizia ha cercato di ovviare dando un proprio contributo costruttivo a seguito di un parere a una serie di emendamenti presentati all'esito di un'indagine conoscitiva complessa e articolata, che ha cercato di focalizzare i punti critici per migliorare quel Titolo III e cercare di dare un apporto effettivo alle norme che riguardano la giustizia civile e la materia ordinamentale.
      Siamo consapevoli – lo auspichiamo, comunque – che il Governo, nei prossimi interventi, individui un percorso che preveda la presentazione di disegni di legge che abbiano come referente la Commissione giustizia.
      Infatti, riteniamo che, pur nell'urgenza di questa questione, di come è stata affrontata e su cui noi abbiamo cercato di lavorare, dando il massimo apporto da parte di tutte le forze politiche rappresentate in Commissione, certamente una riflessione attenta da parte della Commissione che è deputata all'esame di provvedimenti che attengono in via strutturale alla giustizia credo che sia comunque il fine ultimo che dobbiamo perseguire.
      Partiamo da quella che è stata l'individuazione della nuova figura del giudice ausiliario, che andrà a integrare i collegi di appello, giudice ausiliario onorario, che potrà al massimo durare in carica cinque anni, con una sola proroga. Questo è l'emendamento che è passato in Commissione; quindi, massimo dieci anni in tutto.
      Non siamo favorevoli alle misure straordinarie di ingresso all'interno dell'ordine giurisdizionale, ma, per aggredire l'arretrato civile, che ormai ha raggiunto cifre mostruose, che impediscono anche di dare rilievo a quella che è la produttività, Pag. 28alta, nell'ambito della giurisdizione civile sui flussi in entrata correnti, era necessaria una misura straordinaria.
      Su questa linea, si è cercato di non ripetere gli errori delle sezioni stralcio che furono istituite qualche anno fa, ma di individuare figure che vadano ad integrare i collegi, che debbano garantire una certa produttività e che, quindi, debbano, in qualche modo, garantire anche un livello alto di professionalità.
      Ecco perché abbiamo cercato, da un lato, di tenere conto del criterio del Governo per l'individuazione di figure professionali già sperimentate, che possono accedere al ruolo di giudice onorario, quali magistrati in pensione, notai in pensione, avvocati a riposo, ma abbiamo cercato di correggere quel tiro, dando spazio anche ai magistrati onorari – che tanto apporto hanno dato alla giurisdizione – che abbiano svolto positivamente, per almeno cinque anni, quel ruolo e che, quindi, potranno aspirare a comporre questa nuova figura di giudice onorario, che integra gli appelli per le cause civili.
      Peraltro, una cosa molto importante, che è passata all'esito di una discussione nelle Commissioni referenti, su sollecitazione della Commissione giustizia, è che, a parità di requisiti, tra gli avvocati che potranno accedere a questa nuova figura, dovrà darsi rilievo e preferenza a quei giovani avvocati che abbiano perlomeno cinque anni di iscrizione all'albo e che, quindi, potranno dare un loro apporto non trascurabile, anzi significativo, anche nell'ambito di quella che possiamo definire una comune cultura della giurisdizione, che deve essere portata avanti proprio per fare in modo che, nell'ambito del processo, le parti, sempre più, imparino a cooperare per un risultato finale proficuo per i cittadini.
      In questa ottica, importantissima è stata l'individuazione, nel decreto-legge, di un'altra chance per i nostri giovani laureati in giurisprudenza: la possibilità di compiere, come assistenti del giudice, un tirocinio formativo, stabile all'interno degli uffici giudiziari, riconosciuto con una valenza importante anche ai fini dell'accesso ai concorsi. Finalmente, questo decreto-legge dà riconoscimento anche a buone prassi, che si sono verificate in alcuni uffici giudiziari che, fino ad ora, hanno operato attraverso convenzioni, con stage, che avevano sperimentato, con dati alla mano che abbiamo riportato nel nostro parere, una produttività, un'eliminazione dell'arretrato e una qualificazione professionale ulteriore da parte del giudice cui era stato affidato lo stagista. Ora, si è voluto uscire dal campo della sperimentazione e collocare stabilmente questa figura.
      Non condividiamo il giudizio che è stato espresso anche, da ultimo, dal collega Bonafede, ossia che si tratterebbe quasi di una forma di «sfruttamento» dei giovani laureati: no, è una possibilità in più che questi giovani laureati avranno. Sappiamo quanti ogni anno escono dalla facoltà di giurisprudenza e cercano di trovare un percorso di vita professionale; ci sarà, oltre alla scuola di specializzazione per le professioni legali, oltre al tirocinio presso l'avvocatura, oltre al dottorato di ricerca, anche questo nuovo percorso formativo attraverso lo studio e la preparazione dei casi giudiziari.
      Sto concludendo, Presidente. Un altro aspetto importante, che è venuto dall'attività della Commissione, è quello che ha riguardato la configurazione della media conciliazione: noi siamo favorevoli alla media conciliazione, come strumento che deve ricomporre le liti nel contesto sociale, come strumento che deve essere facoltativo, ma sappiamo che si deve formare una cultura della conciliazione, che deve riguardare sia i cittadini che gli operatori della giustizia. Ecco che quindi sono stati apportati dei correttivi che, senza svuotare l'impianto che ha proposto il Governo, hanno tuttavia inserito dei momenti qualificanti: l'assistenza del difensore sin dalle prime battute, l'individuazione di una competenza territoriale definita, l'individuazione del primo incontro, come incontro che serve proprio a tracciare la strada della mediazione, e la gratuità, laddove non si raggiunga un accordo.Pag. 29
      In questo modo il cittadino non avrà dei costi in più sulle sue spalle, perché la media conciliazione va inserita nel nostro contesto sociale. Deve mettere radici profonde, ma senza gravare sui cittadini come costo aggiuntivo.
      È questo lo schema che abbiamo cercato di portare avanti pur sapendo che sono riforme, diciamo, ancora una volta di emergenza e, quindi, in qualche modo bisognerà cercare di dare soprattutto una spinta notevole a quelle strutturali quali la copertura integrale degli organici della magistratura, la copertura integrale e la riqualificazione del personale della giustizia, l'informatizzazione adeguata su tutto il territorio nazionale...

      PRESIDENTE. La ringrazio...

      DONATELLA FERRANTI. ... mediante un'adeguata ripartizione del Fondo unico giustizia che è anacronistico prevedere che non vada integralmente ripartito...

      PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Ferranti.

      DONATELLA FERRANTI. Ho concluso, Presidente. Come dicevo, va ripartito 50 per cento al Ministero della giustizia e 50 per cento al Ministero dell'interno, perché quei fondi provengono dalla giustizia e devono servire a rifinanziare il servizio giustizia nel suo insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zan.  Ne ha facoltà.

      ALESSANDRO ZAN. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, questo Parlamento si trova oggi alla ripresa dei lavori dopo aver scritto una pagina buia per la nostra democrazia con la vicenda kazaka. Sembra ormai che in questo Paese il Parlamento sia ridotto a dover accettare di tutto. Un Esecutivo che ha fatto una pessima figura nel Paese e a livello internazionale, che continua a reggersi su un'alleanza che ingabbia qualunque confronto, facendo perno sulla necessità ed urgenza di affrontare la pesante crisi economica in cui versa l'Italia.
      Ma, non può essere accettabile che di fronte alla situazione di necessità il Paese sia obbligato ad avere solo e soltanto questa formula di Governo, fatto di Ministri intoccabili anche quando palesemente inadeguati o colpevoli. Un Parlamento che ha dovuto, nella precedente legislatura, fare ingoiare al Paese che Ruby era la nipote di Mubarak e che due giorni fa ha dovuto dire che il Ministro dell'interno non aveva responsabilità nell'avere espulso una donna e sua figlia, facendo dirigere le operazioni di polizia da un'ambasciata straniera. Un Governo che si impone e trova giustificazione nella necessità di gestire il disastro di anni di mancate riforme vere, che hanno precipitato il Paese in quello stato di crisi da cui gli stessi protagonisti oggi vorrebbero salvarlo, ma con quali misure non è ancora ben chiaro, Presidente.
      Questo decreto, che oggi ci apprestiamo a discutere, dovrebbe favorire il rilancio dell'economia. È stato presentato con enfasi, a partire dal nome, il «decreto del fare». Si dovrebbe dire «del fare cosa» e anche «del cosa si è fatto finora» e del «cosa questo Governo potrà realisticamente fare e per quanto tempo». Un decreto che, contrariamente agli spot, non contiene poi così tante novità. Degli 84 articoli forse solo una ventina introducono qualche elemento di novità. Ho apprezzato alcuni passaggi del relatore Boccia. C’è, però, una continuità con provvedimenti precedenti e c’è la netta sensazione che siamo di fronte al tentativo di mettere qualche pezza, al tentativo di prendere tempo senza affrontare davvero i problemi che vivono i lavoratori, i disoccupati e le famiglie.
      Questo appare l'ennesimo decreto omnibus, che stanzia un po’ di fondi ma non traccia una linea politica chiara di sviluppo e, soprattutto, non guarda lontano e in qualche caso è ancora poco credibile. Si Pag. 30guardi, ad esempio, al capitolo dei piccoli comuni, a cui sarebbero destinati 100 milioni di euro per l'anno 2014 per la realizzazione del primo «Programma 6.000 campanili». Ecco, uno spot poco realizzabile, visto che i comuni devono sottostare al Patto di stabilità anche in questo caso specifico.
      Un decreto che ancora una volta non guarda all'ambiente e, proseguendo su una linea politica già portata avanti dai Governi precedenti, continua, ad esempio, a finanziare la costruzione di infrastrutture di trasporto in perdita. Si stanziano fondi nei confronti di concessionari già finanziati con gara pubblica e si stanziano due miliardi di euro che andranno, con ogni probabilità, a finanziare opere i cui costi sono lievitati al punto da richiedere un'integrazione.
      Nel decreto ci sono i soliti interventi di cui si parla da almeno un decennio: la Pedemontana veneta, la tangenziale est di Milano, le strade siciliane, la Rho-Monza, la A24 e la A25, che aspettano la costruzione della terza corsia a carico dei concessionari da almeno una ventina d'anni. Risuonano come il solito paradigma delle tante Salerno-Reggio Calabria di questo Paese.
      L'unico dato positivo è che si tolgono fondi dall’«opera vergogna» rappresentata dal ponte sullo Stretto.
      Vorrei soffermarmi per un momento sulla superstrada Pedemontana, opera infrastrutturale veneta la cui memoria ci porta al 1998, quando iniziò il lungo percorso di partecipazione che vide il coinvolgimento di cittadini, comitati e sindaci. Si arrivò allora ad una difficile intesa che fu cancellata arrogantemente dalla legge-obiettivo di berlusconiana memoria, che impose un diverso tracciato e il ricorso al famigerato project financing. Si tratta di un'opera che i cittadini non vogliono e che probabilmente non serve a quel territorio. Gli studi poi dimostrano che non vi passeranno i veicoli e che su quel bel paesaggio ci sarà un impatto ambientale devastante. In più, il project financing, che continua ad essere utilizzato, mette al sicuro le banche, che recupereranno i soldi prestati attraverso il pagamento dei pedaggi, però espone la regione Veneto, come avviene nei casi di realizzazione di tante infrastrutture italiane, a buchi finanziari che, come al solito, dovranno essere coperti dai cittadini. Cosa farà la regione in tal caso ? Continuerà a tagliare servizi sociali e la sanità, ormai ridotti ai livelli di assistenza minima.
      Concludo, signor Presidente, chiedendo quali siano i criteri adottati per individuare le opere infrastrutturali da finanziare. Ciò risulta un mistero, forse sono i soliti misteri che hanno a che fare con la scelta di finanziare i soliti gruppi industriali e pilotare le risorse verso aree di interesse politico.
      Signor Presidente, non è questo il modo più utile per favorire la ripresa economica, a nostro avviso. C’è una continuità con scelte passate che non lascia presagire molto di buono. Si tratta, purtroppo, di un'ulteriore occasione persa per questo Governo per dare una risposta seria alla crisi e all'occupazione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

      ERMETE REALACCI. Signor Presidente, siamo di fronte a un provvedimento importante che ci auguriamo abbia successo, perché questo Paese ha bisogno di atti concreti e anche di rimettersi in movimento.
      Nel mio intervento non vorrei tanto parlare di ciò che è contenuto nel provvedimento (è stato già fatto dai colleghi che mi hanno preceduto, dal collega Boccia e dal presidente della I Commissione), ma di cosa bisognerebbe cambiare nella maniera di affrontare questi temi nel rapporto con il Parlamento.
      Questo provvedimento così importante arriva alla Camera sotto forma di decreto-legge costituito da 86 articoli, che superano i 100 includendo i «bis», che non consentono, onestamente, a molte Commissioni di effettuare un approfondito esame di merito. Tutto ciò non ci consente Pag. 31fino in fondo di garantire la qualità della legislazione e soprattutto non ci consente di garantire il modo in cui le misure contenute in questo provvedimento incidano sull'insieme delle politiche che vengono messe in atto.
      Molte di queste misure sono importanti: sono misure che riguardano il sostegno alle piccole imprese, misure di semplificazione condivisibili. In altri casi, sono invece misure contraddittorie, qualche volta sembrano anche casuali, una specie di «buca delle lettere» in cui si mettono delle misure che erano lì, in giro per i ministeri, senza che si capisca quale sia la direzione verso cui andare.
      Come Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici abbiamo cercato di fare la nostra parte. Sicuramente il lavoro enorme della V e della I Commissione è stato un lavoro meritorio, ma, per quanto ci riguarda, è stato anche un lavoro difficile da influenzare e da orientare. Tali Commissioni formulavano delle condizioni che davano origine a una discussione molto complicata che affrontava molti temi e nella quale in qualche caso si è riusciti ad avere dei miglioramenti, in qualche caso si è giunti ad una riduzione del danno rispetto a provvedimenti che noi ritenevamo non utili ai fini della pianificazione territoriale e delle leggi urbanistiche.
      Qualcosa è stato ottenuto, ad esempio, nel merito delle norme urbanistiche, delle norme per il sostegno alle piccole imprese, per la qualità della sicurezza nelle scuole e per altri aspetti ambientali. Il punto però, il primo che vorrei sottolineare, è che dobbiamo cambiare il modo di legiferare. Lo dico al rappresentante del Governo che è presente; peraltro, devo dire, il sottosegretario De Vincenti, in questa e in altre occasioni, ha dato dimostrazione di grandi qualità, determinazione e passione nello svolgere le sue funzioni. Abbiamo lavorato insieme sulla questione dell'Ilva e so quanto è stato efficace e bravo nello svolgere il suo compito. Occorre però cambiare il modo di legiferare, perché in questa maniera il Parlamento non svolge un buon lavoro.
      Purtroppo vedo per il futuro emergere problemi simili e faccio un esempio. Si parla della volontà di non cambiare le norme di recepimento della normativa europea che sono in prima lettura alla Camera, dopo essere passate per il Senato.
      In quelle norme ci sono molte cose che riguardano i più vari campi, incluso il campo dell'ambiente e delle infrastrutture: non è pensabile che la Camera non possa cercare di fare un lavoro migliore. Ho letto le bozze che circolano sul disegno di legge sulle semplificazioni: sono in generale – parlo per la parte, per esempio, che riguarda l'ambiente – enormi deleghe date al Governo, senza che il Parlamento abbia adeguato diritto di parola, e, per esempio, in questo settore abbiamo già dato. Noi abbiamo avuto una lunga delega a rivedere le norme ambientali, che è durata circa cinque anni, che ha attraversato Governi di diverso segno politico e che non ha funzionato.
      Quindi, il primo segnale è, in qualche maniera, cambiare rotta, riuscire a fare dei provvedimenti più settoriali, che consentano alla Commissione di merito di lavorare e fare un bel lavoro.
      Il secondo punto riguarda le semplificazioni, un tema chiave per il nostro Paese, importantissimo. C’è tanto da fare nel dare certezza nei tempi, nel ridurre gli appesantimenti burocratici, ma è impensabile che questo accada – non sono stati considerati ammissibili, per i criteri rigorosi che la Camera adopera, emendamenti che andavano in questa direzione – indebolendo le strutture di controllo, come sta accadendo in Italia da vari anni. Perché, se si semplifica, c’è bisogno che le strutture di controllo siano trasparenti ed efficaci. Se vengono eliminati alcuni passaggi, se si riducono i tempi, dobbiamo avere la certezza che questi tempi possano essere rispettati senza che ci sia discapito per l'ambiente, per la salute pubblica e per la buona economia. Tante volte noi paghiamo dei prezzi elevatissimi. Penso alle procedure di infrazione, che sono in corso e sono onerose, nei confronti dell'Unione europea in campi come l'acqua o i rifiuti; penso anche alla vicenda dell'Ilva che, Pag. 32come il sottosegretario De Vincenti sa, è figlia anche della debolezza con cui, nel passato, le strutture di controllo e la politica hanno affrontato questo tema, non spingendo nella giusta direzione. Diceva Paul Valéry: «Date piena libertà ai lupi, avrete decretato la strage degli agnelli». Se noi facciamo queste norme e non rafforziamo le strutture di controllo, siamo su una strada sbagliata.
      Infine, un punto: onestamente, mentre molte misure sono condivisibili, non traspare da questo importante provvedimento una idea generale di Paese. Adesso lo dico in termini un po’ brutali: sappiamo che l'Italia attraversa una crisi lunga, difficile, che è anche una tempesta perfetta, perché non ci sono solo i problemi legati al deficit, al nostro addebitamento, ai mali antichi dell'Italia, ma c’è un mondo che cambia, ci sono grandi Paesi che emergono e l'Italia deve capire come collocarsi in questa direzione. Io penso che questo ha a che vedere, da un lato, con la capacità dell'Italia, capacità che nell'export c’è (lo indicano tutti i segnali). Nonostante debba investire molto di più in innovazione e ricerca, l'Italia è un Paese che si sta difendendo bene nell'export, perché c’è una domanda di qualità, di economia a misura d'uomo, nel mondo, che l'Italia è in grado di orientare e su questo il Governo può fare molto. Il buco nero, il problema enorme che abbiamo, è il mercato interno. Qui è molto importante che il Governo abbia avviato – e credo che la Commissione bilancio in questo abbia fornito un contributo importante – una azione che è determinante perché vengano pagate le imprese che hanno dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Ma ci sono due direzioni in cui agire per rilanciare il mercato interno.
      La prima: mettere più soldi in tasca alle famiglie e ai cittadini che si sono impoveriti. Il mercato interno oggi è depresso da questo e dalla carenza di speranza: se la gente ha paura, si ferma anche quando ha risorse.
      Il secondo punto è capire quali sono i settori in cui si può agire per rilanciare da subito l'economia e l'occupazione in Italia. All'estero, abbiamo detto che è un problema legato a una Italia che fa l'Italia, ad una economia di qualità, anche alla green economy. Io, per esempio, apprezzo i miglioramenti che ci sono stati nella parte legata a Expo 2015, nel provvedimento, e ho sentito e condiviso le parole del Presidente del Consiglio Letta e del Presidente Napolitano, recentemente, nel presentare il progetto dell'Expo 2015 come una grande vetrina dell'Italia. Ma all'interno del Paese, oltre a più equità, è necessario rilanciare quei settori che possono produrre da subito occupazione. Il grosso dei posti di lavoro in Italia si è perso nell'edilizia, dove dall'inizio della crisi, fra diretto e indotto, abbiamo perso 500 mila posti di lavoro.
      Allora, il tema è capire come rilanciare l'edilizia. Questo non si fa con un «tana libera tutti» – lo abbiamo già fatto nel passato ed è fallito – si fa scommettendo e investendo sulla manutenzione, sul recupero, sulla qualità, sul risparmio energetico, sul consolidamento antisismico ed è qui ridicolo che l’ecobonus, che è stata di gran lunga la misura più efficace dal punto di vista anticiclico nell'edilizia, venga prorogato di sei mesi in sei mesi. E nei prossimi giorni il Parlamento – lo dico al sottosegretario De Vincenti, che sarà forse chiamato a occuparsene – dovrà decidere se veramente l’ecobonus viene esteso al consolidamento antisismico. Il Governo lo ha annunciato più volte, ma non lo ha fatto; adesso bisogna che si faccia, lo ha chiesto da tempo la Commissione V, ma anche la Commissione VIII, ma anche credo sia un'idea condivisa. Quando vediamo che nelle Marche, fortunatamente, a fronte di un terremoto, non distruttivo ma pesante, non ci sono vittime è perché la prevenzione paga. Ma la prevenzione significa anche lavori, evoluzione in positivo della nostra industria edilizia significa occupazione e significa un'Italia migliore. Da queste misure può ripartire l'economia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

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      PRESIDENTE. La ringrazio presidente Realacci. Nel suo intervento, che ovviamente è un intervento politico, con un ragionamento di natura politica, mi pare che lei abbia sollevato anche delle riflessioni di carattere procedurale, per la gran parte delle quali credo che l'interlocutore sia il Governo, che è presente e ha potuto ascoltarla. Per quanto mi riguarda, ritengo, però, che se vi fosse un riferimento anche a quella che è la procedura all'interno della Camera, sia giusto che io trasferisca il senso di questi suoi rilievi al Presidente della Camera, affinché ovviamente possa poi trovare le forme attraverso le quali rispondere e corrispondere alle sue riflessioni.

      ERMETE REALACCI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      ERMETE REALACCI. Ha assolutamente ragione, signor Presidente, è utile che lei le trasferisca. Le segnalo che su questo, su mandato dei capigruppo della Commissione, ho già fatto pervenire alla Presidente Boldrini una lettera in cui si illustravano i problemi aperti.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

      STEFANO BORGHESI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, è stato orgogliosamente presentato dal Governo Letta e controfirmato da tutti i Ministri che ne fanno parte come il «decreto del fare», una scelta lessicale opportuna nella sua semplicità, dopo che avevamo dovuto subire i titoli biblici del genere «salva Italia», che, non senza una generosa dose di autocelebrazione, aveva proposto il Governo Monti.
      Abbiamo esaminato con attenzione e senza alcun pregiudizio questo provvedimento, con la chiara volontà di sostenere e condividere ogni misura che, in una congiuntura economica i cui caratteri drammatici sono stati ormai riconosciuti unanimemente, potesse avviare quel rilancio dell'economia a cui il decreto avrebbe dovuto essere mirato.
      Alla luce del testo proposto dal Governo e dell'esame parlamentare fin qui svolto, possiamo dire certamente che, se la direzione è in generale apprezzabile, certamente la montagna rappresentata da questo Governo delle larghe intese e delle larghe maggioranze ha prodotto un topolino.
      L'intento di questa relazione di minoranza non è quello di contestare le misure che sono effettivamente opportune e chieste già da lungo tempo da persone e imprese, quanto di evidenziare quanto di più si poteva e ancora può essere fatto, di stimolare – concedetelo – ad avere più coraggio e a cogliere, in questo momento di gravità eccezionale, l'opportunità di fare riforme altrettanto eccezionali.
      Ci siamo abituati in questi anni, stretti da vincoli principalmente finanziari e quasi sempre imposti con forza dall'Unione europea o da altre istituzioni internazionali, tra cui il Fondo monetario, a rinviare scelte importanti per il tessuto economico del nostro Paese. Negli ultimi mesi, però, la presa di conoscenza e l'ammissione collettiva che la mera politica di austerità ha impedito ai Paesi europei di reagire alla crisi mondiale ci lascia sperare che alcuni di questi limiti possano cedere di fronte alla necessità di preservare i cittadini dell'Europa da una depressione economica senza via d'uscita. Secondo noi questo dovrebbe significare anche affrancarsi da diktat ottusi elaborati da istituzioni comunitarie e internazionali prive di legittimazione democratica.
      Leggere la relazione introduttiva che il Governo ha premesso al decreto è, invece, desolante. Il provvedimento, stando al testo, non è stato messo a punto avendo come orientamento le condizioni del Paese e il modo migliore per favorire una ripresa orientata alla preservazione del tessuto industriale, dello stato sociale, della dinamica tra categorie più consona a garantire il benessere dei nostri cittadini. Il Governo ha inteso, con questo decreto, solo adempiere puntualmente e compilativamente Pag. 34alle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del Semestre europeo 2013, con cui la Commissione ha dato i compiti a casa ciascuno degli Stati membri.
      Una Commissione di euroburocrati sui cui limiti e sulla cui completa irresponsabilità democratica dinanzi ai popoli europei abbiamo avuto modo di discutere in molte sedi, come della sua sensibilità alle troppe lobby che stazionano a Bruxelles. Un'entità burocratica dal potere enorme, dagli intenti finora piuttosto discutibili. È lecito chiederci se, con le sue raccomandazioni, essa mira ad un miglior futuro del nostro Paese o solo alla tenuta del sistema Europa ed euro, non importa quale ne sia il prezzo per le persone.
      È ancora più lecito chiedersi se il Governo Letta, nel proporre un decreto-legge ispirato esclusivamente a queste indicazioni, abbia fatto il bene del Paese. Non occorreva che fosse la Commissione di Bruxelles a chiederci di diversificare l'accesso delle imprese ai finanziamenti, bastava ascoltare davvero le nostre imprese che, da almeno cinque anni, sono strozzate da un sistema bancario che ha scaricato sul mondo produttivo i propri errori finanziari. Non occorreva che la Commissione ci dicesse che il Mezzogiorno deve impiegare i fondi ingenti che la politica di coesione mette a disposizione, posto che quella parte del Paese, che beneficia di stanziamenti nazionali e comunitari superiori a tutte le altre, ha il dovere non solo economico, ma morale di non sprecare queste risorse per incuria ed incapacità in un momento nel quale ogni euro potrebbe essere fondamentale per altre imprese ed altri territori.
      E certamente non ci siamo accorti ora che, con le parole della Commissione, ancora una volta riportate dalla relazione al decreto, occorresse semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese. La strumento del decreto-legge – è stato rilevato anche attraverso pregiudiziali di costituzionalità – si presta a critiche per quanto riguarda la necessità di riforme di ampio respiro, cosiddette ordinamentali che, in questo testo, hanno trovato una collocazione impropria e che aggiungeranno probabilmente ulteriore confusione ed eterogeneità di punti normativi sui singoli temi.
      Certo il decreto ha il vantaggio dell'immediata entrata in vigore, opportuna per alcune norme ma molto meno per altre. Di questo decreto, tuttavia – lasciando ad altri un approfondimento sulla forma – dobbiamo stigmatizzare nella sostanza la decisione di far confluire in un unico calderone, decisamente eterogeneo, disposizioni che necessitavano di un approfondimento settoriale dedicato. Emblematico è il caso delle norme riguardanti la giustizia, certamente non cosmetiche, ma che disegnano, anzi, una vera e propria riforma e sulle quali la Commissione di merito ha potuto riunirsi solo per poche sedute e limitarsi ad esprimere un semplice parere.
      Questo nostro parere di minoranza è animato dalla positiva volontà, da parte nostra, di proporre all'Assemblea un contributo al testo in senso migliorativo, partendo dalle proposte oggetto del decreto nella speranza che il decreto «del fare» possa diventare decreto «del fare di più». Procederò, pertanto, alla disamina di alcuni degli articoli del provvedimento che riteniamo potessero essere concepiti in maniera più efficace e sui quali il nostro gruppo ha presentato proposte emendative e migliorative, che intendo richiamare all'attenzione del Governo, dei relatori e dei colleghi, chiedendo loro di sostenerle. Potrei partire dall'analisi delle misure che riguardano il comparto industriale.
      Il decreto-legge, infatti, che stiamo per convertire sembra compiere un timido passo verso una nuova fase di crescita il quale non può essere ritenuto, tuttavia, decisivo per ridare slancio all'economia italiana, in quanto privo di una visione politica di ampio respiro finalizzata a restituire competitività al tessuto produttivo del Paese. Gli effetti della crisi che stiamo attraversando non si possono comprendere appieno e, quindi, contrastare se non si tiene conto della specificità del tessuto economico, che è caratterizzato dalla prevalente presenza di piccole e medie imprese a vocazione fortemente Pag. 35territoriale che, da sempre, sono l'asse trainante dell'economia del Paese. Queste imprese sono oggi in uno stato di profonda sofferenza: molte di loro sono ormai condannate alla chiusura a causa della scarsa liquidità di cui dispongono, dovuta alle difficoltà di accesso al credito bancario e alla forte pressione fiscale, che è tra le più alte d'Europa. Una seria politica di rilancio del comparto produttivo italiano non può, quindi, prescindere da un'incisiva azione a sostegno delle micro, piccole e medie imprese che affronti in maniera strutturale quelli che sono i maggiori ostacoli alla loro crescita, primo tra tutti l'accesso al credito. Oggi le imprese sono in crisi, oltre che per il calo della domanda anche e soprattutto perché non hanno le risorse necessarie per creare investimenti e, quindi, dare occupazione. L'accesso al credito negli ultimi anni è, infatti, diventato sempre più problematico, sia per le aziende ma anche per i privati, comportando un grave rallentamento dell'intero processo di produzione, vendita e consumo.
      La speciale attenzione posta dal precedente Governo Monti verso la tutela delle banche ha progressivamente inciso sul rilascio di liquidità da parte di queste ultime, determinando un vero e proprio ristagno economico, che sta compromettendo la possibilità, da parte delle imprese, di improntare nuovi investimenti e conseguentemente di programmare la propria crescita, non solo economica, ma anche e soprattutto tecnologica, con gravi ripercussioni sulla competitività delle aziende italiane in Europa. I dati infatti, oltre ad evidenziare sempre più crescenti difficoltà di accesso al credito da parte delle piccole imprese, indicano anche un costante aumento dei prestiti destinati a garantire l'attività ordinaria dell'impresa. A fine 2012 si è ridotta, rispetto all'inizio dello stesso anno, la percentuale delle piccole e medie imprese che si sono rivolte alle banche per chiedere un prestito, indice questo del forte calo di fiducia nei confronti degli istituti di credito. Inoltre, sempre nel 2012 è sceso, rispetto all'inizio dello stesso anno, il numero di piccole e medie imprese che ha ottenuto un finanziamento di importo pari o superiore rispetto a quello richiesto.
      Procedendo nel merito degli articoli, l'articolo 1 sul rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso al Fondo di garanzia attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un più ampio accesso al credito. Seppure in linea di principio l'intervento può essere condivisibile, bisogna tuttavia tener conto che per quest'anno le misure adottate avranno un impatto di poco rilievo sull'operatività del Fondo. Infatti l'adeguamento dei criteri di valutazione delle imprese per l'accesso alla garanzia del Fondo stesso verrà definito soltanto alla fine del 2013, con l'adozione di un decreto ministeriale.
      Quindi, alla scarsa tempestività di intervento del Governo fa intanto seguito il numero di fallimenti delle aziende: in Italia ogni giorno registriamo la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia e in Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi mesi di quest'anno. In tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012.
      In questo scenario, per aiutare le imprese ad uscire dalla crisi noi abbiamo in primo luogo proposto che le risorse assegnate al Fondo di garanzia vengano ripartite tra le regioni in maniera proporzionale alle capacità contributiva di ciascuna regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di impresa, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed occupazionale generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita di posti di lavoro.
      A nostro giudizio, il decreto, per favorire la ripresa economica, avrebbe dovuto anche preoccuparsi di fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa sul territorio nazionale. Pag. 36Abbiamo avanzato perciò una proposta, a nostro avviso interessante, che prende le mosse da sperimentazioni già avviate positivamente dalla regione Lombardia. Il nostro emendamento, respinto nelle Commissioni dal Governo e dai relatori senza alcun approfondimento, propone di riconoscere alle regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive, queste ultime incentivate attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale.
      Con le nostre proposte di sostegno alle piccole e medie imprese abbiamo cercato e cerchiamo oggi, con il consenso di quest'Aula, di dare ulteriore impulso alla crescita del Paese, impegnando le stesse imprese a non delocalizzare la produzione al di fuori dello spazio economico europeo.
      Per quanto riguarda invece l'articolo 2 sul finanziamento per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti ed attrezzature da parte delle piccole e medie imprese, sempre con l'obiettivo di accrescere la capacità di credito al sistema produttivo, si mira a consentire alle piccole e medie imprese di accedere a finanziamenti a tasso agevolato per l'acquisto di queste nuove attrezzature. Tale iniziativa potrebbe avere effetti positivi sul tessuto imprenditoriale, stimolando la ripresa dei consumi interni, a vantaggio di tutti i comparti produttivi del Paese, specie del manifatturiero. Tuttavia, dobbiamo registrare anche in questo caso che le misure saranno operative soltanto a partire dall'anno successivo, rischiando di arrecare un danno alle imprese, e non certo un beneficio, dal momento che lo slittamento al 2014 dei previsti benefici ha già prodotto il blocco degli ordini programmati. Anche qui, la nostra proposta di anticipare all'anno in corso le misure di sostegno agli investimenti delle piccole e medie imprese non ha trovato finora ascolto.
      Sull'articolo 3 del rifinanziamento dei contratti di sviluppo, vediamo che sono stati stanziati 150 milioni di euro per questi contratti. È un dispositivo che non sta funzionando, purtroppo. Lo sappiamo, lo abbiamo evidenziato e non capiamo il motivo di usare questi altri 150 milioni di euro senza un'opportuna verifica dell'efficacia dei processi e dei progetti messi a punto fino ad ora. Anche il Governo lo sa e, infatti, ha previsto che le somme non impegnate entro il 30 giugno 2014 tornino al fondo da cui sono state prese. Ci pare uno specchietto per le allodole di cui sinceramente non comprendiamo la finalità. Il fondo stesso, nel suo insieme, non è mai stato operativo, perché per un anno abbiamo aspettato il decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico. Un fondo che dovrebbe erogare agevolazioni, ma non sono stati emanati i bandi relativi e, quindi, non solo un euro di questo fondo ha prodotto un risultato. Un sistema così complesso, quindi, di certo non servirà e non sta servendo alle nostre imprese che non devono essere costrette ad inventare progetti e pagare consulenti per scriverli e inseguire le procedure burocratiche, ma devono, invece, fare quello che sanno fare, ossia impresa, e lo Stato, anziché complicati meccanismi per inseguire fondi, potrebbe utilizzare i fondi stessi per sollevarle dal peso fiscale opprimente, potrebbe togliere burocrazia anziché inventarne di nuova.
      Passando, poi, brevemente all'articolo 9 sull'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei, la nostra posizione non è certamente contraria, è – passateci il termine – desolata. Certo, non saremo noi ad opporci a questa accelerazione, ma dobbiamo ancora una volta constatare che c’è una parte del Paese che si impegna, mentre ce n’è un'altra che da sempre si permette di essere superficiale anche nell'impiego dei tanti miliardi che a livello nazionale e comunitario vengono destinati alle politiche di coesione per colmare il ritardo dello sviluppo accumulato in anni di malagestione. Non si tratta di fondi piovuti dal cielo, ma imposti da un principio di solidarietà collettiva a livello nazionale e comunitario, quindi sottratti ad altri territori e ad altre popolazioni. Non utilizzare a pieno i fondi comunitari disponibili, se fino a ieri poteva Pag. 37essere considerato l'ennesimo cattivo esempio delle amministrazioni del Sud, oggi è da considerarsi un vero sfregio per le tante zone dove la crisi economica sta mettendo in ginocchio anche aziende sane e gestioni accurate e dove poter avere fondi aggiuntivi potrebbe essere una questione vitale.
      Il Ministro per la coesione territoriale ci ha trasmesso dati vergognosi. Nelle aree del Sud ancora oggi, dopo i vari tentativi di riprogrammazione, si continua a non riuscire a spendere più del 35 per cento delle risorse disponibili. Restano concretamente non spesi circa 30 miliardi di euro, una cifra enorme pari a più di una finanziaria che il Mezzogiorno restituirà probabilmente all'Europa continuando, però, ad avanzare magari altre richieste di denaro pubblico alle magre casse dello Stato italiano.
      In materia di appalti, poi, all'articolo 26, sono stati approvati alcuni emendamenti, presentati anche dal nostro gruppo, fondamentali per sollevare economicamente le imprese in questo momento di crisi che attraversa il Paese. Il riferimento è soprattutto alla qualificazione delle imprese sulla base della dimostrazione del requisito della cifra di affari realizzata con lavori nell'ultimo decennio, l'incentivazione per amministrazioni di suddividere i lavori in lotti, l'anticipazione alle imprese del 10 per cento dell'importo contrattuale. Purtroppo, non sono stati approvati i nostri emendamenti che avevano l'obiettivo degli appalti a chilometri zero, ossia lo scopo di privilegiare il criterio della territorialità per tutti gli appalti, grandi e piccoli, attraverso l'applicazione di maggior punteggio nei bandi per la sostenibilità ambientale e la suddivisione in lotti. Peraltro, la legge n.  180 del novembre 2011 già prevede il coinvolgimento delle imprese locali nella realizzazione di grandi infrastrutture allo scopo di garantire la convenienza economica e la maggiore responsabilizzazione delle imprese nello svolgimento dei lavori. È chiaro a tutti, infatti che l'esecuzione dei lavori da imprese che non hanno legami con il territorio interessato comporta spesso una minore responsabilità sociale da parte delle imprese stesse.
      Veniamo, dunque, ad esaminare brevemente il Titolo II del decreto-legge, che è dedicato alle semplificazioni. L'articolo 50 apporta modifiche in tema di responsabilità solidale dell'appaltatore. La disposizione, che era stata modificata, peraltro, da un recente decreto del 2012, prevede come venga meno la responsabilità per il versamento dell'IVA. Se, da un lato finanziario, la norma non produce effetti, e pur mantenendo inalterata la responsabilità sulle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente, si ritiene che l'attuale formulazione della disposizione sia migliorativa rispetto alla normativa oggi in materia, incontrando per questo anche il favore della Lega. Non a caso, le novità recate dal decreto-legge n.  83 in tema di responsabilità dell'appaltatore furono aspramente criticate dalle associazioni di categoria, a partire da Confindustria, costringendo perfino l'Agenzia delle entrate ad emanare un'apposita circolare per precisare come l'ambito di applicazione della norma sia di tipo generale, non limitandosi, invece, ai soli contratti stipulati dagli operatori del comparto edilizio.
      Anche per quanto riguarda l'articolo 51, la disposizione incontra il favore del nostro gruppo, rappresentando essa una giusta e doverosa semplificazione rispetto alla normativa vigente. Essa stabilisce, infatti, l'abrogazione di un articolo di un decreto del 2003 inerente la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d'imposta attraverso la trasmissione mensile dei dati. Secondo la norma, infatti, i sostituti d'imposta avrebbero avuto l'obbligo di comunicare, con cadenza mensile e per via telematica, i dati retributivi per il calcolo dei contributi.
      Per quanto riguarda la copertura finanziaria del provvedimento, ossia l'articolo 61, ben consapevoli che le condizioni di bilancio e di debito del nostro Paese limitano profondamente possibilità di scelte alternative, non possiamo, comunque, accettare in alcun modo che si sottraggano fondi alle emittenti televisive locali. Pag. 38Si tratta veramente di colpire nel mucchio, senza chiedersi minimamente quanto conti, invece, il servizio, anche a contenuto informativo, svolto da queste emittenti e quanto un simile taglio risulterebbe deleterio. Nelle Commissioni, molti altri gruppi hanno chiesto di eliminare questo taglio; anche noi abbiamo formulato una proposta: sarebbe inconcepibile non trovare una soluzione che ripristini immediatamente il finanziamento.
      Come ho già richiamato all'inizio, l'intero Capo III del decreto-legge, relativo alla giustizia, trova, a nostro avviso, una collocazione del tutto impropria in questo decreto-legge e, ancor più, in un decreto che ha ad oggetto tematiche di altro segno. Condividiamo, tuttavia, con il Governo l'opinione che la giustizia necessiti di riforme necessarie ed urgenti, ed avremmo voluto anche ben più significative. Nonostante questo, non ci siamo sottratti dal lavoro nelle Commissioni e abbiamo presentato e depositato diversi emendamenti, come, ad esempio, quelli in merito ai giudici ausiliari che, pur confermando l'istituzione di questa figura di giudice temporaneo per smaltire l'arretrato, chiedevano che vi accedessero solo gli avvocati e i ricercatori universitari giovani, al fine di limitare l'accesso a magistrati, notai e professori universitari in pensione. Quest'ultimo indirizzo è stato recepito solo in parte, attraverso un limite di tre anni dalla pensione e ricomprendendo, tra i nominandi, anche i magistrati onorari non in servizio, ma che abbiano svolto l'attività per almeno cinque anni. Inoltre, a parità di titoli, sono stati privilegiati i candidati più giovani.
      Quindi ci troviamo di fronte ad una serie di disposizioni che noi concretamente abbiamo cercato di migliorare tramite i nostri lavori nelle Commissioni competenti, ma che, purtroppo, ad oggi, solo in parte, sono stati recepiti dalla maggioranza e dal Governo. Quindi, ad oggi, il nostro giudizio complessivo sul provvedimento, in questo momento, non può essere positivo, per i tanti obiettivi finora non colti e per la scarsa incisività delle misure finora adottate, anche laddove la direzione intrapresa è giusta. Riteniamo, comunque, che il lavoro in Assemblea sugli emendamenti presentati possa essere significativamente migliorativo e che questa possibilità non debba andare sprecata.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino. Ne ha facoltà.

      EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, intervenendo nella discussione sulle linee generali su un provvedimento come il decreto-legge in esame non ci si può astenere da alcune considerazioni di forma e di metodo, prima di entrare nel merito del suo contenuto, soprattutto alla luce dell'esame, a dir poco travagliato, svoltosi nelle Commissioni e che, dopo giorni di continui rinvii, si è concluso con una seduta monstre di quattordici ore consecutive. Uno dei difetti principali del nostro Paese, che si è poi tradotto, in molti casi, in un freno alla crescita economica, è rappresentato dalla bassa qualità di tanta parte della nostra legislazione: norme scritte male, incomprensibili o inapplicabili, intere leggi che non hanno un senso. Dopo avere visto e partecipato all'esame di questo decreto-legge nelle Commissioni mi sono reso conto che per dar vita ad una buona legge è necessario che questa possa essere esaminata in maniera adeguata da chi deve approvarla o emendarla. Purtroppo questa condizione fondamentale, almeno in questa occasione, è stata negata; così, un provvedimento già di per sé pessimo, perché quanto mai eterogeneo e composto da tutta una serie di micronorme non coordinate da alcuna razionalità interna, è stato esaminato e votato in sedute che più che essere degne di una Commissione parlamentare ricordavano, piuttosto, la scena di quel film nel quale Fantozzi e i suoi colleghi erano obbligati a sorbirsi per ore la proiezione del film «La corazzata Potemkin». Le scene a cui abbiamo assistito sono state pressappoco le stesse, con le persone che, stremate, si addormentavano sulle sedie; proprio a seguito di uno di questi appisolamenti anche la maggioranza Pag. 39è andata sotto su un emendamento perché i suoi esponenti non hanno alzato la mano in tempo. Ci è stato detto che questa è la prassi per certi provvedimenti, ma il fatto che sia la prassi non significa che sia giusto e soprattutto che sia utile a produrre una buona legge, cari colleghi. Questo tema che molti di voi considerano secondario, non lo è affatto, al contrario, è sostanza. Io di mestiere faccio l'ingegnere, quando devo realizzare un'opera la realizzo nel suo complesso fin dalla fase progettuale, non procedo a tentoni, con lo stesso metro, mi domando e domando al Governo: ma come è possibile che, dopo che un decreto-legge è stato varato, bisogna aspettare ore e ore in attesa che lo stesso Governo aggiunga emendamenti su emendamenti, ovvero norme che evidentemente si era dimenticato o che gli vengono imposte, per vie informali, dalla sua stessa maggioranza ? Quello che oggi arriva in Aula è il più tipico di quei provvedimenti normativi che una volta venivano definiti omnibus, decreti-legge all'interno dei quali si infila di tutto un po’, alla rinfusa, con lo stesso metodo assai discutibile che vide inserire la famosa legge Fini-Giovanardi sulle droghe in coda al decreto-legge sulle olimpiadi invernali svoltesi a Torino. Mentre in quel caso l'operazione avvenne con un emendamento del Governo inserito in corso d'opera, il decreto-legge «del fare» nasce composito ed eterogeneo fin dall'origine. Del resto basta leggere la lista dei ministri firmatari per capire che il decreto-legge interviene su ogni settore dell'attività governativa, dalle infrastrutture alle imprese, dall'ambiente alla sanità, dai trasporti all'Agenda digitale e, ovviamente, alla giustizia dove si procede a realizzare una vera e propria piccola riforma organica.
      Se, come detto, i provvedimenti omnibus, per un lungo periodo, hanno rappresentato l'ordinario sistema di produzione normativa, da qualche anno a questa parte, almeno teoricamente, si è voluto privilegiare la chiarezza e la semplificazione normativa, concetti che vengono completamente ignorati da questo provvedimento. Il criterio dell'omogeneità dei decreti-legge, almeno per quanto riguarda il testo originario, non ha rilievo di legittimità costituzionale anche se il livello di eterogeneità del presente decreto-legge qualche perplessità in tal senso la produce comunque. È evidente che un decreto-legge come questo, che detta norme su tutto – in alcuni casi con pacchetti organici nutriti di disposizioni, in altri con micro interventi come quelli in cui si specifica che il commissario ai rifiuti di Roma può individuare nuove discariche – violi la norma e il principio di trasparenza e semplificazione normativa ed estingua pericolosamente le prerogative della Camera.
      Per il modo in cui è stato scritto, questo decreto-legge ha violato due norme di legge vigenti, il che è un paradosso. La prima di queste è l'articolo 15 della legge n.  400 del 1988 che, al comma 3 dispone: «i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Se sui criteri relativi all'immediata applicazione delle norme e sulla corrispondenza al titolo del decreto-legge stesso si può fare finta che siano stati rispettati, i criteri relativi alla specificità e alla omogeneità, è palese che non lo siano stati. Altra norma di legge vigente che questo decreto-legge ha sicuramente ignorato è il disposto dell'articolo 17, comma 30, della legge n.  127 del 1997 che in maniera molto chiara dice: «i disegni di legge di conversione di decreti-legge presentati al Parlamento recano in allegato i testi integrali delle norme espressamente modificate o abrogate». Anche se il disposto della legge vuole essere derubricato a semplice formalità e non a una norma stringente e categorica, ciò appare particolarmente scorretto e stigmatizzabile in occasione di un «provvedimento mostro» come questo, in cui sono state tante le norme abrogate o modificate in parte.
      Sicuramente è una casualità, ma, alla luce di questa volontaria trasgressione del Governo, una situazione come quella prodottasi all'articolo 17 del decreto assume ancora una luce sospetta. Infatti, quell'articolo Pag. 40interviene a modificare la legge vigente in materia di fascicolo sanitario elettronico e se non si legge il testo della norma modificata non c’è possibilità di accorgersi che la novella apportata dalla lettera b) del comma 1 introduce nel fascicolo elettronico un elemento che nella scorsa legislatura era stato volutamente tenuto fuori dal Parlamento, ai fini della tutela della privacy, come la possibilità di accedere a dati clinici tramite fascicolo sanitario elettronico per finalità di studio e ricerca. Per quanto riguarda poi il pieno rispetto delle prerogative della Camera le perplessità aumentano, e dal campo formale e del metodo passiamo a quello della sostanza.
      Torno a citare il Capo III del decreto per porre la questione se, almeno per quanto riguarda l'esame legislativo in Commissione, il potere e le prerogative della Camera siano state pienamente rispettate, per capire se, come espressamente citato nell'ultima premessa del recente parere della Giunta per il Regolamento, il riparto di competenze tra le Commissioni sia stato rispettato. Ci troviamo davanti ad una riforma della giustizia di rilievo che è stata esaminata, emendata e inviata oggi in Aula da due Commissioni che non hanno alcuna competenza nel settore della giustizia, mentre la II Commissione ha espresso un semplice parere che non poteva neppure essere vincolante. Per capire quanto sto dicendo, riguardo alla sostanza più che alla forma, è utile citare un episodio verificatosi nel corso dell'esame in Commissione: prima di iniziare a votare gli emendamenti, i relatori del provvedimento, che erano anche i presidenti delle Commissioni nelle quali si svolgeva l'esame in sede referente, hanno svolto una riunione con i rappresentanti del Governo per decidere l'orientamento da tenere sugli emendamenti presentati, e poiché la riunione verteva soprattutto sul campo del decreto che riguardava la giustizia, la presidente della Commissione giustizia, onorevole Ferranti, ha chiesto di poter partecipare in qualità del suo ruolo istituzionale, ricevendo una risposta negativa. Sempre in premessa, c’è poi da affrontare la questione degli emendamenti, che costituisce una sorta di paradosso con il seguente meccanismo perverso: poiché la «strana maggioranza» che sostiene il Governo ha presentato un numero di emendamenti superiore a quello presentato dall'opposizione, facendo lievitare il numero delle proposte emendative presentate a 1.300, il risultato è stata questa richiesta, ma sarebbe più appropriato dire imposizione: segnalare solo una parte degli emendamenti presentati per poterli mettere al voto. Se a questo si aggiunge che neppure in Aula gli emendamenti potranno essere esaminati e discussi, perché dopo la discussione sulle linee generali probabilmente il Governo porrà la fiducia, è abbastanza evidente che le prerogative dei deputati e in particolare di quelli delle opposizioni vengano di molto ristrette.
      Passando ad analizzare nel merito il decreto varato dal Governo, il giudizio non può che essere negativo, per diversi motivi. Il primo riguarda un dissenso netto nei confronti di alcuni provvedimenti adottati. Per fare solo un paio di esempi, posso citare la detassazione di alcune classi della nautica da diporto, il differimento oneroso per le casse dello Stato dell'entrata in vigore della tassazione sulle transazioni finanziarie, il differimento dei provvedimenti relativi al processo di spending review, temi sui quali mi riservo di tornare in seguito in maniera più approfondita. Poteva essere inserito anche il differimento del pagamento del finanziamento pubblico ai partiti, ma si vede che questo non voleva essere differito. Un altro motivo di dissenso riguarda il fatto di avere infarcito il decreto di un gran numero di norme di natura semplicemente ordinamentale delle quali si fatica a individuare la necessità e l'urgenza da un lato, ma soprattutto è difficile intuirne la reale efficacia. L'articolo 33 del decreto interviene in materia di acquisto della cittadinanza e già questo aspetto lascia perplessi, perché, essendo stato avviato un iter di riforma dell'intera legislazione in Commissione affari costituzionali, con almeno una quindicina di proposte di legge depositate da tutti i gruppi, delle due l'una: o il Pag. 41Governo decide che vuole accelerare la riforma e dunque la inserisce per intero in un decreto-legge oppure su quel tema non interviene, lasciando al Parlamento il compito di esprimersi.
      Con l'articolo 33 il Governo ha scelto la strada che a nostro avviso non può essere definita peggiore, bensì inutile, che è quella di avere realizzato uno spot che per giunta non serve a niente. Cosa dice la norma ? Che al compimento della maggiore età gli ufficiali di stato civile debbono informare lo straniero nato e vissuto in Italia che la legge vigente gli consente di ottenere la cittadinanza italiana richiesta. È una norma scritta in modo talmente generico e senza indicare un arco temporale più preciso di intervento che non servirà assolutamente a niente. Stesso problema si riscontra nel decreto per quanto riguarda gli articoli di più stretta pertinenza della I Commissione, della quale faccio parte e che per questo ho guardato con più attenzione. I temi toccati sono tutti di grande importanza: l'Agenda digitale, il domicilio elettronico, l'indennizzo da parte della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino a seguito di disservizi. Il MoVimento 5 Stelle è molto attento a queste tematiche e ha tutto l'interesse a far sì che queste riforme possano marciare spedite. Gli emendamenti che abbiamo presentato in Commissione – che riproporremo in Aula – sono tutti migliorativi in questo senso.
      Il problema, però, sta nel fatto che il Governo in alcuni casi, come l'Agenda digitale, si è limitato a riscrivere norme già scritte e che teoricamente dovevano essere già in vigore. Sul domicilio digitale, che pure dice di voler diffondere, in realtà compie l'operazione esattamente inversa, vincolandolo ad uno strumento, la carta di identità elettronica, che, purtroppo, ad oggi in Italia è rara quanto il «Gronchi rosa».
      Sulle procedure di indennizzo da parte della pubblica amministrazione fa ancora peggio. L'impianto che propone è certamente migliorabile, ma nella sostanza condivisibile e interessante, peccato che, arrivando alla fine dell'articolo, ci si accorga che si tratta solo di un esperimento di qualche mese e che con tutta probabilità non avrà un futuro.
      C’è poi un terzo aspetto di forte perplessità e dissenso, e riguarda il massiccio ricorso ai regolamenti attuativi da adottare con decreto ministeriale. Il regolamento nasce ed è indispensabile per interventi in settori molto tecnici sui quali il legislatore ordinario si è limitato a porre dei principi. In questo decreto, ma non solo in questo, il ricorso al regolamento è divenuto uno strumento ordinario di quella che siamo costretti a definire una legislazione postdatata ovvero salvo buon fine. Se si mettono in fila tutte le norme del decreto che rimandano a provvedimenti attuativi è come avere di fronte un grande autoparco nel quale ci sono vetture, più o meno belle, alle quali però o mancano le ruote, o addirittura manca il motore. Il risultato uguale per tutte è che nessuna può camminare.
      Questo pone anche un problema di costituzionalità. L'articolo 77 della Costituzione, come è noto, condiziona strettamente la possibilità del Governo di varare decreti-legge alla presenza di condizioni di necessità e urgenza. Condizioni che possono essere difficilmente riscontrate in articoli che di fatto si limitano ad essere delle dichiarazioni di principio in attesa che provvedimenti successivi li rendano operativi. Provvedimenti attuativi per i quali sovente non è previsto alcun termine.
      A tal proposito, sottosegretario, le confesso che, quando ho sfogliato per la prima volta il decreto mi sono sorpreso non poco, nello scorrere i primi due articoli. Che il decreto al quale si è voluto dare la definizione un po’ roboante «del fare», si apra proprio con due articoli che intervengono a sostegno delle piccole e medie imprese non credo sia una casualità, ma un'accorta scelta di marketing e di comunicazione politica. Se il fine era quello di dire: il Governo vara un decreto «del fare» e la sua prima priorità sono le aziende che consentono a questo Paese di sopravvivere, l'esito non è stato positivo e non vi siete fatti un buon servizio. L'emergenza Pag. 42in cui versano quelli che dovremmo definire degli eroi civili, quali i piccoli e medi imprenditori italiani, molti dei quali sono nella mia regione, il Veneto, è arcinota purtroppo. Rispondere a questa urgenza che, sovente, si traduce nel dramma assoluto con due articoli, il primo e il secondo, vincolati da ben 5 decreti attuativi suona come clamorosa presa in giro. Se poi i due articoli si leggono attentamente nel merito le perplessità aumentano ancora di più, perché è inevitabile chiedersi: ma l'obiettivo del Governo è quello di aiutare le imprese o le banche ? Ovviamente non siamo così sprovveduti da ignorare che esistono norme europee molto rigide che a tutela della concorrenza vietano i cosiddetti aiuti di Stato.
      Quello che non comprendiamo è come sia possibile che in Italia debba essere il Governo a dare soldi e incentivare le banche per far svolgere a questi istituti quello che dovrebbe essere il loro mestiere, ovvero erogare credito. È un sistema drogato quello in cui è la Cassa depositi e prestiti, il che significa milioni di cittadini che hanno collocato i propri risparmi nei libretti postali, che tira fuori 2 miliardi e mezzo di euro e li dà alle banche per farli prestare agli imprenditori che debbono acquistare macchinari e impianti per le proprie imprese. Prestiti sui quali le banche ottengono profitto senza alcun rischio di impresa.
      Ma se non si vuole percorrere la strada, proposta dal MoVimento 5 Stelle, di prevedere che sia direttamente Cassa depositi e prestiti a fornire credito agli imprenditori, non serve avere il ministro Zanonato alla guida delle attività produttive, tanto valeva seguire la coerenza del Governo Monti che ci aveva messo un banchiere come Corrado Passera, oppure istituzionalizzare ancora di più questo legame prevedendo l'automatismo tra la carica di Ministro delle attività produttive e il presidente dell'ABI.
      Un altro articolo del decreto che, rispetto alle dichiarazioni che lo avevano preceduto, lascia molto perplessi è l'articolo definito pomposamente «sblocca cantieri». Chi avesse ascoltato il Ministro Lupi mentre lo illustrava a Porta a Porta si sarebbe aspettato di trovare una scadenza certa, obiettivi certi, ed un elenco dettagliato di opere pubbliche cantierate e da cantierare che venivano finanziate a patto del rispetto degli obiettivi di cui sopra. Se si leggono i 14 commi di cui l'articolo si componeva all'origine ci si accorge che la realtà è un'altra.
      La scadenza c’è, ed è il 31 dicembre 2013, ma manca tutto il resto. Le condizioni dettate dal comma 1 sono talmente generiche che è praticamente impossibile non rispettarle. Per quanto riguarda poi le opere che rientrano nei finanziamenti messi a disposizione la confusione regna sovrana, tra quelle che debbono essere individuate attraverso un decreto ministeriale, quelle che vengono inserite in via derogatoria o su base generica, le opere, come la metropolitana di Napoli, che si dice saranno finanziate dal decreto se non ci sono altre risorse disponibili. Il che equivale a dire che saranno finanziate da questo decreto.
      L'unico aspetto positivo che vediamo in questo articolo è il Piano per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, previsto dal comma 8, che, però, non si capisce con quale criterio sia stato inserito in questo articolo, vertendo su un tema diverso e prevedendo risorse proprie. Senza considerare il fatto che un piano per la messa in sicurezza degli edifici scolastici era stato già previsto da un precedente provvedimento legislativo e dunque non si capisce, come hanno ben sottolineato gli uffici della Camera, se la norma in esame sia nuova o diversa, o faccia, in qualche modo, riferimento alla norma previgente.
      Vi è un ulteriore articolo su cui giova soffermarsi in questa sede, perché è indicativo delle criticità del presente decreto, ed è l'articolo 56, nella parte che differisce il termine per la decorrenza dell'imposta sulle transazioni finanziarie. Questa imposta, al di là del valore assoluto in termini di gettito, ha assunto un rilevante significato politico per le difficoltà incontrate al fine della sua introduzione.
      Ebbene, una volta approvata la tassazione sulle speculazioni finanziarie, nonostante Pag. 43l'imposta potesse essere più severa, il Governo, in un decreto che, a suo dire, ha la finalità di promuovere lo sviluppo economico, ne rinvia l'effettiva applicazione di tre mesi con la motivazione che le leggi che l'hanno introdotta sono troppo complicate !
      Ma vi rendete conto del significato di questa norma ? Poiché il Governo come soggetto istituzionale è sempre lo stesso, al di là dei soggetti politici che lo incarnano pro tempore, ci sta dicendo che ha varato una norma, ma che questa norma non la sa applicare, perché non capisce come farlo, e dunque ne rinvia l'applicazione, con un danno economico, ovvero 12 milioni di euro che non entreranno e che vanno coperti perché già conteggiati ai fini di bilancio.
      Vi è, infine, il capitolo spending review, che è a metà strada tra una commedia e una tragedia. La spending review, nel momento in cui fu varata dal Governo Monti, fu pensata come uno dei principali serbatoi dai quali poter attingere risorse economiche preziose, risorse che dovevano emergere a seguito dell'efficientamento e della razionalizzazione della macchina pubblica.
      Il problema vero in tema di spending review è che o si decide di proseguire su quella strada seriamente oppure tanto vale cancellarla definitivamente e trovare un altro sistema di reperimento delle risorse, perché fare come si è fatto fino ad ora, ovvero individuare degli obiettivi e rinviarne l'attuazione, è quanto mai deleterio. In questo decreto si è raggiunto il massimo in questo senso, perché non solo sono state, ovviamente, prorogate diverse scadenze, ma sono stati addirittura riportati in vita enti e agenzie sotto il controllo degli enti locali dei quali la legge vigente aveva decretato la morte, perché gli enti locali non avevano provveduto ad una loro razionalizzazione.
      Come se questo non fosse già abbastanza, suona come una beffa che il Governo, al contrario, si sia dimostrato molto celere a coprire la sede lasciata vacante dal valentissimo dottor Bondi, che ha dimostrato tutte le sue doti individuando, dopo poche settimane dalla nomina a commissario dell'Ilva, le vere cause del diffondersi dei tumori nella città di Taranto. Così, con un last minute, si è stabilito di dare un milioncino di euro in circa quattro anni al nuovo commissario della spending review.
      Tralasciamo considerazioni su altri articoli, rinviandole all'eventuale seguito dell'esame, per una valutazione finale più generale del provvedimento. In questo senso, è evidente che ci avete presentato una piccola manovrina economica, ovviamente a saldi invariati, poiché per il 2013 ci siamo già giocati i pochi bonus a disposizione. Il giudizio su questo provvedimento del Governo – e lo dico serenamente e senza volontà polemiche – è negativo.
      Nessuno si aspettava miracoli, perché trasformare l'acqua in vino, fino ad oggi, in tanti secoli, è riuscito ad una sola persona. Però, signor rappresentante del Governo, questo almeno, tra quelli esaminati dalla Camera, è quello che potremmo definire il primo provvedimento politico del Governo Letta. I decreti che lo hanno preceduto erano tutti più o meno emergenziali; potremmo definirli «di scopo», visto che nascevano per far slittare il pagamento della rata dell'IMU o per intervenire sull'emergenza rappresentata dall'Ilva di Taranto.
      Con il «decreto del fare» il Governo, pur nelle ristrettezze di bilancio e degli impegni europei noti a tutti, si cimentava, per la prima volta, sulla sua visione di politica economica e di rilancio del Paese. In questo senso, ci aspettavamo di più, non nei saldi finali, ma nelle scelte operate. Da un lato, questo decreto è in continuità con quelli del precedente Governo, e dunque i provvedimenti a sostegno di chi ha veramente bisogno vengono sempre rinviati al decreto successivo; dall'altro, il decreto è la fotografia della sua maggioranza di larghe intese, che mette insieme il diavolo e l'acqua santa. Il risultato inevitabile è quello della pioggerellina di marzo, che cade dappertutto e non bagna nessuno.
      Il Governo lo dovrebbe sapere molto meglio del MoVimento 5 Stelle che la Pag. 44politica è soprattutto scegliere, consiste nell'individuare quali fini perseguire con le limitate risorse a disposizione. Il Governo Letta non ha operato queste scelte o almeno non lo ha fatto con questo decreto.
      L'ISTAT ci ha detto, la scorsa settimana, che i poveri in Italia sono 9 milioni e mezzo e, di questi, 4,8 milioni sono poveri assoluti: un livello mai raggiunto prima nel nostro Paese. I dati ci dicono, inoltre, che molti di questi 9 milioni e mezzo, fino a qualche tempo fa, non erano poveri, ma lo sono improvvisamente divenuti perché hanno perso il lavoro o hanno chiuso la piccola impresa.
      Di fronte a questa mostruosa emergenza, nel «decreto del fare», io non vedo scelte, neppure tendenziali, ma, al contrario, leggo presa d'atto e rassegnazione, se non indifferenza.
      L'Italia – e questo è noto – ha raggiunto il record della pressione fiscale. Davanti a questa emergenza, il «decreto del fare» non propone soluzioni, ma la aggrava, perché con alcune sue norme le tasse aumentano ulteriormente. C’è l'estensione della Robin Tax a imprese del ramo energia elettrica, oggi esenti, che si tradurrà in maggiori costi in bolletta per gli utenti. C’è l'ennesimo aumento dell'accisa sui carburanti e, quindi, un costo in più su tutti i possessori di automobili.
      La preoccupazione che esprimiamo non riguarda tanto questo decreto, perché un provvedimento si può anche sbagliare. La nostra preoccupazione per il Paese, e il conseguente dissenso politico che esprimiamo, nasce dalla constatazione che le criticità del «decreto del fare» riflettono carenze politiche strutturali del Governo Letta e della maggioranza formata da PD e PdL.
      Questo significa che il Governo non sarà mai in grado di produrre provvedimenti in grado di incidere positivamente sulle emergenze che travagliano l'Italia perché, per farlo, servono due condizioni: una linea politica precisa e la capacità e il coraggio di fare delle scelte. Il Governo e la sua maggioranza non hanno né una linea politica, né sono capaci di compiere scelte coraggiose, perché troppo impegnati a marcarsi a vicenda, seguendo gli schemi di quella vecchia politica che ci ha portato, purtroppo, nelle condizioni attuali.
      Il risultato, colleghi, è un decreto pessimo nei confronti del quale non possiamo fare altro che esprimere il nostro dissenso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

      FILIBERTO ZARATTI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, signor rappresentante del Governo, siamo qui in una situazione drammatica per il Paese, in una situazione difficile: il debito pubblico cresce, l'impoverimento delle famiglie cresce, la disoccupazione cresce. Questa è l'unica crescita che, fino ad ora, il vostro Governo è riuscita a garantire al Paese, un Paese che è davvero strozzato da queste politiche di austerità, che voi continuate a proporre come l'unica ricetta per uscire dalla crisi.
      A fronte di tutto questo, voi proponete il decreto cosiddetto del fare, ma dobbiamo constatare che questo decreto non è nient'altro che un collage di quello che è stato detto e fatto dagli ultimi due Governi e, così come questi Governi non sono riusciti a far uscire il Paese dalla crisi, così, neanche voi, proponendo le stesse ricette, riuscirete a risolvere questo problema.
      Le ricette che proponete sono sempre le stesse: quella delle grandi opere, spesso inutili – ne fate un ulteriore vecchio elenco nel vostro decreto –, e proponete la stessa ricetta: quella cioè di diminuire le tutele sul lavoro, di diminuire le tutele sull'ambiente, pensando che questo possa determinare un cambiamento nell'indirizzo del Paese. Così non è: noi pensiamo, invece, tutt'altro: pensiamo che il Paese abbia bisogno di regole, regole dal punto di vista dell'equità fiscale, regole che riguardano la gestione del territorio, regole che riguardano la tutela dei diritti del lavoro. Soltanto un Paese con più regole è in grado di uscire positivamente dalla crisi.
      Io penso che ci siano alcuni punti davvero emblematici nel vostro decreto. Pag. 45Mi riferisco, per esempio, all'articolo 5, che riguarda la gestione del cosiddetto CIP 6. Voi siete alla ricerca di risorse per quanto riguarda l'IMU e per quanto riguarda l'IVA. Ebbene, del CIP 6, decine di miliardi di euro, negli ultimi vent'anni, sono state regalate a una serie di aziende per gli scarti di lavorazione e i rifiuti. In modo particolare, questo è l'unico Paese che continua a incentivare il bruciare dei rifiuti.
      In nessuna parte d'Europa c’è un incentivo di questo genere. Gli inceneritori, infatti, sono economicamente sostenibili in relazione al fatto che c’è questo fondamentale contributo da parte dello Stato, altrimenti non starebbero in piedi, altrimenti non potrebbero svolgere la loro funzione.
      Ancora oggi voi sostenete la necessità di continuare a mantenere questi incentivi, in modo addirittura scandaloso. Addirittura, una serie di termocombustori non ancora realizzati potranno godere dell'incentivo da parte dello Stato. Faccio un esempio: a pochi chilometri da qui ancora in questi mesi i comitati dei cittadini di Albano hanno sollevato ricorso al Consiglio di Stato per bloccare il CIP6 di questo impianto che, appunto, non è stato ancora realizzato.
      Io penso, invece, che queste risorse, queste importanti risorse, potrebbero davvero essere utilizzate per cercare di sostenere quelle politiche che invece sono necessarie al Paese. Non abbiamo bisogno, diciamo, di quelle semplificazioni che invece diventano deregulation, soprattutto dal punto di vista ambientale, soprattutto senza i necessari controlli che possano determinare, appunto, che i cittadini siano garantiti da parte di queste procedure. Abbiamo bisogno di investimenti che riguardano l'innovazione. Abbiamo bisogno di investimenti che riguardano la ricerca. Abbiamo necessità di rilanciare l'occupazione, per rilanciare anche i consumi interni. Io penso che sia necessario intervenire fortemente sulla difesa del suolo, sulla difesa dal punto di vista idrogeologico.
      Vado a concludere, Presidente, dicendo che gli investimenti necessari sono quelli della manutenzione del patrimonio edilizio, della manutenzione del territorio. Sono interventi, questi sì, labour intensive e che vanno a sostenere quella rete di piccole e medie imprese che possono rilanciare l'economia del Paese. Nel vostro decreto non c’è niente di tutto questo. Nel vostro decreto non c’è niente di nuovo. È un decreto, diciamo, che sta a sottolineare il fatto che il Paese avrebbe bisogno di altro. Il Paese avrebbe bisogno di più. Di fronte a un decreto come questo, a un decreto del fare come questo mi consenta, signor rappresentante del Governo, sarebbe meglio un decreto del non fare niente (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sorial. Constato che non è presente in Aula; s'intende che vi abbia rinunciato.
      È iscritta a parlare l'onorevole Gasparini. Ne ha facoltà.

      DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Signor Presidente, cari colleghi, prima di tutto desidero anche io evidenziare lo straordinario impegno profuso da tutte le Commissioni parlamentari, sottolineando che c’è stato un confronto importante all'interno delle Commissioni e devo dire che possiamo benissimo sottolineare stamattina che abbiamo lavorato giorno e notte per presentare oggi alla Camera questo provvedimento.
      Il confronto è stato generoso da parte di tutti i rappresentanti dei gruppi politici, sia di maggioranza sia di minoranza, e anche adesso, che ho sentito le critiche che alcuni relatori hanno fatto negli interventi prima del mio, io credo che questo provvedimento sia un provvedimento importante per il Paese, urgente, che risponde a quelle che sono le richieste che vengono dai cittadini e dalle imprese.
      Certo, è un provvedimento che, di fatto, ha un'esigenza di rispondere alla ripresa dello sviluppo di questo Paese ed è un provvedimento che per fare questo tocca più settori della vita amministrativa, economica e organizzativa del Paese. Non Pag. 46poteva essere altro. Lo so perfettamente e lo so per la mia esperienza di sindaco che per agire nel cambiamento non è sufficiente intervenire soltanto su un campo, ma bisogna intervenire contemporaneamente su più settori e in questo caso io devo dire che questo decreto ha il valore della concretezza. Quella concretezza che i cittadini ci chiedono e che ci chiedono le imprese che oggi, più che mai, sono in difficoltà, anche perché vessate da un'amministrazione pubblica spesso faticosa, burocraticamente difficile da sostenere, che blocca anche quelle poche capacità di sviluppo, spesso senza risorse, che oggi il Paese sa mettere in campo.
      Credo che questo decreto sia importante e, oltre tutto, se verrà arricchito, in tempi brevissimi, dagli altri provvedimenti annunciati dal Governo.
      Ricordo che tutti, i cittadini, ma anche gli enti locali che in questo momento sono nella difficoltà estrema di capire come governare il proprio bilancio rispetto anche alle programmazioni future, sono in attesa della definizione dell'IMU e di capire come sarà e come verrà riorganizzata la TARES, così come, come è stato annunciato dal Ministro Zanonato, se verrà cancellato l'aumento dell'IVA.
      Sono già al centro del dibattito politico, ma credo che sia molto importante anche l'avvio della discussione in Commissione, delle riforme costituzionali e istituzionali; quelle che ci aspettiamo con l'avvio della discussione di ottobre, ma anche quelle urgenti che oggi, dopo la sentenza della Corte costituzionale, sono indispensabili, vale a dire la decisione in merito al destino delle province e all'istituzione delle città metropolitane. È indispensabile l'urgenza di adottare questi provvedimenti, perché si rischia di paralizzare e di rendere difficile anche l'attuazione dell'importante decreto-legge che oggi stiamo discutendo se province e comuni non conoscono il loro destino.
      Il «decreto del fare» affronta temi strategici uscendo dalle risposte di emergenza che hanno caratterizzato questi primi mesi di Governo e possiamo dire che, rispetto a quello che abbiamo lasciato alle spalle, oggi rappresentano un segno di cambiamento: dal solo rigore del Governo Monti al rigore e investimenti per lo sviluppo del Governo Letta; mi permetterei anche di dire, alla ripresa di una discussione nel merito dei diritti.
      Gli articoli del «decreto del fare» affrontano problemi complessi e, come sempre quando si propongono innovazioni e cambiamenti su così tanti campi, si apre un dibattito sui contenuti. Ci sono aspettative che non hanno ricevuto risposte, ci sono temi non trattati come si vorrebbe e in alcuni casi si evidenziano rischi sul raggiungimento del risultato previsto. Questo sta nelle cose, perciò auspico che possa essere attuato quello che il Governo ha sottolineato più volte: dotarsi di strumenti per la verifica dei risultati e fare la necessaria manutenzione delle leggi esistenti per renderle più efficaci e capaci di raggiungere gli obiettivi previsti.
      Va letta in questo senso la scelta di dotarsi di un comitato permanente per la spending review e l'accelerazione delle conclusioni della definizione dei costi standard per i servizi pubblici. È un approccio virtuoso quello che ha deciso il Governo, perché non possiamo certamente perdere in questa fase il quadro complessivo dei risultati ottenuti e da ottenere e degli impegni e dei vincoli da osservare. Solo così potremo rispondere veramente alle aspettative e ai sacrifici che cittadini e imprese hanno fatto per raggiungere la stabilità finanziaria e uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Non dimentichiamo che questo è stato un primo frutto, un primo impegno che abbiamo chiesto agli italiani e che oggi non possiamo dissipare.
      Dico questo, perché non capisco quando alcuni parlamentari evidenziano la mancanza di una strategia in questo provvedimento. Io la penso esattamente al contrario: penso che le linee guida che il Presidente Letta ha indicato, raccogliendo le raccomandazioni rivolte all'Italia dalla Commissione europea, sono linee guida strategiche che accompagnano l'intero provvedimento. Le voglio leggere, per ricordarle insieme: semplificare il quadro Pag. 47amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese; abbreviare la durata dei procedimenti civili, riducendo l'alto livello di contenzioso e promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali; sostenere il giusto credito alle attività produttive, anche diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti; intensificare gli sforzi per scongiurare l'abbandono scolastico e migliorare la qualità e i risultati della scuola; proseguire nell'azione di regolarizzazione nel settore dei servizi e migliorare le capacità infrastrutturali, incluso il settore dei servizi.
      Credo che chi, come me e come molti colleghi che sono intervenuti questa mattina e che hanno partecipato al dibattito nelle Commissioni, non possa non prendere atto che questi principi ispiratori non facciano parte del provvedimento che oggi stiamo discutendo.
      Non entro nel merito dei temi, mi soffermo soltanto su due punti che ritengo di importanza strategica. Il primo è riguarda la parte relativa alla semplificazione e alla riduzione della burocrazia. Condivido la scelta di introdurre l'indennizzo per i ritardi delle procedure amministrative e il tentativo, finalmente, di applicare una legge, la n.  241 del 1990, che prevedeva l'obbligo per gli enti locali e anche per la pubblica amministrazione, di individuare tempi e responsabili del procedimento, legge che, assicuro, è stata attuata male e solo parzialmente.
      Con l'introduzione dell'indennizzo viene sostanzialmente, a questo punto, incentivata l'applicazione. Quello che io voglio evidenziare, però, e voglio chiedere al Governo, è di non lasciare così in sospeso questo provvedimento, perché, di fatto, ho letto in questi giorni sui giornali che il Ministro sta riaprendo la trattativa con i sindacati, e io credo che in quella occasione sia necessario capire come trovare un fondo per premiare quei lavoratori della pubblica amministrazione che i tempi li rispettano e, anzi, li accorciano. Credo che sia giusto evitare che in questa fase si possa pensare, da parte del pubblico impiego, che il Parlamento decide norme per penalizzarli e soprattutto che li consideri tutti uguali anziché riconoscere e premiare i lavoratori disposti a mettersi in gioco. Lo dico e lo sottolineo, come ho già fatto in Commissione, anche perché noi affrontiamo una esigenza di grande cambiamento per il Paese, con un blocco dei contratti della pubblica amministrazione in una situazione in cui diventa difficile, di fatto, premiare chi accetta la sfida del cambiamento.
      Vanno sempre sul piano della sburocratizzazione degli enti pubblici e della pubblica amministrazione, tutti i temi dell'Agenda digitale e dell'informatizzazione che sono previsti, e mi sembra molto importante sottolineare il piano nazionale a sostegno delle zone a burocrazia zero. Io credo che questi siano atti e scelte che il Governo deve peraltro accompagnare con forza, perché io credo che gli enti locali debbano essere accompagnati nella fase di cambiamento.
      Sempre sul piano della semplificazione e dell'efficientamento, considero strategici per il Paese i provvedimenti in merito ai tempi della giustizia civile, il cui stato costituisce uno dei fattori esogeni di svantaggio competitivo per la società italiana, in particolare, per chi produce e lavora. Siamo al centocinquantesimo posto nel mondo dell'indice di efficienza di recupero del credito a causa dei tempi lunghi – ho quasi finito Presidente –, e sono 1.210 i giorni per la durata dei procedimenti civili. Io credo che con la sperimentazione della mediazione obbligatoria, questa novità acceleri la soluzione del processo civile e le indicazioni date mi sembrano molto interessanti: circa 1 milione le cause in meno in un anno.
      Qui voglio soltanto fare un appunto e metterlo come memoria: credo che il tema del contenzioso sia un tema importante anche nella pubblica amministrazione; sarebbe molto interessante capire in future norme come far sì che la mediazione possa essere uno strumento anche per risolvere i contenziosi nella pubblica amministrazione stessa.
      L'ultima cosa che voglio dire riguarda una norma che è stata introdotta, che sembra burocratica, ma è politica e strategica, Pag. 48che riguarda le procedure di riconoscimento della cittadinanza dei figli nati in Italia da genitori stranieri. Lo dico perché sono state raccolte molte firme nei territori, perché nei territori le associazioni e i cittadini sanno bene che se non c’è pari condizioni, il rispetto delle diversità e un'accoglienza vera dei cittadini stranieri, di fatto non esiste coesione sociale. Lo dico, anche perché io penso che non ci possa essere giustizia, benessere, democrazia e neppure sviluppo, se non si modifica profondamente la dimensione del nostro essere individuale e collettivo. Per affrontare le sfide a cui siamo chiamati oggi, non possiamo rispondere con l'individualismo, la paura e la chiusura. La relazione con l'altro e il potersi davvero sentire tutti cittadini di un'unica comunità, è un ingrediente essenziale per poter consolidare la democrazia e per contribuire a rimettere in moto lo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito democratico).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sannicandro. Ne ha facoltà.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, egregi colleghi, signor sottosegretario, in perfetta continuità con i Governi precedenti, anche questo si avvale della decretazione d'urgenza come sistema ordinario di governo. È un sistema, come è noto – non voglio essere retorico –, che praticamente mette in un angolo il Parlamento, la sua capacità di riflessione e di mediazione su ogni iniziativa legislativa. In questo caso abbiamo ripreso anche il vecchio e inaccettabile sistema dei decreti omnibus o dei «decretoni».
      Voglio fare presente che la Corte costituzionale dal 2007 è passata – come ha detto uno scrittore – ormai alle vie di fatto, e cioè ha annullato dei decreti-legge, avendo ormai assunto la responsabilità di sanzionarli anche quando non ne ricorrono i presupposti individuati dall'articolo 77 della Costituzione.
      Nel 2007, con una famosa sentenza innovativa, fu chiarito che un sintomo di violazione della Costituzione era da ravvisarsi nella eterogeneità del contenuto. Ora è evidente che di eterogeneità del contenuto qui abbiamo ampie prove, grandi prove, perché l'affastellamento delle norme è tale e tanto che c’è soltanto la difficoltà della scelta.
      Poi, con una sentenza ancora più coraggiosa dell'anno successivo, del 2008, la Corte ha anche stabilito che i decreti sono contra legem costituzionale quando non c’è, come dire, coerenza tra l'intento che il Governo si propone e l'effettività del contenuto delle singole norme.
      Faccio immediatamente presente che qui ricorrono tutti i sintomi individuati dalla dottrina e dalla Corte costituzionale per dichiarare che il Parlamento è stato usurpato. In questo decreto ci sono delle norme del tutto estranee, dicevo: per esempio l'articolo 36, quello che proroga i consigli di indirizzo e vigilanza dell'INPS e dell'INAIL, norme introdotte senza alcuna connessione con l'intitolazione dello stesso decreto; l'articolo 44, in materia di riconoscimento del servizio presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri; o l'articolo 46, che esonera gli enti locali dal conto annuale delle spese sostenute per l'organizzazione di Expo Milano 2015; oppure l'articolo 83, che reca modifiche alla disciplina dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato.
      E poi ci sono tutte le norme che di per sé chiariscono che non sono norme urgenti. Mi riferisco a tutte quelle norme che rinviano la loro efficacia ad un futuro abbastanza distante dal momento in cui il decreto sarà varato, oppure che prevedono un concerto di tali e tanti soggetti con procedure talvolta anche complesse – come è stato già evidenziato da qualche altro collega – che implicitamente rinviano a data lontana l'effettiva efficacia della legge stessa. Quindi, nulla di urgente.
      Ma c’è ancora qualcosa di peggio, che dimostra come i decreti-legge spesso non servano a fare, ma a disfare. Ora, è stato ben evidenziato dal Comitato per la legislazione – dei cui suggerimenti non si tiene affatto conto in quest'Aula – quanto sia destabilizzante questo decreto. È destabilizzante Pag. 49perché, per esempio, gli articoli 13, 14, 16 e 17 intervengono sulla disciplina dell'Agenda digitale italiana sulla quale sono già intervenuti, non quattro leggi, sono già intervenuti già quattro decreti-legge in appena due anni, cioè uno del 2011 e due del 2012.
      Poi, abbiamo la normativa sui contratti pubblici; voi sapete che il decreto del Presidente della Repubblica è entrato in vigore nel 2011. Orbene, questo decreto del Presidente della Repubblica, entrato in vigore nel 2011, è stato modificato in 27 disposizioni appena in due anni con sei decreti-legge, con sei decreti-legge.
      Poi, abbiamo la chicca, se così si può dire: l'articolo 46, che disciplina ancora una volta la manifestazione Expo 2015 – che è stata a sua volta oggetto di diversi decreti-legge –, viene a modificare ancora una disciplina che era stata sistemata, appena appena varata il 26 aprile 2013, cioè qualche mese fa.
      Ancora, l'articolo 53 che disciplina le entrate tributarie e patrimoniali dei comuni.
      Quest'articolo 53 novella il decreto-legge n.  35 che abbiamo convertito in legge appena qualche mese fa, cioè quanto viene prodotto con i decreti-legge dura lo spazio di un mattino molto spesso. Non parliamo poi della formulazione del testo di legge, infarcito di descrizioni molto spesso inutili, laddove si scrive, ad esempio, «fatta salva la normativa comunitaria vigente» oppure si dice che «nelle more della nuova disciplina vale quella che c’è» cioè affermazioni banali, apodittiche, che, come dire, tranquillamente dovrebbero essere espunte dal testo, se non altro per motivi di affaticamento della lettura dei poveri studenti e, poi, degli operatori. Dicevo una normativa destabilizzante. Qua si parla molto spesso delle imprese, dei cittadini, degli interessi dei cittadini, della necessità di una normativa stabile. Ora qua si fanno impazzire le imprese e i cittadini, perché quello che si decide oggi probabilmente lo modificheremo tra qualche mese. E questa è la prova provata che non sempre si può procedere con i decreti-legge, perché l'uso dei decreti-legge dovrebbe essere limitato ai casi previsti esplicitamente dalla Carta costituzionale.
      Non ho molto tempo, spero di poter argomentare specificatamente sui singoli punti in seguito. Velocemente, Titolo III, la giustizia è in stato comatoso. Lo sappiamo tutti ma io vi do qualche dato per comprendere appieno questa situazione di crisi. Ho preso i dati della direzione generale di statistica del Ministero della giustizia. Che cosa ci dice questa statistica relativamente all'anno 2011 ? Che il totale delle pendenze solo civili al 2011 è di circa 5 milioni 662 mila 116 processi, divisi tra Corte di cassazione, corte d'appello, tribunale per i minorenni, tribunale ordinario, giudice di pace. Ripeto: 5 milioni 662 mila.
      Allora è evidente che sorge spontanea la domanda: ma quanto scritto nel Titolo III di questo decreto cosiddetto «del fare» che meglio sarebbe definire «del fare male», quanto lì è scritto, è in grado di fronteggiare questa pendenza ? Orbene lì è scritto che noi dobbiamo eliminare il contenzioso perlomeno in vent'anni. È scritto perché, quando si scrive che i 400 giudici ausiliari dovranno prendere 200 euro a sentenza e, al massimo, potranno guadagnare in un anno 20 mila euro, significa che praticamente, se il Ministero riuscisse a reclutare i 400 magistrati ausiliari da adibire tra l'altro alla corte d'appello, soltanto per eliminare il contenzioso dalla corte d'appello, dovrebbero lavorare dieci anni perché 448 mila contiene abbondantemente 400 mila.
      Ora ci sono tutti gli altri aspetti della questione. Con questo decreto-legge si vuole anche privatizzare sostanzialmente la giustizia e le norme che sono state inserite – ne parleremo più diffusamente nel momento in cui le esamineremo singolarmente – sono norme che aprono la strada...

      PRESIDENTE. Onorevole Sannicandro, concluda.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, quanto tempo avrei secondo il Regolamento ?

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      PRESIDENTE. Secondo il Regolamento lei avrebbe ancora venti minuti, però il gruppo mi ha segnalato dieci minuti come è successo per altri oratori. Quindi è ovvio che io mi regolo secondo le indicazioni date dal gruppo.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Posso chiedere una deroga al gruppo di cinque minuti ?

      PRESIDENTE. Per me fino a che sta entro i trenta minuti può prendere quello che vuole.

      ARCANGELO SANNICANDRO. La deroga a Titti è stata concessa ?

      TITTI DI SALVO. Sì.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Ho capito. Concludo brevemente. Dicevo dei giudici ausiliari. Certo, presa in sé la norma, come dire, daranno un contributo ma è evidente come tutti coloro che sono stati auditi, dal primo presidente della Cassazione fino al rappresentante ultimo dell'amministrazione della giustizia, tutti hanno detto che il problema è grave ma tutti hanno anche detto che questa normativa va stralciata perché ha bisogno di un intervento incisivo e sistematico.
      Infatti di riforma della giustizia si parla da vent'anni ed io potrei enumerare qui gli interventi annuali, puntuali su quella o su quest'altra norma, che in questi vent'anni sono stati varati dal Parlamento, spesso anche sotto forma di interpretazione autentica, non per risolvere il problema della giustizia, ma per risolvere molto spesso problemi contingenti, addirittura di quel tribunale o di quell'ente che aveva perso i giudizi in massa davanti ai giudici italiani. Ora, ci sono 5 milioni di pendenze e sapete quanto è la produzione nuova, diciamo così, la domanda di giustizia ? Nel 2011 sono stati iscritti a ruolo 4 milioni 439 mila 510 fascicoli. Per fortuna i giudici ne hanno smaltiti altrettanti, ma la pendenza rimane sempre di 5 milioni 662 mila. Quindi alle audizioni hanno detto: non è con queste norme che risolviamo il problema, non andiamo da nessuna parte. Tutti, ripeto, senza ombra di dubbio, chi in modo esplicito, chi in modo un po’ meno esplicito, però ognuno ha sostenuto questo. Allora io mi domando: qual è la ragione per la quale non si affronta direttamente questo problema ? Ma veramente le esigenze propagandistiche devono sopravanzare rispetto alle esigenze di sostanza, a quella che è la richiesta dei cittadini ? Oggi i cittadini in effetti nella giustizia non hanno più fiducia, perché quando in tribunale una causa viene rinviata di due anni o tre anni... Se tu iscrivi a ruolo una causa oggi, in alcuni tribunali ti fissano l'udienza al 2017. Allora di fronte a questo, le statistiche sono veramente molto benevole, perché dire che una causa si risolve in 1.210 giorni non si dice il vero, ma si dice il falso, perché 1.210 giorni sono praticamente quattro anni e spesso quattro anni servono per vedere la prima e la seconda udienza in molti tribunali italiani.
      Ora la si affronta, ripeto, con uno strumento debole, con un ricorso all'esterno a precari, siano pure qualificati, e si escludono tutti i suggerimenti che provengono dagli ambienti qualificati. Non è una materia sulla quale c’è divisione tra l'Associazione nazionale magistrati, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione dei giudici di pace, l'Associazione dei giudici ordinari, l'Associazione dei dirigenti amministrativi della giustizia, la CGIL, la CISL, la UIL funzione pubblica: c’è molta identità di vedute. Allora, cosa impedisce di porre mano una volta per sempre a questo problema, stralciando questa parte del decreto-legge ? Infatti è ben scritto già nel decreto-legge che noi non sortiremo alcun effetto, alcun risultato positivo, se il risultato positivo è quello di abbattere il contenzioso pendente ed evitare che ne insorga altrettanto. Anche perché, tra l'altro, manca un'analisi dell'impatto della regolazione. Qui al Governo è sfuggito – credo a tutti, perché non ho ascoltato, soltanto per questo – che questo decreto non è accompagnato dall'analisi dell'impatto della regolazione, pur previsto dalla legge. Non è accompagnato, perché se vi Pag. 51fosse stata questa analisi, il Governo avrebbe dovuto rispondere e dire qual era il problema effettivamente che si voleva affrontare, se la misura che proponeva era adeguata e quale era la ragione per cui aveva scartato tutte le altre misure possibili, che in questo caso sono le misure proposte da tutti gli operatori della giustizia.
      Ora il tempo è scaduto Presidente, mi arrendo, vuol dire che sui singoli articoli parleremo, se sarà possibile, in seguito (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sannicandro, le ripeto: io mi attengo alle indicazioni provenienti dai gruppi, ci mancherebbe.
      È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

      BRUNO TABACCI. Signor Presidente, sottosegretario De Vincenti, colleghi, il decreto omnibus «del fare» non sfugge alla critica che il Governo ha messo in campo un'iniziativa legislativa senza una precisa linea di coordinamento sulle grandi questioni aperte nel Paese e, quindi, senza un'adeguata filosofia di accompagnamento. È come se fossero stati svuotati i cassetti dei diversi ministeri nei quali erano stati riposti materiali confusamente archiviati, anche se talvolta non privi di interesse su problematiche specifiche. Forse c'era fretta e il Governo aveva bisogno di dare un segnale. Io questo lo capisco e non mi scandalizzo. Purtroppo, il prodotto non è di qualità legislativa adeguata e non segna una discontinuità rispetto alla decadenza giuridica segnata in questi ultimi lustri di lavoro parlamentare. Ciononostante, le Commissioni referenti – e di questo bisogna dare atto ai presidenti Boccia e Sisto – si sono applicate con grande impegno e hanno cercato di recuperare i contenuti espressi dalle Commissioni effettivamente di merito che hanno presentato condizioni e pareri consultivi molto pertinenti come, ad esempio, ha fatto la Commissione giustizia.
      Ne è uscito – ed è questo che è alla nostra attenzione – un provvedimento complesso con luci ed ombre dal quale non emerge con chiarezza né l'idea del Paese né l'indicazione delle riforme strutturali non più rinviabili. Emerge piuttosto l'ottimismo della volontà. E questo, in una fase così delicata come quella che stiamo attraversando, non è certo da rigettare, però va preso coscientemente atto della dimensione in cui questo ottimismo tende a svilupparsi. Considero il lavoro fatto una sorta di anteprima della legge di stabilità che dovrà fornire la cornice finanziaria, amministrativa e fiscale. Purtroppo, è inutile farsi illusioni, non arriverà una grande sferzata all'economia reale con questo decreto-legge. Mi auguro che quello sul pagamento dei debiti possa avere effetti ben più concreti. Me lo auguro e dipende dalla fase attuativa nella quale essa si sta dipanando.
      Anche per questo è necessario, però, recuperare essenzialità nel dibattito politico. Il dibattito di questi due mesi su IMU, IVA e relativi sviluppi fiscali è parso del tutto superficiale, strumentale, con il preannuncio di coperture che sono state poi considerate deboli ed inadeguate e che ci hanno fatto rimbalzare delle critiche esterne che potevano essere evitate. È necessario rimettere al centro del dibattito la qualità della nostra spesa pubblica. Questa è la vera azione coraggiosa che va incardinata con forza. Per questo ho apprezzato il segnale che viene dall'articolo 49-quater per la razionalizzazione della spesa pubblica, sia per il ruolo del Comitato interministeriale presieduto dal Presidente del Consiglio, sia per l'istituzione di un commissario straordinario. Con la legge di stabilità il Parlamento può divenire la sede dell'impulso più serio a questa materia decisiva se ognuno rinuncia alla difesa dei piccoli interessi particolari sedimentati nel tempo e che vanno spezzati. La spesa pubblica si aggira attorno agli 800 miliardi di euro, ma quelli sui quali ragionevolmente si può pensare di incidere non va oltre i 300 per la rigidità che la maggior parte della spesa pubblica è andata assumendo nel tempo.
      Questo lavoro, però, impegna singolarmente, ma anche in maniera congiunta, Pag. 52sia il Parlamento che il Governo. E credo che, invece di perdersi in polemiche che sono parse, almeno quelle che ho sentito in Commissione, del tutto superficiali, sia necessario considerare questo come il banco di prova vero per questo Governo, per l'equilibrio politico che ad esso è collegato e, in generale, per il ruolo della dimensione parlamentare. Con i colleghi Rughetti, Melilli e Andrea Romano abbiamo iniziato a presentare emendamenti con lo scopo di ridurre ingiustizie ed innescare solidarietà sociale anche attraverso l'introduzione di norme emblematiche. Ad esempio – l'abbiamo poi ridotto ad un ordine del giorno – il divieto di cumulo tra pensioni e indennità per i ruoli assunti negli organi costituzionali e nei vertici della pubblica amministrazione è un segnale concreto, una modalità non che insegue il facile qualunquismo o una certa demagogia che c’è attorno a questi temi, ma un'affermazione molto precisa di linearità puntuale in tema di giustizia e di rispetto delle posizioni, specie dei più deboli.
      Ed è evidente che chi gode di pensioni che sono state costruite nel tempo su un metodo retributivo e che oggi aggiunge ad un'indennità che continua a percepire per lo svolgimento di certe funzioni, non possa non mettere nella disponibilità piena parte o tutto di quella rendita derivante da quel meccanismo previdenziale e creare un fondo che aiuti l'inserimento nel lavoro delle giovani generazioni.
      Io penso che sia un lavoro che vada ripreso, interpretando a pieno il ruolo del parlamentare senza vincolo di mandato. Questo è un elemento che, un giorno o l'altro, bisognerà mettere a fuoco con grande precisione: io ho molto rispetto per i colleghi del MoVimento 5 Stelle, ma uno degli elementi di forza con i quali Grillo si è presentato era quello di contestare questo punto, che è un punto essenziale dell'assetto costituzionale di una democrazia moderna, cioè l'idea che chi sta qui non lo fa per la difesa di un interesse particolare – fosse anche un nobile interesse territoriale –, ma per la difesa dell'interesse generale del Paese.
      Questo è il senso che è legato all'espressione «senza vincolo di mandato» e che ritorna sulla responsabilità e sulla coscienza di ogni singolo parlamentare, proprio perché rappresentante dell'interesse generale. E d'altro canto, ciò si vede anche nei fatti minuti, concreti: il numero degli emendamenti, le caratteristiche degli emendamenti, le loro concentrazioni legate ad articoli di spesa dimostrano che cosa ? Che questo concetto dell'interesse generale non lo viviamo in profondità, ma lo viviamo a giorni alterni. Ora, sarebbe bene che noi recuperassimo la profondità di questo concetto, con un elemento che ci aiuti, poi, anche nell'attività parlamentare, a muoverci con un fondo di coerenza.
      Adesso abbiamo di fronte il rischio che si riproponga il dibattito che abbiamo già svolto nelle Commissioni. I presidenti sono stati abili nel proporre una riduzione del numero degli emendamenti – che mi pare avesse raggiunto la ragguardevole somma di 2.300 o 2.400 – e i gruppi hanno convenuto sull'idea di autolimitarsi. Ora, però, il problema è che noi abbiamo fatto qualche notte e io l'ho fatta volentieri, di questo non mi lamento, ma non è che possiamo riproporre lo stesso schema, perché l'abbiamo già fatto nelle Commissioni. E poiché gli emendamenti respinti si possono ritenere automaticamente ripresentati, non è che noi automaticamente dovremo riproporre la solfa che abbiamo già visto nelle Commissioni. Quindi, qui c’è un passaggio politico, che va affidato alla lungimiranza dei gruppi parlamentari. Perché io preferirei di gran lunga, piuttosto che porre il voto di fiducia – sbocco inevitabile, se si tratta di riproporre in Aula l'esperienza già fatta nelle Commissioni (è del tutto inutile, non il voto di fiducia, ma la riproposizione di quell'esperienza) –, evitare questo. E ciò potrebbe essere evitato, se i gruppi di opposizione si limitassero a scegliere, a segnalare, a indicare, a convergere su una trentina di emendamenti sui quali si possa svolgere un dibattito ampio e se, una volta chiarite le coperture dell'articolo 61, i gruppi che fanno riferimento direttamente o indirettamente alla maggioranza rinunciassero a Pag. 53presentare qualsiasi emendamento, perché molti dei loro emendamenti sono stati accolti nelle Commissioni, grazie al lavoro intelligente e alla presenza continua del sottosegretario De Vincenti.
      Così stanno le cose. Per evitare, poi, di sentir ripetere una sorta di sceneggiatura già scritta sulla posizione del voto di fiducia e, poi, sulle repliche e sulle contestazioni allo stesso, è evidente, che un dibattito che si ripropone in Aula con centinaia e centinaia di emendamenti, alla fine, lo svilisce, impedisce al provvedimento, che già cammina non con un passo robustissimo, di svolgere anche suoi effetti minori.
      Mi avvio a concludere; credo, quindi, che si possa evitare il voto sulla questione di fiducia se c’è la consapevolezza che le ore che abbiamo davanti vanno utilizzate positivamente. La conclusione politica è questa: la sensazione che io ho ricavato dalla esperienza nelle Commissioni I e V e che ricavo, anche, dal tipo di dibattito che – lo ripeto –, pur con qualche incertezza, si sta determinando nel Paese è che, con tutte le difficoltà politiche legate ai risultati elettorali, ci siano in questo Parlamento forze adeguate per compiere un salto di qualità.
      Anche il contributo delle opposizioni e, più in generale, l'emergere di un pensiero parlamentare libero, che prescinda dall'atteggiamento rispetto al Governo – perché neppure si può immaginare che ci sia un'identificazione di tipo geometrico dell'area di Governo e io stesso guardo con attenzione e simpatia al Governo, non ho pretesa di rappresentare niente di più che il mio voto personale, e sono del parere, proprio a proposito di quel vincolo di mandato di cui ho detto, che ogni parlamentare risponde a se stesso e di se stesso al Paese –, però ci possono essere e possono essere sviluppate se c’è una misura politica che le accompagna e le fa andare nella giusta direzione.
      Credo, quindi, che il contributo di un pensiero parlamentare libero possa aiutare a valorizzare, volgendo in opportunità gli equilibri, pur precari, sui quali noi stiamo appoggiando in questa fase storica. Il mio è un giudizio, quindi, sospeso, ma fiducioso, ed è un appuntamento alla legge di stabilità, nella speranza che possa rappresentare un vero punto di svolta (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Centro Democratico, Partito Democratico e Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Villarosa. Ne ha facoltà.

      ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Signor Presidente, deputati, quando ho visto che il Governo si apprestava a redigere il testo di un decreto-legge recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, soprannominato, addirittura, «decreto del fare», mi sono brillati gli occhi; finalmente il Governo si apprestava a risolvere i problemi dell'economia italiana. Speravo in un cambio di direzione, visti i risultati pessimi ottenuti dai Governi succedutisi in questi vent'anni, che poi sono gli stessi al Governo in questo momento.
      Non so se quest'anno vi siete resi conto di quello che è accaduto, perché speravo di notare differenti stati d'animo all'interno di questo palazzo di fronte a questi numeri. Il debito pubblico è al record di 2.074 miliardi di euro, andiamo verso il 130 per cento del PIL; il rapporto debito-PIL, appunto, è passato dal 106 per cento al 130 per cento in quattro anni, il 20 per cento in quattro anni. Lo ripeto: il 20 per cento in quattro anni !
      Per colpa di questo debito paghiamo circa 90 miliardi di euro di interessi annui. Il PIL atteso per quest'anno sarà inferiore al meno 2 per cento, che si aggiunge al meno 2,4 per cento del 2012. Il rapporto deficit-PIL, dal 2,9 per cento del 2013 è già oltre il 3 per cento in questo momento. L'introduzione di nuovi tributi, IMU, IVA, Tares, la nuova cassa integrazione in deroga, lo portano ben oltre la soglia del 3 per cento. Il gettito IVA negli ultimi quattro anni è rimasto costante, dai 119 miliardi ai 117 miliardi, però il PIL è diminuito: più i cittadini non riescono a pagare le tasse, più voi li tassate. Queste sono le solite metodiche: se il mercato soffre, lo tasso di più. Sono stati bruciati circa 12 Pag. 54punti di PIL dall'inizio della crisi. Questo ci costa circa 200 miliardi di euro. I prestiti delle banche alle imprese sono diminuiti del 5 per cento su base annua nei mesi da marzo a maggio; sono andati in fumo ben 60 miliardi di euro di prestiti solo nel 2012.
      Nell'ultimo anno la situazione è ancor più peggiorata, nonostante la propaganda fatta da alcuni partiti con frasi del tipo: l'Italia è in fase di ripresa. Questo per voi è ripresa ? Per quanto riguarda le entrate tributarie, a maggio abbiamo avuto una riduzione di 700 milioni di euro rispetto allo stesso mese di un anno fa. Il gettito IVA è inferiore del 6,8 per cento nei primi cinque mesi del 2013, un vero disastro. Il potere di acquisto delle famiglie è pari a meno 94 miliardi di euro dall'inizio della crisi, circa 4 mila euro in meno per ogni nucleo familiare. La disoccupazione ? Abbiamo sfondato il 12,2 per cento, questo è il dato peggiore dal 1977. La disoccupazione giovanile è oltre il 38 per cento.
      Circa 2.200.000 famiglie vivono sotto la fascia di povertà. Vi sono ragazzi under 30 che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, totalmente inattivi. Precariato ? Contratti atipici per il 53 per cento dei giovani, è un dato OCSE. Ammortizzatori ? Ottanta miliardi di euro erogati dall'INPS dall'inizio della crisi tra cassa integrazione e indennità di disoccupazione.
      Noi siamo convinti che le vostre sono distrazioni, non vogliamo credere che ci sia malafede nei vostri atti, ora però è il momento di dimostrarlo.
      In Commissione la gestione dei lavori è stata pessima e non lo diciamo solo noi come MoVimento 5 Stelle, lo dicono altre forze politiche. Vorrei solo ricordarvi che giovedì scorso siamo stati costretti a lavorare venticinque ore di fila, a causa della vostra fretta, dettata dall'utilizzo del decreto-legge, uno strumento errato per Costituzione. Non sto qui a spiegarvi quali sono le finalità e le caratteristiche dettate dalla nostra splendida Costituzione: le dovreste conoscere bene, anche se le avete pienamente disattese.
      Sui 450 emendamenti del MoVimento 5 Stelle, solo quattordici sono stati approvati, solo quelli che facevano comodo a voi, senza nessuna voglia dimostrata di accettare i nostri consigli migliorativi. So che volete chiedere la fiducia, vista la mole degli emendamenti presentati in Aula, e questo dimostra la vostra sordità. Noi siamo disposti a venirvi incontro e a presentare un numero ridotto di emendamenti, parecchi dei quali trovavano parere favorevole delle Commissioni competenti e anche pareri favorevoli non ufficiali da parte dei relatori e del Governo. Molti nostri emendamenti cercano di riportare equità nel sistema fiscale e limitano i tagli lineari. Quindi, noi siamo qui democratici e costruttivi; ora tocca a voi dimostrare lo stesso.
      Voi distrattamente avete aumentato le accise sulla benzina, avete distrattamente aumentato la tassazione sull'alcol etilico, distrattamente state aumentando l'IVA, distrattamente state reintroducendo l'IMU ed emettendo nuovo debito per pagare vecchi debiti, come per i debiti della pubblica amministrazione. State svendendo il patrimonio pubblico per oltre 1 miliardo di euro l'anno, nonostante buona parte degli edifici pubblici siano in affitto alla stessa pubblica amministrazione.
      Ma chi è il vostro economista ? Vi rendete conto che sarebbe il caso di licenziarlo ?
      Noi, per tutti i decreti arrivati fino a questo momento, abbiamo presentato sempre ottime proposte di copertura finanziaria: il taglio delle pensioni d'oro (13 miliardi di euro); l'aumento della tassazione sui giochi d'azzardo; il taglio agli stipendi dei manager; l'eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti; la rivalutazione delle concessioni televisive; insomma, tutte quelle manovre che vengono percepite come inique dai cittadini e che gli stessi non sopportano più. Mentre voi pensavate ad elargire stipendi e pensioni d'oro a destra e a manca, il bilancio statale aumentava negli ultimi quattro anni a ritmi di 8 miliardi l'anno. La vostra soluzione era mandarci in pensione ancora più in là: siete sempre generosi con i soliti.Pag. 55
      Vi prego fortemente di mettere da parte le vicissitudini legate alla politica e prendere seriamente in considerazione la nostra proposta. In particolare, l'emendamento all'articolo 56 riguarda la tassazione sulle rendite finanziarie, che porterebbe un gettito pari a circa un terzo della copertura necessaria per questo decreto. Ripeto: un terzo solo da questo emendamento. L'emendamento che andiamo a votare introduce un nuovo modello di tassazione più imparziale per le rendite finanziarie.
      Ad oggi l'imposizione, compresa la Tobin tax, rinviata ad ottobre, risulta essere eccessivamente premiante nei confronti della speculazione, che genera utili con operazioni aperte e chiuse nella medesima giornata, le famose operazioni di day trading o scalping. Insomma, speculazione pura, fatta da quegli sciacalli che sui mercati usano le nostre aziende come il tappetino da roulette in una volgare bisca (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      La citata Tobin tax, purtroppo, non va a colpire le transazioni intra day su molti strumenti, e quindi risulta inefficace sia per l'erario che come deterrente alla speculazione. Il gettito inizialmente stimato per la sua introduzione, infatti, risulterebbe ridimensionato da 1 miliardo a 200, massimo 300 milioni di euro.
      La nostra proposta vuole aumentare l'attuale ritenuta alla fonte sulle rendite finanziarie dal 20 al 25 per cento per tutte le operazioni aperte e chiuse nell'arco delle quarantott'ore. I risparmiatori e tutti gli investimenti sulle nostre aziende e nei mercati non verrebbero assolutamente colpiti, visto che l'orizzonte temporale di chi investe rispetto a chi specula è superiore alle quarantott'ore. È molto semplice.
      Di conseguenza, l'aumento non comporterebbe una diminuzione nei volumi delle transazioni e una migrazione di capitali, quindi una perdita di gettito, in quanto lo speculatore si muove short term, in un mercato dove la media della ritenuta applicata, appunto, è pari al 25 per cento. L'introduzione dell'aumento di questa ritenuta porterebbe nelle casse dello Stato dai 500 milioni al miliardo secondo i calcoli effettuati su dati di scambio ricevuti da Borsa Italiana e Consob.
      Come politici ed unico mezzo del cittadino per tutelare i propri interessi, è dovere di tutti noi denunciare e cercare di risolvere il problema dell'eccessivo disavanzo della tassazione tra rendite finanziarie ed economia reale, mentre spesso e volentieri la politica affarista sfrutta la propria posizione privilegiata nei CDA per effettuare anche manovre di insider trading – lo dice la stampa, non lo dico io –, facendo comperare ad amici e amici di amici garantendo ai pochi privilegiati il benessere a discapito di chi lavora per vivere.
      Ad oggi, chi decide di fare impresa nel nostro Paese paga circa il 60 per cento di tasse, 60-70 addirittura, ma anche nella maggior parte dei Paesi d'Europa le ritenute sono ben superiori al 40 per cento. I mercati finanziari sono tassati troppo poco in relazione all'economia reale e quindi molto denaro, anziché di dirigersi verso chi produce, si getta nel calderone del mercato, alimentando un'arma molto pericolosa per la nostra economia mondiale, che è in grado di generare crisi sistemiche e rischi molto grandi di tensioni sociali.
      Solo negli ultimi anni dalla crisi del 2009, a seguito delle massicce immissioni di liquidità da parte della FED, della Bank of Japan e di tutte le altre banche centrali con economia monetaria espansiva, il volume della finanza si è ulteriormente allargato, arrivando a cifre che superano di decine di volte l'economia reale. Vogliamo darci una svegliata e cercare di risolvere seriamente questo problema ?
      Siamo qui a pensare a coperture di bilancio rifacendosi su chi produce e si sveglia tutte le mattine e porta a casa la pagnotta col sudore della fronte, quando il mercato degli spocchiosi operatori di borsa, dai lauti bonus e compensi, è privo di regole e dominato dall'avidità. Gli speculatori possono decidere in 48 ore di aumentare il nostro interesse sui titoli di Pag. 56Stato per decine di miliardi. Come pensiamo di tirare avanti senza che la politica si prodighi per regolare la finanza ?
      Possibile che non riusciamo a renderci conto di quanto la finanza sia diventata pericolosa negli ultimi anni e quanto potere distruttivo stia accumulando con le immissioni di liquidità sconsiderate nel suo sistema a discapito di quello reale ? L'arma di distruzione di massa più pericolosa è questa e dobbiamo disinnescarla, non alimentarla.
      Ormai è chiaro a tutti e facciamo finta di non rendercene conto, perché tutti muoviamo la giostra dei soldi, ma la finanza associata al capitalismo esasperato ha creato la generazione dei tre niente: niente lavoro, niente risorse, niente reddito. L'avidità ha contaminato i cuori della nostra società, il rinunciare all'avidità all'ennesima potenza, che trova il terreno più fertile sui mercati finanziari senza regole è il limite che si frappone tra l'evoluzione e la distruzione della società. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.

      MARISA NICCHI. Signor Presidente, signori del Governo, signor sottosegretario, colleghi e colleghe, ci sono stati nel corso della discussione alcuni interventi, da ultimo quello dell'onorevole Tabacci, che hanno rilevato come in questo «decretone» manchi una visione chiara sul futuro del nostro Paese. Io vorrei aggiungere, insieme alla sottolineatura di questa mancanza, alcuni frutti velenosi, che invece ci sono e che rovesciano l'intento del decreto – decreto «del fare» – nel suo contrario, disfare: disfare le tutele di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, con gli articoli 32 e 35 che noi vogliamo abrogare.
      Questi articoli, che sono stati anche modificati, fanno l'opposto di ciò che serve ad un Paese che ha il triste primato di avere un terzo di morti sul lavoro in più della media europea.
      Una strage che conquista la scena mediatica, l'attenzione pubblica, solo quando drammaticamente le vittime sono molte – purtroppo, vi sono tantissimi casi: il crollo di Barletta, la ThyssenKrupp e tanti altri –, ma lo stillicidio quotidiano di morti nascoste si perde rispetto ad un'attenzione dovuta.
      Vi è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi. Ed allora, un Governo responsabile, signor sottosegretario, di fronte a questa drammatica realtà, alza la guardia per aumentare la consapevolezza e non fa gli sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro, come questo decreto prevede.
      L'Osservatorio di Bologna considera morti sul lavoro tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Dall'inizio dell'anno sono state documentate 325 morti per infortuni mortali e altre 650 se si aggiungono i morti sulle strade o in itinere.
      Un panorama più realistico rispetto a quello che emergere dai dati ufficiali dell'INAIL, che comprende solo i suoi assicurati, che non esauriscono certamente tutte le figure del mercato del lavoro, a partire da quello grigio e da quello nero. E ben di più aumentano le vittime se si considerano i lavoratori deceduti in itinere o sulle strade, oppure se si considera un fenomeno nuovo, portato dalla crisi: i suicidi.
      Una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e anche a non leggere superficialmente alcuni dati, come quello del decremento degli infortuni rilevato di recente dalla relazione dell'INAIL; decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione.
      È un massacro diffuso, che avviene spesso per le condizioni di informalità e assenza di diritti, in luoghi dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché i lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi, artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti, ma non quando sono vittime. Di fronte a questa realtà sconvolgente, il Pag. 57messaggio del Governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, come fossero una burocrazia fastidiosa.
      Noi amiamo la semplificazione, l'amiamo. Abbiamo apprezzato alcune norme, anche nella parte sanitaria, sui temi che hanno semplificato alcuni aspetti molto importanti. Voglio citare il progetto sul fascicolo sanitario elettronico, la trasmissione telematica dei certificati, la parte sui trapianti. Noi amiamo la semplificazione, ma non certo quella che si vuole far pagare sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
      Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taranto. Ne ha facoltà.

      LUIGI TARANTO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, il decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, assume esplicitamente a suo riferimento le raccomandazioni della Commissione europea del 29 maggio 2013 rivolte all'Italia relativamente al Programma nazionale di riforma per il 2013 e al Programma di stabilità 2012-2017.
      Con le disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia si intende, infatti, rispondere, come chiarisce la relazione che accompagna il decreto, alle raccomandazioni circa la necessità di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, di assicurare l'apertura del mercato nel settore dei servizi e dell'industria di rete, di potenziare capacità infrastrutturale e trasporto intermodale, di adottare misure per migliorare la gestione dei fondi europei e per semplificare il quadro normativo ed amministrativo, per contrastare l'abbandono scolastico e migliorare qualità e risultati della scuola, per abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre il livello del contenzioso.
      Peraltro, questa stessa Assemblea – con la mozione approvata lo scorso 25 giugno, a seguito delle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo – aveva impegnato il Governo a dare rapida attuazione alle raccomandazioni rivolte dalla Commissione all'Italia. L'ancoraggio europeo costituisce, allora, il tenace filo unitario del «decreto del fare». Un ancoraggio che dice di un'Italia consapevole della necessità di continuare a fare la propria parte – tutta e sino in fondo – per il rafforzamento del potenziale di crescita della sua economia e, insieme, di un'Italia protagonista del processo per l'avanzamento, in Europa, di una revisione compiuta del primato delle politiche di austerità e per il riconoscimento, invece, delle ragioni prioritarie della crescita e dell'occupazione.
      Fare, allora, in Italia ed in Europa, fare quanto è necessario ed urgente per l'occupazione, ed in particolare per l'occupazione dei giovani, così come per la legittimazione di una golden rule, che liberi qualificati investimenti pubblici in infrastrutture materiali ed immateriali dalle maglie davvero troppo strette del Patto di stabilità italiano ed europeo. Fare, ancora, per venire alla cifra propria del decreto in discussione, ricorrendo all'uso accorto del cacciavite riformatore per il miglioramento di regole e strumenti, per l'accelerazione della capacità di spesa e per l'accrescimento della qualità della spesa. Scorrendo le disposizioni recate dal decreto, ritroviamo costantemente all'opera questo «cacciavite». Procedendo per esempi, lo troviamo impegnato sul terreno della promozione della concorrenza: nel mercato del gas e dei carburanti, dell'energia elettrica e delle industrie di rete. Lo ritroviamo ancora all'opera sul terreno dei processi di semplificazione, ove spiccano, tra l'altro, il debutto del principio dell'indennizzo per il ritardo nella conclusione dei procedimenti da parte delle pubbliche amministrazioni e le modifiche al regime di responsabilità fiscale negli appalti, al netto dell'incidente di percorso dell'istituzione del DURT, incidente che, a mio avviso, andrà rapidamente sanato.Pag. 58
      Ne possiamo ancora apprezzare l'intervento nelle misure per il rilancio delle infrastrutture, attraverso il rafforzamento della bancabilità dei progetti da realizzare in partenariato pubblico-privato.
      Quanto agli interventi a sostegno delle imprese, accanto ai finanziamenti per l'acquisto di macchinari, impianti, attrezzature e beni strumentali, a valere su un plafond iniziale di 2,5 miliardi di euro presso Cassa depositi e prestiti, meritano senz'altro particolare menzione le disposizioni per il rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all'articolo 1 del provvedimento. Vi si prevedono, tra l'altro, «l'aggiornamento, in funzione del ciclo economico e dell'andamento del mercato finanziario e creditizio, dei criteri di valutazione delle imprese (...)», nonché la definizione di «misure volte a garantire l'effettivo trasferimento dei vantaggi della garanzia pubblica alle piccole e medie imprese beneficiarie dell'intervento». Punti entrambi rilevantissimi, posto che è ormai acclarata l'insufficienza, quantitativa e qualitativa, del credito erogato alle imprese. Nel 2012, infatti, i prestiti alle imprese si sono ridotti di circa 60 miliardi di euro e la restrizione ha colpito non solo aziende rischiose, ma anche aziende vulnerabili o sane. Nella prima metà del 2013, la contrazione del credito si è poi ulteriormente aggravata.
      In questo scenario, risulta evidente «il ruolo strategico – come si legge nel recentissimo rapporto Svimez sui consorzi fidi del Mezzogiorno – che fondi di garanzia collettiva, di derivazione pubblica o privata, possono svolgere all'interno del mercato creditizio per agevolare l'accesso delle imprese minori», mitigando rischio di credito, requisiti patrimoniali e costi degli impieghi. Resta, insieme, più che mai valida, l'esortazione all'esercizio della selezione del merito di credito secondo lungimiranza, esortazione rivolta, già all'inizio della grande crisi, da Mario Draghi, allora Governatore della Banca d'Italia, al nostro sistema bancario.
      Soprattutto, resta, più che mai, necessaria ed urgente la compiuta operatività del trittico costituito dalle misure per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, dagli accordi europei della fine dello scorso mese per il potenziamento della capacità d'intervento della BEI, e dagli attesi rifinanziamenti del Fondo centrale di garanzia, da operarsi anche attingendo in maniera robusta alle cospicue ed inutilizzate disponibilità dei fondi strutturali europei per il ciclo di programmazione 2007-2013. Disponibilità che – è noto – ammontano complessivamente a circa 30 miliardi di euro ad ormai meno di sei mesi dalla conclusione del ciclo di programmazione ed a poco più di due anni dal termine di rendicontazione conclusiva. Sulla scorta della positiva esperienza del Piano di azione e coesione, si sta intervenendo, al riguardo, con scelte di riprogrammazione, tra cui la dotazione per circa un miliardo di euro delle più recenti misure per l'occupazione dei giovani.
      Il decreto agisce sul nodo della tempestività dell'attivazione delle risorse europee con le disposizioni di cui all'articolo 9, che sanciscono, in capo alle amministrazioni statali, l'obbligo di dare precedenza ai procedimenti, provvedimenti e atti in qualsiasi modo connessi all'utilizzazione dei fondi strutturali europei e che altresì prevedono, a fronte di riscontrate inadempienze, la possibilità di interventi in via sussidiaria da parte di Stato e regioni.
      Nel corso dell'esame parlamentare, le disposizioni dell'articolo sono state opportunamente integrate e potenziate con l'approvazione di emendamenti al testo, finalizzati alla valorizzazione del cantiere progettuale dei piani città ed a consentire l'esercizio di poteri sostitutivi, da parte del Governo, per l'esecuzione di opere ed investimenti in caso di inadempienze di amministrazioni statali, di concessionari o rispetto alle previsioni di contratti istituzionali di sviluppo.
      Il «cacciavite» del decreto del fare, dunque, si applica qui ad un terreno decisivo per la ripartenza del Mezzogiorno e dal Mezzogiorno. Un Mezzogiorno provato dagli effetti della recessione più lunga e profonda della storia repubblicana come, ancora di recente, ha ricordato l'indagine Pag. 59Censis sull'emergenza sociale dell'area, segnalandovi livelli di reddito pro capite inferiori a quelli della Grecia ed evidenziando il dato del 39 per cento delle famiglie esposte al rischio povertà.
      Un Mezzogiorno, tuttavia, che al contempo racconta la storia di molti e diversi Mezzogiorni e di molte e diverse opportunità di produttività, crescita ed occupazione aggiuntive, a vantaggio dell'Italia tutta. Qualche mese fa, lo ha sottolineato il documento elaborato da 21 istituti meridionalisti, sotto il titolo «Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere». Documento che, appunto, propone, «quali motori di sviluppo che dal Sud possano fare da traino e favorire la crescita dell'intero Paese», investimenti e interventi per la riqualificazione e l'innovazione urbana, per le reti logistiche, per il piano di gestione delle acque e per le energie rinnovabili, per l'industria culturale e per il turismo.
      Nella fase di avvio del ciclo di programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020 ed anche in riferimento all'obiettivo, ora più tangibile, dello scorporo della quota di cofinanziamento statale dei programmi per l'attivazione dei fondi dal computo del deficit rilevante ai fini del Patto di stabilità europeo, queste indicazioni meritano di essere tenute particolarmente presenti, traendone motivo per mettere in campo, come il decreto fa, una più efficace governance dei fondi strutturali.
      Concludo. Unitario nel suo ancoraggio europeo, necessario ed urgente per la sua capacità di concorrere ad un più ampio disegno di rafforzamento e mobilitazione dell'Italia del fare, il decreto n.  69 del 2013 ha, soprattutto, il merito politico di ricordarci quanta concretezza e tenacia d'impegno richiedano, oggi, il contrasto della recessione ed il ritorno alla crescita. La concretezza e la tenacia di un disegno riformatore che non crede nelle «bacchette magiche», reagisce alla perniciosa stucchevolezza del rinvio costante al «ben altro» e cerca forse anche di fare tesoro del celebre ammonimento keynesiano sul fatto che «nel lungo periodo, saremo tutti morti» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Chimienti. Ne ha facoltà.

      SILVIA CHIMIENTI. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento con una notizia dello scorso 25 giugno. Nel suo rapporto «Uno sguardo sull'istruzione 2013», l'OCSE ha reso pubblici una serie di dati sullo stato dell'istruzione italiana che molti organi di informazione hanno definito scioccanti e che meritano, a nostro parere, alcune riflessioni anche in questa sede.
      Con la sua ricerca l'Istituto di Parigi ha messo in evidenza tutte le pecche del sistema formativo del nostro Paese, dalla scuola primaria all'università, ampliando, a suon di dati e di cifre, la distanza tra le vuote parole della politica italiana e la realtà dei fatti, diametralmente opposta. L'infinita serie di slogan e di luoghi comuni dietro a cui la classe politica si è trincerata negli ultimi anni per giustificare gli immani tagli e le brutali riduzioni alla spesa statale per l'istruzione pubblica sono stati abbattuti uno ad uno, si sono sfaldati sotto i colpi di ciò che non può essere confutato a parole: i numeri.
      Siamo qui oggi a discutere un decreto che reca il titolo: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia». Stando a quanto sancito dall'OCSE, ci saremmo aspettati una maggiore attenzione, da parte del Governo, nei confronti di una delle reali urgenze del nostro Paese. E, invece, tra i circa 80 punti del decreto del fare non c’è praticamente traccia di scuola, università e ricerca. Eppure, l'attuale Ministro Carrozza, pochi giorni dopo il suo insediamento, aveva parlato di dimissioni qualora fossero venuti a mancare i Fondi per il settore di sua responsabilità.
      I tagli fortunatamente ancora non si sono visti, anche grazie al lavoro nelle Commissioni del Movimento 5 stelle, ma risulta comunque assente qualunque impegno a far rinascere un ambito che, non ci stancheremo mai di dirlo, è di importanza strategica per il Paese.Pag. 60
      E allora occorre che oggi quest'Aula ascolti finalmente le cifre di un disastro ventennale. Ce lo chiede anche l'Europa, come ormai ha sostenuto chiunque dovesse giustificare gli ennesimi tagli all'istruzione, ma «l'Italia è l'unico Paese dell'area OCSE che dal 1995 al 2010 non ha aumentato» scrivono gli esperti dell'organizzazione internazionale «la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria. Mentre noi aumentavamo la spesa dello 0,5 per cento, nello stesso periodo i Paesi dell'OCSE hanno aumentato in media del 62 per cento la spesa per studente negli stessi livelli di istruzione.
      Passando al settore universitario, le cose non cambiano. Per l'ex ministro Gelmini i problemi dell'università italiana non dipendevano dalla quantità di fondi stanziati ed era addirittura «risibile il tentativo di qualcuno di collegare la bassa qualità dell'università alla quantità delle risorse erogate».
      Ebbene, il problema secondo il rapporto OCSE è proprio quanto si spende: ad eccezione di Repubblica Slovacca e Ungheria, l'Italia investe nell'università meno di tutte le altre nazioni europee. Se si considera la percentuale della spesa pubblica destinata all'istruzione in generale, si scopre poi con un certo sgomento che l'Italia è l'ultima su 32 nazioni.
      In ambito universitario abbiamo ritenuto sacrosanto, anche se non sufficiente, il contenuto della prima parte dell'articolo 58 del decreto-legge, che dovrebbe garantire una serie di nuove assunzioni nelle università e negli enti di ricerca, elevando tra il 20 e il 50 per cento il turnover rispetto all'anno precedente. In termini pratici, ciò dovrebbe portare all'assunzione di circa 1.500 professori ordinari e di altrettanti nuovi ricercatori.
      Non possiamo tuttavia condividere le modalità con cui verrebbero reperite le risorse necessarie per garantire queste assunzioni, che ancora una volta vanno a ridistribuire risorse già assegnate al MIUR, dirottando altrove 75 milioni di euro destinati alle cooperative di ausiliari esterne agli istituti. Eccolo qui, dunque, il primo taglio, mascherato da finanziamento, del Governo Letta.
      Il MoVimento 5 Stelle è profondamente contrario all'esternalizzazione dei servizi scolastici in genere, non solo perché ostacola giocoforza le assunzioni del personale ATA qualificato per svolgere le mansioni in questione, ma anche perché, al contrario di quanto si era sostenuto, non ha nemmeno consentito un effettivo risparmio della spesa in questi anni. Anzi, l'esternalizzazione di servizi ha causato un'ulteriore lievitazione della spesa, che per ammissione stessa del Governo ammonta annualmente a 110 milioni di euro. Ecco perché, a nostro avviso, occorre limitare la spesa per le esternalizzazioni ad un importo corrispondente a ciò che si spenderebbe con l'assunzione diretta dei collaboratori scolastici.
      Ma torniamo al rapporto OCSE. In molti, in questi anni, hanno tentato di giustificare la necessità dei tagli al sistema universitario italiano parlando di un numero eccessivo di laureati nel nostro Paese, ma anche questa convinzione è stata smentita evidenziando come, al contrario, i laureati sono sempre di meno: solo il 15 per cento della popolazione italiana compresa fra il 25 e i 64 anni, contro una media OCSE del 32 per cento.
      Di riflesso, l'Italia ha una percentuale più alta di oltre sette punti percentuali rispetto alla media OCSE di giovani con un'età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studia, non lavora e non segue una formazione professionale.
      Negli ultimi anni si è anche tentato di far passare un messaggio secondo cui un percorso di studi completo, cioè fino alla laurea, non avrebbe prodotto chissà quale vantaggio dal punto di vista occupazionale. Il rapporto OCSE rileva invece la minore probabilità di disoccupazione di chi possiede un diploma di laurea rispetto a chi non ne è provvisto. Il tasso di occupazione per i laureati italiani è pari al 79 per cento, contro il 75 per cento dei maturati e il 58 per cento di chi si è fermato alle medie inferiori.Pag. 61
      Le altre grandi criticità riguardano poi gli stipendi e l'anzianità della classe insegnante. Per quanto riguarda l'aspetto salariale, gli insegnanti italiani hanno retribuzioni inferiori alla media dei Paesi OCSE, con un divario che aumenta con il crescere dell'anzianità di servizio. Dal rapporto, riguardo a quest'ultimo punto, emerge una statistica emblematica: nel 2011 il 47,6 per cento dei docenti elementari, il 61 per cento di quelli delle medie inferiori e il 62,5 per cento di quello delle superiori aveva oltre cinquant'anni. Oggi, a due anni di distanza, l'età media continua a salire.
      Il rapporto sfata poi molti altri falsi miti della politica, riecheggiati troppe volte anche in quest'Aula: «abbiamo troppi docenti universitari, troppi dottorandi, un numero eccessivo di fuori corso» o ancora «l'università pubblica ci costa troppo», «le tasse universitarie sono troppo basse». Ebbene, ogni singola parola di queste affermazioni è stata smentita, aprendo uno scorcio sul grande inganno che si è celato dietro a tutte le operazioni di demolizione della scuola e dell'università pubblica compiute finora.
      Di fronte a questo sfacelo trasversale, ci aspettavamo una serie di risposte concrete. Ecco perché riteniamo necessario che tutti sappiano quali sono i dati reali con cui il Governo avrebbe dovuto confrontarsi e qual è una delle più grandi emergenze del Paese che l'esecutivo ha deciso di lasciare, ancora una volta, inascoltata.
      È doveroso fare un ultimo accenno a un'altra anomalia tutta italiana, forse la più grande fonte di danno per l'intero sistema scolastico nazionale: il precariato. È la cronaca di questi giorni a farci comprendere come il problema non possa più essere rimandato e sia un'urgenza oramai ineludibile. Il 19 luglio una ordinanza della Corte costituzionale ha rimesso ai giudici della Corte di giustizia dell'Unione europea l'intricatissimo nodo generatosi in merito alla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria nell'ambito della reiterazione dei contratti a termine e dell'assenza di risarcimento del danno per i precari della scuola. La sentenza dei giudici di Lussemburgo è attesa da oltre 200 mila precari della scuola, gente sfinita, frustrata, umiliata e costretta a vivere in una condizioni di instabilità che, oltre a essere lavorativa, finisce poi con il diventare anche psicologica, impattando fortemente sulla qualità e sulla continuità della didattica.
      Quando poi sono i tribunali a dovere intervenire, come avviene da anni in Italia, significa che è già troppo tardi, che si è oltrepassato ogni limite, che il sistema normativo è ormai fallato. «L'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possono utilizzare per cambiare il mondo», diceva Nelson Mandela. Una frase meravigliosa e verissima che ci fa sorgere un dubbio. Forse la volontà della classe politica presente oggi in questa Aula e che ha occupato questi scranni dell'ultimo ventennio è proprio quella di calpestare l'istruzione e la ricerca, per far sì che non cambi nulla, per mantenere lo status quo, lasciando immutato il quadro fotografato con nettezza dall'OCSE e consentendo lo svilimento, il continuo appiattimento della cultura e del grado di civiltà e di consapevolezza dei cittadini.
      Chiediamo una nuova stagione politica in cui nessuno abbia più il coraggio di nascondersi dietro cifre menzognere e fuorvianti e in cui si prenda coscienza, una volta per tutte, del fallimento di un ventennio di riforme scolastiche disastrose. Chiediamo a gran voce, per l'ennesima volta, di salvare la scuola italiana per salvare il Paese. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazziotti di Celso. Ne ha facoltà.

      ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto che abbiamo esaminato in Commissione e che arriva oggi in Aula sicuramente contiene alcuni interventi su aree importanti, ed è il primo intervento del Governo sull'economia di ampio respiro, visto che quelli Pag. 62precedenti erano o il portato, diciamo, di attività legislativa precedente o si riferivano a emergenze, come quella della cassa integrazione, o a rinvii dovuti a problemi all'interno della maggioranza.
      Il decreto tocca sicuramente molti argomenti fondamentali, e probabilmente, per titoli, identifica quelli che sono oggi i problemi del Paese, partendo dalla digitalizzazione, fino alla giustizia, alla semplificazione amministrativa, al fisco, alla ricerca. Ci sono tutti i temi; tutti i temi sicuramente sono stati identificati e toccati in questo decreto.
      È altrettanto evidente che questo decreto ha sofferto sia nella sua fase di gestazione a livello governativo, sia nella sua fase di discussione successiva, dei problemi legati alla difficoltà di intervenire per i condizionamenti all'interno della maggioranza, in quanto, evidentemente, tutti i settori di cui si parla corrispondono anche ad aree, diciamo così, di interesse dei bacini elettorali tradizionali, delle categorie di riferimento tradizionali delle diverse forze politiche coinvolte, e, chiaramente, gli interventi sono stati, per questo, limitati, in alcuni casi.
      Sotto alcuni profili l'intervento è stato del tutto assente. Penso alle liberalizzazioni, che sono un argomento fondamentale in questo Paese, sul quale si era iniziato a lavorare nella passata legislatura e che, invece, sono totalmente estranee a questo provvedimento; penso all'energia e a tanti settori nei quali un intervento di liberalizzazione avrebbe avuto senso ed, invece, non si è intervenuti.
      Il Governo ha scelto di intervenire con un decreto-legge e credo che – nonostante ci siano sicuramente da un punto di vista astratto dei temi di coerenza con il dettato costituzionale, perché definire omogeneo questo decreto è abbastanza difficile – però, un tratto di omogeneità esiste ed è l'emergenza economica. Il Governo ha fatto la scelta, a suo modo coraggiosa, di definire il criterio di omogeneità sulla base dell'emergenza e questa sicuramente è stata – secondo me – una scelta giusta, perché in questo caso l'emergenza si traduce in un'unità sostanziale degli argomenti. Diciamo che questo tipo di approccio non esclude, poi, il fatto che all'interno del decreto si siano trovate magari materie che con questa emergenza non hanno un collegamento così stretto e lì – credo – sia emerso il problema fondamentale, che l'onorevole Tabacci ha toccato molto bene prima, e che è un problema culturale: il problema che lega gli interventi legislativi troppo spesso alle categorie di riferimento dei diversi partiti.
      La difficoltà di intervenire in materie in cui si toccano direttamente posizioni – che non voglio neanche chiamare di privilegio, ma semplicemente delle distorsioni e dei portati di vecchia legislazione – che favoriscono determinate categorie è stata costante nel tempo, è stata uno dei problemi di questi ultimi vent'anni, in cui la politica ha sempre scelto, piuttosto che di andare ad attaccare politicamente ed elettoralmente i bacini elettorali degli altri, di tutelare i propri. Il risultato è stato una costante tentazione di blandire e assecondare le proprie categorie di riferimento e di non intervenire dicendo alle stesse categorie e ai propri elettori, magari prendendosi un rischio elettorale, che alcune cose e alcuni privilegi e alcune normative particolari che favoriscono determinate categorie vanno eliminate nell'interesse del Paese. Questo, di fatto, non è mai stato fatto e mi sento di dire che anche questa volta è mancato precisamente questo aspetto.
      È un elemento, dicevo, culturale, non è un problema giuridico; è un elemento culturale grave se i partiti continuano nel tempo a dare alle diverse categorie di persone la sensazione che comportamenti sbagliati o inefficienti o privilegi sono giustificati da altri aspetti. Penso alla tentazione di dire che gli evasori in fondo sono giustificati dalle tasse alte, che l'assenteista è giustificato dal fatto che è pagato poco e si può andare avanti a lungo o che, ad esempio, continuare a dire che la nostra giustizia non funziona perché mancano i soldi, che è sicuramente vero ma non è sicuramente l'unico argomento. Questo tipo di comportamenti ha fatto sì che tutte le categorie ormai siano abituate Pag. 63aprioristicamente a rifiutare i cambiamenti, perché se lo sentono dire costantemente anche dai propri interlocutori politici e da coloro che mandano in Parlamento.
      Io prendo l'esempio della giustizia, che mi interessa particolarmente perché sono un avvocato, noi abbiamo presentato in Commissione un emendamento che prevedeva la riduzione del periodo di sospensione feriale. In Italia – non tutti lo sanno e spesso si arrabbiano quando lo sanno – esiste una chiusura dei tribunali che va dal 1o agosto al 15 settembre: è una cosa fuori dal mondo, avendo una delle giustizie più lente a livello mondiale, come documentato dalla World Bank; il fatto che un giorno su otto non si lavora è abbastanza anomalo. Ora, nella presentazione di questo emendamento, che abbiamo riproposto in Aula e che – ho visto – ha proposto anche adesso il MoVimento 5 Stelle, abbiamo incontrato, diciamo così, non troppo entusiasmo da parte di tutte le forze politiche. Ora, io dico che un Parlamento che non è in grado di dire che i nostri tribunali devono stare aperti a settembre, quando tutti lavorano, è difficile che possa riformare cose molto più importanti e molto più complicate nel Paese.
      Per cui mi auguro sia che il Governo dia parere favorevole sia che le altre forze politiche lo votino, non perché io abbia niente contro magistrati o avvocati, ma penso semplicemente che si possa lavorare, andare in vacanza e gestire le cose a livello professionale e giudiziario anche se non ci sono le ferie per legge, che sono simbolicamente – secondo me – una cosa assurda.
      In generale, credo che questo è un esempio, ma credo che noi abbiamo perso tempo – e sottolineo, perso tempo – in Commissione a parlare di cose come incompatibilità dei sindaci, singoli tratti di autostrada, spostamenti di case da un posto all'altro, cioè cose che non dovrebbero trovare nessuna, come dire, ospitalità in una norma che dovrebbe rilanciare l'economia a livello generale, e abbiamo magari dedicato poco tempo a discutere di altre cose, come l'Agenda digitale, dove sulla liberalizzazione del wi-fi, ad esempio, sono uscite delle norme che oggi ci stanno venendo contestate da tutti.
      Credo, quindi, che quello che manca e quello che serve a questo Paese è un salto di qualità culturale delle forze politiche. Noi dobbiamo iniziare a ragionare sul fatto che i cambiamenti e le riforme strutturali da fare danno fastidio e possono costare in termini elettorali anche a noi e cominciare a dirlo. Infatti credo che se le istituzioni, il Parlamento e il Governo, non fanno da guida nei confronti dell'elettorato e si limitano ad assecondarne gli umori o a non farli innervosire troppo in Parlamento, sarà impossibile riformare questo Paese e i problemi che lo affliggono (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quaranta. Ne ha facoltà.

      STEFANO QUARANTA. Signor Presidente, colleghi deputati, io credo che bisognerebbe partire in maniera seria dalla situazione del Paese e ragionare su questo decreto-legge che ci proponete. È una situazione di disoccupazione, di esodati, di cassa integrazione, di precarietà giovanile, di crisi di fiducia e di prospettiva, di assenza di modelli di sviluppo e di riferimento per una vera svolta per il Paese e assenza di una politica industriale degna di questo nome ormai da moltissimo tempo. Scende il PIL, le banche stringono i cordoni della borsa, il Paese è fermo. A fronte di tutto questo, oggi ci si propone questo decreto-legge «del fare» o «del far credere». Al netto della stucchevole discussione, infatti, di questi giorni tra IMU, IVA e altre amenità varie, ci pare che le proposte, la discussione che le ha procedute, siano drammaticamente al di sotto delle esigenze e delle risposte che questo Paese si aspetta. Siamo chiamati, forse, in questa discussione, per dare una scossa al Paese, a ragionare sulle priorità, a capire dove concentrare le risorse, su quali sono gli asset strategici del nostro Paese ? Stiamo forse facendo una grande discussione sulla crisi, sulle sue motivazioni, su Pag. 64come uscirne, stiamo ragionando sulle politiche industriali di questo Paese o su quale sistema di infrastrutture, quali priorità vi siano anche da questo punto di vista o su come operare una riconversione ecologica dell'economia cioè cosa e come produrre ? Credo che questa sarebbe la discussione da fare e sulla base di questa discussione dovrebbero essere assunti provvedimenti, questi sì urgenti. Invece credo che, in realtà, i temi fondamentali come, ad esempio, valutare un grande piano per la messa in sicurezza del nostro territorio martoriato o come sfruttare questo giacimento culturale incredibile, grandissima risorsa anche economica e grande ricchezza del Paese, non siano i temi dell'agenda di questo decreto-legge. Non ci stiamo ponendo il tema della drammatica situazione di tanti cittadini italiani, del loro stile di vita ormai sempre più precario, dei tanti giovani che sono esclusi. Non stiamo valutando, ad esempio, proposte quali il reddito minimo garantito che potrebbero – queste sì – dare una risposta in termini di dignità e di libertà di tanti italiani che oggi non ce l'hanno più. Noi, invece, stiamo facendo questa discussione, tenendo conto, a volte sì, di vincoli europei ma non degli esempi più virtuosi da cui potremmo forse imparare qualche cosa e l'Europa è solo quella in cui ci si assumono impegni gravosi, spesso inaccettabili e assurdi come quello contratto dal Governo Berlusconi sul pareggio di bilancio.
      Certo, c’è ovviamente anche il tema delle risorse: dove reperire le sostanziose risorse che occorrerebbero per le vere emergenze del Paese. Occorre, io credo, tassare i grandi patrimoni; aumentare i canoni di concessione di radiotelevisioni; incrementare la tassazione dei capitali scudati; aumentare certamente le ritenute rispetto alle rendite finanziarie almeno sino al 23 per cento.
      Siamo di fronte, purtroppo, al di là della solita pluralità di ambiti che non hanno alcun nesso oggettivo o funzionale tra di loro tale da giustificare la decretazione d'urgenza, cosa richiesta dalla Corte costituzionale, credo all'ennesimo decreto sviluppo in continuità con i precedenti, che non hanno dato alcun ragguardevole risultato ma stiamo continuando ancora, ahimè, su questa strada. Di ottanta e passa articoli pochissimi introducono novità di rilievo. E, se pur in presenza anche di misure che possano essere condivisibili quali quelle sulla sicurezza stradale, sul rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e qualcosa sulla portualità, altre risultano incoerenti con la decretazione di urgenza o, peggio, inutili quali quelle sulla governance dell'Agenzia digitale per l'Italia, destinata a passare sotto il controllo della Presidenza del Consiglio, ennesima perdita di tempo con pensatoi privi di operatività mentre l'Agenzia non si è dotata nemmeno ancora di uno statuto.
      Allo stesso modo lo «sblocca cantieri», che appare assai discutibile nel metodo, nella selezione dei progetti e gestito esclusivamente dall'alto, oltre ad essere, a mio giudizio, largamente incompleto in quelle che sarebbero le vere priorità per il Paese.
      Non parliamo poi delle modifiche al testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, dove vengono semplificati adempimenti per le aziende, ma si riduce di molto, io credo, l'efficacia delle misure. Assenti persino risultano tutte le varie liberalizzazioni che sarebbero a costo zero e che potrebbero riguardare tanti settori, dall'RC-auto all'autotrasporti, dai servizi postali alle ferrovie.
      Insomma, per concludere, siamo molto al di sotto di ciò che servirebbe al Paese, siamo all'ennesima perdita di tempo, siamo alla dimostrazione che questa maggioranza e questo Governo non sono in grado di dare una risposta ai gravissimi problemi del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Piccoli Nardelli. Ne ha facoltà.

      FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Signor Presidente, io intervengo su quelle che sono le ragioni a cui faceva prima cenno l'onorevole Tabacci, cioè quelle relative al bene comune, perché il provvedimento in Pag. 65esame prevede un insieme coordinato di interventi su livelli ed ambiti differenti, tra i quali un ampio e qualificato settore attiene ad istruzione, università e ricerca, patrimonio culturale, spettacolo, cinema, sport e Agenda digitale. Sono provvedimenti che consideriamo il primo passo di un progetto di recupero in questi settori e che d'altra parte è presente anche nelle dichiarazioni programmatiche confermate dal Presidente del Consiglio al Senato appena tre giorni or sono.
      Non ci soffermiamo sul ruolo della cultura per la ripresa dello sviluppo e il superamento della grave crisi economica in cui si trova il Paese e su come questa prospettiva rappresenti un elemento nuovo ed importante che il Parlamento, il Governo e le istituzioni di ricerca devono saper cogliere e valorizzare. Mettere al centro della ripresa questo settore, significa promuovere azioni concrete e oggi, con l'approvazione del provvedimento in questione, si ha la possibilità di tradurre in una visione unitaria e strategica l'articolato, affinché la cultura sia considerata, oltre che imprescindibile per la crescita della società, anche motore di ricerca in termini di sviluppo economico. Riteniamo che ciò sia possibile anche nell'immediato perché la cultura, la ricerca e le istituzioni che in tale ambito operano, più d'ogni altro soggetto o realtà istituzionale sono attrezzate per trarre il meglio dalla rivoluzione tecnologica in atto e per farne uno strumento straordinario di crescita individuale e sociale, di organizzazione nella produzione e nella vita, di conservazione, diffusione e valorizzazione del patrimonio culturale in tutte le sue espressioni. In tale prospettiva sottolineiamo l'opportunità di valorizzare il coordinamento tra le varie autorità competenti in materia e in particolare le pregresse intese tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per tutto ciò che attiene alla definizione di linee condivise in merito a programmazione e coordinamento della ricerca e dell'innovazione.
      Sottolineiamo altresì che il provvedimento in esame affronta, nei limiti della disponibilità economica, il tema delle risorse umane quale fattore prioritario ineludibile per la stessa sopravvivenza dell'intero sistema di ricerca italiano ed europeo. Il decreto-legge oggi al nostro esame contiene almeno una dozzina di articoli direttamente o indirettamente volti allo sviluppo di questi settori. Si tratta in particolare di norme tese a favorire la crescita in termini di sviluppo, semplificazione e flessibilità previste da disposizioni del MIBAC in termini di edilizia scolastica, ricerca, merito e da parte del MIUR, due Ministeri che hanno visto negli ultimi anni pesantemente ridotte le risorse disponibili. Non solo il MIBAC, di cui conosciamo la portata dei tagli operati (il 24 per cento negli ultimi quattro anni), ma anche per l'università va ricordato che le risorse ordinarie sono calate di oltre il 15 per cento nello stesso periodo. Un intervento nei due settori si rivela davvero necessario.
      Di particolare importanza è il provvedimento, disciplinato dall'articolo 11, che proroga i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico previsti dalla legge finanziaria 2008, la cui scadenza è fissata al 31 dicembre 2013, nel limite massimo di spesa di 45 milioni di euro, purtroppo metà del contributo concesso in precedenza e che speravamo potesse essere assicurato per il triennio. Ci auguriamo possa essere recuperato in qualche modo, per riconfermare così l'importanza riconosciuta del settore, un settore che ha bisogno di programmazione a lunga scadenza, di utili e significative certezze nel presente difficile frangente economico. Si tratta di politiche di sviluppo che devono accompagnare le imprese indipendenti sul mercato e farle diventare competitive e autonome e, con esse, sostenere le produzioni meno commerciali per aprire un mercato particolarmente oppresso dalle concentrazioni, condizione, quest'ultima, indispensabile anche per garantire il pluralismo.
      Il provvedimento si muove lungo una linea strategica e il futuro chiede ulteriori interventi normativi e finanziari per favorire Pag. 66lo sviluppo delle industrie culturali e creative come elemento strategico per la ripresa, sostenendole nelle fasi di start up e nei processi di consolidamento e di internazionalizzazione.
      Un secondo elemento compare nel decreto-legge in termini di semplificazione, quello relativo al paesaggio che verrà, però, affrontato in modo organico nel Piano paesaggistico nazionale in via di definizione. Per questo, gli interventi relativi agli articoli 30 e 39 del decreto-legge appaiano correttivi volti prevalentemente a semplificare o a velocizzare la procedura burocratica in materia edilizia. Sono molte le osservazioni che si dovrebbero fare in tal senso. Ne hanno già parlato in precedenza, quindi salto questa parte, riservandomi poi di consegnare il testo alla Presidenza.
      Ci sono, naturalmente, rischi di impatto molto forte sui contesti urbani che avrebbero potuto cambiare profondamente la configurazione dei luoghi. Le Commissioni hanno accolto per questo due emendamenti tesi a limitare il rischio di interventi improvvidi sul paesaggio. Ci sono, infine, interventi che potremmo definire di maggiore flessibilità amministrativa. Parliamo dello stesso articolo 39, laddove riporta nelle responsabilità dell'ufficio centrale del Ministero la decisione in merito ai beni culturali concessi in uso a singoli richiedenti per finalità culturali determinandone il canone dovuto.
      Nello stesso senso va il ripristino di Arcus spa, soppressa dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, e oggi riproposto per non perdere i cospicui fondi disponibili, di cui si auspica che una parte possano sostenere un piano straordinario di digitalizzazione del patrimonio culturale, di cui riferirò in seguito.
      L'articolo 40 consente, infine, al Ministro di riportare nel bilancio del MiBAC le risorse disponibili delle soprintendenze dotate di autonomia speciale. Questo consentirà di gestire i fondi non spesi dei diversi comparti, evitando che vadano restituiti al Tesoro e garantendo la copertura delle emergenze.
      C’è poi il corposo capitolo delle misure in materia di istruzione, università e ricerca. Riattivare l'investimento strategico su scuole e università è l'obiettivo evidente del provvedimento. Da segnalare è soprattutto l'articolo 18 in materia di edilizia scolastica: in una situazione in cui la responsabilità del settore è variamente distribuita tra Stato, comuni, province e regioni, oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti ed operatori scolastici, secondo uno studio recente, non è a norma. La situazione ha rilievi di vera emergenza, alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni-docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli e lontane dalle più attuali proposte pedagogiche.
      Il decreto-legge al nostro esame prevede che l'INAIL, nell'ambito del piano di impiego dei fondi disponibili, destini, per il triennio 2014-2016, uno stanziamento di 100 milioni di euro annui finalizzati a un piano di riqualificazione degli immobili scolastici. Il decreto-legge approva, dunque, un piano di 300 milioni di euro per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle scuole e il Ministero aggiunge, per il 2014, un ulteriore finanziamento di 150 milioni di euro recuperati sul Fondo speciale della ricerca applicata.
      Nello stesso senso va l'utilizzo dei risparmi generati dall'organizzazione dei servizi messi a disposizione delle scuole per il loro funzionamento e per le supplenze brevi, arrivando fino a interventi per la ricerca e l'università. Parliamo dell'articolo 58.
      Per quanto relativo alla ricerca, fra gli elementi significativi del decreto-legge va sottolineato che, tra le finalità proposte e sostenute, vi è il sostegno in favore di progetti di ricerca in campo umanistico, artistico e musicale, con particolare riferimento alla digitalizzazione e messa online dei prodotti del patrimonio culturale e artistico.Pag. 67
      Ciò segna un'importante inversione di tendenza, ribadendo il ruolo e l'importanza della ricerca umanistica per il nostro Paese. Nel decreto, si è agito sulle persone, sui docenti e sugli studenti innanzitutto, che fanno giorno per giorno e che sono la vera forza dell'università italiana.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Si è fatto con l'anticipazione dello sblocco al 50 per cento del turnover e con le borse di mobilità e lo si fa con i miglioramenti apportati dalle Commissioni parlamentari grazie ad un emendamento del PD, con un programma nazionale per il diritto allo studio per gli studenti meritevoli, che, a nostro avviso, contribuirà in modo decisivo all'attuazione dell'articolo 34 della Costituzione, finora largamente disatteso.
      Dal 2014, un numero variabile – da 35 mila a 70 mila, a seconda dei requisiti che verranno individuati dal Governo – di studenti potrà avere una vera borsa di mobilità, che consentirà loro di scegliere liberamente l'ateneo nel quale studiare. Ora sono appena 119 mila e rappresentano una delle percentuali più basse d'Europa rispetto agli studenti universitari. Il nostro obiettivo di legislatura è passare dalle percentuali attuali, appena sopra al 5 per cento, a quelle europee, sopra il 20 per cento, considerando che, in Francia e in Germania, oltre il 25 per cento degli studenti fruisce di borse di studio.

      PRESIDENTE. Deve concludere.

      FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Ora è chiaro: occorre ricostruire le fondamenta. Nei prossimi mesi, occorre anzitutto riportare il finanziamento ordinario per l'università al livello minimo adeguato e agire sul versante delle tasse universitarie, riducendole, in linea con i Paesi dell'Europa continentale. Dobbiamo fermare la fuga degli studenti dall'università e puntare su un Paese più istruito.
      Mi avvio a concludere. Nell'analizzare il provvedimento, desidero in conclusione soltanto sottolineare l'importanza di alcuni capitoli, che possiamo dire trasversali e che saranno quelli su cui si potrà...

      PRESIDENTE. No, onorevole, purtroppo lo spazio per i capitoli non c’è.

      FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Perfetto. Dico semplicemente che saranno quelli su cui si potrà con intelligenza operare nei prossimi mesi e sono quelli dei fondi europei e dell'Agenda digitale.
      Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).

      PRESIDENTE. Grazie, onorevole Piccoli Nardelli.
      Sospendo a questo punto la discussione del provvedimento, che riprenderà alle ore 15. La seduta è sospesa.

      La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Damiano, Kyenge, La Russa e Meta sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
      Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1248-A)

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marzana. Ne ha facoltà.

Pag. 68

      MARIA MARZANA. Signor Presidente, colleghi deputati, signori membri del Governo, leggendo questo decreto-legge mi è subito venuta in mente l'immagine di un famoso dipinto di William Turner in cui viene ritratta una nave alla fine dei suoi giorni. Da questo decreto-legge emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo, nonostante i proclami della prima ora, non sia ancora riuscito a proporre una politica idonea a stimolare concretamente la domanda interna, sostenendo i diritti delle famiglie, promuovendo l'occupazione e lo sviluppo dell'impresa, in particolare delle piccole e medie imprese di cui si compone in larga parte il nostro tessuto socio economico. Da una recente indagine commissionata dalla CNA a IPSOS è emerso che le maggiori difficoltà che incontra chi sceglie la strada dell'imprenditoria sono l'ottenimento di capitali, il costo del lavoro e le procedure complesse, in particolare per l'avvio o l'ammodernamento dell'attività.
      Secondo il MoVimento 5 Stelle il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi sull'adozione di specifiche misure nel settore del credito, della fiscalità e della burocrazia e di un incisivo programma di investimenti in materia di educazione, formazione, ricerca e cultura, le vere fondamenta su cui costruire il benessere dell'Italia.
      In questo caso, purtroppo, ci tocca constatare, invece, che tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano, nel quale questo Governo sembra una nave immobile, una di quelle che si vedono nei dipinti: un Governo che rinvia sull'IMU, sull'IVA, che non sa prendere decisioni se non quelle di continuare a percepire i rimborsi elettorali e di armare la pace con gli F-35 a suon di miliardi di euro, 50 miliardi, per l'esattezza, è un Governo che non ha alcuna voglia di fare il bene dei cittadini, ma di fare, solo, gli interessi di questa oligarchia.
      Il problema della disoccupazione giovanile, esploso in tutta la sua virulenza in questi anni di crisi, viene affrontato, ancora una volta, con la scelta miope dei soli incentivi temporanei. Le aziende, infatti, vengono, ad esempio, agevolate nelle assunzioni di giovani disoccupati invece di avere una riduzione delle tasse sulla produzione. Inoltre, la concessione di sgravi per l'assunzione di lavoratori under 30, privi di un diploma di scuola di secondo grado, genera potenzialmente un disincentivo a investire in capitale umano e nella formazione di lavoratori qualificati.
      Ci saremmo aspettati misure in grado di cambiare marcia e direzione, in grado di ragionare seriamente sul gap, sempre più preoccupante, che si registra rispetto al resto dell'Europa. In questo decreto-legge, invece, assistiamo a fatti assurdi; mi riferisco, per esempio, al taglio dei fondi destinati alle pulizie degli istituti scolastici, da tempo esternalizzate dallo Stato a cooperative o servizi ausiliari. L'idea di ridurre i fondi, rischiando di costringere a casa 20 mila addetti alle pulizie e destinarli all'assunzione di 3 mila tra ricercatori e professori universitari, non solo è insensato dal punto di vista economico e occupazionale, ma è di una brutalità incomprensibile. Non è proprio il tempo per permetterci ulteriori scollature sociali.
      Dato che lo stesso Ministero si è accorto del risparmio che ne deriverebbe internalizzando il servizio, perché non assumere nell'organico il personale addetto, invece di determinare il peggioramento delle condizioni di lavoro, con una riduzione della retribuzione e dell'orario di lavoro e relativa qualità del servizio offerto ?
      Questo tipo di logica mette in concorrenza i lavoratori, non dimostra di voler migliorare il mondo della ricerca e dell'università, semmai conferma che l'austerità impone una guerra di tutti contro tutti per accaparrarsi l'ultimo centesimo pubblico rimasto in bilancio.
      Il mondo della scuola è il luogo di lavoro da cui provengo, è naturale perciò, anche dentro il mio nuovo incarico, spendermi con l'obbiettivo di rendere le scuole un posto migliore e soprattutto sicuro. Perché ciò avvenga è innanzitutto necessario accedere a strutture affidabili e non in aule in cui gli intonaci cascano, i muri sono segnati da crepe, gli arredi sono fatiscenti, i riscaldamenti non funzionano. Pag. 69Come è possibile che gli studenti frequentino ogni giorno strutture vecchie, che a volte non rispondono neanche ai requisiti minimi imposti per legge ? Solo il 17,7 per cento delle scuole possiede il certificato di prevenzione incendi, un terzo degli edifici non è dotato di impianto idrico antincendio, la metà delle scuole non possiede una scala interna di sicurezza.
      Rimane incompiuta persino la raccolta dei dati per l'anagrafe dell'edilizia scolastica. I pochissimi dati ufficiali parlano di una notevole vetustà media degli immobili scolastici: quasi la metà sono edifici costruiti tra il 1961 e il 1980, nel pieno boom dell'edilizia basata sul cemento, più attenta ai profitti che alla prevenzione di eventi sismici. Le condizioni in cui versa l'edilizia scolastica rappresentano una grandissima piaga, inconcepibile in un mondo come quello di oggi in cui la tecnologia e il progresso architettonico la fanno da padroni.
      In assenza di una politica organica e continuativa, la conseguenza è l'impossibilità di programmare interventi di medio termine. Ecco perché un passo importante che il Governo con questo decreto avrebbe dovuto compiere era la previsione di un flusso costante e più corposo di risorse pubbliche a beneficio dell'edilizia scolastica. Occorre scompigliare il sistema: solo comprendendo questo si può uscire dalla crisi in cui l'inettitudine e la cialtroneria delle non decisioni politiche di questo Governo ci stanno portando e di cui noi del MoVimento 5 Stelle non vogliamo essere complici.
      Ci saremmo auspicati un «decreto del fare» efficiente, moderno, snello, economicamente sostenibile, in grado di navigare a vele spiegate nell'oceano delle emergenze economico-sociali, in grado di portare rifornimenti alle famiglie, alle scuole, alle forze dell'ordine, alle imprese, ai professionisti e alla collettività. Invece, abbiamo di fronte l'immagine offuscata di una nave immobile nella calma piatta di un dipinto, mentre viene rimorchiata da un vaporetto nel suo ultimo viaggio verso la demolizione, con il rimpianto, però, di non averla scagliata con audacia e valore contro le emergenze che il Paese sta vivendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

      GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, membri del Governo, la scorsa settimana la stampa ha dato grande evidenza ai dati su accertamenti e riscossioni relativi all'evasione fiscale. Il quadro che emerge, che peraltro dovrebbe essere già noto a chiunque in quest'Aula, è quello di un abisso che separa i mancati pagamenti e la capacità dello Stato di riscuotere quanto indebitamente sottratto.
      Il primo compito che una politica cosciente del proprio ruolo e compito dovrebbe assumersi sarebbe quindi quello di colmare questo gap, individuando strumenti che possano rendere più efficace il lavoro di chi quotidianamente è impegnato in questa direzione. Per uno strano rovesciamento di senso, non è invece di questo che parliamo in questi mesi, ma esclusivamente di come sollevare chi ha evaso il fisco dal peso del pagamento di quanto dovuto.
      Sia chiaro: non è del tutto insensato che questo accada in un momento di profonda crisi di liquidità e di mercato del sistema imprenditoriale, i cui attori possono essere messi in difficoltà – anche in profonde difficoltà – da improvvise e, diciamo così, impreviste uscite di bilancio quali quelle determinate da una cartella di pagamento. Ma è incredibile, anche sul piano morale, che venga di fatto assimilata ad un problema da risolvere l'attività degli agenti della riscossione nel momento in cui questa produce risultati.
      Noi saremmo favorevoli ad interventi che in modo pragmatico mettessero i soggetti debitori nelle condizioni di pagare il dovuto, senza però compromettere con questo la loro possibilità di vita o di impresa. Il problema è che molto in questa direzione è stato fatto in questi anni e con buoni risultati, se guardiamo ai dati sul rispetto dei piani di rateazione, che Pag. 70vedono problemi nel 10 per cento dei casi, ovvero un dato fisiologico.
      Quella in cui ci inoltriamo oggi appare invece la terra incognita della demagogia, peraltro fatta a vantaggio dei furbi, anziché degli onesti, e la demagogia, come sappiamo, produce spesso risultati opposti a quelli praticati.
      Voi ci dovreste spiegare il significato di aumentare i limiti alla pignorabilità di beni di lusso non indispensabili alla vita quotidiana, come le seconde, le terze o le quarte case, oppure sulla base di quale principio si sia ritenuto di aumentare esponenzialmente il numero di rate non pagate oltre il quale scatta l'immediata riscossione coatta, o ancora perché si ritenga di dover portare ad un massimo di vent'anni il tempo di pagamento. Infatti, deve essere chiaro, a questo proposito, che se questo principio valesse per le società di persone o per le persone fisiche, non ci sarebbe nulla da obiettare, ma l'estensione di tale possibilità a società di capitali, in assenza di garanzie accessorie, limita di molto la capacità di raggiungere il risultato della piena riscossione in un quadro che vede calare la vita media delle imprese, oggi non superiore a dieci anni.
      Sembra di assistere ad interventi casuali, desiderosi solo di rispondere a sollecitazioni interessate o a campagne stampa, ma prive di qualsiasi connessione con la realtà del Paese, che sembrano quindi alludere all'idea che persino l'evasione possa essere tollerata in tempo di crisi, quando invece dovrebbe essere chiaro che essa è della crisi componente fondamentale, non solo per il contributo negativo al bilancio pubblico, ma anche per gli elementi distorsivi che introduce nel sistema economico, penalizzando investimenti, ricerca, capitalizzazione e durata delle imprese, a vantaggio, invece, del ritorno immediato e della fuga di capitali.
      D'altronde, queste cose le sapete bene, se è vero che avete introdotto un emendamento che, a soli sei mesi da oggi, pone un primo step di verifica per capire qual è il risultato concreto di questo provvedimento.
      Voglio infine venire alla «previsione manifesto» dell'articolo 52, l'impignorabilità dell'unica casa di proprietà, e mi chiedo: come si può non essere d'accordo con un provvedimento che va nella direzione di garantire il diritto ad abitare ? Però mi chiedo anche come si può tacere che tale diritto è garantito a chi ha acquistato quell'immobile grazie ad un debito illegale con lo Stato, quando invece nulla si fa e tutto tace quando parliamo degli sfratti esecutivi a danno di chi una casa nemmeno se la può permettere, o dei pignoramenti operati dalle banche contro chi è colpito dalla cassa integrazione, dalla perdita del lavoro, dalla disdetta dei contratti integrativi, dalle conseguenze del ciclo economico, che colpirà anche tutti, ma più di tutti colpisce chi non ha mai evaso nemmeno un euro nella vita. Sia chiaro, infatti, che nel 2012 in Italia le abitazioni pignorate da Equitalia sono state 1.500 e quasi 50 mila quelle pignorate dal sistema bancario, per tacere dei 68 mila sfrattati per morosità, in aumento continuo ed esponenziale. È come dire salvarne uno per condannarne cento.
      Sia chiaro che con questo provvedimento voi dite che esistono debiti di «serie A», quelli verso il sistema bancario, da pagare fino all'ultimo centesimo, pena il pignoramento, e debiti di «serie B», quelli verso lo Stato, che possono anche essere ignorati. E sia chiaro che l'effetto perverso di questo provvedimento sarà che, ogni volta che lo stesso soggetto si è indebitato e con le banche e con lo Stato, saprà bene dover prima pagare le banche e poi, solo eventualmente, lo Stato. Così, per la prima volta, ammetteremo che non quelle verso lo Stato sono obbligazioni privilegiate, ma quelle verso il sistema bancario.
      Eterogenesi dei fini, si dirà – e chiudo, Presidente –, capita però quando si prendono provvedimenti che pensano ai titoli di giornale e non agli effetti che producono (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccuzzi. Ne ha facoltà.

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      ANTONIO BOCCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, veniamo da una settimana molto intensa e impegnativa. In ambedue le Camere, accadimenti particolari hanno offuscato il gran lavoro svolto nelle Commissioni referenti del decreto assegnato. Abbiamo, a mio avviso, migliorato il testo del provvedimento, che in alcuni casi presentava evidenti errori, anche rispetto al fine che il legislatore prospettava.
      Certo, il percorso e il risultato a cui si ambisce è di enorme portata, ma in alcune fasi «l'ansia da prestazione» ne ha condizionato negativamente il risultato, anche in talune riformulazioni di emendamenti presentati. Questo per anticipare che, per quanto riguarda il gruppo del Partito Democratico della Commissione lavoro, sono state presentate alcune proposte emendative in Aula per recuperare alcuni aggiustamenti che riteniamo necessari e dare una risposta fondamentale per una categoria di lavoratori già particolarmente colpita in questi anni.
      Infatti, pur ritenendo che il decreto-legge n.  69 contenga vari aspetti positivi e di semplificazione, come ad esempio l'abrogazione di taluni obsoleti accertamenti sanitari, nel contempo reputiamo che lo stesso contenga anche talune disposizioni evidentemente peggiorative della salute e sicurezza sul lavoro e che nulla hanno a che fare né con i requisiti di straordinarietà ed urgenza di rilievo costituzionale di ogni decreto-legge, né con la dilazione di adempimenti formali contenuta nella rubrica dell'articolo 32 del provvedimento.
      Come dicevo, mi soffermerò nel mio intervento in modo particolare sulle parti di merito della Commissione di cui faccio parte. Si tratta di modifiche che, prima dei nostri interventi emendativi, mutavano in modo surrettizio e inaccettabile capitoli fondamentali del decreto legislativo n.  81 del 2008, peraltro in netto contrasto con la direttiva 391/CEE/89, che avrebbero violato gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea relativi alla valutazione di tutti i rischi, compresi quelli da interferenza.
      Infatti, la modifica avrebbe sostituito l'obbligo di elaborare il documento di valutazione rischi da interferenze (il cosiddetto DUVRI) con la mera presenza di un incaricato non meglio definito. L'indicazione di un «incaricato» del datore di lavoro per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento non risulta né precisata né definita nel testo in termini di responsabilità penali e civili a carico suo e del datore di lavoro e neppure di una sua precisa competenza ed esperienza professionale.
      In particolare, risulta assente qualsiasi riferimento all'adeguatezza ed esaustività della formazione e addestramento del cosiddetto incaricato e alla loro effettiva verifica, rinviata a una non meglio definita «formazione tipica del preposto», che non ha alcuna connessione poiché prevista e normata per tutt'altri compiti, che nulla hanno a che fare con i compiti assunti per funzioni di incaricato in sostituzione del DUVRI e comunque limitata in otto ore formative ed una tantum aggiuntive rispetto a quelle previste per ogni lavoratore, anche non professionalizzato; in questa direzione è il senso della nostra azione emendativa.
      Il provvedimento non tiene peraltro conto che il livello di rischio dell'appalto non è determinato solamente dal livello di rischio dell'attività del committente, ma a volte può essere alto anche il rischio delle attività assegnate alle imprese o a lavoratori autonomi a cui vengono affidati lavori, opere o servizi: in tal caso ci si troverebbe di fronte alla situazione di un incaricato che, abituato ad un'attività a basso rischio, deve vigilare sulle interferenze di attività ad alto rischio, cosa né semplice né facile.
      Le modifiche previste nel decreto-legge ampliano la possibilità di evitare di redigere il DUVRI, portando il precedente limite di due giorni a dieci uomini-giorno. Si tratta di un notevole ampliamento della possibilità di evitare la redazione dello stesso documento anche a situazioni impegnative per durata e uomini presenti, per quanto riguarda la pericolosità delle attività previste.Pag. 72
      La modifica prevista all'articolo 67 mina poi l'aspetto procedurale, senza portare a nostro avviso alcun vantaggio, ma mutando profondamente un'azione adeguata di prevenzione e di controllo sulle irregolarità. Eliminare l'obbligo di comunicazione preventiva all'organo di vigilanza esclude per quest'ultimo l'esercizio del proprio ruolo in costanza di lavori di costruzione, relegando gli interventi solo al momento dell'attività di vigilanza e, quindi, a lavori finiti.
      Tale abolizione costringerà peraltro le autorità di pubblica sicurezza a farsi carico di procurare le informazioni e questo, oltre ad allungare i tempi, prevederebbe un'azione specifica per ciascun dato. In caso, difatti, di mancata attivazione da parte delle autorità, queste rimarrebbero all'oscuro del fenomeno infortunistico relativo alle lesioni od omicidi colposi, con evidenti conseguenze sul piano dell'eventuale accertamento di irregolarità. In questo senso va un nostro emendamento, che mi auguro possa ricevere parere positivo lungo il percorso del provvedimento qui in Aula.
      Indipendentemente dalla durata del lavoro, la formazione è fondamentale per permettere ai lavoratori di conoscere i rischi specifici dell'azienda cui vanno incontro e come affrontarli, non trascurando che ogni contesto lavorativo ha i propri rischi, al di là dello svolgimento anche della stessa mansione e dello stesso comparto produttivo nella quale viene svolta. Anzi, è proprio nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi, dove più spesso accade l'infortunio.
      Con le modifiche all'articolo 35, inserite con la nostra proposta durante l'analisi emendativa in Commissione, abbiamo sollecitato il Governo a creare un percorso perché si giunga presto alla definizione degli adempimenti per rendere obbligatorio il libretto formativo: costo zero e opportunità di risparmiare un miliardo di euro. Il nostro emendamento presentato in Aula tende a migliorare quanto raggiunto in Commissione.
      Voglio particolarmente sottolineare l'emendamento a prima firma Damiano, che dà risposte al flagello del massimo ribasso. Voglio dire fin da ora che non permetteremo venga nuovamente cancellato, come accaduto nella precedente legislatura: passato alla Camera durante la discussione del decreto-legge n.  70 del 2011 e cancellato poi dal Governo Monti nella legge di stabilità della fine dello stesso anno. È un'abitudine, quella di appaltare al massimo ribasso, che un Paese con senso di civiltà non può permettersi. Gli appalti al massimo ribasso non contengono clausole di sicurezza sociale: sono uno strumento che va migliorato per garantire la sicurezza dei lavoratori e noi siamo convinti che il nostro emendamento possa dare un contributo decisivo.
      Nel prosieguo della lettura del provvedimento ci si imbatte, per quanto di competenza della nostra Commissione, nell'articolo 58, «Disposizioni urgenti per lo sviluppo del sistema universitario e degli enti di ricerca». Al comma 1 dell'articolo è previsto l'incremento della possibilità di assumere sia per le università sia per gli enti di ricerca. Leggiamo quindi aspetti positivi, ma procedendo non può che essere colta con sgomento e perplessità il modo in cui tali disposizioni trovano copertura finanziaria: utilizzando le risorse derivanti da una complessiva razionalizzazione della spesa necessaria per i servizi esternalizzati nelle istituzioni scolastiche, nel cui ambito assumono un rilievo quantitativo soprattutto i servizi di pulizia.
      Parliamo, cari colleghi, dei lavoratori socialmente utili della scuola, che rischiano di trovarsi da un giorno all'altro senza un lavoro. Abbiamo presentato a tal proposito un emendamento della collega Bellanova, che, raccogliendo l'allarme delle migliaia di lavoratori colpiti dai tagli, vuole dare una risposta concreta ristabilendo le risorse ingiustamente spostate: lavoratori che prestano servizio nei circa 4 mila edifici scolastici italiani di ogni ordine e grado e che hanno già pagato sulla loro pelle la riduzione dei fondi decisi negli ultimi due anni.Pag. 73
      Gli ulteriori tagli previsti in questo decreto-legge comporterebbero una pesantissima ricaduta sociale, nonché notevoli danni agli istituti scolastici e al mantenimento dell'igiene e della sicurezza nei complessi frequentati da alunni e personale. È doloroso pensare che questi lavoratori possano essere considerati appendici da tagliare, senza dare una valutazione adeguata al loro apporto per la corretta agibilità degli istituti.
      Infine, Presidente, e concludo, le nostre proposte non stravolgono la ratio del provvedimento, anzi, la integrano positivamente, rendendo migliore un testo che non si pone solo l'obiettivo di dire molte cose, ma, compito ben più arduo, di farne, e possibilmente farle bene.
      Vero, tutti noi sappiamo che tra il dire e il fare di mezzo c’è il mare. È tempo di decidere, quindi, e mi riferisco a tutti noi, maggioranza e opposizione, se galleggiare soltanto o accendere i motori e procedere davvero (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simone Valente. Ne ha facoltà.

      SIMONE VALENTE. Signor Presidente, colleghi deputati, membri del Governo, oggi ci troviamo qui in Aula per discutere la conversione in legge di questo decreto, il decreto denominato, con arguzia da marketing, «decreto del fare». Man mano che entravamo tra le pieghe del decreto, noi del MoVimento 5 Stelle ci siamo chiesti: ma fare cosa ?
      Prima di riportare la risposta che ci siamo dati a questa domanda è inevitabile, però, prima, soffermarsi su due fondamentali premesse. Il primo aspetto è chiaro, sotto gli occhi di tutti: ci ritroviamo di fronte all'ennesima esautorazione del potere legislativo di fronte a quello esecutivo, visto che la maggioranza che vi sostiene ha rigettato centinaia di emendamenti presentati dai gruppi per problemi soprattutto di inammissibilità, perché non strettamente attinenti all'oggetto del provvedimento.
      Il secondo aspetto riguarda l'oggetto del provvedimento, che – leggo testualmente – recita: «Disposizioni urgenti in materia di crescita». A questo scopo si mette mano, in fretta e furia, a più materie contemporaneamente: giustizia, ambiente, affari sociali, esteri, lavoro, cultura. Insomma, di tutto e di più. Difficile, se non impossibile, per un non addetto ai lavori, un cittadino fuori dal Palazzo, riuscire a trovare il filo rosso della rotondità, dell'omogeneità, in questo labirinto.
      Vedete, noi il filo conduttore di questa omogeneità lo abbiamo risalito fino alla fonte e lo abbiamo trovato. Si tratta del perpetrare, ancora una volta, misure la cui sola utilità è quella del rafforzamento dello status quo. Cemento, devastazioni ambientali e sburocratizzazioni volte ad agevolare solo i grandi speculatori. Premesso ciò, approfondiamo quello che avete inserito nel provvedimento, adottando quale termine di paragone parametri economici che noi non condividiamo e che consideriamo inidonei alla misurazione del benessere sociale in Italia venuto dopo la Prima Repubblica.
      Occorre anticipare che nella nostra ottica bisogna presto abbandonare questo modello economico, andando ad adottarne di nuovi, con una diversa misurazione del benessere sociale. Ci caliamo, comunque, nella situazione attuale ed usiamo i dati macroeconomici universalmente in uso.
      È pacifico che la crescita economica vi sia quando il PIL torna a salire insieme anche agli altri indicatori economici, ma è altrettanto pacifico che sia necessario che, per far ciò, occorrano provvedimenti volti all'aumento della produzione dei beni e dei servizi nel nostro Paese. Insomma, dobbiamo far sì che le nostre scelte vadano in tale direzione, ma nel rispetto dell'ambiente e delle risorse realmente disponibili.
      Questo provvedimento è molto simile, per la maggior parte delle tematiche trattate, ad altri decreti emanati e convertiti in passato. Con quale risultato, però ? Calo continuo del PIL, deindustrializzazione del Paese, delocalizzazione del lavoro, aumento della disoccupazione, smantellamento del welfare, danni ambientali, sempre Pag. 74maggiore dipendenza dagli Stati esteri, e quindi meno sovranità, aumento incontrollato del debito pubblico.
      La solita storia ! Nessuno di questi simili decreti ha invertito la rotta; tanto meno il «decreto del fare» invertirà la tendenza. Noi, a dire la verità, da voi del Governo ci aspettavamo interventi reali per la crescita, e quindi interventi per ridurre il cuneo fiscale, per ridurre la tassazione devastante su imprese e famiglie, abbattendo la spesa pubblica in settori che godono di credito illimitato, crisi o non crisi; ad esempio, la difesa, che ha un bilancio di circa 20 miliardi di euro e che continua ad aumentare.
      I normali cittadini li spremete come limoni, ma, per carità, di fronte alle mostrine, così come anche di fronte alle altre lobby, ci si mette sull'attenti e si dice «sissignori». Entriamo nel merito: vorrei focalizzare l'attenzione su alcuni precisi provvedimenti di questo cocktail di interventi, quelli legati al settore della cultura. All'articolo 11 troviamo una proroga al tax credit per le produzioni cinematografiche.
      Peccato solo che gli incentivi vengano tagliati del 50 per cento, scendendo da 90 milioni di euro a 45. Allora, giochiamo a nascondino, signori del Governo ? Cosa stiamo facendo ?
      Questo taglio, unito al FUS (il Fondo unico per lo spettacolo) inciderà pesantemente sulle nostre produzioni; il cinema italiano ha una storia, capacità artistiche e qualità della manovalanza tali che potrebbero costituire davvero una risorsa sulla quale puntare. Sostenere la produzione cinematografica, un simbolo nel mondo della nostra cultura, dovrebbe essere un dovere. Cinecittà è stato il cuore del grande cinema dei decenni passati e, sebbene ora questa classe politica la stia spolpando e svendendo, ci auguriamo che possa presto tornare fulcro di pellicole e produzioni di qualità e gradimento. Cinecittà ormai è ostaggio di banchieri, del manovratore di questo Governo, Mediaset, Medusa Film, dei vari Della Valle, De Laurentiis, potrei ancora continuare. Il loro obiettivo è rilanciarla sul serio ? Assolutamente no, il solito obiettivo è quello di sventrare e smantellare, e tutto questo con il benestare di questa classe politica. Ricordiamo che l'industria cinematografica italiana, oltre ad essere ai vertici mondiali del settore, impiega migliaia di persone direttamente e altre migliaia nell'indotto. Questo taglio degli incentivi servirà solo a spingere più produzioni e post-produzioni verso l'estero, la solita storia italiana, la conseguenza sarebbe la perdita di una ricchezza e dell'intero macrosettore culturale, che impiega più di due milioni di persone e concorre per il 9 per cento nella formazione del PIL. Vogliamo smantellare anche questo settore ? Il Presidente Letta si era impegnato a dimettersi qualora avesse apportato tagli al settore culturale e questo di fatto è un taglio, allora ci chiediamo cosa farà ora il Presidente Letta, lascerà il posto a qualcun altro ? Non lo sappiamo.
      Passando all'edilizia scolastica, come già accennato da alcuni miei colleghi, alcune centinaia di milioni di euro per l'edilizia scolastica sono davvero una goccia nell'oceano, cifre quasi offensive se pensiamo che l'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo in Commissione VII ha evidenziato che, in base alle analisi compiute dal MIUR, occorrono circa 13 miliardi per la sola riqualificazione sismica, e noi parliamo di centinaia di milioni di euro. Le scuole sono un organo costituzionale; come diceva Calamandrei sono il luogo della formazione del cittadino. Anche da questi dettagli si comprende quale valore diate alla formazione. L'istruzione porta la conoscenza e la conoscenza rende liberi, bisogna che questa conoscenza sia trasmessa in luoghi degni, le scuole dovrebbero diventare un luogo degno perché la condizione delle scuole rispecchia il livello di conoscenza che lo Stato vuole impartire ai cittadini. Ci vuole un piano urgente, le scuole devono essere i luoghi più sicuri al mondo, non può più accadere che i terremoti le facciano crollare o che cadano a pezzi perché vecchie o senza manutenzione; tra l'altro, gli interventi in edilizia scolastica, ristrutturando e riqualificando dal punto di vista energetico e antisismico con appalti rigorosamente trasparenti, Pag. 75potrebbero immettere liquidità nel sistema e dare ossigeno a migliaia di piccole e medie imprese legate direttamente o indirettamente al settore edile. E non dite che i soldi non ci sono perché abbiamo già visto che la vostra priorità è comprare strumenti di distruzione di massa come gli F-35, ma gli studenti e gli insegnanti purtroppo non sono una lobby alla quale rendere conto per voi.
      Con gli interventi alla cultura e all'istruzione questo Governo mostra che del settore non gli interessa un granché oppure gli interessa che continui a soffrire e a perdere pezzi: questo è un comparto fondamentale per il nostro Paese grazie al quale potremmo vivere e bene, a lungo, invece ci dimostriamo ogni volta incapaci di sfruttare e gestire il nostro patrimonio artistico, storico, architettonico, culturale, paesaggistico, eppure il turismo costituisce quasi il 10 per cento del nostro PIL. In Italia si viene per il Colosseo, per la torre di Pisa, per gli Uffizi, per i trulli di Alberobello, per i sassi di Matera, il duomo di Milano, la Mole antonelliana e tanti altri ancora, si viene per visitare i musei che espongono le opere dei nostri grandi artisti, per vedere luoghi diventati famosi grazie ai nostri film, per godere delle nostre bellezze naturalistiche e paesaggistiche, per le nostre montagne e per il nostro mare. Ebbene, quel 10 per cento del PIL, legato al macrosettore culturale, diventa quasi ben il 20 per cento.
      Perché, dunque, non investire massicciamente qui adesso, con piani strategici e integrati per incentivare la crescita ? Forse perché per le realtà che sostengono le vostre campagne elettorali, prima, e le vostre scelte politiche, poi, qui non c’è una torta sufficientemente grandiosa da spartirsi come, invece, avviene per la cementificazione selvaggia e nelle costruzioni di infrastrutture inutili. Volevate la crescita ? Dovevate intervenire in ambito macroeconomico per poi incentivare correlate scelte microeconomiche degli operatori che, integrandosi tra loro sinergicamente, avrebbero avuto un effetto positivo sul prodotto interno lordo.
      Eppure, siete chiusi dentro un immobilismo dettato solo dalle vostre logiche di sodalizio ventennale culminate con questo Governo. State solo garantendo continuità alle politiche berlusconiane, dalemiane, montiane e nulla di tutto questo salverà l'Italia e gli italiani. Non è questo che i cittadini vi hanno chiesto di fare e quello che state facendo. Quello che state portando avanti, in realtà, è un lavoro i cui risultati disastrosi si possono condensare in alcuni dati tanto drammatici quanto esaustivi. Parliamo di debito pubblico record a più di 2 mila miliardi di euro. Parliamo di disoccupazione, sfondata a quota 12,2 per cento. Parliamo di milioni di persone nella fascia fino agli under 30, che sono ragazzi che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, totalmente inattivi. E poi le imprese. Ogni giorno chiudono mille aziende. Cifre eloquenti, di cui il vostro modo di fare politica è responsabile. È non agendo così, come fate ora, che troverete voi la cura; a maggior ragione, se continuerete imperterriti a rispolverare le stesse scelte del passato: ricchi appalti cementizi, sburocratizzazioni incontrollate che hanno il solo palese obiettivo di favorire i soliti noti.
      Voi, che passerete alla storia come il Governo del rinvio, dovreste iniziare ciò che questo ennesimo «decreto macedonia» annuncia; dovreste iniziare a fare, perché in questo provvedimento fate poco per i cittadini, fate poco per la crescita, come da oggetto del decreto stesso, fate poco per la scuola, fate poco per la cultura, fate poco per salvare questo Paese allo sfascio. Noi ne siamo convinti che occorra fare, ma qualcosa di realmente importante e di impellente, ossia mettere in atto tutte quelle proposte per salvare la dignità umana dei nostri cittadini. Volete sapere cosa c’è da fare ? Mettere in atto degli obiettivi per salvare il tessuto socio-economico. Questo è quello che vogliamo fare e chiediamo di fare. Quindi, subito un reddito di cittadinanza. Potrei proporre un fondo per il microcredito a tasso agevolato per le piccole e medie imprese, riduzione del cuneo fiscale, legge anticorruzione e Pag. 76conflitto di interessi. Insomma, le cose che noi diciamo ormai da anni. Queste sono le uniche misure realmente contingenti. Se non salviamo i cittadini dalle sempre crescente indigenza nessun'altra misura potrà avere effetto. Non c’è tempo, signori. Nessuno può più aspettare. Non possiamo permetterci di lasciare indietro nessuno.
      Per concludere, volevo citare un avvenimento storico. Durante la battaglia di Calatafimi Garibaldi si rivolse a Nino Bixio, che voleva ritirare le truppe, dicendogli: «Qui si fa l'Italia o si muore». Voi non volete ritirarvi, ma non volete nemmeno andare oltre questo stallo. Fate delle scelte decise, perché qui o si rifà l'Italia o si muore (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piras. Ne ha facoltà.

      MICHELE PIRAS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, diversamente da altri colleghi io non credo che ci troviamo di fronte ad un decreto del non fare, nel senso che non credo che sia neutro rispetto agli effetti sociali e di sistema che esso produce. Di fronte ad un coacervo di svariati provvedimenti normativi sarebbe sufficiente, infatti, comportarsi come con un mosaico: rimettere insieme le tessere per comprendere quanto accade, a mio avviso, di grave al Paese. E ciò che accade al Paese è che, nelle pieghe di questo provvedimento, si introduce un'innovazione che rappresenta qualcosa di molto più grave di una semplice procedura di agevolazione del commercio estero. Il nostro Ministro della difesa si trasforma letteralmente in un piazzista, in un intermediario del commercio di armi per conto dell'industria nazionale. Si tratta, a nostro avviso, di un vero e proprio mutamento culturale, oltre che dell'orientamento strategico dello sviluppo economico del Paese.
      Con il «decreto del fare» l'implementazione dell'industria degli armamenti diviene l'unica vera politica industriale del Paese, un Paese che, lo ricordo, non ha più una politica industriale da almeno trent'anni, come ogni giorno ci ricordano le decine di migliaia di cassa integrati, disoccupati ed espulsi dal processo produttivo.
      Capita, quindi, che il nostro Ministro della difesa improvvisamente vesta i panni di Alberto Sordi, facilitatore premuroso del commercio di strumenti di morte, intraprendente venditore del nuovo e dell'usato, rassicurante e garante degli affari privati dell'industria nazionale delle armi: insomma, per il nostro Governo, finché c’è guerra c’è speranza.
      Il nostro Paese entra in affari, sdoganando ciò che ciascuno sa già e che sia padre Alex Zanotelli, sia il generale Fabio Mini hanno più volte denunciato, ovvero che è prassi consolidata, in barba alla legge n.  185 del 1990 e al codice dell'ordinamento militare, l'attività di promoter svolta dai nostri generali in missione all'estero e che esiste un intreccio quanto meno palese tra politica e industria delle armi, che il divieto di consulenza durante i cinque anni di servizio ausiliario ora non avrà più bisogno di essere eluso ed aggirato: ci penserà direttamente il Governo a prestare supporto tecnico e organizzativo e a fornire le adeguate garanzie ai clienti di questo agghiacciante supermercato, a pubblicizzarne i prodotti, i saldi e le offerte speciali.
      Onorevoli colleghi, l'articolo 48 del disegno di legge che stiamo discutendo è una mostruosità, perciò non è possibile in alcuna maniera accedere ad una logica emendativa per mitigarne la portata, per insabbiarne gli obiettivi e per oscurare la prospettiva che indica per il futuro dell'economia nazionale.
      Tengo a dire agli amici del Partito Democratico che non è sufficiente espungere il riferimento alla parte contrattuale, se poi rimane il supporto tecnico e amministrativo, se nulla quaestio sulla trasparenza, se non si fa piena luce sul pregresso, ivi compreso il giro di tangenti che le indagini della magistratura italiana hanno già portato alla luce da qualche anno.
      Vorrei rivolgermi anche ai colleghi del MoVimento 5 Stelle (riflettendo sulla loro incomprensibile astensione sul tema in Pag. 77Commissione difesa e augurandomi che nel frattempo abbiano cambiato idea), per dire loro che non avremmo mai pensato potessero sottovalutare una simile stortura che si colloca in piena continuità logica, culturale e politica con la partita degli F-35, con la riforma dello strumento militare e con l'idea di un nuovo e più aggressivo modello di difesa che produce una rottura culturale e concettuale palese con l'ispirazione pacifista dell'Italia repubblicana, consegnandoci un Paese che fa dello sviluppo dell'industria bellica la punta di diamante del suo new deal.
      Ciò che si deve fare, secondo noi, è sopprimere l'articolo 48, oppure stralciarlo, in maniera tale che il Parlamento possa dedicare una seduta specifica a questa norma, all'implicazione che produce e al nuovo modello di difesa, una discussione che non può essere relegata all'intrusione di una norma. Ciò che si dovrebbe fare è promuovere l'immediata costituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare sui rapporti fra le industrie nazionale degli armamenti, la politica e le nostre gerarchie militari. Ciò che andrebbe fatto è aprire una grande discussione sull'economia del Paese, sul modello di sviluppo, sulla prospettiva di un'economia al collasso, sulla tragedia che si è abbattuta su un'intera generazione di precari e diseredati, sul patrimonio culturale e archeologico che deperisce, sullo stato di abbandono della scuola pubblica e del sistema sanitario nazionale, sul precipitare della condizione sociale del Mezzogiorno d'Italia, sulle speranze tradite e sulle potenzialità inespresse e disperse, sul rapporto con il Mediterraneo che non può più essere quello della paura, della diffidenza, delle frontiere reciprocamente armate e in perenne latente conflitto.
      Signor Presidente, siamo giunti al punto e alle conclusioni. Noi non vogliamo un'economia di guerra, ma un'economia di pace: di pace con l'ambiente, con gli uomini, con le donne e con i popoli, incentrata sullo scambio delle culture e sui diritti di tutti. Voi, invece, avete deciso che la strategia per la crescita è il potenziamento della nostra industria delle armi e che ad essa debba corrispondere un'ulteriore contrazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Questa è certamente un'idea di crescita, di sviluppo e di futuro che noi non condividiamo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Schirò. Ne ha facoltà.

      GEA SCHIRÒ PLANETA. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, usare il verbo «fare» per il decreto-legge in discussione è una scelta coraggiosa e impegnativa. Dopo troppi «dire» e qualche «fare finta» dei governi politici della Seconda Repubblica, con questo provvedimento si traccia un cambio di rotta importante, auspicabilmente duraturo.
      La politica economica dell'esecutivo Letta posa i suoi pilastri su fondamenta solide, frutto degli sforzi compiuti dagli italiani dal novembre 2011 in poi. Oggi l'Italia va con la schiena dritta in Europa, dove il premier può associare alla sua personale alta credibilità quella di un Paese che ha saputo salvarsi dal baratro, senza aiuti esterni. Al Governo presieduto da Mario Monti la storia, meglio di noi, riconosce il merito di aver consentito questo cambio di rotta, la stabilizzazione degli equilibri finanziari, il superamento del rischio di default, l'inizio di una stagione di riforme. Una stagione che oggi questo Parlamento e questo Governo hanno il dovere di proseguire e approfondire.
      Permettetemi di sottolineare due cose: in primo luogo, gli sforzi sono stati compiuti da tutti gli italiani, indipendentemente dal partito per cui essi hanno votato; in secondo luogo, il dovere delle riforme per la crescita spetta ora a tutti i partiti rappresentati in questa Aula (Scelta Civica, PD, PdL, Movimento 5 Stelle, SEL, Lega Nord e le altre forze, nessuna esclusa).
      Con la chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo, l'Europa ha riconosciuto il lavoro fatto. Abbiamo, oggi, finanze pubbliche in ordine, migliori di realtà come Spagna, Francia e Olanda. Pag. 78C’è ora da ritrovare orgoglio e consapevolezza delle nostre potenzialità, come Paese e come classe politica. Il Paese ha bisogno di un dibattito serrato, anche duro a volte, sul merito dei provvedimenti che affrontiamo in Parlamento. In democrazia la forma è sostanza, e noi abbiamo il dovere di pacificare la politica italiana.
      Il cosiddetto «decreto del fare» contiene misure capaci di incidere positivamente sulle prospettive di crescita del Paese, anzitutto nella prima parte, misure di stimolo agli investimenti per le imprese e di sostegno ai grandi progetti di ricerca e innovazione industriale, accanto a misure di liberalizzazione del mercato del gas naturale, dei carburanti e dell'energia elettrica. Molto importante è l'introduzione di una corsia preferenziale per un utilizzo efficiente dei fondi europei, e di questo ringraziamo il ministro Trigilia. Le cronache degli ultimi giorni segnalano ancora una volta la difficoltà con cui il sistema Italia utilizza i fondi, spesso rischiando irresponsabilmente di perderli.
      Con la riproposizione della cosiddetta legge Sabatini, a cui noi di Scelta civica abbiamo creduto fin da subito, si facilita l'accesso al credito delle imprese nell'acquisto di nuovi macchinari ed impianti per uso produttivo. E non sono sussidi alle imprese, ma una sfida agli imprenditori perché scommettano insieme a noi sulle prospettive dell'Italia.
      Il piano cosiddetto «sblocca cantieri» è in qualche modo il cuore del concetto del «fare». In Italia va superata la diffidenza nei confronti delle grandi opere pubbliche, capaci di modernizzare le dinamiche sociali ed economiche e cambiare il volto di un Paese. Le linee metropolitane di Roma, Milano e Napoli devono arrivare, a breve, a livelli degni delle capitali europee. Il collegamento Ragusa-Catania è strategico per lo sviluppo della Sicilia, così come è fondamentale investire nella Milano-Venezia, una delle arterie più trafficate e ricche d'Europa, che poi si collegherà al famoso Corridoio 1 che ci lega al Baltico.
      Rivolgendomi in particolare ai colleghi del centrosinistra, di sinistra e del Movimento 5 Stelle, li invito a considerare una cosa: favorire la costruzione di strade, porti e reti digitali superando la tentazione del «no» a tutto, è una misura di equità, oltre che di efficienza. Una metropolitana migliora la vita dei pendolari e di chi vive in periferia. Promuovere lo sviluppo infrastrutturale di aree depresse, riduce la triste tendenza all'emigrazione all'estero di tanti giovani. Lavoriamo tutti insieme perché le infrastrutture siano sempre compatibili con l'ambiente e i diritti delle comunità locali, promuovendo preventivamente il dialogo con le comunità stesse, appunto. Un esempio sia per noi la Francia, che ha iniziato anni prima a presentare il proprio tratto della Torino-Lione alle popolazioni della valle.
      In un caso, il decreto-legge finanzia opere pubbliche definanziandone un'altra, secondo un legittimo programma di priorità deciso dal Governo. Abbiamo proposto più coraggio. Con un suo emendamento, Scelta Civica chiede all'esecutivo di non rinunciare a nessuna delle opere in cantiere, ma di reperire le risorse necessarie da voci di spesa pubblica meno produttive. Se si deve spendere meno, si deve anche spendere meglio. Così come bisogna rivedere, come proposto dall'onorevole Librandi, il finanziamento del sistema universitario, e proporre il raddoppio dei fondi destinati dal decreto-legge alle borse di studio per la mobilità degli studenti fuori sede.
      Come sa meglio di me il Presidente Letta, l'Italia ha un divario molto marcato in materia di sostegno agli studenti universitari rispetto ai grandi partner europei. Raggiungiamo solo il 7 per cento della popolazione studentesca, contro il 25 per cento della Francia o il 30 per cento della Germania. Il fondo previsto dal decreto-legge è necessario, ma non è sufficiente. Dobbiamo, nei prossimi mesi, essere in grado di investire molto di più nella formazione del capitale umano. Ogni euro pubblico investito in borse di studio universitarie o post-universitarie ha un rendimento superiore a qualsiasi altro impiego alternativo.
      L'Italia non ha giacimenti petroliferi, ma ha degli invidiabili e preziosi giacimenti Pag. 79culturali – come si usa a volte dire in sociologia – in termini di creatività e competenza; siamo tra i primi. Più in generale, noi stimoleremo il Governo perché da questi primi interventi si inauguri una stagione nuova per l'Italia. È cruciale sapere partecipare alla competizione fra le economie più avanzate per l'attrazione delle migliori intelligenze, come e di più è molto importante promuovere i nostri talenti.
      Nel «decreto del fare» – e spero che sia possibile riprendere il discorso nei prossimi provvedimenti – non avrebbero sfigurato misure di promozione delle attività di venture capital per le nuove imprese giovani ad alto contenuto tecnologico. È un dibattito ormai molto consolidato anche in Italia e di cui il Presidente Letta è stato, tra gli altri, un animatore. Importiamo il modello israeliano dei fondi venture capital con un investimento di almeno un miliardo di euro, che aiuterebbe l'Italia a diventare un hub internazionale. Le risorse pubbliche necessarie potrebbero venire da un piano di dismissioni di patrimonio pubblico, come già preventivato e previsto dal Presidente Monti.
      Gli esempi che ho richiamato e i molti altri che potrei fare, segnalano che l'approccio di Scelta Civica a questo «decreto del fare» è stato positivo, incoraggiante, ma mai acritico. Voteremo a favore della conversione in legge del decreto-legge, ma abbiamo chiesto e chiederemo sempre di più.
      Sul fronte fiscale, ad esempio, non ci entusiasma affatto l'aumento dell'accisa sui carburanti dal 2014: chiediamo che non si gravi più sui contribuenti. Non avendo mai illuso gli italiani che ridurre le tasse fosse facile senza un serio piano di riduzione della spesa corrente, noi di Scelta Civica ci sentiamo più che mai legittimati a rivendicare che, dopo il tempo dell'emergenza, si realizzi il tempo della prospettiva. Per questo, tra le altre cose, valutiamo con favore le misure del decreto-legge in materia di semplificazione e alleggerimento fiscale, come le agevolazioni relative alla rateizzazione delle riscossioni, l'impignorabilità da parte di Equitalia della prima casa e dei beni strumentali dell'attività economica.
      Il patto fiscale tra contribuenti ed erario si fonda sulla fedeltà dei primi, ma anche – e forse soprattutto – sulla proporzionalità delle eventuali sanzioni. Che le misure del decreto-legge fossero opportune è peraltro confermato dal fatto che Equitalia ha deciso di applicare da subito le nuove norme, emanando le circolari attuative interne senza nemmeno aspettare la conversione in legge.
      Parlando di fisco, la priorità che non poteva essere oggetto di questo decreto, ma che non potrà non essere affrontata dopo l'estate, è la riduzione del cuneo fiscale, la differenza tra il salario lordo pagato dall'impresa e quanto va in tasca ai lavoratori dopo tasse e contributi. È uno dei maggiori freni alla creazione di posti di lavoro in Italia, specie per i giovani. E pensiamo già soltanto al costo del lavoro nel turismo, dove i grandi competitor mediterranei (Cipro, Canarie, Malta) hanno costi notevolmente inferiori. Per ridurre questo handicap dobbiamo cercare almeno di portare il cuneo fiscale a livello della media europea e l'unico modo serio e sostenibile di finanziare il riallineamento sono robusti tagli alla spesa.
      Nel 2015 la spesa corrente a legislazione invariata dovrebbe aumentare di 26,7 miliardi di euro rispetto al 2012; di questi circa 19 sono ascrivibili alle pensioni, la restante parte (7,7 miliardi) a funzioni di spesa sulle quali è opportuno focalizzare l'attenzione del Governo. Per troppo tempo, negli anni passati, manovre finanziarie anche molto robuste hanno ridotto la disponibilità di importanti comparti della pubblica amministrazione – penso agli enti locali – ma lo sforzo non è servito a ridurre contestualmente il carico fiscale, bensì a tappare le falle prodotte da altri comparti di spesa ormai fuori controllo: i cosiddetti «consumi intermedi» della pubblica amministrazione, la spesa sanitaria regionale e un sistema pensionistico che paga prestazioni molto onerose con l'iniquo calcolo retributivo.Pag. 80
      Ma tagliare la spesa pubblica è la scelta politica per eccellenza: bisogna sapere indicare chi – quale comparto, quale interesse organizzato, quale categoria o centro di potere – deve rinunciare a quale pezzo di spesa pubblica e come. Non è più tempo di tagli lineari, peraltro risultati alla prova dei fatti la causa dell'esplosione dei debiti commerciali degli enti pubblici nei confronti dei loro fornitori. Il professor Giavazzi, la scorsa settimana, ha evocato addirittura la cifra dei 50 miliardi di tagli necessari per ridurre le tasse e far ripartire l'economia. È una cifra molto elevata ma solo una politica rassegnata al peggio non si pone obiettivi ambiziosi.
      Se si osservano i dati macroeconomici degli ultimi sette-otto anni, l'Italia sembra essere stata vittima di un conflitto bellico di medie dimensioni. Dobbiamo reagire con la stessa determinazione che si ha nelle fasi postbelliche, quelle in cui un Paese deve ritrovare il sentiero della prosperità e della crescita. Le grandi coalizioni, peraltro, sono per definizione risposte eccezionali a momenti eccezionali: questa maggioranza non può e non deve cadere nella tentazione di vivacchiare o di tirare a campare.
      In ogni ambito della vita sociale, è venuto il momento di stipulare un patto nazionale, un patto di condivisione. Come nel dopoguerra il patto condiviso tra Stato e cittadini ha condotto alle grandi opere, dall'edilizia scolastica, l'unica ancora efficiente, alla nascita dell'ENEA che ha lanciato la chimica italiana per tanti anni. Nel «Paese del fare» i lavoratori devono essere valorizzati e gli imprenditori devono accettare una maggiore condivisione. I tempi sono maturi per riprendere un serio confronto sulla contrattazione collettiva, valorizzando sempre di più la contrattazione decentrata, riducendo il peso di una contrattazione accentrata nazionale, poco capace di cogliere le specificità dei singoli territori e delle singole aziende.
      Se la politica tornerà credibile, mostrando concretezza, allora potrà chiedere ai cittadini di accompagnare e favorire delle riforme radicali. Ripeto, condivisione di interessi: lavoratori e imprenditori, cittadini, amministratori, giovani e maestri sono artefici di un destino comune, se i primi accettano di dividere i doveri e i secondi di condividere i benefici e lo stesso vale per la platea dei contribuenti rispetto al fisco; per i funzionari della pubblica amministrazione rispetto ai cittadini; per chiunque si senta danneggiato da una maggiore concorrenza nel proprio settore.
      In conclusione competitività, razionalizzazione della spesa e condivisione degli interessi. A mio parere, ma credo di poter parlare anche a nome dei colleghi di Scelta Civica, questi sono i pilastri su cui costruire la politica economica dei prossimi mesi ed anni (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Daga. Ne ha facoltà.

      FEDERICA DAGA. Signor Presidente, negli ultimi giorni, il Governo ci ha nuovamente impegnati nell'analisi di un decreto-legge, il n.  69 di quest'anno. Rileviamo, quindi, ancora una volta lo spostamento della funzione legislativa dal Parlamento al Governo, che ha ritenuto urgente riprodurre un'ottantina di articoli che vanno a trattare gli argomenti più disparati. L'ennesimo decreto-legge omnibus emesso sull'abuso dell'articolo 77 della Costituzione che fa riferimento a casi di necessità e urgenza.
      Continuare ad abusare di questo strumento senza elementi di straordinarietà, dal nostro punto di vista, ha l'obiettivo di sdoganarne l'utilizzo e perpetrare lo svuotamento delle funzioni legislative del Parlamento. È quindi innanzitutto chi fa parte di questo Parlamento che deve riporre l'abitudine al disuso verso una corretta funzione del suo ruolo, perché è proprio questa abdicazione che permette, da diverse legislature, a chi ricopre incarichi di Governo, di operare da legislatore anziché da mero esecutore.
      Fatta questa indispensabile premessa, evidenzio alcuni punti riscontrati dal gruppo del MoVimento 5 Stelle presente in Commissione ambiente: per gli inceneritori, fonte assimilata per produzione di Pag. 81energia, inizialmente era prevista una rimodulazione delle tariffe concesse agli impianti in regime CIP 6, in esercizio convenzionato da meno di otto anni; nella sua versione passata in Commissione ci siamo ritrovati con una proroga degli incentivi per altri quattro anni. Abbiamo tentato di abrogare completamente l'articolo, ma la marchetta ai privati che gestiscono l'incenerimento dei rifiuti è rimasta. Si sta parlando di contributi presi dalle bollette dei cittadini che fruttano un introito di oltre 3 miliardi di euro all'anno, che andrebbero utilizzati per incentivare forme di energia pulita.
      Sottolineo che il Governo considera gli inceneritori di «particolare utilità sociale», dimenticando che la direttiva europea indica l'incenerimento come strumento di ultima istanza in assenza di alternative evolute e dal 2020 non potranno più essere bruciati rifiuti riciclabili e compostabili.
      Chiediamo al Governo di spiegarci qual è l'utilità sociale di cui sono portatori gli inceneritori, visto che è scientificamente provato che producono patologie gravi come tumori e malformazioni fetali ! Siamo di fronte ad una marchetta bella e buona ! Ed è inoltre l'ennesima dimostrazione che un ciclo dei rifiuti basato sull'incenerimento non sta economicamente in piedi: è sostenuto solo dalle nostre tasse e dagli incentivi. Con tutto questo denaro pubblico l'Italia potrebbe investire sulla strategia «rifiuti zero», che garantisce recupero di risorse sotto forma di materiali e tutela l'ambiente in cui viviamo. Nel Governo e in quest'Aula, a chi giova continuare ad incenerire la salute dei cittadini ?
      Opere inutili: sono stati stanziati fondi per le grandi opere, secondo noi non necessarie né urgenti, mentre sono state destinate briciole per la messa in sicurezza delle scuole. In quest'Aula è chiara solo agli occhi dei parlamentari 5 Stelle la volontà politica del Governo di assecondare gli appetiti dei pochi noti «imprenditori con i soldi degli altri», anziché garantire la salute e la sicurezza della collettività ?
      Vengono concesse ulteriori semplificazioni in materia edilizia. Nel giro di pochi anni si è assistito ad una modifica continua del testo unico dell'edilizia che, per semplificare la legge, l'hanno resa ancora più confusa ed incerta, creando enormi problemi agli uffici comunali competenti. È evidente che non si può rilanciare il settore edile, smantellando le regole.
      Qui si parla di modifica delle sagome delle ristrutturazioni e modifiche alle norme sull'agibilità degli edifici. Si va a far cadere, per gli interventi di demolizione e ricostruzione, il vincolo della necessità di mantenere la sagoma, escludendo dalla disciplina solo gli edifici vincolati e si inserisce la possibilità ai costruttori di rendere agibile anche solo una parte dell'intero lotto in via di costruzione. Mi chiedo: tutto questo è crescita economica ? O semplicemente marchette per quelle lobby che massimizzano i profitti socializzando le perdite con i fondi statali ?
      Andiamo all'articolo 41, disposizioni in materia ambientale. In primis sottolineiamo l'inopportunità di intervenire con un decreto-legge su disposizioni del testo unico ambientale (la n.  152 del 2006), nato con legge delega. Modifiche a tale testo andrebbero assunte nell'ambito e nel rispetto del disegno organico previsto nella legge delega e non si prestano ad episodiche modifiche che rischiano di compromettere una strategia complessiva di tutela ambientale. Sull'articolo 41 è stato svolto un intenso lavoro per disinnescare enormi criticità introdotte nella versione del Governo. In sostanza il testo permetteva alle aziende di far finta di risolvere il problema contaminazioni delle falde acquifere. Sulla questione si è espresso perfino il professor Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all'università di Teramo, che ha affermato: «Subordinare l'eliminazione della fonte di inquinamento, oltreché a possibilità tecniche, anche al presupposto che ciò sia economicamente sostenibile per il privato che inquina, si sostanzia in una prevalenza degli interessi economici del privato sul diritto alla salute Pag. 82e all'ambiente salubre. Ciò viola anche il diritto dell'Unione europea e segnatamente il principio «chi inquina paga».
      Abbiamo assistito ad una mobilitazione di cittadini e associazioni che puntualmente hanno sollevato le criticità presenti nel testo iniziale e si sono attivati nel far pressione sui parlamentari affinché questi ultimi si adoperassero nelle Commissioni ed in Aula. Come MoVimento 5 Stelle abbiamo voluto dare un seguito a queste sollecitazioni e contributi ricevuti, puntando i piedi in Commissione ambiente e nelle sedute notturne della Commissione bilancio, producendo emendamenti e discutendo animatamente.
      Abbiamo ottenuto: in primo luogo l'eliminazione del principio che le bonifiche si possano effettuare solo se «economicamente sostenibili» per l'inquinatore, anche in presenza di rischio sanitario conclamato; in secondo luogo l'eliminazione generica dell'attenuazione della contaminazione; in terzo luogo l'inserimento della priorità per interventi più efficaci.
      Citando un comunicato diffuso dai comitati che sollecitavano il Parlamento nei giorni scorsi: «Ricordiamo al Governo la necessità che il tema delle bonifiche sia messo al centro dell'agenda politica, visto che riguarda presente e futuro di milioni di cittadini ed è l'occasione per un territorio nazionale degradato di essere risanato e poter costituire la base per un'economia durevole. Questo è il “fare” che i cittadini si aspettano».
      Per il MoVimento 5 Stelle, la partecipazione cittadina alla gestione della cosa pubblica è fondamentale, per questo invitiamo nuovamente la cittadinanza tutta a darci in futuro quei suggerimenti preziosi che non possono far altro che aiutare il Parlamento a legiferare verso una corretta gestione del bene comune. Ai parlamentari rinnoviamo quindi l'invito a riprendersi il ruolo che gli compete, a questo Governo, probabilmente ultima espressione del tentativo di mantenere il potere in mani di pochi, sollecitiamo una condotta che dia priorità unicamente all'interesse collettivo che vede nella salute dell'ambiente e dei cittadini un obiettivo irrinunciabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

      MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, il decreto-legge al nostro esame ha l'obiettivo del rilancio dell'economia. La crisi si è aggravata sempre più negli ultimi anni. Abbiamo messo sotto controllo la finanza pubblica, soprattutto relativamente all'indebitamento annuale sul PIL, anche se il debito pubblico è aumentato, ma, soprattutto, pesa la recessione, la disoccupazione, in particolare giovanile, e, quindi, siamo di fronte a un impoverimento del Paese. Perché ha pesato certamente la crisi mondiale, poi quella europea e il fatto che i debiti privati si sono scaricati sul pubblico. In Italia, però, la causa deriva anche da un'attesa inerte che la crisi passasse da sola e il rifiuto dell'idea che occorressero politiche industriali di fronte a un'economia mondiale in profondo cambiamento, un cambiamento strutturale. Cambiano le gerarchie, i ruoli delle diverse aree del mondo. Da qui la necessità di un'Europa che sia soggetto politico unitario e il Governo italiano è impegnato fino in fondo su questo piano, per un'Europa che non sia solo rigore, ma un'Europa sociale per il lavoro. E la necessità di politiche industriali. In questi primi mesi del Governo Letta si cominciano a vedere politiche industriali.

      PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Marchi. Colleghi, consentiamo all'onorevole Marchi di parlare con la stessa calma con la quale hanno parlato gli altri oratori, grazie.

      MAINO MARCHI. Politiche industriali per la ripresa economica, per la crescita. Mi riferisco a diversi provvedimenti: alle misure per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, al decreto-legge sull'Ilva, al decreto-legge sull'efficienza energetica e le ristrutturazioni Pag. 83edilizie. E questo decreto-legge, il più consistente, su cosa agisce ? Su tre campi sostanzialmente, su specifiche misure per la crescita, sulle semplificazioni e sulla giustizia civile. Le misure per la crescita riguardano: il sostegno alle imprese, con il miglioramento dell'accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e il potenziamento del Fondo centrale di garanzia, con una riattivazione della «legge Sabatini» per i finanziamenti a tasso agevolato per l'acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature e con il rifinanziamento dei contratti di sviluppo; una maggiore liberalizzazione nel settore energetico per gas e carburanti; la riduzione dei costi in bolletta; la riduzione dell'accisa sul gasolio da serra; il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo e, quindi, all'internazionalizzazione; misure per l'accelerazione nell'utilizzo dei fondi europei; misure per la governance dell'Agenda digitale e la diffusione delle tecnologie digitali; una serie di misure sul fronte delle infrastrutture, dallo sblocca-cantieri, utilizzando al meglio risorse già stanziate per opere immediatamente cantierabili, agli interventi per il rilancio dei porti della nautica, per la sicurezza stradale, per l'edilizia scolastica e per i piccoli comuni.
      E, poi, sottolineo l'importanza di avere ampliato gli strumenti relativi a concessioni e, soprattutto, a defiscalizzazioni per le infrastrutture che si realizzano con contratti di partenariato pubblico-privato. E considero fondamentali misure per la crescita quelle per istruzione, università e ricerca, in particolare gli interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, lo sblocco del turnover nelle università, le borse di mobilità per studenti capaci e meritevoli, le modalità di finanziamento delle università con procedure di valutazione. Nel campo delle semplificazioni, semplificazioni vere e dirette. Il decreto-legge opera a trecentosessanta gradi, da quelle amministrative a quelle fiscali, in edilizia urbanistica, in campo ambientale, per i beni culturali, relative al lavoro, alle certificazioni sanitarie, ai campeggi, alla cittadinanza, relative a migliori procedure per la donazione di organi, ad aspetti fiscali su responsabilità solidale delle imprese, pignorabilità delle proprietà immobiliari, riscossione, Equitalia o a questioni come Expo 2015.
      E, poi, c’è la giustizia civile, una parte ampia, che si giustifica in questo decreto-legge, perché la giustizia civile rappresenta un gap per la competitività delle imprese italiane. Il decreto-legge si pone l'obiettivo di migliorarne il funzionamento, con la riduzione dei tempi e più efficienza e riducendo in cinque anni le pendenze di oltre un milione e 150 mila pratiche.
      Questo, di massima, è il contenuto del decreto-legge, non un insieme affastellato di norme: c’è nel complesso una vision, da considerare con gli altri provvedimenti che ho richiamato all'inizio e con quello sul lavoro, l'occupazione e l'IVA, ed è la vision delle politiche industriali per un sostegno ampio alle imprese per l'innovazione. Il lavoro delle Commissioni ha migliorato questo decreto-legge, sia il lavoro delle due Commissioni in sede referente, sia l'intervento di tutte quelle di merito. E qui voglio dire quali cambiamenti, i più significativi, con il contributo determinante del Partito Democratico, abbiamo apportato.
      Per la giustizia civile, si è modificato in più parti, ascoltando i mondi di riferimento, in particolare sulla mediazione e la conciliazione; si è operato affinché le nuove misure possano più realisticamente raggiungere gli obiettivi. Sulle semplificazioni relative al lavoro, al fisco e per gli appalti, ci sono miglioramenti sul versante della sicurezza sul lavoro, per il DURC e su due obiettivi per noi molto significativi: l'avvio del superamento del massimo ribasso negli appalti, partendo dagli aspetti legati al lavoro e alla sicurezza, e la tracciabilità piena dei pagamenti IVA tra soggetti attivi e passivi.
      Terzo punto: forti miglioramenti nella parte delle semplificazioni ambientali e urbanistiche. Non è tutto ciò che volevamo: restano aspetti critici, soprattutto sull'urbanistica, ma nel complesso, è un buon lavoro che persegue insieme gli obiettivi di operatività e di tutela. Quarta Pag. 84parte: con riferimento alle infrastrutture, c’è una maggiore considerazione per le aree da cui si attingono risorse, come quelle del Piemonte, e per altre opere non previste, ma senza assalti alla diligenza; più risorse, soprattutto per l'edilizia scolastica, migliori regole e procedure per le opere di piccoli comuni.
      Quinto: molti cambiamenti sulla parte relativa all'università, con il programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli e sugli aspetti di valutazione dell'università. Sesto: con riferimento agli aspetti energetici, c’è più equilibrio sul CIP 6 e gli inceneritori, nel senso che si differenzia la durata degli incentivi in base al fatto che siano stati realizzati o no per far fronte a emergenze per i rifiuti; quindi, si tratta di situazioni non simili per tutti gli inceneritori. Migliora – è più graduale – la norma sui bioliquidi.
      Settimo: si è migliorato, recependo le condizioni delle Commissioni affari esteri e difesa, l'articolo 48 sulla disciplina della cooperazione con altri Stati per i materiali di armamenti prodotti dall'industria nazionale. Lo Stato fa assistenza, non contratti diretti, e le Commissioni competenti saranno coinvolte sulle modalità attuative.
      Due aspetti che abbiamo l'obiettivo di migliorare nel lavoro d'Aula – e sul lavoro d'Aula faccio mie le proposte dell'onorevole Tabacci sulla possibilità di evitare la fiducia con un contenimento degli emendamenti: questa proposta è stata fatta al Comitato dei diciotto anche dal Governo e spero che venga accolta –, riguardano le coperture: il taglio alle esternalizzazioni già in atto per le pulizie delle scuole, che vorrebbe dire tagli occupazionali e salariali per noi non accettabili, e il taglio di 19 milioni alle emittenze locali.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      MAINO MARCHI. 19 milioni da recuperare, due tagli da eliminare. E tre questioni emerse dal dibattito per i prossimi provvedimenti: il perfezionamento della tobin tax - magari, già in questo decreto-legge, se possibile –, l'autonomia finanziaria delle autorità portuali, i tetti a pensioni d'oro e accumuli non più possibili, considerata la situazione del Paese, a maggior ragione dopo la sentenza della Corte costituzionale.
      È un lavoro da proseguire su crescita, finanza pubblica e spending review: c’è un rapporto fra questi tre aspetti. Con il decreto-legge facciamo un passo avanti, ma molti sono da fare.
      Infine, sul piano più generale della crescita vi sono due questioni fondamentali per il futuro, ma un futuro a breve: investire con più forza sulla green economy, a partire dall'edilizia, e una politica fiscale a favore del lavoro e delle imprese.

      PRESIDENTE. Onorevole Marchi, concluda.

      MAINO MARCHI. In questo quadro complessivo, mi avvio a concludere, signor Presidente, il decreto-legge «del fare» è un provvedimento positivo e concreto per affrontare i gravi problemi del Paese, per stimolare la crescita e, per questo, il Partito Democratico lo sostiene, contribuendo, con forza, a migliorarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Melilla vorrei pregare tutti quanti, in particolare alla mia destra, di fare silenzio. Poiché siamo nella fase della discussione sulle linee generali, se ci sono urgenze si possono affrontare fuori dall'Aula, ma consentiamo agli ultimi oratori di parlare con lo stesso clima che c’è stato fino a qualche intervento fa. Vi ringrazio.
      È iscritto a parlare l'onorevole Melilla. Ne ha facoltà.

      GIANNI MELILLA. Signor Presidente, signori colleghi, l'Italia ha bisogno di altro per rilanciare la nostra economia e l'occupazione. Siamo in presenza, con questo decreto-legge, della riedizione di vecchi provvedimenti; anche nel nome: il decreto-legge «del fare», non possiamo non tornare ai vecchi decreti-legge degli anni passati: «della crescita», «dello sviluppo», «della semplificazione». Tuttavia, come Pag. 85diceva un grande poeta, l'angoscia non si può incantare con le parole, e qui, il «fare» è soltanto una parola. A questo proposito vorrei introdurre una riflessione di non poco conto che non dobbiamo sottovalutare. Questo decreto-legge rimanda, per la sua attuazione, a qualcosa come cinquantanove regolamenti o decreti; ce n’è per quasi tutti gli articoli; per quasi tutti c’è il rimando a provvedimenti, c’è un provvedimento per il nuovo statuto dell'ANAS, c’è un provvedimento per migliorare l'efficacia degli interventi del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese; ci sono cioè cinquantanove provvedimenti che dovrebbero essere adottati per poter attuare questo decreto-legge ed è esattamente la stessa cosa che facevano i vecchi decreti-legge «sulla crescita», «sullo sviluppo», «sulla semplificazione». Non è un caso che la maggior parte di quei regolamenti di attuazione, a tutt'oggi, non sono stati ancora adottati, e questo è sicuramente un aspetto importante che noi non possiamo sottovalutare perché i tempi, in questo momento di crisi enorme, qualcuno dice postbellica, non sono un fatto neutrale. Noi dobbiamo agire subito, qui ed ora, non possiamo rimandare a provvedimenti che non si sa quando verranno.
      Degli 83 articoli di questo decreto-legge, solo una ventina di loro introducono delle novità significative nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, per il resto si tratta di vecchie questioni che vengono semplicemente rielaborate. Per stimolare la crescita occorrono nuove risorse e questo è il punto decisivo che questo decreto-legge non affronta: il tema delle risorse, di quali risorse noi attiviamo per stimolare l'economia italiana. Non vorrei andare molto lontano, vorrei dare un consiglio a questo Governo di andare a leggere con attenzione l'ultimo rapporto della Corte dei conti sulla finanza pubblica o meglio sulla governance di finanza pubblica.
      In quel rapporto sono indicati percorsi innovativi e coraggiosi per la riforma fiscale, per evitare l'aumento dell'IVA, per assicurare un sistema moderno di tutele ai lavoratori nel contesto di una crisi economica così prolungata e invasiva. Ma naturalmente, per accogliere quei suggerimenti della Corte dei conti, occorre avere coraggio, il coraggio di battere nuove strade. Alessandro Manzoni lo diceva per don Abbondio, e io vorrei parafrasare quella frase per questo Governo: se il coraggio non ce l'hai non te lo puoi dare (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Bianchi. Ne ha facoltà.

      NICOLA BIANCHI. Signor Presidente, gentili colleghi, ci troviamo nuovamente ad analizzare un decreto che al suo interno ha tutto e il contrario di tutto. La parte più efficace di questo decreto, a mio parere, è il nome conferitogli, ovvero decreto «del fare». È una mossa mediaticamente indovinata, che nasconde abilmente il non fare contenuto nel provvedimento. Mi viene quasi da pensare che se gli avessero messo come nome il decreto «dei soldi» mediaticamente sarebbe passato il messaggio che il Governo regalava i soldi. Sono infatti molteplici i settori e i campi nei quali questo Governo ha deciso di intervenire. Lo ha fatto, a nostro giudizio, in maniera poco seria e attraverso l'adozione di azioni che concretamente, nel lungo periodo, non produrranno alcun effetto positivo per l'economia del nostro Paese. Venendo ad esaminare i profili di competenza della IX Commissione, sono molteplici i punti critici presenti. L'articolo 18, ad esempio, istituisce un fondo dal quale attingere per sbloccare dei cantieri e dei lavori che sono, per motivi finanziari, giunti ad una fase di stallo.
      Nel merito siamo convinti che alcune delle opere infrastrutturali contenute in questo articolo non siano necessarie, ma addirittura piuttosto dannose. Mi riferisco, ad esempio, al Corridoio tirrenico meridionale A12-Appia e bretella autostradale Cisterna-Valmontone, un'opera dannosa che deturpa il territorio passando attraverso parchi naturali e distruggendo campi agricoli.
      L'articolo 19, di cui abbiamo chiesto lo stralcio per estraneità della materia perché Pag. 86non si ravvisano i criteri di necessità e urgenza, rappresenta l'incapacità del Ministero di adottare una programmazione razionale e produttiva. Nel corso dell'audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in Commissione, infatti, è immerso come lo stesso dicastero ad oggi non sia in condizione di sapere quali e quanti saranno i beneficiari delle norme contenute al comma 3. Assurdo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
      Gli articoli 22 e 23, poi, sono forse l'esempio più lampante di come questo decreto in realtà sia il decreto dei titoloni, ma privo di contenuti. Negli articoli in oggetto, infatti, il Governo si prefigge l'obiettivo di aumentare la produttività dei porti e rilanciare la nautica da diporto e del turismo nautico. Il MoVimento 5 Stelle è ben consapevole delle difficoltà che questi due settori, al pari di tanti altri, stanno affrontando, e vorrei fosse chiaro che la nostra contrarietà a questo disposto sia esclusivamente una nota nel merito e non nelle intenzioni. In un'ottica di semplificazione, l'articolo 22 emenda la lettera a) del comma 2 dell'articolo 5-bis della legge 28 gennaio 1994, n.  84: siete veramente convinti che sia necessario sopprimere le parole «analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo» per aiutare il rilancio dei porti ? Perché semplificare questa previsione ? Tra l'altro, essa era volta a garantire che il materiale dragato fosse analogo al fondo. Nuovamente assistiamo ad una rovina ambientale a favore di una produttività che in questo caso è solo presunta. L'articolo 23, invece, semplifica la vita ai ricchi e ai noleggi di lusso. Quindi, per questioni di onestà, sarebbe opportuno emendare perfino il titolo di questo articolo, e dopo le parole «turismo nautico» bisognerebbe aggiungere le parole «di lusso» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Allora ci chiediamo: perché avete sentito la necessità di introdurre una norma che favoriva il beneficial owner ? Noi l'abbiamo interpretata come un incentivo all'evasione fiscale, come un premio da conferire a quanti furbamente pur di non risultare proprietari di imbarcazioni di lusso hanno preferito costituire delle società.
      Adesso due parole sull’authority dei trasporti. Con questo decreto assistiamo ad un nuovo procedimento normativo con cui andiamo a bypassare la funzione della mai nata authority dei trasporti. Seppure il Ministro Lupi ha identificato le figure, esse devono ancora passare dalle due Commissioni competenti di Camera e Senato per l'approvazione, così come chiede l'articolo 2, comma 7, della legge del 14 novembre 1995, n.  481. Vorremmo capire come il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con l'articolo 24 così presentato, possa definirsi ente indipendente dal gestore RFI Spa.; questo articolo dunque va nella direzione opposta alle direttive europee e alle leggi vigenti riguardanti l'Autorità di regolamentazione dei trasporti.
      Ricordiamo che RFI Spa è la società del gruppo ferroviario dello Stato direttamente controllata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiano Spa interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze.
      L'articolo 25, invece, lo vediamo come un articolo miope perché non recepisce quanto introdotto dal Governo Monti e ora sostenuto da questo Esecutivo.
      Ricordo che nella scorsa legislatura è stata istituita l'Autorità di regolamentazione dei trasporti, un'autorità che, sulla carta, è stata istituita per svolgere gli stessi compiti che ora il decreto «del fare» maldestramente conferisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Ma mentre Lupi firmava questo decreto, due settimane dopo firmava il decreto con il quale venivano istituite le figure dell’authority del trasporto, individuando i nomi per l'Autorità in una logica che noi del MoVimento 5 Stelle proprio non condividiamo, ovvero procedendo ad una mera spartizione di poltrone (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Noi abbiamo proposto un emendamento che desse seguito a quanto deciso dal Governo Monti e cercato di porre Pag. 87rimedio a questo andamento schizofrenico, nonostante questo non avete accolto la nostra proposta.
      Sulla vicenda infinita dell'agenda digitale questo decreto «del disfare» vorrebbe mettere ordine in una confusione fatta di ritardi, incompetenze e di inadempienze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); mai ci saremmo immaginati un «Mister agenda digitale» a complicare il quadro della governance, ma questo Governo ci ha abituato a capovolgimenti e a sorprese. Gli articoli del decreto che si occupano del digitale sono davvero, davvero pochi e nessuno di essi è idoneo a far superare lo stallo dell'innovazione italiana, né a portare frutti in tempi brevi.
      Per concludere, innanzitutto voglio evidenziare l'incapacità dei presidenti della I e della V Commissione e ovviamente anche del Governo nell'organizzare e gestire al meglio i lavori delle Commissioni in quanto questi ultimi si sono svolti principalmente durante l'orario notturno; le decisioni sulla carne viva della società sono state prese in orario in cui sicuramente non c'era la massima lucidità mentale.
      Ritornando al decreto posso affermare che con esso continuate a mettere delle pezze perché non prevede nessuna programmazione futura, manca di una visione di insieme e non risolve i problemi che persistono, non trovando soluzioni all'altezza.
      Infine, visti gli articoli 22 e 23 ma anche il 18 e il 19 e qualcun altro, questo decreto, a mio parere, si sarebbe dovuto chiamare «il decreto delle marchette» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pilozzi. Ne ha facoltà.

      NAZZARENO PILOZZI. Signor Presidente, colleghi, come è stato detto e ripetuto più volte sia nella lunga discussione avvenuta in Commissione sia oggi in questa Aula il decreto «del fare» è l'ennesimo atto omnibus, presentato come un'opportunità unica per il Paese ma che, in realtà, si declina come un'altra occasione perduta e come il classico treno parlamentare da utilizzare per inserirvi provvedimenti parziali, sbagliati e spesso portatori di interessi particolari.
      Interessi non sempre comprensibili, utilizzando la lente della trasparenza, dell'efficienza e dell'efficacia amministrativa.
      Molti sono i contenuti che contemplano operazioni quanto meno spregiudicate, il cui scopo nulla ha a che vedere con il progresso economico dell'Italia. Nelle lunghe sedute fiume in Commissione, svoltesi anche di notte, cui abbiamo costretto con osservazioni puntuali la I e la V Commissione abbiamo tentato – in verità, spesso anche aiutati da alcuni parlamentari della «strana maggioranza» essi stessi a volte in palese imbarazzo di fronte a misure tanto smaccatamente dannose per il nostro Paese – di mitigare questo decreto-legge, ma ancora oggi lo riteniamo dannoso, e in alcuni casi distruttivo per il nostro Paese.
      Molti colleghi che sono intervenuti prima di me hanno spiegato bene le lacune e le deficienze di questo decreto-legge. Io mi vorrei fermare a tre esempi di quello che è avvenuto con questo decreto-legge: esempi che stanno a segnalare provvedimenti inseriti nel decreto-legge che nulla hanno a che fare con la ripresa economica.
      Per esempio ho sentito colleghi che inneggiavano al rilancio delle grandi e delle piccole opere pubbliche nel nostro Paese, ma né in Commissione né oggi mi hanno spiegato come mai è stato presentato un emendamento che prevede il regalo del 10 per cento alle aziende che vincono quelle opere: un regalo che viene fatto a prescindere, prima di iniziare i lavori. E guardate la stranezza: siamo qui a sentire un Governo che spesso ci racconta che loro lavorano per la trasparenza, che si lavora per avere una pubblica amministrazione il più equa possibile. Noi abbiamo imprese che dopo due anni finiscono i lavori, ed altre imprese – guarda caso con questo decreto-legge dove si mettono un po’ di soldi – a cui senza motivo, lasciando la questione in mano gli enti appaltanti, viene regalato all'inizio il Pag. 8810 per cento. SEL ha fatto una battaglia in Commissione: quantomeno abbiamo fatto mettere che quel 10 per cento sia previsto nel bando di gara. Non è sufficiente, ma quantomeno abbiamo tentato di mitigare queste operazioni.
      Qualcuno ci deve poi anche spiegare com’è possibile che con una semplice SCIA si possa fare in questo Paese la demolizione e ricostruzione di un edificio cambiando la sagoma. Questo cambia radicalmente la politica urbanistica di questo Paese degli ultimi trent'anni: abbiamo spesso parlato di comparti, di comparti omogenei, abbiamo parlato delle società di trasformazione urbana; ed ora con un atto semplice non solo diciamo che con la SCIA si può demolire e ricostruire cambiando sagoma nelle zone B, nelle zone C e nelle altre zone: lo diciamo nei centri storici ! Mettiamo uno dei patrimoni monumentali più importanti del Paese, ovvero i centri storici di tanti grandi e piccoli comuni, in mano semplicemente a dei privati che vogliono speculare (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle) ! Questo è quello che si sta facendo con questo decreto-legge cosiddetto «del fare».
      E poi c’è anche la questione, che a me sta molto a cuore, dei cantieri mobili, dove vengono ugualmente tolte le garanzie ai lavoratori: quei cantieri mobili dove spesso la parte dei lavoratori che ha mansioni meno importanti è quella che negli ultimi anni è purtroppo finita sui giornali per lutti ed incidenti molto particolari.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      NAZZARENO PILOZZI. Vado a concludere. Un decreto-legge quindi che interviene in maniera invasiva sui diritti, sulle tutele dei cittadini e dei lavoratori, ma anche sulle tutele ambientali. Perché c’è una strana maggioranza che continua ad immaginare, in piena continuità con i Governi Berlusconi e Monti, che lo sviluppo possa avvenire attraverso la deminutio dei diritti, e non con un accrescimento sociale, economico e culturale del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fantinati. Ne ha facoltà.

      MATTIA FANTINATI. Signor Presidente, signori del Governo, signori deputati, il provvedimento di cui stiamo discutendo con molta enfasi è stato presentato come il «decreto del fare». Un titolo promettente, che lasciava ben sperare. Si è rivelato, però, e ne illustrerò tra poco i motivi, solo un bluff. Sembra ormai che i Governi si concentrino più sul nome dei loro decreti che non sui contenuti dei medesimi. Ha cominciato Monti con il decreto «salva Italia» e con il «cresci Italia», e abbiamo visto tutti che così non è stato.
      Anzi, al contrario, non solo l'Italia non si è salvata e non è cresciuta, ma ha visto, addirittura, peggiorare tutti i suoi parametri economici nell'ultimo anno e mezzo. Con il senno del poi, il nome più appropriato sarebbe stato «affossa Italia». Il Governo Letta, che poi tanto diverso dal Governo Monti non è, visto che è sorretto dall'identica maggioranza parlamentare, si pone in continuazione: emana, infatti, decreti proprio a causa della larghissima quanto contraddittoria maggioranza che lo sostiene.
      Contengono ben poco delle misure che bisognerebbe adottare per risollevare il Paese. Tali misure sono già state ampiamente analizzate e sono arcinote sia ai membri del Governo, visto che sono politicanti di lungo corso, sia ai tecnici, consulenti, funzionari e professori dei vari Ministeri, che conoscono perfettamente ogni risvolto e piega di ogni singolo capitolo della spesa pubblica.
      Le varie motivazioni per cui il Governo dell'inciucio, teoricamente forte e titolato ad eseguire riforme vere e profonde, sta tirando di fioretto, invece che usare il bazooka, sono di natura politica. Il punto è sempre lo stesso: non si vuole pagare il costo politico che le doverose scelte di riduzione della spesa pubblica comportano. Il quid che vi manca, signori Ministri, è il coraggio; il coraggio di rinunciare ai privilegi, al potere, all'indotto di consensi Pag. 89che lo status quo garantisce a voi e ai vostri partiti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
      E non vi smuovete dai vostri piedistalli dorati, anche al costo smisurato di far morire del tutto il tessuto economico e sociale dell'Italia. Voi sapete cosa dovete fare, ma non volete farlo, rendendovi colpevoli due volte. Questo «decreto del fare» è in realtà un «decreto del fare pochino».
      Il Governo ha sprecato un'altra occasione buona per dare un segnale serio, vero e tangibile all'Italia, che si sta lavorando per invertire la tendenza rispetto a una catastrofe economica e sociale che sta attanagliando sempre di più il nostro Paese.
      Il Governo sta sbagliando. È mai possibile che vogliate fermare un fiume in piena con le mani ? L'impressione che si ha, leggendo il «decreto del fare», è proprio questa. Certo, vi sono degli spunti interessanti, talvolta anche condivisibili, su alcune politiche sociali, ma per impatto e dimensione – ricordiamo che il «decreto del fare» muove circa 4-5 miliardi di euro – si trovano lontano un milione di anni luce dalle attuali e immediate necessità di cui ha bisogno l'economia del Paese. Qualche centinaio di miliardi di euro !
      E non mi si venga a dire, come ho già sentito da qualche esponente del Governo: ma che cosa si può pretendere da un Governo insediatosi da poche settimane ? Non offendiamo l'intelligenza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
      Ormai tutti, da anni, e il MoVimento 5 Stelle lo ha detto in lungo e in largo nelle piazze e nella rete, sanno che, per risanare questo Paese, bisogna agire su fronti che vi sintetizzo: innanzitutto, sui costi iniqui, sprechi e privilegi della politica, province, comuni, partecipate e così via, che valgono circa 50 miliardi.
      Bisogna operare una reale lotta all'evasione e recuperare i grossi capitali occultati e frutto di reati tributari. Si dice che potremmo recuperare così circa 120 miliardi di euro. Dalla lotta a tutte le mafie e tutto l'indotto economico e finanziario potremmo recuperare, invece, altri 100 miliardi. Occorre, poi, un reale contrasto alla corruzione a tutti i livelli, e sottolineo tutti; ne ricaveremmo, forse, altri 60 miliardi.
      Occorre una legge seria sul conflitto di interessi nel mondo economico, finanziario, bancario, assicurativo. Abbiamo stimato un recupero di altri 20 miliardi. Aggiornamento del catasto entro sei mesi – è fattibile – per rendere veramente equa e sostenibile l'IMU sulla prima casa, visto che voi l'avete soltanto rinviata. E infine, ma non meno importante, occorre effettuare un taglio delle pensioni d'oro e di tutte quelle frutto di soprusi e non di contribuzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Da questo lo Stato potrebbe ricevere 5 miliardi da destinare magari a chi ha la pensione minima, con la quale non riesce ad arrivare nemmeno alla fine del mese.
      È su tutti questi temi che il MoVimento 5 Stelle sfida il Governo e la vecchia classe dirigente di questo Paese; le nostre proposte per migliorare questo decreto le abbiamo fatte ma non avete voluto accettarle, eppure erano emendamenti di buonsenso che, sono certo, avete bocciato solo perché erano stati presentati dal MoVimento 5 Stelle. Se non aveste letto la nostra firma sotto gli emendamenti sono sicuro che li avreste votati favorevolmente, ma così facendo non fate torto a noi ma agli italiani. Noi non siamo qui in cerca di gloria personale, come magari forse qualcuno – anzi, molti di voi – siamo qui bensì per rendere un servizio al Paese e agli italiani e quindi non è a noi che dovete dare retta ma a loro.
      Con i nostri emendamenti, ad esempio, abbiamo chiesto che i fondi agevolati per gli investimenti alle imprese vadano a quelle che poi mantengono i livelli occupazionali in Italia e non scappino all'estero con il bottino, delocalizzando. Deputati della maggioranza, cosa c’è di male in questa proposta del MoVimento 5 Stelle visto che l'avete respinta ? Per lo smaltimento dei rifiuti abbiamo proposto di dismettere i termovalorizzatori e passare a sistemi di smaltimento diversi, più sicuri Pag. 90sotto l'aspetto ambientale e sanitario per i cittadini, ma avete bocciato anche questa proposta. Abbiamo presentato emendamenti per favore la diffusione delle cosiddette pompe bianche, senza marchio, per liberalizzare il mercato della distribuzione della benzina con notevoli benefici e risparmi per i cittadini, e invece di ascoltare le richieste della gente avete dato retta a quelle lobby e avete respinto anche questa nostra proposta.
      Per limiti di tempo mi fermo qui, ma sono tanti i miglioramenti che il MoVimento 5 Stelle ha suggerito di apportare a questo decreto durante il lavoro nelle Commissioni; sono miglioramenti di buonsenso che spero almeno in quest'Aula possano essere recepiti. Deputati della maggioranza, confrontiamoci sul merito delle questioni, non abbiate pregiudizi nei nostri confronti, dimostrate agli italiani che il bene del Paese viene prima di quello dei partiti che voi rappresentate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldassarre. Ne ha facoltà.

      MARCO BALDASSARRE. Signor Presidente, ancora una volta quest'Aula si appresta a discutere e votare – se ci sarà data questa facoltà – un decreto-legge pieno di tutto ma vuoto nei contenuti, contenuti intesi come necessità di questo Paese e non di pochi, dei soliti pochi. Un decreto-legge che viene denominato «del fare», ma la domanda sorge spontanea: fare cosa ?
      Andiamo a vedere, misure di sostegno alle imprese che viene spontaneo chiedersi: cosa sostengono ? Il nulla, perché qui il Governo ancora non ha capito che ormai l'unico modo per sostenere le imprese ed evitare la delocalizzazione è defiscalizzare ed abbassare il costo del mercato del lavoro. Disposizioni che dovrebbero semplificare si trasformano magicamente in aiuti alle lobby dei rifiuti e degli inceneritori.
      E per finire, semplificazioni sulla sicurezza sul lavoro, che si trasformano in infortuni sul lavoro. Ebbene, da oggi la parola «fare» deve tornare a significare fare il bene dei cittadini, fare il bene dei lavoratori e fare il bene delle imprese, non possiamo permettere che la sicurezza sui luoghi di lavoro passi in secondo piano, usando come capro espiatorio la parola semplificazione, anche perché quando si parla di sicurezza sui luoghi di lavoro cosa vogliamo semplificare ? Semplificazione della burocrazia o semplificazione a morire ? Verrebbe da chiedersi, ci siete mai stati in un cantiere ? Lo sapete che a volte avere un piano di sicurezza o un documento unico di valutazione dei rischi ben fatto può fare la differenza tra la vita e la morte di un lavoratore ? E poi, è incredibile che si parli di calo delle morti sul lavoro, per vostra informazione il calo delle morti sul lavoro è direttamente proporzionale al drastico calo dei livelli di occupazione. Secondo l'INAIL le morti bianche sono in calo, quindi non c’è da preoccuparsi, ma se andiamo a guardare nel dettaglio notiamo che i dati INAIL sono fortemente sottostimati in quanto lo stesso tiene conto solo di infortuni e morti sul lavoro dei soli suoi assicurati, per non parlare degli infortuni fatti passare come malattia di tutti quei lavoratori con contratti di lavoro precario tenuti sotto ricatto psicologico di una possibile perdita del posto di lavoro. E che mi dite di tutti quei lavoratori che muoiono in nero ? Sì, muoiono in nero, e nessuno ne sa nulla.
      Alcune volte si trovano i corpi per puro caso e, solo successivamente, tramite indagini delle autorità, si scopre che l'incidente è avvenuto sul luogo di lavoro, in un cantiere edile o in un'azienda.
      Cosa aspettiamo a utilizzare il tesoretto INAIL per tutelare i lavoratori e aiutare tutti gli invalidi del lavoro, che si trovano con rendite vergognose e indegne in un Paese civile come l'Italia ? Cosa pensa questo Governo della formazione dei lavoratori per quanto concerne i rischi derivanti dal lavoro che stanno svolgendo ? Tanto a che serve ? Meglio semplificare sulla pelle dei lavoratori.
      E, allora, il Governo con questo decreto ha pensato bene di ridurre gli adempimenti Pag. 91relativi all'informazione e formazione per i lavoratori che non superano le cinquanta giornate lavorative nell'arco dell'anno, senza tenere conto di tutte le problematiche che si andranno a creare in caso di infortuni tra le aziende per cui hanno lavorato precedentemente nell'arco dell'anno.
      Noto con grande dispiacere, ma senza alcuna sorpresa, che l'Italia è sorda alle direttive europee. E torniamo a chiederci: ma l'Europa viene ascoltata solo quanto si parla di banche e di interessi finanziari forti ? In questi casi sì, ci pieghiamo e assecondiamo qualsiasi richiesta. Ma, quando si parla di sicurezza dei lavoratori ? Chi se ne frega.

      PRESIDENTE. Scusi un attimo, onorevole Baldassarre. Colleghi, possiamo abbassare leggermente il tono della voce ? Grazie.
      Prego, onorevole Baldassarre.

      MARCO BALDASSARRE. E allora invito il Governo e quest'Aula, che dovrà votare, a rileggersi l'articolo 10 del testo unico sulla sicurezza, riguardante l'informazione dei lavoratori, nonché l'articolo 12 della direttiva europea 89/391/CEE del Consiglio in tema di formazione dei lavoratori, oppure l'articolo 9 della stessa in tema di obblighi dei datori di lavoro. E come possiamo dimenticare l'articolo 6, che viene letteralmente ignorato, quando con questo decreto-legge si elimina l'obbligo del DUVRI, il documento unico di valutazione dei rischi da interferenze, da parte del datore di lavoro committente per l'attività in appalto, nel caso di settori di attività a basso rischio infortunistico ? Ma quali aziende fanno parte di questi settori a basso rischio infortunistico ? Non si sa. Questo verrà deciso a posteriori tramite un decreto ministeriale. Intanto, approviamo questa delega in bianco al Ministero del lavoro. Poi, quel che ci metterà dentro lo sapremo solo dopo. Chissà perché ma sento puzza di Expo.
      Altra perla di questo decreto è l'abrogazione dell'articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  1124 del 1965, con il quale si obbligava il datore di lavoro a comunicare le morti sul lavoro e gli infortuni superiori a 3 giorni lavorativi. Adesso la ASL per essere informata dovrà accedere al database INAIL, dove potrà prendere atto degli infortuni mortali e di quelli superiori a trenta giorni. Ma, quale portale ? Stiamo parlando del SINP ? Quello che doveva essere adottato ben 5 anni fa, nel 2008 ? E per gli altri infortuni sopra i trenta giorni ? Li ignoriamo. Anche questo viola l'ormai conosciuta direttiva europea, andando ad aumentare le procedure di infrazione nei confronti dell'Unione europea.
      Ebbene, vorrei ricordare al nostro Premier Letta che, se la memoria non mi inganna, il 21 maggio 2013, appena due mesi fa, ha detto queste testuali parole: «La farraginosità del sistema istituzionale italiano ha determinato una vergogna nazionale. Il fatto è che abbiamo quasi cento procedure di infrazione della Comunità europea. Siamo il Paese più multato». Benissimo. Allora, invito lo stesso a dire a quest'Aula e a tutti i cittadini che non gliene può fregare di meno se questo accade e continua ad accadere, perché con questo decreto-legge si conferma la volontà di ascoltare l'Europa delle banche, della finanza e dei poteri forti, ma non di ascoltare l'Europa per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori. Lo sa il Premier Letta che con tutte queste semplificazioni sulla sicurezza del lavoro semplificherà anche la procedura di aumento delle infrazioni ? E lo sa quest'Aula che si andrà a semplificare la procedura che avvengano incidenti, anche mortali, di centinaia di lavoratori ?
      Allora, continuate pure a partorire decreti omnibus contenenti tutto, a cui apponete la fiducia, e contingentate gli emendamenti, non permettendo alcune modifiche. Continuate pure a togliere potere a quest'Aula, dove non si discute di nulla, ma si premono solo bottoni a comando; dove non si tutelano i diritti dei cittadini, ma si calpestano; dove non si riesce a dare una visione globale a questo Paese, ma si legifera solo e soltanto in Pag. 92nome dell'emergenza di turno; dove si appone il lasciapassare a normative che vanno a discapito delle persone, delle aziende e dei lavoratori.
      Ebbene, con questo «decreto del fare», così come è e senza essere emendato, ci potere fare solo una cosa (Straccia un foglio di carta – Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Constato che non è presente in Aula: s'intende che vi abbia rinunziato.
      È iscritto a parlare l'onorevole Gallinella. Ne ha facoltà.

      FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, colleghi, oggi cominciamo a discutere (in realtà la discussione è finita, sono l'ultimo iscritto a parlare) un altro decreto-legge, il decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, detto «del fare». A questo punto, sentiti già tutti, posso aggiungere solo: speriamo...
      Desidero innanzitutto ricordare quanto è accaduto la settimana passata, quando vi è stata la conversione in legge del provvedimento relativo al commissariamento dell'Ilva, del quale non siamo certo soddisfatti, ancor meno dopo la nota di Bondi sulle cause di certe patologie attribuibili ai comportamenti dei tarantini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ricordando anche le parole del Ministro Lorenzin, ci viene il sospetto che a questo Governo forse piace dare la colpa direttamente ai cittadini, piuttosto che ammettere di avere sbagliato.
      Ma tralasciamo tutto questo e veniamo a parlare del decreto-legge. Il decreto-legge nasce con 86 articoli. Anche altri colleghi oggi hanno parlato dei vari titoli che lo costituiscono: il titolo I contenente misure per la crescita economica, il titolo II riguardante le semplificazioni, il titolo III riguardante misure per l'efficienza del sistema giudiziario e definizione del contenzioso civile. Senza andare a vedere nel dettaglio (non voglio annoiarvi con argomenti di cui abbiamo già parlato), con questa breve descrizione vorrei far capire che questo nome «decreto del fare» potrebbe essere già sostituito con «mille cose su cui lavorare» o «di tutto un po’». Sarà fatto bene ? Sarà fatto male ? Sarà veramente utile ? La sua applicazione sarà possibile ? Sono tutte domande lecite, anche perché sono stati presentati 2.300 o 2.400 emendamenti a questo decreto-legge del Governo, presentati sia da noi, sia dagli stessi membri del Governo, quindi tutta questa vicenda ci sembra un po’ strana.
      Ciò al di là di come è stato svolto il lavoro sul decreto-legge, ossia con tempi corti in Commissione, io ho assistito a qualche ora di attività della Commissione bilancio e mi sono stupito di come si fanno le cose di fretta, senza ragionare su cose importanti, visto che si parla anche di spostare miliardi di euro. Ricordo a tutti il proverbio della gattina frettolosa, perché tocca evitare di sbagliare su questi temi.
      Tra i vari articoli bis e ter, gli articoli in totale sono passati da 86 a più di cento e anche questo mi sembra un commento che è lecito fare al decreto-legge.
      Noi del Movimento 5 Stelle (io sono un componente della Commissione agricoltura per cui parlerò solo di questo argomento) riteniamo che il settore primario, quello che ci dà da mangiare e che ci deve dare cose buone, deve essere rivitalizzato e stimolato e in questo decreto-legge sinceramente c’è poco al riguardo e quello che c’è, è merito degli emendamenti che sono stati presentati, molti dei quali da parte nostra, anche se non tutti finora sono stati accettati: confidiamo quindi nella discussione e nella votazione che si svolgerà a breve, affinché qualcosa possa essere cambiato.
      In Italia ormai da anni non si stimola più la ricerca, quindi l'innovazione viene meno. Le scelte politiche fatte fino ad oggi hanno permesso la delocalizzazione delle aziende, la perdita del know how e, per fortuna, la terra non si può portare via, però, se non facciamo attenzione, la possiamo perdere del tutto: la cementifichiamo senza alcuna prospettiva, l'avveleniamo direttamente e non facciamo bonifiche, ci seppelliamo rifiuti industriali e Pag. 93chissà cos'altro. Ettari ed ettari diventano poligoni militari o basi di qualche esercito. Come funghi nascono megainfrastrutture, che non ci serviranno mai e che molto probabilmente non saranno mai terminate, senza dimenticare quello che facciamo a fiumi, laghi e al mare. Potrei continuare per ore, elencando i motivi per cui il Movimento 5 Stelle è arrivato in Parlamento, ma andiamo avanti.
      Due mesi fa si è svolta la discussione sul DEF, il Documento di economia e finanza, attraverso la quale abbiamo fatto conoscere all'Aula e ai cittadini anche quello che vorremmo per il nostro futuro e come vorremmo vedere affrontare la politica. La critica è proprio questa, perché le scelte economiche assunte fino ad oggi sono state ancorate al concetto di crescita, che si vuole far confondere con il concetto di sviluppo, legando il benessere dei cittadini al PIL, cosa che possiamo dire essere assolutamente falsa, come è dimostrabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Nel 1960 c'erano circa 20 milioni di occupati, oggi ce ne sono altrettanti, ma il PIL, che è circa tre volte superiore a quello degli anni del boom, non ha creato un aumento dell'occupazione altrettanto evidente, anzi. Segnalo che il PIL aumenta anche con le cure mediche (quindi più stiamo male, più costano le cure e più il PIL aumenta), aumenta quando facciamo un incidente stradale e – augurandoci di non morire – dobbiamo riparare l'auto e quindi facciamo aumentare il PIL; aumenta il PIL anche vendendo le armi, che probabilmente servono per uccidere, e così via.
      A questo modo di fare, che non tiene conto poi degli enormi danni ambientali, oltre che sociali, che provoca, noi dobbiamo dire «basta». Noi vogliamo un altro futuro e quindi anche il lavoro che abbiamo fatto sul decreto è proprio per riportare più umanità e più senso pratico alle cose, perché i cittadini ci hanno chiamato proprio per questo.
      Il nostro territorio non è una risorsa inesauribile e per questo andrebbe adeguatamente tutelato e salvaguardato. Territorio vuol dire, in primo luogo, agricoltura e, visto che abbiamo caro questo tema, del quale sul decreto del Governo non c’è traccia, se non in termini di gasolio per serre o per l'omologazione delle macchine agricole, occorre necessariamente ribadire che sono da rivedere le linee guida delle politica agricola italiana, puntando sulle tipicità delle produzioni nazionali e rivedendo i rapporti con la politica comunitaria, e anche con i Paesi terzi, tipo l'accordo UE-Marocco o il futuro UE-USA o quello UE-Cina, dove speriamo che si tuteli il nostro export e non viceversa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      In questo decreto, poi, non si parla affatto di un aggiornamento e di una revisione dell'agenzia ICE, con la quale si dovrebbe rilanciare la nostra produzione verso l'estero e non all'estero. Quindi, tutelare i nostri prodotti è importantissimo sia per i produttori, che per i cittadini consumatori. Basta ricordare cosa è successo per l'olio e che fatica si fa a liberarsi degli OGM. E annuncio qui che la nostra battaglia ancora non è finita. Non tocchiamo poi l'infinita vicenda delle quote latte, per cui siamo già messi in mora dalla Comunità europea.
      Parlando dei numeri del settore, vorrei informare il Governo di come saranno le cose da qui a trent'anni, in modo tale da poter finalmente – mi auguro – programmare veramente qualcosa. Le stime prevedono che la domando di cibo in Europa è destinata ad aumentare del 40 per cento entro il 2050. Ed è qui che entriamo in gioco noi: cosa vogliamo fare ? Nulla ? Aspettiamo la discesa degli alieni o cos'altro ? Noi, per esempio, vorremmo lavorare ad un piano agricolo nazionale, anche sfruttando i nuovi strumenti messi a disposizione dalla PAC, puntando sul principio che non possiamo permettere che il conseguente incremento della produzione possa intaccare la qualità del cibo. Questa si può ottenere solamente salvaguardando i prodotti locali, premiando le buone pratiche agricole nel rispetto dell'ambiente, riducendo al minimo l'utilizzo della chimica nel settore e coniugando questo con Pag. 94una corretta educazione alimentare. Quello agricolo deve divenire un sistema sostenibile volto al riciclo, alla conservazione del suolo e del paesaggio, a mitigare il rischio idrogeologico e ambientale, un compito che lo stesso agricoltore, in quanto custode del territorio, svolge praticamente da sempre, ma che oggi si sente abbandonato e frustrato, perché sono più importanti le auto, lo spread, il MUOS e gli F-35 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Non parliamo poi della ricerca. Leggo solo un articolo del 5 luglio: «Tagli all'istruzione: a rischio la scuola di transizione Teodoro Gaza a San Giovanni a Piro, in Cilento. Questa scuola innovativa, sotto la guida della preside, Maria De Biase, è divenuto un punto di riferimento in Italia, e non solo, per quanto riguarda l'educazione ecologica, la transizione, i rifiuti zero e la permacultura». Ho preso spunto da questo breve articolo perché, per fare cose nuove nel futuro, per avere un futuro diverso, il famoso «futuro che vogliamo», occorre investire in formazione e ricerca, anche perché, altrimenti, tocca comprarla, l'innovazione. Nel settore dell'agricoltura, per esempio, perché non valutare a livello nazionale la permacultura ? Potrebbe essere un nuovo modo di produrre e di fare le cose, da affiancare al sistema tradizionale.
      Continuo dicendo che occorre potenziare e promuovere la banda larga, anche nel settore agricolo, perché è una necessità improcrastinabile per le stesse associazioni di categoria – e per questo ci abbiamo provato con gli emendamenti al decreto –, così come mettere a disposizione risorse sia per gli agricoltori che per i pescatori, anche per il rinnovo delle attrezzature. Vedremo cosa ci dirà il Governo e cosa farà.
      Occorre salvaguardare i piccoli produttori e rilanciare il mercato per i giovani, anche favorendo l'accesso alla terra. Nel decreto di questo non c’è nulla. Noi non vogliamo che il patrimonio dello Stato, che è il portafoglio dei cittadini, venga venduto, ma che si possa dare in uso, affittandolo, o darlo in gestione a coloro che usano la terra in modo etico, permettendoci di acquistare la sovranità alimentare.
      Molti ci hanno chiesto di semplificare le procedure. Non sarà facile, ma ci proveremo, perché, come sanno tutti, la battaglia contro la burocrazia – che si sposa spesso con la corruzione – non sarà per nulla facile. Ma noi ci proveremo, anche perché riteniamo scandaloso che un'azienda agricola per poter pagare i costi – io dico – «della carta» – debba perdere circa cento giorni.
      Dobbiamo garantire pagamenti in tempi certi e qui mi riferisco all'articolo 62, che proprio in questo decreto i colleghi del PdL e della Lega hanno provato ad ammorbidire. Ora, io del PdL non posso dire nulla, ma della Lega un po’ mi stupisco, perché nella precedente legislatura avevano inasprito questo tipo di misura.
      Andiamo avanti. Sicuramente in questo decreto, poi, ci sarebbe piaciuto vedere un impegno più forte sul tema dei disciplinari, per una chiara e trasparente etichettatura e tracciabilità dei prodotti, perché bisogna valorizzare la filiera corta, e così il made in Italy, che è il nostro oro nazionale insieme al turismo.
      A tal proposito abbiamo anche chiesto al Governo cosa intenda fare nei confronti della gestione dei suffissi gestiti da ICAM, che se mal gestiti ci farebbero perdere grandi quote di mercato per le nostre denominazioni d'origine.
      Vorremmo vedere un maggiore impegno nella lotta alle frodi alimentari, delle quali sempre più spesso abbiamo notizia. Purtroppo tale provvedimento non contiene alcuna disposizione di rilievo per il comparto primario, nonostante sia l'unico settore, ancorché in un momento di crisi gravissima, che fa registrare segnali positivi in termini di occupazione e di export. Occorre, quindi, far applicare la legge n.  4 del 2011, quella sull'etichettatura; vediamo se riusciamo a fare qualcosa, magari nel prossimo futuro.
      È auspicabile, pertanto, che ci sia un rilancio del comparto agricolo e che questo divenga una priorità del programma di Governo, in considerazione della necessità Pag. 95di sviluppare l'enorme potenziale dell'agricoltura nazionale, attraverso un piano basato su un mirate strategie di innovazione e adeguate agevolazioni fiscali, che tengano conto dell'attuale aumento dei costi di produzione e delle conseguenze negative delle speculazioni finanziarie sulle materie prime.
      Non è accettabile che i produttori debbano vendere sottocosto, perché è qui che nascono le fregature al consumatore. Basta alle colture dedicate alle produzioni di energia (il biodiesel di bio ha solo il nome), i campi devono essere lasciati alle produzioni alimentari, umane e animali. Basta al sistema dell'allevamento intensivo e basta allo spreco di cibo.
      Noi non ci scordiamo della pesca, dove la priorità è ripristinare gli stock ittici sovrasfruttati, applicare il divieto di rigetto in mare dei pesci non commercializzabili ed effettuare controlli più stringenti sulle taglie minime del pescato e non far chiudere coloro che vivono del settore rispettando le regole. Queste regole, però, devono essere rispettate anche dai vicini, altrimenti noi come Paese perderemo sempre e per questo il Governo deve impegnarsi con maggiore forza per risolvere i rapporti di vicinato.
      Nel decreto vi siete dimenticati poi dei boschi e dei parchi, che, se adeguatamente gestiti, possono divenire un'ulteriore fonte di attrazione del Paese, aumentando quindi il turismo e l'occupazione al pari del patrimonio culturale, di cui sembra ci siamo dimenticati.
      Ma forse per voi la priorità non è questo, perché molti sono abituati a guardare al passato, noi vogliamo guardare avanti, vogliamo guardare al futuro, perché dobbiamo cavalcare il cambiamento, altrimenti rimarremo sempre indietro e saremo sempre gli ultimi. Il nostro lavoro sarà solo quello di mettere le toppe un po’ qua e un po’ là e questa cosa deve finire.
      Concludo con l'augurio che questo Parlamento abbia ascoltato le nostre parole e la nostra volontà di cambiare, perché del ritornello che siamo solo polemica e che diciamo solo di no ci siamo veramente rotti un po’ le scatole. Quindi vi ringrazio e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1248-A)

      PRESIDENTE. Mi rivolgo ai relatori: dei quattro relatori tutti hanno consumato il loro tempo, tranne l'onorevole Sisto, che ha un minuto a disposizione. A questo punto, io darei un paio di minuti ad ogni relatore, però teniamo conto del fatto che i tempi sono esauriti. Prego, onorevole Sisto.

      FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza per la I Commissione. Il minuto sarà più che sufficiente perché io possa riferire quanto sto per pronunciare. La seduta del 19 luglio scorso si è conclusa con il conferimento del mandato ai relatori a riferire in Assemblea e con l'intesa che le proposte emendative discusse e accantonate sarebbero state considerate ritirate...

      PRESIDENTE. Onorevole Sisto, le chiedo scusa, noi siamo in fase di replica. Immagino che lei debba fare forse una proposta, la facciamo subito dopo che sono terminate le repliche. Quindi, se lei ha da replicare al dibattito, altrimenti sentiamo gli altri relatori, prima iniziando dai relatori di minoranza.

      FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza per la I Commissione. Se si tratta della replica non ho da replicare.

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Marcon, per due minuti.

      GIULIO MARCON, Relatore di minoranza per la V Commissione. Signor Presidente, gentili colleghi, il dibattito svolto Pag. 96oggi ha evidenziato le criticità che anche nella relazione di minoranza avevamo messo in evidenza e, quindi, noi auspichiamo che nelle prossime ore, quando si potranno discutere gli emendamenti a questo decreto, possano esserci dei miglioramenti significativi, tali da apportare al decreto una serie di modifiche che sono state proposte durante il dibattito delle Commissioni riunite e che, quindi, si possano eliminare almeno le criticità più evidenti che il decreto ha messo in luce.
      Riteniamo che il giudizio generale, complessivo – e su questo chiudo – rispetto al decreto-legge che abbiamo discusso sia un giudizio negativo da parte nostra e, quindi, noi confermiamo la nostra contrarietà all'impianto generale, alla sua filosofia e alle proposte che vi sono contenute.
      Speriamo di non dover più discutere un provvedimento omnibus come questo, ma di discutere un provvedimento che dia il segno di una politica economica nuova, che è quella che serve a questo Paese per uscire dalla crisi (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Castelli.

      LAURA CASTELLI, Relatore di minoranza per la V Commissione. Signor Presidente, bisogna informare i colleghi di quanto è accaduto. Noi ci siamo riuniti al Comitato dei diciotto e, ancora una volta, la Ragioneria generale dello Stato, per quanto affermi di avere le coperture, non ce le ha presentate...

      PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Castelli, noi siamo ancora in fase di replica. Non siamo sulle proposte dei relatori e dei presidenti di Commissione, siamo solo nella replica al dibattito.

      LAURA CASTELLI, Relatore di minoranza per la V Commissione. Sì, questo per noi è uno dei motivi per cui continuiamo a mantenere la contrarietà a questo decreto-legge, perché, man mano che passano i secondi, peggiora la situazione di questo decreto-legge, il modo di comportarsi rispetto a questo decreto-legge e la chiarezza, che non c’è, da parte di tutto questo Parlamento su questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Guidesi. L'onorevole Guidesi non mi pare che sia in Aula e, pertanto, si intende che vi abbia rinunciato.
      Prendo atto che l'onorevole Sisto, presidente della I Commissione, rinuncia alla replica.
      Prendo atto che l'onorevole Boccia, presidente della V Commissione, rinuncia alla replica.
      Prendo atto, altresì, che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,04).

      PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
       A questo punto, onorevole Sisto, prima sospendiamo la seduta per cinque minuti e poi riprendiamo i nostri lavori. La seduta è sospesa.

      La seduta, sospesa alle 17,05, è ripresa alle 17,10.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Nel secondo anniversario delle stragi di Oslo e dell'isola di Utoya.

      PRESIDENTE. Prima di passare al seguito dell'esame di questo provvedimento, ha chiesto di parlare la deputata Pia Locatelli, che intende ricordare il secondo anniversario della terribile strage terroristica Pag. 97che ebbe luogo il 22 luglio 2011 sull'isola di Utoya, in Norvegia, nella quale persero la vita, per mano di Anders Breivik, esponente di estrema destra, 69 giovani tra i 14 e i 20 anni, che erano lì convenuti per un campo estivo dei giovani laburisti norvegesi. Ciò a poche ore dall'attentato, opera dello stesso Breivik, che con una bomba posta presso la sede del Governo di Oslo, aveva ucciso altre sette persone. Prego, onorevole Locatelli.

      PIA ELDA LOCATELLI. Signora Presidente, oggi, secondo anniversario della strage di Utoya, prendo la parola in Aula per tentare...

      PRESIDENTE. Colleghi, per favore, un attimo di attenzione ! Stiamo ricordando una strage ! Per favore !

      PIA ELDA LOCATELLI. Prendo la parola in Aula per tentare di sanare una ferita che ha segnato il nostro Paese ed anche il nostro Parlamento. Il 22 luglio 2011, come lei ha detto, Anders Behring Breivik, un fanatico nazionalista xenofobo di estrema destra, uccise con una autobomba otto persone ad Oslo. Poi si recò nell'isola di Utoya, dove trucidò, uno ad uno, 69 giovani laburisti innocenti, disarmati, molti minorenni. Vestito da poliziotto radunò i ragazzi con voce suadente: venite, c’è stato un attentato ad Oslo, vi voglio proteggere. E fu la loro fine.
      Il bilancio della mattanza di Utoya fu di 69 morti e 33 feriti. Di solito il numero dei feriti è superiore a quello dei morti, ma non in questo caso. Breivik, con ferocia inaudita, finì i feriti agonizzanti con un colpo alla testa, uno per uno. Ma cosa successe in Italia nel luglio 2011 ? I fatti sono descritti con precisione da Luca Mariani nel suo libro «Il silenzio sugli innocenti».
      I media prima percorsero la falsa pista islamica, un riflesso condizionato che deriva dall'11 settembre, ma forse – e sottolineo «forse» – anche un calcolo politico: a molti fa comodo lo scontro di civiltà permanente. Eppure Breivik venne arrestato lo stesso giorno, alle 18,34. Intorno alle 20,30 le notizie di agenzia informavano che lo stragista di Utoya era un uomo alto, bianco, con tratti tipicamente scandinavi. Ma questo non frenò la grande parte dei media, che seguì false rivendicazione e fornì una visione distorta della realtà.
      Con il passare delle ore i fatti divennero chiari: Breivik uccise 69 giovani laburisti per estirpare alla radice il laburismo norvegese. Lui odia gli immigrati, in particolare quelli musulmani, il multiculturalismo e l'Unione europea. Ai suoi occhi i laburisti e i socialisti europei sono traditori, perché non odiano gli immigrati, non odiano il multiculturalismo, non odiano l'Unione europea. Usò una metafora per spiegare la sua idea, quello stragista: quando c’è una perdita di acqua in un bagno – scrive Breivik nel suo manifesto politico – prima si ripara la perdita (i multiculturalisti, cioè i laburisti), e poi si tira su l'acqua (gli immigrati).
      I media presto misero questi fatti nel dimenticatoio. Dal 24 luglio 2011 in poi, nessun quotidiano italiano, eccetto il cattolico Avvenire, scrisse in prima pagina gli aggettivi «socialista» o «laburista». Si preferì parlare di un pazzo che aveva ucciso dei campeggiatori. Nessuno evidenziò che a Utoya, da decenni, si riuniscono i giovani socialisti di tutta l'Europa. Willy Brandt ci andò quando portava i calzoncini corti. Fu una strage politica e Breivik, con sentenza definitiva del tribunale di Oslo, è stato dichiarato, nell'agosto 2012, perfettamente capace di intendere e di volere.
      Il 27 luglio 2011, cinque giorni dopo le stragi norvegesi, in questa aula ci fu un breve dibattito.
      Intervennero deputati di tutti i partiti (PD, PdL, Lega Nord, IdV, UdC, API). Nessuno di loro pronunciò mai – ripeto: mai – gli aggettivi socialista o laburista. Si volle rimuovere il significato chiaramente politico di quei fatti. Il PSI nel 2011 non era presente in Parlamento, oggi sì e oggi spetta proprio al Partito Socialista Italiano porre rimedio ad un'omissione che non fa onore al nostro Paese. Fu una strage Pag. 98politica contro il laburismo, contro il socialismo, contro il multiculturalismo, contro l'Unione europea.
      Mario Borghezio, ancora eurodeputato della Lega Nord, definì le idee di Breivik in qualche caso ottime. Ebbene, nella primavera 2014 voteremo per il rinnovo del Parlamento europeo. Noi socialisti, compagni dei laburisti norvegesi, ci impegneremo con tutte le nostre forze affinché i movimenti antieuropeisti restino ai margini della politica europea e ci impegneremo con tutte le nostre forze per favorire l'elezione del socialista Martin Schulz alla Presidenza della Commissione europea. Sarà il nostro contributo per far sì che quei giovani non siano morti invano (Applausi).

      PRESIDENTE. La Presidenza si unisce alle parole di cordoglio e di condanna da lei pronunciate.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1248-A)

      FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore di maggioranza per la I Commissione. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore di maggioranza per la I Commissione. Signor Presidente, ricordo che la seduta del 19 luglio scorso si è conclusa con il conferimento del mandato ai relatori a riferire in Assemblea e con l'intesa che le proposte emendative discusse e accantonate sarebbero state considerate ritirate in vista di ulteriori approfondimenti concernenti, in particolare, i profili relativi alle coperture finanziarie da svolgere nel corso della discussione in Assemblea. Si tratta, in particolare, delle seguenti proposte emendative che indicherò nella numerazione delle Commissioni: 19.22 e 30.101 delle Commissioni, Pini 32.62, Matarrese 41.61, Sani 46.02, 56.026 delle Commissioni, Bellanova 58.13, Capodicasa 58.4, Di Gioia 0.61.35.2 e 0.61.35.3, 61.35 delle Commissioni, Peluffo 61.3, Centemero 61.30, Ginefra 61.2, Giammanco 61.12, Librandi 61.16, Giammanco 61.11, Caso 61.5, Caparini 61.4, Caso 61.6, gli identici Palese 61.10, Covello 61.25 e Centemero 61.31, nonché Daniele Farina 73.60.
      Poiché il Governo ha dichiarato di essere pronto a formulare le proprie valutazioni sui profili finanziari e poiché è emerso, in sede di Comitato dei 18, l'orientamento prevalente dei gruppi di completare l'iter del provvedimento con un nuovo passaggio in Commissione, propongo, anche a nome del presidente Boccia, che l'Assemblea disponga un breve rinvio del provvedimento alle Commissioni, al fine di esaminare esclusivamente le suddette proposte emendative accantonate, nonché alcuni profili relativi al coordinamento del testo. Ritengo che, una volta che l'Assemblea disponga il rinvio, le Commissioni potrebbero concludere l'esame entro le ore 20 di stasera al fine di consentire la predisposizione di un nuovo testo e la fissazione del termine per la presentazione di eventuali emendamenti in Assemblea riferiti alle parti che saranno modificate.

      PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento sulla proposta di rinvio in Commissione, darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno. Chi chiede di parlare contro ?

      LAURA CASTELLI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      LAURA CASTELLI. Signor Presidente, duole ricordare ancora una volta a quest'Aula che, purtroppo, la metodologia utilizzata non è stata corretta, non dal punto di vista formale, ma dal punto di vista del rapporto morale che c’è tra le parti. Ancora una volta ci siamo trovati al Comitato dei 18 senza una posizione chiara da parte della Ragioneria generale dello Stato, senza che ci fossero chiarite le coperture. Noi abbiamo detto che possiamo andare avanti solo se ci sono le coperture, se abbiamo chiara la posizione sulle coperture.Pag. 99
      Stiamo parlando di un decreto-legge, che ha bisogno di una bollinatura, stiamo parlando di questioni che hanno necessità di seguire un iter specifico. Questo non sta accadendo: quello che accade è che, minuto per minuto, tutti quelli che sono gli accordi, tutti quelli che sono i rapporti umani intercorsi fra i componenti delle Commissioni, vengono presi con leggerezza, con assoluta leggerezza. Non è possibile aver chiuso, venerdì, le Commissioni, dopo ventiquattr'ore ininterrotte, con un decreto-legge che non è chiuso dal punto di vista delle coperture (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Andare ora, adesso, nelle Commissioni significa aprire di nuovo, un'altra volta, tutta la trattazione, tutte le possibilità di inserire tutte le cose possibili e immaginabili. Questi emendamenti sospesi hanno nomi e cognomi: non hanno volontà di migliorare un testo, hanno necessità di copertura, perché sono le coperture che qualcuno qui dentro vuole, degli emendamenti che hanno nomi e cognomi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Dobbiamo smetterla, e concludo, di trattare questi decreti-legge cosiddetti omnibus – perché noi l'abbiamo imparato qui – come la possibilità di aggiungere frutta nuova alla macedonia. Non solo sono macedonia, ma tutte le volte che si bloccano i lavori per un minuto, si aggiunge un frutto nuovo. Non è possibile. Noi siamo contrari e vorremmo che questo Parlamento, una volta per tutte, dicesse che non si può fare un decreto-legge in questo modo, tanto più senza mettere delle coperture certe. Noi vogliamo una posizione netta, la chiediamo da una settimana, e non ci è stata data risposta. Non è possibile sospendere. Non è possibile trattare il MoVimento 5 Stelle, 9 milioni di elettori, il 25 per cento di questo Parlamento, con questo modo di fare. Non è possibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Possiamo tranquillamente andare avanti in Aula a discutere e possiamo decidere su cosa discutere, ma facciamolo in Aula. Così, magari, le forze di maggioranza ci spiegheranno come mai siamo così contrari a dire che l'Aula non è costruttiva. Ci spiegassero, invece, con i fatti, che l'Aula è costruttiva: vediamo quanto l'Aula è costruttiva. E, poi, magari, il Governo ci dirà qualcosa in più sulle coperture. Questa è la nostra proposta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Grazie. Comunque, mi sembra che il relatore abbia chiarito i termini del nuovo esame. Sicuramente, i presidenti – entrambi i presidenti – faranno in modo che questi vengano rispettati.
      Ha chiesto di parlare a favore il deputato Marchi. Ne ha facoltà.

      MAINO MARCHI. Signor Presidente, la proposta dei presidenti non è una proposta contro una parte politica del Parlamento, è una proposta che considera il lavoro che abbiamo svolto in questi giorni e in queste notti, esaminando quasi tutto il decreto-legge. E credo che questo sia un fatto estremamente positivo, tenendo conto dei pareri delle Commissioni di merito e, quindi, facendo un lavoro anche di assemblaggio tra le proposte che sono venute dai singoli parlamentari e dalle Commissioni.
      Sono rimaste in sospeso alcune questioni e, in modo particolare, due relative alle coperture all'articolo 61 e all'articolo 58, questioni già contenute nel decreto-legge. Mi riferisco, in modo particolare, alla copertura che taglia risorse per le emittenti locali o a quella che riguarda le pulizie nelle scuole. Non c'erano le condizioni per concludere il provvedimento venerdì, e abbiamo detto di andare in Aula.
      Mi pare che il modo migliore perché ci possa essere un approfondimento vero di quei pochi emendamenti, ma, soprattutto, di questi, sia quello di un ritorno nelle Commissioni. Questo può permettere di concludere fino in fondo il lavoro da parte delle Commissioni e, quindi, di consegnare all'Aula un prodotto finito. Mi pare questo il senso delle proposte dei presidenti, non Pag. 100certo di riaprire complessivamente il provvedimento, perché, comunque, abbiamo visto già, nel Comitato dei diciotto, quali sono gli emendamenti che verranno trattati.
      Credo sia più opportuno che siano le Commissioni nel loro complesso a esaminare, nel merito, quale sarà la posizione del Governo rispetto ad un lavoro ristretto del Comitato dei nove o del Comitato dei diciotto. Quindi, mi pare che la proposta dei presidenti sia una proposta che va nel senso del miglior coinvolgimento di tutta la Camera e di entrambe le Commissioni, ma non solo, dei gruppi parlamentari nel loro complesso.

      MASSIMO ENRICO CORSARO. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      MASSIMO ENRICO CORSARO. Signora Presidente, più precisamente chiedo di intervenire per un richiamo agli articoli 79 e 86 del Regolamento. L'articolo 79, al comma 12, dispone che: «Al termine della discussione la Commissione nomina un relatore, al quale conferisce il mandato di riferire sul testo da essa predisposto; nomina altresì un Comitato di nove membri, composto in modo da garantire la partecipazione proporzionale delle minoranze, per la discussione davanti all'Assemblea e per il compito indicato nel comma 3 dell'articolo 86. (...)». Il quale comma 3, dell'articolo 86, signora Presidente, testualmente recita: «Il Comitato dei nove previsto dall'articolo 79 si riunisce prima della discussione con l'intervento del presidente della Commissione, per esaminare i nuovi emendamenti e articoli aggiuntivi presentati direttamente in Assemblea». Ora, signora Presidente, quello che non tutti sono tenuti a sapere è che le Commissioni riunite I e V, facendo una rincorsa parossistica al superamento dei record degni di miglior causa, hanno lavorato, la scorsa settimana per tre notti consecutive, due delle quali intere, fino all'alba dell'indomani, concludendo con un mandato ai relatori alle 11,30 di venerdì, dopo aver cominciato la seduta alle 10 del giovedì, quasi che, per davvero, le magnifiche, progressive sorti del Paese stessero tutte in questo inutile provvedimento sul quale siamo stati chiamati a discutere e, oggi, dopo quel tour de force delle Commissioni, scopriamo che la Ragioneria dello Stato ancora non è stata in grado di dirimere la finanziabilità o meno di alcuni emendamenti che sono rimasti espunti da una discussione che ha riguardato 86 articoli e 2.200 emendamenti. Se non siamo in grado, ad oggi, di conoscere se quegli emendamenti sono coperti o non coperti, tanto vale non prenderne atto e inserirli nei prossimi decreti-legge sui quali saremmo impegnati da qui alla pausa estiva; viceversa, lo strumento regolamentare sul quale possiamo, in cinque minuti, e non da qui alle 8, stabilire se questi emendamenti possono o meno essere inseriti nel provvedimento è la convocazione immediata del Comitato dei nove, rectius, dei diciotto, senza bisogno di scomodare le intere Commissioni e tornare qui, in Aula, tra mezz'ora, per cominciare il lavoro sul provvedimento.

      PRESIDENTE. Adesso noi dobbiamo valutare e votare questa proposta di rinvio.

      GIRGIS GIORGIO SORIAL. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Può intervenire un deputato per gruppo. Ne ha facoltà.

      GIRGIS GIORGIO SORIAL. Signora Presidente, è aberrante sentire che la Ragioneria abbia bisogno ancora di tempo per fare delle valutazioni; ciò vuol dire che il Governo non sa proprio che pesci pigliare perché nel momento in cui viene detto che bisogna fare ancora dei ragionamenti sull'articolo 61, quando questo emendamento doveva essere pronto per essere discusso in Aula già qualche giorno fa, è veramente una giustificazione ridicola. Così come è ridicolo pensare che venerdì è stato chiesto di votare il mandato Pag. 101ai relatori per un decreto-legge che doveva essere discusso in Aula il lunedì e quindi si poteva benissimo, se c'era bisogno, lavorare il sabato e la domenica e ragionare su quelle che erano le coperture (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! In tal senso, quindi, siamo completamente contrari verso questo modo di fare e questo modo di utilizzare il Parlamento. Chiediamo quindi la votazione eventualmente, anche se siamo, comunque, assolutamente contrari !

      SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      SIMONE BALDELLI. Signora Presidente, se non ho capito male c’è stata una proposta di rinvio da parte del presidente della I Commissione, l'onorevole Sisto. È stato detto che si dava la parola ad un oratore a favore e ad un oratore contro; l'oratore contro ha parlato, l'oratore a favore ha parlato, hanno parlato altri due oratori contro, di cui uno dello stesso gruppo del primo oratore che ha parlato contro.

      PRESIDENTE. Era per un richiamo al Regolamento.

      SIMONE BALDELLI. Per un richiamo al Regolamento, però di fatto si è espresso contro. Quindi, a questo punto, Presidente, essendo già intervenuti due colleghi del gruppo MoVimento 5 Stelle, se non ci sono altri interventi contro e altri a favore, credo che potremmo mettere in votazione la proposta.

      PRESIDENTE. Castelli è intervenuta come relatore di minoranza, in questo caso.

      SIMONE BALDELLI. Presidente, non c’è la controproposta nel Regolamento !

      PRESIDENTE. Vada all'articolo 86, comma 7, e vedrà quello che è scritto nel Regolamento. Dunque, stiamo seguendo il Regolamento.

      GUIDO GUIDESI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, anche noi troviamo assolutamente sorprendente oggi l'atteggiamento della maggioranza. Noi abbiamo concluso l'esame del provvedimento, non è vero che è non stato concluso, in Commissione. I relatori hanno deciso di concludere l'esame venerdì mattina accantonando, ma lasciando fuori, perché abbiamo votato direttamente il mandato ai relatori, alcuni emendamenti per i quali non era arrivata la risposta della Ragioneria generale dello Stato. La Commissione, con il nostro parere contrario, ha deciso di votare il mandato ai relatori e, quindi, in quel momento, l'esame del provvedimento è stato chiuso. Oggi si decide di riaprire una discussione in Commissione, dopo tutto quello che è avvenuto, però bisogna assolutamente che vi sia la certezza che il parere della Ragioneria generale dello Stato rispetto agli emendamenti accantonati oggi ci sia e che, quindi, noi non andiamo in Commissione ancora una volta per aspettare il parere della Ragioneria e per fare qualcos'altro. Noi siamo contrari e voteremo contro questo rinvio. Soprattutto, siamo contrari ad una gestione, sia della Commissione che di tutto questo provvedimento, che è alquanto sorprendente, per usare una metafora.

      PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
      Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di rinvio in Commissione del provvedimento in esame nei termini indicati dal presidente della Commissione affari costituzionali.

       (È approvata).

      La Camera approva per 226 voti di differenza.
      Resta inteso che per il successivo esame in Assemblea si intendono ripresentati Pag. 102tutti gli emendamenti già presentati per l'Aula prima del rinvio in Commissione.

Su un lutto del deputato Riccardo Gallo.

      PRESIDENTE. Comunico che il collega Riccardo Gallo è stato colpito da un grave lutto: la perdita del padre.
      La Presidenza della Camera ha fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Martedì 23 luglio 2013, alle 9,30:

      Seguito della discussione del disegno di legge:
          Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (C. 1248-A/R).
      — Relatori: Sisto (per la I Commissione) e Boccia (per la V Commissione), per la maggioranza; Castelli, Marcon e Guidesi (per la V Commissione), di minoranza.

      La seduta termina alle 17,40.

TESTO INTEGRALE DELLE RELAZIONI DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA, GIULIO MARCON E GUIDO GUIDESI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1248-A.

      FRANCESCO BOCCIA, Relatore per la maggioranza per la V Commissione. Prima di esporre i contenuti del provvedimento al nostro esame, voglio brevemente ricordare come esso abbia come base le Raccomandazioni rivolte all'Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013 nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività («semestre europeo»). II decreto-legge, che nel testo originario consta di 86 articoli, il cui numero è stato consistentemente incrementato a seguito dell'esame presso le Commissioni, mira, come espresso nel titolo, al rilancio dell'economia. Un titolo ed una finalità già rinvenibili in precedenti provvedimenti, rispetto ai quali tuttavia quello di oggi presenta carattere e contenuti innovativi: esso non utilizza infatti le consuete leve dello stimolo economico, in termini di nuove risorse da immettere nell'economia, in quanto deve operare all'interno di un quadro di compatibilità finanziarie la cui vincolatività per il decisore pubblico va assolutamente osservata e preservata.
      Si tratta pertanto di un rilancio che deve cercare strade nuove, che non si muovono all'interno dei consolidati criteri basati sul binomio minori entrate/maggiori spese, ma che puntano a rinforzare le regole del sistema-Paese, sui piano della semplificazione, dell'attenzione alle esigenze del cittadino – operatore economico, della realizzazione di un contesto regolatorio preciso, cogente ma nel contempo più leggero. Un provvedimento che, per usare una espressione figurata, non potendo, in questo momento, colpire al cuore il contesto recessivo che continua a caratterizzare il nostro sistema economico, lo «lavora ai fianchi», mira cioè ad indebolirne la pervasività ed a favorire un orientamento del sistema-Paese verso l'uscita dalla crisi.
      Il decreto-legge reca pertanto un ampio novero di interventi che rispondono alle esigenze di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, anche diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti, a proseguire la liberalizzazione nel settore dei servizi e migliorare la capacità infrastrutturale, incluso il settore dei trasporti, ad migliorare il quadro fiscale, per i suoi possibili positivi riflessi sull'economia, e molto altro ancora. Esso inoltre persegue lo scopo – ma su questi aspetti Pag. 103si soffermerà l'altro relatore – di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese, nonché di abbreviare la durata dei procedimenti civili, riducendo l'alto livello del contenzioso civile e promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali.
      Non ritengo necessario, in questa fase di esame, diffondermi nuovamente, come già operato nell'avvio dei lavori della sede referente, sul testo originario del provvedimento, conosciuto ed esaminato approfonditamente non solo presso le Commissioni riunite ma anche presso le altre Commissioni, come evidenziato dall'ampiezza e dalla qualità dei pareri che ci sono pervenuti. Mi soffermerò invece specificamente sulle modifiche introdotte dalle Commissioni riunite, la cui numerosità e consistenza necessitano di una attenta illustrazione, al fine di pervenire, ai fini dell'esame dell'Assemblea, alla composizione di un quadro unitario del provvedimento, che consenta di affiancare al testo iniziale le risultanze del lavoro in Commissione. Un lavoro che, come vi è noto, è stato lungo e faticoso ma che, per questa via, ha portato ad un forte arricchimento dei contenuti del decreto.
      Per quanto riguardo il sostegno alle imprese: l'articolo 1, al fine dichiarato di potenziare gli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, contiene disposizioni non immediatamente applicative, esplicitando le finalità, nonché i principi e criteri cui deve attenersi il Governo – tramite l'emanazione entro trenta giorni di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze – per la definizione di misure volte ad ampliare le possibilità di accesso al credito da parte delle PMI e a limitare il rilascio della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione.
      L'articolo è stato integrato durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera per: prevedere specifici criteri di valutazione ai fini dell'accesso alla garanzia del Fondo da parte delle imprese sociali e delle cooperative sociali; consentire anche alle imprese ubicate in aree di crisi e alle PMI di autotrasporto merci di beneficiare dell'innalzamento della misura massima di copertura della garanzia diretta del Fondo fino all'80 per cento; estendere gli interventi finanziati dal Fondo anche ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni di professioni non organizzate.
      L'articolo 2 introduce un meccanismo incentivante per le piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti per l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo.
      Durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera sono stati inseriti anche i beni strumentali d'impresa tra gli acquisti incentivati; è stato previsto che i finanziamenti possano essere erogati, oltre che dalle banche, anche dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario purché garantiti da banche; sono state estesi gli incentivi anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca, compatibilmente con la normativa comunitaria in materia.
      L'articolo 3 attribuisce 150 milioni di euro una tantum – a valere sulle disponibilità esistenti del Fondo per la crescita sostenibile – per il finanziamento dei contratti di sviluppo nel settore industriale, riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria.
      Tali programmi devono esser realizzati nei territori regionali che, sulla base delle fonti finanziarie disponibili alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono destinatari (come è stato meglio precisato durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera) di risorse per la concessione delle agevolazioni.
      L'articolo 3-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, reca misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del SSN. La norma intende accelerare ulteriormente l'accesso alle anticipazioni di liquidità disposte dal decreto legge 35/2013, recante «Disposizioni urgenti per il Pag. 104pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali». A tal fine, l'introdotto articolo 3-bis riproduce letteralmente il testo dell'articolo 1 del decreto-legge 24 giugno 2013, n.  72 che stabilisce misure dirette ad anticipare e concludere la procedura per il riparto, fra le regioni e le province autonome, delle anticipazioni di liquidità previste per il 2013, pari a 5 miliardi di euro, per il pagamento dei debiti sanitari di cui al decreto legge 35/2013.
      Contestualmente all'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, viene inserito il comma 1-bis che fa salvi gli atti, i provvedimenti ed i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme non convertite in legge del decreto-legge 72/2013, che, a seguito della sostanziale trasposizione del suo contenuto normativo all'interno dell'articolo in esame, appare destinato a decadere.
      L'articolo 4 contiene disposizioni di diversa natura che riguardano il mercato del gas naturale e la rete di distribuzione carburanti. In particolare, viene limitata ai soli clienti domestici l'applicazione transitoria del servizio di tutela gas, cioè il servizio per il quale per alcuni clienti c.d. «vulnerabili», i prezzi di riferimento sono determinati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Si cerca poi di velocizzare e dare certezza all'avvio delle prime gare di distribuzione del gas per ambiti territoriali. Infine, viene estesa la destinazione del fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti anche all'erogazione di contributi per la chiusura di impianti di distribuzione di carburanti liquidi trasformati in impianti di distribuzione di metano o GPL per autotrazione.
      Durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera dei deputati è stata prevista una proroga delle date entro cui convocare i Comuni dell'ambito per la scelta della stazione appaltante per quegli ambiti in cui almeno il 15 per cento dei punti di riconsegna è situato nei Comuni colpiti dal terremoto in Emilia del 2012 ed è stata estesa al GPL l'erogazione dei contributi per la trasformazione di impianti di distribuzione carburanti.
      L'articolo 5 reca una serie di interventi diversi che impattano sui prezzi dell'energia elettrica, con un'estensione della Robin Hood tax in parte destinata a riduzione degli oneri generali di sistema, una riduzione delle tariffe incentivanti CIP6 per le fonti rinnovabili e assimilate e il blocco di una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi.
      Durante l'esame presso le Commissioni riunite alla Camera, la norma è stata modificata per: riformulare la deroga prevista per i termovalorizzatori in relazione alla riduzione delle tariffe CIP6. La deroga non riguarda più i termovalorizzatori più recenti bensì tutti i termovalorizzatori in esercizio ammessi al regime CIP6, e non opera più fino all'ottavo anno di esercizio ma fino al quarto anno (o all'ottavo nelle zone di emergenza rifiuti) a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto; dare la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio prima del 2013 di optare tra il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio e un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi.
      L'articolo 6 stabilisce un'accisa ridotta per il gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra da parte dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, per il periodo 1o agosto 2013 – 31 dicembre 2015, nel caso che gli stessi soggetti, in sede di richiesta dell'assegnazione del gasolio si obblighino a rispettare la progressiva riduzione del consumo di gasolio per finalità ambientali.
      Nel corso dell'esame parlamentare, l'articolo è stato integrato da alcune modifiche della disciplina in materia di progetti di riconversione del comparto bieticolo-saccarifero prevedendosi che ai fini delle Pag. 105riconversioni debba farsi riferimento, non più ai progetti di riconversione «che rivestono carattere nazionale anche ai fini della definizione e del perfezionamento dei processi autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio» quanto a quelli che rivestono carattere strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale in quanto strettamente connessi ai profili di sviluppo economico di tali insediamenti produttivi; e prevedendosi inoltre che tali progetti riguardino la realizzazione di iniziative di riconversione industriale, in prevalenza attinenti alla produzione di energia da fonti rinnovabili e finalizzati al reimpiego dei lavoratori dipendenti dalle imprese saccarifere.
      L'articolo 7 fissa alcune disposizioni atte ad agevolare e favorire la ripresa delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, favorendo l'internazionalizzazione delle imprese italiane attraverso la creazione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo,
      In particolare l'articolo novella il comma 1 dell'articolo 7 della legge n.  49 del 1987, che disciplina l'assetto della cooperazione italiana allo sviluppo, disponendo la concessione, ad imprese italiane, di crediti agevolati per assicurare il finanziamento integrale del capitale di rischio ai fini della costituzione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo (PVS), con corresponsione dei crediti agevolati, anche in forma anticipata, da parte del Fondo di rotazione per la cooperazione allo sviluppo.
      Nel corso dell'esame in sede referente è stato introdotto un comma aggiuntivo in base al quale le imprese italiane che abbiano accesso a tali crediti sono tenute al rispetto delle linee-guida stabilite in sede OCSE e delle indicazione formulate dal Parlamento europeo con la risoluzione del 6 aprile 2011, in ordine alle responsabilità sociali e ambientali, nonché alle clausole per la salvaguardia dei diritti umani, nell'ambito delle attività di investimento internazionali.
      Un ulteriore comma aggiuntivo, parimenti introdotto durante l'iter in Commissione, ha attribuito alla Presidenza del Consiglio dei ministri la vigilanza sull'Ente nazionale per il microcredito, istituito dal decreto-legge n.  70 del 2011, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. L'Ente è un soggetto di diritto pubblico che persegue l'obiettivo dello sradicamento della povertà e della lotta all'esclusione sociale in Italia, ed in ambito internazionale, nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione.
      L'articolo 9 prevede norme sull'utilizzazione dei fondi strutturali europei, finalizzate ad evitare il rischio di ulteriori ritardi nell'utilizzo delle risorse comunitarie e le conseguenze dell'attivazione delle sanzioni comunitarie del definanziamento delle risorse medesime. L'obiettivo è perseguito stabilendo un obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria di tale materia rispetto ad altre e prevedendo procedure anche di carattere sostitutivo per i casi di inerzia o inadempimento. Le procedure sostitutive previste dal testo sono state modificate in sede referente attraverso il rinvio a quelle già previste dall'articolo 8 della legge costituzionale n.  131 del 2003.
      Lo stesso articolo dispone l'accreditamento delle risorse economiche del Fondo di solidarietà dell'Unione europea per gli interventi di emergenza al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie e il trasferimento da questo alle gestioni commissariali attivate per fronteggiare i predetti interventi ovvero, in mancanza, alle amministrazioni competenti.
      L'articolo 9-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, interviene, con la finalità di rafforzare gli interventi per lo sviluppo e la coesione territoriale, in merito al «contratto istituzionale di sviluppo», cioè quello strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l'utilizzo dei fondi strutturali europei, nonché per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione. A tale scopo il nuovo articolo, oltre a specificare che il Pag. 106contratto istituzionale di sviluppo è promosso dal Ministro per la coesione territoriale o dalle amministrazioni titolari dei nuovi progetti strategici, pone l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa (denominata anche Invitalia), quale soggetto centrale di coordinamento delle attività di progettazione e di realizzazione degli interventi ricompresi nei contratti istituzionali di sviluppo.
      L'articolo 10, come modificato nel corso dell'esame in Commissione, prevede che l'offerta di accesso ad internet al pubblico tramite tecnologia wi-fi non richieda la identificazione personale degli utilizzatori, fatto salvo l'obbligo di tracciabilità del collegamento, mediante conservazione, su un registro informatico, dell'associazione tra indirizzo IP e MAC address. Si prevede inoltre che il trattamento dei relativi dati personali sia effettuato mediante una procedura di informativa semplificata, senza notifica al Garante per la protezione dei dati personali e senza necessità di previa acquisizione del consenso dell'interessato.
      L'articolo 11-bis – introdotto nel corso dell'esame in sede referente – è volto a qualificare a fini fiscali come sopravvenienze attive le misure economiche compensative percepite dalle emittenti televisive locali a titolo risarcitorio a seguito del volontario rilascio delle frequenze della c.d. «banda 800 Mhz», di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 gennaio 2012.
      L'articolo 12-bis interviene sulla disciplina dei compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società non quotate controllate dalle pubbliche amministrazioni al fine di assoggettare esplicitamente al limite retributivo del trattamento economico spettante al primo presidente della Corte di Cassazione, ivi previsto, i compensi degli amministratori delle società che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni e dei dipendenti di tali società. Si prevede, inoltre, che gli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica sono adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti.
      L'articolo 12-ter destina una quota annua fino a 150 milioni di euro, a valere sulle risorse stanziate dal decreto-legge n.  35/2012 per il pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni territoriali, in favore delle imprese creditrici dei comuni che abbiano deliberato il dissesto finanziario nei 24 mesi precedenti la data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.
      Per quanto concerne il sostegno alle infrastrutture, l'articolo 18 prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori.
      Nel corso dell'esame in sede referente sono state approvate diverse modifiche all'articolo allo scopo di differire, in primo luogo, la decorrenza dei termini entro i quali devono essere adottati i decreti interministeriali attuativi e le delibere CIPE, che viene fissata a partire dalla legge di conversione del decreto.
      In secondo luogo, è stato esteso il novero degli interventi finanziabili di carattere generico, al fine di includere il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione.
      È stata, inoltre, prevista l'attribuzione prioritaria delle risorse revocate del Fondo ad alcuni interventi ed infrastrutture espressamente indicati.
      Per quanto riguarda specifici interventi finanziabili, sono state modificate le condizioni per la sottoposizione al CIPE del progetto definitivo della tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma, da finanziarsi a valere sulle risorse del Fondo, che adesso fanno riferimento alla messa in pre-esercizio Pag. 107entro il 15 dicembre 2013 della tratta Pantano – Centocelle della stessa linea C.
      Con riguardo al programma 6.000 Campanili, le modifiche adottate nel corso dell'esame in sede referente hanno inciso sugli interventi finanziabili in cui sono stati compresi anche quelli per l'adozione di misure antisismiche, le infrastrutture accessorie o funzionali alle reti viarie o le reti telematiche di nuova generazione o wi-fi. È stata, inoltre, ampliata la platea degli enti beneficiari dei finanziamenti includendovi anche le unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti ed i comuni risultanti da fusione tra Comuni, ciascuno dei quali con meno di 5.000 abitanti. È stata, inoltre, inserita una disposizione per la definizione di criteri e modalità per la prosecuzione del programma fino al 2020.
      Sono stati anche previsti obblighi informativi a favore del Parlamento sia con riferimento alla presentazione da parte di ANAS S.p.A. di una relazione semestrale sul programma di cui al comma 10 dell'articolo 18, sia con riferimento ai decreti attuativi dell'articolo 18.
      Relativamente agli interventi di cui al comma 8 dell'articolo 18, che destinano all'edilizia scolastica risorse dell'INAIL, nel corso dell'esame in sede referente, è stato previsto il coinvolgimento della Conferenza unificata e sono state autorizzate risorse per l'individuazione di un modello unico di rilevamento e potenziamento della rete di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico.
      Durante l'esame in sede referente sono stati inseriti, inoltre, i commi 8-ter – 8-sexies, che prevedono la destinazione di 150 milioni di euro provenienti dalla gestione stralcio del Fondo speciale della ricerca applicata (FSRA) di cui all'articolo 4 della legge 1089/1968, da assegnare al Fondo unico per l'edilizia scolastica, per l'attuazione di misure urgenti per la riqualificazione e la messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali.
      Le risorse sono ripartite a livello regionale, secondo le indicazioni fornite dall'Allegato 1. A tal fine, entro il 15 settembre 2013 gli enti locali presentano alle regioni i progetti esecutivi di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici. Su queste basi, le regioni presentano al MIUR, entro il 15 ottobre 2013, le graduatorie, alle quali si fa riferimento per l'assegnazione delle risorse, effettuata entro il 30 ottobre 2013 con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
      Il mancato affidamento dei lavori entro il 28 febbraio 2014 comporta la revoca dei finanziamenti.
      L'articolo 19, che reca disposizioni in materia di concessioni, è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente al fine di prevedere la previa verifica del CIPE, sentito il Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di pubblica utilità (NARS), nel caso di revisione del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti del concessionario in conseguenza di norme legislative e regolamentari che incidono sull'equilibrio del piano medesimo. È stato, altresì, previsto che le nuove norme disposte dall'articolo non si applicano anche agli interventi da realizzare in finanza di progetto le cui proposte sono state già dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del decreto.
      L'articolo 20, modificato in Commissione, interviene in materia di sicurezza stradale disponendo la ricognizione dello stato di attuazione degli interventi del primo e del secondo Programma annuale di attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale cofinanziati con legge 23 dicembre 1999, n.  488. La ricognizione è finalizzata alla eventuale revoca delle risorse destinate a finanziare gli interventi (relativi rispettivamente agli anni 2002 e 2003) che risultino non ancora avviati ed alla loro destinazione ad altre finalità di sicurezza stradale. Nel corso dell'esame in Commissione sono stati aggiunti tre nuovi commi che prevedono il pagamento in misura ridotta del 30 per cento delle sanzioni per violazioni al Codice della Strada nel caso di pagamento effettuato entro cinque giorni o in mancanza di violazioni negli ultimi due anni che comportino Pag. 108decurtazioni di punti, con l'esclusione delle violazioni più gravi, nonché la possibilità di utilizzo di strumenti di pagamento elettronico.
      L'articolo 23, reca norme per il rilancio della nautica da diporto.
      In particolare, il comma 1, modificato in Commissione, novella l'articolo 49-bis, comma 5, del Codice della nautica da diporto (D.Lgs. n.  171 del 2005), in materia di noleggio occasionale di unità da diporto, consentendo l'assoggettamento ad imposta sostitutiva del 20 per cento, a richiesta del percipiente, dei proventi derivanti dalle attività di noleggio occasionale di durata complessiva non superiore a 42 giorni (nel testo originario del decreto erano previsti 40 giorni), indipendentemente quindi dall'ammontare dei proventi derivanti dal noleggio. La norma novellata prevedeva invece la possibilità di assoggettamento ad imposta sostitutiva solo nel limite di proventi inferiori a 30.000 euro. Rimane ferma l'esclusione della detraibilità o deducibilità dei costi e delle spese sostenute relative all'attività di noleggio.
      Con il nuovo comma 1-bis, introdotto in Commissione, si modifica l'articolo 49-bis del decreto legislativo 18 luglio 2005, n.  171, estendendo anche alle società non aventi come oggetto sociale il noleggio o la locazione, oltre che alle persone fisiche, l'attività di noleggio occasionale.
      L'articolo 24 interviene in materia ferroviaria in diversi ambiti:
          con il comma 1 in materia di accesso all'infrastruttura ferroviaria ed ai servizi relativi, modificando il decreto legislativo n.  188/2003, la cui determinazione viene basata sulla proposta del gestore dell'infrastruttura;
          con il comma 2 sull'introduzione della separazione contabile e dei bilanci per l'impresa ferroviaria titolare del contratto pubblico al fine di fornire la rappresentazione trasparente delle attività di servizio pubblico e dei corrispettivi e/o fondi pubblici percepiti per ogni attività;
          con il comma 3 (modificato nel corso dell'esame in sede referente) sul cabotaggio per i servizi passeggeri ferroviari nazionali a media e lunga percorrenza, modificando la legge n.  99 del 2009, prevedendo in caso di compromissione dell'equilibrio economico generale del contratto di servizio la corresponsione di diritti di compensazione, in alternativa all'imposizione, già prevista nell'ordinamento previgente, di limitazione al servizio; si introduce altresì la clausola che le limitazioni e il versamento dei diritti non possano essere richieste se le fermate delle imprese concorrenti dell'impresa titolare del contratto di servizio pubblico sono a distanza di più di 100 km e le tariffe sono almeno del 20 per cento superiori.
          con il comma 3-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, in materia di standard di sicurezza definiti dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria

      I commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 25, introdotti nel corso dell'esame in sede referente, recano uno stanziamento per l'adozione di misure urgenti di riduzione del rischio aeronautico nel sedime dell'aeroporto di Pisa.
      Il comma 11-quinquies dell'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, prevede la possibilità per le regioni che si trovino in una situazione di debito pregresso nel settore del trasporto pubblico locale di attingere, previa predisposizione di un piano di razionalizzazione del servizio, alle risorse del fondo sviluppo e coesione destinate alla medesima regione nell'ambito del cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione, entro un limite massimo che sarà concordato tra regione, Ministro della coesione, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e Ministro dell'economia.
      Il comma 11-sexies prevede un analogo meccanismo, entro il limite massimo di spesa di 100 milioni di euro per il biennio 2013-2014, con specifico riferimento alla regione Calabria.
      Gli articoli 26-bis e 26-ter, prevedono rispettivamente, il primo, al fine di agevolare l'attività delle piccole e medie imprese Pag. 109una serie di adempimenti riguardanti la suddivisione in lotti funzionali degli affidamenti relativi ai contratti per lavori, servizi e forniture, ed il secondo la corresponsione in favore dell'appaltatore di un'anticipazione pari al 10 per cento dell'importo contrattuale; tale norma introduce di fatto una deroga ai divieti vigenti di anticipazione del prezzo con una norma transitoria che si applicherà fino al 31 dicembre 2014.
      Alcune norme intervengono in materia di razionalizzazione della spesa pubblica.
      In particolare per quanto concerne le modifiche all'articolo 49, recante alcune disposizioni afferenti la c.d. spending review, va segnalato il differimento dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013, del termine entro il quale le regioni e gli enti locali possono recedere dai contratti di locazione in essere alla data del 7 luglio 2012, modifica volta a consentire una maggior tempo per l'applicabilità della norma (articolo 2, comma 3, del decreto-legge n.  95/2012) che prevede che alle regioni e agli enti locali possa essere concesso, per fini istituzionali, l'uso gratuito di beni immobili di proprietà dello Stato e che allo Stato, ai medesimi fini, possa essere concesso l'uso gratuito di beni immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali. Norma la cui utilizzabilità comporta che gli enti interessati debbano avere i tempi necessari per recedere dai contratti di locazione in corso.
      Una ulteriore modifica attiene alla proroga di alcuni termini relativi alla spending review sulle società pubbliche cd. «strumentali»: vengono in particolare prorogati di sei mesi (dal 30 giugno 2013 al 31 dicembre 2013) il termine entro il quale procedere alla alienazione delle partecipazioni delle società stesse, nonché quello (in tal caso dal 1o gennaio 2014 al 1o luglio 2014) a decorrere dal quale il servizio strumentale è assegnato alla nuova società privatizzata.
      Con una modifica all'articolo 15, comma 8, lettera d) del decreto-legge n.  95/2012, recante misure in materia di spesa farmaceutica, viene introdotto un nuovo parametro normativo per il monitoraggio complessivo della spesa sostenuta per l'assistenza farmaceutica ospedaliera.
      L'articolo 49-bis consente alla Associazione italiana della Croce rossa (CRI) – nelle more dello svolgimento delle attività di riorganizzazione disciplinate dal del decreto legislativo n.  178/2012, volte com’è noto alla costituzione di una nuova forma associativa della Croce Rossa medesima, di avere accesso, per l'anno 2014, ad una anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili dell'Associazione, maturati alla data del 31 dicembre 2012, nel limite massimo di 150 milioni di euro. Tale anticipazione, da concedersi sulla base di specifiche procedure dettate dall'articolo in esame (tra cui la sottoscrizione di un contratto che definirà anche le modalità di restituzione delle somme anticipate), è concessa a valere a valere sul Fondo anticipazioni liquidità istituito dal decreto legge per il pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche n.  35/2012 (convertito dalla legge n.  64/2013), ed in particolare sulla Sezione di tale Fondo concernente la liquidità dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale, la quale, per l'anno 2014, è dotata di 9 miliardi di euro.
      L'articolo 49-quater reca una nuova disciplina dell'attività volta alla razionalizzazione della spesa pubblica, che sostituisce – semplificandola e rifondendola in un unico articolo – quella attualmente disposta dagli articoli da 1 a 6 del decreto legge n.  52/20121. La nuova disciplina conferma gli organi cui è affidata l'attività in esame già previsti dal decreto-legge 52 sopradetto, vale a dire il Comitato interministeriale (nel quale, rispetto alla attuale composizione, viene inserito anche il Ministro dell'interno) ed il Commissario straordinario, la cui durata, prevista in un anno dalla disciplina vigente, viene ora estesa a tre anni. Il Comitato svolge attività di indirizzo e coordinamento in ordine alla razionalizzazione della spesa di tutte le amministrazioni ed enti pubblici. Esso può altresì istituire il Commissario straordinario, con durata dell'incarico fino a tre anni: esso ha poteri conoscitivi nei Pag. 110confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, nonché poteri ispettivi, a mezzo degli organi della Ragioneria Generale dello Stato.
      In tema di semplificazione fiscale l'articolo 50 esclude la responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento dell'Iva da parte del subappaltatore; permane la responsabilità solidale per il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.
      Nel corso dell'esame parlamentare è stata prevista l'esclusione della responsabilità solidale con l'acquisizione del Documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo al subappaltatore. Si prevede, inoltre, che il rilascio del DURC avvenga da parte dell'Agenzia delle entrate per via digitale e certificata. A tal fine si assegna al Direttore dell'Agenzia delle entrate, di intesa con l'INPS, il compito di stabilire le modalità organizzative e attuative. L'avvio del nuovo sistema di rilascio deve avvenire entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.
      L'articolo 50-bis, reca disposizioni per la semplificazione della comunicazione telematica all'Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA. Si tratta di un regime facoltativo, in base al quale dal 1o gennaio 2015 i soggetti titolari di partita IVA possono, a fronte di una serie di benefici in termini di minori adempimenti fiscali, comunicare giornalmente in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi, incluse le relative rettifiche in aumento e in diminuzione.
      L'articolo 51-bis prevede la possibilità, a decorrere dal 2014, per i soggetti titolari di taluni redditi di lavoro dipendente e assimilati indicati agli articoli 49 e 50 del TUIR, di poter usufruire dei centri di assistenza fiscale (CAF) e dei consulenti del lavoro, ai fini della presentazione della dichiarazione dei redditi anche in caso di assenza di un sostituto d'imposta che sia tenuto a effettuare il conguaglio.
      In sostanza viene estesa la possibilità di ricorrere ai CAF anche per quei soggetti che nell'anno 2013 si trovavano in una condizione di lavoratore dipendente, ma nell'anno successivo non risultano più tali e quindi non avrebbero potuto, ai sensi della normativa vigente, utilizzare un CAF in quanto non sussistendo più il rapporto di lavoro dipendente, non figura più il sostituto di imposta.
      Gli effetti della disposizione si concretizzano nella possibilità di ottenere già nell'anno stesso (successivo a quello del rapporto di lavoro dipendente) eventuali rimborsi (credito) da parte dell'Amministrazione finanziaria; in caso contrario, effettuando la dichiarazione tramite modello UNICO il rimborso si sarebbe ottenuto dopo alcuni anni.
      L'articolo 52 modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità.
      Le Commissioni hanno inserito una norma in materia di fermo amministrativo dei beni mobili registrati, prevedendo che prima del fermo l'agente della riscossione notifichi una comunicazione preventiva con la quale avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo; se entro tale termine il debitore dimostra che il bene in questione è strumentale all'attività di impresa o della professione il fermo non è eseguito.
      È stato inoltre introdotto il nuovo comma 3-bis, che prevede che il Governo riferisca alle Camere, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una loro puntuale valutazione di efficacia. La relazione del Governo, in particolare, deve dar conto degli effetti derivanti: dall'introduzione di una franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso; dall'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti; dall'ampliamento a 8 del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.Pag. 111
      L'articolo 54-bis limita al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di richiedere pareri alla Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT), in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico e in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Inoltre, sono estesi gli obblighi di pubblicità degli atti della CIVIT.
      L'articolo 54-ter modifica la disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico recata dal decreto legislativo 39/2013. In particolare, la disposizione restringe al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di segnalare all'Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT) ai fini della sospensione della procedura di conferimento dell'incarico in caso di violazione delle norme in materia e di richiedere pareri alla CIVIT sulla interpretazione e sulla applicazione delle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi. Si prevede, inoltre, che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Commissione, emani direttive sull'interpretazione delle disposizioni del decreto.
      L'articolo 56-bis, interviene in merito al c.d. «federalismo demaniale», di cui al decreto legislativo n.  85 del 2010 (attuativo della legge n.  42 del 2009 sul federalismo fiscale), con la finalità di semplificare le procedure previste da tale provvedimento in materia di trasferimento, a titolo non oneroso, degli immobili di proprietà statale agli enti territoriali. Ciò in considerazione dei ritardi che al momento ancora si riscontrano nell'attuazione del decreto legislativo, e che in parte potrebbero anche essere conseguenti alle procedure ed alle modalità di trasferimento dei beni dallo stesso previste.
      Viene a tal fine delineata una nuova procedura nella quale le tipologie dei beni da escludere dal trasferimento sono indicati dalla norma, si definisce una stringente tempistica per le richieste di assegnazione dei beni da parte degli enti territoriali, che dovranno pervenire entro il 30 novembre di quest'anno, e si stabiliscono i tempi di esito della richiesta da parte dell'Agenzia del demanio, che dovrà concludersi entro 60 giorni dalla ricezione della richiesta stessa. All'Agenzia è inoltre assegnata una attività di monitoraggio dell'utilizzo dei beni trasferiti, prevedendo che, trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione. Viene infine opportunamente precisato che le disposizioni del decreto legislativo 85/2010 continuino a trovare applicazione solo in quanto compatibili con le nuove procedure introdotte dall'articolo 56-bis.
      In materia di istruzione, università e ricerca l'articolo 57 elenca una serie di interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene con un contributo alla spesa, utilizzando a tal fine una parte della quota del fondo FAR destinata alla contribuzione a fondo perduto, nel limite del cinquanta per cento di essa. A seguito dell'esame presso le Commissioni in sede referente è stata aggiunta la lettera l-bis) che estende il sostegno del contributo alla spesa del MIUR anche ai progetti di ricerca in campo umanistico, artistico e musicale, con particolare riferimento alla digitalizzazione e messa on line dei relativi prodotti.
      L'articolo 57-bis, introdotto durante l'esame in sede referente, fa salvi i provvedimenti di collocamento fuori ruolo per compiti connessi con l'autonomia scolastica adottati per l'a.s. 2013/2014 sulla base delle disposizioni vigenti prima dell'entrata in vigore della legge di stabilità 2013, che ha ridotto i contingenti a ciò destinati.
      All'articolo 58, che nel testo del decreto-legge prevede che università ed enti di Pag. 112ricerca possano procedere ad assunzioni nella misura del 50 per cento della spesa relativa al corrispondente personale cessato dal servizio nell'anno precedente per gli anni 2014 e 2015, e che modifica la procedura per la chiamata diretta, da parte delle università, di studiosi che siano risultati vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, è stato aggiunto il comma 7-bis che dà la facoltà al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), nell'ambito delle risorse disponibili e per far fronte alle esigenze straordinarie delle aziende agricole, di assumere operai agricoli per l'esecuzione di lavori di breve durata.
      In relazione all'articolo 59, che disciplina l'istituzione della nuova categoria delle «borse per la mobilità» degli studenti universitari – destinate agli studenti meritevoli che nell'a.a. 2013-2014 intendano iscriversi a corsi di laurea o a corsi di laurea magistrale a ciclo unico presso università statali o non statali italiane – con esclusione delle università telematiche – che hanno sede in regione diversa da quella di residenza, durante l'esame in Commissione è stato modificato il meccanismo per l'assegnazione delle stesse borse previsto dal decreto-legge: in particolare, si è disposta l'emanazione di un bando da parte del MIUR e la costituzione, al termine del procedimento, di una graduatoria nazionale, invece che di graduatorie adottate da ciascuna regione.
      L'articolo 59-bis, inserito nel corso dell'esame in sede referente, prevede l'istituzione, a decorrere dal 2014, di un Programma nazionale di sostegno allo studio degli studenti capaci e meritevoli, finalizzato, in particolare, alla concessione di borse di studio in favore degli studenti che frequentano l'ultimo anno della scuola secondaria, di un corso di laurea o di un corso di laurea magistrale, per l'iscrizione e la frequenza, relative, rispettivamente, a un corso di laurea, a un corso di laurea magistrale e a un corso di dottorato di ricerca.
      Il Programma è adottato con decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca – per la cui emanazione non è previsto né un termine, né una cadenza temporale –, sulla base degli indirizzi forniti dalla norma, è realizzato dalla Fondazione istituita dall'articolo 9 del decreto-legge 70/2011 (L. 106/2011) – che, a tal fine, assume 1a denominazione di Fondazione per il merito e il diritto allo studio – ed è finanziato utilizzando il 20 per cento della «quota premiale» del Fondo di finanziamento ordinario delle università.
      All'articolo 60 – che nel testo del decreto-legge dispone in ordine alla confluenza nel Fondo di finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute, a decorrere dal 2014, delle risorse attualmente allocate su altri capitoli e che affida all'ANVUR il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dai MIUR – sono state inserite, durante l'esame in sede referente, ulteriori disposizioni.
      Esse concernono, da una parte, l'incremento della quota di finanziamento premiale delle università a valere sul FFO – quota che è determinata, a partire dal 2014, in misura non inferiore al 20 per cento, con incrementi annuali non inferiori all'1 per cento e fino ad un massimo del 30 per cento – e l'introduzione di nuovi criteri per la sua ripartizione; dall'altra, concernono l'attribuzione all'ANVUR, a decorrere dal 2014, di 1 milione di euro, a valere sul FFO e sul Fondo ordinario per il finanziamento degli enti di ricerca. Sono, infine, apportate modifiche al regolamento di organizzazione della stessa ANVUR (decreto del Presidente della Repubblica 76/2010) in materia di contratti che possono essere stipulati con esperti della valutazione.

      GIULIO MARCON, Relatore di minoranza per la V Commissione. Gentile Presidente, signori del Governo, colleghi deputati, il decreto di cui oggi discutiamo la conversione in legge ha come titolo «disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia».Pag. 113
      Ci aspetteremmo dunque un provvedimento che delinea – attraverso le misure proposte – una linea di politica economica capace di aggredire la crisi, dare fiato alle imprese e creare posti di lavoro. Ci aspetteremmo corpose misure, significative ed incisive, ma siamo di fronte solo a degli scampoli di interventi modesti e dal dubbio impatto.
      E ci saremmo aspettati di conoscere la linea di politica economica di questo Governo anche dalla presentazione della nota di variazione al DEF che sia il Presidente Letta che il ministro Saccomanni avevano promesso di far avere in tempi brevi al Parlamento due mesi fa.
      Questo non è avvenuto. Siamo ancora a chiedervi: quando ci farete avere la nota di variazione ? Il DEF di Monti era un documento provvisorio e incompleto e rimandava al nuovo governo il compito di completarlo. Cosa che voi non avete fatto, rinviando la stesura della nota, come avete rinviato le decisioni sull'IMU, sull'IVA, sugli F35.
      Ora, anche da questo provvedimento nonostante abbia come titolo «il rilancio dell'economia» – non si capisce quale sia la vostra politica economica. O meglio, si capisce: accanto al rinvio delle misure più importanti un insieme di interventi eterogenei e persino contraddittori nella logica di un provvedimento in stile «mille proroghe» più che di un disegno coerente ed organico di disposizioni incisive.
      Nel provvedimento – come nelle altre misure di questi mesi – non c’è una politica della domanda capace di far ripartire produzioni e consumi; non c’è una politica di sostegno ai redditi – anche con misure fiscali che alleggeriscano il carico su lavoro e imprese – capace di dare respiro alle famiglie e attivare la domanda; non c’è nemmeno il germe di una politica industriale, capace di orientare lo sviluppo, le nostre vocazioni produttive, le eccellenze dei territori; non c’è una politica dell'innovazione e della ricerca.
      Nel provvedimento c’è uno zibaldone di misure – molte parziali e limitate – su cui si sono dovute confrontare una dozzina di Commissioni, mentre le sue caratteristiche di provvedimento «omnibus» fanno di questo decreto oggetto di una discussione parlamentare faticosa e frenetica e che porta alla strozzatura del dibattito e probabilmente del voto.
      Che questo provvedimento possa rilanciare l'economia ci sembra molto difficile, anzi è sicuramente velleitario.
      In questo senso diamo un giudizio negativo sulla filosofia, l'impostazione e l'indirizzo generale del provvedimento.
      Naturalmente in un provvedimento omnibus come questo ci sono anche delle cose giuste: la messa in sicurezza delle scuole (comunque una piccola parte, anche dopo l'incremento delle risorse avvenuto in Commissione: servono circa 12-14 miliardi), un po’ di soldi ai piccoli comuni per le opere essenziali, lo sblocco parziale del turn over nelle università, la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti alle imprese per l'acquisto dei macchinari, il finanziamento di alcune misure sulla mobilità.
      Ma ci sono anche molte cose specifiche che non condividiamo.
      Non condividiamo la soppressione o la riduzione delle tasse sulle barche di lusso: non si capisce perché il proprietario di un'utilitaria debba pagare in proporzione 10 volte in più di un proprietario di una barca del valore di 200mila euro. Dov’è la giustizia sociale ? È una barzelletta dire che il settore della nautica sarà rilanciato facendo risparmiare a dei ricchi benestanti o a delle società di comodo 1000 euro di tasse l'anno. Non è questo che li spaventa.
      Non condividiamo l'ulteriore liberalizzazione del commercio delle armi, attraverso un articolo del decreto che fa delle nostre forze armate degli agenti di commercio per conto delle industrie belliche private.
      Non condividiamo l'ulteriore deregolamentazione in materia di ristrutturazioni edilizie, della concessione dei permessi di costruzione, di autorizzazioni preliminari che rischiano di allargare le maglie dei controlli e dei vincoli necessari a garantirci dal rischio di nuovi abusi ed illeciti in materia edilizia.Pag. 114
      Non condividiamo che si mantenga (rafforzandolo) il trattamento di favore CIP/6 per i termovalorizzatori, invece di procedere con decisione nella direzione della generalizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti e dello sviluppo delle energie alternative.
      Si prevede, poi, in questo provvedimento che gli stagisti lavorino gratis per i tribunali, mentre in un altro provvedimento, quello del ministro Giovannini sul lavoro, si dice che gli stagisti dovranno ricevere un compenso, seppur piccolo e modesto. Un caso di vera schizofrenia governativa, soprattutto se il primo a venire meno a questo impegno verso gli stagisti è proprio il governo che li vorrebbe tutelare nel settore privato.
      Non condividiamo – questa la cosa più importante – la sottovalutazione contenuta nel decreto sulle misure necessarie per fronteggiare la crisi e rilanciare l'economia. Non c’è una linea di indirizzo di politica economica che ribalti il paradigma delle politiche di austerity e che abbia un impatto realmente anti-ciclico e rimetta al centro la politica della domanda, il lavoro, la redistribuzione della ricchezza.
      Noi abbiamo provato a introdurre con degli emendamenti alcune misure per modificare il testo: il miglioramento della normativa sulla Tobin tax, il sostegno alle imprese e alle attività produttive con l'introduzione di fondi ad hoc e politiche di incentivi, la riconversione ecologica dell'economia. Molte di queste proposte sono state bocciate.
      Ecco perché il nostro giudizio sul provvedimento è negativo.
      Il provvedimento è limitato e contraddittorio: ed è contraddittorio perché contraddittoria e innaturale è la maggioranza che sta alla base del governo che ha scritto questo decreto. È un decreto-zibaldone perché il governo è un governo-zibaldone abborracciato e incoerente.
      Non è una misura che rilancerà l'economia, non avrà un impatto anti-ciclico, non creerà nuovi posti di lavoro. È un insieme di misure frammentate e disorganiche che possono mettere qualche toppa e dare qualche contentino, ma senza realmente dare un impulso alla marcia di fuoriuscita dalla crisi.
      È il decreto del «fare», ma signori del Governo, si poteva e si può «fare» meglio, molto meglio.
      Si sarebbe potuto fare meglio se si fossero messe in campo misure di sostegno ben più significative a favore di un piano straordinario di investimenti pubblici, di redistribuzione della ricchezza e di un piano del lavoro di cui non c’è traccia. Il lavoro si crea con una politica della domanda, non con politiche di incentivi fiscali che funzionano una volta su dieci (come si è visto negli ultimi vent'anni) e vedono svanire gli effetti una volta terminati gli aiuti.
      Serviva e servirebbe una riduzione drastica della spesa pubblica: ma non quella del welfare, bensì quella delle spese militari, delle grandi opere, dei sussidi perversi, delle convenzioni con le strutture private nella sanità come nell'istruzione.
      Servirebbero misure fiscali progressive e giuste: non la soppressione delle tasse sulle barche di lusso, ma una maggiore tassazione delle rendite, dei patrimoni, alleggerendo il carico fiscale su lavoro ed imprese.
      Servirebbero misure per sostenere i redditi ed i diritti – come il reddito di cittadinanza – e politiche di welfare universali: non una social card rivisitata, ma servizi sociali, non bonus bebé ma asili nido, non il credito per gli studenti universitari, ma borse di studio.
      Tutto questo nel decreto del «fare» non c’è.
      Il paese ha bisogno di ben altro per uscire dalla crisi. Questo provvedimento è un pannicello caldo, mentre il paese ha bisogno di misure molto più incisive e univoche per costruire una prospettiva di giustizia e di cambiamento, che questo Governo con Berlusconi non può assicurare.
      Chiudiamo una volta per tutte questa pagina. Solo così si può rilanciare l'economia, creare il lavoro e dare un po’ di giustizia a questo paese.Pag. 115
      L'esame del provvedimento nelle Commissioni
      Il faticoso cammino del provvedimento nelle Commissioni riunite per l'esame in sede referente è essenzialmente dovuto allo strumento scelto: quello di un decreto monstre di ben 86 articoli, destinati a diventare almeno un centinaio; ma anche ai contrasti all'interno di una maggioranza eterogenea e rissosa, nonché alle divergenze tra i deputati della maggioranza e i diversi ministri coinvolti.
      Migliaia di emendamenti, centinaia di essi esaminati, accantonati, riproposti, trattative sottobanco, continue sospensioni chieste dalla maggioranza, mancanza di trasparenza. Una ventina di emendamenti tra quelli segnalati dai Gruppi, dopo giorni e notti di discussione, rinviati all'Aula per il loro esame, perché la Ragioneria non è stata in grado di risolvere le questioni attinenti alla copertura degli oneri finanziari da essi rispettivamente recati. Pertanto l'articolo 61, quello appunto sulle coperture è ancora del tutto indeterminato.
      A nostro avviso, sarebbe comunque importante cercare coperture alternative a quelle (previste) che vanno a incidere sulla quota dello Stato dell'8 per mille, l'ulteriore taglio ai trasferimenti a favore delle emittenti locali e sull'aumento delle accise sulla benzina.
      Queste modalità e questi dissensi interni al Governo ed alla maggioranza hanno vanificato la possibilità di un lavoro serio da parte delle Commissioni, la cui attività è stata sottoposta a continui stop and go ed a defatiganti maratone notturne.
      La maggioranza è riuscita a mettere insieme il peggio dell'indecisionismo dell'esecutivo con il peggior mercato delle vacche parlamentare.
      Si spera che oltre alle questioni politiche, che sono quelle dirimenti, e che si potranno risolvere solo mandando a casa il Governo delle cosiddette «larghe intese», la riforma del Regolamento della Camera consentirà per quanto possibile di ovviare almeno agli aspetti più macroscopici di questa non più tollerabile modalità dei nostri lavori.
      Molte norme del decreto legge prevedono efficacia in tempi successivi rispetto a quelli di un decreto legge, in contrasto con i requisiti di necessità ed urgenza.
      Si segnalano norme disomogenee, non solo rispetto alle diverse materie ad oggetto di ogni singolo capo, ma anche rispetto alle specifiche tematiche ivi contenute. Peraltro spesso si tratta di modifiche ordinamentali, inappropriatamente previste in un decreto legge. Il tutto aggravato dagli emendamenti approvati dalle Commissioni riunite I e V.
      Va rilevato che i numerosi articoli che compongono il decreto contengono almeno 60 disposizioni di non immediata applicazione: disposizioni che, nelle more dell'emanazione dei relativi decreti di attuazione e comunicazioni varie da parte dei Ministeri, rischiano di rimanere lettera morta in assenza di risorse (Vedi il Dossier «Le tante cose da fare del decreto del fare» redatto dal Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato).
      Addirittura alcune norme (quanto al procedimento amministrativo) prevedono un'efficacia in via sperimentale per un tot di tempo, per una successiva valutazione di entrata a regime, anche rispetto a procedimenti amministrativi che coinvolgano nuovi e diversi argomenti. È stata introdotta anche in relazione alla mediazione obbligatoria, per la quale si prevede una sperimentazione di 4 anni, con monitoraggio dei suoi effetti della stessa al secondo anno.
      Le misure per la crescita.
      Il timore fondato è quello che ci si trovi di fronte all'ennesimo decreto «sviluppo» che contempla alcune norme sicuramente condivisibili (come quelle sulla sicurezza stradale o quella sul rafforzamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese), altre su cui si dovrebbe invece discutere ampiamente a livello parlamentare e non certo attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza (come quelle sulle infrastrutture), altre completamente inutili se non addirittura imbarazzanti, come quella sull'ennesima ridefinizione della governance dell'Agenzia digitale per Pag. 116l'Italia destinata a passare sotto il controllo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
      Per stimolare la c.d. «crescita», il Governo avrebbe dovuto piuttosto impegnare le risorse dei propri dicasteri e della Ragioneria generale dello Stato per individuare nuove risorse ed affrontare le vere emergenze, prendendo come bussola l'ultimo rapporto della Corte dei Conti sulla governance di finanza pubblica (Rapporto 2013) e cercando di attuarlo punto per punto al fine di abbattere la pressione fiscale, impedire l'aumento dell'IVA, e tutelare i diritti dei lavoratori.
      Prendiamo, ad esempio, il caso della cassa integrazione in deroga. Il Gruppo SEL ha chiesto da tempo di incrementare le risorse previste dallo stesso per gli ammortizzatori sociali in deroga e più in generale per il comparto lavoro, attingendo eventualmente anche da altre fonti di finanziamento, quali:
          la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre gli 800.000 euro;
          l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie fino al 23 per cento;
          il definanziamento dei costi del programma F35;
          l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia imponibile e contributiva con l'introduzione (in qualche caso la re-introduzione) di misure di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscali;
          la soppressione di misure di agevolazione fiscale non più idonee.

      L'obiettivo del Gruppo Parlamentare di SEL è stato sempre orientato non solo ad aumentare l'entità delle risorse già previste per la CIG, ma anche quello a stimolare il Governo ad avviare sin da subito una seria ricognizione e revisione delle tax expenditures attuali, anche in considerazione del fatto che l'ammontare complessivo degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato A del bilancio di previsione del 2013 è pari a 156.231 milioni per il 2013, a 156.168 milioni per il 2014 e a 155.423 milioni per il 2015.
      Si consideri, inoltre, che un primo intervento volto a ridurre la misura delle suddette agevolazioni era contenuto nel decreto-legge n.  98 del 2011 che disponeva la riduzione del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento a decorrere dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell'allegato C-bis del decreto legge stesso, riduzioni, tuttavia, sterilizzate dal c.d. decreto Salva-Italia attraverso l'incremento di due punti percentuali delle due aliquote IVA del 10 per cento e del 21 per cento. Malgrado, poi, le intervenute modifiche legislative successive, la legge di stabilità 2013 ha stabilito, a partire dal 1o luglio del 2013 la rideterminazione dell'aliquota IVA dal 21 per cento al 22 per cento, ora rinviata al 1o ottobre.
      D'altra parte secondo quanto recentemente pubblicato dalla Corte dei conti, nell'ambito del suo Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, l'operazione in questione si può fare, ma nell'ambito di una più complessa riforma del sistema fiscale, ferma restando una definizione, chiara e trasparente, degli obiettivi che ispirerebbero l'eventuale riforma e che ci si augura non riguardi solo quella dell'IMU.
      Agenda digitale.
      Si ridefinisce per l'ennesima volta la governante dell'Agenda digitale italiana.
      L'Italia dimostra di essere un Paese dell'innovazione solo a parole. L'Agenda digitale è un grande obiettivo europeo ed è lo strumento attraverso il quale un Paese diventa digitale ed entra nel futuro. Migliora i servizi, crea posti di lavoro, rilancia l'economia.
      Il Governo Monti nel novembre 2011 annunciò subito che era «una priorità». Alla fine di gennaio del 2012 venne formata «cabina di regia» con sei ministri incaricati di riempirla di contenuti. Avrebbe dovuto essere pronta per giugno, la scadenza non venne rispettata ma in compenso venne annunciato che sulle ceneri di tre dipartimenti diversamente inutili Pag. 117il Governo istituiva una Agenzia Digitale che avrebbe avuto i mezzi per realizzare gli obiettivi indicati dalla cabina.
      L'estate è trascorsa aspettando di sapere il nome del direttore generale dell'Agenzia. Alla fine di ottobre del 2012 è stato nominato Agostino Ragosa, già alto dirigente delle Poste, prossimo alla pensione e con tanta esperienza alle spalle. Ragosa in realtà è stato nominato «commissario» in attesa di diventare «direttore generale» quando lo statuto della nuova agenzia fosse stato approvato. Di lì a poco alcune delle indicazioni della cabina di regia sono state recepite da uno dei provvedimenti del Governo per la crescita: tutte cose che senza decreti attuativi hanno poco senso ma meglio di nulla.
      A febbraio uno degli ultimi atti del Governo Monti è stata la nomina di Ragosa, firmata dai ministri Passera e Profumo, quale «digital champion», una figura chiesta dal commissario europeo Neelie Kroes per evangelizzare i cittadini sulla importanza di Internet.
      È l'uomo giusto l'ottimo Ragosa per fare l'evangelista ?
      Assolutamente no e la recente interpellanza presentata dal Capogruppo del SEL Gennaro Migliore ne è la chiara dimostrazione. Ma, soprattutto, non c’è stato neanche il tempo per affermarlo perché quando si doveva effettivamente iniziare ad indagare, il premier Enrico Letta ha nominato Francesco Caio «Mister Agenda Digitale» dichiarando: «Conosco piuttosto bene Caio: è un manager preparato e competente, sa di cosa parliamo insomma quando si parla di reti a banda larga» (meno sul resto). Ma è amministratore delegato di un grande gruppo industriale come Avio, e quel posto giustamente lo tiene ben stretto anche perché l'incarico di Letta è gratuito e volontario. Praticamente una cosa da fare nel tempo libero. Ma l'Agenda Digitale non può essere un hobby. Ecco perché accanto a Caio è stato nominato un piccolo think thank che lo aiuterà: è composto da tre persone di indubbio valore come l'economista Francesco Sacco e il giornalista Luca De Biase oltre alla promotrice di veDrò, la conferenza dei «lettiani», Benedetta Rizzo. Ma siamo sicuri che dopo tanto parlare ci fosse bisogno di altri thinkers, pensatori cioé, per l'Agenda digitale e non di makers, persone che fanno ? Sarà pure una priorità questa Agenda, ma per adesso ha creato solo poltrone e parole.
      Infrastrutture.
      La norma (Articolo 18) non appare condivisibile, disponendo misure economiche di vantaggio nei confronti di concessionari già individuati con gara pubblica. Inoltre, dall'elenco delle opere si desume agevolmente che più che il carattere strategico degli interventi abbiano pesato le aree geografiche coinvolte perché collocate in territori di pertinenza di ministri (es. Alfano – Agrigento, De Girolamo – Frasso Telesino, etc.) e l'insieme dei grandi gruppi industriali concessionari delle stesse opere (CMC, TOTO, Astaldi, Ansaldo, Jmpregilo. etc.).
      Per finanziare l'operazione si prelevano fondi dalla cassa della TAV Torino Lione e dal Ponte sullo Stretto, il che rappresenta l'unico aspetto positivo della norma.
      Una norma senza decenza, ma anche la prova provata dell'impossibilità di compiere alcune opere senza risorse o perché i costi sono lievitati a dismisura. Ma questo nessuno lo dice.
      L'articolo 18 autorizza il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, a sborsare circa due miliardi per il completamento di alcune opere infrastrutturali già note nell'ambito dei vari Allegati Infrastrutture al DEF (Documento di Economia e Finanza).
      Perché sbloccare allora... Cosa c’è veramente dietro ? Un riscontro elettorale ? Sicuramente sì... ma anche altro.
      In questo caso le possibilità sono due: o si tratta di opere che erano state già state finanziate, ma poi non erano stati erogati i fondi necessari; oppure i costi di quelle stesse opere sono aumentati a tal punto da richiedere una integrazione.
      Nel primo caso, lo «sblocca cantieri» è poco più di un atto di diligenza contabile, ma nel secondo potrebbe trattarsi di un condono tombale per errori di programmazione e inadempienze di vario tipo.Pag. 118
      Non a caso, scorrendo la lista delle opere programmate, troviamo i soliti interventi di cui si parla da almeno un decennio: miglioramenti della rete ferroviaria; Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano; le strade siciliane; la Rho-Monza; la A24 e A25, che aspettano la costruzione della terza corsia a carico dei concessionari da almeno una ventina di anni; un po’ di metropolitane a Milano, Roma e Napoli, che finora hanno prodotto solo strade bloccate da cantieri infiniti. Manca solo la Salerno-Reggio Calabria, che ormai era stata oggetto di troppi decreti precedenti per essere presentabile.
      La copertura dell'intervento è poi assolutamente tutto un programma o meglio la chiara dimostrazione che certe opere (quali la TAV o il Ponte sullo Stretto), con buona pace di tutti i «pontisti» saliti al Governo e del recente disegno di legge di ratifica dell'accordo light siglato con la Francia lo scorso anno per la realizzazione della TAV e approvato dal Consiglio dei ministri di qualche settimana fa, non potranno essere realizzate o almeno non nel corso di questa legislatura.
      Purtuttavia, se quest'ultimo aspetto può considerarsi da un lato sicuramente positivo e confortante, dall'altro appare comunque inquietante, ed in ogni caso inaccettabile da parte di questo Governo.
      Perché riproporre lo sblocca cantieri ? Anche in linea di principio si sa che si tratta di norme che non hanno mai funzionato e che di regola tendono a coprire la realizzazione di opere ferme al palo da anni per motivi molto semplici come ad esempio:
          l'assenza o la carenza di istruttoria;
          ma anche la scarsa fattibilità (se non addirittura impossibilità di realizzazione) per assenza dei presupposti di legge, indeterminazione dei costi, insufficienza delle risorse a disposizione, incompatibilità con altri progetti infrastrutturali o con l'assetto del territorio e i vincoli esistenti.

      Bisognerebbe capire come è ad oggi la situazione generale di tutte le opere interessate dalla introduzione di queste nuove norme «sblocca cantieri» nell'ambito del «Decreto fare».
      Le cosiddette semplificazioni.
      Il provvedimento al nostro esame è in perfetta continuità con i decreti del Governo Monti
      Una lettura complessiva di questo decreto evoca i vecchi decreti «crescita», «sviluppo» e «semplificazione» varati dall'ex Ministro Passera, provvedimenti di cui si attende ancora la completa attuazione, sensazione richiamata anche dall'ultima relazione presentata al Parlamento dal Ministro Giarda lo scorso 25 marzo in materia di liberalizzazione delle attività economiche e di riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese.
      Degli 86 articoli che componevano il decreto in entrata alla Camera, forse solo una ventina di essi introdurranno novità davvero significative nell'ambito del nostro ordinamento giuridico.
      L'articolo 1 del decreto-legge n.  1/2012 già prevedeva la semplificazione delle attività economiche dal punto di vista delle normative statali, semplificazione da realizzarsi attraverso strumenti di delegificazione, che avrebbero dovuto mirare all'abrogazione delle norme che, a vario titolo e in diverso modo, prevedono limitazioni o pongono condizioni o divieti che ostacolano l'iniziativa economica o frenano l'ingresso nei mercati di nuovi operatori, fatte salve le regolamentazioni giustificate da «un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario», e che siano adeguate e proporzionate alle finalità pubbliche perseguite.
      Al riguardo, la Relazione al provvedimento al nostro esame, non specifica i singoli ambiti di intervento dei successivi regolamenti, ma si limita a sottolineare l'opportunità di regolare singolarmente le diverse tipologie di attività economiche, ipotizzando l'adozione, eventualmente previo accordo in Conferenza unificata, di una griglia di linee guida, specifiche per ogni singola attività economica, che individui con certezza la normativa di accesso e la relativa modulistica amministrativa, Pag. 119fornendo ai cittadini e alle imprese un unico strumento normativo che funga da «guida pratica» per consentire il più semplice e rapido accesso alla singola attività economica di interesse.
      In conclusione ed in estrema sintesi, la Relazione evidenzia come molti dei regolamenti di attuazione dei decreti-legge varati dal precedente Governo non siano stati ancora adottati e che siano ancora in via di implementazione, il che naturalmente comporta un costo di valutazione e di controllo.
      Esiste un lungo elenco di mancate liberalizzazioni, argomento che non sembra essere affrontato completamente all'interno del provvedimento, eppure questi sono interventi da tempo richiesti dall'Antitrust e a costo zero.
      In compenso il provvedimento contiene alcune pessime novità:
          1. Si propone per l'intero territorio nazionale una norma che esisteva nella Regione Lombardia – e che consentiva di non rispettare la sagoma degli edifici preesistenti in caso di demolizione e ricostruzione – dove ha prodotto danni al territorio e ai residenti e che è stata abrogata dalla Corte Costituzionale. Ancora una volta ci troviamo di fronte a norme di delegificazione e di allentamento delle norme vigenti in campo edilizio e urbanistico in perfetta continuità con i vari Piani casa approvati da molte regioni, e quanto fatto in materia dai precedenti governi Berlusconi e Monti. E tutto questo in un territorio già devastato da un'urbanizzazione fuori controllo.
          2. L'articolo 32 introduce modifiche al testo unico in materia di tutela della sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro (d.lgs. 81 del 2008), semplificando alcuni adempimenti formali. Una considerazione generale si impone: il TU sulla sicurezza ha avuto una gestazione lunga e difficile e una ancora più difficoltosa applicazione (in molte parti infatti resta inattuato). Certamente tale TU contiene anche disposizioni farraginose e burocratismi, ma – viene da chiedersi – a fronte di numeri alti di incidenti mortali, infortuni e malattie professionali in ambito nazionale (e non solo), l'allentamento delle maglie di protezione dei lavoratori, mascherati più o meno da misure di semplificazione, costituisce un rischio. Lo scopo è quello di rendere più semplici per le aziende gli adempimenti richiesti dal TU, ma in questo modo le misure si rendono anche meno efficaci, considerato che esse vengono ad innestarsi in un tessuto produttivo che manca (o, a voler essere buoni, è molto deficitaria) della cultura della tutela della salute e della sicurezza. Forse è un rischio calcolato ma a fronte di costi altissimi in termini economici, di infortuni e malattie professionali.
          3. L'articolo 48 inserisce nel Codice dell'ordinamento militare un articolo (537-ter) che prevede la cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale. Si vuole istituzionalizzare il ruolo della Difesa come trafficante di armi e piazzista estero al servizio di Finmeccanica, sdoganando il gigantesco conflitto di interessi tra apparato militare e industria bellica.

      Si tratta di una modifica al Codice dell'ordinamento militare che prevede che la Difesa possa «svolgere per conto di Stati esteri attività di supporto tecnico-amministrativo ovvero contrattuale per l'acquisizione di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale». L'approvazione di questa norma ufficializzerebbe una prassi consolidata, ma sottaciuta, che ha sempre visto i nostri generali, in missione all'estero come rappresentanti militari o comandanti di operazioni, attivamente impegnati in attività di promozione e intermediazione per la vendita di armamenti italiani ai governi locali.
      Questi servigi vengono ricompensati con importanti avanzamenti di carriera oppure con un pagamento differito sotto forma di importanti incarichi aziendali e ricchi contratti di consulenza una volta in pensione.
      Questo provvedimento faciliterebbe la vendita di armi italiane a governi con i quali è difficile costruire rapporto di intermediazione, Pag. 120cioè governi instabili e coinvolti in conflitti interni come nel caso dell'Afghanistan, della Libia o della Somalia: scenari dove in passato, penso a Mogadiscio, a trafficare armi erano i nostri servizi segreti.
          4. Si anticipano (Articolo 49) 150 milioni alla Croce rossa italiana malgrado la pessima gestione dell'ente da parte dei suoi dirigenti.
          5. Il Governo finanzia le assunzioni nelle università con i soldi degli appalti per le pulizie. Per coprire le maggiori assunzioni nel settore universitario (1500 docenti e altrettanti ricercatori), le scuole perderanno 25 milioni di euro nel 2014 che diventano 50 milioni a partire dal 2015. L'operazione è contenuta all'articolo 54 del decreto legge il quale prevede un innalzamento della copertura del turn over per le università, che viene controbilanciato dalla riduzione dei fondi per gli appalti delle pulizie, che le scuole dovranno rinnovare a un prezzo più basso, fino a realizzare almeno le economie individuate dal decreto. Così si penalizzano i lavoratori delle ditte di pulizie, che non potranno essere tutti confermati, e gli Ata già in servizio, che dovranno lavorare di più a parità di stipendio.

      Per le coperture vedremo le ultime proposte che la Ragioneria presenterà all'esame dell'Aula, ma intanto registriamo che nel decreto legge (articolo 61) si taglia ancora la quota dell'8 per mille destinata allo Stato per interventi di ristrutturazione di beni culturali, aiuti alla cooperazione, ecc. Non manca nemmeno l'ennesimo aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante.
      La privatizzazione della giustizia.
      L'articolo 84 prevede la mediazione civile obbligatoria (punto primo della battaglia sulla giustizia di SEL contro il decreto).
      Si evidenzia il limite della mediazione obbligatoria, che – seppure con alcuni correttivi rispetto alla versione che era stata introdotta in passato:
          materie limitate;
          gli avvocati iscritti all'albo sarebbero di diritto anche mediatori – ma devono frequentare corsi;
          spese gratis per chi rientra nei parametri di reddito per patrocinio a spese dello Stato – ma il limite di reddito per accedervi è basso e non ricomprende buona parte delle persone comunque in difficoltà economiche);
          determinerà una ingiustificata “privatizzazione” della giustizia civile, in quanto fase obbligatoria per avviare il giudizio, nonché onerosa. Essa impedirà ai cittadini di avere accesso diretto alla giustizia, mentre si prevedono costi/indennità per i mediatori, anche in caso di mancato accordo, a carico delle parti.

      La questione relativa all'istituto della mediazione era stata oggetto anche di una pronuncia della Corte costituzionale (sent. n.  272 del 6 dicembre 2012) che aveva dichiarato – per eccesso di delega legislativa – incostituzionali le norme che avevano introdotto la media-conciliazione nelle controversie civili e commerciali, proprio nella parte in cui si prevedeva il carattere obbligatorio della stessa.
      Peraltro in sede di esame degli emendamenti, è stata approvata una modifica che prevede un'efficacia di 4 anni della disposizione, nonché il monitoraggio degli esiti della «sperimentazione» dell'istituto dopo 2 anni, su iniziativa del Ministero della giustizia. Si sperimenta, dunque, sulla pelle dei diritti delle persone !
      Per quanto concerne gli stage formativi dei laureati in giurisprudenza (all'esito di un corso di durata almeno quadriennale) presso gli uffici giudiziari, non è stato introdotto quantomeno un rimborso spese di 400 euro per gli stagisti, come da noi proposto.
      Per tutti questi motivi di carattere generale e specifici non possiamo che Pag. 121ribadire come Gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà il nostro voto contrario a questo provvedimento e con esso la nostra opposizione alla politica economica e sociale di questo Governo.

      GUIDO GUIDESI, Relatore di minoranza per la V Commissione. Onorevoli Deputati, il decreto legge 21 giugno 2013, n.  69, è stato orgogliosamente presentato dal Governo Letta, e controfirmato da tutti i ministri che ne fanno parte, come il decreto «del fare». Una scelta lessicale opportuna, nella sua semplicità, dopo che avevamo dovuto subire i titoli biblici, del genere «salva Italia» che non senza una generosa dose di autocelebrazione aveva proposto il Governo Monti.
      Abbiamo esaminato con attenzione e senza alcun pregiudizio questo provvedimento, con la chiara volontà di sostenere e condividere ogni misura che, in una congiuntura economica i cui caratteri drammatici sono stati ormai riconosciuti unanimemente, potesse avviare quel «rilancio dell'economia» a cui il decreto avrebbe dovuto essere mirato.
      Alla luce del testo proposto dal Governo e dall'esame parlamentare fin qui svolto, possiamo dire certamente che, se la direzione è in generale apprezzabile, certamente la montagna rappresentata da questo Governo delle larghe intese e delle larghe maggioranze ha prodotto un topolino.
      L'intento di questa relazione di minoranza non è quello di contestare le misure che sono effettivamente opportune e chieste già da lungo tempo da persone ed imprese, quanto di evidenziare quanto di più poteva e ancora può essere fatto; di stimolare, concedetecelo, ad avere più coraggio e a cogliere in questo momento di gravità eccezionale l'opportunità di fare riforme altrettanto eccezionali.
      Ci siamo abituati in questi anni, stretti da vincoli principalmente finanziari e quasi sempre imposti con forza dall'Unione Europea o da altre istituzioni internazionali tra cui il Fondo Monetario, a rinviare scelte importanti per il tessuto economico del nostro Paese.
      Negli ultimi mesi però la presa di coscienza e l'ammissione collettiva che la mera politica di austerità ha impedito ai Paesi europei di reagire alla crisi mondiale ci lascia sperare che alcuni di questi limiti possano cedere di fronte alla necessità di preservare i cittadini dell'Europa da una depressione economica senza via d'uscita.
      Leggere la relazione introduttiva che il Governo ha premesso al decreto è invece desolante: il provvedimento, stando al testo, non è stato messo a punto avendo come orientamento le condizioni del Paese ed il modo migliore per favorire una ripresa orientata alla preservazione del tessuto industriale, dello stato sociale, della dinamica tra categorie più consona a garantire il benessere dei nostri concittadini: il Governo ha inteso con questo decreto solo adempiere puntualmente e compilativamente alle «Raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del semestre europeo 2013, presentate dalla Commissione Europea il 29 maggio 2013», con cui la Commissione ha dato i «compiti a casa» a ciascuno degli Stati membri.
      Una Commissione di euroburocrati sui cui limiti, e sulla cui completa irresponsabilità democratica dinanzi ai popoli europei, abbiamo avuto modo di discutere in molte sedi, come della sua sensibilità alle troppe lobbies che stazionano a Bruxelles. Un'entità burocratica dal potere enorme, dagli intenti finora piuttosto discutibili: è lecito chiederci se con le sue raccomandazioni essa mira ad un migliore futuro del nostro paese o solo alla tenuta del sistema Europa ed Euro, non importa quale ne sia il prezzo per le persone. È ancor più lecito chiedersi se il Governo Letta, nel proporre un decreto ispirato esclusivamente a queste indicazioni, abbia fatto il bene del Paese.
      Non occorreva che fosse la Commissione di Bruxelles a chiederci di «diversificare l'accesso delle imprese ai finanziamenti», bastava ascoltare davvero le nostre imprese che da almeno 5 anni sono strozzate da un sistema bancario che ha scaricato sul mondo produttivo i propri errori finanziari; non occorreva che la Commissione ci dicesse che il Mezzogiorno Pag. 122deve impiegare i fondi ingenti che la politica di coesione mette a disposizione, posto che quella parte del Paese, che beneficia di stanziamenti nazionali e comunitari superiori a tutte le altre, ha il dovere non solo economico ma morale di non sprecare queste risorse, per incuria e incapacità, in un momento nel quale ogni euro potrebbe essere fondamentale per altre imprese ed altri territori.
      E certamente non ci siamo accorti ora che, con le parole della Commissione ancora una volta riportate dalla relazione al decreto, occorresse «semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese».
      Lo strumento del decreto legge, è stato rilevato anche attraverso pregiudiziali di costituzionalità, si presta a critiche per quel che riguarda la necessità di riforme di ampio respiro, cosiddette ordinamentali, che in questo testo hanno trovato una collocazione impropria e che aggiungeranno probabilmente ulteriore confusione ed eterogeneità di fonti normative sui singoli temi. Certo il decreto ha il vantaggio della immediata entrata in vigore, opportuna per alcune norme, molto meno per altre. Di questo decreto tuttavia, lasciando ad altri l'approfondimento della forma, dobbiamo stimmatizzare nella sostanza la decisione di far confluire in un unico calderone decisamente eterogeneo disposizioni che necessitavano di un approfondimento settoriale dedicato. Emblematico il caso delle norme riguardanti la Giustizia, certamente non cosmetiche ma che disegnano anzi una vera e propria riforma, sulle quali la commissione di merito ha potuto riunirsi solo per poche sedute e limitarsi ad esprimere un semplice parere.
      Questo parere di minoranza è animato dalla positiva volontà, da parte nostra, di proporre all'assemblea un contributo al testo in senso migliorativo, partendo dalle proposte oggetto del decreto, nella speranza che il decreto «del fare» possa diventare un decreto «del fare di più».
      Procederò pertanto alla disamina di alcuni degli articoli del provvedimento che riteniamo potessero essere concepiti in maniera più efficace, e sui quali il nostro gruppo ha presentato proposte emendative migliorative sulle intendo richiamare l'attenzione del Governo, dei relatori e dei colleghi, chiedendo loro di sostenerle.
      Partirei dall'analisi delle misure che riguardano il comparto industriale. Il decreto legge che stiamo per convertire sembra compiere un timido passo verso una nuova fase di crescita, il quale non si ritiene tuttavia decisivo per ridare slancio all'economia italiana, in quanto privo una visione politica di ampio respiro, finalizzata a restituire competitività al tessuto produttivo del Paese.
      Gli effetti della crisi che stiamo attraversando non si possono comprendere appieno, e quindi contrastare, se non si tiene conto della specificità del tessuto economico italiano che è caratterizzato dalla prevalente presenza di piccole imprese, a vocazione fortemente territoriale, che da sempre sono l'asse trainante dell'economia del Paese.
      Queste imprese sono oggi in uno stato di profonda sofferenza; molte di loro sono ormai condannate alla chiusura a causa della scarsa liquidità di cui dispongono, dovuta alle difficoltà di accesso al credito bancario, e della forte oppressione fiscale, che è fra le più alte d'Europa.
      Una seria politica di rilancio del comparto produttivo italiano non può quindi prescindere da un'incisiva azione a sostegno delle micro, piccole e medie imprese, che affronti in maniera strutturale quelli che sono i maggiori ostacoli alla loro crescita, primo fra tutti l'accesso al credito.
      Oggi le imprese sono in crisi, oltre che per calo della domanda, anche e soprattutto perché non hanno le risorse necessarie per creare investimenti, e quindi dare occupazione.
      L'accesso al credito negli ultimi anni è infatti diventato sempre più problematico, sia per le aziende che addirittura per i privati, comportando un grave rallentamento dell'intero processo di produzione, vendita e consumo.
      La speciale attenzione posta dal precedente Governo Monti verso la tutela delle Pag. 123banche, ha progressivamente inciso sul rilascio di liquidità da parte di quest'ultime, determinando un vero e proprio ristagno economico che sta compromettendo la possibilità da parte delle imprese di improntare nuovi investimenti, e conseguentemente di programmare la propria crescita non solo economica, ma anche e soprattutto tecnologica, con gravi ripercussioni sulla competitività delle aziende italiane in Europa.
      I dati, infatti, oltre ad evidenziare sempre più crescenti difficoltà di accesso al credito da parte delle piccole imprese, indicano anche un costante aumento dei prestiti destinati a garantire l'attività ordinaria di impresa. A fine 2012 si è ridotta, rispetto all'inizio dello stesso anno, la percentuale delle piccole e medie imprese che si sono rivolte alle banche per chiedere un prestito, indice, questo, del forte calo di fiducia nei confronti degli istituti di credito. Inoltre, sempre nel 2012 è sceso, rispetto all'inizio dello stesso anno, il numero di piccole e medie imprese che ha ottenuto un finanziamento di importo pari o superiore rispetto a quello richiesto.
      L'articolo 1 (Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese) del presente decreto, si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un più ampio accesso al credito. Se pure, in linea di principio, l'intervento può essere condivisibile, bisogna tuttavia tener conto che per quest'anno le misure adottate avranno un impatto di poco rilievo sull'operatività del Fondo. Infatti, l'adeguamento dei criteri di valutazione delle imprese per l'accesso alla garanzia del Fondo stesso verrà definito soltanto alla fine del 2013 con l'adozione di un decreto ministeriale.
      Alla scarsa tempestività di intervento del Governo fa intanto seguito il numero di fallimenti delle aziende. In Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia, Lazio e Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi di quest'anno. In questi tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012.
      In questo scenario, per aiutare le imprese ad uscire dalla crisi, noi abbiamo in primo luogo proposto che le risorse assegnate al Fondo di garanzia vengano ripartite tra le Regioni in maniera proporzionale alla capacità contributiva di ciascuna Regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di imprese, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed occupazionale, generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita dei posti di lavoro.
      A nostro giudizio, il decreto per favorire la ripresa economica avrebbe dovuto anche preoccuparsi di fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa nel territorio nazionale. Abbiamo avanzato perciò una proposta a nostro avviso interessante, che prende le mosse da sperimentazioni già avviate positivamente dalla Regione Lombardia: il nostro emendamento, respinto in commissione dal Governo e dai relatori senza alcun approfondimento, propone di riconoscere alle Regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive, queste ultime incentivate attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale.
      Con le nostre proposte di sostegno alle piccole e medie imprese, abbiamo cercato e cerchiamo oggi con il consenso di questa aula di dare un ulteriore impulso alla crescita del Paese, impegnando le stesse imprese a non delocalizzare la produzione al di fuori dello spazio economico europeo.
      L'articolo 2 (Finanziamento per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese) sempre con l'obiettivo di accrescere la capacità di credito al sistema Pag. 124produttivo, consente alle piccole e medie imprese di accedere a finanziamenti a tasso agevolato per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti ed attrezzature ad uso produttivo. Tale iniziativa potrebbe avere effetti positivi sul tessuto imprenditoriale, stimolando la ripresa dei consumi interni a vantaggio di tutti i comparti produttivi del Paese, specie del manifatturiero. Tuttavia, anche in questo caso, dobbiamo constatare che le misure saranno operative soltanto a partire dall'anno successivo, rischiando di arrecare un danno alle imprese, e non certo un beneficio, dal momento che lo slittamento al 2014 dei previsti benefici ha già prodotto il blocco degli ordini programmati. Anche qui, la nostra proposta di anticipare all'anno in corso le misure di sostegno alle investimenti delle piccole e medie imprese non ha trovato finora ascolto.
      L'articolo 3 (rifinanziamento dei contratti di sviluppo) stanzia altri 150 milioni per questi fantomatici contratti di sviluppo, a valere sul Fondo per la crescita sostenibile. È un dispositivo che non sta funzionando, lo sappiamo, e non capiamo il motivo di usare altri 150 milioni senza una verifica dell'efficacia dei progetti messi a punto fino ad ora. Anche il Governo lo sa, e infatti ha previsto che le somme non impegnate entro il 30 giugno 2014 tornino al fondo da cui sono state prese. Pare uno specchietto per le allodole di cui non comprendiamo la finalità. Il Fondo stesso nel suo insieme, creato dal Governo Monti nel giugno 2012, non è mai stato operativo perché per un anno abbiamo aspettato il decreto attuativo del ministero per lo sviluppo economico. Un Fondo che dovrebbe erogare agevolazioni, ma non sono stati emanati i relativi bandi, quindi non un solo euro di quel fondo ha prodotto un risultato. Un sistema così complesso non serve alle nostre imprese, non devono essere costrette ad inventare progetti, pagare consulenti per scriverli, inseguire le procedure burocratiche, devono invece fare quello che sanno fare, impresa, e lo Stato anziché complicati meccanismi per inseguire fondi potrebbe utilizzare quei fondi per sollevarli dal peso fiscale opprimente, potrebbe togliere burocrazia anziché inventarne di nuova.
      La nostra posizione è molto critica sugli interventi per la riduzione dei prezzi dell'energia elettrica (articolo 5). La scelta di destinare parte delle maggiori entrate, derivanti dall'estensione della Robin tax, alla riduzione della componente A2 della tariffa elettrica è poco credibile, in quanto le risorse messe in campo sono molto esigue, soprattutto se paragonate agli alti costi energetici che gravano su imprese e famiglie. Tali costi rappresentano una delle maggiori cause dello svantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei.
      In Italia, la bolletta energetica è del 18 per cento più alta rispetto alla media europea. Dall'allineamento dei prezzi dei prodotti energetici italiani (energia elettrica, gas e carburanti) a quelli medi europei deriverebbe un risparmio annuo di circa 25 miliardi di euro, che potrebbero essere destinati allo sviluppo del sistema produttivo italiano. L'alta dipendenza dell'Italia dai combustibili fossili, che soddisfano circa 1'82 per cento della domanda interna, è la prima causa dell'aumento dei prezzi energetici. Negli anni dal 2000 al 2012 i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 200 il per cento, quelli del carbone del 160 per cento e quelli del gas sul mercato europeo di circa il 300 per cento. A parità di consumi e al netto dell'inflazione, la fattura pagata dall'Italia per l'importazione di fonti fossili è passata, da metà degli anni novanta ad oggi, da 20 a 60 miliardi di euro.
      Per il settore energetico, ci saremmo quindi aspettati di trovare nel decreto un'azione strategica di lungo periodo finalizzata a restituire maggiore competitività all'economia italiana, attraverso la riduzione della dipendenza dalle fonti fossili, a vantaggio dello sfruttamento dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili, anche in linea con gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei Ministri lo scorso mese di maggio, in vista della partecipazione al Consiglio europeo. Il settore energetico è infatti strategico per l'economia del Paese, con un giro di affari, Pag. 125in crescita, attorno al 20 per cento del Pil e con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati.
      Riguardo agli articoli 6 e 7 (imprese miste per lo sviluppo e partenariati per la cooperazione) riteniamo che essi non trovino una collocazione opportuna in questo decreto. Della cooperazione allo sviluppo ci siamo sentiti rinfacciare sempre che gode di finanziamenti inadeguati, addirittura ridicoli. Che non investiamo abbastanza. Che non attribuiamo sufficiente importanza e organicità alla politica di aiuto del nostro Paese. La lega ha sempre sostenuto invece che i soldi stanziati, prima di essere aumentati, devono essere investiti meglio, con più efficienza e più controllo. Con questo articolo non solo vediamo che si pone mano a questa materia in un provvedimento eterogeneo, dedicato a tutt'altro, creando l'ennesimo intervento normativo estemporaneo senza una riforma vera e organica della materia. Ma quello che è peggio è che scopriamo che i fondi destinati all'aiuto allo sviluppo stanno parcheggiati vergognosamente e non servono a nulla. L'articolo 7 nasce dal fatto che sul fondo rotativo per la cooperazione allo sviluppo, risultano giacenti 108 milioni di euro al 31 dicembre 2012, ma dal 2000 al 2011 risultano erogati appena 4,4 milioni di euro per sole otto proposte di finanziamento ! ! Se questa è la proporzione, se questa è l'attrattività che questo fondo ha per le imprese, non credo che una mera limatura delle possibilità di finanziamento porti l'utilizzo dei fondi dal 4 al 100%. Ammettiamo che questo fondo non funziona e trasferiamo i fondi ad attività più utili, soprattutto per rispetto di quei paesi che consideriamo in via di sviluppo e che non dobbiamo prendere in giro, stanziando fondi che sappiamo già resteranno inutilizzati.
      Sull'articolo 9 (accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei), la nostra posizione non è certamente contraria, è, passatemi il termine, «desolata». Certo non saremo noi ad opporci a questa accelerazione, ma dobbiamo ancora una volta constatare che mentre una parte del paese si impegna, si affanna, si aggrappa con ogni forza al desiderio di uscire da una crisi economica che ne sta distruggendo i risparmi e le speranze, un'altra parte del Paese, da sempre, si permette di essere superficiale anche nell'impiego dei tanti miliardi che a livello nazionale e comunitario vengono destinati alle politiche di coesione, per colmare il ritardo nello sviluppo accumulato in anni di male gestioni. Non si tratta di fondi piovuti dal cielo, ma imposti da un principio di solidarietà collettiva a livello nazionale e comunitario, quindi sottratta ad altri popoli e ad altri territorio. Non utilizzare appieno i fondi comunitari disponibili, se fino a ieri poteva essere considerato l'ennesimo cattivo esempio delle amministrazione del sud, oggi sono da considerarsi un vero sfregio per le tante zone dove la crisi economica sta mettendo in ginocchio anche aziende sane e gestioni accurate, e dove poter avere fondi aggiuntivi potrebbero essere vitali. Il Ministro per la coesione ci ha trasmesso dati vergognosi, nelle aree del sud ancora oggi, dopo i vari tentativi di riprogrammazione, si continua a non riuscire a spendere più del 35% delle risorse disponibili. Restano concretamente non spesi circa 30 miliardi di euro, una cifra enorme, pari a più di una finanziaria, che il Mezzogiorno restituirà probabilmente all'Europa continuando però ad avanzare magari altre richieste di denaro pubblico dalle magre casse dello Stato Italiano.
      Vediamo con favore l'articolo 11 (Proroga del credito d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico) che estende anche al 2014 i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico. Il tetto massimo di spesa viene fissato in 45 milioni. Questi meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico sono stati introdotti dalla legge finanziaria 2008 e poi prorogati fino al 31 dicembre 2013. Si applicano sia alle imprese che non appartengono alla filiera del settore cinematografico ed audiovisivo (c.d. tax credit esterno) che alle imprese interne alla filiera del cinema (c.d. tax credit interno). A Pag. 126differenza del precedente stanziamento triennale, la nuova proroga ha validità unicamente annuale e, soprattutto, dimezza l'entità della spesa. In ogni caso rappresenta un meccanismo sicuramente più neutro rispetto al finanziamento diretto.
      Se il tax credit consente in parte di allentare il legame fra cultura, politica e apparato pubblico (burocrazia), permette anche e soprattutto di aumentare l'afflusso degli investimenti privati, stimolati proprio da un fisco di favore.
      Nel precedente stanziamento triennale, la criticità maggiore era rappresentata dalla fonte del finanziamento: i 90 milioni annui erano stati infatti reperiti con l'inasprimento delle accise sui carburanti. Anche per il 2014 le risorse verranno recuperate allo stesso modo e denota l'incapacità di razionalizzazione della spesa pubblica.
      In questi ultimi anni i sussidi diretti erogati tramite il Fondo unico per lo spettacolo sono andati via via calando. Le agevolazioni fiscali hanno però consentito di aggiungere nuove risorse per il settore. La produzione di pellicole non ha subito flessioni. Anzi, nel 2012 si sono realizzati in Italia 166 film, rispetto ai 155 del 2011. Da notare inoltre come più di 100 film abbiano richiesto una qualche forma di credito d'imposta. In questi pochi anni il tax credit ha pertanto preso piede nel nostro paese, sopravanzando l'importanza dei contributi diretti e generando maggiori investimenti nel settore.
      Occorrerebbe però dare progettualità a tale strumento. La pianificazione degli investimenti da parte dei privati richiede che le norme abbiano un orizzonte temporale prolungato e una minore incertezza relativa alle risorse disponibili.
      Per quel che riguarda le misure per il potenziamento dell'Agenda Digitale (articoli 10, artt. 13-16) la volontà di questo Governo di intervenire per il potenziamento dell'agenda è assolutamente condivisibile, anche se dobbiamo comunque sottolineare alcune criticità nel provvedimento che non possiamo ignorare se davvero vogliamo restituire al nostro Paese il suo ruolo storico di esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione. Dare un input serio al settore digitale è un atto dovuto visto che è uno dei pochi nei quali all'investimento corrisponde un ritorno di Pil.
      Sappiamo che i principali Paesi europei si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di nuova generazione (NGN) in linea con gli obiettivi dell'Agenda Digitale Europea considerandola elemento base della sostenibilità socioeconomica.
      Era quindi doveroso intervenire, come sollecitato anche dall'Agcom, con misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi nonché con iniziative che facilitassero la creazione di un sistema digitale in cui aziende e cittadini potessero produrre e fruire contenuti digitali. Ma gli interventi richiesti dall'Agenda digitale europea devono ovviamente trasformarsi in un piano serio, congruo e concreto per le esigenze del nostro Paese più che per quelle europee. Un'agenda per il nostro Paese e le nostre imprese che preveda interventi nell'ambito delle infrastrutture tecnologiche, sia dei servizi finali che infrastrutturali, includendo i necessari standard per l’e-business e per i beni digitali (o «neobeni puri», secondo la definizione del CNEL) e una più organica regolamentazione. E soprattutto un piano che preveda delle scadenze fisse che devono essere rispettate.
      Siamo ancora in attesa che vengano attuati tutti gli adempimenti previsti dai provvedimenti del Governo Monti.
      Aspettavamo una relazione annuale governativa alle Commissioni parlamentari competenti sullo stato di attuazione dell'Agenda digitale italiana entro febbraio, come previsto dal decreto crescita del 2012, ora aspettiamo il prossimo anno.
      Questo provvedimento dedica un intero capo alle misure per il potenziamento dell'agenda digitale italiana, ma purtroppo, fra le azioni previste, la condivisione e la coubicazione delle infrastrutture non viene affrontata. Riteniamo invece che sia un elemento di grande rilevanza. Le misure di promozione degli investimenti, con particolare Pag. 127riguardo alla condivisione e coubicazione delle infrastrutture, sono un elemento cruciale nei quadro degli interventi per lo sviluppo del Paese e dell'economia digitale. La mancanza di simili misure, infatti, potrebbe rappresentare un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi proposti e alla realizzazione di una competizione sostenibile anche in termini infrastrutturali. Laddove, infatti, un operatore di comunicazione elettronica si trovasse in una posizione tale da avere il controllo e/o la proprietà di infrastrutture strategiche, la cui duplicazione risulti economicamente inefficiente o fisicamente impraticabile, sulle quali installare apparati di rete (wireless e wireline) necessarie per la diffusione delle nuove reti a banda larga ed ultralarga che altrimenti non sarebbero realizzabili, lo stesso si troverebbe a beneficiare di un vantaggio competitivo nei confronti degli altri operatori difficilmente compensabile, impedendo l'installazione di reti capillari sul territorio a detrimento del benessere dei consumatori.
      Fra le misure che ci saremmo augurati di trovare e che non abbiamo invece trovato è l'abolizione di una tassa particolarmente sfavorevole per l'utenza di telefonia in abbonamento, che genera un carico fiscale irragionevole, oltre che un immotivato squilibrio in un ambito, quello dei servizi telefonici, cruciale per la crescita di tutto il Paese. Tale riequilibrio avverrebbe attraverso la contribuzione di soggetti che, operando formalmente al di fuori del territorio italiano, si avvantaggiano non poco dal presente stato di cose, poiché da un lato forniscono servizi di comunicazione elettronica sul territorio italiano, essendo di fatto svincolati da molte delle regole vigenti in Italia nel settore; dall'altro, godendo, per le stesse ragioni, di un regime fiscale favorevole, che, di nuovo, costituisce una condizione asimmetrica a svantaggio degli operatori di telecomunicazione radicati sul territorio, non sono in grado di «restituire» all'Italia, in termini fiscali, il valore, diretto e indiretto, generato attraverso la vendita di servizi di comunicazione e dei correlati proventi pubblicitari, spesso molto ingente. In questo provvedimento si potevano porre le basi per rimuovere tale squilibrio senza generare scompensi per il bilancio dello Stato, ma purtroppo non è stato fatto. Attualmente la tassa di concessione governativa grava sulle utenze mobili dei privati per 5,16 euro/mese e per le utenze delle aziende, dei professionisti, dei commercianti per 12,91 euro/mese. Il beneficio della soppressione di questa tassa anacronistica (nasceva negli anni ’90 come tassa sul lusso, ed ora il telefonino non è sicuramente più un lusso) sarebbe quindi diretto per i cittadini.
      Fra gli articoli del provvedimento, vengono previsti interventi per favorire la liberalizzazione dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica, che sono sicuramente condivisibili. Siamo favorevoli ad un piano che miri a creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti privati, favorendo la collaborazione tra i vari operatori e tra questi e le amministrazioni pubbliche. Ma esistono degli interventi concreti che potevano già essere adottati in questo provvedimento e che potrebbero contribuire a mettere il nostro Paese nelle condizioni di essere più competitivo, creando al contempo centinaia di migliaia di posti di lavoro, ad alto valore aggiunto e consentendo allo straordinario patrimonio rappresentato dalle nostre piccole e medie imprese di generare nuova ricchezza.
      Fra gli interventi necessari che dovevano essere inseriti in un decreto del fare, c’è sicuramente la promozione delle reti tic di nuova generazione attraverso la semplificazione delle procedure amministrative con l'abolizione delle autorizzazioni, concessioni e di tutti gli altri atti amministrativi non indispensabili. C’è la condivisione dei lavori di scavo da parte di differenti fornitori di servizi a rete (elettricità, gas, acqua, ecc). E poi gli incentivi alla circolazione dei contenuti digitali per favorire un ambiente più concorrenziale nell'accesso alle risorse per i media e la promozione delle transazioni on line attraverso norme pro digitalizzazione improntate alla riduzione dei costi e degli Pag. 128adempimenti oltre che alla facilità di accesso ai contenuti digitali, che sono un diritto per il cittadino. E ancora l'alfabetizzazione digitale, utilizzando il canale scolastico e quello dei media. Interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di una politica dello spettro radio coerente con i principi comunitari in cui siano valorizzate le risorse frequenziali, liberando più risorse per la larga banda fino ad arrivare allo sviluppo della moneta elettronica e dell'e-commerce attraverso la diffusione delle tecnologie near field communication per i pagamenti in mobilità.
      Avremmo voluto leggere norme che mettessero il Paese nelle condizioni di sviluppare appieno le potenzialità di Internet e delle nuove tecnologie con un piano chiaro in grado di generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito, la competenza, il coraggio con maggiore equità nelle opportunità e nei diritti.
      L'articolo 18 ha lo scopo di consentire la continuità dei cantieri in corso e il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori, prevedendo l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro, ripartita in cinque anni.
      La linea è quella da noi perseguita nell'ultimo decennio, attraverso l'alleggerimento delle procedure della legge obiettivo e la scelta politica di avviare i lavori delle opere immediatamente cantierabili e di non bloccare quelle in corso di esecuzione.
      Una parte delle risorse del fondo è destinata al programma «6000 Campanili» che prevede interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio.
      Purtroppo, nonostante la condivisione dell'obiettivo, riteniamo la norma difficilmente applicabile, da una parte perché le scadenze da osservare sono molto ravvicinate e dall'altra perché i piccoli comuni fino a 5000 abitanti troveranno serie difficoltà per poter attuare spese da 500mila a un milione di euro, dal momento che le risorse statali e le relative spese non vengono escluse dal Patto di stabilità interno. Riteniamo che dovrebbe essere prevista, o la suddivisione delle risorse in più interventi, abbassando i limiti inferiore e superiore della spesa o l'ampliamento dei soggetti beneficiari a comuni anche più grandi.
      Altre norme prevedono il finanziamento di interventi da effettuare da parte di ANAS SpA, per la manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie, e le Commissioni in sede referente hanno inserito nel testo disposizioni indifferibili, in favore della riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici autorizzando risorse per la ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici.
      Pur apprezzando lo sforzo del Governo di suddividere le risorse disponibili ad una serie di finalità importanti per la messa in sicurezza del territorio, si rileva la mancata destinazione di specifiche risorse per il contrasto al rischio idrogeologico, anche in considerazione degli impegni assunti dal governo con le apposite mozioni approvate in Aula e della necessità di definire una politica di prevenzione e di difesa del suolo nel nostro Paese.
      La riduzione degli stanziamenti e delle assegnazioni ad alcune opere tra le quali il Terzo Valico dei Giovi e la nuova linea Torino Lione, riteniamo che dovranno essere compensate nelle prossime manovre finanziarie del Governo, non appena i relativi progetti diverranno cantierabili.
      Coerentemente con l'approccio costruttivo che anima la nostra partecipazione alla conversione del decreto, voglio sottolineare come riteniamo positive le misure previste dall'articolo 19: esso agevola il finanziamento delle infrastrutture, con specifico riferimento agli incentivi fiscali, riducendo da 500 a 200 milioni di euro il valore dell'opera infrastrutturale al di sopra del quale viene concesso il credito d'imposta in caso di realizzazione di nuove infrastrutture mediante contratti di partenariato-pubblico-privato e defiscalizzazione. Inoltre sono rese strutturali le agevolazioni Pag. 129fiscali in materia di project bond, vale a dire la deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e catastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all'emissione di project bond. Sono previste inoltre una serie di norme di modifica del codice degli appalti, applicabili anche alle concessioni in finanza di progetto relative ai lavori «ordinari» e all'affidamento di opere strategiche, che dovrebbero agevolare il finanziamento delle operazioni di Partenariato Pubblico Privato e la loro bancabilità.
      Sul tema dei Porti e della nautica, rilevano gli articoli 22 e 23.
      Nel decreto si pone rimedio ad un errore di calcolo fatto dall'ex presidente del Consiglio Monti che aveva introdotto, nel Salva Italia, una tassa di ancoraggio per le imbarcazioni. Questa tassa ha imposto ai proprietari, gli usufruttuari o gli utilizzatori delle imbarcazioni di pagare la cifra minima (per la tipologia più piccola di scafi), di 1.825 euro in un anno solare. Nei fatti, come noi avevamo sottolineato in tutte le occasioni possibili, questo ha comportato una fuga verso i Paesi concorrenti dell'Italia nel Mediterraneo: Spagna, Francia, Slovenia, Croazia, Tunisia e ha arrecato un notevole danno, in maniera indiretta, alla nostra cantieristica, a coloro che svolgono manutenzioni o servizi nel campo della nautica e a tutto il settore turistico.
      Tali tasse, che hanno portato l'esodo di quasi 30 mila imbarcazioni, sono state attenuate in questo provvedimento: abolite quelle sulle piccole imbarcazioni e dimezzate quelle per le imbarcazioni fino a 20 metri, mentre rimangono invariate sulle barche superiori a 20 metri. Intervento chiesto da più parti e dovuto. Speriamo che questo, insieme alla possibilità concessa alle autorità portuali di diminuire le tasse sulle merci e per l'ancoraggio possa dare nuovo impulso all'intero comparto della nautica, ripopolando i nostri porti.
      Ma se l'intento della norma che consente di diminuire le tasse fino ad azzerarle è quello di consentire alle autorità portuali di modulare la propria offerta in relazione alle condizioni di svantaggio concorrenziale in cui possono trovarsi rispetto ad altri porti, anche stranieri, non è chiaro perché all'articolo 22 di questo provvedimento viene data la facoltà anche di raddoppiare le tasse portuali.
      Per promuovere la concorrenzialità dei nostri porti e per consentire l'attrazione dei traffici che oggi, se pure originati o diretti dai centri produttivi del Nord Italia, si servono dei scali esteri, abbiamo sempre sollecitato interventi che puntassero sull'autonomia finanziaria delle Autorità portuali. In questo modo si potrebbe ottenere infatti un duplice vantaggio: a livello locale si garantirebbe maggiormente la disponibilità e la regolarità delle risorse che consente di ricorrere anche a capitale di debito da parte dei soggetti promotori; a livello centrale si eviterebbe di operare mediante un meccanismo redistributivo indifferenziato ottimizzando, invece, il processo di selezione e di approvazione delle infrastrutture avendo come riferimento i benefici effettivamente attesi e/o generati.
      È quindi assolutamente condivisibile, anche se probabilmente non sufficiente o risolutivo, l'innalzamento da 70 a 90 milioni di euro annui il limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell'1 per cento dell'Iva riscossa nei porti.
      In materia di appalti, all'articolo 26, sono stati approvati alcuni emendamenti presentati anche dal nostro gruppo, fondamentali per sollevare economicamente le imprese in questo momento di crisi che attraversa il Paese. Il riferimento è soprattutto alla qualificazione delle imprese sulla base della dimostrazione del requisito della cifra di affari realizzata con lavori nell'ultimo decennio, l'incentivazione per le amministrazioni di suddividere i lavori in lotti, l'anticipazione alle imprese del 10 per cento dell'importo contrattuale.
      Purtroppo non sono stati approvati i nostri emendamenti che avevano l'obiettivo degli appalti a km zero, ossia lo scopo di privilegiare il criterio della «territorialità», per tutti gli appalti, grandi e piccoli, attraverso l'applicazione di maggior punteggio Pag. 130nei bandi per la sostenibilità ambientale e la suddivisione in lotti. Peraltro, la legge 11 novembre 2011, n.  180, «statuto delle imprese» già prevede il coinvolgimento delle imprese locali nella realizzazione di grandi infrastrutture, allo scopo di garantire la convenienza economica e la maggiore responsabilizzazione delle imprese nello svolgimento dei lavori. È chiaro a tutti, infatti, che l'esecuzione dei lavori da imprese che non hanno legami con il territorio interessato comporta spesso una minore responsabilità sociale da parte delle stesse imprese.
      Veniamo dunque al Titolo II del decreto, dedicato alle semplificazioni: con l'articolo 33 si interviene sul procedimento di acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia.
      Questa disposizione appare disomogenea rispetto al complesso delle norme inserite nel presente decreto legge ed evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità ed urgenza.
      La legge 91/1992 sulla cittadinanza consente agli stranieri nati, e legalmente residenti senza interruzioni fino a 18 anni, in Italia, l'acquisto della cittadinanza per elezione, purché presentino una dichiarazione conforme di volontà entro un anno dalla maggiore età (articolo 4, comma 2). L'attribuzione della cittadinanza è automatica, ma condizionata alla dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti. Per il regolamento di esecuzione (decreto del Presidente della Repubblica 572/1993), tale dichiarazione di volontà va resa dall'interessato all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza, allegando l'atto di nascita e la documentazione relativa alla residenza; si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e da quelle in materia di iscrizione anagrafica (articolo 3, comma 4): così la residenza legale, prevista dalla legge, viene equiparata alla residenza anagrafica, impostazione non condivisa dalla giurisprudenza di merito – che applica alla fattispecie il concetto di residenza legale definito dall'articolo 43 codice civile quale luogo in cui la persona ha la dimora abituale (Corte di Appello di Napoli, sent. 1486/2012) – e dalla prassi amministrativa più recente, che ha individuato, con apposite circolari, criteri di applicazione dell'articolo 4, comma 2, della legge del 1992 finalizzati ad evitare che le omissioni o i ritardi relativi agli adempimenti (come l'iscrizione anagrafica) spettanti ai genitori siano imputabili al minore. Il decreto-legge interviene sulle questioni applicative poste dal regolamento di esecuzione – sulle quali peraltro non solo la giurisprudenza ma la stessa competente amministrazione è intervenuta con circolari specifiche – prevedendo che, ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione, e che egli possa dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione. Inoltre si prevede che gli ufficiali di stato civile debbano comunicare all'interessato, al compimento del diciottesimo anno di età, presso la sede di residenza che risulta all'ufficio, la possibilità di esercitare il predetto diritto entro il diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto potrà essere esercitato anche oltre il termine fissato dalla legge. Senza novellare la legge 91/1992, viene così legificata, con una formulazione generica che non specifica gli eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, la dettagliata prassi amministrativa in materia. Questa disposizione prevedendo l'obbligo per gli enti locali di comunicazione agli interessati interferisce direttamente in quelle funzioni e competenze proprie dei comuni.
      Al fine di non aggravare ulteriormente le casse dello Stato e delle amministrazioni locali sarebbe stato opportuno, anzi sarebbe stato dovuto, considerato che tale disposizione appare non essere dotata di necessaria copertura finanziaria ex articolo 81 della Costituzione, specificare che le disposizioni di cui al comma 2 non debbano comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che Pag. 131quindi i costi relativi alle comunicazioni siano a carico del ricevente, come difatti abbiamo proposto.
      Se da una lato una valutazione nel merito degli effetti che produrrà l'introduzione della presente disposizione è positiva e in linea con le recenti norme giurisprudenziali, dall'altro lato la portata di tale intervento governativo deve essere valutata in un ottica più ampia rispetto alla sua specifica entità. Il Governo con questa disposizione interviene nell'ambito della normativa che regola le procedure relative all'acquisizione della cittadinanza. Fin dalla passata legislatura il tema della cittadinanza ha occupato ed ancora oggi occupa grande spazio nel dibattito politico. Questa misura del Governo se considerata in termini politici appare come un test per vagliare la disponibilità della maggioranza su un prossimo intervento strutturato di modifica della normativa vigente in materia di acquisizione della cittadinanza finalizzata all'introduzione nel nostro Paese del principio dello ius soli. È difatti necessario ribadire che questo decreto legge ex articolo 33 interviene a regolare proprio uno dei pochi casi previsti dal nostro ordinamento giuridico di applicazione dello ius soli.
      Quando si affronta il tema del diritto alla cittadinanza non si può ragionare sotto la spinta di argomentazioni suggestive ma non razionali. L'utilizzo strumentale di argomentazioni finalizzate a facilitare e incrementare l'acquisizione della cittadinanza, quale strumento essenziale di una effettiva integrazione nella società, anche attraverso l'utilizzo di patinate immagini di bambini nati e cresciuti in Italia e privati di questo diritto, è socialmente pericoloso. Prevedere, difatti, la cittadinanza a chi, anche se figlio di clandestini appena sbarcati, nasca sul suolo italiano (ius soli), sarebbe molto più pericoloso degli sbarchi di massa. Infatti non solo il nascituro diverrebbe italiano con tutti i diritti ma permetterebbe a genitori, fratelli e altri parenti di entrare nel nostro Paese con possibilità di permanenza illimitata. Una ondata di nuovi disperati preventivamente legalizzati ma senza specializzazione alcuna e senza lavoro prede della povertà e dello sfruttamento.
      È importante sottolineare che storicamente tutti i Paesi europei hanno adottato lo ius sanguinis mentre lo ius soli costituisce una caratteristica propria di quei paesi, come gli Stati Uniti d'America, che hanno avuto la esigenza di attrarre immigrazione per popolare un vasto territorio e coprire enormi esigenze di forza lavoro. Nella scelta tra i due criteri occorre quindi superare le questioni di puro diritto e ragionare sull'opportunità storica e strategica di applicare un principio piuttosto che un altro ad un determinato territorio in risposta alle esigenze specifiche del territorio stesso. Anche negli altri Paesi europei che riconoscono lo ius soli esso viene applicato solo in base a parametri piuttosto restrittivi, e mai tout court: in Francia si può acquisire la cittadinanza sia per ius sanguinis che per ius soli, ma si tratta comunque della seconda generazione: infatti è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza. In Germania, dal 1o gennaio 2000 acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca i figli di stranieri che nascono in Germania purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel paese da almeno otto anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato.
      Se gli obiettivi del presente decreto legge sono quelli di apportare modifiche normative atte a semplificare e limitare gli effetti negativi dell'apparato burocratico, sul tema della cittadinanza sarebbe stato più opportuno introdurre mediante modifiche all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n.  91, un percorso virtuoso per l'integrazione degli stranieri e apolidi presenti regolarmente nel nostro Paese introducendo anche l'obbligatorietà di un test di naturalizzazione propedeutico alla acquisto della cittadinanza.
      Un percorso di reale integrazione e assimilazione nella società italiana e nelle sue varie e fondamentali realtà locali, in modo da vivere attivamente nel nostro Pag. 132Paese, evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza.
      Il metodo da noi individuato per raggiungere questo scopo è quello di richiedere all'immigrato che intende diventare cittadino italiano il superamento di un esame che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società, esame che, oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni e sistemi istituzionali, sia nazionali sia locali. L'esame non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l'ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all'immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere nel modo migliore gli usi e i costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall'appartenere alla nostra nazione, per poter convivere quanto meglio possibile con la popolazione autoctona.
      Su questo tema sono ormai numerosi i Paesi che si sono orientati in tale direzione e a titolo esemplificativo citiamo, a livello europeo, la Gran Bretagna e, in ambito extraeuropeo, gli Stati Uniti d'America.
      In Gran Bretagna il «test di naturalizzazione» è stato inserito nella parte prima della legge del 2002 su «Nazionalità, immigrazione e asilo» (Nationality, Immigration and Asylum Act 2002) successivamente integrata e modificata. Dal lo novembre 2005 è perciò obbligatorio per il richiedente la cittadinanza britannica il superamento di un esame che comprende una prova di lingua inglese e, a seconda della zona di residenza, di gaelico scozzese o di gallese, e di nozioni sulle istituzioni britanniche e sulla democrazia parlamentare, sulla storia del Regno Unito, sulla conoscenza della legge in generale, inclusi i diritti e i doveri dei cittadini, sul mercato del lavoro e sulle fonti d'informazione, nonché informazioni su come soddisfare esigenze quotidiane quali la ricerca di una casa o pagare una bolletta.
      Negli Stati Uniti d'America, la procedura per il rilascio della cittadinanza prevede, come elencato nella «Guida alla naturalizzazione» edita dal Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d'America – Servizio immigrazione e naturalizzazione, che il richiedente, oltre al possesso di buoni requisiti morali e all'assenza di precedenti penali, debba superare un esame che dimostri la conoscenza della lingua inglese con la capacità di leggere, scrivere e comprendere frasi di uso quotidiano; inoltre è richiesta la conoscenza delle nozioni fondamentali della storia e delle istituzioni americane.
      L'acquisto della cittadinanza non deve essere un tortuoso percorso burocratico, ma deve essere il naturale coronamento della legittima aspirazione del richiedente, a seguito di un soggiorno legale di durata ragionevole sul territorio; l'inclusione piena di persone nella fruizione di diritti e nell'adempimento di doveri comporta anche per lo Stato innegabili vantaggi; il principio dello ius soli deve rivestire un ruolo di primario rilievo, da aggiungersi ai principi già previsti nella normativa vigente; il percorso giuridico verso la cittadinanza deve essere concepito come diritto soggettivo all'acquisizione e non come interesse legittimo.
      È proprio per queste ragioni che riteniamo che sarebbe stato opportuno prevedere nel presente decreto anche una disposizione atta ad introdurre una particolare disciplina per la revoca della cittadinanza quando ricorrano determinate condizioni. In un ottica di realizzazione di un percorso virtuoso sull'acquisto della cittadinanza la revoca della stessa concessa agli stranieri che si sono macchiati di crimini quali gravi violazioni del dovere di fedeltà nei confronti della Repubblica, sancito positivamente dall'articolo 54 della Costituzione, l'omicidio doloso, la violenza sessuale, l'associazione a delinquere di stampo mafioso, la riduzione in schiavitù, i reati di pedofilia e il traffico di droga, è un atto dovuto.
      Nella liberale Svizzera, l'articolo 48 della legge sulla cittadinanza prevede che l'Ufficio federale possa revocare la cittadinanza se la condotta del neo cittadino è Pag. 133di grave pregiudizio agli interessi e alla buona reputazione dello Stato elvetico.
      Avendo a cuore il destino della nostra Repubblica e la sicurezza dei suoi cittadini, dobbiamo mettere al centro del patto di cittadinanza i doveri e, in primo luogo, il dovere di lealtà verso chi ha accolto generosamente i nuovi venuti, come anche il dovere di rispetto nei confronti dei più importanti beni tutelati dal diritto penale. Alla luce di quanto esposto, non possiamo esimerci dallo stigmatizzare l'incapacità manifesta di questo Governo di comprendere il reale problema che in questo particolare momento di crisi economica internazionale avrebbe dovuto essere affrontato con estrema urgenza, considerata la necessità di apportare soluzioni immediate ad una problematica che rischia di avere un allarmante impatto sociale.
      Tutte le previsioni macroeconomiche degli istituti ed organismi accreditati fotografano un Paese in una situazione di vera e propria recessione.
      La grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando il nostro paese ha determinato e determinerà ancora di più nei prossimi mesi rilevanti ricadute negative sull'occupazione. I lavoratori più a rischio – anche per la tipologia delle loro mansioni e dei relativi contratti – saranno sicuramente i lavoratori stranieri. Tale situazione creerà rilevanti problemi non solo sotto il profilo strettamente occupazionale, ma anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, considerato il rischio attuale che molti stranieri, perdendo il posto di lavoro – in assenza di altri ammortizzatori sociali quali la famiglia e la comunità di appartenenza – finiscano per incrementare le fila della criminalità. Riteniamo, infatti, improcrastinabile l'avvio di uno studio sui flussi migratori che proceda: alla raccolta di dati ed all'elaborazione di statistiche sulle migrazioni internazionali; sulla popolazione dimorante abitualmente e sull'acquisizione della cittadinanza; sui permessi di soggiorno e sul soggiorno di cittadini di paesi extracomunitari, nonché sui rimpatri; al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto e alla formulazione di politiche attive di reinserimento di tali categorie di lavoratori; all'analisi della capacità recettiva del paese, in rapporto alle singole realtà territoriali, in riferimento ai posti di lavoro disponibili nei diversi settori occupazionali, alla disponibilità di alloggi, alla disponibilità e al costo dei servizi garantiti; all'analisi dell'impatto dell'immigrazione sotto il profilo del rapporto tra costi e benefici con particolare riguardo ai pubblici servizi; all'analisi del grado di integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale anche in rapporto ai paesi di provenienza; alla formulazione di proposte per la revisione del meccanismo dei flussi di ingresso di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, finalizzate ad includere nelle quote annualmente stabilite anche gli ingressi nel territorio dello Stato per motivi di ricongiungimento familiare.
      L'Articolo 39 (Uso individuale dei beni culturali e autorizzazione paesaggistica) opera modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 42/2004), in un'ottica di semplificazione, in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica, in particolare:
          il comma 1, lettera a), novella l'articolo 106 del decreto legislativo 42/2004 affidando al Ministero per i beni e le attività culturali la determinazione – che, in base all'articolo citato, spetta al soprintendente – del canone per la concessione in uso, a singoli richiedenti, di beni in consegna al medesimo Ministero. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere a singoli richiedenti l'uso dei beni culturali che hanno in consegna, purché per finalità compatibili con la loro destinazione culturale a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo;
          la lettera b) del comma 1, che novella i commi 4, 5 e 9 dell'articolo 146 del Pag. 134Codice dei beni culturali e del paesaggio estendendo l'efficacia quinquennale dell'autorizzazione paesaggistica per un ulteriore periodo massimo di dodici mesi, nel caso di lavori iniziati nel quinquennio decorrente dalla data di rilascio dell'autorizzazione;
          dimezza da 90 a 45 giorni il termine per l'espressione del parere obbligatorio non vincolante, nell'ambito delle procedure di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica che spetta alla regione, la quale si può pronunciare solo dopo aver acquisito il parere vincolante del Soprintendente, in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela;
          elimina il ricorso alla conferenza dei servizi conseguentemente riducendo il termine (da sessanta a quarantacinque giorni) oltre il quale l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione a prescindere dal suddetto parere.

      Abbiamo presentato un emendamento che mira ad eliminare le limitazioni poste dalla spending review agli interventi previsti dall'articolo 35 e 37 del Codice dei beni culturali. Conseguentemente si riapre la possibilità di rimborso per i privati degli interventi conservativi effettuati. Questo, oltre a costituire un volano economico ed occupazionale, serve ad incentivare i proprietari, possessori o detentori dei beni a restaurarli.
      Con l'infelice formulazione della norma sulla gestione delle acque sotterranee nelle aree da bonificare (articolo 41 comma 1), il Governo, nell'intento di sottoporre le acque emunte alla disciplina meno restrittiva degli scarichi industriali, semplificandone il regime, ha creato allarme per l'impatto ambientale della disposizione, mischiando gli interessi privati con gli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche e con l'opportunità di procedere al trattamento e isolamento delle fonti di contaminazione, con metodologie diverse, prima dell'avanzamento delle attività di emungimento delle falde.
      Inoltre, la norma sulla gestione delle terre e rocce da scavo, che applica il decreto ministeriale n.  161 del 2012 solo ai materiali provenienti dalle opere sottoposte a VIA o ad AIA, ha rischiato di lasciare senza disciplina tutti i materiali da scavo provenienti da opere diverse, anche quelli di piccole quantità, sottoponendo tali materiali alla disciplina dei rifiuti, invece che a quella dei sottoprodotti, con oneri pesantissimi a carico degli operatori e dei cittadini, per l'invio indiscriminato in discarica di tali materiali anche se ancora utilissimi per opere diverse.
      Senz'altro, l'intervento delle Commissioni, grazie all'approvazione di emendamenti presentati anche dal Gruppo Lega Nord e Autonomie, è stato efficace per correggere tali norme, tutelando l'ambiente ma senza appesantire di obblighi burocratici gli imprenditori.
      Esprimiamo invece il nostro forte dissenso per l'ampliamento delle competenze del commissario per i rifiuti di Roma e per la nomina di nuovi commissari ad acta per la gestione degli impianti dei rifiuti della Campania. Purtroppo, dopo anni di commissariamento, prosegue la crisi annosa della gestione dei rifiuti della Campania che stenta a tornare al regime ordinario, diventando anche oggetto della procedura di infrazione comunitaria n.  2007/2195. Riteniamo che la strada della nomina di nuovi commissari, in luogo del ritorno alla gestione ordinaria dei rifiuti, non riuscirà a dare soluzioni concrete alla situazione campana, verso obbiettivi che vedono il rifiuto trattato come risorsa economica piuttosto che come scarto da smaltire.
      L'articolo 46 pone il tema, questo sì di assoluta attualità, necessità ed urgenza, di considerare come eccezionale il sistema di gestione che ruoterà attorno all'evento Expò 2015. La misura prevista dal decreto è poco più che cosmetica, limitandosi ad ampliare, per gli enti locali coinvolti nella realizzazione dell'evento e individuati singolarmente con DPCM, la possibilità di effettuare spese di rappresentanza e per missioni. Altrettanto poco determinanti ci appaiono anche le modifiche introdotte Pag. 135dalle commissioni e dedicate peraltro al solo comune di Milano. La verità è che il patto di stabilità interno, applicato come è oggi a tutti gli enti locali e alla Regione Lombardia, blocca in partenza qualunque piano di sviluppo infrastrutturale e di servizi dell'area, frenando da tempo gli investimenti come nelle altre aree del Paese, ma rischiando, nella coincidenza di un simile evento di determinarne il fallimento, perdendo un'occasione per la Lombardia, per il nord e per tutto il Paese di trasformare questo evento internazionale nel volano della ripresa economica, su cui tutte le principali istituzioni, a cominciare dal Capo dello Stato, hanno detto di voler puntare. Il Patto di stabilità interno non potrà continuare ad essere applicato nel modo stringente e limitante che conosciamo oggi, dovrà assolutamente essere riformato a cominciare proprio dagli enti locali e territoriali coinvolti in Expò 2015, solo una simile misura sarà veramente un punto di svolta per la riuscita dell'evento, e credo che in questo decreto si perderebbe una occasione importante per provvedervi immediatamente. Sappiamo che la deroga del Patto comporta un ragionamento sulla sua copertura finanziaria. La nostra proposta era quella di coniugare questa misura con una tassazione disincentivante sulle macchine da gioco posizionate dagli esercenti di pubblici esercizi, coniugando così la necessità di reperire fondi con una efficace attività di contrasto alle ludopatie. Si tratta di una proposta sulla quale potremo misurare l'interesse di questo Parlamento e ragionare assieme.
      Ci sembra invece una vera e propria presa in giro la nuova previsione inserita dai relatori come articolo 49-quater, battezzato Misure per il rafforzamento della spending review che invece che rafforzare la revisione della spesa, semmai sia iniziata, la rinvia e invece dispone nuova spesa, per pagare un commissario dedicato. Si crea l'ennesima nuova poltrona incaricata di ridurre poltrone, si dispone l'ennesimo stipendio pubblico spacciandolo per necessario a ridurre la spesa pubblica. Ma la coerenza evidentemente viene meno quando si parla di aggredire i costi della macchina statale di questo Paese, altrimenti non si capisce come la riforma federalista, già messa a punto e unanimemente ritenuta efficace per affrontare il problema della spesa attraverso il meccanismo dei costi e fabbisogni standard, giaccia inattuata da tempo.
      Il 49-quater costituisce, per formulare indirizzi di spending review, un comitato interministeriale che praticamente coincide con una seduta del Consiglio dei Ministri, per cui non se ne capisce la necessità, se non quella di nominare a sua volta un commissario, che ovviamente godrà di staff e di indennità. La spesa è certificata dall'articolo del decreto. Il risparmio, o spendig review che dir si voglia, no !
      L'articolo 50 apporta modifiche al comma 28, articolo 35, del Decreto legge n.  223 del 2006 in tema di responsabilità solidale dell'appaltatore.
      La disposizione, che era stata modificata, peraltro, da un recente Decreto, ovvero il n. 83 del 2012, prevede come venga meno la responsabilità per il versamento dell'IVA. Se da un lato finanziario la norma non produce effetti, e pur rimanendo inalterata la responsabilità sulle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente, si ritiene che l'attuale formulazione della disposizione sia migliorativa rispetto alla normativa oggi in materia, incontrando per questo anche il favore della Lega.
      Non a caso, le novità arrecate dal Decreto Legge n.83 in tema di responsabilità dell'appaltatore furono aspramente criticate dalle associazioni di categoria, a partire da Confindustria, e costringendo perfino l'Agenzia delle entrate ad emanare una apposita circolare per precisare come l'ambito di applicazione della norma sia di tipo generale, non limitandosi invece ai soli contratti stipulati dagli operatori del comparto edilizio.
      Anche per quanto riguarda l'articolo 51, la disposizione incontra il favore della Lega, rappresentando essa una giusta e doverosa semplificazione rispetto alla vigente norma. Essa stabilisce infatti l'abrogazione di un articolo di un Decreto del Pag. 1362003 inerente la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d'imposta attraverso la trasmissione mensile dei dati. Secondo la norma, infatti, i sostituti di imposta avrebbero avuto l'obbligo di comunicare con cadenza mensile e per via telematica i dati retributivi per il calcolo dei contributi.
      Di assoluto interesse, invece, l'articolo 52 del provvedimento, laddove l'intervento della Lega è stato più incisivo.
      L'articolo in questione integra la disciplina della riscossione delle imposte, e contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n.  602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica. Nello specifico, viene ampliata fino a dieci anni nei casi di grave situazione economica, la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte per un totale di 120 rate mensili. Viene ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario e, soprattutto, viene stabilità l'impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo, mentre per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro, quando il precedente limite era di ventimila euro.
      La disposizione incontra il favore della Lega, stante il fatto che la direzione che essa intenda dare è chiaramente quella di agevolare, in un momento di crisi economica come quello attuale, il contribuente.
      Ciò nonostante, i nostri rappresentanti avevano proposto alcuni emendamenti al fine di migliorare ulteriormente il vigente testo.
      Era stato anzitutto proposto di estendere l'impignorabilità anche ad un paniere di beni definiti beni essenziali ed opportunamente identificati da apposito Decreto ministeriale. La ratio della norma è evidentemente quella di ampliare la platea dei beni, e di farlo soprattutto a sostegno delle famiglie meno abbienti, ovvero comprendendo beni che potrebbero essere, per l'appunto, definiti fondamentali.
      Allo stesso modo, è stato richiesto di estendere i limiti di esproprio anche a tutti i beni immobiliari necessari, all'imprenditore, per svolgere il processo produttivo della propria attività. L'attuale normativa prevede infatti la pignorabilità dei beni strumentali per l'esercizio della professione nel caso di somme dovute per imposte sul reddito riferite ai due anni anteriori a quello in cui si procede, e l'attuale provvedimento estende alle imprese che abbiano forma giuridica di società e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro i limiti alla pignorabilità, che può riguardare al massimo un quinto dei beni aziendali, dei beni strumentali già riconosciuti alle ditte individuali.
      Gli interventi emendativi presentati dalla Lega Nord si erano indirizzati su questo tema per estendere ulteriormente tali limiti di esproprio, precisando come non si dia corso all'espropriazione degli immobili laddove questi risultino necessari al processo produttivo dell'attività d'impresa.
      La ratio della proposta è la medesima di quella utilizzata per impedire l'espropriazione per i proprietari di immobili di prima abitazione, giustamente considerata come un bene impignorabile. Ma se questo è vero, a maggior ragione si ritiene che debba essere precisamente indicato come anche gli immobili utilizzati dagli imprenditori all'interno del processo produttivo d'impresa, tanto più in un momento di grave crisi economica e finanziaria come quello attuale, debbano essere esclusi dalla pignorabilità.
      Il tema dell'espropriazione degli immobili, ed in particolare quello della prima abitazione, è tanto importante che, a nostro avviso, la norma dovrebbe espressamente precisare come l'attuale disposizione oggi prevista si applichi non a partire dell'entrata in vigore del provvedimento quanto, piuttosto, dal 1o Gennaio di quest'anno.
      Questo aspetto risponde all'esigenza risolvere le situazioni di criticità per quel Pag. 137che riguarda la prima abitazione anche a quei casi segnalati all'ente riscossore prima della presentazione del presente provvedimento, affermandosi come un principio di equità nei confronti delle più recenti casistiche. E, allo stesso tempo, si segnala come la nostra richiesta si inserisca in una linea di interpretazione già adottata da Equitalia, che con propria nota del 1o Luglio sullo stesso decreto, affermava come «si rende, pertanto, opportuno che le strutture preposte si astengono dall'attivare iniziative riscuotitive nei confronti di coloro che dovessero versare nella situazione descritta».
      E sempre sulla questione della pignorabilità si pone anche il nostro contributo per quanto riguarda l'estensione del periodo dal quale può essere avviata l'espropriazione immobiliare sulla prima abitazione. La norma, oggi, infatti, prevede si far scattare se è stata iscritta e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto, laddove il nostro intervento chiedeva di ampliare questo lasso di tempo raddoppiandolo, e portandolo quindi da sei a dodici mesi, così da dare un tempo maggiore al debitore, eventualmente, per reperire le risorse necessarie.
      Vi sono infine due ulteriori ma parimenti importanti aspetti che devono essere affrontati, a nostro modo di vedere, all'interno della disposizione.
      Uno è riferibile alla necessità di non considerare le eventuali plusvalenze degli enti locali derivanti dalla cessione di partecipazioni, un tema sentito nel mondo delle autonomie locali e che il nostro movimento porta avanti da tempo.
      Un secondo aspetto, invece, riguarda la necessità sempre più impellente di mettere ordine sulla questione della rateazione dei debiti tributari. Oggi infatti esistono tre tipologie di dilazione di pagamento. La prima, avente ad oggetto le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all'Agente della riscossione nei confronti dei contribuenti a cui siano stati notificati accertamenti esecutivi e che il provvedimento in esame per quel che riguarda il numero di rate ha elevato la dilazione di pagamento fino a 120 rate. La seconda, avente ad oggetto le comunicazioni di irregolarità (anche dette avvisi bonari) inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione.
      La terza riguarda le rateizzazioni relative all'adesione ai processi verbali di constatazione, all'adesione agli inviti, alla definizione degli accertamenti nel procedimento di accertamento con adesione, alle somme dovute a seguito di conciliazione giudiziale, alle somme dovute in caso di omessa impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione.
      L'articolo 48 del decreto legislativo n.  546 del 1992 detta poi analoghe regole per la conciliazione, stabilendo che il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica soluzione ovvero in forma rateale.
      Sussistono indubbie ed evidenti differenze tra le indicate fattispecie, tale per cui appare evidente come l'istituto della rateazione delle somme dovute al fisco meriterebbe un radicale ripensamento. Le evidenziate differenze non paiono infatti sufficientemente supportate dal punto di vista logico- giuridico, generando non giustificabili discriminazioni, con conseguenti dubbi in merito al rispetto dell'articolo 3 della Costituzione. Pensiamo, ad esempio, che vi sono casi per cui chi non versa una sola rata, seppur entro la scadenza della rata successiva, deve perdere il diritto alla rateazione vedendosi irrogare una sanzione del 60 per cento sul tributo non ancora versato, mentre, per chi rateizza gli avvisi bonari, si prevede sì che il mancato pagamento di una rata implica decadenza dal beneficio senza però che si stabilisca analoga sanzione.
      Per queste motivazioni riteniamo che si renda necessario un intervento di riforma e che questo si dovrebbe ispirare ai criteri direttivi legati alla differenza tra la rateazione dei carichi di ruolo e la rateazione delle somme. Deve essere diminuito il divario tra numero delle rate ottenibili da Equitalia sui carichi di ruolo e numero delle rate che la legge individua come Pag. 138massimo per le altre forme di rateazione, così come va completamente riscritta la disciplina sanzionatoria. La penalità del 60 per cento del tributo che rimane da pagare genera notevolissime perplessità dal lato costituzionale, non solo la discriminazione che essa introduce rispetto a fattispecie del tutto analoghe (si pensi al caso degli avvisi bonari, alla rateazione dei carichi di ruolo) ma anche perché è irragionevole che la sanzione per un determinato inadempimento, il mancato pagamento di una rata, sia commisurata non alla rata stessa, ma a quello che ancora resta da pagare.
      E deve essere, da ultimo, consentita la rateazione anche per gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro, non essendovi alcuna valida ragione che escluda tali atti impositivi dal beneficio.
      In base a quanto previsto dall'articolo 57 (Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese) Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca favorirà interventi straordinari a favore della ricerca diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, mediante la concessione di contributi alla spesa nel limite del 50 per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili sul Fondo per la ricerca applicata (FAR).
      Si tratta di utilizzare il fondo rotativo, che si alimenta con i rientri del credito agevolato, che contiene anche risorse da destinare a contributi a fondo perduto. Gli interventi da finanziare riguardano principalmente lo sviluppo di start up innovative (iniziative imprenditoriali, alle quali l'Università non partecipa in qualità di socio, avente come scopo lo sfruttamento dei risultati della ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi derivati dall'attività di ricerca dell'Università) e di spin off universitari (iniziative imprenditoriali, alle quali l'Università partecipa invece in qualità di socio), la valorizzazione di progetti di social innovation per giovani con meno di 30 anni, il potenziamento del rapporto tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca.
      Costituiscono misure interessanti per la valorizzazione dei talenti, in linea con il nostro programma politico di sostegno agli investimenti in ricerca delle imprese, per collegare sempre di più la formazione al mondo produttivo.
      Per rendere più flessibile il sistema di finanziamento delle università e semplificare le procedure di attribuzione delle risorse si unificano in unico fondo le risorse attualmente destinate al finanziamento ordinario delle università (FFO) alla programmazione triennale del sistema, ai dottorati, e agli assegni di ricerca. Nello stesso provvedimento si decide di sottoporre all'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) la valutazione dei servizi delle università e degli enti di ricerca per semplificare il sistema di valutazione attualmente in vigore.
      Riguardo all’ articolo 58 (Turn over nelle università e negli enti di ricerca), esso amplia la facoltà di assunzioni delle università e degli enti di ricerca per l'anno 2014, elevando dal 20 per cento al 50 per cento il limite di spesa consentito rispetto alle cessazioni dell'anno precedente (turn over).
      Con questo provvedimento si liberano posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in «tenure track» (precari che possono diventare stabilizzati) nel 2014 a valere sul FFO (Fondo Finanziamento Ordinario). Spesa prevista: 25 milioni nel 2014 e 49,8 nel 2015.
      Si modifica la procedura per la chiamata diretta, da parte delle università, di studiosi che siano risultati vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, ove la chiamata sia effettuata entro 3 anni dalla vincita del programma, escludendo la necessità del parere dell'apposita commissione nominata dal Consiglio universitario nazionale (CUN).
      Abbiamo proposto un emendamento che intende modificare iI decreto legislativo Brunetta dove si stabilisce che i comparti di contrattazione sono solo 4. Le Pag. 139università quindi, come peraltro gli Enti di Ricerca e AFAM (conservatori musicali, accademie ecc.) dovranno essere accorpati con la Scuola o con i Ministeri, Enti Pubblici non economici, Agenzie Fiscali ecc. perdendo qualsiasi specificità ma soprattutto espropriando i Rettori e i Presidenti degli Enti del governo dei propri dipendenti visto che a decidere le linee contrattuali sarà il Governo e nemmeno il Ministro dell'istruzione, ma quello per la pubblica amministrazione, qualora questi Comparti fossero messi insieme ai Ministeri.
      L'emendamento comporta la previsione che in materia di personale si possa costituire un Comparto di contrattazione aggiuntivo a quelli previsti dal decreto legislativo 150/09, riservato al personale delle Università, degli Enti di Ricerca e dell'AFAM, con un Comitato di Settore composto da Rettori, Presidenti degli enti di ricerca e Direttori dell'AFAM, in modo proporzionale al numero degli addetti.
      È un emendamento senza costi e risolverebbe un problema che sta bloccando la costituzione dei comparii e consentirebbe di garantire contrattualmente tutte le professionalità che operano in questi settori, che altrimenti sarebbero affogati (vista la esiguità degli addetti) o nell'oceano dei dipendenti della scuola (quasi 20 volte più numerosi della somma dei tre comparti) o delle altre amministrazioni (quasi 10 volte più numerosi). Inoltre con il contratto si possono salvaguardare anche quelle specificità del personale precario di questi comparti che ha norme specifiche e peculiari.
      L'articolo 60 (Sistema di finanziamento delle università e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca) dispone che, a decorrere dal 2014, nel Fondo di finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute confluiscano le risorse attualmente destinate alla programmazione dello sviluppo del sistema universitario, alle borse di studio post laurea, nonché al Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti. Tale revisione consente di semplificare la gestione delle risorse anche per tener conto delle recenti disposizioni (d.lgv. n.  49/2012 e decreto-legge n.  95/2012) concernenti la sostenibilità economica e l'equilibrio strutturale delle politiche di bilancio degli atenei, con particolare attenzione alle politiche di programmazione.
      Dispone, inoltre, che il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR sia svolto dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) utilizzando le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
      Anche se il ddl non prevede norme dirette ad incidere nel comparto scuola, abbiamo ritenuto di prevedere due emendamenti aggiuntivi all'articolo 60 che incidono in tale materia, precisamente: una proposta volta ad evitare l'elusione ed evasione fiscale, pretendendo dai docenti che intendano svolgere anche attività didattica privata, al di fuori del normale orario scolastico e ad esclusione degli alunni delle proprie classi, che essi si avvalgano delle strutture della propria o di altra istituzione scolastica.
      Una seconda proposta, relativa alla attività didattica svolta dai docenti nei centri estivi, chiedendo ai professori di svolgere servizio di insegnamento per 15 giorni nei centri estivi organizzati dalle scuole comunali, per sgravare i Comuni dei costi per l'esternalizzazione di questo servizio.
      Per quel che riguarda la copertura finanziaria del provvedimento (articolo 61), ben consapevoli che le condizioni di bilancio e di debito del nostro Paese limitano profondamente possibilità di scelte alternative, non possiamo comunque accettare in alcun modo che si sottraggano fondi alle emittenti televisive locali. Si tratta veramente di colpire nel mucchio senza chiedersi minimamente quanto conti invece il servizio, anche a contenuto informativo, svolto da queste emittenti e quanto un simile taglio risulterebbe deleterio. Pag. 140Nelle commissioni molti altri gruppi hanno chiesto di eliminare questo taglio. Anche noi abbiamo formulato una proposta. Sarebbe inconcepibile non trovare una soluzione che ripristini immediatamente il finanziamento.
      Come ho già richiamato all'inizio, l'intero Capo III, relativo alla giustizia trova a nostro avviso una collocazione del tutto impropria in un decreto legge, e ancor più in un decreto che ha ad oggetto tematiche di altro segno. Condividiamo tuttavia con il Governo l'opinione che la Giustizia necessiti di riforme necessarie ed urgenti e, avremmo voluto, ben più significative.
      Il decreto-legge 69/2013 si concentra sul sistema giudiziario civile. Gli interventi possono essere distinti in misure di carattere organizzativo e in misure processuali.
      Per quanto riguarda le misure organizzative è introdotta la figura del giudice ausiliario, nel numero massimo di 400 unità, per lo smaltimento dell'arretrato civile. La misura persegue l'obiettivo della riduzione del contenzioso civile pendente dinanzi alle corti d'appello, dove i procedimenti pendenti sono in aumento. Ogni giudice ausiliario dovrà definire nel collegio in cui è relatore almeno 90 procedimenti all'anno (per un totale di 36.000 procedimenti definiti all'anno), con una remunerazione di 200 euro a provvedimento e un tetto massimo annuo di 20.000 euro. Di ogni collegio giudicante non può fare parte più di un giudice ausiliario. I giudici ausiliari sono designati da ciascun consiglio giudiziario e nominati per cinque anni, prorogabili per non più di altri cinque, tra magistrati a riposo, professori e ricercatori universitari in materie giuridiche, avvocati e notai. A seguito della nomina, il giudice ausiliario non può svolgere alcune attività incompatibili. (Articoli dal 62 al 72)
      Sono stati depositati dal gruppo diversi emendamenti in merito ai giudici ausiliari, che pur confermando l'istituzione di questa figura di giudice temporaneo per smaltire l'arretrato, chiedevano che vi accedessero gli avvocati e i ricercatori universitari giovani, al fine di limitare l'accesso a magistrati/notai/professori universitari in pensione. Questo ultimo indirizzo è stato recepito solo in parte attraverso un limite dei tre anni dalla pensione e ricomprendendo tra i nominandi anche i magistrati onorari non in servizio ma che abbiano svolto l'attività per almeno 5 anni (in linea questo con un nostro emendamento). Inoltre a parità di titoli sono stati privilegiate i candidati più giovani.
      È prevista la possibilità che laureati in giurisprudenza qualificati e selezionati svolgano un periodo di formazione di diciotto mesi presso uffici giudiziari, assistendo e coadiuvando i magistrati di tribunale e corte d'appello e i magistrati amministrativi. Gli ammessi allo stage partecipano alle udienze, non percepiscono alcun compenso e possono svolgere altre attività purché con modalità compatibili. L'esito positivo dello stage costituisce titolo per l'accesso al concorso in magistratura ed è valutato ai fini del tirocinio professionale e della frequenza ai corsi di specializzazione per le professioni legali, è titolo di preferenza per alcuni concorsi della p.a.. (Articolo 73).
      Sono stati inoltre depositati dal gruppo LNA alcuni emendamenti al fine di ancorare la possibilità di svolgere lo stage nel tribunale o alla corte di appello del luogo di residenza, così da scongiurare che un voto di laurea più alto (in genere nelle Università del sud) potesse consentire una «migrazione» nei tribunali del nord.
      Le «Università del nord» in genere, come è risaputo, sono meno inclini ad «elargire» voti alti. Purtroppo l'emendamento non è stato accolto dalle Commissioni, nelle quali invece sono stati approvati emendamenti che hanno innalzato il voto di laurea per accedere allo stage da 102/110 a 105/110. Ma questo ovviamente non elimina il «problema» della migrazione degli studenti. Inoltre sono stati approvati, in linea anche con il nostro orientamento, che l'attività di formazione degli stagisti deve essere fatta in collaborazione e intesa con l'ordine degli avvocati e con le scuole di specializzazione.
      È istituita la figura dell'assistente di studio a supporto delle sezioni civili della Corte di cassazione, quale misura temporanea Pag. 141(cinque anni) per la celere definizione dei procedimenti pendenti. I magistrati assistenti di studio non possono fare parte del collegio giudicante.
      In Commissione sono stati approvati degli emendamenti che hanno «unificato» questa figura di assistente di studio con quella già prevista di magistrati destinati all'ufficio del massimario. In pratica è stata aumentata la pianta organica di questi ultimi facendo confluire, sempre magistrati, con quella di assistenti di studio. (Articolo 74)
      Con riguardo alle misure processuali, vengono limitati i casi in cui il procuratore generale deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di Cassazione. È disciplinato il procedimento volontario di affidamento a un notaio delle attività necessarie per lo scioglimento della comunione, ereditaria o volontaria, quando non siano controversi il diritto alla divisione o le quote o non sussistano altre questioni pregiudiziali. Sul punto come gruppo non avevamo presentato emendamenti. In Commissione sono stati approvati degli emendamenti che hanno esteso la facoltà anche agli avvocati. (Art. 75 e 76).
      È fatto obbligo al giudice civile, similmente a quanto già previsto per il giudice del lavoro, di formulare una proposta transattiva o conciliativa, nel corso del processo di primo grado e d'appello. Il rifiuto immotivato costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Sul punto come gruppo non avevamo presentato emendamenti. In Commissione sono stati approvati degli emendamenti che hanno specificato che la proposta di conciliazione del giudice non può costituire motivo di ricusazione. (Articolo 77).
      È snellito il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: in caso di anticipo da parte del giudice della data dell'udienza, questa deve essere fissata non oltre il trentesimo giorno dalla scadenza del termine minimo a comparire; inoltre, l'esecutorietà del decreto ingiuntivo deve essere concessa, in presenza dei presupposti, alla prima udienza. Il contenuto della motivazione della sentenza civile deve essere semplificato e a tal fine è possibile fare riferimento esclusivo a precedenti giurisprudenziali conformi o rinviare a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. È poi stabilita una disposizione speciale sulla competenza territoriale per la trattazione delle cause riguardanti le società con sede all'estero che non hanno una sede secondaria con rappresentanza stabile in Italia. Le regole ordinarie sulla competenza territoriale continuano a essere applicate per le controversie per una serie di casi in cui sono coinvolti soggetti cui l'ordinamento assicura una tutela specifica (es. lavoratori o consumatori). Sul punto come gruppo non avevamo presentato emendamenti. In Commissione non sono stati approvati emendamenti (Articolo 78).
      È stata approvata una modifica, sul punto come gruppo avevamo presentato degli emendamenti, che hanno – nei fatti – ridimensionato la portata del decreto-legge così consentendo – in linea con l'intento dei nostri emendamenti – che la motivazione della sentenza civile sia più «rapida», o meglio in forma semplificata, ma delimitando bene quale contenuto minimo debba avere la motivazione della sentenza civile. (Articolo 79).
      L'articolo 80 (foro delle società con sede all'estero) è stato soppresso. Sul punto come gruppo avevamo presentato degli emendamenti in linea con la soppressione.
      È stata rivista la disciplina del preconcordato (o concordato con riserva), con il quale l'imprenditore in stato di crisi presenta la domanda, riservandosi di presentare entro un determinato termine la proposta, il piano e la documentazione relativamente alla ristrutturazione del debito, all'attribuzione dell'attività delle imprese a un assuntore e alla suddivisione dei creditori in classi. Le prescrizioni introdotte sono dirette a evitare abusi da parte del debitore e ad aumentare le informazioni dei creditori e del tribunale. Sul punto come gruppo non avevamo presentato emendamenti. In Commissione Pag. 142sono stati approvati emendamenti che hanno migliorato e specificato meglio il testo. (Articolo 82).
      È da ultimo modificata la disciplina della mediazione civile. In particolare, è ripristinata la mediazione obbligatoria, già oggetto di una declaratoria d'incostituzionalità per eccesso di delega da parte della Corte costituzionale. Il tentativo di mediazione, condizione di procedibilità della domanda, è esclusa per alcuni tipi di controversie tra cui quelle in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. Nel procedimento, che non potrà durare più di tre mesi (rispetto ai precedenti quattro), dovrà tenersi un primo incontro di programmazione, in cui il mediatore verifichi con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione. Le indennità di mediazione non potranno superare un importo massimo, nel caso di mancato accordo. Il verbale di accordo non potrà essere omologato in assenza della sottoscrizione degli avvocati che assistono tutte le parti e gli avvocati iscritti all'albo saranno di diritto mediatori. Sul punto come gruppo avevamo presentato emendamenti sia per la soppressione e sia per migliorare il testo. In Commissione sono stati approvati emendamenti che hanno migliorato e specificato meglio il testo. (Articolo 84).
      Il nostro giudizio complessivo sul provvedimento al momento no può dunque essere positivo, per i tanti obiettivi non colti e per la scarsa incisività delle misure adottate, anche laddove la direzione intrapresa è giusta. Riteniamo che il lavoro in Assemblea sugli emendamenti presentati possa essere migliorativo e che questa possibilità non debba andare sprecata.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARISA NICCHI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1248-A

      MARISA NICCHI. Alcuni interventi di maggioranza, ultimo l'onorevole Tabacci, hanno fatto emergere la mancanza in questo decretone di una visione del paese.
      Aggiungo a questa critica che insieme a ciò che manca ci sono frutti avvelenati che rovesciano l'intento del fare nel suo contrario: disfare.
      Disfare le tutele di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro con gli articoli 32 e 35 che vogliamo abrogare.
      Questi articoli, pur modificati, fanno male, fanno l'opposto di ciò che serve ad un paese che ha il triste primato di avere un terzo di morti nel lavoro in più della media europea.
      Una strage che conquista le scena mediatica e l'attenzione pubblica solo quando, drammaticamente, le vittime sono molte: il crollo di Barletta, l'incendio Thyssen-Krupp, i tumori dell'amianto di Enimont, il Porto di Genova.
      Ma, lo stillicidio delle tante morti quotidiane si perde, invisibile, nella cronaca nera, o meglio, bianca. C’è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi.
      Un Governo responsabile di fronte a questa realtà drammatica alza la guardia per aumentare la consapevolezza, non fa sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro.
      L'Osservatorio di Bologna, considera «morti sul lavoro» tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono il lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età.
      Dall'inizio dell'anno sono documentati 325 morti per infortuni sui luoghi di lavoro e oltre 650 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere.
      Un panorama più realistico rispetto a quello rilevato dai dati ufficiali dell'INAIL che comprende solo i suoi assicurati che non esauriscono certo tutte le figure del mercato del lavoro a partire dalle sue zone grigie e più oscure.
      Una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e a non leggere in superficie il decremento degli infortuni mortali rilevato dalla recente relazione dell'INAIL, decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione.
      È un «massacro diffuso» che avviene spesso per le condizioni di informalità e di assenza di diritti. Luoghi dove le norme Pag. 143sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti ma non quando sono vittime.
      Morti, infortuni, patologie che mostrano il volto di una doppia Italia: quella del lavoro che non c’è e quella del lavoro inumano, sfruttato, precario, irregolare, ricattato.
      Che fa ammalare, disperare, spezza la vita.
      Al di fuori di controlli, garanzie, norme, diritti. Le morti bianche sono casi di «normale» vita da lavoro, le cause sono innervate nel modo di produzione.
      Di fronte a questo sconvolgente dato di fatto, il messaggio del governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, una burocrazia fastidiosa da sopprimere.
      In nome del fare comunque, in nome del mercato libero, del risultato d'impresa e per tante persone in nome di una misera sopravvivenza.
      Il fatto che morire, ammalarsi, invalidarsi sul lavoro non susciti indignazione al di là dell'emozione del momento, è anche l'effetto di questa crisi che porta a considerare l'incidente un rischio inevitabile, un male che ci può stare.
      Soprattutto nell'ambito dell'economia diffusa, della piccolissima impresa, l'azienda individuale e il lavoro autonomo.
      In questo contesto, signor Sottosegretario, il rallentamento delle maglie di protezione dei lavoratori, mascherato più o meno da misure di semplificazione, è una scelta molto pericolosa.
      C’è bisogno di più protezione, non di «lasciar fare».
      Noi non ci stiamo. Consideriamo queste scelte molto gravi.
      Riteniamo pericolosi gli articoli 32 e 35 del decreto, che modificano il Testo Unico anche con le modifiche apportate.
      Infatti, l'obbligo del Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze non può essere eliminato perché così si ripristina la possibilità di autocertificare la valutazione dei rischi. Una pericolosa scorciatoia.
      Incomprensibile è l'esclusione dal rispetto delle norme sulla sicurezza di aziende sulla base della grandezza o della stagionalità del lavoro.
      Il rischio dell'incidente non dipende dalla durata del lavoro o dalla grandezza di un'impresa. Anzi si annida proprio nelle piccole imprese o nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi.
      La formazione non può essere accorciata ma deve legarsi alle concrete condizioni di rischio in cui si svolge il lavoro.
      Ribadiamo che l'eventuale esigenza di una manutenzione del TU 81 deve essere organica e deve salvaguardare i principi che il TU intende realizzare. È già stata fatta nel 2009, con il decreto legislativo – integrativo e correttivo – n.  106.
      Siamo contrari a modifiche estemporanee che fanno male alla salute dei lavoratori, alla sicurezza di tutti, alle casse dell'assicurazione sociale, della previdenza e, in ultima istanza, dello Stato.
      Occorre ripartire dall'ascolto di tutte le parti sociali e gli enti che si occupano di sicurezza e salute dei lavoratori.
      Per questo abbiamo chiesto una Commissione d'indagine Parlamentare al termine della quale portare in Parlamento eventuali misure di buona manutenzione.
      Anche alle luce di importanti novità critiche: la nuova percezione dei rischi da parte dei giovani precari; la specificità delle microimprese a cui va finalizzato un progetto specifico; lo sviluppo dei servizi di prevenzione delle ASL – Dipartimenti di Prevenzione – intaccati dalla crisi delle risorse per la prevenzione, anello fondamentale del Sistema Sanitario Nazionale. Una penalizzazione che ha prodotto sfiducia e ripiegamenti burocratici.
      Noi amiamo la semplificazione, ma quella buona. In questo decreto abbiamo apprezzato: il progetto relativo al Fascicolo sanitario elettronico che dovrà contenere tutti i dati digitali sociosanitari del cittadino/a; la trasmissione telematica anche Pag. 144dei certificati medici di gravidanza e parto; le disposizioni in materia di trapianti con l'obbligo per i Comuni di comunicare tempestivamente in modo telematico al Sistema Informatico Trapianti gli atti di consenso dei donatori.
      Semmai ci chiediamo come si applicheranno visto che non sono previsti nuovi oneri a carico dell'amministrazione.
      Apprezziamo la misura del pagamento di 280 milioni di euro che ora possono essere riassegnati alle regioni che ne facciano richiesta per pagare i debiti sanitari.
      Infine, è positiva la nuova procedura di classificazione dei farmaci orfani e di altri farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica quali gli antitumorali. È stata accolta la nostra richiesta di garantire tempi rapidi e certi affinché il SSN dispensi questi farmaci. L'Aifa avrà solamente 100 giorni per contrattare il rimborso con le case farmaceutiche, al termine dei quali i farmaci dovranno essere inseriti nel prontuario nazionale.
      Come vede, Sottosegretario, siamo a favore di vere norme di semplificazione, ma non quella che volete fare sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FLAVIA PICCOLI NARDELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1248-A.

      FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Il provvedimento in esame prevede un insieme coordinato di interventi su livelli e ambiti differenti per sostenere il rilancio dell'economia italiana, tra i quali un ampio e qualificato spettro attiene ad istruzione, università e ricerca, patrimonio culturale, spettacolo e cinema, sport e Agenda digitale, che consideriamo il primo passo di un progetto di recupero di questi settori. D'altra parte presente anche nelle dichiarazioni programmatiche e confermate dal Presidente del Consiglio al Senato appena tre giorni orsono.
      Non ci soffermiamo sul ruolo della cultura e del turismo per la ripresa dello sviluppo e il superamento della grave crisi economica in cui si trova il Paese e su come questa prospettiva rappresenti un elemento nuovo e importante che il Parlamento, il Governo, le istituzioni di ricerca, debbono saper cogliere e valorizzare. Spetta loro, nei campi diversi in cui operano, dimostrare come la cultura rappresenti davvero una leva per rompere con il clima di depressione e apatia che sta colpendo molte fasce della popolazione, soprattutto quella più giovane.
      Mettere al centro della ripresa questo settore significa promuovere azioni concrete e oggi, con l'avvio della discussione del provvedimento in questione, si ha la possibilità di tradurre in una visione unitaria e strategica l'articolato, affinché la cultura sia considerata oltre che imprescindibile per la crescita della società, motore di crescita in termini economici: non peso, ma stimolo allo sviluppo.
      Riteniamo che ciò sia possibile, anche nell'immediato, perché la cultura, la ricerca e le istituzioni che in tali ambiti operano, più di ogni altro soggetto o realtà istituzionale, sono attrezzate per trarre il meglio dalla rivoluzione tecnologica in atto e per farne uno strumento straordinario di crescita individuale e sociale, di organizzazione della produzione e della vita, di conservazione, diffusione, valorizzazione del patrimonio culturale in tutte le sue espressioni.
      La cornice di riferimento del provvedimento in esame deve essere raccordata con le raccomandazioni rivolte all'Italia dalla Commissione Europea il 29 maggio 2013 nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività; dovrà inoltre essere posta in relazione con il decreto-legge 28 giugno 2013, n.  75 recante: «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale ...», in discussione al Senato.
      In tale prospettiva, sottolineiamo l'opportunità di valorizzare il coordinamento tra le varie autorità competenti in materia e in particolare le pregresse intese tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e la ricerca e il Ministero dei beni e delle Pag. 145attività culturali e del turismo, per tutto ciò che attiene alla definizione di linee condivise in merito a programmazione e coordinamento della ricerca e dell'innovazione.
      Sottolineiamo altresì che il provvedimento in esame affronta, nei limiti delle disponibilità economiche, il tema delle risorse umane quale fattore prioritario e ineludibile per la stessa sopravvivenza dell'intero Sistema di Ricerca italiano ed europeo. La necessaria consapevolezza del ruolo e della qualità dei ricercatori italiani al fine di sostenere la stessa competitività europea è costante punto di riferimento nel decreto, lungo la linea tracciata dalla strategia di Lisbona e ribadita da Europa 2020.
      Il decreto-legge oggi al nostro esame contiene almeno una dozzina di articoli direttamente o indirettamente volti allo sviluppo di questi settori. Si tratta, in particolare, di norme tese a favorire la crescita in termini di sviluppo, semplificazione, flessibilità, previste da disposizioni del MIBAC, e in termini di edilizia scolastica, ricerca e merito da parte del MIUR, due ministeri che hanno visto negli ultimi anni pesantemente ridotte le risorse disponibili. Non solo il MIBAC, di cui conosciamo la portata dei tagli, operati, ma anche per l'università va ricordato che le risorse ordinarie sono calate di oltre il 15% negli ultimi 4 anni. Un intervento nei due settori si rivela davvero necessario.
      Di particolare importanza, il provvedimento disciplinato dall'articolo 11 che proroga i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico previsti dalla legge finanziaria 2008, la cui scadenza è fissata al 31 dicembre 2013, nel limite massimo di spesa di 45 milioni di euro, purtroppo metà del contributo concesso in precedenza, che speravamo potesse essere assicurato per il triennio.
      Ci auguriamo possa essere recuperato per riconfermare l'importanza riconosciuta del settore, un settore che ha bisogno di programmazione a lunga scadenza, di utili e significative certezze, nel presente difficile frangente economico. Si tratta di politiche di sviluppo che devono accompagnare le imprese indipendenti sul mercato e farle diventare competitive e autonome; e con esse sostenere le produzioni meno commerciali per aprire un mercato particolarmente oppresso dalle concentrazioni come quello cineaudiovisivo, condizione, quest'ultima, indispensabile anche per garantirne il pluralismo. Il provvedimento si muove lungo una linea strategica: il futuro chiede ulteriori interventi normativi e finanziari per favorire lo sviluppo delle industrie culturali e creative come elemento strategico per la ripresa, sostenendole nelle fasi di start up e nei processi di consolidamento ed internazionalizzazione.
      Un secondo elemento compare nel decreto in termini di semplificazioni, quello relativo al paesaggio, che verrà però affrontato in modo organico nel piano paesaggistico nazionale in via di definizione. Per questo, gli interventi relativi agli articoli 30 e 39 del decreto appaiono correttivi volti prevalentemente a semplificare o a velocizzare la procedura burocratica in materia edilizia.
      Nel decreto si parla di ripristino di edifici o di parte di essi crollati o demoliti, di cui si sia accertata la preesistente consistenza e di cui si mantenga, oltre alla volumetria, anche la «sagoma» per le zone urbanistiche classificate come «A». La norma, come naturale, non riguarda gli immobili sottoposti a vincoli del codice dei beni culturali e del paesaggio, ma si è ribadito l'ampia formulazione dell'articolo 9 della Costituzione, norma che mette il paesaggio al centro dei valori tutelati. Il governo ha comunque accolto due emendamenti tesi a limitare il rischio di interventi improvvidi sul paesaggio. Un impatto molto forte sui contesti urbani avrebbe potuto cambiare profondamente la configurazione dei luoghi.
      Così anche per la lettera b), comma 1, dell'articolo 39 che, per le autorizzazioni paesaggistiche, elimina il «silenzio assenso», riporta a 45 giorni il termine per il parere del sovrintendente, ma fa salvo il passaggio alla Conferenza dei Servizi, qualora prevista dall'amministrazione.Pag. 146
      Ci sono infine interventi che potremmo definire di maggiore flessibilità «amministrativa». Parliamo dello stesso articolo 39 laddove riporta nelle responsabilità dell'Ufficio Centrale del Ministero la decisione in merito ai beni culturali concessi in uso a singoli richiedenti per finalità culturali, determinandone il canone dovuto.
      Nello stesso senso va il ripristino di ARCUS SpA, soppressa dalla legge 7 agosto 2012, oggi riproposto per non perdere i cospicui fondi disponibili, di cui si auspica che una parte possano sostenere il piano straordinario di digitalizzazione del patrimonio culturale di cui riferirò in seguito.
      L'articolo 40 consente, infine, al Ministro di riportare nel bilancio del MIBAC le risorse disponibili delle soprintendenze dotate di autonomia speciale. Questo consentirà di gestire i fondi non spesi dei diversi comparti, evitando che vadano restituiti al Tesoro e garantendo la copertura delle emergenze.
      C’è poi il corposo capitolo delle misure in materia di istruzione, università e ricerca relative a scuola, ricerca e merito, riattivare l'investimento strategico su scuole e università è l'obiettivo evidente del provvedimento.
      Il provvedimento da segnalare è l'articolo 18, comma 8, in materia di edilizia scolastica. In una situazione in cui la responsabilità del settore è variamente distribuita tra Stato, Comuni, Province e Regioni, oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici secondo uno studio recente non è a norma. La situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli e lontane dalle più attuali proposte pedagogiche.
      Il decreto-legge al nostro esame prevede che l'INAIL, nell'ambito del piano di impiego dei fondi disponibili, destini, per il triennio 2014/2016, uno stanziamento di 100 milioni di euro annui finalizzati a un piano di riqualificazione degli immobili scolastici per innalzarne il livello di sicurezza. Il decreto approva, dunque, un piano da 300 milioni di euro per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle scuole. Il Ministero aggiunge per il 2014 un finanziamento di 150 milioni di euro recuperato sul Fondo speciale della Ricerca applicata (FSRA) di cui all'articolo 4 della legge 25 ottobre 1968, n.  1089. Nello stesso senso va l'utilizzo dei risparmi generati dall'organizzazione dei servizi messi a disposizione delle scuole per il loro funzionamento e per le supplenze brevi fino agli interventi per la ricerca e l'università (articolo 58).
      Fra gli elementi significativi del decreto va sottolineato che fra le finalità della ricerca promossa e sostenuta dall'articolo 57 vi è il sostegno in favore di progetti di ricerca in campo umanistico, artistico e musicale con particolare riferimento alla digitalizzazione e messa online dei prodotti del patrimonio culturale ed artistico.
      Abbiamo agito sulle persone, docenti e studenti anzitutto, che «fanno» giorno per giorno, che sono la vera forza dell'università italiana. Lo facciamo con l'anticipazione dello sblocco al 50 per cento del turn-over, lo facciamo con le borse di mobilità. E lo facciamo, con i miglioramenti apportati dalle Commissioni parlamentari grazie a un emendamento del PD, con un programma nazionale per il diritto allo studio per gli studenti meritevoli, che a nostro avviso contribuirà in modo decisivo all'attuazione dell'articolo 34 della Costituzione, finora largamente disatteso: dal 2014 un numero variabile da 35mila a 70 mila (dipende dai requisiti che verranno individuati dal governo) di studenti potrà avere una vera «borsa di mobilità», che consentirà ai ragazzi di scegliere liberamente l'ateneo nel quale studiare. Ora sono appena 119.000, e rappresentano una delle percentuali più basse d'Europa rispetto agli studenti universitari. Il nostro obiettivo di legislatura è passare dalle percentuali attuali, appena sopra il 5 per Pag. 147cento, a quelle europee, sopra il 20 per cento, considerando che in Francia e Germania oltre il 25 per cento degli studenti fruiscono di borse di studio. Ora, è chiaro, occorre ricostruire le fondamenta: nei prossimi mesi occorre anzitutto riportare il finanziamento ordinario per l'università al livello minimo adeguato, e agire sul versante delle tasse universitarie, riducendole in linea coi paesi dell'Europa continentale. Dobbiamo fermare la fuga degli studenti dall'università, e puntare su un paese più istruito.
      Nell'analizzare il provvedimento, desideriamo in conclusione sottolineare l'importanza di alcuni capitoli che possiamo dire «trasversali» e che saranno quelli su cui si potrà con intelligenza operare nei prossimi mesi.
      Un primo tema trasversale, trattato nell'articolo 9, rivolge particolare attenzione allo sviluppo dei programmi europei individuati dalla strategia europea 2020, nel programma della Commissione Europea, in quello dei 18 mesi, e nella relazione di partecipazione dell'Italia all'Unione, con particolare riferimento alla mobilità, all'occupabilità dei giovani... per individuare progetti da promuovere nell'ambito delle istituzioni educative universitarie e dell'intero sistema nazionale di istruzione.
      Parliamo però soprattutto dell'agenda digitale, per ora solo occasione da cogliere introducendo l'elemento del potenziamento culturale fra quelli di interesse dell'agenda. La rivoluzione digitale e l'insieme delle tecnologie digitali offrono alle istituzioni culturali un'opportunità senza precedenti storici di democratizzare la cultura e farne uno strumento intelligente di sviluppo sostenibile. La digitalizzazione del patrimonio culturale diventa uno strumento per farlo conoscere, trasmetterlo, utilizzarlo in forme innovative e creative e, in ragione della vastità e varietà dei contenuti costituisce un campo di grande rilevanza nell'innovazione e sperimentazione delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione in grado di sostenere lo sviluppo di una industria creativa di qualità coerente con le scelte sottese alla nuova programmazione della ricerca europea (2014- 2020).
      Il ruolo di catalizzatore di attività di digitalizzazione e diffusione del patrimonio culturale del Paese può promuovere progetti condivisi e infrastrutture capaci di metterlo a disposizione dei cittadini e della comunità internazionale. In sostanza, così come auspicato dal «Comité des Sages» europeo sulla digitalizzazione del patrimonio culturale europeo, dovrebbe essere affidata all'Agenzia per l'Italia digitale la transizione delle istituzioni culturali verso l'era digitale e la ricerca di nuovi ed efficaci modelli imprenditoriali che accelerino la digitalizzazione, attraverso un Piano straordinario di formazione e digitalizzazione del patrimonio culturale nazionale. Va ribadito l'interesse da parte del Parlamento a proporre usi innovativi delle risorse digitali che permettano di trasformare le sperimentazioni delle Istituzioni culturali italiane in progetti inclusivi, concreti e coerenti con le azioni previste dall'Agenda digitale europea che è intenzione in tutti noi mettere al centro di una seria riflessione nei prossimi mesi.