XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 58 di martedì 23 luglio 2013

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

      La seduta comincia alle 9,30.

      ANNALISA PANNARALE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale (ore 9,33).

      SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo giusto per una questione che qualcuno definirebbe di expertise, in relazione alla questione che ho posto ieri alla Presidenza sulle posizioni in relazione alla proposta del relatore di maggioranza di rinvio in Commissione del provvedimento. Probabilmente sarebbe stato molto più chiaro se la Presidenza, volendo seguire l'articolo 86, comma 7, del Regolamento cioè quello che prevede di consultare i relatori di minoranza sulla proposta del relatore di maggioranza, avesse, immediatamente dopo la proposta del relatore di maggioranza, interpellato i relatori di minoranza. In questo senso avrebbe dovuto interpellarne non solo uno o due, ma probabilmente tutti e tre, pur avendo i relatori di minoranza esaurito i tempi.
      Poiché questa cosa non è stata fatta, poiché la Presidenza aveva dichiarato, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, che avrebbe dato la parola ad un oratore a favore e ad un oratore contro, e che su questa specifica richiesta aveva preso la parola l'onorevole Castelli, che peraltro ha fatto un intervento molto politico, ho ritenuto, Presidente, che fosse stata esaurita, così com'era probabilmente evidente a tutta l'Assemblea, la posizione degli oratori contro. Dopodiché la Presidenza ha dato la parola anche ad un oratore a favore, e poi è tornata a dare la parola a un altro collega del gruppo MoVimento 5 Stelle e poi a un altro collega del gruppo della Lega, relatore di minoranza anch'egli: non ha dato, per esempio, la parola all'onorevole Marcon, che pure era relatore di minoranza.
      Quindi, Presidente, giusto per dire che il Regolamento lo conosciamo, lo leggiamo, nessuno in Aula è perfetto, volendo si può anche approfondire: per esempio, nel Regolamento non ho trovato la figura del «relatore a favore», tanto per dirne una. Però credo che l'obiezione che ho posto ieri sia stata un'obiezione più che fondata.

      PRESIDENTE. La ringrazio. Ci tengo a precisare che comunque, secondo il Regolamento, sulle proposte ha altresì facoltà di esprimersi anche il relatore di minoranza: articolo 86 in questo caso. In ogni caso vorrei dire una cosa: siccome questo non è un intervento prettamente sul processo verbale, direi approviamo un attimo il processo verbale...

      SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, lei ha ragione, però io ho facoltà di...

      PRESIDENTE. È più un richiamo al Regolamento.

Pag. 2

      SIMONE BALDELLI. Io ho voluto precisare quanto ho sostenuto. Peraltro, se la Presidenza intende fare precisazioni su questo, aggiungo anche io una ulteriore precisazione: ad un certo punto la Presidenza, almeno da quello che risulta nel resoconto stenografico, dice che ha facoltà di parlare un oratore per gruppo, quindi non si intende più che si applichi l'articolo 41, ma il 45; e poi non si applica più il 45, ma si applica una sorta di meccanismo abbastanza strano per cui parlano tre oratori e mezzo contro e uno solo a favore.

      PRESIDENTE. La ringrazio.
      Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.
      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Biancofiore, Bressa, Capezzone, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Leone, Melilla, Pisicchio e Toninelli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

      Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (A.C. 1248-A/R) (ore 9,37).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n.  1248-A/R: Conversione in legge del decreto legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.
      Ricordo che nella seduta di ieri l'Assemblea aveva deliberato il rinvio in Commissione del provvedimento.

(Esame dell'articolo unico – A.C. 1248-A/R)

      PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A – A.C. 1248-A/R), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A – A.C. 1248-A/R). Ricordo che gli emendamenti presentati sono riferiti agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A – A.C. 1248-A/R).
      La Presidenza, confermando le decisioni già adottate dalle presidenze delle Commissioni nel corso dell'esame in sede referente, non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative: Busin 1.64; Allasia 1.18, 4.17 e 23.04; Faenzi 1.03; Rondini 2.15; Guidesi 3.04, 19.3, 26.016, 26.017 e 38.3; gli identici Gianluca Pini 4.21 e Squeri 4.33; Gianluca Pini 4.23, 4.24, 5.32, 30.05, 41.8, 49.02, 49.03, 52.2, 77.4 e 84.04; Corsaro 5.27; Bernardo 5.205; Caparini 10.11, 10.12, 10.01, 10.02 e 15.3; Di Gioia 11.05; Fedriga 12.4 e 23.7; Grassi 12.01 e 27.02; Coppola 14.2; Centemero 18.40 e 58.31; Matteo Bragantini 18.87, 29.02, 29.04, 29.03, 33.2, 33.04, 33.02 e 53.04, Tullo 22.33, 22.03 e 23.4; Garofalo 22.18, 22.9, 22.11, 22.17 e 56.06; Meta 22.28 e 22.29; Latronico 22.8; Mauri 22.32; Velo 22.01; Borghesi 25.5, 36.9 e 41.7; Grimoldi 26.020, 26.019, 26.021, 26.014 e 82.4; gli identici Roccella 26.0201, Giampaolo Galli 26.0202, Boccadutri 26.0203, analoghi all'emendamento 56.2, già dichiarato inammissibile nelle Commissioni; Bechis 32.59; Prataviera 33.03; Sandra Savino 38.11; Braga 39.29, 39.33 e 39.30; Buonanno 39.14, 53.01, 58.10, 60.01 e 60.02; Borghi 41.50; Sani 49.05; Mariani 54.02; Lodolini 58.30; Molteni Pag. 373.01, 73.04, 73.05, 73.06, 73.07, 81.01, 84.01, 84.02, 84.03 e 85.01; Bonafede 82.12.
      La Presidenza non ritiene altresì ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, non previamente presentate in sede referente, in quanto estranee rispetto al contenuto del provvedimento in esame: Bergamini 5.0200, relativo agli incentivi per l'acquisto di veicoli a basse emissioni (nel corso dell'esame in sede referente, in materia, è stato dichiarato inammissibile l'articolo aggiuntivo 25.01); Gitti 19.203, concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale; Pizzolante 26.0200, recante una proroga in materia di concessioni demaniali marittime; Colletti 32.500 che, nel prevedere uno stanziamento finalizzato in favore della Presidenza della Repubblica, incide sull'autonomia organizzativa e contabile della Presidenza della Repubblica stessa, costituzionalmente garantite; Zaccagnini 41.216 che introduce il divieto di coltivazione e produzione di organismi geneticamente modificati; Zaccagnini 41.0200, volto ad introdurre con legge ordinaria un referendum consultivo in materia agro-ambientale, laddove la Costituzione, agli articoli 75 e 138, prevede, rispettivamente, come uniche forme di consultazione popolare, il referendum abrogativo e quello confermativo per le leggi di revisione costituzionale e per le altre leggi costituzionali; Gelli 42.200, recante la soppressione di alcune certificazioni sanitarie; Micillo 58.201, relativo all'efficienza dei corsi e dei diplomi per le professioni sanitarie ausiliarie; Cicu 61.0201, volto a disciplinare la facoltà per la regione Sardegna di prevedere misure fiscali agevolative con oneri a carico del bilancio regionale.
      Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti il deputato Danilo Toninelli. Ne ha facoltà.

      DANILO TONINELLI. Signor Presidente, questo provvedimento, per come è stato presentato, avrebbe dovuto essere respinto al mittente. Noi ci abbiamo provato, presentando una questione pregiudiziale, che, purtroppo, ha avuto un esito negativo nel voto di maggioranza. Questo provvedimento ha rappresentato un enorme dispendio di energia e di tempo, a fronte di risultati scarsissimi.
      Intanto, i dati dell'economia, in particolare il debito pubblico, mettono i brividi. Per quanto riguarda noi componenti della I Commissione (Affari costituzionali) del MoVimento 5 Stelle, siamo esterrefatti per i 2.200 emendamenti depositati. Questo numero ci porta a domandarci quale sia la maggioranza parlamentare che sostiene questo Governo.
      Come si può incidere smozzicando in materie come la mediazione, la giustizia civile e quella penale ? Ci domandiamo: ma sono materie da decreto-legge ? Vorrei ricordare che questo decreto-legge recava fin dall'origine l'ambizioso titolo di «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia». Non è chiaro dove fosse riposto il motivo di tanta ambizione.
      Le parole hanno un peso ed un significato: se l'oggetto dell'intervento urgente è il rilancio dell'economia, dove sono le misure di politica fiscale, industriale, inerenti al reddito, atte a sostenere le aziende e il mercato ? E a proposito, ci domandiamo: dov’è finita la spending review ?
      Le premesse da cui partire sono queste, sostanziali: la prima, il nostro Paese è in coda, dopo Cipro e la Lituania, nella classifica europea dell'amministrazione online. Secondo, trentuno miliardi è il peso degli oneri amministrativi che gravano sulle imprese, stima coincidente di Confindustria e CGIA di Mestre. Terzo, a 1,3 miliardi ammonta la spesa delle pubbliche amministrazioni per incarichi e consulenze nel 2011, dati della Funzione pubblica. Spesa stabile nel tempo, nonostante le velleità di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni e la normativa che, alla fine, ne ha imposto la riduzione. Quindi, si configura una vera e propria violazione delle disposizioni sul contenimento della spesa pubblica, ex decreto-legge n.  78 del 2010.
      Il sottotitolo di questo provvedimento, «decreto del fare», ancora più comico, più Pag. 4che «del fare» dovrebbe essere «del si farà» – lo hanno detto in tanti, ma lo dobbiamo dire anche noi –, e anche con molta calma, stante la mole dei rinvii a norme successive, molte delle quali, in origine, prive di termini per l'emanazione.
      Mancano azioni e strumenti concreti: vi sono intenti, programmi e procedimenti, o modifiche di intenti, modifiche di programmi e modifiche di procedimenti. A noi sembra che si guardino le pagliuzze, perdendo di vista le travi che abbiamo negli occhi.
      Per dire, il Presidente Grasso giudica indegna del consesso dell'Aula di Palazzo Madama una giacca con l'arcobaleno della pace, ma non gli insulti razzisti del suo vice. Per dire, l'Agenda digitale, fiore all'occhiello dell'innovazione e portatrice di 35 miliardi di euro di risorse per l'economia, sulla quale abbiamo presentato diversi emendamenti; «digitale» ed «elettronico» sono parole magiche di tante leggi, ma cosa ne abbiamo cavato ? Basta guardare alle infinite proroghe per l'attuazione delle cartelle digitali, alla carta di identità, al documento unificato, alla posta certificata, al dialogo tra le pubbliche amministrazioni e tra le pubbliche amministrazioni e le imprese e i cittadini.
      Il codice dell'amministrazione digitale risale, addirittura, al 2005. L'obbligo per le pubbliche amministrazioni di non pesare sui cittadini e sulle imprese, ma di andarsi a pescare i documenti delle banche dati, risale ad un decreto del Presidente della Repubblica vecchio di oltre dieci anni. Il punto è che, a tutt'oggi, non sappiamo nemmeno quali e quante banche dati abbiamo in Italia. Sosteniamo enormi spese nel software e non riusciamo neppure ad influenzare lo sviluppo di applicativi specifici, pur essendo i maggiori investitori in materia a livello europeo.
      Spendiamo miliardi di euro di software e i produttori internazionali sono tra i maggiori fornitori, perché le aziende italiane sono praticamente relegate a fare da integratori e installatori. Nell'ultima tornata dei finanziamenti sulla smart city sono stati investiti oltre due miliardi di euro, senza produrre alcun risultato di una certa rilevanza che l'Italia riesca non solo ad esportare, ma, soprattutto, ad utilizzare al proprio interno.
      Non riusciamo ad avere un catasto decente, non conosciamo il numero esatto dei nostri esodati, non abbiamo un'anagrafe che dia un immediato risultato tributario certo, abbiamo buchi informatici che generano evasioni fiscali per 60 miliardi all'anno e non riusciamo a fare banali incroci tra banche dati che sono comunque gestite e finanziate da uffici pagati con fondi pubblici.
      In compenso, le imprese hanno vinto, con questo decreto, un nuovo esperimento, altro fumo negli occhi: l'indennizzo da parte della pubblica amministrazione, oggetto anch'esso di nostri emendamenti, talmente farraginoso e malizioso da far desistere anche i più testardi.
      Tornando all'Agenda digitale: tre interventi legislativi ravvicinatissimi e tutti rigorosamente con decretazione di urgenza – ci mancherebbe altro –, una governance nuova di zecca, una cabina di regia, un commissario straordinario, una struttura di missione, un tavolo consultivo permanente, un'agenzia ad hoc, e non è ancora chiaro chi comanda, ma soprattutto dove sono la pianificazione e le strategie.
      Non è una questione di strutture – quelle non ci sono mai mancate –, ma di strategia, di missione e di obiettivi. In sostanza, manca a questo Governo la lungimiranza. La lungimiranza, a nostro avviso, è la discriminante per riconoscere ciò che è politica da ciò che non lo è. Presi dal consenso immediato, i Governi, i politici, hanno accantonato il futuro, intendo il futuro di noi cittadini, dei nostri figli e del nostro Paese. Per fare un esempio: Finmeccanica, altro fiore all'occhiello, ha un presidente a cui non si possono negare eccellenti doti organizzative; il Governo ci ha detto che la nomina effettuata è a prova di bomba sulla trasparenza e la compatibilità. Va bene, e poi ? Di che stiamo parlando ? Finmeccanica non è la direzione generale di un Ministero. Vorremmo sentir parlare di leadership, di performance, di utili, di strategie, di competenze degne di manager veri. Nelle sedi Pag. 5opportune ne chiederemo conto al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e altrettanto, ovviamente, faremo sull'Agenda digitale. Qualcuno dovrà venirci a dire dove intende portare il Paese e quali sono le prospettive per i suoi fiori all'occhiello.
      Dobbiamo reimparare a guardare un po’ più lontano, con un raggio di respiro più ampio. Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Senza passare per facinorosi, possiamo definire questo Governo quanto meno «attendista». Sulla scia dei Governi precedenti anche questo, nato per default, naviga a vista, si muove per piccoli passi, tralascia o rinvia scelte cruciali e al Parlamento, purtroppo, non rimane che la possibilità di segnalare. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. La ringrazio. Ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

      GUIDO GUIDESI. Grazie Presidente. Visto che da ieri sera si vocifera circa la posizione della fiducia da parte del Governo rispetto a questo provvedimento...

      PRESIDENTE. Non c’è nessuna comunicazione ufficiale in tal senso.

      GUIDO GUIDESI. Si vocifera. Volevo solamente annunciare che, come gruppo, rispondendo anche alle richieste del Ministro Franceschini al Comitato dei diciotto di ieri, ritireremo i nostri emendamenti e lasceremo solo ed esclusivamente i cinque emendamenti che riteniamo opportuno siano discussi per completare ed implementare il testo del decreto, in maniera tale che la maggioranza non abbia l'alibi degli emendamenti. Grazie.

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Di Salvo. Ne ha facoltà.

      TITTI DI SALVO. Grazie Presidente. Colgo l'occasione dell'intervento dell'onorevole Guidesi per fare questa dichiarazione: anche noi pensiamo di dare la nostra disponibilità – e voglio dichiararla in questo momento – nel ridurre i nostri emendamenti, ritirandoli e mantenendone soltanto otto, in modo che esista da parte nostra la chiara volontà e disponibilità ad aiutare la discussione in Aula senza la posizione della fiducia.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 9,53).

      PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Rosato. Ne ha facoltà.

      ETTORE ROSATO. Grazie Presidente. Intervengo per confermare quanto detto da noi, dal nostro gruppo. Lo avevano detto anche il gruppo del Pdl e il gruppo di Scelta Civica per l'Italia nella seduta di ieri sera in Commissione, affermando che, ove ci fosse stata la disponibilità dei gruppi di opposizione di ritirare i loro emendamenti lasciandone un numero congruo, che avevamo definito in un centinaio – quindi, per far capire che la dimensione era ampia, e in questo senso ringrazio sia il gruppo della Lega che il gruppo di SEL –, anche la maggioranza avrebbe lasciato al massimo dieci emendamenti sulle questioni più significative che erano di interesse per questa Aula.
      Io spero e auspico, quindi, che, raccogliendo questo invito, tutti i gruppi contribuiscano in questo senso e che noi possiamo proseguire l'esame di questo decreto, con lo spirito che è stato richiamato più volte, cioè di non lasciare solo al Governo il potere di legiferare, ma appropriandosene come Parlamento. Pag. 6Ecco, questa è proprio l'occasione per fare questo, cioè appropriarsi del potere di legiferare.

(Ripresa esame dell'articolo unico – A.C. 1248-A/R)

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Di Stefano. Ne ha facoltà.

      MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, colleghi, la Commissione affari esteri è toccata solo marginalmente da questo decreto (appena due articoli) e questa è l'unica nota positiva che faccio al riguardo, perché, come spesso avviene in Commissione, vorremmo non ci fossero nemmeno questi e vi spieghiamo il motivo.
      Torniamo all'origine. Attualmente la cooperazione allo sviluppo è regolamentata dalla legge n.  49 del 1987. Avete capito bene: stiamo parlando di ventisei anni fa. Muhammad Yunus iniziava ad elargire...

      PRESIDENTE. Chiedo scusa, chiedo di liberare i banchi del Governo, se è possibile. Deputato Bratti... Prego, deputato Di Stefano.

      MANLIO DI STEFANO. Dicevo che parliamo di qualcosa che ha già ventisei anni. Muhammad Yunus iniziava ad elargire i primi microcrediti e lungi erano ancora i concetti quali sviluppo sostenibile e partecipato. Ventisei anni di attesa, due Governi della Democrazia Cristiana, tre di sinistra – o presunta tale –, tre di destra e persino due di tecnici hanno partorito gli articoli 7 e 8 del «decreto del fare», che revisionano la gestione del Fondo rotativo e dei partenariati. I miei più vivi e fervidi complimenti.
      E dire che una soluzione c'era e ve la raccontiamo. Questi inesperti sognatori del MoVimento 5 Stelle, non appena insediatisi, hanno deciso di cambiare l’iter dei lavori per centrarli sui reali bisogni di chi opera nel settore della cooperazione, ovvero ONG e ONLUS. Così hanno organizzato tavoli di lavoro con Emergency, ActionAid, Amnesty International e Amka Onlus, per citarne alcune, e hanno chiesto loro di aiutarli a scrivere una legge sulla cooperazione allo sviluppo.
      Inutile dire che la disponibilità è stata massima, ma quasi tutti ci hanno chiesto di non ripartire da zero, perché negli ultimi dieci anni gli sforzi sono stati enormi e una legge abbastanza condivisa e condivisibile esisteva già. Era nota come «legge Tonini» e si era misteriosamente arenata dopo tutto l’iter al Senato poco prima di essere votata (parliamo dell'ultima legislatura, tra l'altro, non di un'altra era geologica.
      Ci siamo allora detti che questa era un'ottima occasione: questa, la nostra, sarebbe stata la legislatura nella quale finalmente si sarebbe riscritta la normativa sulla cooperazione. Sarebbe bastato riprendere la «legge Tonini», modificarla leggermente, adattarla alle ultime circostanze e agli ultimi report dal mondo e farla passare velocemente alle Camere.
      Così ci siamo impegnati a non presentare una nuova proposta per non ingolfare la macchina ulteriormente. Avremmo appoggiato una riformulazione della «legge Tonini», senatore del PD, tra l'altro. Questo proprio a dimostrare che a noi...

      PRESIDENTE. Deputati, vi chiedo di abbassare il tono della voce cortesemente.

      MANLIO DI STEFANO. Questo proprio a dimostrare che a noi del marchio non ci interessa proprio nulla.
      Passano i mesi, si arriva al «decreto del fare» e con immenso stupore ci troviamo questi due articoli e l'illuminazione: siamo di fronte all'ennesimo atto di masochismo del PD, che per l'ennesima volta preferisce sottostare ai diktat del Governo, che non ascolta la maggioranza stessa, piuttosto che supportare le proposte di legge dei suoi stessi parlamentari.
      Ma noi sadici non siamo e abbiamo chiesto in Commissione che i due articoli fossero stralciati per indurre il Parlamento alla discussione della «legge Tonini». La risposta è stata la stessa di sempre: c’è Pag. 7urgenza. Quindi, preso atto della volontà del Governo, abbiamo deciso di emendare gli articoli per renderli migliori. Ma – inutile dirlo – sono stati bocciati tutti gli emendamenti.
      Che dire ? Di fronte a tanto, alziamo le mani e ci arrendiamo. In Sicilia si dice: «Chi è più scemo Carnevale o chi gli va appresso ?» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Allora, siamo qui a raccontarvi quali fossero i contenuti di questi emendamenti, sperando di rendervi maggiormente consapevoli di ciò che voterete.
      La cooperazione allo sviluppo, ispirandosi ai principi universali in materia di diritti umani fondamentali, ai trattati, alle convenzioni, agli indirizzi delle Nazioni Unite e alla normativa dell'Unione europea, deve perseguire la riduzione della povertà e delle disuguaglianze a livello globale e il miglioramento delle condizioni economiche, sociali, di lavoro, di salute e di vita delle popolazioni nei Paesi partner.
      Abbiamo, quindi, ritenuto centrali per questi emendamenti il rafforzamento della capacità di generare risorse proprie per lo sviluppo – proprie –, la promozione e protezione dei diritti umani e del lavoro, del ruolo delle donne e della partecipazione civile e democratica, la tutela dell'ambiente, dei beni comuni e della diversità culturale. Crediamo che il Fondo rotativo per i crediti agevolati e le imprese miste per lo sviluppo debbano essere eliminati dalle politiche di cooperazione, poiché hanno ricadute troppo incerte sulle popolazioni locali e andrebbero sostituiti con fondi per il microcredito a sostegno della popolazione locale, ma gestiti da associazioni riconosciute dalla società civile.
      In questi emendamenti abbiamo inserito i concetti di sviluppo sostenibile, di microcredito e di rilancio delle imprese locali, ma per tutto questo non c’è urgenza, c’è tempo, magari altri ventisei anni, perché no ? Colleghi vi chiedo di leggere bene i nostri emendamenti, specialmente i tanti tra di voi che vantano attivismo in ONLUS e ONG. Sono certo che, se siete andati, come me e come tanti altri nel nostro gruppo, in Congo, in Guatemala o, comunque, nell'Africa subsahariana a toccare con mano le vere emergenze, non potrete non condividerli.
      La fatalità ha fatto sì che questi due articoli fossero appunto il 7 e l'8, come il titolo di un noto film di Ficarra e Picone, miei concittadini. Bene, in quel film, per uno scambio di culla, si rovinano le vite di due persone: un po’ come avviene con questo decreto, con uno scambio di emergenze.
      In quel film, però, in una scena fondamentale, Sperandeo inverte la posizione di Ficarra a Picone, il 7 e l'8 appunto, ed esclama: «Tutto a posto !». Cari colleghi, mi dispiace, ma questo lieto fine non può funzionare per il nostro Paese. Il «decreto del fare», così com’è, di «a posto» non ha proprio nulla (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vacca. Ne ha facoltà.

      GIANLUCA VACCA. Signor Presidente, ci eravamo lasciati con il Governo che ci diceva che non avrebbe mai tagliato la cultura e l'istruzione, anzi che avrebbe investito in questo settore e, invece, alla prima occasione, il Governo ha subito calato la maschera e, quando parliamo di Governo, parliamo anche della maggioranza, perché abbiamo scoperto con questo decreto-legge (ma per noi è soltanto una conferma) che Governo e maggioranza sono un'unica cosa. La maggioranza obbedisce a quello che dice il Governo, senza fiatare, e ciò che vuole il Governo praticamente è legge. Quando la maggioranza interviene, spesso con la complicità del Governo, fa più danni di quelli che ha fatto il Governo e adesso lo vedremo nello specifico.
      Quindi, si è detto che il Governo non avrebbe operato tagli e avrebbe investito su cultura e istruzione e, invece, questo decreto-legge è pieno di tagli. Questo decreto-legge è pieno di sottrazione di fondi a questi settori che, invece, dovrebbero essere strategici. È una sottrazione di fondi spesso mascherata da spostamenti: Pag. 8cioè si tolgono i fondi da una parte per dirottarli da un'altra, ma sempre tagli sono.
      Inoltre, questo decreto-legge è pieno di modifiche apportate da emendamenti che alcune volte sembrano scritte da incompetenti, dai burocrati pasticcioni, che addirittura prevedono date e scadenze prima che scadano i sessanta giorni del decreto-legge, oppure sono scritte malissimo e impossibili da realizzare.
      Cominciamo con i tagli: l'articolo 11 prevede i tagli alla cultura, se per cultura intendiamo anche il cinema, come è sempre stato. Noi abbiamo presentato degli emendamenti per chiedere il ripristino del tax-credit al cinema ed estenderlo anche alla musica.
      Poi c’è l'articolo 39-bis, un articolo aggiuntivo targato PdL, che è stato il carrozzone Arcus. Il Governo Monti, in uno dei suoi pochissimi atti di lucidità – pochissimi – aveva deciso di sopprimerlo. Non si capisce quale sia stata la lucidità che abbia preso il Governo Monti in quel momento. Questa società, infatti, è al centro di numerose polemiche e sprechi quale emblematico carrozzone che serve a sistemare qualche amico e a dirottare risorse che poi si volatilizzano. Mentre si chiedono sacrifici ai cittadini, voi salverete una società «mangiasoldi» che, fino ad ora, non ha prodotto praticamente nulla.
      L'articolo 58: ci sono voluti ben cinque anni per cominciare a porre rimedio al disastro targato Gelmini-Tremonti, un vero disastro. Finalmente il Governo ha deciso di proporre lo sblocco del turnover delle assunzioni nelle università in misura del 50 per cento. Si ampliano così le possibilità di assumere nelle università e negli enti di ricerca. Risulta difficile, però, comprendere perché non sia stato portato al 100 per cento questo sblocco, considerando che si tratta di risorse già nella disponibilità degli enti e degli atenei. Si deve, infatti, ricordare che non si tratta dell'unico limite che insiste sulle assunzioni, poiché sia gli enti che l'università sono penalizzati anche dal tetto di spesa per il personale sulle risorse complessive, diventato più penalizzante con i tagli degli ultimi anni.
      Ad esempio, per le università sussistono ancora i vincoli all'impiego delle risorse liberate dal turnover definiti dal decreto legislativo n.  49 attuativo della legge n.  240 del 2010, la «riforma Gelmini», i cui indicatori andranno rivisti. Date le difficoltà di bilancio degli atenei e le riduzioni del Fondo di finanziamento ordinario degli ultimi anni, questi vincoli possono rendere teorico il turnover al 50 per cento, a fronte di atenei che potranno reclutare utilizzando percentuali molto inferiori di budget. Gli enti di ricerca, invece, sono spesso impossibilitati comunque ad assumere, perché hanno dotazioni organiche inadeguate e non hanno turnover, come nel caso emblematico dell'INGV.
      Pertanto, sarebbe stato opportuno consentire alle singole università di assumere, portando al 100 per cento i limiti di spesa consentito rispetto alle cessazioni dell'anno precedente.
      Nonostante riconosciamo il piccolo sforzo che il Governo ha fatto con lo sblocco al 50 per cento, riteniamo tuttavia che sia ancora insufficiente quanto proposto. Il personale delle università sta invecchiando e tutto andrà a discapito della didattica e della ricerca. Il ricambio generazionale è fermo ormai da troppo tempo e un Paese come l'Italia non può permettersi di essere troppo timido in quei provvedimenti che riguardano l'innovazione, la ricerca e l'istruzione.
      Non è un problema di risorse, come vogliono farci credere, ma di volontà politica: esiste un disegno ben preciso, che si sta perseguendo da anni, che vuole destrutturare l'istruzione e precarizzare il più possibile sia i servizi che gli insegnanti. Ne dà prova ciò che ha ammesso lo stesso Governo, individuando negli stanziamenti del settore delle pulizie esternalizzate delle scuole le risorse per coprire le nuove assunzioni nelle università, tant’è che nella relazione illustrativa del decreto in esame dichiara che, fino ad ora, lo stanziamento per le pulizie è stato pari a 390 milioni di euro, ma che da oggi in poi non potrà Pag. 9essere speso, per il servizio esternalizzato di pulizia, un importo superiore a quello che si spenderebbe con le assunzioni di quasi 12.000 unità supplenti, ossia 280 milioni di euro. In altre parole, lo Stato dichiara che, esternalizzando il servizio, spende di più di quanto spenderebbe con il servizio internalizzato.
      A questo punto la domanda sorge spontanea: chi ha spinto verso l'esternalizzazione delle pulizie nelle scuole, facendo credere che si andava verso un sistema che risparmiava ? Come si spiega questo maggior costo ? Stiamo parlando di 110 milioni di euro in più ! Naturalmente noi siamo favorevoli ad utilizzare queste risorse risparmiate per le assunzioni nelle università, ma qualcuno ci spieghi perché si insiste con le esternalizzazioni e non si persegue la strada delle assunzioni di personale ausiliario. Forse perché qualcuno ci guadagna in termini di clientele e controllo del voto o forse perché con le ditte esterne qualche amico ci guadagna e magari qualche partito in termini di voti.
      L'articolo 59 è un altro pasticcio, un vero e proprio pasticcio di maggioranza e Governo: viene istituita la cosiddetta borsa di mobilità, uno strumento aggiuntivo alle borse di studio classiche per gli studenti universitari. Vengono anche trovate le risorse per la copertura finanziaria delle borse di mobilità. A questo punto sorge spontanea una domanda: il Governo sa che più del 50 per cento degli studenti idoneo per le borse di studio non riceve un centesimo, perché vengono stanziate poche risorse ? Il Governo sa che nella borsa di studio classica è inserita una quota riguardante la mobilità ? Crediamo di sì, altrimenti ci dovremmo preoccupare. Allora, ci chiediamo perché il Governo non destina le risorse che è riuscito a reperire per le borse di mobilità alle borse di studio.
      Stendiamo inoltre un velo pietoso nel merito del provvedimento, in quanto è frutto di dilettanti, che fissa un tetto minimo di contribuzione, da conseguire entro luglio, di crediti formativi da conseguire entro luglio al 90 per cento, senza fare alcuna distinzione tra un corso di laurea umanistico, scientifico o medico.
      Ora passeremo alla trattazione di un articolo aggiuntivo targato PD, una vera chicca, l'articolo 59-bis. Questi signori, che di propaganda e false promesse se ne intendono e che in campagna elettorale avevano dichiarato di voler abolire la «riforma Gelmini», cosa fanno ? Presentano un emendamento che applica un capitolo spinoso della «legge Gelmini» riguardo al tema del diritto allo studio. Dove non è riuscita la Gelmini, dove nemmeno Monti si era spinto, arriva in soccorso il PD. Se qualcuno aveva dubbi, adesso nessuno può dire il contrario. Cosa si sono inventati ? Un altro canale per le borse di studio, alternativo al sistema regionale di diritto allo studio: un sistema nazionale di graduatorie di merito per le borse di studio, parallelo a quello vigente e probabilmente in netto contrasto con il dettame costituzionale, come hanno rilevato anche gli stessi uffici della Camera. È in contrasto con il dettato costituzionale: quindi si propongono emendamenti (Governo e maggioranza) che sono molto probabilmente incostituzionali.
      Prepariamoci a numerosi contenziosi e a vedere queste risorse per le borse di studio bloccate per decenni, quindi è solo propaganda. Auspichiamo un ripensamento del PD, un atto di saggezza, suggerendo di cancellare l'articolo 59-bis e di destinare le risorse trovate per le borse di studio regionali. Non ci si illuda: anche se gran parte dei media resteranno in silenzio, lo studente universitario italiano è abbastanza maturo per capire cosa sta accadendo e a ottobre vi chiederà il conto.
      L'ultima chicca: il vero attacco finale all'università non poteva che provenire dai banchi del PdL, di chi di tunnel del CERN al Gran Sasso se ne intende, l'onorevole Gelmini.
      In attuazione della sua epocale riforma distruttiva dell'università italiana, che sta mietendo vittime su vittime in quanto a chiusura di corsi di laurea, anche quelli con migliaia di studenti iscritti, che ha tolto le risorse e, contemporaneamente, ha lasciato nelle mani di pochi il controllo delle università, ha deciso di riformulare l'articolo 60 del provvedimento in esame, Pag. 10prevedendo l'aumento della quota premiale del Fondo di funzionamento ordinario da un minimo del 20 a un massimo del 30 per cento. Appare evidente come il tentativo sia quello di penalizzare fortemente alcune università, in particolare quelle del Centro-sud. Nel momento in cui si cambiano i requisiti di finanziamento, legandoli ai risultati di ricerche e classifiche già stilate, vuol dire che si intende unicamente colpire alcuni enti già definiti: prima si fanno le classifiche e, poi, si decide il criterio di finanziamento. Bel sistema questo.
      Oltretutto, gli stessi meccanismi di classificazione individuati dall'ANVUR, ente ancora sperimentale – l'ANVUR è ancora un ente sperimentale –, sono stati oggetto già di molte critiche, che hanno sollevato moltissimi dubbi sulla loro reale efficacia di verifica. Basta comparare i dati ANVUR con quelli delle classifiche internazionali per evidenziare le incongruenze e le falle del sistema. Si sottolinea, inoltre, che i dati di riferimento delle classifiche ANVUR sono riferiti, appunto, al periodo compreso tra il 2004 e il 2010, che rappresenta la fotografia dell'università di tre anni fa, a «riforma Gelmini» non ancora partorita.
      Si arriverà finalmente all'obiettivo di creare università di «serie A» e di «serie B», come voleva il PdL della falsa meritocrazia, il tutto avallato dalla complicità, o incapacità di comprendere, del Partito Democratico. Ci auguriamo che questa riformulazione venga del tutto annullata: se così non sarà, non solo voteremo contro in Aula, ma ci faremo promotori di tutte le istanze e proteste che, sicuramente, caratterizzeranno il prossimo anno scolastico.
      Voi, forse, credete che gli italiani sono cittadini stupidi e disinformati: vi accorgerete presto che non è così (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vallascas. Ne ha facoltà.

      ANDREA VALLASCAS. Signor Presidente, colleghi, inizierò dicendo subito che questo provvedimento, battezzato fantasiosamente «del fare», rispecchia in tutto e per tutto il modo di fare, appunto, di questo Governo e, cioè, è del tutto insufficiente, inconcludente e chiuso alla reale necessità di decidere in quale direzione veramente vuole andare questo Paese attraverso la tecnica del rimandare.
      Limite strutturale della formulazione di questo decreto è una paradossale visione che si restringe al breve periodo, privo di un respiro ampio che si rivolga ad una prospettiva di lungo periodo. Il Governo Letta, nato precario in conformità ai tempi, è un bizzarro a tempo determinato, incapace di percorrere l'unica via possibile per il rilancio della nostra economia e, cioè, una riforma strutturale che orienti lo sviluppo e la crescita del Paese attraverso una seria e pianificata opera di reale ammodernamento e semplificazione dell'apparato burocratico.
      Ad oggi, la produzione di decreti-legge depotenzia l'attività parlamentare, la rende mera e sterile testimonianza di una democrazia che arranca sotto i colpi dei poteri forti, nel prevalere di interessi e logiche personali. Quali soluzioni fornite a fronte della drammatica condizione del Paese ? Come rilanciare le attività produttive ? Il Ministro Fabrizio Saccomanni, in un'intervista a Bloomberg TV, a margine dei lavori del G20 di Mosca, ci fornisce una soluzione: vendere o, forse, svendere. Cosa ? Lo afferma lui stesso: vendere quote di società che creano un profitto e danno dividendi al Tesoro. Rifilano, dunque, pezzi che portano alle casse dello Stato risorse che gli danno respiro. Per cosa ? Bene, per ridurre il debito pubblico, non mettiamo mano agli sprechi, no; però, ecco la politica delle pezze, del fare. Fare favori ? Perdonate la dietrologia: a chi ? Quote di ENI, ENEL, Finmeccanica, rischiano, attraverso questo scellerato proposito, di finire nelle mani della speculazione internazionale. L'ossatura energetica e industriale del nostro Paese, in svendita alla mercé del miglior offerente, rischia di asservirci e renderci dipendenti di multinazionali prive di scrupoli.
      Non si traccia la direzione precisa per uno sviluppo organico del tessuto produttivo Pag. 11del Paese, ma solo una pioggia di interventi di sostegno a vantaggio non si sa ancora bene di chi, con finanziamenti volti ad incentivare la genericità degli investimenti attraverso il vetusto Fondo di garanzia stabilito dall'articolo 2, comma 100, della legge n.  662 del 1996, senza chiarire i termini dell'intervento che si demandano ad un successivo decreto ministeriale. In un momento in cui il tessuto della micro, piccola e media impresa è asfittico e il complesso della forza lavoro attende di essere reimpiegato, la difficoltà di accesso al credito diventa un'urgenza. Ancora una volta, la risposta fornita è largamente insufficiente.
      Con il paravento del sostegno si continuano a fornire provviste speciali alle banche, attraverso la Cassa depositi e prestiti, i risparmi dei cittadini; quelle stesse banche che, poi, i soldi li prestano a totale discrezione decidendo a chi e quanto, attraverso un plafond, peraltro assolutamente insufficiente, di 2,5 miliardi di euro, solo eventualmente elevabili a 5 miliardi di euro, per le imprese che intendano rinnovare i loro macchinari, in un momento in cui le stesse imprese mandano a casa, per mancanza di lavoro, coloro che quegli stessi macchinari dovrebbero utilizzare, perché schiacciate da un carico fiscale sul lavoro insostenibile su cui il decreto «del non fare» tace.
      Si spostano denari come nel Monopoli spacciandoli per nuovi, utilizzando la disponibilità del Fondo per la crescita sostenibile, che dovrebbe servire a ben altro, per finanziare i contratti di sviluppo ma solo nelle regioni fuori dall'obiettivo «convergenza». Si finge di finanziare la ricerca industriale disponendo l'erogazione di capitali a fondo perduto per contribuire al 50 per cento su progetti innovativi non altrimenti specificati, prevalentemente per aziende il cui capitale di maggioranza è posseduto da giovani al di sotto dei 35 anni. Insomma, mosche bianche. Il tutto senza ulteriori oneri per lo Stato con l'utilizzo del già esistente Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR), già di per sé largamente insufficiente. Nulla poi è previsto per impedire che gli aiuti elargiti vadano a favorire aziende che delocalizzano la loro produzione come, invece, da noi richiesto negli emendamenti presentati.
      Questa visione previsitata è ancora più palese nelle norme in materia di concorrenza del mercato dei gas naturali e dei carburanti. In questo decreto-legge vengono esclusi dalla tutela i clienti vulnerabili; per ospedali, carceri, scuole vigono le regole del libero mercato che solo, e lo rimarco, solo al momento, risulta essere meno oneroso del mercato tutelato, ma sorgono dei dubbi. Se assumiamo come attendibile quanto precedentemente affermato, perché per i clienti domestici è prevista la tutela, e in caso di un forte e immediato aumento dei costi, verosimilmente nel periodo invernale, che ripercussioni si avrebbero sui bilanci dei clienti vulnerabili e quindi sulle tasse dei cittadini ? Non dimentichiamo, poi, quanto enunciato dal comma 7 dell'articolo 4 del presente decreto-legge a proposito di carburanti liquidi. In questo caso si fa un passo avanti e due indietro in materia di consumo dei combustibili. Tale comma regola la diffusione del metano e dell'energia elettrica per autotrazione favorendo però, di fatto, solo il gas naturale che, naturalmente, anzi, ovviamente, non è presente in tutte le regioni d'Italia. Le auto elettriche poi non le vedremo; deve essere prevista la ricerca in tal senso, devono essere favorite le rinnovabili, quelle vere, non le assimilate che con le prime, non si capisce perché, vengono finanziate attraverso la bolletta elettrica con la componente A3. Gli inceneritori non rinnovano l'aria, la inquinano.
      Ci sarebbe tanto da dire, come per le zone a burocrazia zero o la patata bollente dell'Agenda digitale su cui si continuano a definire cabine di regia, organismi consultivi, commissari per l'attuazione, l'Agenzia per l'Italia digitale, al solo scopo di distribuire poltrone utili, solo, a incrementare l'elefantiaco e clientelare apparato burocratico dello Stato, continuando a escludere dalla previsione di bilancio, per Pag. 12esempio, i fondi necessari per l'ammodernamento della rete telematica del Paese, ormai in totale disfacimento.
      Questo «del fare» dunque, è un altro frutto acerbo partorito da un Governo miope, completamente assorbito da un'opera di autosalvataggio quotidiano, da una maggioranza politica che ogni giorno si presenta più fragile, alla mercé dei capricci dell'imperatore e di entità lobbistiche che ne orientano e condizionano la politica. Il Paese implode in un ammasso di decrescita che richiede misure coraggiose che un Governo debole, deprivato e impegnato nell'unico sforzo di garantire la propria sopravvivenza, non potrà mai attuare. Questo decreto «del fare» non è altro che l'ennesimo atto flebile, propagandistico di una classe politica al tramonto che non accetta di cedere il passo al cambiamento.
      Questo, colleghi, è un Paese che non ha bisogno di pezze e il decreto «del fare», con questo nome che trasuda di retorica, così roboante, si presenta nella sostanza come la solita pezza all'italiana, fatta di interventi poco incisivi sul piano finanziario e strutturale. Volete arginare una falla con un dito; le falle, colleghi, a breve, diventeranno l'irruenza di una piena priva di controllo. È il momento di fornire al Paese risposte, perché la politica, quando è dettata da un serio indirizzo e progetto è «fare», non finzione e mistificazione sulla pelle e sulle spalle dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato L'Abbate. Ne ha facoltà.

      GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, gentili colleghe, egregi colleghi, l'agricoltura è, dati alla mano, l'unico settore attualmente in crescita. Nel primo trimestre 2013, infatti, il settore primario ha registrato un aumento del valore aggiunto, sia in termini congiunturali, pari a più 4,7 per cento, sia in termini tendenziali con un più 0,1 per cento.
      È un settore in controtendenza, secondo i dati forniti nell'ultimo rapporto ISTAT, ma un settore che non trova riscontro in quest'Aula dove continua ad essere visto come un comparto di «serie B», un settore spesso utilizzato, anche in sede europea, come merce di scambio, dove i contributi sono stati spacciati negli anni per sovvenzionamenti, se non per elemosine, agli agricoltori dipinti come i soliti non in grado di reggere alle regole del mercato. In realtà, i contadini italiani, coloro che hanno reso eccelso ed unico il made in Italy, sono le vere vittime di un mercato che antepone gli interessi delle grandi industrie alle logiche dell'agroalimentare e della salute dei cittadini. L'agricoltura deve entrare nel terzo millennio attraverso uno sviluppo fatto di tecnologie, di sviluppo coniugato alle peculiarità che da noi la rendano unica, ad un utilizzo ragionato e controllato severamente della chimica, sia per la difesa della bontà e genuinità dei nostri prodotti agricoli sia per la tutela e la difesa della salute dei cittadini.
      Non sono pochi oggi i giovani che puntano al ritorno alla terra, quelli che la stampa dipinge bucolicamente come agricoltori 2.0, ma che non sempre trovano appoggio e sostegno dalla politica. È per questo che abbiamo apprezzato la volontà di accogliere il nostro emendamento all'articolo 13 sulla governance dell'Agenda digitale, dove abbiamo chiesto di favorire l'accesso alle reti Internet anche nelle zone rurali, nonché la nostra richiesta di modifica del testo in cui abbiamo inserito imprese agricole e del settore della pesca tra i beneficiari dei finanziamenti agevolati per l'acquisto di macchinari ed attrezzature a scopo produttivo. Piccoli passi per non lasciare indietro i nostri agricoltori e per non dimenticarci di un settore che tuttora è un vanto, un orgoglio dell'intera nazione e che non può contare su una strategia a causa di un ennesimo decreto idealizzato con le parole «del fare», da trasformare in tutta fretta ed in maniera concitata senza pianificazione, condivisione, confronto, dialogo e visione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).Pag. 13
      C’è bisogno di leggi-quadro per interi comparti, che ne approfondiscano gli aspetti e che puntino lo sguardo da qui a trent'anni. Le toppe dei decreti non prospettano soluzioni strategiche. Per dare futuro al settore primario, per portare il settore primario nel futuro, non possiamo esimerci dal contemplare l'inserimento delle aziende agricole e della pesca tra i beneficiari del Fondo di garanzia. Facilitare l'accesso al credito in questo preciso momento significa garantire una boccata d'ossigeno vitale per l'intera agricoltura italiana. Un coltivatore che nella terra trae la sua ricchezza, e il suo sostentamento, con quello di tutta la sua comunità, non può essere costretto a contrarre continuamente debiti, non possiamo permetterci di lasciare morire nella terra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      È per questo che chiediamo all'Aula di non lasciare indietro i nostri agricoltori e dar loro l'occasione di essere traghettati nel terzo millennio votando i nostri emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Liuzzi. Ne ha facoltà.

      MIRELLA LIUZZI. Signor Presidente, la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni), è stata interessata da diversi articoli di questo «decreto del fare». Iniziamo con quelli relativi alla telecomunicazioni, ovvero gli articoli 10, 13 e 14. Partiamo dall'articolo 10. Ho assistito alle prime luci dell'alba, nel corso della seduta delle Commissioni bilancio e affari costituzionali riunite, alla continua riformulazione schizofrenica di questo articolo, che riguardava in partenza la liberalizzazione delle reti wi-fi relative ad attività non commerciali. L'ultima riformulazione aveva peggiorato notevolmente il testo. Gli utenti che si connettono in bar, ristoranti e alberghi, non devono già per legge essere identificati, ma questo articolo si contraddiceva, poiché prevedeva l'obbligo per il gestore di tracciare il cosiddetto indirizzo fisico, Mac address, che è un dato personale e che, tra l'altro, può essere facilmente falsificato. Per fortuna ieri in Commissione ci si è accorti dell'errore ed è stata accolta la modifica proposta dal MoVimento 5 Stelle, che ha scongiurato il blocco della diffusione del wi-fi. È indubbio che il Governo, nonostante gli sforzi, non ha le competenze necessarie per capire il settore delle telecomunicazioni e di Internet.
      Nel disastroso tentativo di riordinare il settore digitale ed i ritardi dell'Agenda digitale istituita con il decreto crescita 2.0, ci si è dimenticati completamente delle associazioni di categoria del settore, delle università e di tutti gli stakeholders che potrebbero apportare grosse competenze in materia. Con la riformulazione continua dell'articolo 10, come già ricordato, il Governo ha dimostrato la sua incompetenza in materia di telecomunicazioni; con il nostro emendamento 13.6 aggiungiamo semplicemente la possibilità per questi soggetti, certamente più competenti del Governo, di poter intervenire al tavolo permanente per l'innovazione.
      Continuiamo con l'Agenda digitale. Il «decreto del fare» aggiunge un altro componente al tavolo della cabina di regia, il Presidente del Consiglio che la presiede, e istituisce altre due figure: un tavolo permanente per l'innovazione e l'Agenda digitale italiana, una apposita struttura di missione capeggiata da un commissario di Governo per l'attuazione dell'Agenda digitale, il cosiddetto «mister Agenda digitale», il quale ha una sorta di ruolo di supervisione. Non è chiaro a cosa serva questa figura considerando già l'esistenza di un direttore dell'Agenzia digitale che non ci è sembrato, evidentemente, adatto al ruolo (ricordiamo in questa sede la poca trasparenza della sua nomina, anche). Dato il forte ritardo, proponiamo che il commissario vada nelle Commissioni parlamentari competenti ogni tre mesi a relazionare sullo stato di avanzamento dell'Agenda digitale, sperando in questo modo di mettere la giusta attenzione sulla materia che a parole tanti indicano come competitiva. Per completare il quadro, nell'articolo 14, la richiesta della casella di posta elettronica certificata è legata indissolubilmente Pag. 14al rilascio del documento unificato. Se il titolo dell'articolo è Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale, ci sembra doveroso eliminare questo vincolo.
      Veniamo ai trasporti. Nell'articolo 18, comma 9, si istituisce un fondo di 100 milioni per l'anno 2014 per la realizzazione del programma «6.000 campanili»; vorremmo che questi soldi fossero semplicemente destinati ad interventi infrastrutturali di adeguamento e ristrutturazione di edifici pubblici e non per la costruzione ex novo di questi edifici. Onde evitare un'ennesima cementificazione selvaggia di cui non capiamo la necessità, sarebbe meglio destinare parte di questi soldi alla messa in sicurezza di edifici già esistenti e non alla loro nuova costruzione. Con il nostro emendamento migliorativo cerchiamo di valorizzare il patrimonio che l'Italia ha, non costruire nuove opere per dare il contentino ai soliti nostri amici, anzi i vostri (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
      Peggio si fa nell'articolo 19, dove viene chiesto di dare una delega in bianco al Ministro Lupi; in Commissione trasporti abbiamo chiesto quali opere infrastrutturali si andassero a defiscalizzare tramite il comma 3 di questo articolo e, poiché si tratta di project financing, chiediamo lo stralcio totale di questo articolo perché la giudichiamo poco attinente al contenuto, seppur molto eterogeneo, del decreto; non ne ravvisiamo quindi i criteri di necessità.
      Ed infine arriviamo alla «chicca» di questo «decreto del fare», l'articolo 22, che giudichiamo una vera e propria oscenità; il comma di cui si propone la abrogazione tramite l'emendamento 22.2 è volto a introdurre delle semplificazioni delle procedure amministrative necessarie ad ottenere l'autorizzazione al dragaggio dei porti; nello specifico, nella lettera a), viene abolito l'obbligo di sottoposizione al parere delle commissioni di valutazione di impatto ambientale per interventi già previsti nei piani regolatori portuali; non solo, il comma in oggetto dell'emendamento consente la reimmissione nei siti idrici di provenienza, ovvero l'utilizzazione per il rifacimento degli arenili anche dei materiali dei dragaggi che non presentino, come invece ora richiesto, caratteristiche analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo. Si tratta di un vero e proprio scempio ambientale, che nello specifico non capiamo come possa servire a rilanciare il settore della nautica. Questo articolo signori ha un nome e cognome, come molti articoli del «decreto del fare». Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, egregi colleghi. La II Commissione (giustizia) indubbiamente ha lavorato bene, ha lavorato intensamente, ha lavorato praticamente all'unanimità, nel tentativo, io dico impossibile, come anche è stato riconosciuto da altri, di dare un senso al titolo III del «decreto del fare», quello relativo alla giustizia. Ma è un'impresa sostanzialmente impossibile, dicevo prima; noi in Italia abbiamo ben oltre cinque milioni di processi civili pendenti, e questo è sottaciuto nella relazione di accompagnamento, e rispetto a questo noi dovremmo valutare se questo decreto è destinato ad avere qualche efficacia, ad abbattere la pendenza e a evitare per il futuro che ne insorga una altrettanto massiccia.
      Questa problematica è completamente elusa e le norme che sono state approntate sono veramente, scusate l'espressione, abbastanza ridicole. Per fare solo un esempio, si prevede di assumere al massimo 400 giudici ausiliari che dovrebbero ogni anno al massimo eliminare 40 mila pendenze. Poiché soltanto la corte di appello ha oltre 458 mila pendenze, noi qui con un decreto urgente stabiliamo che fra dieci anni elimineremo il contenzioso pendente presso la corte di appello. Questo è il dato materiale, senza considerare poi la pendenza nel campo penale.
      Quindi, quattrocento ausiliari, mal pagati, pensionati, a cui dovrebbero poi affiancarsi in questa opera immane alcuni Pag. 15stagisti assunti, come è noto, gratuitamente. Mentre in altri settori si chiede di corrispondere agli stagisti una qualche indennità, qui invece bisognerebbe approfittare di questi giovani laureati affinché lavorino sostanzialmente gratis.
      Ora, al di là delle singole specifiche questioni, voglio sottolineare che la Commissione giustizia praticamente all'unanimità ha ritenuto che non fosse opportuno che si inserisse in questo decreto questa questione, perché la questione giustizia è tenuta insieme alle altre norme in modo molto ma molto labile, con un riferimento così praticamente di poco rilievo ad una casistica della Banca mondiale che dice che l'Italia è alla fine della graduatoria in termini di competitività e che a ciò contribuirebbe anche il settore giustizia.
      Ma come si intende procedere, qual è la corsa ad ostacoli che è stata inventata ? Perché di questo si tratta. È stata inventata una corsa ad ostacoli che mira sostanzialmente a dissuadere i cittadini dal rivolgersi ai tribunali, e si è pertanto approfittato della situazione di caos esistente per reintrodurre l'istituto della mediazione obbligatoria, che poi non è altro, in fin dei conti, che la riproposizione di strumenti che hanno già dimostrato il loro più completo fallimento negli altri settori in cui sono stati sperimentati.
      Ora, il tempo è breve; l'aspirazione che i cittadini in lite si riconcilino è un'esigenza giusta che è stata sempre tenuta presente dal nostro legislatore e che è stata anche sperimentata con successo nella storia processuale italiana. Nel 1973, quando fu modificato il processo del lavoro, fu introdotta una norma che diceva appunto così, ossia che alla prima udienza il giudice convoca le parti per ascoltarle liberamente e tentare la conciliazione. Io che ho la ventura per i miei anni di aver lavorato già negli anni attorno al 1973 nelle aule di giustizia posso garantire che quella norma funzionò tranquillamente ed efficacemente e che il giudice monocratico, che all'epoca fu istituito per eliminare le pendenze, fece piazza pulita di enormi masse di carta. Ora la norma è sempre la stessa, e la stessa norma la troviamo ancora nell'articolo 420 del codice di procedura civile, però le cose non funzionano. È evidente che non va tanto ricercato nelle norme il motivo ma altrove, e di ciò potremmo parlare lungamente. Oggi nelle aule di giustizia il tentativo di conciliazione, per esempio in materia di lavoro, è un tentativo che non viene sostanzialmente quasi mai esperito, anzi non viene neanche preso in considerazione. Si inventò pertanto anche lì la mediazione obbligatoria. Ad un certo punto si tentò di andare al di fuori del processo e si stabilì che un lavoratore, prima di accedere al tribunale, dovesse fare una sorta di via crucis, andare all'ufficio provinciale del lavoro e tentare la conciliazione. Mi sia consentito un aneddoto: quando ciò fu stabilito un mio cliente venne da me, sorpreso, e mi chiese: ma è possibile, è vero quello che mi hanno detto ossia che io, che non ho ricevuto il salario, per andare dal giudice devo prima andare all'ufficio provinciale del lavoro e al limite aspettare due mesi ?
      La cosa gli sembrava impossibile. Io dissi sì, effettivamente la norma c’è, ed è stata ispirata da un criterio: si chiamava il criterio del raffreddamento dei conflitti. È evidente che quella persona anziché raffreddarsi si scaldò molto di più, perché capì che lui non poteva andare sollecitamente dal giudice, però altri, il suo datore di lavoro lo poteva fare sollecitamente contro di lui.
      Questa norma è rimasta nel codice per parecchio tempo e poi eliminata, proprio perché non ricordo una sola conciliazione avvenuta di fronte all'ufficio provinciale del lavoro che non fosse prima stata coltivata negli studi legali o all'infuori dell'ufficio provinciale del lavoro. Altri istituti consimili sono presenti indubbiamente nella nostra legislazione: c’è la conciliazione tributaria, in qualche caso c’è anche quella penale, ma sono tutte conciliazioni che vengono tentate all'interno del processo, all'interno dell'ordinamento. Qui invece abbiamo una novità: abbiamo istituito un sistema professionale nuovo, quello del mediatore, il quale sostanzialmente a pagamento, comunque Pag. 16con grandi oneri di fatto a carico degli utenti, dovrebbe tentare di mettere d'accordo le parti.
      Anche questo istituto, nei circa due anni in cui è stato in funzione, le statistiche dicono che ha conosciuto una curva discendente. Non ho con me le statistiche del Ministero della giustizia, ma le conciliazioni effettuate in quella sede si sono dimostrate sempre meno frequenti, sempre meno ricorrenti.
      In sintesi, non è il momento di approfondire i singoli istituti: non ne avremmo l'occasione e il tempo. Perché non è il momento ? Perché il problema giustizia è una questione che dovrebbe essere affrontata in sé, fuori, con lo stralcio dal decreto-legge cosiddetto del fare. Lo chiedono tutti ! Abbiamo svolto 19 audizioni e ascoltato la rappresentanza dei magistrati, degli avvocati, degli amministrativi della giustizia; abbiamo svolto ben 19 audizioni e sostanzialmente tutti hanno ritenuto riduttivo trattare questa materia nel modo in cui la stiamo trattando.
      In effetti, non si riesce a capire perché questa larga maggioranza dovrebbe evitare di affrontare questo problema oggi, che appunto la maggioranza è così larga e di conseguenza potrebbe essere l'occasione buona per affrontare veramente il problema della riforma della giustizia. Se ne parla da vent'anni ! Credo che ci sia da studiare ormai ben poco, perché la massa di studi esistente è tale e tanta che non so ancora quant'altro bisognerebbe scandagliare. C’è soltanto da porre in essere veramente un decreto «del fare» in materia di giustizia, senza inserire queste norme così surrettizie.
      Ripeto velocemente: la Commissione giustizia ha fatto di tutto e ha dimostrato di essere all'altezza del compito. Però i suoi emendamenti – propriamente, gli emendamenti proposti quasi all'unanimità – sono stati del tutto ripudiati; e quelli sopravvissuti, di cui oggi dovremmo discutere, sono certamente delle puntualizzazioni positive in larga parte accettabili. Però non vanno al cuore del problema, perché il cuore del problema è ben altro, parte dall'indagine sulle cause del contenzioso, sul perché in Italia si ricorre tanto alla giustizia e perché non si riesce a smaltire il contenzioso in tempi celeri.
      Voglio soltanto portare un ultimo esempio, per indicare come non si è a conoscenza di ciò che effettivamente c’è nelle aule giudiziarie o nei palazzi di giustizia.

      PRESIDENTE. Deputati, vi prego di abbassare il tono della voce, cortesemente. Prego.

      ARCANGELO SANNICANDRO. Oggi, con questa legge, stabiliamo di rinforzare i ruoli dei magistrati. Però la verità è che i magistrati possono produrre quante più sentenze vogliamo, però poi dopo ci vuole l'amministrativo, il cancelliere. Potrei parlare per esperienza personale: anche con l'informatizzazione del sistema, poi ci vuole quella persona che implementi la banca dati ! Se non ci sono gli amministrativi, la macchina non funziona !
      Noi prevediamo la bellezza, scusate, intendevo dire che prevediamo ben 400 ausiliari, più una serie, come dire, numerosa di stagisti, e non prevediamo l'implementazione di un solo cancelliere. Ma come può funzionare ? È come una macchina per la quale prevediamo l'autista, il pilota, però, alla fine, i meccanici non li prendiamo per niente in considerazione. Qui, lo ripeto, c’è bisogno di tali e tanti meccanici.
      Per questo motivo, egregi signori, il nostro parere sarà contrario al decreto «del fare» in generale e alla parte relativa alla giustizia in particolare.

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zanetti. Ne ha facoltà.

      ENRICO ZANETTI. Signor Presidente, ritengo importante lasciare anche una traccia di quella che è stata l'opinione che ci si è formati nel corso dei lavori della Commissione bilancio e della Commissione affari costituzionali, lavori lunghi e duri come non poteva essere altrimenti di fronte ad un decreto di oltre 80 articoli. Francamente scrivere decreti di questo Pag. 17tipo è qualcosa, a nostro avviso, di profondamente sbagliato in partenza, a prescindere poi dal contenuto più o meno corretto, coerente e azzeccato di singole disposizioni in esso contenute.
      Non ha senso predisporre decreti di oltre 80 articoli che affrontano materie estremamente variegate e poi dare luogo al «balletto» della richiesta di limiti ad emendamenti, quando è del tutto evidente che non potranno che essere estremamente numerosi. Così come anche non ha più di tanto senso ritrovarci oggi qui a fare questa discussione e andare avanti in attesa di una fiducia che francamente prima o poi dovrà arrivare, a meno che – mi sento di dirlo – le opposizioni si rivelino più responsabili del Governo stesso.
      La gestione delle inammissibilità in Commissione, prima ancora che il dibattito sugli emendamenti ammessi, ha presentato dei profili, a mio avviso, di oggettiva arbitrarietà. Ci sono stati emendamenti palesemente congruenti per materia ritenuti non ammissibili e ce ne sono stati altri, che viceversa non avevano sicuramente il carattere d'urgenza, che hanno trovato accoglimento. Cosa ancora più seccante, molte delle inammissibilità o, in alcuni casi, del rigetto da parte del Governo di emendamenti comunque ammessi sono state motivate sulla base della mancanza di copertura, in quanto emendamenti idonei a ridurre il gettito.
      Ora, di fronte a questa affermazione in sé apodittica, quando il parlamentare di maggioranza o di opposizione controbatte con un ragionamento volto ad evidenziare perché questo non si verifica, i casi sono due: o si smonta quel ragionamento o si approfondisce la risposta, spiegando perché, comunque, si ritiene che vi sia una riduzione di gettito. Quando, invece, la risposta a quel punto è di nuovo: «si verifica una riduzione di gettito» e punto, non si è in presenza di un dibattito, ma di una sorta di dittatura degli uffici rispetto a quello che ha diritto, a mio avviso, di avere come informativa un componente di quella che, fino a prova contraria, dovrebbe essere l'Assemblea legislativa di questo Paese.
      Mi rendo conto che alcune delle cose che sto dicendo possono sembrare noiose, perché questo andazzo va avanti da molti anni e non è, quindi, una critica mossa tanto a questo Governo, perché è indubbio che forse questo stesso Governo non si rende conto, a mio avviso, della abnormità di queste condotte perché è da anni che vanno avanti. Però, grazie a Dio, noi come Scelta Civica questo pregresso storico non lo abbiamo e abbiamo ancora la forza di rimanere basiti di fronte a questi comportamenti. Noi siamo venuti in Parlamento convinti di venire nel cuore pulsante della democrazia di questo Paese e ci accorgiamo di essere, invece, messi nelle condizioni di poter soltanto giocare di sponda.
      Questo è un luogo in cui si emendano decreti del Governo ed è un luogo in cui si votano leggi-delega al Governo. Non si può andare avanti in questo modo ! Aggiungo, poi, che, anche nel merito, in questi «dibattiti zibaldone», estremamente difficili, perché variegati su mille materie diverse, e che portano ad inevitabili discussioni per ore, ore, ore e ore, si verificano anche episodi abbastanza sconcertanti.
      Si fa un decreto per semplificare, ma a volte i dibattiti portano a rendere le cose più complicate di prima. Faccio un esempio concreto, e vado a concludere: nell'articolo 50 del decreto si toccava la disciplina della responsabilità solidale per IVA e ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendente, che colpisce appaltatori e subappaltatori, a meno che non pongano in essere una serie di adempimenti; norma che ha la finalità di contrasto all'evasione, ma che è assolutamente provato riesca in misura quasi nulla ad incidere realmente, per il semplice fatto che chi ha la volontà di evadere non esita a produrre asseverazioni, a quel punto, eventualmente non veritiere, riuscendo comunque a sottrarsi al regime di responsabilità solidale e lasciando questo meccanismo come un qualcosa che va ad incidere negativamente su Pag. 18quelle imprese e su quei professionisti seri che comunque si atterrebbero scrupolosamente alle regole.
      Il tutto, però, anche rallentando la catena dei pagamenti in un momento in cui, viceversa, la liquidità è centrale. Ebbene, si era cercato di arrivare all'abrogazione totale di questa disciplina. Alla fine, siamo usciti dalla Commissione con una norma che al momento – vedremo che esito avrà – introdurrebbe qualcosa che secondo me è già leggenda, a prescindere da quelli che saranno gli esiti finali: il DURT, il Documento unico di responsabilità tributaria.
      Nemmeno due mesi fa, due mesi e mezzo fa, eravamo qui a cercare di semplificare la vita alle imprese rispetto al più noto DURC, il Documento unico di responsabilità contributiva, e oggi ne andiamo ad introdurre un altro, con un acronimo leggermente diverso, ma con la stessa idoneità a rendere il tutto complicato: obbligo di iscriversi su un portale, di comunicare informazioni, di richiedere indietro questo documento, altrimenti non si può pagare il subappaltatore. Il tutto, ripeto, in un contesto in cui si voleva semplificare qualcosa. Lo abbiamo complicato ancora di più !
      Su questo, devo dire, almeno per quanto riguarda Scelta Civica, abbiamo la coscienza pulita. Noi avevamo presentato un emendamento di semplificazione, e ce lo siamo votato, pur avendo avuto il parere contrario del Governo e non avendo avuto il sostegno di PD e PdL e anche il voto contrario del MoVimento 5 Stelle.
      Ci siamo poi opposti a questa ulteriore modifica, a nostro avviso profondamente sbagliata, che, viceversa, ha trovato di nuovo quella strana convergenza, determinando un mix, direi, venefico per il prodotto finale che si è determinato, tra l'incapacità di una parte, almeno, del PD, di confrontarsi in modo sereno con il mondo delle imprese e di accettare che, a volte, togliere un adempimento non significa semplicemente strizzare l'occhio agli evasori, ma cercare di rimuovere cose più farraginose che utili, il sostanziale menefreghismo del PdL, che, ogni qual volta una misura non ha una ricaduta mediatica importante, vota più o meno come gli viene detto, pronto, invece, a muovere polemiche quando vi sono questioni assai meno interessanti per i cittadini e molto più rarefatte, e, l'ultimo ingrediente, la fantasia, a tratti visionaria, del MoVimento 5 Stelle, che, a quel punto, pur con tutte le maggiori buone volontà, va a trovare soluzioni che, francamente, non hanno nulla a che vedere con qualcuno che sa come funzionano quelle piccole imprese per le quali anche adempimenti che sembrano semplici, magari, per pubbliche amministrazioni, per istituti di credito, per imprese fortemente strutturate, sono, viceversa, estremamente perniciosi per chi fa i conti anche sull'amministrativo a part-time, perché deve contenere i costi.
      Quindi, noi, per carità, riconosciamo che in questo decreto vi sono anche misure utili, però vogliamo veramente richiamare l'attenzione sul fatto che non si può continuare a porre in essere decreti di questo tipo.
      Non hanno alcuna utilità prospettica rispetto a ciò che serve realmente al Paese. Meglio piuttosto aspettare un po’ di più, ma partorire dei provvedimenti ragionati, con distinzioni per materie, con possibilità di dibattiti seri, mirati, piuttosto che questi zibaldoni infernali che fanno solo perdere tempo a tutti, a cominciare da noi, che oggi ci trascineremo in un dibattito in larga parte inutile, speriamo, perlomeno, non troppo lungo. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.

      STEFANO BORGHESI. Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo esaminato con attenzione e senza alcun pregiudizio questo decreto-legge, con la volontà di sostenere e condividere tutte le misure che, in questa congiuntura economica sicuramente non favorevole, anzi, con caratteri drammatici, potessero avviare quel rilancio dell'economia tanto sperato a cui il decreto-legge avrebbe dovuto essere mirato.Pag. 19
      Alla luce del testo proposto dal Governo e dall'esame parlamentare fin qui svolto, possiamo certamente dire che, se in generale la direzione poteva essere considerata apprezzabile, certamente la montagna, rappresentata da questo Governo delle larghe intese fino ad ora ha prodotto solo un topolino.
      A ciò si è aggiunto, durante l'esame da parte delle Commissioni referenti, un atteggiamento a nostro avviso non molto costruttivo e poco rispettoso delle opposizioni e dell'efficacia del lavoro parlamentare, alternando attese senza senso alla presentazione precipitosa di interventi da parte di Governo e relatori, peraltro lasciando il lavoro a metà in molti punti, a causa della mancata approvazione da parte della Ragioneria dello Stato.
      Tutto questo ci ha portato coerentemente a non poter condividere la relazione di maggioranza.
      Ciò premesso, l'intento del nostro lavoro non è quello di contestare le misure positive che comunque vengono previste dal decreto, ma di evidenziare quanto di più poteva essere fatto e ancora può esser fatto, di stimolare – concedetecelo – ad avere più coraggio, a cogliere in questo momento di gravità eccezionale l'opportunità di fare riforme altrettanto eccezionali.
      Negli ultimi mesi, l'ammissione collettiva che la mera politica di austerità ha impedito ai Paesi europei di reagire alla crisi mondiale, ci lascia sperare che si possano proporre misure più coraggiose.
      Secondo noi questo dovrebbe significare anche affrancarsi da diktat ottusi, elaborati da istituzioni comunitarie ed internazionali prive di legittimazione democratica.
      Leggere la relazione introduttiva che il Governo ha premesso al decreto è invece desolante. Il provvedimento, stando al testo, non è stato messo a punto avendo come orientamento le condizioni del Paese e il modo migliore per favorire una ripresa orientata alla preservazione del tessuto industriale, dello stato sociale, della dinamica tra categorie più consona a garantire il benessere dei nostri concittadini.
      Il Governo ha inteso con questo decreto solo adempiere puntualmente e compilativamente alle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del Semestre europeo 2013, presentate dalla Commissione europea, in cui la Commissione stessa ha dato i compiti a casa a ciascuno degli Stati membri. Quindi, non occorreva che fosse la Commissione di Bruxelles a chiederci di diversificare l'accesso delle imprese ai finanziamenti. Bastava ascoltare davvero le nostre imprese che da almeno cinque anni sono strozzate da un sistema bancario che ha scaricato sul mondo produttivo i propri errori finanziari. Non occorreva che la Commissione ci dicesse che il Mezzogiorno deve impiegare i fondi ingenti che la politica di coesione mette a disposizione. Posto che quella è la parte del Paese che beneficia di stanziamenti nazionali e comunitari superiori a tutte le altre, ha il dovere non solo economico, ma morale, di non sprecare queste risorse, per incuria o incapacità, in un momento nel quale ogni euro potrebbe essere fondamentale per altre imprese ed altri territori.
      E certamente non ci siamo accorti, ora, che, con le parole della Commissione, ancora una volta riportate dalla relazione del decreto, occorresse semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese.
      Con riguardo a questo decreto stigmatizziamo la scelta operata dal Governo di far confluire in un unico calderone, decisamente eterogeneo, disposizioni che necessitavano di un approfondimento settoriale e delicato. Emblematico il caso delle norme riguardanti la giustizia, certamente non cosmetiche, ma che disegnano, anzi, una vera e propria riforma, sulle quali la Commissione di merito ha potuto riunirsi solo per poche sedute e limitarsi ad esprimere un semplice parere.
      Questo nostro lavoro, che ci ha condotto fino a qui, è stato comunque animato dalla positiva volontà di proporre all'Assemblea un contributo al testo in senso migliorativo partendo dalle proposte oggetto del provvedimento nella speranza che il decreto «del fare» possa diventare un decreto del «fare di più».Pag. 20
      A questo punto, mi vorrei soffermare su un paio di articoli che riteniamo essere molto importanti e che riguardano le piccole e medie imprese. Ad esempio, l'articolo 1 parla del rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso a questo fondo, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un più ampio accesso al credito. In questo caso, in linea di principio, l'intervento può essere condivisibile. Bisogna tuttavia tener conto che per quest'anno le misure adottate avranno un impatto di poco rilievo sull'operatività del fondo stesso. Infatti, l'adeguamento dei criteri di valutazione delle imprese per l'accesso alla garanzia del fondo verrà definito solo alla fine del 2013 con l'adozione di un decreto ministeriale.
      Noi abbiamo in primo luogo proposto che le risorse assegnate al Fondo di garanzia vengano ripartite tra le regioni in maniera proporzionale alla capacità contributiva di ciascuna regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di imprese, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed occupazionale, generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita di posti di lavoro.
      A nostro giudizio il decreto, per favorire la ripresa economica, avrebbe dovuto anche preoccuparsi di fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa nel territorio nazionale. Abbiamo avanzato perciò una proposta, a nostro avviso interessante, che prende le mosse da sperimentazioni già avviate positivamente dalla regione Lombardia.
      Il nostro emendamento, purtroppo respinto in Commissione dal Governo e dai relatori senza alcun approfondimento, propone di riconoscere alle regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive, queste ultime incentivate attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale.
      Con le nostre proposte di sostegno alle piccole e medie imprese abbiamo cercato e cerchiamo oggi con il consenso di quest'Aula di dare un ulteriore impulso alla crescita del Paese, impegnando le stesse imprese a non delocalizzare la produzione al di fuori dello Spazio economico europeo.
      Per quanto riguarda, invece, il secondo articolo sul finanziamento per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese, sempre con l'obiettivo di accrescere la capacità di credito al sistema produttivo, vediamo questa iniziativa come positiva in quanto potrebbe avere dei positivi effetti sul tessuto imprenditoriale stimolando la ripresa dei consumi interni a vantaggio di tutti i comparti produttivi del Paese, specie quello manifatturiero.
      Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo constatare che le misure saranno operative soltanto a partire dall'anno successivo, rischiando di arrecare un danno alle imprese e non certo un beneficio, dal momento che lo slittamento al 2014 dei previsti benefici ha già prodotto il blocco degli ordini programmati. Anche qui, purtroppo, la nostra proposta di anticipare all'anno in corso le misure di sostegno agli investimenti delle piccole e medie imprese non ha finora trovato ascolto ed è stata bocciata dalla Commissione.
      Non volendomi dilungare oltremodo, riteniamo che il nostro giudizio complessivo su questo provvedimento allo stato dell'arte di oggi al momento non può purtroppo essere positivo per i tanti obiettivi non colti e per la scarsa incisività delle misure adottate anche laddove la direzione intrapresa è quella giusta.

      PRESIDENTE. Con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità dell'emendamento Coppola 14.2, il deputato interessato, per le vie brevi, ne ha chiesto il riesame. Osservo che l'emendamento interviene sulle modalità di comunicazione con le pubbliche amministrazioni attraverso Pag. 21posta elettronica. Tale proposta emendativa è stata dichiarata inammissibile in Commissione. La Presidenza, tuttavia, ne ha valutato attentamente il contenuto e, alla luce del contenuto del provvedimento e tenuto conto che in effetti esso attiene alla materia recata dall'articolo 14, ritiene di ammetterlo all'esame e al voto dell'Assemblea.
      È altresì riammesso al voto l'articolo aggiuntivo Di Gioia 11.05, già riammesso al voto in sede referente dalle presidenze delle Commissioni.
      Avverto che, per un errore tipografico, lo stampato A.C. 1248-A/R non riporta una correzione apportata all'articolo 30 e pubblicata nello stampato del medesimo A.C. 1248-A (rigo nero). Pertanto al citato articolo 30, comma 1, lettera f), capoverso articolo 23-bis, comma 4, le parole: «e da aggiornare con cadenza almeno triennale» devono intendersi soppresse e le parole: «Nella pendenza del termine per l'adozione della deliberazione di cui al primo periodo non trova applicazione» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «Nelle more dell'adozione della deliberazione di cui al primo periodo e comunque, in sua assenza, fino al 30 giugno 2014, non trova applicazione».

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 10,58)

      ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      ETTORE ROSATO. Cortesemente, signor Presidente, volevamo chiedere cinque minuti di sospensione, se fosse possibile. Non saranno più di cinque minuti di sospensione.

      PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, sospendo la seduta per cinque minuti.

      La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 11,15.

(Posizione della questione di fiducia – Articolo unico – A.C. 1248-A/R)

      PRESIDENTE. Colleghi, riprendiamo la seduta. Ha chiesto di intervenire il Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento dell'attività di Governo, onorevole Dario Franceschini.

      DARIO FRANCESCHINI, Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento dell'attività di Governo. Signor Presidente, anzitutto mi consenta di ringraziare per davvero i componenti delle Commissioni, i due presidenti, i relatori, ma i componenti delle due Commissioni perché è stato fatto in tempi brevi un lavoro enorme su un decreto-legge innegabilmente corposo – diciamo così –, un lavoro migliorativo da diversi punti di vista che, ad avviso del Governo, arricchisce la portata reale che questo decreto-legge, oggi in fase di conversione, comporterà su parecchi aspetti della vita economica e sociale del nostro Paese.
      Com’è noto, dopo aver registrato la presentazione di circa 800 emendamenti in Aula, ad esito dei lavori dell'Assemblea, ieri, in una riunione del Comitato dei diciotto, cui ho preso parte anch'io, il Governo ha fatto presente che, dato il calendario da qui alla pausa estiva, quel numero di emendamenti, se non modificato, avrebbe di fatto reso inevitabile il ricorso al voto di fiducia per accorciare i tempi.
      Abbiamo chiesto ai gruppi e ovviamente in particolare ai gruppi di opposizione, la disponibilità a scendere ad un numero di emendamenti ragionevole che lasciasse immutato e garantito il diritto dei singoli gruppi a vedere portate le proprie posizioni in Aula, votando gli emendamenti in un tempo ragionevole che consentisse poi di proseguire nel calendario, a cominciare dal prossimo decreto-legge cosiddetto «ecobonus» in fase di conversione. Pag. 22
      In quella sede ho detto e ribadisco in Aula che, in caso di posizione della questione di fiducia, l'orientamento del Governo è quello di porre sempre la fiducia sul testo uscito dalle Commissioni senza cambiamenti. I parlamentari di altre legislature sanno che più volte si è utilizzato il ricorso allo strumento del maxiemendamento in parte modificativo dell'esito dei lavori della Commissione. Noi, per rispetto del Parlamento, nelle occasioni in cui siamo o saremo costretti a mettere il voto di fiducia o decideremo di mettere il voto di fiducia lo faremo comunque rispettando integralmente il lavoro delle Commissioni che, in questo caso, è stato un lavoro che ha modificato parecchi punti.
      Rispetto a questa richiesta formulata ieri, prima in Aula i gruppi di SEL e della Lega hanno dato la disponibilità a mantenere un numero limitato di emendamenti da porre in votazione. La maggioranza ha indicato in dieci il numero di emendamenti che avrebbe comunque chiesto di portare in votazione in Aula. Il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, con il quale, poco fa, come Governo, abbiamo avuto un incontro, ci ha presentato un numero limitato di emendamenti, dicendo che, se fossero stati accolti tutti, ci sarebbe stata la disponibilità a ridurre il numero degli emendamenti complessivi posti in votazione.
      Alla presenza del sottosegretario De Vincenti, avendo esaminato gli emendamenti, abbiamo detto che una parte erano accoglibili, mentre su un'altra parte di emendamenti, per ragioni di copertura o per differenti posizioni di merito, com’è comprensibile, il Governo non avrebbe dato il parere favorevole. In conseguenza a questo c’è stata comunicata la volontà di mantenere gli emendamenti, di mantenerli tutti.
      Naturalmente ogni opposizione ha la totale sovranità di scelta, com’è logico, rispetto agli atteggiamenti parlamentari. Rilevo solo che, siccome siamo all'inizio di un percorso, nessuno di noi sa quanto durerà, ma comunque abbiamo diversi decreti-legge in fase di conversione che arriveranno anche prima della pausa estiva. È evidente che se il tema è, tra maggioranza e Governo e gruppi parlamentari di opposizione, costruire un percorso che, nel rispetto dei tempi del calendario e dei tempi di conversione del decreto-legge specifico, consenta all'Aula di esprimersi, com’è giusto, nel merito di singoli emendamenti e, quindi, rispettare il diritto dell'opposizione di vederseli accolti o respinti nel dibattito d'Aula, questo è un tema.
      Se il tema è che la condizione per il ritiro degli emendamenti è l'accoglimento di un certo numero di emendamenti cambia il discorso, nel senso che in taluni casi è possibile, ma in altri casi, com’è stato spiegato nel merito non è possibile o almeno non è possibile integralmente. Naturalmente poi queste sono scelte che fanno i singoli gruppi parlamentari.
      Poiché abbiamo un calendario molto complicato prima della pausa estiva (ormai non mancano tantissimi giorni a Ferragosto) e abbiamo sei decreti-legge da convertire (perché il settimo è stato assorbito o sta per essere assorbito nel decreto-legge che è in discussione oggi), concernente le leggi europee, il disegno di legge costituzionale, il finanziamento ai partiti, la legge sull'omofobia, oltre agli altri atti parlamentari, c’è un calendario molto intenso ed è evidente che affrontare la votazione su 800 emendamenti non consentirebbe di rispettare quel calendario, dato che questo decreto deve essere trasmesso al Senato ed il Senato poi deciderà evidentemente se reintervenire nel merito.
      Per questi motivi, a nome del Governo, appositamente autorizzato dal Consiglio dei Ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, nel testo approvato dalle Commissioni riunite dopo il rinvio deliberato dall'Assemblea.

Pag. 23

      PRESIDENTE. A seguito, quindi, della decisione del Governo di porre la questione di fiducia, la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata tra trenta minuti presso la biblioteca del Presidente per definire il seguito della discussione.
      Sospendo la seduta, che riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

      La seduta, sospesa alle 11,25, è ripresa alle 13,40.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

Sui lavori dell'Assemblea.

      PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo testé svoltasi, si è convenuto che, essendo stata posta la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n.  1248 – Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (da inviare al Senato – scadenza: 20 agosto 2013), nel testo approvato dalle Commissioni, la votazione per appello nominale avrà inizio domani dalle ore 11,25, previe dichiarazioni di voto a partire dalle ore 10.
      Seguiranno l'esame degli ordini del giorno, il cui termine di presentazione è fissato alle ore 18 di oggi, le dichiarazioni di voto finale e la votazione finale.
      Lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata (question time) avrà luogo, come di consueto, domani dalle ore 15 alle 16.
      Per quanto riguarda il disegno di legge n.  1310 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, recante disposizioni urgenti per il recepimento della direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale (Approvato dal Senato – scadenza: 4 agosto 2013), l'esame è previsto dopo la conclusione dell'esame del disegno di legge di conversione n.  1248.
      È stata altresì deliberata all'unanimità l'urgenza sulle proposte di legge n.  254 – Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del lavoratore e del prestatore d'opera e n.  272 – Disciplina delle modalità di sottoscrizione della lettera di dimissioni volontarie e della lettera di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Sull'ordine dei lavori.

      LELLO DI GIOIA. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, intervengo soltanto per sottolineare una questione che ritengo estremamente importante. Durante la discussione di questo decreto importante, a cui, ovviamente, domani daremo la fiducia, vi sono stati in Commissione lavori intensi, a cui hanno partecipato i funzionari sia dell'Aula che della Commissione stessa.
      Gradirei, a nome mio, ma credo di poter parlare anche a nome di altri colleghi, che vi fossero dei riconoscimenti per questi funzionari che hanno fatto nottate all'interno di questa Commissione. Quindi, gradirei che vi fosse questo riconoscimento per i funzionari.

      PRESIDENTE. La ringrazio. Senz'altro, da parte della Presidenza, va il riconoscimento più ampio al lavoro dei funzionari.

Pag. 24

Ordine del giorno della seduta di domani.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Mercoledì 24 luglio 2013, alle 10:

      (ore 10 e ore 16)

      1.  –  Seguito della discussione del disegno di legge:
          Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (C. 1248-A/R).
      —  Relatori: Sisto (per la I Commissione) e Boccia (per la V Commissione), per la maggioranza; Castelli, Marcon e Guidesi (per la V Commissione), di minoranza.

      (ore 15)

      2.  –  Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

      (ove concluso l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge di cui al punto 1)

      3.  –  Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
          S. 783 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, recante disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale (Approvato dal Senato) (C. 1310).

      La seduta termina alle 13,45.

Pag. 25 Pag. 26