XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 7 agosto 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              il periodo estivo, da sempre registra un aumento di abbandoni di animali domestici, specialmente di razza canina che diventano spesso «un peso» nel momento delle ferie estive;
              la stessa presenza degli animali domestici sulle strade comporta un pericolo non solo per gli stessi animali che troppo spesso rimangono vittima degli automobilisti ma, creano anche difficoltà, con conseguenze dannose, a quei conducenti che, accorgendosi della loro presenza e volendone preservare la vita, cercano di evitarli mettendo a rischio la propria incolumità;
              nel momento in qui ci si trova a volere risolvere le problematiche di un abbandono o semplicemente di una fuga di un cane, diventa difficile capire e sapere a quale autorità rivolgersi, specialmente nelle ore notturne dove gli uffici comunali e quelli pubblici in generale sono chiusi;
              i numeri di emergenza classici, ovvero 112-113-115-118 rimandano la competenza alle amministrazioni comunali, alla figura neo istituita del cosiddetto cinovigile;
              è di questi giorni la notizia di un episodio in Friuli Venezia Giulia dove un soggetto trovandosi nella situazione di prestare ausilio ad un cane ritrovato sulla statale di notte, si è dovuto confrontare con il rimando telefonico da un numero di emergenza all'altro sino a giungere alla figura del cinovigile, trovandosi in una situazione di disagio crescente;
              non sempre l'ufficio del cinovigile è operativo nei mesi estivi, nonostante l'incremento degli abbandoni e della presenza dei quadrupedi sulle strade sia non solo notevole ma visibile ai più;
              l'intervento dello stesso sia per competenza territoriale e lo stesso possa intervenire solo post autorizzazione delle autorità cittadine del territorio in cui al momento della telefonata si trova il cane o altro animale ferito;
              premesso che le autorità non intervengono almeno che l'animale non sia di pericolo al pubblico ovvero ne crei intralci, ignorando completamente che la presenza su di una strada crea pericolo sia al cane che all'utente,

impegna il Governo:

          a monitorare da subito, con l'ausilio delle forze dell'ordine, l'andamento degli abbandoni e a far sì, per quanto di competenza, che siano celermente irrogate le sanzioni previste in tali casi;
          a verificare per quanto di competenza il funzionamento dei cosiddetti numeri utili che nei periodi estivi dovrebbero essere attivi per tali situazioni di abbandono;
          a promuovere per quanto di competenza, un miglioramento delle procedure di pronto intervento al fine di preservare la vita degli animali domestici e degli automobilisti.
(1-00167) «Rizzetto, Prodani, Sandra Savino, Rostellato, Baldassarre, Ciprini, Mucci, Brugnerotto, Tacconi, Ferraresi, Fantinati, Di Benedetto, Bonafede».


      La Camera,
          premesso che:
              l'avvento del digitale e la rapida evoluzione della natura dei modelli di business legati all'odierna tecnologia hanno evidenziato la necessità di rivedere profondamente la normativa in vigore in materia dei diritti d'autore;
              tale necessità di modernizzazione ha investito anche la gestione dei diritti svolta da società di gestione collettiva per conto dei titolari dei diritti, ove si è progressivamente creato uno scollamento tra gli interessi dei titolari, degli utilizzatori e, più in generale, dei consumatori, e la gestione dei proventi raccolti;
              le società di gestione collettiva svolgono un ruolo molto importante, fornendo servizi ai titolari dei diritti e agli utilizzatori, tra cui la concessione di licenze agli utilizzatori, la gestione dei proventi dei diritti, i pagamenti dovuti ai titolari dei diritti e l'esecuzione dei diritti. Tale ruolo è molto importante, in particolare nei casi in cui trattare con i singoli creatori sarebbe poco pratico e implicherebbe costi di transazione molto elevati;
              la Commissione europea ha evidenziato che «indipendentemente dal settore, la gestione collettiva dei diritti fornita ai membri e agli utilizzatori deve diventare più efficace, accurata, trasparente e responsabile». Una gestione che non è in grado di stare al passo con i tempi incide negativamente sulla disponibilità di nuove offerte per consumatori e fornitori di servizi, poiché inibisce la prestazione di servizi innovativi, in particolare se forniti online. Per garantire un'adeguata prestazione di servizi che comporti l'utilizzo di opere o altri materiali protetti dai diritti d'autore e dai diritti connessi nel mercato interno, le società di gestione collettiva dovrebbero essere indotte a modificare il loro modus operandi a beneficio dei creatori, dei prestatori di servizi, dei consumatori e dell'economia europea nel suo insieme;
              poiché le società concedono licenze su diritti per conto di titolari dei diritti nazionali ed esteri, il loro funzionamento ha un impatto fondamentale sullo sfruttamento di tali diritti in tutto il mercato interno. Il funzionamento di alcune di queste società ha sollevato dubbi quanto alla loro trasparenza, governance e gestione dei diritti riscossi per conto dei titolari dei diritti. In particolare, sono state espresse preoccupazioni relative alla responsabilità di determinate società, in generale nei confronti dei loro membri e in particolare nella gestione delle loro finanze. Diverse società di gestione collettiva devono ancora affrontare il nodo della necessità di allinearsi alle nuove realtà e alle esigenze del mercato unico;
              a livello europeo si nota una sensibile frammentazione dei diversi modelli adottati in materia di copyright collecting society;
              il modello più estremo è rappresentato dalla Grecia, dove, similmente a quanto si verifica negli Stati Uniti, i rapporti tra titolari dei diritti ed utilizzatori sono disciplinati esclusivamente su base contrattuale e l'intervento statale è limitato alla prevenzione di abusi. A livello intermedio si collocano quei Paesi, come Inghilterra e Francia, nei quali si è al cospetto di un modello liberalizzato, con la presenza di differenti collecting society. In questo caso si realizza sovente la creazione di monopoli di fatto, notandosi la presenza di società di gestione collettiva che gestiscono singoli frazioni del mercato della tutela dei diritti d'autore e dei diritti connessi. Nel sistema tedesco si nota un grado di specializzazione (o di frammentazione) ancora superiore rispetto a quello degli ordinamenti inglese e francese;
              la SIAE è espressione di un monopolio di diritto, che tende a limitare, per mezzo di rapporti di esclusiva, la facoltà di autori o altri titolari dei diritti di svolgere autonome negoziazioni e di selezionare quale società di intermediazione e raccolta offra le condizioni più vantaggiose;
              i possibili vantaggi di una posizione monopolistica (e, di conseguenza, la presenza sul mercato di un unico operatore) sono ormai parzialmente superati, ma a ciò deve poi aggiungersi il fatto che le collecting society agiscono per la realizzazione non di un proprio interesse, ma degli interessi dei propri iscritti e che, come sottolineato anche dalla Corte di giustizia, nell'analizzare il mercato in questione occorre considerare attentamente tutti i possibili interessi in gioco;
              le ragioni per cui la posizione monopolistica della SIAE non ha ragion d'essere sono molteplici. In primo luogo, si deve menzionare la dubbia costituzionalità dell'articolo 180 della legge 22 aprile 1941, n.  633 sul diritto d'autore, per violazione del principio di ragionevolezza: è noto infatti che il decreto liberalizzazioni del governo Monti abbia deregolamentato il settore dei diritti connessi al diritto d'autore e non si vede quali motivazioni potrebbero giustificare il superamento di un'esclusiva nell'un caso (quello dell'IMAIE) e mantenerlo nell'altro (SIAE). L'articolo 39 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, ha chiarito ogni dubbio sulla liberalizzazione dei diritti connessi e ha recepito le istanze pro-concorrenziali affermatesi a livello comunitario, soprattutto a tutela degli aventi diritto e della loro libertà di scegliere tra più operatori. In particolare, il comma 2 del citato articolo specifica le finalità dell'intervento: «Al fine di favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti ...., mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo maggiori economicità di gestione nonché l'effettiva partecipazione e controllo da parte dei titolari dei diritti»;
              non vi è alcuna sostanziale differenza tra le dinamiche del mercato dell'intermediazione dei diritti connessi di artisti, interpreti ed esecutori e quelle del mercato dei diritti degli autori: appare evidente che stante l'omogeneità delle dinamiche di mercato, nel settore dei diritti connessi ed in quello dei diritti d'autore, non si può «liberalizzare» un mercato e mantenere il monopolio su quello attiguo senza violare l'articolo 3 della Costituzione;
              maggiori, poi, sono le incompatibilità con il diritto comunitario sotto vari aspetti. Ad esempio, la violazione del diritto di stabilimento: la proposta di direttiva sulle collecting society, e, ancor prima la decisione CISAC della Commissione europea consentono alle società di gestione collettiva di operare anche al di fuori dei confini nazionali. Quindi, il divieto per una società di stabilirsi in Italia sarebbe in contrasto con il principio di libertà di stabilimento stabilita dal Trattato;
              difatti, si assiste alla permanenza di una posizione monopolistica fissata ex lege laddove, invece, la decisione CISAC della Commissione ha consentito alle società di gestione collettiva di operare, dall'estero, all'interno del mercato nazionale. In altri termini, potrebbe verificarsi – e, in effetti, pare che stia avvenendo – che un imprenditore italiano, per operare nel mercato nazionale, sia costretto a stabilirsi in un altro ordinamento, salvo poi indirizzare parte della propria attività verso il proprio Paese di origine;
              allo stesso modo, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, deve ritenersi che le collecting society non siano incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale e, quindi, non siano riconducibili al novero delle società per cui è giustificato un regime di monopolio secondo l'articolo 106 del Trattato;
              anche nella relazione del Parlamento europeo su «Un quadro comunitario per le società di gestione collettiva dei diritti d'autore», si afferma, a chiare lettere, l'urgenza di «rivedere le strutture monopolistiche esistenti e limitarle eventualmente a quei settori in cui sia stato dimostrato che non esiste alcuna alternativa per assicurare la necessaria tutela degli interessi degli autori»;
              nel mercato dei diritti d'autore convivono interessi differenti e spesso confliggenti (autori, utilizzatori, editori, e altro); i servizi forniti sono, come evidenziato da molteplici studi di settore, inefficienti e l'istituzione di un'esclusiva pregiudica la possibilità per i fruitori/destinatari di tali servizi di rivolgersi ad un servizio più efficiente in ambito nazionale; le distorsioni del mercato monopolistico nazionale si riverberano, inevitabilmente, anche sul mercato europeo, costringendo non solo gli eventuali competitor nazionali a doversi stabilire altrove, ma altresì le altre collecting society straniere a doversi confrontare con le barriere a potenziali investimenti in Italia;
              infine, il settore delle collecting society spinge naturalmente verso la creazione di monopoli di fatto e non vi sarebbe ragione alcuna per assicurare questa situazione monopolistica ex lege. Una simile restrizione alla libertà di stabilimento risulterebbe una misura sproporzionata agli obiettivi che lo Stato intende perseguire,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, ferme restando le valide competenze all'interno della SIAE e l'importante know how maturato nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore, di un'iniziativa normativa tesa:
              a) all'abolizione dell'esclusiva stabilita ex articolo 180 della legge 22 aprile 1941, n.  633, sul diritto d'autore a favore della SIAE e alla sua scissione in due società, una che svolga le tradizionali attività di gestione, amministrazione ed intermediazione dei diritti d'autore in concorrenza con i competitor l'altra, invece, rimanendo un ente pubblico economico, che mantenga in esclusiva le funzioni di enforcement di tali diritti, ovvero le funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto del pagamento dei diritti d'autore sul territorio, posto che tale soluzione consentirebbe di mantenere un ruolo centrale della SIAE valorizzando le competenze acquisite sul territorio senza comportare significative riduzioni del personale a seguito dell'entrata sul mercato di altri competitor nella gestione dei diritti;
              b) alla predisposizione di controlli effettivi sulla governance delle società di gestione collettiva, da affidare magari ad un organo terzo e super partes, al fine di tutelare adeguatamente gli interessi di titolari dei diritti ed utilizzatori, ciò in linea con la proposta di direttiva comunitaria, che prevede espressamente il dovere degli Stati membri di notificare le autorità che saranno competenti per l'esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo sulle collecting society;
              c) alla fissazione, recependo quanto previsto dalla proposta di direttiva della Commissione europea che sarà approvata entro l'anno, dei requisiti minimi (come la trasparenza, pubblicità, equità, imparzialità, parità di trattamento e non discriminazione) finalizzati alla costituzione di una collecting society, al pari degli altri Paesi europei, per poter accedere al mercato;
          d) a prevedere che tutte le imprese operanti sul mercato dispongano di una banca dati informatica, regolarmente aggiornata, dei propri iscritti e delle relative opere, anche al fine di agevolare la distribuzione dei compensi.
(1-00168) «Andrea Romano, Catania, Antimo Cesaro, Dambruoso, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Nesi, Rabino, Sottanelli, Tinagli, Vecchio, Zanetti».


      La Camera,
          premesso che:
              la legge n.  27 del 24 marzo 2012 ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge n.  1 del 24 gennaio 2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (legge sulle liberalizzazioni);
              l'articolo 66 del decreto-legge n.  1 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, disciplina le modalità di dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola e, specificatamente, il comma 1 così recita: «...entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto di natura non regolamentare da adottare d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, anche sulla base dei dati forniti dall'Agenzia del Demanio nonché su segnalazione dei soggetti interessati, individua i terreni agricoli e a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n.  85, nonché di proprietà degli enti pubblici nazionali, da alienare a cura dell'Agenzia del Demanio mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando per gli immobili di valore inferiore a 100.000 euro e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 100.000 euro. L'individuazione del bene ne determina il trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato...»;
              il comma 3 dell'articolo 66 della legge n.  27 del 24 marzo 2012 stabilisce le procedure di alienazione dei terreni, al fine di favorire lo sviluppo dell'imprenditorialità agricola giovanile a cui viene riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli, così come definiti dal decreto legislativo del 21 aprile 2000 n.  185;
              le regioni, le province e i comuni, anche su richiesta dei soggetti interessati possono vendere, per le finalità e con le modalità disciplinate dal comma 1 dell'articolo 66, i beni di loro proprietà agricoli e a vocazione agricola, con la possibilità di conferire all'Agenzia del demanio mandato irrevocabile a vendere; successivamente alla vendita, l'Agenzia del demanio provvede al versamento agli enti territoriali, già proprietari, dei proventi derivanti dalla vendita al netto dei costi sostenuti e documentati;
              le stime dell'Agenzia del demanio sui terreni pubblici, riferiscono dati che evidenziano una quantità di ettari di terreni di proprietà dello Stato, delle province e dei comuni, di considerevole entità;
              secondo le stime dell'Agenzia del demanio gli ettari di proprietà statale ammontano a 5359 (valore stimato in 78,3 milioni di euro), mentre la quota di terreni che sono attribuiti in proprietà agli enti locali rappresenta il 98 per cento del totale della superficie quantificata in 1,3 milioni di ettari corrispondenti a 760 mila unità con una netta prevalenza di beni direttamente appartenenti ai comuni che costituiscono la quota dell'82 per cento;
              da un dossier recentemente pubblicato dalla CIA, in collaborazione col CENSIS, sulla agricoltura italiana, si evince che le imprese create tra il 1990 e il 2000 si sono ridotte sensibilmente (-17,1 per cento), le aziende più giovani, nate dopo il 2000, sono invece cresciute significativamente (+15 per cento), arrivando a rappresentare quasi il 40 per cento delle imprese agricole e agro alimentari. La crisi economica ha comportato un rinnovamento di tutto il settore agricolo, sostituendo l'impresa tradizionale con nuovi e più competitivi modelli aziendali. Infatti, per quanto riguarda la nuova generazione di giovani imprenditori agricoli i dati indicano che il 10 per cento dei conduttori ha meno di 40 anni, con punte nel Nord-ovest del 13,4 per cento e nelle isole del 12,3 per cento. Tra gli imprenditori agricoli, 25-40enni, il 45,3 per cento diplomato e l'11,2 per cento è laureato, e, tra quanti decidono di intraprendere l'attività agricola prima dei 25 anni, il 65,3 per cento ha un diploma superiore e il 5,2 per cento è già laureato. A quanto suddetto, si aggiunge che la dimensione media delle imprese è cresciuta tra il 2010 e il 2012, mentre le imprese senza addetti hanno registrato una significativa contrazione (-7,9 per cento) e quelle fino a cinque addetti hanno visto ridurre di misura la propria base. È cresciuto esponenzialmente il numero delle imprese più strutturate, ossia +18,4 per cento quelle con 10-19 addetti, +37 per cento quelle con 20-49 addetti e addirittura +60,9 per cento quelle con più di 50 addetti. La crescita della dimensione media ha interessato tutte le aree del Paese, e in particolare Sicilia e Sardegna, dove l'incremento è stato dell'82 per cento, passando da 5 a 9,1 ettari in media. Tra il 2008 e il 2011 sono aumentati del 4,2 per cento i produttori di prodotti agroalimentari di qualità (denominazione di origine protetta, indicazione geografica protetta, specialità tradizionale garantita), soprattutto nelle regioni del Sud (+21,6 per cento). Nello stesso periodo le aziende agrituristiche autorizzate sono cresciute di quasi 4000 unità, passando da 18.480 a 20.413, registrando un aumento del 10,5 per cento in cinque anni. Da ultimo, il contributo dei beni agricoli all’export italiano potrebbe essere del 6 per cento nel periodo 2014-2016;
              da uno studio di Coldiretti, il settore primario potrebbe creare nuove opportunità di lavoro per oltre duecentomila persone;
              uno dei temi da affrontare con urgenza è quello dell'eccessivo costo della terra in alcune aree del Paese, si pensi che nelle zone di produzione più celebri si arriva a pagare un ettaro di vigneto fino a mezzo milione di euro, mentre in altre aree, cosiddette marginali, un ettaro di terra ha un costo relativamente basso. In verità, le aree che presentano un prezzo inferiore, oltre al grado di fertilità che è il dato principale, andrebbero sistematizzate con tecniche agronomiche ad hoc, alquanto costose, con cui rendere il terreno interessato coltivabile e logisticamente accessibile. Per poter fare ciò, al giovane imprenditore agricolo bisogna consentire l'accesso al credito, il debito spalmato su periodi più lunghi di quelli attuali, tassi di interesse bassissimi, e l'operazione socio-economica «terra ai giovani» andrebbe inquadrata in un corollario-quadro con precise linee guida normative al fine di avviare in maniera organica e sistematica, prima la ricognizione e, successivamente, l'alienazione dei terreni di proprietà dello Stato, al fine di conoscere la reale consistenza numerica delle aree demaniali e stabilire un prezzo dei terreni calmierato;
              non manca l'interesse di investitori stranieri per l'acquisizione di aziende o corpi fondiari di una certa rilevanza situati in zone particolarmente pregiate. Il rischio è che i fondi d'investimento, ubicati in paradisi fiscali, possano fare incetta di quei fiori all'occhiello dell'agroalimentare made in Italy, con ripercussioni economiche che andrebbero, ulteriormente a «drogare» i valori monetari dei terreni. Si avvierebbe, così, una spirale speculativa della terra che potrebbe depotenziare un settore strategico per l'economia italiana, quale è quello primario, che sta toccando il record storico di 34 miliardi di fatturato,

impegna il Governo:

          ad avviare congiuntamente al sistema delle regioni e delle province autonome, all'Associazione dei comuni italiani e all'Unione delle province italiane, un tavolo tecnico-operativo al fine di monitorare la reale consistenza numerica dei terreni nella disponibilità dello Stato e degli enti territoriali e, conseguentemente, classificarne i valori economici;
          a convocare, successivamente al monitoraggio e alla classificazione, con il coinvolgimento delle associazioni e i rappresentati delle categorie appartenenti al mondo agricolo e all'agroindustria, unitamente ai rappresentanti dei Ministeri competenti in materia e agli enti territoriali, un comitato ristretto in cui definire piani e progetti operativi con cui avviare l'operazione socio-economica «terra ai giovani»;
          a promuovere a sottoscrivere con l'Associazione bancaria italiana un protocollo di intesa con cui definire modalità e procedure semplificate per consentire l'accesso al credito ai giovani imprenditori del settore primario che saranno protagonisti dell'operazione socio-economica «terra ai giovani»;
          ad assumere iniziative per istituire un fondo di rotazione attraverso cui sostenere l'acquisto e/o l'affitto dei terreni da parte dei giovani con l'erogazione di mutui a tasso agevolato sulla base di una valutazione della sostenibilità dei progetti di impresa che i giovani dovranno presentare per accedere al sostegno del fondo di rotazione;
          a individuare e a proporre alle regioni e alle province autonome modalità per una integrazione tra le forme di sostegno agli investimenti – soprattutto nel sottoprogramma «giovani» – dei programmi di sviluppo rurale 2014-2020 e l'accesso alla terra dei neo-imprenditori agricoli in attuazione del decreto-legge n.  1 del 2012.
(1-00169) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Lacquaniti».


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 20 maggio 1985, n.  222, istituisce la possibilità per i cittadini all'atto della compilazione della dichiarazione dei redditi di destinare l'otto per mille delle tasse al sostentamento delle confessioni religiose o allo Stato per la realizzazione di attività di utilità sociale e culturale;
          negli ultimi anni vengono destinati dai cittadini mediamente circa 140 milioni di euro allo stato per le attività previste dall'articolo 48 di predetta legge: «interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo»;
          negli ultimi anni il fondo dell'otto per mille di competenza statale è stato utilizzato per i motivi più disparati: dal finanziamento delle missioni militari all'estero al salvataggio delle aziende, dai provvedimenti di riduzione del debito alle emergenze ambientali;
          in questa legislatura la Commissione speciale per l'esame degli atti nel Governo, in data 9 aprile 2013, ha adottato ed espresso parere favorevole sul nuovo regolamento di utilizzo dei fondi di pertinenza statale dell'otto per mille che invita il Governo – qualora utilizzi per altre finalità i fondi dell'otto per mille – a informare le commissioni competenti su come ripristinare i fondi stornati per altri scopi; inoltre in sede di conversione in legge del decreto-legge n.  35 del 2013 Governo si è impegnato con la legge di stabilità a ripristinare i fondi utilizzati per le coperture del decreto-legge n.  35 del 2013;
          negli ultimi due mesi il governo ha utilizzato ben 65 milioni del fondo statale dell'otto per mille per dare copertura a tre provvedimenti (35,7 milioni per il decreto-legge n.  35 del 2013 per i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese verso la pubblica amministrazione, 10 milioni per il decreto-legge n.  69 del 2013 del «Fare» e 20 milioni per il decreto-legge n.  63 del 2013 sull'ecobonus);
          in questo modo quasi il 50 per cento del fondo è stato prosciugato e il timore che per esigenze di finanza pubblica – in occasione della discussione della prossima legge di stabilità e dei prossimi provvedimenti – questo possa essere utilizzato completamente per altre finalità è fortemente fondato;
          in questo modo importanti attività quali quelle relative all'inclusione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il recupero di beni culturali ed archeologici, gli interventi in caso di calamità naturali, i progetti di cooperazione allo sviluppo e gli interventi umanitari finanziabili con le dotazioni del fondo otto per mille non potranno essere realizzati,

impegna il Governo:

          a non prevedere di utilizzare nei prossimi decreti o disegni di legge i fondi di gestione statale dell'otto per mille per le coperture di spesa;
          a comunicare al Parlamento – come previsto dal regolamento di gestione statale del fondo otto per mille – entro il 30 novembre 2013 i tempi del ripristino nel fondo delle risorse utilizzate per altre finalità ed in particolare i 65 milioni già utilizzati, per i provvedimenti sinteticamente denominati «pagamenti pubblica amministrazione alle imprese», «Fare» ed «Ecobonus».
(1-00170) «Marcon, Marazziti, Sorial, Realacci, Piazzoni, Castelli, Beni, Sberna, Fratoianni, Caso, Civati, Caruso, Franco Bordo, Cariello, Fossati, Schirò Planeta, Pellegrino, Brugnerotto, Zanin, Fitzgerald Nissoli, Boccadutri, D'Incà, Duranti, Lacquaniti, Melilla, Pannarale».

Risoluzione in Commissione:


      Le Commissioni VIII e X,
          premesso che:
              l'attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi sulla terraferma prevede una complessa e articolata procedura autorizzatoria che coinvolge una pluralità di soggetti sia a livello centrale che locale;
              ai sensi del comma 77 dell'articolo 1 della legge n.  239 del 2004, il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma è rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate;
              il comma 78 del predetto articolo 1 stabilisce, inoltre, che l'autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle opere necessari, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione, che sono dichiarati di pubblica utilità, è concessa, previa valutazione di impatto ambientale, su istanza del titolare del permesso di ricerca, da parte dell'ufficio territoriale minerario per gli idrocarburi e la geotermia competente, a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano la regione e gli enti locali interessati;
              la verifica della compatibilità ambientale, che è demandata al livello regionale, riveste particolare importanza in operazioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi;
              l'articolo 1, comma 5, della legge n.  239 del 2004 prevede che le regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale. L'articolo 34, comma 16, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, rinvia ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, la definizione delle modalità di stipula dei predetti accordi;
              le royalties per le produzioni a terra sono attualmente del 10 per cento e sono ripartite tra lo Stato, le regioni e gli enti locali interessati;
              l'articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, ha previsto, al fine di sviluppare le ricadute economico-occupazionali sui territori interessati, che una quota delle maggiori entrate per l'estrazione di idrocarburi sia destinata allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi demandando le modalità per l'individuazione di tale quota a un decreto ministeriale non ancora emanato;
              appare opportuno destinare una quota maggiore degli introiti relativi alle royalties a titolo di compensazione ambientale per i territori interessati dalle operazioni di trivellazione sulla terraferma, considerato peraltro che su alcuni progetti cominciano a manifestarsi criticità nell'acquisizione del consenso da parte dei soggetti territorialmente interessati;
              il 2 maggio 2012 si è insediata la commissione internazionale ICHESE (Commissione tecnico-scientifica per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento di attività sismica nel territorio della regione Emilia Romagna colpita dal sisma del mese di maggio 2012), la cui composizione garantisce competenze nei settori della tettonica, sismologia, tecnologia delle perforazioni, sismicità indotta e attività di esplorazione e stoccaggio degli idrocarburi, è stata incaricata di svolgere gli approfondimenti necessari a rispondere ai seguenti quesiti, relativi specificatamente al territorio colpito dagli eventi sismici del maggio 2012:
                  a) è possibile che la crisi sismica emiliana sia stata innescata dalle ricerche sul sito di Rivara effettuate in tempi recenti, in particolare nel caso siano state effettuate delle indagini conoscitive invasive, quali perforazioni profonde, immissioni di fluidi, ecc. ?
                  b) è possibile che la crisi sismica emiliana sia stata innescata da attività di sfruttamento o di utilizzo di reservoir, in tempi recenti e nelle immediate vicinanze della sequenza sismica del 2012 ?
              la commissione ha deciso di comunicare con i media e con il pubblico, durante l'esecuzione dei lavori, unicamente attraverso comunicati. Il rapporto finale e i relativi allegati, che comprenderanno un sommario esteso contenente le risposte ai quesiti e le principali conclusioni del lavoro svolto, saranno consegnati al dipartimento della protezione civile;

impegna il Governo:

          ad adottare le necessarie iniziative volte a una revisione:
              del sistema delle autorizzazioni per le trivellazioni a terra prevedendo, per un verso, un coinvolgimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare e, per l'altro, una maggiore trasparenza e pubblicizzazione dei risultati;
              della disciplina che regola le royalties al fine di destinare:
                  a) una quota maggiore ai territori interessati dalla ricerca ed estrazione di idrocarburi nella terraferma, da destinare a misure di carattere ambientale a titolo di compensazione per gli interventi da realizzare;
                  b) una quota maggiore allo Stato, da destinare esclusivamente a misure per diminuire la dipendenza da fonti energetiche fossili e la diffusione di fonti energetiche non inquinanti e rinnovabili;
          delle modalità di coinvolgimento della popolazione lungo tutto il processo decisionale attraverso pubbliche consultazioni, o comunque favorendo una interazione con i cittadini al fine di condividere gli interventi a cui è soggetto il loro territorio, ciò anche attraverso strumenti partecipativi sperimentali;
          della Strategia energetica nazionale volta ad accelerare la progressiva emancipazione dalle fonti fossili provenienti dalle trivellazioni a terra e a mare;
          in attesa dei risultati degli studi della Commissione ICHESE, della concessione di ulteriori permessi nelle zone ad alto rischio sismico.
(7-00086) «Cominelli, Bratti, Segoni, Gadda, Braga, Mariastella Bianchi, Manfredi, Carrescia, Giovanna Sanna, Cassano, Mariani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni numerosissimi genitori di ragazzi disabili hanno adito gli organi di giustizia amministrativa per il riconoscimento del diritto dei loro figli ad essere assistiti a scuola da un insegnante di sostegno per un numero adeguato di ore secondo il rapporto 1/1 (ossia un insegnante per ciascun disabile);
          i ricorsi proposti dai summenzionati genitori sono stati tutti accolti dai giudici amministrativi i quali hanno sottolineato che l'amministrazione scolastica continua da anni ad agire in modo colposo in materia di insegnanti di sostegno ed hanno, altresì, rilevato come «malgrado l'esistenza di numerosissimi precedenti giurisprudenziali sfavorevoli al Ministero e all'Ufficio Scolastico, questi ultimi continuano, anno dopo anno scolastico, a reiterare provvedimenti all'evidenza non conformi alla normativa in materia di tutela dei disabili» (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo n.  381/13);
          ad oggi, non risulta adottata alcuna soluzione definitiva in grado di risolvere il problema concernente la mancata assegnazione agli studenti disabili di un numero adeguato di insegnanti di sostegno;
          dunque, certamente, anche con riferimento al prossimo anno scolastico, che avrà inizio nel mese di settembre, sorgerà l'esigenza per i genitori di soggetti disabili di adire i competenti tribunali amministrativi per l'assegnazione a favore dei loro figli di un numero adeguato di ore di sostegno. In un primo tempo, le segreterie dei tribunali amministrativi non richiedevano per il deposito di tali ricorsi alcun contributo unificato ritenendo che gli stessi fossero esenti dal pagamento di tale contributo poiché concernente i minori e la tutela della prole ai sensi dell'articolo 10, comma 2, del testo unico n.  115 del 2002;
          successivamente, il segretariato generale della giustizia amministrativa, adeguandosi alle disposizioni impartitegli dall'Agenzia delle entrate con propria circolare, ha invitato segreteria dei tribunali amministrativi regionali a pretendere, nel caso di proposizione di tali ricorsi, un contributo unificato di ben 650 euro;
          in particolare, con la citata circolare viene sostenuto che i «Ricorsi proposti dai genitori di alunni diversamente abili per ottenere un insegnante di sostegno (...) sono soggetti al pagamento del contributo unificato nella misura ordinaria (650 euro), atteso che non è rinvenibile alcuna norma nell'ordinamento che consenta di tenerli esenti da imposizione tributaria. In particolare, non può applicarsi la norma contenuta nell'articolo 10, comma 2, del T.U. n.  115 del 2002, che esenta tutte le controversie «comunque riguardanti la prole», in quanto essa riguarda i soli rapporti concernenti situazioni giuridiche soggettive che hanno origine e si esauriscono nell'ambito della famiglia e del rapporto relazionale potestà genitoriale-figli, azionabili dinanzi al giudice ordinario;
          tale interpretazione non è secondo gli interpellanti condivisibile perché restringe indebitamente l'ambito di applicazione della norma scritta dal legislatore in modo volutamente ampio;
          al riguardo il Ministero della giustizia con circolare del dipartimento per gli affari di giustizia ha chiarito che «l'articolo 10, comma 2, T.U. cit. comprende tra i procedimenti esenti “il processo, anche esecutivo, di opposizione e cautelare, in materia di assegni per il mantenimento della prole, e quello comunque riguardante la stessa”. Orbene, stante l'ampia dizione della legge, deve ritenersi che l'esenzione riguardi tutti i procedimenti “comunque” relativi alla prole intesa come persone minori d'età indipendentemente dal diverso giudice competente»;
          ancora, con la summenzionata circolare, mantenuti gli indirizzi espressi dall'Agenzia delle entrate, si sostiene che «una norma di esenzione (dei giudizi in materia di sostegno scolastico) non può rinvenirsi neppure nell'articolo unico della legge 2 aprile 1958 n.  319, che esenta da ogni tipo di imposizione fiscale le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, come individuate dall'articolo 442 del codice di procedura civile, mentre nella specie si verte nella materia del diritto all'istruzione, come emerge sia dalla normativa primaria (articolo 12 della legge 5 febbraio 1992 n.  104), sia dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. 26 febbraio 2010 n.  80)»;
          anche tale interpretazione non è condivisibile giacché: a) giudizi relativi alle ore di sostegno non incidono solo sul diritto all'educazione (articolo 34 della Costituzione) ma anche sul diritto all'assistenza a favore dei disabili (articolo 38 della Costituzione) (cfr. TAR PA 381/13): b) gli organi giurisdizionali hanno affermato che sono da qualificarsi «controversie di previdenza e assistenza obbligatorie ... anche quelle funzionali al conseguimento non già di un beneficio pecuniario, bensì di un aiuto alla persona previsto dalla legge come obbligatorio» (tribunale di Catanzaro I sezione civ. sentenza del 25 febbraio 2004);
          con la summenzionata circolare in definitiva si impone il pagamento del contributo unificato per controversie relative al sostegno scolastico che, invece, sono esenti ai sensi di legge;
          lo stesso segretariato generale della giustizia amministrativa successivamente all'adozione della circolare in questione ha inoltrato all'Agenzia delle entrate richiesta di ulteriori chiarimenti atteso il fatto che la materia in questione concerne, in ogni caso, rilevanti aspetti di solidarietà sociale;
          in assenza di nuovi indirizzi e chiarimenti da parte delle competenti autorità, tale circolare, dunque, rende certamente assai più difficile per i genitori di persone disabili rivolgersi agli organi di giustizia giacché nell'attuale momento di profonda crisi economica risulta notevolmente gravoso affrontare, per avviare il contenzioso, un costo di ben 650 euro per il contributo unificato (cui vanno aggiunti le spese di notifica e gli onorari di avvocato);
          è una cifra davvero consistente, specie per le famiglie di ragazzi disabili, che già vivono situazioni di particolare difficoltà economico sociale legate alla disabilità;
          le summenzionate famiglie si troveranno, dunque, non solo nella frustrante situazione di dover ricorrere all'autorità giudiziaria per vedere riconosciuto un diritto fondamentale dei propri figli disabili, ma anche di fronte alla beffa di dovere sostenere per avviare il contenzioso gravosissimi costi che la legge espressamente esclude;
          peraltro, la citata circolare, laddove impone ai genitori che propongono un ricorso in materia di insegnanti di sostegno il pagamento di un contributo unificato di 650 euro, non risulta neppure idonea a garantire maggiori entrate nelle casse dell'erario (sempre che sia moralmente ammissibile fare cassa a danno dei diritti fondamentali di minori disabili);
          infatti, considerato che tali ricorsi si concludono, nella totalità dei casi, con la soccombenza dell'amministrazione scolastica, il costo del contributo unificato, alla fine del giudizio, graverà comunque sull'erario in quanto, ai sensi dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115, «l'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio»;
          in altri termini, l'esoso importo del contributo unificato preteso dalle segreterie dei tribunali amministrati vi rende più gravoso per i genitori rivolgersi ai competenti organi di giustizia ma non determina nessuna effettiva maggiore entrata per l'erario;
          sicché tale circolare realizza di fatto l'unico risultato di scoraggiare il ricorso alla tutela giurisdizionale laddove la legge diversamente dispone  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interpellato intenda intraprendere per garantire, già dal mese di settembre 2013, agli alunni disabili l'assegnazione di un numero adeguato di ore di sostegno;
          se il Governo intenda intervenire, attraverso appositi atti di indirizzo, per porre fine immediatamente (ed in vista dell'inizio del nuovo anno scolastico) alla richiesta da parte delle segreterie dei tribunali amministrativi del contributo unificato per i ricorsi in materia di sostegno, così garantendo la corretta applicazione delle disposizioni in materia di esenzione (articolo 10, comma 2, del testo unico n.  115 del 2002 e articolo unico della legge 2 aprile 1958 n.  319) e assicurando la concreta possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale delle famiglie con soggetti disabili, già lese dall'assegnazione di un numero inadeguato di ore di sostegno scolastico.
(2-00183) «Moscatt, Tidei, Scuvera, Manfredi, Ribaudo, Rampi, Raciti, Ventricelli, Marzano, Mattiello, Mazzoli, Piccione, Cominelli, Amendola, Iacono, Lodolini, Quartapelle Procopio, Zampa, Rossomando, Scalfarotto, Mariastella Bianchi, Fregolent, Campana, Capodicasa, Cardinale, Biondelli, Ascani, Scanu, Rostan, Moretti, Zappulla, Ginefra, Casellato, Mosca, Giuditta Pini, Petitti».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          la procura di Salerno ha inviato all'onorevole Edmondo Cirielli, in qualità di presidente della provincia di Salerno (all'epoca dei fatti) e parlamentare della Camera dei deputati un avviso di garanzia per l'accusa di corruzione aggravata da scambio di voto politico mafioso in concorso ed unione con Giuseppe Fabbricatore ed Assunta Manzo;
          nell'avviso di garanzia Giuseppe Fabbricatore viene dichiarato dalla procura di Salerno «appartenente ad organizzazioni criminali di stampo camorristico facenti capo ai massimi esponenti della Nuova Famiglia e sul territorio della provincia di Salerno al Loreto Pasquale» che invero «veniva presentato (il Fabbricatore) sul territorio dell'agro nocerino-sarnese quale sua diretta emanazione»;
          a seguito di accordi tra l'onorevole E. Cirielli e Giuseppe Fabbricatore veniva assunta alla provincia di Salerno la moglie del Fabbricatore tale Assunta Manzo mediante concorso pubblico oggetto della contestazione di reato;
          tale Giovanni Citarella nell'ambito di altra inchiesta per appalti pubblici truccati alla provincia di Salerno, denominata «Due Torri», a seguito di interrogatori, dichiarava che il sistema di corruzione negli appalti della provincia di Salerno era continuato anche dopo il 2008, durante la presidenza dell'onorevole E. Cirielli;
          l'inchiesta «Due Torri» riguarda l'aggiudicazione di gare d'appalto truccate e assegnazioni illecite in subappalto a ditte concordate;
          lo stesso Giovanni Citarella avrebbe dichiarato di avere un rapporto di lunga data con Giuseppe Fabbricatore, che entrambi ruotavano nello stesso contesto criminale e che quando andava a parlare con Carmine Alfieri (capo camorrista della Nuova Famiglia) era sempre presente il Fabbricatore;
          Giovanni Citarella e suo cugino Gennaro hanno patteggiato la pena ammettendo i reati a loro contestati;
          si evince con chiarezza la pericolosità dell'intreccio tra le varie inchieste che investono l'amministrazione provinciale di Salerno;
          sono ancora in corso indagini in merito ad altri appalti, in particolare cooperative a diretto controllo di Giuseppe Fabbricatore e di organizzazioni criminali;
          andrebbero avviate indagini anche su tutti gli altri vincitori dei concorsi pubblici espletati dalla provincia di Salerno per acclarare eventuali segnalazioni o rapporti di parentela con appartenenti alle organizzazioni criminali;
          l'attuale presidente facente funzioni Antonio Iannone, nominato e non eletto, e la giunta in carica possono ritenersi diretta emanazione dell'ex presidente onorevole E. Cirielli e ciò confermato dal metodo di gestione del proprio partito e dall'attività politica svolta alla provincia di Salerno così come dichiarato dai suoi ex alleati negli interrogatori;
          il direttore generale Francesco Fasolino, il segretario generale Giovanni Moscatello, altri dirigenti nominati e quelli inseriti nell'organico della provincia di Salerno a seguito di mobilità, sono stati nominati dal presidente di allora onorevole E. Cirielli ed attualmente ancora in forza alla provincia di Salerno;
          sono stati nominati diversi «consiglieri politici» (già ex assessori provinciali della giunta Cirielli) per tutti i settori della provincia di Salerno che potrebbero accedere alla documentazione possesso della stessa senza restrizioni di sorta;
          ad avviso degli interpellanti sussistono elementi che fanno supporre il rischio della presenza di infiltrazioni camorriste all'interno dell'amministrazione provinciale di Salerno  –:
          se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza ai fini dello scioglimento ad horas del consiglio provinciale di Salerno, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267.
(2-00184) «Tofalo, Silvia Giordano, Colonnese, Luigi Gallo, Micillo, Luigi Di Maio, Fico».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'autorizzazione integrata ambientale (Aia) è il provvedimento che autorizza l'esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n.  128, che costituisce l'attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (Ippc);
          il decreto legislativo 29 giugno 2010, n.  128 «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, recante norme in materia ambientale, a norma dell'articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n.  69» disciplina le modalità di rilascio per l'autorizzazione integrata ambientale;
          il 4 agosto 2013 si è verificata una moria di pesci nel canale (denominato «Solmine») emissario della zona industriale di Scarlino (in provincia di Grosseto), che raccoglie gli scarichi del polo industriale, dove sono presenti gli stabilimenti Tioxide, Nuova Solmine e Scarlino Energia. Tale plesso, di valenza nazionale e risalente agli anni sessanta, assume una particolare importanza per l'occupazione e l'economia locale;
          negli ultimi anni si sono verificati, nello stesso luogo, altri eventi simili in cui è stata riscontrata una alta mortalità di fauna ittica;
          questo nuovo episodio ha allarmato la comunità e le istituzioni locali. Oltre ai possibili danni per la salute (anche se in tale zona è vietata la balneazione), possono essere incalcolabili i danni di immagine per un territorio a forte vocazione turistico-balneare ed ambientale; questo comparto rappresenta, infatti (proprio nel periodo di maggiore affluenza), un volano insostituibile per lo sviluppo sostenibile complessivo sociale economico ed occupazionale;
          l'assessore all'ambiente della provincia di Grosseto Patrizia Siveri ha dichiarato, il 4 agosto 2013 di aver allertato Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) e la polizia provinciale, specificando che «si era verificato un episodio simile, poi ricondotto a un malfunzionamento del depuratore civile di Follonica. In questo caso, da una prima valutazione il fenomeno della moria di pesce sembra doversi far risalire al cattivo funzionamento di uno degli impianti di depurazione degli impianti industriali dell'area del Casone. Nei prossimi giorni, accertato il motivo della moria dei pesci e la provenienza delle sostanze nocive, ne daremo tempestiva informazione»;
          «il canale “Solmine” – ha reso noto in un comunicato stampa l'Arpat – raccoglie anche le acque di scarico provenienti dal depuratore di Follonica e si immette in mare a Scarlino in zona permanentemente vietata alla balneazione. La Polizia provinciale ha provveduto alla raccolta di esemplari di pesci che saranno inviati all'Istituto Zooprofilattico»;
          «nell'autorizzazione Aia statale rilasciata a Solmine – continua la nota dell'Arpat – nel dicembre 2010 era previsto l'obbligo di installazione, su un punto del canale di ritorno al mare, di un sistema di controllo dell'ossigeno disciolto, della temperatura e della tossicità. Tale sistema non è stato ancora realizzato e tale inosservanza è stata segnalata alle autorità competenti a seguito dell'ispezione ambientale di quest'anno. L'Arpat è ora in attesa dei riscontri delle analisi e dei tabulati dei controlli delle aziende sui propri scarichi e nel canale»  –:
          se sia a conoscenza dell'episodio segnalato in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per prevenire il verificarsi ulteriori morie di fauna ittica nel canale denominato «Solmine», anche promuovendo una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
          per quali giustificati e comprovati motivi non è stata ancora installato il sistema di controllo dell'ossigeno disciolto, della temperatura e della tossicità (citato in premessa dal comunicato stampa reso noto da Arpat), previsto fin dal 2010 nell'autorizzazione integrata ambientale statale rilasciata a «Nuova Solmine».
(5-00897)


      LUCIANO AGOSTINI, RICCIATTI, LODOLINI, PETRINI, MANZI, BRAGA, CENNI, CARRA, MARIASTELLA BIANCHI e AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          L'Sgl Carbon è un impianto industriale per la produzione di elettrodi e materiali in grafite edificato nella città di Ascoli Piceno all'inizio del secolo scorso. Sorge all'interno della città, in uno dei quartieri con maggiore densità abitativa, tra la stazione e lo stadio comunale. Nel 1984 venne reso noto uno studio della USL 24 di Ascoli Piceno nel quale si affermava che la città era inquinata a causa delle emissioni derivanti dal processo di distillazione del carbone. Nell'ottobre dell'anno successivo il sindaco della città inviò ai presidenti della USL 24, del comitato tecnico della sanità regione Marche e del centro regionale sull'inquinamento atmosferico una lettera avente per oggetto i dati ISTAT sulla mortalità per tumori nel capoluogo, aumentata in una misura 36 volte superiore all'aumento medio nazionale, nonché la sua eventuale correlazione con i processi produttivi dell'impianto;
          nel 1990 venne emesso un decreto del Ministero dell'ambiente, insieme ai Ministeri dell'industria e della sanità, che stabiliva le linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti degli impianti industriali ponendo fuorilegge lo stabilimento. All'inizio degli anni novanta si susseguirono diverse vicende giudiziarie legate a provvedimenti di sequestro di alcuni forni: si susseguirono ricorsi e controricorsi che portarono nel luglio del 1994 all'emissione, da parte del Ministero della sanità e quello dell'ambiente di un decreto interministeriale che concedeva una proroga per l'adeguamento delle emissioni, consentendo alla SGL Carbon di riprendere la produzione;
          nel gennaio 2002 venne presentata ai Ministri dell'ambiente, della sanità e dell'industria un'interrogazione parlamentare in cui si chiedeva che l'area SGL Carbon venisse bonificata e dunque inserita tra le zone ad alto rischio di crisi ambientale;
          oltre a queste vicende bisogna segnalare come l'impianto abbia per oltre un secolo influenzato la vita produttiva e occupazionale della città: alla fine degli anni ’60 le unità che lavoravano all'interno dello stabilimento erano circa 1.000, a cui erano da aggiungere quelle occupate nelle imprese di servizi; un numero impressionante se si considera che la popolazione totale della città si assestava sui 55.000 abitanti. Nei primi anni ’80, il periodo della massima espansione della produzione, si contava un organico di circa 900 unità, che negli anni però si ridusse a causa della crisi del settore e della fine dei benefici derivanti dalla Cassa del Mezzogiorno. Una serie di ristrutturazioni aziendali, con misure di mobilità in accompagnamento alla pensione, portarono all'accordo del dicembre 2007, in base al quale si definì un piano per il ricollocamento delle ultime 30 persone impiegate nell'attività nel Consorzio sviluppo futuro di Latina al fine del loro coinvolgimento nella prospettata attività di bonifica. Nello stesso anno lo stabilimento SGL Carbon di Ascoli Piceno entrò dunque nella fase conclusiva della sua definitiva dismissione;
          l'SGL Carbon è dunque un luogo controverso e pieno di contraddizioni, la cui storia si lega insolubilmente con quella della città, un cuore tossico al centro dello sviluppo urbano del capoluogo, un cuore di 27 ettari. I suoi forni infatti, pur producendo materiali di scarto altamente inquinanti, hanno dato per circa un secolo, un lavoro a centinaia di famiglie ascolane;
          a seguito dunque della cessazione dell'attività produttiva, nel 2008 l’iter amministrativo aveva condotto all'approvazione con prescrizioni del piano di caratterizzazione del sito, secondo la procedura di bonifica definita dall'articolo 242 del codice dell'ambiente (decreto legislativo n.  152 del 2006). In caso di superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione l'Sgl Carbon avrebbe dovuto presentare l'analisi di rischio del sito: se il suo esito avesse presentato valori superiori alla concentrazione soglia di rischio la stessa Sgl Carbon avrebbe dovuto presentare un progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza. Tuttavia una conferenza dei servizi del 23 febbraio 2009 invitò l'azienda a presentare un procedimento preliminare di bonifica, in base al comma 8 dell'articolo 252-bis del codice dell'ambiente. Con questa svolta data dalla conferenza dei servizi si passa alla procedura di bonifica con riconversione industriale, sulla prospettiva dell'accesso a un finanziamento ministeriale di 30 milioni, fermo restando però l'onere della bonifica a carico dell'azienda;
          l'anno dopo, il del. GR 947 del 14 giugno 2010 «Piano regionale per la bonifica di aree inquinanti» definisce l'area come un sito di interesse regionale facendo tramontare la possibilità di accesso ai fondi nazionali;
          il 24 giugno 2010 l'Sgl Carbon vende il sito al Consorzio Restart, per 6 milioni di euro. Il Consorzio Restart è una società formata da trenta aziende interne ed esterne al territorio della città, composto prevalentemente da aziende edili e che vede anche la partecipazione della Fondazione Carisap;
          come strumento urbanistico per la realizzazione del progetto viene scelto il programma di riqualificazione urbana, uno strumento «celere» che ha valore di piano particolareggiato e a determinate condizioni può essere utilizzato in deroga al piano regolatore generale, mediante accordo di programma;
          l'area della Sgl Carbon oggi contiene il risultato di anni di depositi e di stratificazione di materiali altamente inquinanti tanto per l'ambiente quanto per le persone (peci, catrami di lavorazione, amianto, ricaduta di IPA);
          l'articolo 242 del decreto-legge n.  152 del 2006 impone l'obbligo di bonifica a carico del soggetto responsabile e/o del soggetto proprietario, stabilendo una garanzia nella misura massima del 50 per cento del costo stimato;
          il decreto-legge n.  163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) stabilisce che la bonifica, che l'articolo 16, comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica n.  380 del 2001 qualifica tra le opere di urbanizzazione secondaria di rilevanza comunitaria, venga affidata tramite procedura di evidenza pubblica;
          mediante l'approvazione del PRU verrebbe realizzato un complesso residenziale in una zona ad altissima densità abitativa e che l'insediamento di circa 4.500 nuovi abitanti e di 15 nuovi lotti comporterebbe una notevole congestione urbanistica che influenzerebbe negativamente la vivibilità non soltanto della zona ma anche dei quartieri limitrofi;
          dallo schema di accordo di programma, dallo schema di convenzione tra il comune di Ascoli Piceno e la società Restart, nonché da cronoprogramma sembrerebbe che la bonifica venga realizzata a stralci (15 lotti) che saranno immediatamente edificabili conformemente alle destinazioni urbanistiche (residenziale e commerciale);
          dal cronoprogramma redatto dal tavolo tecnico svoltosi presso la sede della regione Marche a cui hanno partecipato l'ARPA delle Marche, la regione, la provincia di Ascoli Piceno ed il comune di Ascoli Piceno non risulta tra gli adempimenti alcuna procedura ambientale come ad esempio l'AIA, la VIA e la VAS, in contrasto con la vigente normativa ed in particolare con il decreto legislativo n.  163 del 2006 ed in ogni caso con il principio di precauzione che appare totalmente ignorato; con il rischio con ciò di esporre l'Italia a una procedura di infrazione;
          dell'area in questione fa parte anche un immobile, denominato Villa Tofani, acquistato dalla provincia di Ascoli Piceno dalla società Restart e che tale edificio pur ricadendo nella medesima area inquinata e da bonificare è già stato destinato a sede di una società denominata Tecno Marche, senza che venisse effettuata alcuna bonifica;
          la situazione dell'area appare obiettivamente tale da giustificare una verifica del reale stato delle cose  –:
          se intenda inviare un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente anche in relazione allo stato dell'inquinamento dell'area e alle condizioni del suolo al fine di verificare l'adeguatezza delle misure attuate a tutela della salute pubblica;
          se intenda valutare se sussistono i presupposti per un intervento diretto per l'applicazione del principio di precauzione. (5-00899)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, BENEDETTI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il 2 luglio 2013, la direzione generale ambiente della Commissione europea ha scritto alla Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione alla procedura di infrazione 2004/4926 riguardante la caccia in deroga nella regione Veneto, evidenziando che se l'Italia non smette di autorizzare, in deroga alle leggi comunitarie, l'uccisione di milioni di piccoli uccelli protetti «la Commissione europea non avrà altra scelta che presentare un secondo ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia UE proponendo l'imposizione di sanzioni pecuniarie contro la Repubblica italiana»;
          nella stessa lettera, la Commissione europea offriva al Ministro Moavero tutte le indicazioni per superare i punti problematici al fine di risolvere la procedura d'infrazione ed evitare pesanti conseguenze all'Italia;
          il 31 luglio 2013 la Camera dei deputati ha approvato, in via definitiva, la legge europea 2013 che, pur modificando la legge n.  157 del 1992 proprio in relazione alla caccia in deroga, non ha tuttavia ed evidentemente recepito tutte le puntuali indicazioni comunitarie;
          la Commissione ha ribadito, infatti, che «qualunque provvedimento di deroga, per essere compatibile con l'articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della cosiddetta direttiva Uccelli, deve contenere una motivazione adeguata e dimostrare l'assenza di altre soluzioni soddisfacenti», le deroghe adottate dal Veneto fino al 2011 hanno, al contrario, consentito la deroga al divieto di caccia esclusivamente con la necessità di mantenere una tradizione culturale fortemente radicata sul territorio;
          allo stesso tempo, sempre nella lettera della Commissione, si evince l'obbligo di registrazione dei capi immediatamente dopo l'abbattimento, unico modo per verificare che il cacciatore esercitante la deroga non superi il massimale di capi giornalieri previsti dalla deroga stessa;
          l'Europa ribadisce inoltre che l'esercizio della deroga di cui alla lettera c) possa avvenire in un periodo di tempo brevissimo, per un numero limitato di cacciatori e in un numero altrettanto limitato di luoghi e, allo stesso tempo, ribadisce la fondamentale importanza del parere dell'istituto superiore per la sicurezza e la protezione ambientale, nel rilascio delle deroghe;
          diverse associazioni ambientaliste – CABS, ENPA, LAV, LEGAMBIENTE, LIPU e WWF – hanno segnalato il mancato recepimento delle indicazioni della Commissione europea da parte del nostro Paese e «il risultato è che oggi ci ritroviamo una riforma della legge sulla caccia in deroga che non soddisfa se non una piccola parte delle precise richieste comunitarie e, soprattutto, lascia pericolosamente aperta una serie di finestre perché le infrazioni possano continuare, con il rischio più che concreto che si giunga alla seconda e definitiva condanna per l'Italia»;
          gli ambientalisti denunciano, inoltre, una mancanza di chiarezza da parte del Governo circa il non aver comunicato chiaramente ciò che l'Europa stava chiedendo al Paese in merito alla questione della caccia in deroga;
          il Veneto non è l'unica regione a trovarsi in queste condizioni e il sopraggiungere di un secondo discorso della Commissione europea di fronte alla Corte dell'Unione europea non è affatto da escludere, per la palese e ripetuta violazione della sentenza dell'11 novembre 2010, causa C-164/09  –:
          quali siano le ragioni della mancata comunicazione al Parlamento relativamente alle richieste della Commissione europea sull'annosa questione della caccia in deroga nel nostro Paese, posto che nella legge europea 2013, appena approvata in via definitiva dal Parlamento italiano, avrebbero potuto essere inserite norme per chiudere definitivamente la questione della caccia in deroga in Italia e non solamente;
          se il Governo intenda realmente promuovere una revisione della normativa in materia di attività venatoria, anche attraverso la modifica della legge n.  157 del 1992. (4-01617)


      CHIARELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'emergenza ambientale che interessa la provincia di Taranto, con particolare riferimento alla vicenda Ilva, ma con riguardo a tutti gli insediamenti industriali, è nota per la sua gravità;
          il Governo, con il pieno sostegno del Parlamento, ha varato più provvedimenti nel tempo che definiscono percorsi mirati alla ambientalizzazione del siderurgico tarantino e alle bonifiche del territorio;
          di recente è emersa, tra le tante questioni oggetto di attenzione, la questione discariche e smaltimento rifiuti speciali provenienti dallo stabilimento Ilva;
          in merito a tale problematica è in corso una indagine della magistratura che ha prodotto già esiti rilevanti con l'adozione di misure cautelari che hanno colpito esponenti della politica e delle istituzioni locali;
          un recente servizio giornalistico comparso sul settimanale L'espresso avanza ipotesi di pressioni che sarebbero state attivate dal presidente della giunta regionale pugliese per l'utilizzo di tre discariche private insistenti sul territorio ionico;
          l'assessore regionale alle politiche ambientali della regione Puglia ha smentito tali ipotesi, senza però fornire puntuali informazioni sulla reale destinazione dei rifiuti speciali industriali;
          è di tutta evidenza la necessità di mantenere alta la guardia ed evitare che si determinino condizioni per un ulteriore aggravarsi della situazione ambientale a Taranto e nella sua provincia  –:
          se sia informato di tale problematica, e se ritenga di dover approfondire attraverso gli organi di controllo ministeriali lo stato dei fatti;
          quali interventi intenda promuovere, nell'ambito della più complessiva azione di ambientalizzazione e bonifica dell'area, a riguardo dello smaltimento dei rifiuti speciali industriali. (4-01623)


      SCOTTO e FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 14 luglio 2013, intorno alle ore 10:00/10:30, si è verificato un gravissimo incendio nella zona di confine fra il comune di Nola e l'area industriale D2 del comune di Saviano (NA), che ha visto l'intervento per oltre tre giorni delle forze speciali dei vigili del fuoco ed ha coinvolto la fabbrica di cereria Nappi e altri impianti produttivi a questa adiacenti, provocando la formazione di grosse nubi di fumo di colore scuro dalle probabili capacità tossiche ed inquinanti, come denunciato e documentato dalle cronache locali e da foto pubblicate dalle associazioni ambientaliste dell'area (Rifiutarsi, Rize-up, Forum ambiente area nolana);
          molti cittadini residenti nelle zone vicine all'incendio hanno avvertito malori e difficoltà respiratorie conseguenti all'inalazione dei fumi provenienti dall'incendio e sono attualmente minacciati dalle possibili contaminazioni dell'aria, delle acque e del suolo derivanti dall'emissione di sostanze nocive e dalla contaminazione dei prodotti agricoli coltivati nelle aree circostanti, tutt'ora immessi sul mercato;
          i cittadini delle aree interessate, coordinatisi anche tramite comitati ed associazioni a difesa dell'ambiente, non hanno fino ad ora ricevuto comunicazione sulle attività amministrative azionate dagli enti competenti (ASL Napoli 3 Sud, ARPAC, comune di Nola e comune di Saviano) a garantire il monitoraggio dei fattori inquinanti e la tutela della salute dei cittadini, malgrado le richieste ufficiali protocollate presso gli stessi;
          in data 26 luglio 2013 il sindaco del comune di Nola ha diramato, tramite il contatto facebook dell'ufficio stampa e con affissione di manifesti in città, un avviso pubblico alla cittadinanza con il quale ha prescritto ai cittadini di lavare bene ortaggi e frutta in conseguenza dei danni derivanti dall'incendio;
          in data 23 luglio 2013 l'ARPAC Sezione distrettuale di Avellino, con lettera protocollo n.  0040050/2013, in risposta alle richieste inoltrate dalle associazioni ambientaliste dell'area, ha specificato di aver effettuato alcuni rilievi nel solo giorno del 15 luglio, ma rilievi parziali e riferiti esclusivamente all'inquinamento atmosferico e di non essere in possesso degli ulteriori dati rilevati dall'ARPAC sezione di Napoli, rimettendo poi la competenza sul campionamento di frutta e verdura all'azienda sanitaria locale;
          gli unici rilievi trasmessi dall'ARPAC sezione di Avellino risultano, in ogni caso, effettuati tramite gli strumenti di rilevamento in dotazione ai vigili del fuoco, tarati sull'esposizione del personale specializzato al pronto intervento e tali da non escludere certamente tutti i possibili rischi per l'ambiente e la salute dei cittadini  –:
          quante e quali aziende siano complessivamente coinvolte nell'incendio;
          quali rilievi tecnici relativi all'inquinamento ed al monitoraggio dell'area interessata ed ai possibili danni all'atmosfera, alle acque e al suolo;
          se, sulla base dei rilievi e dei dati acquisiti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia intenzione o stia valutando se sussistano i presupposti per l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno ambientale;
          se e quali misure di prevenzione dei danni potenziali all'ambiente, anche in applicazione del principio di precauzione, siano state assunte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o dagli Enti competenti al fine di limitare, escludere e contrastare ogni effetto nocivo dell'incendio sul suolo, le acque, l'aria e le coltivazioni delle aree interessate;
          se e quali misure di ripristino ambientale siano state comunicate, richieste o adottate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, eventualmente in collaborazione con gli enti locali preposti;
          quali provvedimenti siano stati assunti dal Ministero della salute, anche in collaborazione e coordinamento con l'azienda sanitaria locale, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di garantire l'igiene e la sicurezza degli alimenti e della produzione e commercializzazione degli stessi, nonché la sanità veterinaria e la valutazione del rischio di sicurezza alimentare. (4-01629)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          in data 22 gennaio 2004 è entrato in vigore il decreto legislativo n.  42, codice dei beni culturali e del paesaggio;
          in data 8 settembre 2006 è stato approvato definitivamente e pubblicato sul BURAS n.  30 il piano paesaggistico regionale della Sardegna, primo e unico piano paesaggistico redatto ai sensi della parte III del codice, che tutela il paesaggio della Sardegna nei suoi aspetti ambientali, culturali e insediativi;
          a seguito dell'approvazione del piano (da qui in poi indicato anche come Ppr) hanno avuto inizio le procedure – svolte in copianificazione dai rappresentanti degli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dai funzionari regionali e dai tecnici comunali – per l'adeguamento allo stesso Ppr dei piani urbanistici comunali dei 102 comuni interamente ricompresi nell'ambito costiero;
          l'attività effettuata ha seguito le prescrizioni dettate dagli articoli 18, comma 3 e 49, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico regionale, vigenti e vincolanti ai fini della legittimità dell'adeguamento. Sulla base di tali disposizioni si è proceduto a perimetrare i beni paesaggistici – individuando, per quelli con valenza storico-culturale, un'area di tutela integrale e una di tutela condizionata – e si è formato il relativo registro, implementando e aggiornando il mosaico. Per quanto riguarda l'insediamento rurale sparso (stazzi, furriadroxius, medaus, boddeus, bacili, cuiles), dichiarato bene paesaggistico ai sensi dell'articolo 134, lettera c) del codice dei beni culturali e del paesaggio, si è proceduto alla delimitazione e alla individuazione dell'area di tutela integrale secondo quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 49, comma 2 e 51, commi 11 e 13;
          il 26 marzo 2008 è stato approvato il decreto legislativo n.  63 che ha sostituito l'articolo 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio;
          il decreto impone l'obbligo di «delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché la determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso a termini dell'articolo 138» per tutti i beni paesaggistici di cui agli articoli 136 e 134, comma 1, lettera c). Per quelli vincolati ai sensi dell'articolo 142, comma 1, invece, diviene obbligatoria la «delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché la determinazione delle prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree»;
          tali attività, come si e detto, ancorché non obbligatorie prima del 2008, venivano già regolarmente svolte in sede di adeguamento dei piani urbanistici, in co-pianificazione, dagli organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della regione in collaborazione con i comuni;
          nel febbraio 2009 l'attuale presidente della regione Ugo Cappellacci ha vinto le elezioni dopo una campagna elettorale basata esplicitamente sullo smantellamento del piano paesaggistico;
          a tale scopo sono state approvate una serie di norme attualmente impugnate dallo Stato perché ritenute incostituzionali quali la legge regionale n.  4 del 23 ottobre 2009 «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo» (piano casa), seguita da ben 3 modifiche e relative proroghe, la legge regionale n.  19, del 21 settembre 2011, «Provvidenze per lo sviluppo del turismo golfistico», e la legge regionale n.  20 del 12 ottobre 2012, «Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici» che detta l'interpretazione autentica dell'articolo 17, norme tecniche di attuazione del PPR che disciplina le zone umide;
          nel 2010 ha preso il via il progetto denominato «Sardegna Nuove Idee», teso alla revisione dell'attuale piano paesaggistico. Il processo si è articolato in tre fasi: la presentazione pubblica del progetto, svoltasi nel giugno 2010, l'attivazione dei cosiddetti «laboratori del paesaggio», conclusisi nel febbraio 2011, il primo atto della vera e propria revisione del PPR (secondo le procedure del piano casa), con l'approvazione delle nuove «Linee guida», avvenuta il 25 luglio 2012. Tutte le fasi del procedimento sono state condotte interamente dalla regione senza la partecipazione obbligatoria del Ministero dei beni e delle attività culturali, e del turismo, il coinvolgimento delle associazioni ambientaliste, in violazione degli articoli 135, 143 e 144 del codice dei beni culturali e del paesaggio;
          a tre anni dall'avvio del procedimento, il primo marzo 2013, la regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno sottoscritto un disciplinare tecnico volto a disporre «la revisione e l'aggiornamento del PPR dell'ambito costiero approvato dalla regione il 5 settembre 2006, nonché l'elaborazione, secondo i dettati degli articoli 135 e 143 del codice del PPR dell'ambito interno»;
          per quanto riguarda l'ambito costiero, le attività da svolgere riguardano l'adeguamento delle norme di attuazione alle decisioni del giudice amministrativo (cioè la cancellazione di qualche comma da alcuni articoli), il recepimento delle leggi sul piano casa, sullo sviluppo golfistico e sull'interpretazione autentica dell'articolo 17 delle NTA del Ppr, l'eliminazione delle incongruenze rilevate negli elaborati del piano e infine, la ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati beni paesaggistici da singoli provvedimenti (articolo 136) e dallo stesso piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera c) del codice. Ma per questi ultimi, in contrasto con la normativa vigente, il disciplinare non prevede l'obbligo di dettare specifiche prescrizioni d'uso;
          tutte le attività dovranno svolgersi in soli 210 giorni, nonostante il repertorio del mosaico dei beni paesaggistici di cui alla deliberazione G.R. n.  23/14 del 16 aprile 2008 allegato al Ppr, espressamente richiamato dal disciplinare, comprenda oltre 10 mila beni, per ognuno dei quali dovrà essere svolta l'attività di ricognizione e disposte le prescrizioni d'uso;
          il 16 maggio 2013 la regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno sottoscritto un ulteriore protocollo di intesa per disciplinare l'attività di ricognizione, delimitazione e rappresentazione in scala idonea all'identificazione delle aree tutelate per legge ai sensi dell'articolo 142 del codice, comprendendo la determinazione delle prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione;
          con determinazione del direttore generale della pianificazione paesaggistica e urbanistica dell'assessorato agli enti locali, finanze e urbanistica della regione autonoma della Sardegna n.  1829 protocollo n.  28659 del 5 giugno 2013 «Art. 156 del decreto legislativo n.  42 del 2004 – codice dei beni Culturali e del Paesaggio – Attuazione del Disciplinare tecnico tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la regione autonoma della Sardegna per la verifica e adeguamento del piano paesaggistico regionale dell'ambito costiero composizione dei sottogruppi di lavoro tematici per l'espletamento delle attività» sono stati istituiti i nuovi gruppi di lavoro;
          nonostante l'accordo sottoscritto il 16 maggio 2013 con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il 30 luglio 2013 il consiglio regionale della Sardegna grazie alla procedura d'urgenza prevista dall'articolo 120 del regolamento consiliare – contravvenendo a giudizio degli interroganti ai principi di buona fede e di leale collaborazione tra amministrazioni, ha approvato la proposta di legge n.  542 «Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici». Si tratta dell'ennesima legge di dubbia costituzionalità, tesa a smantellare la disciplina paesaggistica rimettendo ai comuni, tramite delega conferita dalla sola giunta regionale, il potere di «documentare il reale sussistere dell'uso civico, [...] proporre permute, alienazioni, sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il principio di tutela dell'interesse pubblico prevalente». Si precisa che «costituiscono oggetto di sclassificazione del regime demaniale civico in sede di ricognizione generale e straordinaria anche i casi in cui i terreni sottoposti ad uso civico abbiano perso la destinazione funzionale originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile né documentabile la originaria sussistenza del vincolo demaniale civico». Non solo, «i comuni, previa intesa fra le parti interessate, possono attuare nell'ambito della ricognizione generale degli usi civici, processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o cause legali in essere, articolo 1, comma 3, proposta di legge n.  357». Tale previsione è secondo gli interroganti palesemente in contrasto con i princìpi costituzionali per violazione delle competenze statali in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (articolo 117, comma 1, lettera s), della Costituzione), visto che le aree a uso civico sono tutelate ex lege con il vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n.  42 del 2004, codice dei beni culturali e del paesaggio, richiamato anche dall'articolo 8, comma 2, lettera b) delle NTA del Ppr. Secondo quanto previsto dagli articoli 135 e 143 dello stesso codice, inoltre, la disciplina di tali beni è affidata al piano paesaggistico e ogni modifica deve essere disposta attraverso l'attività di copianificazione tra gli organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la regione;
          attualmente, nonostante il quadro normativo di riferimento sia rimasto immutato, la regione ha modificato unilateralmente le procedure da adottarsi nel corso degli incontri di copianificazione, imponendo ai comuni prescrizioni opposte a quelle finora seguite, ovvero:
              l'attività di copianificazione prevista dall'articolo 49, comma 2, dovrà essere limitata esclusivamente ai beni indicati all'articolo 48, comma 1 lettera a) delle norme, tecniche di attuazione del PPR in quanto, a causa dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  63 del 2008; si ritiene che l'implementazione del Mosaico da parte dei comuni d’ intesa con la regione e il competente organo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, non sia più applicabile;
              dovranno essere espunti dalle attività di copianificazione tutti i beni vincolati con decreto ministeriale ai sensi della legge n.  1089/39 e n.  1497/39, identificati dal piano con stelline rosse (beni di natura architettonica) e gialle (beni di natura archeologica) e gli elementi dell'insediamento rurale sparso di cui all'articolo 51, comma 1, lettera b), delle norme tecniche di attuazione del PPR (stazzi, medaus, furriadroxius, boddeus, bacili, cuiles);
          quasi tutti i comuni ricadenti all'interno dell'ambito costiero hanno almeno avviato le procedure di adeguamento dei propri strumenti urbanistici al piano paesaggistico vigente;
          questa situazione di incertezza sta causando a tali amministrazioni comunali un grave disagio in quanto, a seguito delle nuove disposizioni, hanno difficoltà a comprendere come devono procedere, senza contare quei comuni che, avendo chiuso l’iter di copianificazione ma non avendo ancora pubblicato il proprio piano urbanistico, vedono rimesso in discussione un lavoro svolto in maniera scrupolosa e condivisa con tutti gli organi deputati alla tutela senza comprenderne le ragioni;
          non dovrebbero ritenersi attualmente applicabili le disposizioni del piano casa, della legge sullo sviluppo golfistico, sull'interpretazione autentica dell'articolo 17 NTA del PPR e della nuova legge in materia di usi civici e beni paesaggistici, approvate in deroga al PPR vigente e in palese contrasto con le disposizioni di tutela ivi previste  –:
          in particolare, quali iniziative di competenza si intendano prendere per garantire l'applicazione dell'articolo 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, attualmente non in linea con le disposizioni di cui all'articolo 13 del cosiddetto piano casa, nonostante tale normativa, come già chiarito dal giudice amministrativo, sia in conflitto con quella statale che riserva al piano paesaggistico la disciplina delle aree protette (la stessa formulazione letterale dell'articolo 13 – che detta «Principi e direttive», affidando ai piani paesaggistici l'indicazione delle «opere eseguibili sino all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali» – del resto, conferma che le norme regionali, per essere efficaci, devono essere recepite dal piano paesaggistico regionale);
          quali iniziative concrete di competenza si intendano adottare per impedire che dietro il pretesto di sostenere settori come l'edilizia e il turismo – o ancora più ristretti, come il golf – siano giustificate deroghe sostanziali alle esigenze di salvaguardia dell'integrità paesaggistica e delle risorse naturali già gravemente depauperate da decenni di politiche e prassi dissennate;
          come si intenda procedere e per quali motivi siano stati accettati tempi così stretti – si prevede l'adozione del piano entro il 15 settembre 2013 – considerato che la complessità dell'operazione è già nota a causa dell'attività in fase di svolgimento presso altre regioni, come la Puglia, impegnata da oltre quattro anni in questa attività e considerato, altresì, che gli uffici regionali hanno costituito i gruppi di lavoro solo il 5 giugno 2013, con determinazione del direttore generale della pianificazione paesaggistica e urbanistica dell'assessorato agli enti locali, finanze e urbanistica della regione autonoma della Sardegna n.  1829 prot. n.  28659 «Articolo 156 del decreto legislativo n.  42/2004 – codice dei beni culturali e del paesaggio – Attuazione del Disciplinare tecnico tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la regione autonoma della Sardegna per la verifica e adeguamento del piano paesaggistico regionale dell'ambito costiero composizione dei sottogruppi di lavoro tematici per l'espletamento delle attività»;
          attraverso quali modalità si intenda garantire il rispetto delle prescrizioni di cui agli articoli 135, 143, 144 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che impongono l'effettiva partecipazione del Ministero e il reale coinvolgimento delle associazioni ambientaliste nel procedimento;
          quali iniziative di competenza si intendano prendere per impedire che i beni finora individuati e sottoposti a tutela dal piano paesaggistico siano derubricati come mere «componenti di paesaggio» e che livello di tutela si intenda disporre per la fascia costiera e per tutti i cosiddetti «vincoli di terzo genere» (che tra gli altri comprendono l'area dei colli di Tuvixeddu e Tuvumannu, gli stazzi, i medaus, i furriadroxius, i boddeus, i bacili e i cuiles) apposti dallo stesso PPR ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera d), del codice, dal momento che, in contrasto con le disposizioni degli articoli 143 e 156 del codice, per questi beni il disciplinare non stabilisce l'obbligo di dettare le prescrizioni d'uso;
          come intenda agire per la tutela delle aree archeologiche ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera m), del codice, tenendo conto che molto spesso all'interno di tali aree ricadono beni di natura diversa e che, nel caso in cui la salvaguardia di tali aree dovesse essere riservata alla sola Soprintendenza per beni archeologici, non si rispetterebbe la sistematizzazione prevista con l'introduzione della novella del codice, tornando, di fatto, alla stessa situazione frammentaria della tutela ante decreto legislativo n.  42 del 2004;
          come si intenda agire per la tutela delle aree gravate da usi civici, dichiarate beni paesaggistici ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera h) del codice, considerata l'approvazione della proposta di legge n.  542 da parte della regione Sardegna;
          in che modo il Comitato tecnico intenda recepire le istanze di tutela emerse a seguito dell'attività di co-pianificazione, in particolare se si preveda di individuare i nuovi beni paesaggistici ai sensi dell'articolo 143, lettera d) o se si intenda costituire regolarmente le commissioni regionali di cui all'articolo 137 del codice;
          quali iniziative si intendano adottare affinché si introducano meccanismi che rendano impossibile, d'ora in avanti, la sospensione, la deroga o l'aggiramento delle disposizioni attraverso interventi che, disciplinando i più disparati settori, abbiano comunque riflessi sulla gestione del territorio in generale e sui beni paesaggistici in particolare;
          quali debbano essere le procedure da applicare nel corso dell'adeguamento dei piani urbanistici nelle more di revisione del nuovo piano e, pertanto, se gli uffici competenti debbano applicare i nuovi indirizzi anche ora che la normativa è invariata, disattendendo il parere n.  0018886 del 18 ottobre 2011 rilasciato dal capo dell'ufficio legislativo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.
(2-00182) «Piras, Corda».

Interrogazione a risposta orale:


      COSTANTINO, PALAZZOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, LAVAGNO e AIRAUDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          nel 2012 la regione siciliana ha destinato al teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania 16,290 milioni di euro e questi fondi sono stati utilizzati esclusivamente per il pagamento degli stipendi di circa 300 lavoratori e lavoratrici;
          per la suddetta stagione del 2012 la programmazione è stata resa possibile solo grazie al lavoro gratuito di lavoratori e lavoratrici e al recupero di circa 3 milioni di euro dal fondo unico per lo spettacolo (FUS) e dalla vendita dei biglietti al botteghino a copertura parziale delle spese di produzione;
          nel 2006 il contributo regionale destinato al teatro era di 21,7 milioni, 21,3 nel 2007, 21,5 nel 2008, 21,3 nel 2009, 19,2 nel 2010, 18,28 nel 2011;
          per la stagione 2013 la regione siciliana ha tagliato ulteriormente i fondi destinati al teatro Massimo Vincenzo Bellini, prevedendo in bilancio solo 11,75 milioni di euro, circa la metà dei fondi stanziati negli anni precedenti e già dimostratisi insufficienti;
          la regione siciliana ha dato disponibilità per il recupero di altri 5 milioni di euro provenienti da eventuali tagli al bilancio della sanità regionale;
          il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, ha dichiarato nei giorni scorsi che gli amministrativi assunti dall'ente sono 140 e continuano a lavorare di sera per avere gli straordinari. In verità, si tratta solo di 28 assunti, i quali, trattandosi di un teatro, è ovvio che lavorino durante le aperture serali;
          l'organico del coro del teatro Bellini dovrebbe essere composto da 93 unità, da anni sono rimasti in 57 a causa di prepensionamenti e tagli;
          ai lavoratori non viene erogato lo stipendio da 3 mesi;
          alla luce dei tagli ai fondi e alle assunzioni a settembre del 2013 il teatro Massimo Vincenzo Bellini rischia di non poter riaprire, per l'impossibilità di programmare il cartellone lirico-sinfonico, togliendo alla città di Catania e alla regione siciliana una delle più antiche e importanti strutture di riferimento culturale;
          per risolvere il problema illustrato, poiché dalla regione siciliana è prevedibile che non verrà il reintegro totale delle risorse necessarie per consentire al teatro Bellini di Catania di continuare ad avere una programmazione lirico-sinfonica, è indispensabile l'intervento diretto del Governo in aiuto del teatro etneo  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno agire nella direzione dell'aumento del fondo unico dello spettacolo e, in particolare, assumere iniziative per una copertura straordinaria per salvare la programmazione del Teatro Bellini. (3-00269)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      AMODDIO, PICCOLI NARDELLI e ZAPPULLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          l'Istituto nazionale del dramma antico è una fondazione culturale dal 1998, celebre per l'organizzazione del ciclo di rappresentazioni classiche presso il teatro greco di Siracusa;
          le origini dell'ente trovano la loro fonte nella brillante idea del conte Mario Tommaso Gargallo, che nel 1913 costituì un comitato promotore con l'ambizione di ridare vita al dramma antico presso il suo «spazio naturale», il Teatro Greco di Siracusa;
          fin dalla sua nascita ed attraverso le sue diverse forme giuridiche (ente morale nel 1925, ente non economico nel 1978, e fondazione con personalità giuridica di diritto privato dal 1998) la fondazione Inda ha dato vita ad una attività teatrale fondata sulla rappresentazione delle tragedie greche (il grande teatro ateniese di Eschilo, Sofocle ed Euripide), attività che non ha uguali in Italia e nel mondo per la sua peculiarità artistica, essendo peraltro fattore formidabile di richiamo, nella splendida cornice del Teatro Greco di Siracusa, di oltre 150.000 spettatori l'anno, provenienti da ogni parte del Paese;
          le rappresentazioni delle tragedie greche producono benefìci effetti sull'economia del territorio della provincia di Siracusa e contribuiscono ad incrementarne il turismo culturale;
          il primo ciclo di spettacoli classici fu inaugurato il 16 aprile 1914 con l'Agamennone di Eschilo ed il centenario dell'avvio degli spettacoli classici cadrà nel 2014;
          la ricorrenza del centenario rappresenta per la fondazione Inda un momento di consacrazione quale istituzione divenuta a pieno titolo «patrimonio dell'umanità»;
          le origini e la peculiarità dell'oggetto delle attività della fondazione Inda non consentono di considerarla un organismo di diritto pubblico «sic et simpliciter»;
          proprio in ragione delle peculiarità sopra esposte nel 1998 l'Inda fu trasformata in fondazione di diritto privato con l'individuazione nello statuto di figure istituzionali e professionali che rappresentano un «unicum» nel panorama degli organismi di diritto pubblico;
          il legislatore nel 1998 individuò nel sindaco del comune di Siracusa il presidente della fondazione e la sede operativa a Siracusa, proprio nell'ottica di legare indissolubilmente la fondazione al territorio del comune di Siracusa;
          il consiglio di amministrazione per espressa previsione statutaria prevede la nomina di soggetti con competenze e professionalità volte a valorizzare il patrimonio culturale che la fondazione rappresenta nel nostro paese; infatti, l'articolo 12, comma 8, prevede: «I componenti del consiglio di Amministrazione sono individuati tra personalità di elevato profilo culturale, con particolare riguardo al campo degli studi sul teatro antico e della letteratura classica latina e greca e con comprovate capacità organizzative»;
          lo statuto della fondazione Inda indica in 8 i componenti del consiglio di amministrazione;
          il comma 5 dell'articolo 6 del decreto-legge n.  78 del 2010 convertito con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, prevede la riduzione dei componenti del consiglio di amministrazione degli organismi di diritto pubblico, comprese le fondazioni;
          nel mese di febbraio 2013 è scaduto il consiglio di amministrazione della fondazione Inda;
          la fondazione Inda ha deliberato la riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione nei limiti previsti dalla legge citata;
          per espressa previsione statutaria l'efficacia della modifica dello statuto necessita dell'approvazione del Ministro per i beni e le attività culturali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro della funzione pubblica;
          con decreto ministeriale dell'11 aprile 2013 il dottore Alessandro Giacchetti è stato nominato commissario straordinario della fondazione Inda;
          nel decreto è espressamente riportato che la nomina del commissario straordinario trova innanzitutto fondamento nell'obbligo di legge contenuto nell'articolo 6, comma 5, del decreto-legge n.  78 del 2010 convertito con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, sopra citato, per la quale è necessario, prima di ricostituire il nuovo consiglio di amministrazione, modificare lo statuto della fondazione Inda;
          altresì, nel decreto è richiamata la complessità delle procedure delle modifiche statutarie deliberate dalla fondazione Inda per giustificare la nomina del commissario straordinario;
          il dottore Giacchetti al momento della nomina era anche commissario straordinario del comune di Siracusa e quindi facente funzioni di sindaco del comune di Siracusa;
          si sono svolte le elezioni amministrative del comune di Siracusa e nel mese di giugno del 2013 è stato proclamato eletto sindaco il signor Giancarlo Garozzo;
          sono decorsi oltre 4 mesi dalla nomina del commissario straordinario ed il Ministro interrogato non ha ancora provveduto ad approvare le modifiche statutarie che sono necessarie per nominare e ricostituire il consiglio di amministrazione;
          il dottore Giacchetti oltre ad assumere nella qualità di commissario straordinario le funzioni del presidente della fondazione, ha anche quelle del consiglio di amministrazione e quindi del consigliere delegato, e del soprintendente della fondazione;
          senza voler entrare nel merito della legittimità della nomina del commissario straordinario, alla data dell'11 aprile 2013 la nomina del commissario nella persona del dottore Alessandro Giacchetti poteva trovare un sua giustificazione nella necessità di garantire il funzionamento della fondazione, atteso che il comune di Siracusa era privo del sindaco, non erano state approvate le modifiche statutarie, il consiglio di amministrazione era oramai scaduto e vi era la necessità di garantire le rappresentazioni classiche per la stagione 2013 oramai terminate;
          alla data odierna la permanenza in carica del dottore Alessandro Giacchetti non trova alcuna giustificazione atteso che:
              a) il sindaco è stato eletto;
              b) il decorso del tempo per procedere alla nomina del consiglio di amministrazione non dipende dalla volontà o dall'inerzia dell'amministrazione comunale o della fondazione, bensì dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          lo statuto della fondazione Inda prevede espressamente che la carica di presidente spetta di diritto al sindaco di Siracusa;
          la nomina di un commissario straordinario che somma nella propria persona tutti i poteri del consiglio di amministrazione e del sovrintendente contraddice le norme e la «ratio» delle previsioni statutarie, che prevedono oltre alla presidenza in capo al sindaco della città di Siracusa, la individuazione di un consigliere delegato, di consiglieri di amministrazione e di un sovrintendente che dovrebbero avere competenze specifiche che certamente il commissario straordinario non può possedere e non per sua colpa;
          come già esposto il centenario della fondazione Inda cadrà nel 2014 e la ricorrenza del centenario rappresenta per la fondazione Inda un momento di consacrazione quale istituzione divenuta a pieno titolo «patrimonio dell'umanità»;
          se è vero che nel decreto datato 11 aprile 2013 è citato l'articolo 9 del decreto legislativo n.  20 del 2008 è altrettanto vero che non nemmeno accennati i motivi che giustificano la nomina del commissario straordinario;
          allo stato la permanenza del commissario straordinario oltre a non trovare fondamento nella legge è oggettivamente inopportuna e lesiva dell'immagine della fondazione Inda oltre che della collettività siracusana e rappresenta un «vulnus» per la preparazione delle rappresentazioni classiche del 2014 e della celebrazione del centenario;
          l'articolo 11 dello statuto della fondazione prevede espressamente che il presidente della fondazione, e non solo del consiglio di amministrazione, è il sindaco pro tempore di Siracusa;
          sono venute meno con la proclamazione del sindaco le ragioni della nomina del dottore Alessandro Giacchetti quanto meno in sostituzione del sindaco;
          già nel passato codesto Ministero ha nominato commissario straordinario il sindaco del comune di Siracusa  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto nelle premesse;
          se il Ministro intenda approvare con sollecitudine le modifiche statutarie adottate dal consiglio di amministrazione della fondazione Inda e procedere ad avviare il procedimento per nominare i componenti del consiglio di amministrazione;
          se il Ministro intenda revocare senza indugio il decreto datato 11 aprile 2013 quanto meno nella parte in cui nomina il commissario straordinario nella persona del dottore Alessandro Giacchetti, anziché del sindaco del comune di Siracusa.
(5-00898)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
V Commissione:


      SORIAL e CASTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          si rileva che, dall'inizio della legislatura, nei testi dei decreti-legge emanati, ovvero nei testi dei medesimi, come modificati in sede di conversione in legge, il Governo utilizza costantemente come copertura la riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n.  222, relativamente alla quota destinata allo Stato dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), che i contribuenti intendono destinare allo Stato al fine di realizzare interventi a carattere sociale o umanitario;
          le risorse prelevate sono notevoli e sono state distratte non solo per l'anno 2013, ma anche per il 2014 ed in particolar misura per il 2015;
          infatti con il decreto-legge n.  76 del 2013 sono stati utilizzati 1,5 milioni per il 2013 e 10 milioni per il 2014; con il decreto-legge n.  69 del 2013 sono stati utilizzati 10 milioni per il 2013; con il decreto-legge n. 63 del 2013 sono stati utilizzati 35 milioni di euro per l'anno 2015; con il decreto-legge n.  35 del 2013 sono stati distratti 2,1 milioni di euro per l'anno 2014 e a 35,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015  –:
          se il Ministro intenda assumere iniziative normative per reintegrare le suddette risorse, al fine di consentire la realizzazione degli interventi a scopo di interesse sociale e di carattere umanitario, ed, in particolare, se intenda reintegrare le risorse di competenza dell'anno 2015, che sono state interessate da una riduzione cospicua, e quelle relative agli anni successivi, in quanto, come previsto dal decreto-legge n.  35 del 2013, la decurtazione per 35,8 milioni annui è stata posta a regime. (5-00882)


      MARCON, MELILLA e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni il fondo dell'otto per mille di competenza statale, di cui alla legge n.  22 del 1985 (articolo 47), è stato utilizzato per i motivi più disparati: dal finanziamento delle missioni militari all'estero al salvataggio delle aziende, dai provvedimenti di riduzione del debito alle emergenze ambientali;
          in questa legislatura la Commissione speciale per l'esame degli atti nel Governo, in data 9 aprile 2013, ha adottato ed espresso parere favorevole sul nuovo regolamento di utilizzo dei fondi di pertinenza statale dell'otto per mille che invita il Governo – qualora utilizzi per altre finalità i fondi dell'otto per mille – a ripristinare in tempi certi i fondi stornati per altri scopi;
          negli ultimi due mesi il Governo ha utilizzato ben 77,2 milioni del fondo statale dell'otto per mille (negli ultimi anni mediamente pari a 140 milioni di euro) per dare copertura a tre provvedimenti (35,7 milioni per il decreto-legge n.  35 del 2013 per i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese verso la pubblica amministrazione, 10 milioni per il decreto-legge n.  69 del 2013 cosiddetto «del fare», 20 milioni per decreto-legge n.  69 del 2013 sull'Ecobonus e 11,5 milioni per il decreto-legge n.  76 del 2013 Lavoro/IVA);
          in questo modo circa il 50 per cento del fondo è stato utilizzato e il timore che per esigenze di finanza pubblica – in occasione della discussione della prossima legge di stabilità e dei prossimi provvedimenti – questo possa essere utilizzato completamente per altre finalità è fortemente fondato;
          di conseguenza importanti attività quali quelle relative all'inclusione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il recupero di beni culturali ed archeologici, gli interventi in caso di calamità naturali, i progetti di cooperazione allo sviluppo e gli interventi umanitari finanziabili con le dotazioni del fondo otto per mille non potranno essere realizzati  –:
          come e quando il Governo intenda ripristinare nel fondo statale dell'otto per mille risorse pari a quelle utilizzate per altre finalità ed in particolare i 77,2 milioni già utilizzati per i provvedimenti citati. (5-00883)


      BORGHESI e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          alcune dichiarazioni di autorevolissimi esponenti del Governo sembrano far trasparire alcune contraddizioni rilevanti su questioni di forte impatto sul bilancio dello Stato e sulla tenuta dei conti pubblici;
          da un lato infatti il Presidente del Consiglio dei ministri, nel discorso con il quale si è proposto alle Camere per chiederne la fiducia e con successive conferme, si è impegnato a superare almeno due previsioni legislative onerose come l'Imposta municipale propria sull'abitazione principale e l'aumento dell'Imposta sul valore aggiunto dal 21 al 22 per cento, per ora semplicemente rinviato e di soli tre mesi, al 1o ottobre 2013;
          le due misure comporterebbero alle attuali condizioni una copertura finanziaria di almeno 4 miliardi di euro annui per l'IMU e altri 4 miliardi per l'IVA, cifre che appaiono difficilmente reperibili nelle attuali linee di bilancio, benché le misure promesse dal Governo siano certamente condivisibili;
          più recenti dichiarazioni del Ministro dell'economia invece lasciano intendere che non siano ad oggi disponibili risorse per mettere a punto entrambe le misure senza che ciò crei difficoltà non superabili all'equilibrio del bilancio pubblico, tanto che il Ministro stesso ha parlato di «priorità» e di allocazione di risorse come «esercizio non facile»  –:
          quante e quali siano ad oggi le risorse che il Ministero dell'economia e delle finanze ha individuato per compensare la riforma dell'Imu che deve essere messa a punto entro 20 giorni circa, come previsto dall'articolo 2 del decreto-legge 21 maggio 2013, n.  54, e il mancato aumento dell'IVA da reperirsi entro 45 giorni da oggi.
(5-00884)


      MISIANI e MARCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il leasing in costruendo, categoria rientrante nel leasing immobiliare, è l'operazione contrattuale mediante la quale un ente pubblico demanda ad un soggetto terzo la costruzione o il completamento di un'opera pubblica e, contestualmente, procede alla sua locazione finanziaria per un determinato periodo ad un canone prefissato, riservandosi alla scadenza l'opzione di acquisto definitivo del bene, ad un prezzo prestabilito;
          il problema relativo alla possibilità, da parte della pubblica amministrazione, di fare ricorso ad un contratto di leasing immobiliare, ha trovato un'esplicita risposta mediante la legge n.  296 del 2006, (legge finanziaria 2007) che, all'articolo 1, commi 907, 908, 912 e 913, ha consentito il ricorso alla locazione finanziaria per la realizzazione, l'acquisizione ed il completamento di opere pubbliche, o di pubblica utilità, da parte dei committenti tenuti all'applicazione del codice dei contratti pubblici, e quindi anche degli enti locali. Il leasing in costruendo, in particolare, è disciplinato dall'articolo 160-bis del decreto legislativo n.  163 del 2006, introdotto dal decreto legislativo n.  113 del 2007;
          la figura in analisi rappresenta un valido strumento per la realizzazione di opere pubbliche, in quanto evita l'esborso del capitale in un'unica soluzione;
          il leasing immobiliare è un particolare tipo di contratto che ha come finalità principale la realizzazione di un'opera, ma che può talora comprendere anche un'importante componente di finanziamento ed è per questo che gli enti locali non possono utilizzare il leasing in costruendo per aggirare i limiti all'indebitamento;
          si è in tale senso espressa la Corte dei conti della sua funzione consultiva che, perseguendo la linea del rigore, alla luce del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, come previsto dal SEC 95, dallo IAS 17 per i quali il leasing finanziario ed i contratti assimilati costituiscono debito che finanzia l'investimento, ha precisato che la configurazione del rapporto e le sue conseguenze contabili dipendono dalla ripartizione dei rischi inerenti l'esecuzione e la gestione dell'opera: ove questi ultimi ricadano sul soggetto pubblico, l'operazione si configura sostanzialmente come indebitamento. Solo nel caso in cui il privato si assuma i predetti rischi, il leasing non ha effetti sull'indebitamento: in tal caso, il bene entra nel patrimonio dell'ente solo al momento del riscatto e il canone periodico viene contabilizzato fra le spese correnti;
          il finanziamento del leasing viene così formalmente e sostanzialmente assimilato all'assunzione di un debito: l'ente pubblico utilizzatore contabilizza il valore del bene nel titolo V, fra le «entrate da assunzione di prestiti» e contestualmente iscrive la spesa impegnata per il pagamento dei canoni al titolo III, rubricato «spese per rimborso prestiti», relativamente alla quota di capitale rimborsato, e al titolo I quale onere finanziario per spese correnti, in relazione alla quota d'interessi (articolo 165 TUEL). Ci si trova essenzialmente in presenza di una spesa per investimento finanziata attraverso un'operazione d'indebitamento che è rappresentata dallo stock di debito da pagare periodicamente con i canoni di leasing comprensivi della quota di capitale e interessi;
          tuttavia, in concreto, l'ampia formulazione della norma, che lascia notevoli margini di manovra all'autonomia negoziale, può rendere estremamente difficoltoso per le amministrazioni pubbliche determinare una ripartizione dei rischi coerente con le decisioni Eurostat. In altri termini, non prevedendo la norma uno schema rigido o ben definito, il corretto inquadramento anche ai fini contabili di ciascuna operazione non può che scaturire da un'attenta valutazione, caso per caso, delle singole fattispecie;
          tale situazione, così rappresentata dalla stessa Corte dei conti, pone in evidente difficoltà gli enti locali poiché un'operazione, un contratto, potrebbe essere definito elusivo delle norme sul Patto di stabilità se l'ente, pur adottando prassi teoricamente legittime, non ha correttamente inquadrato la fattispecie con le conseguenze previste dal decreto-legge n.  98 del 2011, della nullità dei contratti e delle sanzioni pecuniarie per i responsabili;
          si aggiunge che a legislazione vigente, gli schemi di bilancio sono obbligatoriamente costituiti dagli schemi approvati con decreto del Presidente della Repubblica n.  194 del 1996 (bilanci) e decreto del Presidente della Repubblica n.  326 del 1998 (relazione previsionale e programmatica) che non sono sempre coerenti con i sistemi approvati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 dicembre 2011 recante le disposizioni per la sperimentazione dei nuovi principi contabili con la conseguenza che operazioni avviate negli anni precedenti, potrebbero produrre impatti dirompenti sui bilancio dei comuni in ordine al rispetto del patto di stabilità;
          se al momento della consegna del bene oggetto del contratto, si rileva il debito pari all'importo oggetto di finanziamento, da iscrivere tra le «accensioni di prestiti» e si registra l'acquisizione del bene tra le spese di investimento (si accerta l'entrata, si impegna la spesa e si emette un mandato versato in quietanza di entrata del proprio bilancio) gli enti avranno contabilizzato, pur senza effettivo esborso, una spesa rilevante per il patto di stabilità di importo corrispondente all'intero valore dell'opera;
          la spesa viene contabilizzata per intero nonostante la proprietà del bene rimanga fino all'esercizio del riscatto alla società concedente;
          non può essere disconosciuta la circostanza che la principale funzione economica del contratto di leasing traslativo si concretizza nel trasferimento della proprietà del bene solo al momento della conclusione del contratto, e cioè all'atto del pagamento del prezzo di riscatto. Tutti gli oneri di diretta imputazione al bene che si manifestano prima del riscatto sono capitalizzati e ammortizzati dalla società concedente;
          il bene utilizzato, che come viene indicato agli enti locali, deve essere rilevato tra le immobilizzazioni nel bilancio dell'ente, è lo stesso che è rilevato nello stato patrimoniale della società di leasing;
          si determina una duplicazione che non corrisponde alla esigenza di salvaguardare la sostanza dei rapporti giuridici perché interviene, alterandola, anche sulla situazione patrimoniale e di bilancio delle società di leasing;
          di tale circostanza occorre tener conto se non si vuole compromettere il principio che vuole rappresentata in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale degli enti;
          è invero possibile adottare una diversa soluzione per conciliare la natura giuridica del contratto di leasing con l'esigenza di far emergere la natura di indebitamento dell'operazione nella prospettiva del suo contenimento;
          potrebbe sopperire una modifica dell'articolo 204 del Testo unico enti locali n.  267 del 2000;
          la norma chiarisce che gli enti locali possono assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l'importo annuale degli interessi, sommato a quello delle operazioni in essere (mutui, prestiti obbligazionari, aperture di credito, garanzie fideiussorie) e assunto al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi, non supera una certa percentuale delle entrate relative ai primi tre titoli del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l'assunzione del nuovo debito;
          il tetto all'indebitamento, ripetutamente modificato dal legislatore negli ultimi anni, è stato infine decisamente abbassato dall'articolo 8, comma 1, della legge n.  183 del 2011, che ne ha previsto la progressiva riduzione fissandolo all'8 per cento per il 2012, al 6 per cento per il 2013 e al 4 per cento a regime dal 2014;
          la previsione espressa che anche i canoni corrisposti a fronte di operazioni di leasing concorrono a formare tale tetto permetterebbe di far rilevare la sostanziale natura di indebitamento del leasing traslativo senza alterarne la forma giuridica  –:
          se, a fronte della situazione descritta, e delle possibili soluzioni sia intenzione del Governo dettare una specifica disciplina per la contabilizzazione del leasing in costruendo affinché l'operazione, pur rilevata nel limite di indebitamento degli enti, possa essere contabilizzata con imputazione dei canoni a spesa corrente. (5-00885)


      PALESE e CICU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.  35, convertito dalla legge n.  64 del 6 giugno 2013, in materia di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione inserito nel provvedimento nel corso del suo esame al Senato, dopo aver fatte salve le previsioni recate dall'articolo 16, comma 3, del decreto-legge n.  95 del 2012, ancorché esso formi oggetto di impugnazione da parte della regione Sardegna, pone in termine ordinatorio di 120 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, per la definizione dell'accordo tra lo Stato e la regione Sardegna – da adottare secondo le procedure delineate dall'articolo 27 della legge n.  42 del 2009 – con riferimento alle modifiche da apportare al patto di stabilità interno, puntualizzando obiettivi e limiti normativi entro i quali deve intervenire l'accordo stesso;
          in sede di esame conclusivo del medesimo decreto-legge n.  35, è stato approvato un ordine del giorno (Cicu 9/676-B/8) recante l'impegno del Governo a dare attuazione all'articolo 27 della legge n.  42 del 2009, alla cui procedura il decreto-legge assoggetta l'eventuale modifica del patto di stabilità interno della regione Sardegna, per adeguare il livello delle spese all'accresciuto livello delle entrate riconosciute alla regione, avendo riguardo, nella valutazione delle misure compensative da destinare ai territori svantaggiati e nella valutazione della congruità delle risorse spettanti alla Sardegna, oltre che delle funzioni esercitate e degli oneri ad esse connessi, del deficit infrastrutturale, dei costi derivanti dall'insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano il territorio regionale;
          l'ordine del giorno prevedeva altresì l'impegno ad individuare, nel caso in cui l'accordo non venga raggiunto nei tempi stabiliti, idonee misure compensative per la regione Sardegna, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, a decorrere dall'esercizio in corso;
          il presidente della regione Sardegna ha avviato, nelle scorse settimane, il procedimento previsto dal decreto-legge n.  35, per la parte di sua competenza, con l'obiettivo di stabilire una interlocuzione con l'esecutivo nazionale ed in particolare con il Ministro dell'economia e delle finanze Saccomanni  –:
          se non ritenga opportuno istituire urgentemente il tavolo di confronto tra Stato e regione Sardegna ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 11 del citato decreto-legge n.  35 del 2013, al fine di avviare per tempo le definizione della cosiddetta «vertenza entrate» tra Stato e regione Sardegna. (5-00886)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MARTELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 6, comma 7, del decreto-legge 2 luglio 2007, n.  81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n.  127, come sostituito dall'articolo 35 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n.  159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n.  222, modificato dall'articolo 2, comma 45, della legge 22 dicembre 2008, n.  203, istituisce il «Fondo per la valorizzazione e la promozioni delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a statuto speciale», prevedendo l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, e le competenti Commissioni parlamentari, per stabilire le modalità di erogazione delle risorse iscritte nel predetto Fondo nonché i criteri in base ai quali finanziare direttamente i comuni interessati;
          con riguardo al periodo 2008-2011, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 ottobre 2011 sono state stabilite le modalità di erogazione delle risorse iscritte nel «Fondo» in questione, prevedendone la ripartizione fra tre macroaree dallo stesso individuate (articolo 2, comma 1) nonché i criteri per finanziare direttamente i comuni interessati e confinanti con la regione Valle d'Aosta, la regione Trentino Alto Adige, la regione Friuli Venezia Giulia e sono stati altresì indicati (articolo 4, comma 1, lettera a)) i comuni aventi titolo a presentare le domande di finanziamento;
          con il decreto del Capo dipartimento per gli affari regionali del 14 settembre 2012 sono state approvate ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 ottobre 2011, articolo 9, le graduatorie di merito elaborate dalla commissione di valutazione prevista dall'articolo 8 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 ottobre 2011 relative alle tre macroaree in argomento ed allegate al provvedimento medesimo;
          pur avendo ricevuto i finanziamenti nell'ottobre del 2012, molti di quei progetti non sono stati ancora realizzati, poiché i comuni (dal 2013 anche quelli con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti) si trovano nella impossibilità di procedere alla spesa dei contributi previsti perché vincolati al rispetto del patto di stabilità;
          senza un previsione normativa ad hoc per i comuni di confine, anche nel 2013 le regole sul patto di stabilità potrebbero limitare la realizzazione di opere già finanziate  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative per permettere ai comuni di svolgere i progetti previsti e di pagare le relative spese, senza uscire dai vincoli imposti dal patto di stabilità, consentendo ai comuni medesimi di recuperare in termini di spazi finanziari, a partire dal 2013, l'eventuale margine positivo realizzato nel 2012 determinato dall'incasso, alla fine dell'anno 2012, del contributo statale per le aree di confine 2008-2011 o, in alternativa, di poter scomputare dal patto di stabilità 2013, e anni successivi, le spese in conto capitale che i comuni dovranno sostenere quando realizzeranno le opere previste dai progetti approvati. (5-00891)


      RIGONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Associazione nazionale di categoria dei promotori finanziari (ANASF), vanta oltre 12.000 iscritti e sono circa 53.000 i promotori finanziari in attività;
          FEDERAGENTI CISAL è un'associazione sindacale di rappresentanza degli agenti e rappresentanti del commercio con circa 40.000 iscritti su un totale di circa 260.000 appartenenti a tale categoria;
          in tempi non recenti la questione relativa alla debenza o meno dell'IRAP da parte di promotori finanziari ed agenti di commercio è stata affrontata – in chiave generale – dalla Corte Costituzionale (sentenza n.  156 del 2001) e, in modo specifico, per gli appartenenti alle due citate categorie, dalle sentenze della Corte di Cassazione nn.  12108, 12109, 12110, 12111 del 2009, sentenze cui si è poi allineata la stessa amministrazione finanziaria con la circolare ministeriale n.  28/E del 2010; quindi è stata abbandonata la preconcetta posizione secondo la quale gli appartenenti alle due categorie, per il sol fatto di esser qualificati come imprenditori individuali, dovessero pagare l'IRAP, richiedendosi, invece, la verifica, caso per caso, dell'esistenza del requisito dell'autonoma organizzazione;
          tuttavia, proprio la vaghezza e l'assenza di oggettività nel criterio individuato dell'autonoma organizzazione ha, non solo per promotori ed agenti di commercio, ma in generale per l'intero mondo dei professionisti e degli imprenditori individuali, prodotto numerose difformità di posizioni ed interpretazioni;
          in termini generali, la maggior parte degli appartenenti alle due categorie dispone di un'organizzazione di mezzi molto semplice rappresentata da un'auto, un personal computer e un telefono cellulare; in alcuni casi a ciò si aggiunge la disponibilità di un ufficio condiviso con altri colleghi o ricavato utilizzando promiscuamente parte dell'abitazione privata. L'organizzazione essenziale e l'assenza di uffici di rappresentanza è determinata dal tipo di attività, in quanto entrambe si svolgono attraverso la visita a domicilio dei clienti potenziali e clienti già acquisiti;
          organizzazioni minimali di mezzi come quelle appena descritte evidenziano la presenza di beni strumentali per un valore compreso tra i 50.000 ed i 60.000 euro, in larga parte rappresentati dal costo di acquisto dell'auto, cui si aggiunge quello indiretto dato dall'IVA indetraibile;
          l'articolo 4, comma 2, della legge delega per la riforma fiscale, assegna al Governo il compito di meglio delineare i contorni del presupposto «dell'autonoma organizzazione» ai fini IRAP;
          nell'attesa di quanto verrà a regime introdotto in attuazione della sopra citata legge delega, l'articolo 1, comma 515, della legge n.  228 del 2012 (cosiddetta legge di stabilità 2013) ha introdotto, a partire dal 2014, una esclusione da per gli imprenditori individuali ed i professionisti che non dispongano di personale dipendente ed il cui valore dei beni strumentali utilizzati nella loro attività non superi un determinato valore soglia;
          quanto al valore soglia, il citato articolo 1, comma 515, prevede che lo stesso sia determinato da un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere conforme delle competenti Commissioni parlamentari;
          il fondo di dotazione a sostegno della suddetta esenzione IRAP è pari ad euro 188 milioni di euro per il 2014, di 252 milioni di euro per il 2015 e di 242 milioni di euro per il 2016;
          ad oggi non risulta ancora emanato il citato decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, funzionale a permettere l'operatività dell'esenzione IRAP a partire dal 2014  –:
          se il Ministero dell'economia e delle finanze abbia provveduto a redigere tale decreto attuativo e quali siano i tempi attesi per la sua emanazione;
          quale sia l'orientamento relativo al valore soglia dei beni strumentali che dovrà essere individuato dal citato decreto;
          se il valore complessivo dei beni strumentali ricompreso tra euro 50.000 ed euro 60.000 sia espressivo della presenza di un'organizzazione minima di mezzi e possa essere assunto dal decreto come valore soglia ai fini dell'esenzione da IRAP;
          se si sia provveduto all'individuazione di criteri alternativi e aggiuntivi da affiancare al valore soglia;
          se sia attualmente confermata la dotazione del fondo a sostegno dell'esenzione IRAP previsto dalla legge di stabilità 2013 e se, in previsione dell'entrata a regime nel 2014 di tale esenzione, si provvederà ad incrementare le risorse destinate a tale fondo di dotazione;
          se il Ministero dell'economia e delle finanze abbia effettuato delle stime ed individuato i potenziali beneficiari di tale misura e la reale capacità del fondo di dotazione di garantire a tutti coloro che si troveranno nelle condizioni fissate dalla legge finanziaria di beneficiare dell'esenzione IRAP;
          se il Ministero dell'economia e delle finanze abbia previsto e quali siano le modalità di accesso a tale regime al fine di garantire a tutti i beneficiari, nel rispetto dei requisiti, la possibilità di avvalersene.
(5-00895)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia delle entrate ha già disposto la soppressione di alcuni uffici territoriali e si appresta a sopprimerne altri in linea con le previsione della spending review;
          tra questi è prevista la chiusura dell'ufficio territoriale di Badia Polesine (Rovigo) in data 9 settembre;
          gran parte degli uffici territoriali chiusi o da chiudere sono localizzati nelle regioni settentrionali ove maggiore è il numero di partite iva, dichiarazioni fiscali, base imponibile, gettito ordinario e straordinario (derivante da contrasto all'evasione e all'elusione fiscale) e conseguentemente la domanda di servizi fiscali e tributari;
          ciò, oltre a comportare un incremento dei costi dei servizi per i cittadini-utenti, rappresenta un segnale di arretramento nel territorio da parte dell'amministrazione finanziaria, che vanificherebbe, almeno in parte, i proclami relativi alla lotta all'evasione fiscale;
          l'ufficio territoriale di Badia Polesine riguarda: Badia Polesine, Bagnolo di Po, Bergantino, Calto, Canda, Castelguglielmo, Castelmassa, Castelnovo Bariano, Ceneselli, Ficarolo, Fratta Polesine, Gaiba, Giacciano con Baruchella, Lendinara, Lusia, Melara, Occhiobello, Pincara, Salara, San Bellino, Stienta, Trecenta, Villanova del Ghebbo;
          con riferimento all'ufficio territoriale di Badia Polesine il numero dei comuni di competenza è di 23 su un totale di 50 e la struttura è collocata in uno stabile di proprietà del comune per il quale l'amministrazione finanziaria corrisponde un canone annuo di oltre 30 mila euro;
          l'ufficio di Melara dista ben 59 chilometri dall'ufficio di Rovigo;
          la soppressione dell'ufficio di Badia Polesine creerebbe un danno che vedrebbe, anche per la particolare conformazione territoriale della provincia di Rovigo, i comuni dell'Alto Polesine particolarmente danneggiati dalle distanze con il comune capoluogo  –:
          se il Governo non intenda intervenire urgentemente per impedire la chiusura dell'ufficio di Badia Polesine evitando così di danneggiare gli utenti che già sono alle prese con i problemi prodotti dalla crisi economica;
          quali siano le ragioni di carattere economico che hanno portato a queste determinazioni da parte dell'Agenzia dell'entrate e quali ne siano gli eventuali vantaggi a fronte dei disagi che vengono prospettati;
          se non sia più saggio potenziare gli uffici carenti, con l'inserimento di nuove risorse per garantire un servizio quantitativamente e qualitativamente adeguato a quella parte del Paese, dove maggiore è la domanda e che più necessita dei servizi resi dall'amministrazione finanziaria. (4-01614)


      NUTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Equitalia s.p.a. è una società di capitali totalmente pubblica, sotto forma di società per azioni, i cui azionisti sono l'Agenzia delle entrate e l'INPS, preposta alla riscossione dei tributi sul territorio nazionale, ad esclusione della regione Sicilia;
          Riscossione Sicilia s.p.a. è una società di capitali totalmente pubblica, sotto forma di società per azioni, i cui azionisti sono la regione Sicilia e Equitalia s.p.a., preposta alla riscossione dei tributi sul territorio regionale della Sicilia;
          secondo quanto si apprende da un articolo di stampa comparso sul Il Fatto Quotidiano di venerdì 12 luglio 2013, Equitalia s.p.a. (e le sue controllate) e Riscossione Sicilia s.p.a. hanno complessivamente personale dipendente per quasi 9.000 unità. Nonostante questi numeri, Equitalia s.p.a. e Riscossione Sicilia s.p.a. impiegano più di 6.100 consulenti esterni, in maggioranza avvocati, e non valorizzano adeguatamente il personale dipendente interno iscritto all'ordine degli avvocati, che potrebbe potenzialmente sostituire almeno parzialmente i numerosi consulenti esterni;
          la Corte di Cassazione, con la sentenza n.  4283 del 21 febbraio 2013, ha affermato che il manager pubblico che affida un incarico ad un consulente esterno risponde di danni erariali se non dimostra che vi è una «impossibilità oggettiva [...] di far fronte all'esigenza richiesta con personale interno all'organizzazione (Sezioni Unite 25 gennaio 2006, n.  1376), la cui qualificazione professionale l'amministrazione ha infatti l'obbligo di verificare periodicamente ed incrementare»;
          i vari interventi normativi negli ultimi anni in materia di spending review (tra cui si cita a titolo esemplificativo la legge 7 agosto 2012, n.  135, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95) hanno limitato fortemente la discrezionalità della pubblica amministrazione di potersi avvalere di consulenze affidate a soggetti esterni;
          recentemente, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Gianpiero D'Alia, commentando i dati sulle consulenze 2011 rese pubbliche il 17 giugno 2013, ha dichiarato che «le consulenze esterne nelle pubbliche amministrazioni sono decisamente troppe e ingiustificate [...] se pensiamo alle tante grandi professionalità già presenti nelle strutture pubbliche in grado di svolgere perfettamente quegli incarichi. Stiamo monitorando attentamente la situazione per capire in che modo intervenire per contenere il fenomeno. [...] Serve un giro di vite, con strumenti nuovi per combattere sperperi e cattive abitudini»  –:
          se il Ministro non ritenga necessario verificare la gestione delle consulenze esterne di Equitalia s.p.a. e Riscossione Sicilia s.p.a. e la loro conformità alla legge vigente e alla giurisprudenza in materia;
          se non ritenga opportuno adottare iniziative al fine di ridurre il numero dei consulenti esterni in favore di una maggiore valorizzazione del personale dipendente, ovvero se non ritenga opportuno, ai fini della riduzione della spesa per il personale e per evitare una eventuale gestione clientelare delle consulenze esterne, esclusivamente nel caso in cui il personale interno sia insufficiente e non abbia le adeguate competenze e la necessaria formazione, adottare provvedimenti volti ad assumere un esiguo numero di avvocati, tramite bando pubblico informato ai principi di trasparenza, in sostituzione delle consulenze esterne. (4-01621)


      COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Marco Milanese, ex deputato del Popolo della Libertà, rinviato a giudizio dal Gip del Tribunale di Napoli con l'accusa di associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di atti d'ufficio e condannato dal Tribunale di Roma ad 8 mesi di reclusione (pena sospesa) per finanziamento illecito a un singolo parlamentare, già consigliere di Giulio Tremonti durante il suo incarico da Ministro, pare avere ripreso servizio presso la scuola superiore dell'economia e delle finanze, direttamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          la lista aggiornata dei docenti di ruolo della scuola riporta il suo nome e l'ammontare del suo compenso annuo lordo pari ad euro 194.332,00;
          fanno parte del corpo insegnante dell'istituto anche Vincenzo Fortunato e Marco Pinto, rispettivamente ex capo ed ex vice-capo di gabinetto dello stesso Ministero dell'economia e delle finanze;
          sia Fortunato sia Pinto percepiscono dalla scuola uno stipendio annuo lordo di oltre 300.000 euro che, nel caso di Fortunato, si aggiunge ai compensi derivanti dagli incarichi di liquidatore della Società «Stretto di Messina» e di presidente di Invimit, la società del Tesoro per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico  –:
          se il Ministro dell'economia e delle finanze sia a conoscenza dell'entità dei compensi erogati ai docenti della scuola superiore dell'economia e delle finanze e se sia nelle sue intenzioni adottare un provvedimento per ridurre tali emolumenti che appaiono del tutto incoerenti con la situazione economica generale e le necessità di risanamento del bilancio dello Stato;
          se sia coerente con la lotta al malaffare ed all'etica pubblica avere all'interno di una scuola di alta specializzazione appartenente allo stesso Ministero una persona condannata in primo grado ed imputata per molti e gravi reati connessi alla pubblica amministrazione. (4-01630)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          con provvedimento n.  494 del 2012 il Governo predisponeva lo schema di decreto legislativo recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero;
          detto provvedimento prevedeva, per quanto concerne il distretto della corte d'appello di Trieste, l'accorpamento della sede staccata di Palmanova al tribunale di Gorizia, sulla base di apposito studio redatto dallo stesso Ministero;
          a seguito di detto provvedimento i circondari dei tribunali di Gorizia, Trieste, Pordenone e Udine risultavano avere natura omogenea, sia dal punto di vista territoriale, che dal punto di vista della popolazione, come risulta dal prospetto sotto riportato:

POPOLAZIONE
ATTUALE PRERIFORMA PROPOSTA MINISTRO DECRETO 155/12
GORIZIA 139.983 255.459 139.983
TRIESTE 233.077 233.077 233.077
PORDENONE 312.424 408.332 408.332
UDINE 454.880 418.730 534.200
TOLMEZZO   79.326
TERRITORIO
ATTUALE PRERIFORMA PROPOSTA MINISTRO DECRETO 155/12
GORIZIA 466,02 kmq 1.242,1 466,02
TRIESTE 211,82 kmq 211,82 211,82
PORDENONE 2.253,00 kmq 2.888,00 2.888,00
UDINE 2.491,66 kmq 4.100,00 4.874,00
TOLMEZZO 2.383,41 kmq

          il Consiglio superiore della magistratura esprimeva parere favorevole alla revisione geografica per il distretto della

Corte d'appello di Trieste, citandolo anzi

come esempio virtuoso di applicazione della norma;
          sia la Commissione giustizia della Camera dei deputati, che quella del Senato, esprimevano invece parere favorevole all'accorpamento della sede staccata di Palmanova al tribunale di Udine, giustificando tale modifica con mere clausole di stile;
          a seguito di detti pareri, il Ministero modificava lo schema di decreto legislativo, accorpando al tribunale di Udine non solo la sede staccata di Palmanova, ma anche quella di Cividale e l'intero circondario del tribunale di Tolmezzo, quest'ultimo soppresso;
          si è dunque creata un'enorme disomogeneità sia sotto il profilo territoriale, che sotto l'aspetto del numero degli abitanti riferibili a ciascun tribunale, così come evidenziato nelle tabelle sopra riportate;
          in netto contrasto con il criterio della spending review, che ha ispirato detta normativa, ciò comporterà una spesa approssimativa di circa euro 2.000.000,00 per dotare il tribunale di Udine degli spazi idonei e necessari per accogliere sia il personale, che i magistrati ivi trasferiti dalle sedi soppresse, nel mentre, se la sede staccata di Palmanova fosse stata accorpata a Gorizia, e solo quelle di Cividale e Tolmezzo a Udine, non vi sarebbe stata alcuna ulteriore spesa, essendo l'edificio che ospita il tribunale di Gorizia già dotato di idonei spazi;
          a ciò si aggiunga che, sotto l'aspetto di vera e propria organizzazione del lavoro, nell'ipotesi di accorpamento della sezione di Palmanova al tribunale di Gorizia, la capitaneria di porto di Monfalcone, competente sul tratto di litorale marino che si estende da Monfalcone a Lignano Sabbiadoro avrebbe fatto riferimento al solo tribunale di Gorizia, nel mentre oggi la stessa capitaneria deve far riferimento in parte al tribunale di Gorizia ed in parte al tribunale di Udine;
          l'originaria ipotesi di ripartizione del territorio fra i vari circondari avrebbe altresì permesso di incrementare in maniera consistente il numero dei magistrati del tribunale di Gorizia, attualmente in pianta organica in numero di 11, nel mentre l'accorpamento di Palmanova a Gorizia, portando il nuovo circondario di Gorizia a popolazione analoga a quella del tribunale di Trieste, avrebbe comportato l'ampliamento dell'organico ad un numero di magistrati superiore a 20 unità, in modo tale da permettere agli stessi quella necessaria specializzazione che è obiettivo perseguito dalla riforma, con conseguente maggiore e più efficace funzionamento della giustizia;
          peraltro, l'attuale situazione dell'organico del tribunale di Gorizia già ora non permette un corretto funzionamento del sistema giustizia, atteso che, come attualmente si sta verificando, su 11 magistrati in organico 3 sono già stati trasferiti, 4 sono in congedo per maternità, con conseguente effettiva paralisi del tribunale stesso, poiché il lavoro di 11 magistrati viene ripartito tra i residui 4;
          detta situazione è vieppiù aggravata dalla entrata in vigore della nuova legge che prevede l'attribuzione ai tribunali ordinari delle competenze che erano una volta attribuite al tribunale dei minori;
          la stampa locale di questi giorni già riporta la notizia del concreto e serio pericolo di paralisi dell'attività giudiziaria del tribunale di Udine, poiché non si sono ancora trovati gli immobili da adibire a sedi degli uffici giudiziari, che dovranno essere dislocati in diverse sedi sparse sul territorio della città di Udine, piuttosto che in unico edificio, come invece si sarebbe verificato su Gorizia, con evidente disagio per l'utenza, e conseguente ulteriore aumento dei costi di gestione;
          la proposta ministeriale aveva l'ulteriore pregio di mantenere numero di utenti praticamente analogo al precedente quanto al tribunale di Udine, evitando in tal modo la necessità di reperire ulteriori immobili ove collocare l'aumentato personale amministrativo e l'aumentato numero di magistrati;
          il decreto legislativo n.  155 del 2012 entrerà definitivamente in vigore entro il 13 settembre 2013 e perciò stesso si rende necessaria una risposta entro brevissimo tempo  –:
          se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti sopra descritti e se lo stesso non ritenga di dover intervenire per ripristinare l'originario schema del decreto legislativo n.  155 del 2012 con l'accorpamento della sede staccata di Palmanova al tribunale di Gorizia.
(2-00185) «Pellegrino, Brandolin».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MARCO DI MAIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          gli interventi di edilizia penitenziaria sono allocati sul capitolo 7473 del bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e gestiti secondo due piani gestionali 01 e 02 entrambi sovvenzionati con finanziamenti stanziati attraverso specifiche delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (di seguito CIPE);
          le risorse del piano gestionale 01 (delibera CIPE 58/2009) riguardano gli interventi di diretta competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che sono gestiti tramite i provveditorati interregionali alle opere pubbliche mentre i fondi relativi al piano gestionale 02 finanziano gli interventi del «piano carceri» e prevedono una gestione commissariale ad hoc;
          la delibera 6 marzo 2009, n.  3 (Gazzetta Ufficiale n.  129/2009), il CIPE ha assegnato al fondo infrastrutture 5 miliardi di euro di cui 200 milioni di euro riservati al finanziamento di opere di edilizia carceraria in corso di completamento;
          in una delibera successiva (CIPE del 31 luglio 2009) si legge che all'interno del «Programma straordinario per il finanziamento di istituti penitenziari in corso di costruzione», sono stati stanziati 20.000.000,00 euro per il completamento dei lavori del nuovo istituto di Forlì, che vanno a sommarsi ai 39.253.235,27 euro già impegnati;
          la fine dei lavori del primo stralcio erano stati previsti per il 2012 e successivamente protratti al 2015, a seguito di ritardi determinati dal rinvenimento di reperti archeologici e dunque dal conseguente intervento della sovrintendenza ai beni culturali;
          i lavori nel secondo stralcio sono stati ritardati a causa della presenza di ordigni bellici che hanno anche provocato un contenzioso tra ditta concessionaria e appaltatrice, causando altresì spese straordinarie per la bonifica. I lavori sono successivamente ripartiti e dovrebbero concludersi agli inizi del 2016;
          nel complesso l'opera costa 60 milioni di euro e dagli ultimi contattati intercorsi tra amministrazione comunale e provveditorato alle opere pubbliche per l'Emilia Romagna si evince che l'intera realizzazione sarà completata nel 2016;
          l'attuale casa circondariale ha una struttura vecchia che mal si presta alle funzioni a cui è stata adibita, essendo altresì inadeguata a rispondere alle esigenze di un territorio ben più ampio di quello del solo Comune di Forlì;
          nonostante le precarie condizioni di lavoro, grazie ad una fitta rete di volontariato all'interno della casa circondariale di Forlì si svolgono numerose e qualificate attività di riabilitazione e reintegro sociale dei detenuti  –:
          se il Governo intenda fornire maggiori informazioni sullo stato attuale del progetto e sulle continue proroghe della data di fine lavori; quali iniziative si intendano attuare per addivenire alla più rapida conclusione possibile dei lavori di realizzazione della nuova casa circondariale. (5-00890)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DEL BASSO DE CARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          la legge 27 luglio 2005, n.  154 (cosiddetta legge Meduri), nell'istituire la carriera dirigenziale penitenziaria, ha previsto un procedimento negoziale per determinarne gli aspetti giuridici ed economici (articolo 1, comma 1, lett. d));
          il decreto legislativo 15 febbraio 2006, n.  63, contenente norme di attuazione della legge sopra citata, ha specificato i contenuti di tale procedimento collegandolo a fondamentali istituti giuridici relativi all'organizzazione amministrativa (articolo 15 «Trattamento economico» e articolo 20 e seguenti «Procedimento negoziale»);
          il decreto ministeriale 27 settembre 2007 ha conseguentemente individuato i posti funzioni dirigenziali (ex articolo 9 del decreto legislativo n.  63 del 2006) modulandoli e differenziandoli nelle responsabilità ma, paradossalmente, mantenendo, di fatto, una identica retribuzione base per tutti i dirigenti, vista l'assenza del procedimento negoziale a ciò deputato;
          a distanza di più di otto anni non è neppure iniziato il procedimento negoziale indicato dalla normativa;
          il limbo amministrativo in cui il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è costretto ad operare reca gravi disservizi a tutto il complesso penitenziario già sottoposto a dura prova per la nota situazione di emergenza relativa al sovraffollamento  –:
          se il Governo intenda procedere all'attivazione dell’iter per la stipula del primo accordo negoziale di categoria, unico strumento in grado di restituire certezza giuridica ai dipendenti posti a capo delle strutture penitenziarie e, per ovvia conseguenza, a tutto il sistema detentivo. (4-01613)


      QUARANTA, DANIELE FARINA e PILOZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 5 giugno 2013, nell'ambito di un'operazione antidroga, Bohli Kayes, un pusher tunisino di 36 anni, veniva arrestato da tre carabinieri per spaccio a Riva Ligure, nel parcheggio di un supermercato;
          questi, deceduto dopo l'arresto, avrebbe perso la vita per asfissia violenta dovuta a una pressione sulla cassa toracica, come da risultanze della perizia autoptica, condotta dal medico legale, dottoressa Simona Del Vecchio, e consegnata in tribunale a Sanremo;
          in particolare, si sarebbe trattato di «arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica»;
          nell'illustrare gli esiti dell'autopsia, il procuratore Roberto Cavallone ha confermato che i tre carabinieri che hanno partecipato all'operazione antidroga nel corso della quale è stato arrestato Kayes rimangono indagati per omicidio colposo;
          nei giorni scorsi i militari erano stati sentiti dallo stesso procuratore Cavallone e dal sostituto, Francesca Scarlatti; nel corso dell'interrogatorio, tuttavia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere;
          come riferito in data odierna dal procuratore Cavallone in un articolo dell’Huffington Post: «Una cosa è certa: qualcuno ha fatto un uso eccessivo della forza (...) C’è una grossa responsabilità da parte dello Stato. Al di là di quello che il soggetto ha commesso la vita è sacra, ed è una morte di cui lo Stato deve farsi carico e deve chiedere scusa alla famiglia»;
          ipotizzando che la morte cerebrale possa essere avvenuta già lungo il percorso dal luogo dell'arresto alla caserma, Cavallone ha lanciato un appello ad eventuali testimoni affinché contribuiscano alla ricostruzione delle fasi dell'arresto di Bohli Kayes, assolutamente indispensabile per accertare le eventuali responsabilità dei carabinieri. Ha quindi aggiunto – come riportato nell'articolo citato –: «Si tratterà di un brutto processo»;
          i contorni della vicenda potrebbero essere così ricostruiti: il 5 giugno scorso Kayes era stato visto tra gli scaffali di un supermercato di Riva Ligure, dove si ipotizzava che avvenisse spaccio di droga. I carabinieri hanno provato a bloccarlo, lui nel fuggire sarebbe caduto e, a quel punto, i militari gli si sarebbero lanciati addosso. A seguito della colluttazione, i carabinieri ne sono usciti contusi, e lo spacciatore (con addosso pochi grammi di eroina e cocaina) è stato bloccato. In questa fase potrebbe essere maturata la tragedia: una stretta troppo forte al torace che gli ha impedito di respirare;
          i carabinieri riferirono che l'uomo si era sentito male arrivando in caserma, e dunque è stato chiamato subito il 118; gli inquirenti, tuttavia, ora ritengono che Kayes possa essere stato in sofferenza già lungo il tragitto dal luogo di arresto alla caserma  –:
          come il Ministro giudichi la vicenda illustrata in premessa, che non può non richiamare alla mente recenti e drammatici episodi consumati in danno di persone tratte in arresto;
          se non ritenga necessario assumere iniziative ispettive al riguardo, per quanto di competenza;
          se non ritenga doverosa l'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, in caso affermativo, quali iniziative intenda intraprendere per agevolarne la definitiva approvazione. (4-01627)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


      LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Basilicata, nonostante sia attraversata verticalmente, da nord a sud, dall'autostrada A1 e dalla rete di strade nei fondovalle, è priva di assi trasversale est-ovest, che rendano agevole il collegamento, attraverso la Basilicata, della Puglia alla Campania e alla Calabria;
          sotto questo aspetto risulta di particolare rilevanza – quale asse di collegamento dell'autostrada Bologna-Taranto A14 casello di Gioia del Colle (con proiezione sul porto di Taranto e Bari) – la realizzazione della cosiddetta la «TRANSCOLLINARE» che metterebbe in connessione i centri di Gioia del Colle, Matera, Ferrandina, Pisticci, Tursi, Senise, Pollino, Lauria, Maratea;
          l'opera, collegando rapidamente la A1 (tirrenica) con la A14 (adriatica) faciliterebbe i collegamenti con:
              l'area industriale di Iesce, quella di Maratea-La Martella, quella Basentana (Ferrandina, Pisticci);
              l'area a forte vocazione agricola del metapontino;
              l'area produttiva di Tursi;
              l'area industriale di Senise;
              il polo turistico del Pollino e l'area turistica tirrenica lucana di Maratea, con proiezione sul porto di Gioia Tauro;
          i turisti avrebbero la possibilità di beneficiare, rapidamente, di scenari e luoghi incantevoli: Matera, il Pollino, il Sirino, Maratea per non citare tutti i suggestivi centri storici delle aree interne lucane; gli imprenditori avrebbero la possibilità di utilizzare aree industriali già attrezzate e libere;
          questi interventi denominati anche come asse Murgia-Pollino, che proseguono da Gioia del Colle, verso Matera e Lauria, sono stati inclusi nella programmazione del piano del Sud di cui alla delibera CIPE 3 agosto 2011, n.  62, concernente «Individuazione ed assegnazione di risorse ad intervalli di rilievo nazionale ed interregionale e di rilevanza strategica regionale per l'attuazione del piano nazionale per il Sud», così come modificato dall'allegato infrastrutture alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, trasmesso alle Camere il 1o ottobre 2012;
          l'asse viario sopra descritto utilizzerebbe per ampi tratti le strade esistenti; che dal sistema informativo relativo alla legge sulle opere strategiche (SILOS) risultano disponibilità per il complesso delle suddette opere pari a 109 milioni di euro, rispetto ad un fabbisogno di 1.315 milioni di euro; che peraltro l'intera infrastruttura, è stata ratificata nell'Intesa generale quadro tra il Governo e la regione Basilicata  –:
          quale sia l'effettivo stato di attuazione progettuale del complesso di opere sopra descritto, in modo da valutare l'opportunità di avviare con le risorse disponibili una prima tranche di opere, individuando al contempo modalità e tempi di reperimento delle nuove risorse. (5-00876)


      ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la legge obiettivo è servita in 10 anni prevalentemente a dare autorizzazioni ad opere, spesso prive di un inquadramento territoriale ed ambientale credibile, alimentando un costosissimo e mediocre progettificio ad uso e consumo delle grandi aziende del settore edile;
          se l'intento originario era quello di dare una svolta al ritardo infrastrutturale del Paese, puntando su pochi interventi strategici irrinunciabili e stabilendo costi e tempi certi, con la Legge Obiettivo si è fallito su tutti i fronti;
          sarebbe opportuno concentrare le risorse per accelerare gli interventi sulle infrastrutture esistenti (ponendo ad esempio fine allo scandalo dei cantieri della A3 Salerno-Reggio Calabria e sulla SS106 Ionica) e a realizzare, anche in funzione anticongiunturale, come chiede anche l'Associazione Nazionale Costruttori Edili-ANCE il programma delle piccole e medie opere per 825 milioni di euro, varato nel giugno 2009 e che oggi è al palo;
          il programma delle infrastrutture strategiche ha avuto un incremento dei costi del 280 per cento in 10 anni. Si è passati dai 125,8 miliardi di euro del 2001 ai 358 miliardi dell'aprile 2010 e sono triplicate le opere (passato dalle 110, del dicembre 2001 alle 348, dell'aprile 2010), a causa della bulimia delle clientele nazionali e locali che ha condizionato la capacità programmatoria dei Governi. Visto che i soldi pubblici spendibili (erogati e mutui attivati) dal 2001 al 2009 sono stati pari a 11,3 miliardi di euro, per attuare per intero il programma dovremmo aspettare, a questo ritmo e contando solo sulle risorse pubbliche, i prossimi 300 anni;
          il Programma (delibera CIPE 121/2001) non è mai stato sottoposto a valutazione ambientale strategica, mentre i progetti delle infrastrutture strategiche hanno avuto in questi nove anni sempre valutazione di impatto ambientale positiva. Questo modo di procedere ha avuto riflessi sulla scarsa qualità della programmazione degli interventi (come ha denunciato la Corte dei conti negli ultimi 6 anni) e dei progetti (il 53 per cento dei progetti delle infrastrutture strategiche, ha avuto bisogno di varianti al progetto originario, secondo una denuncia dell'ANCE del 2005);
          negli ultimi 10 anni si è passati dalle 110 opere individuate nel Primo programma delle infrastrutture Strategiche del dicembre 2001, per un valore complessivo di 125,8 miliardi di euro, alle 348 opere, per un valore complessivo di 358 miliardi di euro: con costi attualizzati del programma complessivo (pur in assenza di apertura di nuovi cantieri significativi) che sono lievitati in 10 anni del 280 per cento  –:
          se il Governo non intenda valutare l'opportunità di rivedere il quadro delle grandi opere, spostando le risorse dalle opere più costose e a maggiore impatto ambientale per investire prevalentemente sulle piccole opere, decisamente più utili al Paese. (5-00877)


      MANFREDI, BORGHI, TULLO, PAOLUCCI, MAURI, VELO, AMENDOLA, MARIASTELLA BIANCHI, BOSSA, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, CASSANO, COMINELLI, DALLAI, DECARO, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, PALMA, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, REALACCI, ROSTAN, GIOVANNA SANNA, TARTAGLIONE, VACCARO, VALERIA VALENTE, ZARDINI, PARIS, FAMIGLIETTI, CAPOZZOLO, DEL BASSO DE CARO, GANDOLFI, MORANI, VENITTELLI e GIULIANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 28 luglio 2013, alle ore 21.15, sull'autostrada A16 Napoli-Canosa, nel tratto compreso tra gli svincoli di Avellino Ovest e Baiano al chilometro 32, si è verificato un gravissimo incidente in cui un pullman, sopraggiungendo a forte velocità, per cause ancora da chiarire, ha tamponato una serie di autovetture urtando le barriere di protezione autostradale (barriere new jersey) che hanno ceduto sotto il peso del pullman facendolo precipitare dal viadotto Acqualonga; il bilancio del tragico incidente è di 39 morti e 18 feriti;
          la procura di Avellino ha aperto un fascicolo di inchiesta per chiarire le dinamiche e le cause dell'incidente, con particolare attenzione rivolta – secondo le prime dichiarazioni pubbliche del procuratore dottor Cantelmo – alla verifica delle condizioni di efficienza del pullman e all'osservanza delle norme di sicurezza stradale nel tratto in cui si è verificato l'incidente;
          in particolare, risulterebbe che la procura stia verificando la posizione della società Autostrade per l'Italia, gestore del tratto autostradale dove è avvenuto l'incidente, in relazione allo stato di sicurezza e alla tenuta delle barriere di tipo «New Jersey da bordo ponte con mancorrente classe B3», posizionate ai lati dell'Autostrada A16 all'altezza del viadotto Acqualonga e in parte cedute in seguito all'impatto col pullman, poi precipitato a valle da un'altezza di circa 30 metri;
          la società Autostrade per l'Italia, con nota ufficiale dello scorso 30 luglio, ha commentato le notizie sulla presunta inadeguatezza dei sistemi di ritenuta affermando che «le barriere laterali bordo ponte tipo “New Jersey” con mancorrente sono state concepite per ammortizzare al meglio gli urti delle autovetture, che costituiscono la stragrande maggioranza degli urti. Per tale motivo le barriere laterali non sono costruite con muro rigido (che sarebbe l'unico idoneo a resistere a tutti gli urti) ma con elementi collegati tra di loro, appoggiati alla pavimentazione e fissati ad essa con perni che devono permettere lo sganciamento di qualche elemento in caso di urti particolarmente forti. In caso di urti con mezzi pesanti queste barriere sono pertanto idonee a resistere solo entro certe angolazioni di impatto ed entro certi limiti di velocità, perché una maggiore rigidità sarebbe molto pericolosa per gli automobilisti in caso di urto violento», rimandando in tutti casi agli organi inquirenti l'accertamento di quanto accaduto;
          tra le cause dell'incidente si ipotizza la perdita di controllo del pullman per guasti tecnici anche se il veicolo risulta essere stato sottoposto a revisione annuale obbligatoria nel marzo del 2013; al riguardo il Codacons ha presentato un esposto alla Procura di Avellino per verificare come sia stata eseguita tale revisione e se il veicolo fosse effettivamente in grado di trasportare passeggeri in condizioni di sicurezza; infatti a fronte dell'obbligo di revisione annuale disposto dal codice della strada presso la Motorizzazione civile solo un esiguo numero di veicoli non supera l'esame;
          l'articolo 2 del decreto ministeriale n.  2367 del 2004, in materia di sicurezza stradale, attribuisce al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di svolgere attività di studio, di ricerca e di monitoraggio sui dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali, anche avvalendosi del supporto di soggetti esterni di comprovata esperienza nel settore  –:
          se il Ministro – anche alla luce delle cause dell'incidente in rapporto allo stato di manutenzione e di sicurezza del pullman – ritenga che le condizioni di sicurezza e di manutenzione delle barriere di protezione nel tratto autostradale della A16 in corrispondenza del gravissimo incidente fossero adeguate a garantire un livello di massima protezione quale è necessario per viadotti con traffico pesante come nel caso in commento. (5-00878)


      ZAN, MARCON, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 27 luglio 2013, come denunciato anche dall'assessore all'ambiente del comune di Venezia Gianfranco Bettin, la Carnival Sunshine delle Carnival Cruise Lines, una della grandi navi da crociera (oltre 102mila tonnellate di stazza, lunga 272 metri, larga 35 e alta 62) che quotidianamente partono o arrivano a Venezia, soprattutto in questa stagione, è passata a non più di 20 metri da Riva Sette Martiri, a pochi passi da Piazza S.Marco stringendo, tra l'altro, un vaporetto pubblico e altre imbarcazioni che transitavano tra nave e riva;
          secondo l'assessore Bettin e anche secondo alcuni testimoni, non si è trattato affatto di un errore di manovra, contrariamente a quanto dichiarato con una nota dalla Capitaneria di Porto secondo cui non vi sarebbe stato nessun problema in bacino San Marco per il passaggio della nave da crociera;
          nel 1987 Venezia è stata dichiarata sito patrimonio dell'umanità dell'Unesco;
          il passaggio nella laguna di Venezia delle grandi navi da crociera ha avuto un forte incremento. Nel corso del 1997, di grandi navi, ne sono passate 206, mentre nel 2011 hanno sostato 655. Tenuto conto che ogni nave giunge, approda e riparte dalla laguna dobbiamo considerare un transito raddoppiato;
          è ormai improcrastinabile giungere a un divieto dei passaggi delle grandi navi dalle rive dei canali di Venezia, di fronte a piazza San Marco e sul Canal Grande. Un patrimonio artistico-culturale unico e immenso, che rischia di essere compromesso dai pluripassaggi quotidiani delle navi da crociera;
          il 2 marzo 2012, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato il decreto ministeriale recante «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare territoriale»;
      il suddetto decreto ha disposto, tra l'altro, il divieto di transito nel Canale di San Marco e nel Canale della Giudecca delle navi adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 40.000 tonnellate di stazza lorda;
          una norma transitoria del medesimo decreto stabilisce comunque che il divieto entri in vigore solo quando sia stata individuata un'alternativa;
          il 25 luglio scorso si è tenuto a Roma presso il Ministero dei trasporti un tavolo tecnico con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i rappresentanti del comune di Venezia, dell'autorità portuale, dell'autorità marittima e della regione Veneto, per trovare una soluzione definitiva per allontanare le grandi navi dal canale della Giudecca. Diverse sono state le ipotesi di soluzione esaminate;
          diverse le ipotesi esaminate. Tra queste: lo scavo del canale Contorta-Sant'Angelo per far spazio a imbarcazioni con maggiore pescaggio; un terminal a Punta Sabbioni che possa ospitare fino a otto grandi navi; un concorso internazionale di idee per arrivare a quella più efficace; il passaggio delle navi sul Canale Malamocco e sul Vittorio Emanuele avviando così un primo utilizzo di Porto Marghera  –:
          quali siano gli orientamenti del ministro per individuare la soluzione infrastrutturale più idonea al fine di escludere definitivamente il transito delle grandi navi nel Canale di San Marco e nel canale della Giudecca. (5-00879)


      MATARRESE e FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nella delibera CIPE n.  121 del 21 dicembre 2001, relativa al primo programma delle opere strategiche da realizzarsi ai sensi della legge n.  443 del 2001 (legge obiettivo), sono compresi l'intervento «A12-Pontina-Appia» e l'intervento «Bretella Cisterna-Valmontone»;
          nella seduta del 18 novembre 2010, il CIPE ha approvato l'intervento, che prevede la realizzazione di 186,2 chilometri di nuove infrastrutture, dei quali 99,8 chilometri di autostrade (Roma-Latina A12-Tor de’ Cenci e Cisterna-Valmontone). L'importo complessivo dell'opera, che verrà realizzata in partenariato pubblico-privato (con contributo pubblico non superiore al 40 per cento), era stimato in 2,728 miliardi di euro;
          la predetta delibera ha autorizzato una gara unica di affidamento in concessione da espletare a seguito dell'approvazione da parte del CIPE del progetto definitivo del tratto A12-Tor de’ Cenci e della risoluzione del contenzioso inerente la precedente delibera n.  55 del 2008;
          nella seduta del 3 agosto 2012 il CIPE, nell'ambito del Programma delle infrastrutture strategiche (legge n.  443 del 2001) ha approvato, con prescrizioni, il progetto definitivo del tratto compreso fra la A12 Roma-Civitavecchia e Tor de’ Cenci nell'ambito del «Corridoio intermodale Roma-Latina e collegamento Cisterna-Valmontone»;
          il costo, al netto dei ribassi d'asta, è stato quantificato in 520,1 milioni di euro, cui si aggiungono 1.319 milioni di euro per la tratta Roma (Tor de’ Cenci)-Latina e 586,4 milioni di euro per la bretella Cisterna-Valmontone, i cui progetti definitivi sono già stati approvati dal CIPE, per un importo totale di 2.425,5 milioni con un contributo pubblico complessivo previsto del 40 per cento (970,2 milioni di euro), di cui 468,1 milioni di euro già disponibili;
          il Comitato ha contestualmente reiterato il vincolo preordinato all'esproprio sulla seconda tratta dell'opera oggi approvata (dal chilometro 5+400 a Tor de’ Cenci) e valutato favorevolmente lo schema di convenzione per l'affidamento in concessione delle attività di progettazione, realizzazione e gestione dell'intera autostrada;
          l'articolo 18 del decreto-legge n.  69 del 2013 prevede l'utilizzazione indistinta delle risorse, già assegnate con la delibera CIPE del 2010, per i lotti in cui è articolata l'opera «Corridoio tirrenico meridionale A12-Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone»  –:
          quale sia, a quasi un anno dall'approvazione definitiva dei progetti, e alla luce degli interventi varati dal Governo, lo stato di avanzamento dei medesimi e quali iniziative intendano adottare per velocizzare l'avvio dei cantieri. (5-00880)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in generale, il sistema tangenziale di Forlì è stato pianificato con l'accordo di programma tra ANAS e comune di Forlì (10 luglio 2003) e con un protocollo di intesa tra ANAS-regione Emilia Romagna-provincia di Forlì Cesena e comune di Forlì (17 luglio 2003);
          in particolare il progetto del Lotto 3 è già dotato di tutti i pareri necessari giacché fa parte del «sistema tangenziale di Forlì», ha il decreto di VIA (decreto del 10 maggio 2002), è stato approvato da tutti gli enti in conferenza dei servizi (conferenza del 18 luglio 2002), è stato validato ai sensi della legge n.  109 il 10 ottobre 2003 allo stato di «definitivo per appalto integrato» ed è stato approvato dal comune di Forlì con atto n.  602 del 2 dicembre 2003;
          il progetto del Lotto 3 è stato inserito nel piano regolatore generale del comune di Forlì dove sono indicati anche i vincoli preordinati all'esproprio e che sono stati già reiterati nel dicembre 2008. Tali vincoli non sono più reiterabili e decadono a dicembre 2013;
          nei rapporti intercorsi tra la presidenza ANAS e l'amministrazione del comune di Forlì si legge la disponibilità di quest'ultima di contribuire al finanziamento del Lotto 3 anche in termini di aggiornamento del progetto originale;
          l'importanza della realizzazione di questo tronco di raccordo della parte sud della città di Forlì con la tangenziale est è da considerarsi strategica per tre motivi:
              a) congiunge senza soluzione di continuità, la strada statale 67 e si connette con strada statale 9 Emilia, permettendo l'alleggerimento del sistema circolatorio urbano e una maggiore scorrevolezza del traffico extraurbano;
              b) collega il traffico di attraversamento proveniente dalla vallate del Montone e del Rabbi e le attività economiche ed industriali con la A14 e la E45-E55;
              c) garantisce un'alleggerimento del traffico in una zona in cui è presente l'importante polo provinciale ospedaliero del «Pierantoni»;
          il sistema tangenziale di Forlì è un esempio di efficacia ed efficienza nella realizzazione di grandi opere, perché attraverso la sinergia tra ANAS e istituzioni nel territorio, l'azienda è riuscita a risparmiare, rispetto agli interventi fin qui realizzati, quasi il 10 per cento dei finanziamenti stanziati in origine  –:
          quali siano le cause del mancato inserimento di questo progetto all'interno del nuovo piano triennale dell'ANAS per l'anno 2013 e quali iniziative abbia intenzione di attuare per far sì che ciò avvenga in tempi brevi, vista l'importanza del progetto e considerato il fatto che i vincoli di esproprio scadono nel dicembre 2013 e che l'opera è di importanza vitale per risolvere il problema della viabilità di Forlì e di parte del suo comprensorio. (5-00889)


      FERRO, CARELLA, GREGORI e TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la ferrovia Roma-Velletri è una linea ferroviaria locale del Lazio. Denominata FR4, è una delle tre ferrovie regionali operanti nel nodo di Roma che servono il vasto bacino dei Castelli Romani a sud della capitale: oltre al ramo per Velletri, vi sono quelli per Frascati e Albano. Ancora oggi, i convogli percorrono in comune il tratto tra Roma e Ciampino e da quest'ultima località si dirigono rispettivamente per Frascati, Albano Laziale e Velletri;
          la linea, in considerazione delle precarie e obsolete condizioni infrastrutturali che caratterizzano il tratto tra Ciampino e Velletri, è considerata una delle tratte più difficili e problematiche dell'intera regione Lazio: binario unico, presenza di ben tredici passaggi a livello e possibilità d'incrocio dei convogli in sole tre stazioni su otto;
          l'abolizione dei numerosi passaggi a livello permetterebbe ai treni di non dover rallentare e procedere in modo scorrevole, guadagnando almeno un 5 per cento del tempo stimato;
          l'abolizione di alcune stazioni intermedie, che servono un ridottissimo numero di pendolari e che distano poco meno di due chilometri da quelle più vicine, stando ai calcoli fatti dagli interessati, consentirebbe ai treni di risparmiare un altro 7 per cento del tempo stimato;      
          il tanto agognato raddoppio della linea ferroviaria Velletri-Ciampino favorirebbe un taglio di altri dieci minuti, eliminando i tempi morti passati in attesa del convoglio che arriva dalla direzione opposta;
          la realizzazione di una linea di «metropolitana leggera» potrebbe addirittura garantire un treno ogni 15/20 minuti;
          complessivamente, grazie a questi interventi di carattere strutturale, si passerebbe dagli attuali 60/70 minuti per raggiungere la Capitale a un massimo 35/40 minuti;
          i tantissimi pendolari che utilizzano quotidianamente il treno sulla linea ferroviaria che collega Velletri a Roma, sopportano da anni notevoli disagi causati dal sovraffollamento delle vetture, dalle carenti condizioni di pulizia dei vagoni, dai continui guasti ai treni, in particolare agli impianti di riscaldamento e condizionamento delle carrozze, dall'assenza pressoché totale dei servizi igienici;
          le precarie condizioni di viaggio diventano addirittura intollerabili nei mesi di apertura delle scuole quando migliaia di giovani studenti raggiungono Roma in orari già congestionati, trasformando i treni in carri bestiame, privi delle più elementari norme di sicurezza;
          sono scarsamente garantite la sicurezza e l'incolumità dei pendolari, soprattutto delle donne. Le corse serali che vanno dalle ore 20:00 in poi sono diventate assai pericolose, finendo troppo spesso nelle pagine di cronaca della stampa locale;
          più in generale, come evidenziato dai sindaci e dai rappresentanti delle istituzioni locali e sovracomunali, dai comitati dei pendolari e dalle associazioni che tutelano gli interessi dei cittadini, l'offerta di trasporto in direzione Roma appare da anni del tutto insufficiente;
          è opinione dell'interrogante, insieme agli amministratori locali e alle forze sociali e sindacali della zona, che indebolire ulteriormente il trasporto pubblico locale, in particolare quello su ferro, priverebbe il territorio di un servizio essenziale per i cittadini, soprattutto per le fasce più deboli e meno tutelate della popolazione, che sarebbero ulteriormente penalizzate a causa della forte mancanza di soluzioni alternative  –:
          se il Ministro, per quanto di sua competenza, anche attraverso l'attivazione di un tavolo di confronto con la regione Lazio, i comuni interessati e i comitati dei pendolari, non reputi opportuno mettere in atto specifiche iniziative tese a superare i disagi denunciati e che possano favorire un rapido e concreto miglioramento dell'offerta e delle condizioni di trasporto sulla linea ferroviaria Velletri-Roma.
(5-00892)


      COPPOLA, PARENTELA, D'INCÀ, D'UVA, MICILLO, NICOLA BIANCHI, CATALANO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, COZZOLINO, GALLINELLA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          i commi da 217 a 222 della legge di stabilità 2013 (legge n.  228 del 2012) prevedono l'istituzione del Sistema telematico centrale della nautica da diporto che include l'archivio telematico centrale, contenente le informazioni di carattere tecnico, giuridico, amministrativo e di conservatoria riguardanti le navi e le imbarcazioni da diporto, e lo Sportello telematico del diportista;
          il sistema avrebbe dovuto essere istituito entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità (e quindi entro il 1o luglio 2013), nell'ambito del dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
          le modalità per l'attuazione del sistema avrebbero dovuto essere stabilite con regolamento ministeriale, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2013 (e quindi entro il 2 marzo 2013);
          in particolare, nell'archivio telematico centrale dovranno confluire le informazioni relative alle navi e le imbarcazioni da diporto; al riguardo, il regolamento di attuazione dovrà disciplinare le modalità del trasferimento dei dati dai registri cartacei all'archivio telematico, che sarà curato dagli uffici marittimi e della motorizzazione civile, nonché quelle della conservazione della documentazione, dell'elaborazione e fornitura delle unità da deporto iscritte e per la pubblicità degli atti anche a fini antifrode;
          lo sportello telematico del diportista è invece volto a semplificare il regime amministrativo per l'iscrizione e l'abilitazione alla navigazione delle unità da diporto oggetto dell'intervento; al riguardo, il regolamento di attuazione dovrà disciplinare le modalità di iscrizione e cancellazione delle navi e imbarcazioni da diporto; il rilascio della licenza di navigazione; l'attribuzione delle sigle di identificazione; le procedure di trasmissione dei dati all'archivio telematico centrale;
          non risulta ancora emanato il regolamento di attuazione, nonostante sia ampiamente decorso il termine del 2 marzo 2013 previsto dalla legge di stabilità 2013;
          conseguentemente anche il termine del 1o luglio 2013 è decorso senza che il sistema telematico della nautica da diporto sia entrato in funzione  –:
          quale sia lo stato dell’iter di emanazione del regolamento ministeriale e quali iniziative il governo intenda assumere per la piena operatività del sistema telematico centrale della nautica da diporto.
(5-00894)

Interrogazione a risposta scritta:


      CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, CATALANO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, DE LORENZIS e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          come si evince da numerosi organi di stampa, il 25 luglio 2013, alle 8.50 circa, nei pressi della stazione di Latina Scalo si è verificato un principio di incendio in un vagone del treno regionale proveniente da Napoli e diretto a Roma Termini;
          dal tetto del vagone fuoriusciva una densa colonna di fumo a causa del surriscaldamento dell'impianto di condizionamento dell'aria. I vigili del fuoco dopo aver messo in salvo i passeggeri, testimoniavano una temperatura interna al vagone di circa 60 gradi;
          il vagone è stato separato dal treno e dislocato sul terzo binario per evitare pericoli e disagi ulteriori ed alle 10.30 circa, terminata l'ispezione, è stata agganciata al treno, ancora fermo, una nuova motrice per ripristinarne l'uso ed ottenere il ritorno ad un normale flusso del traffico ferroviario sulla direttrice Napoli-Roma;
          nove giorni dopo, sabato 3 agosto 2013, un altro incendio è divampato nel vagone di un treno proveniente da Minturno (medesima tratta Napoli-Roma) che sostava presso il binario 17 della stazione di Roma Termini. A bordo erano presenti alcuni passeggeri che, grazie all'intervento tempestivo di tre agenti della Polfer, rimasti lievemente intossicati, sono riusciti a scendere incolumi dal treno e a scampare alla minaccia delle fiamme;
          entrambi gli episodi hanno scatenato rilevanti disagi e rallentamenti dei treni e non sarebbe stata garantita una soluzione di viaggio sostitutiva, come previsto dall'articolo 12 del contratto di servizio stipulato tra regione Lazio e Trenitalia spa prescrive;
          il 4 febbraio 2013 l'Ansf, l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, ha affermato in una nota che, a seguito di diverse ispezioni, è stato rilevato un elevato numero di porte guaste;
          l'allegato n.  7 del contratto di servizio stipulato tra regione Lazio e Trenitalia spa, concernente il sistema delle penali, non contempla penali per il sovraffollamento relativamente ai posti in piedi sui treni e di fatto non viene adoperato nessun tipo di controllo a riguardo. Ciò, associato alle numerose porte guaste, comporta nelle ore di massima affluenza un elevato rischio per i viaggiatori, nel caso di situazioni di imminente pericolo, quali gli incendi dei vagoni che si stanno verificando in questo periodo;
          l'esperienza diretta maturata dall'interrogante, in qualità di utente/pendolare dei treni regionali, relativamente alla tratta Napoli-Roma, testimonia che il numero di vagoni messi a disposizione da Trenitalia, negli orari tipici del pendolarismo, risulta spesso inadeguato al flusso di viaggiatori. Si accerta, inoltre, che gli stessi treni sono spesso fatiscenti, con impianto di condizionamento spento o guasto e senza un ricircolo dell'aria adeguato. Sovente si rilevano poi, su questi treni, porte guaste e vagoni in condizioni igienico-sanitarie carenti, fino al riscontro della presenza di insetti blattoidei  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se come azionista di riferimento di Trenitalia intenda esprimersi sul comportamento di Trenitalia visti gli evidenti elementi di forte criticità descritti in premessa;
          se il parco vetture messo a disposizione da Trenitalia sia adeguato a garantire per numero di vagoni e modernità dei mezzi, una percorrenza in condizioni di dignità e sicurezza ferroviaria;
          se intenda avviare delle indagini per accertarsi, e nel contempo garantire ai cittadini, che i controlli di manutenzione dei treni in oggetto siano stati compiuti seguendo le operazioni conformi alle normative vigenti;
          se intenda, conformemente a quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera b) decreto legislativo n.  422 del 1997, richiedere alla regione Lazio le opportune informazioni sulle criticità espresse in premessa sotto il profilo della sicurezza ferroviaria e seguirne gli sviluppi. (4-01624)

INTERNO

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
          nel maggio del 2011, a margine di un'inchiesta per riciclaggio denominata «Salus Iniqua», svolta dalla questura, dai carabinieri e dalla guardia di finanza di Trapani, riguardante l'ex deputato regionale della Democrazia Cristiana Giuseppe Giammarinaro, sono stati ipotizzati una «regia occulta» e «un vero e proprio condizionamento mafioso di tutta l'attività amministrativa del comune di Salemi» da parte dello stesso Giammarinaro durante la sindacatura di Vittorio Sgarbi;
          l'indagine – secondo quanto denunciato dallo stesso Sgarbi a diverse autorità – «costituisce una inquietante e sistematica falsificazione della realtà amministrativa del comune di Salemi da parte di rappresentanti delle Forze dell'Ordine come il questore di Trapani Carmine Esposito e il maresciallo dei Carabinieri della Stazione di Salemi Giovanni Teri. I due, per finalità ancora non chiare, ma di evidente efficacia politica, hanno rappresentato un'immagine totalmente distorta e infedele delle realtà politica ed amministrativa di Salemi. Tutta la ricostruzione del questore e del maresciallo dei Carabinieri è in senso contrario, palesemente e gravemente diffamatoria nei confronti degli amministratori del comune, con il ridicolo alibi di agire a tutela del sindaco in carica, descrivendolo come un ingenuo circondato da famelici gruppi di interesse che “si contendono l'egemonia politica del Comune e la gestione di risorse e finanziamenti”. Conclusioni palesemente non vere dal momento che neppure la maggioranza eletta è stata messa nella condizione di potere esercitare alcuna egemonia. E non risulta in alcun modo che nessuna delle persone arbitrariamente indicate come “mafiose” abbia gestito o ottenuto risorse o finanziamenti»;
          sempre secondo l'esposto risulta al contrario delle ricostruzioni investigative, che il ruolo del suddetto Giammarinaro non fosse affatto «occulto», essendo lo stesso commissario comunale della Democrazia Cristiana (con nomina della segreteria provinciale di Trapani del 9 giugno 2007), e in quanto tale, animatore e sostenitore della candidatura a sindaco di Vittorio Sgarbi, come risulta su tutti gli organi d'informazione dell'epoca e dallo stesso Sgarbi raccontato nel libro, «Clausura a Milano. Da Suor Letizia a Salemi. E ritorno »;
          avendo vinto le elezioni, ed essendo il gruppo politico di Giammarinaro maggioranza in Consiglio comunale con l'elezione di 12 consiglieri, risulta illogico interpretare e presentare come «regia occulta» la normale attività politica e la dialettica trasparente tra sindaco, assessori e consiglieri comunali di maggioranza. In democrazia le decisioni si prendono anche e inevitabilmente consultando la maggioranza, la quale aveva nell'ex parlamentare Giuseppe Giammarinaro non un «regista occulto», ma un referente politico esplicito;
          nell'ambito dell'indagine «Salus Iniqua» si è messa in atto quella che all'interpellante appare un'abnorme attività investigativa con intercettazioni sull'utenza di Vittorio Sgarbi, del Vice Sindaco e dei collaboratori del sindaco per arrivare a conclusioni insensate e contraddittorie. Pur essendo Vittorio Sgarbi dotato di scorta, che lo ha seguito in ogni suo movimento si e arrivati al punto di disporre, per esempio, un servizio di videoripresa in prossimità dell'ingresso dell'albergo in cui pernottava a Mazara del Vallo, per registrare le persone da lui convocate a riunioni né segrete né clandestine, essendo consuetudine che Sgarbi svolgesse riunioni a Mazara come altrove, fuori orario, e di contenuto politico e amministrativo;
          a parere dell'interpellante nell'azione deviata dall'inchiesta su Giammarinaro, densa di pregiudizi, si è cercato di avvalorare una realtà inesistente di condizionamenti con il continuo riferimento allo status, ripetuto con malizia, di «ex sorvegliato speciale» di Giuseppe Giammarinaro, come per attribuirgli una pericolosità prevalente sul riconoscimento delle regole democratiche e dei diritti costituzionali di ognuno;
          sulla base delle ricostruzioni degli investigatori nel giugno del 2011 il prefetto di Trapani Marilisa Magno ha nominato una commissione di accesso agli atti, composta in particolare dal viceprefetto Giuseppe Ranieri (in servizio alla prefettura di Trapani), dal commissario capo Agatino Emanuele (in servizio alla questura di Trapani) dal tenente colonnello dei carabinieri Mario Polito (in servizio al comando provinciale di Trapani);
          il 16 gennaio del 2012, il prefetto di Trapani Marilisa Magno, facendo proprie le conclusioni della Commissione di accesso agli atti, chiede al Ministro dell'interno lo scioglimento del comune di Salemi per supposti «condizionamenti esterni»;
          nella seduta del consiglio comunale del 15 febbraio 2012 Vittorio Sgarbi, rassegna le dimissioni da sindaco con un duro atto di accusa contro prefetto di Trapani, Marilisa Magno, il maresciallo dei carabinieri della locale stazione, Giovanni Teri e gli investigatori della questura di Trapani, guidati dal capo della divisione anticrimine Giuseppe Linares, che «per dare forza alle loro indagini su Giammarinaro attraverso quelle che sono solo ipotesi, suggestioni, ricostruzioni infondate e veri e propri falsi, hanno prospettato un condizionamento di Giammarinaro sull'amministrazione, per consentire poi al Prefetto di chiedere la Commissione di accesso agli atti. Me ne vado con perfetta convinzione costretto da una palese ingiustizia. Dopo una sempre corretta amministrazione, non ho altra scelta, in forza di una regia occulta di funzionari della Prefettura della Questura e dell'Arma dei Carabinieri, contestualmente denunciati al Ministro dell'interno, che rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Regione. Alla Cancellieri ho chiesto che se l'influenza politica di Giammarinaro costituisse di per sé un “condizionamento”; l'accesso agli atti dev'essere fatto in tutti gli altri comuni (Mazara, Castelvetrano, Partanna, Alcamo, Poggioreale, Gibellina, Calatafimi, Marsala) dove Giammarinaro, a differenza di Salemi dove è stato presente esponendosi alla luce del sole (perfino in pubblici comizi) e con liste ufficiali approvate dalla stessa Prefettura, ha fatto politica, senza la presentazione di liste, avendo però suoi uomini nei consigli comunali e nelle giunte. Diversamente il Prefetto si rende responsabile del reato di omissione di atti d ufficio. Quello che ha fatto il Prefetto è un atto di sfregio contro la storia e la città. Io prima ancora che me stesso voglio difendere la città. Quello di carabinieri e polizia è stato un abuso. Io difendo le istituzioni, ma chi le rappresenta può sbagliare. La Prefettura ha perseguito aria di mafia non fatti di mafia, secondo stereotipi indegni di teleromanzi. Mi ribello però ad un atto ingiusto. Se hanno arrestato 6 carabinieri ad Altamura, perché non possono arrestarne uno a Salemi? Ho rispetto dell'Arma dei Carabinieri, ma il Maresciallo dei Carabinieri ha mentito, non solo a me ma anche a se stesso. L'impotenza di Giammarinaro era manifesta e lui lo sapeva»;
          successivamente alle dimissioni, Vittorio Sgarbi, avendo la convinzione del pregiudizio che muove sia l'azione del prefetto di Trapani che della commissione di accesso agli atti, chiede un incontro urgente al Ministro dell'interno dell'epoca, Anna Maria Cancellieri, accompagnato dal magistrato Guglielmo Serio, nel frattempo nominato dalla regione siciliana, commissario straordinario del comune di Salemi. Sgarbi chiede al Ministro di valutare con particolare attenzione la richiesta di scioglimento del comune, ravvisandogli le false ricostruzioni del prefetto di Trapani, e della commissione di accesso agli atti;
          il 23 marzo 2012 il Consiglio dei ministri scioglie il comune di Salemi;
          durante la sindacatura a Salemi, Vittorio Sgarbi ha condotto una dura campagna di sensibilizzazione pubblica contro lo sfregio al paesaggio causato dagli impianti eolici e fotovoltaici. La sua contrarietà alla realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici, lo ha reso inviso a numerosi soggetti, anche a Salemi, che hanno condotto contro di lui una campagna di delegittimazione sfociata, in alcune circostanze, anche in un tentativo di aggressione all'interno del palazzo comunale. Infatti, con l'agricoltura in crisi, gli imprenditori dell'eolico e del fotovoltaico hanno prospettato ai contadini facili guadagni, tanto che in molti hanno estirpato vigneti e uliveti per ospitare gli impianti. In questo, contesto Sgarbi è stato additato come «nemico dello sviluppo». Sono così arrivate lettere e telefonate anonime, oltre a una testa mozzata di un maiale recapitata davanti la sede del comune. In una dichiarazione alla stampa Sgarbi ha osservato come «le pale eoliche rappresentano letteralmente il più evidente punto di congiunzione fra potere politico, potere economico e potere criminale, ma oltre agli interessi mafiosi rappresentano una truffa oggettiva per l'assoluta inadeguatezza, insufficienza ed inefficienza, producendo energia in misura assolutamente inferiore a quella promessa». Per denunciare gli interessi della mafia nell'eolico e nel fotovoltaico, già nel gennaio del 2009 Sgarbi chiede un incontro al capo della procura di Marsala Alberto Di Pisa, anni addietro sospettato – e poi scagionato – di essere il «Corvo» del palazzo di giustizia di Palermo, ovvero l'autore di lettere anonime contro Giovanni Falcone. Durante quell'incontro vengono verbalizzate le dichiarazioni di Sgarbi ma non si è mai saputo se la procura le abbia riscontrate o meno;
          con decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 2012 viene nominata la commissione straordinaria con il compito di gestire l'attività amministrativa del comune di Salemi sino a nuove elezioni, composta dal vice prefetto Nicola Diomede (nel frattempo trasferito a Roma come capo della segreteria tecnica del Ministro Alfano, e sostituito con il vice prefetto Maria Pia Dommarco), dal funzionario Vincenzo Lo Fermo e dal prefetto Leopoldo Falco. Il 4 aprile del 2013 la direzione investigativa antimafia di Trapani sequestra un patrimonio di 1 miliardo e 300 milioni di euro a Vito Nicastri, imprenditore di Alcamo, sospettato di essere il prestanome di Matteo Messina Denaro. Il Nicastri, secondo le indagini, ha avuto rapporti anche con imprenditori di Salemi attivi nel business dell'eolico, e tra questi Salvatore Angelo e Melchiorre Saladino;
          negli anni della sindacatura di Salemi, aspre sono state le polemiche sui cosiddetti «professionisti dell'antimafia». Sgarbi ha rifiutato i luoghi comuni secondo cui c’è una mafia che pervade e controlla tutto, ed ha osteggiato quanti, pur di perpetuare ruoli istituzionali, carriere nelle strutture investigative, trarne anche vantaggi economici monopolizzando per esempio, la gestione dei beni confiscati, vedono la mafia anche là dove non c’è. Sgarbi ha sostenuto che il modo migliore per combattere la mafia è la cultura. E che solo attraverso la cultura, ha dichiarato, «uno come Matteo Messina Denaro sarà costretto a vivere nelle fogne». Un lavoro prezioso, coraggioso, controcorrente, quello di Sgarbi a Salemi testimoniato dalle considerazioni che Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino, ha espresso nei confronti del critico d'arte durante una sua visita a Salemi nel 2009: «Come siciliana sono felicissima della scelta di Sgarbi che dal Nord ha scelto di fare il sindaco in una cittadina siciliana. Credo che non l'abbia fatto per curare la sua immagine, perché non ne ha bisogno; vedo nel lavoro di Sgarbi un'azione missionaria. Sono convinta che grazie anche a lui, comincerà una nuova stagione. È stata scelta una persona che viene da lontano per far sì che, non con le chiacchiere ma l'azione, e soprattutto il linguaggi eterno dell'arte, si possano trasmettere valori positivi. Auguriamoci ci siano tanti Vittorio Sgarbi che possano portare qualcosa di nuovo in altre realtà della Sicilia»;
          durante la sindacatura di Vittorio Sgarbi la città di Salemi è assurta agli onori delle cronache nazionali e internazionali per le numerose iniziative culturali che hanno contrassegnato l'attività amministrativa: il progetto delle «Case a 1 euro», il polo museale (museo della mafia, museo del paesaggio, museo del risorgimento), le collaborazioni con festival di Spoleto e la Biennale di Venezia, il festival del Cinema religioso, l'acquisto della celebre collezione «Kim's Video» di New York, la visita a Salemi di Dolma Gyari, il vice presidente del Parlamento del Tibet in esilio, i festival di cinema e di letteratura, l'esposizione al pubblico, per la prima volta in Sicilia, di capolavori di Rubens, Picasso, Guercino, Caravaggio, Lotto, Modigliani;
          il 10 maggio del 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nell'ambito delle celebrazioni per la ricorrenza del 150o dell'Unità d'Italia, si è recato in visita ufficiale in città. Salemi è stata infatti la Prima Capitale d'Italia. Il 14 maggio del 1860 Giuseppe Garibaldi dalla sede del palazzo municipale, emanò un decreto in cui dichiarava di assumere i poteri della dittatura in nome del re Vittorio Emanuele II. Salemi fu dunque il primo paese ad inalberare il tricolore. Questi episodi della storia, fino a pochi anni fa conosciuti solo dagli addetti ai lavori, grazie al clamore mediatico suscitato da Vittorio Sgarbi, hanno richiamato nella cittadina siciliana migliaia di turisti;
          la città di Salemi durante la sindacatura di Vittorio Sgarbi è stata indicata, ad evidenza, come modello di riscatto culturale di una realtà che prima era conosciuta come «la città dei Salvo», proprio come oggi accade a Castelvetrano nota come «la città di Matteo Messina Denaro» e non quella del filosofo Giovanni Gentile;
          il «modello Salemi» ha rappresentato per molti giovani provenienti da tutte le regioni d'Italia una grande opportunità di crescita culturale e professionale, avendo avuto la possibilità di partecipare ai «Laboratori della creatività», ideati dall'amministrazione, diventati ben presto fucina di progetti non solo per Salemi ma per altre città italiane;
          vasta eco ha avuto all'estero il «caso Salemi», tanto da suscitare l'interesse di giornali e televisioni che hanno indicato nella cittadina siciliana l'esempio di un nuovo modo di amministrare le città, nel segno dell'arte e della creatività;
          l'enorme visibilità mediatica si è presto tradotta per gli operatori turistici in un notevole aumento dei visitatori;      
          Vittorio Sgarbi il 21 febbraio del 2012 ha rassegnato le dimissioni, dichiarando, tra le altre cose: «...Se l'influenza politica di Giammarinaro costituisce di per sé un “condizionamento”, l'accesso agli atti dev'essere fatto in tutti gli altri comuni (Mazara, Castelvetrano, Partanna, Alcamo, Poggioreale, Gibellina, Calatafimi, Marsala) dove Giammarinaro, a differenza di Salemi dove è stato presente esponendosi alla luce del sole (perfino in pubblici comizi) e con liste ufficiali approvate dalla stessa Prefettura, ha fatto politica, senza la presentazione di liste, avendo però suoi uomini nei consigli comunali e nelle giunte. Diversamente il Prefetto si rende responsabile del reato di omissione di atti d'ufficio, rispetto al quale, comunque, io l'ho già denunciata. Me ne vado con perfetta convinzione costretto da una palese ingiustizia. Dopo una sempre corretta amministrazione, non ho altra scelta, in forza di una regia occulta di funzionari della Prefettura, della Questura e dell'Arma dei Carabinieri, contestualmente denunciati al Ministro dell'interno, che rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Regione. È assurdo oggi che si debba patire l'onta di una richiesta di scioglimento. Non c’è speranza, e dunque non c’è via d'uscita se non quella delle dimissioni, non solo per me ma soprattutto per i 12 consiglieri di maggioranza indicati da, da autorità deviate, come strumento di condizionamento di Giammarinaro. Porterà con me l'amarezza di uno Stato che condanna Salemi e la schiaccia al pregiudizio e all'onta di una mafia che qui non esiste, e la cui presenza, ovunque, va dimostrata. Forze dell'Ordine deviate hanno denunciato una cosa che non c’è. E lo sanno tutti, da destra e sinistra»  –:
          se si intenda verificare l'operato della commissione di accesso agli atti del comune di Salemi, il metodo di verifica adottato sugli atti della giunta Sgarbi, se si sia proceduto con imparzialità e nel rispetto del contraddittorio, e sottoporre dunque a un riscontro oggettivo le conclusioni della stessa commissione che hanno indotto il Consiglio dei ministri a votare lo scioglimento del comune di Salemi;
          se siano state avviate indagini a seguito delle denunce di Vittorio Sgarbi sulle infiltrazioni della mafia nel settore dell'eolico e del fotovoltaico;
          se risulti se dalle dimissioni di Sgarbi da sindaco di Salemi, e cioè se dal 15 febbraio ad oggi siano stati autorizzati nel territorio comunale nuovi impianti eolici e fotovoltaici, e se risulti chi siano i proprietari e i beneficiari.
(2-00186) «Ottobre».

Interrogazioni a risposta scritta:


      META, GASBARRA, ARGENTIN, BONACCORSI, CAMPANA, CARELLA, COSCIA, CUPERLO, FERRO, GAROFANI, GENTILONI SILVERI, GREGORI, MADIA, MARRONI, MICCOLI, MORASSUT, ORFINI, STUMPO e TIDEI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella giornata di sabato 3 agosto 2013 è stata organizzata dal comune di Roma capitale un'importante manifestazione per inaugurare la chiusura al traffico di via dei Fori Imperiali, nel tratto compreso tra largo Corrado Ricci e via Labicana, con la conseguente pedonalizzazione della strada;
          l'evento organizzato dal comune di Roma ha richiamato l'attenzione di tutti gli organi di informazione italiani e internazionali, numerose autorità, tra i quali rappresentanti diplomatici di Paesi stranieri, considerata la rilevanza dell'iniziativa;
          all'evento era annunciata la presenza della Presidente della Camera dei deputati, onorevole Laura Boldrini, la quale ha poi partecipato al taglio del nastro simbolico per celebrare la «Notte dei Fori», evento organizzato dal comune di Roma con numerosi spettacoli e iniziative gratuite, compresa l'apertura straordinaria di tutta l'area archeologica a ridosso del Colosseo e di piazza Venezia;
          il giorno precedente era stata annunciata una manifestazione, per la sera di sabato 3 agosto 2013, dei comitati di protesta contro l'ipotesi di localizzazione della nuova discarica di rifiuti trattati della capitale presso l'area, già utilizzata come discarica di rifiuti speciali, della Falcognana sulla via Ardeatina, alle porte di Roma;
          ai manifestanti era stata concessa per la loro manifestazione l'area di piazza della Bocca della Verità, a poche centinaia di metri da piazza Venezia, e al sit-in dei cittadini era presente anche l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno;
          i manifestanti dei comitati anti-discarica ad un certo punto della serata hanno cominciato a spostarsi verso l'area di via dei Fori Imperiali, dove si stavano per tenere le celebrazioni per la pedonalizzazione dell'area e dove la terza carica dello Stato, la Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, stava per partecipare al taglio del nastro insieme ad altre autorità ed al sindaco Ignazio Marino;
          ai manifestanti è stato concesso l'ingresso, non autorizzato dalla questura di Roma, nell'area dei Fori, mettendo in essere azioni di disturbo, ponendo a rischio la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini accorsi a via dei Fori Imperiali per l'evento, nonché l'incolumità delle autorità, a partire dalla Presidente della Camera dei deputati, del sindaco della città di Roma e delle delegazioni diplomatiche;
          nel corso della protesta è stata colpita alla testa dai manifestanti il vicecomandante della polizia municipale di Roma capitale  –:
          se non ritenga di dover verificare presso la questura di Roma le modalità con cui è stata gestita la sicurezza della giornata del 3 agosto 2013 in riferimento all'arrivo dei manifestanti dei comitati anti-discarica, senza autorizzazione, nei pressi di via dei Fori Imperiali, al fine di accertare quali ordini siano stati impartiti per fronteggiare una contestazione violenta che, ha messo a rischio l'incolumità delle autorità e dei cittadini accorsi all'evento. (4-01622)


      CHIARELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi giorni, nel volgere di poche ore, si sono ripetuti nella provincia di Taranto, e segnatamente nelle località di San Giorgio Jonico, Lizzano e Manduria, una sequenza di gravi atti intimidatori;
          nello specifico:
              a) a San Giorgio Jonico sono stati dati alle fiamme 500 cassonetti per la spazzatura contenuti in un deposito;
              b) a Lizzano sono stati esplosi colpi di fucile a pallettoni diretti alle abitazioni di alcuni esponenti politici;
              c) a Manduria sono stati gravemente danneggiati tre automezzi da lavoro di proprietà dell'ex sindaco;
          gli atti intimidatori hanno interessato quattro esponenti politici di altrettanti movimenti e partiti: PdL, PD, Movimento 5 stelle, Moderati in Rivoluzione, di cui alcuni attualmente impegnati nel ruolo di consigliere comunale, nonché un ex vice sindaco impiegato nella locale polizia municipale. (Pippo Donzello, coordinatore provinciale di Taranto del movimento «Moderati in rivoluzione», l'ex candidato sindaco e attuale consigliere cittadino del M5S Valerio Morelli, Antonio Lecce, candidato sindaco di una coalizione di centrosinistra (PD e SEL), Antonio Motolese, candidato sindaco della coalizione di centrodestra);
          gli attentati hanno provocato, come è comprensibile, grave allarme sociale;
          il prefetto di Taranto, dottor Claudio Sammartino, ha opportunamente convocato una riunione straordinaria del comitato provinciale per la sicurezza;
          l'intera provincia ionica, come è noto, è interessata da una grave crisi economica resa più marcata dalla vertenza Ilva, che può essere individuata come concausa di un incremento dell'attività malavitosa, con particolare riferimento a quella di tipo estorsivo  –:
          se sia stato informato di tali eventi delittuosi;
          se disponga di elementi che possano attestare il legame tra gli atti intimidatori e l'attività politico-istituzionale delle persone attinte da tali atti;
          se ritenga di potenziare, anche temporaneamente, l'organico delle forze di polizia impiegate nell'area in cui si manifesta la criticità segnalata;
          se, in una ottica di prospettiva, ritenga necessario verificare l'adeguatezza delle risorse umane e di mezzi, dislocati nell'area ionica, attesa l'attuale carenza.
(4-01625)


      DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel corso di una videointervista alla testata on line Fanpage Luigi Bonaventura, pentito della cosca Vrenna-Bonaventura, ha dichiarato che la ’ndrangheta voleva uccidere Giulio Cavalli non appena gli fosse stata tolta la scorta;
          Luigi Bonaventura ha collaborato all'operazione Heracles coordinata dal dottor Pierpaolo Bruni della DDA di Catanzaro;
          nel corso dell'intervista Bonaventura parla del servizio di scorta che tutela Cavalli dal 2008 e della possibilità di una sua revoca per una mancanza di comunicazione tra Lodi e Roma. Una «dimenticanza»;
          il pentito racconta come una jeep – o un camion – avrebbero dovuto investire Cavalli non appena il servizio di tutela gli fosse stato revocato e di aver «sentito parlare di un Prefetto», verosimilmente, quello di Lodi, che effettivamente nel gennaio del 2011 ha comunicato all'attore, all'epoca consigliere regionale della Lombardia, l'intenzione di revocare la scorta, come si evince da articoli giornalistici e da un'interpellanza parlamentare urgente presentata dall'onorevole Di Pietro in data 24 gennaio 2011 (n.  2-00936)  –:
          di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati su quanto riferito in premessa, essendo estremamente grave quanto emerso dalla videointervista di Bonaventura;
          quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, abbiano intrapreso o intendano intraprendere al riguardo. (4-01626)


      LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 26 maggio 1994, è apparsa sull'agenzia Adnkronos la notizia relativa ad una dichiarazione del Ministro dell'interno pro tempore, Roberto Maroni in cui lo stesso affermava che aveva dovuto far uso «... dei fondi riservati del Ministero di sua spettanza: per acquistare computer per l'ufficio legislativo ...», proseguendo che si sarebbe impegnato «... ad aprire gli armadi e tirar fuori gli scheletri dal Viminale ...»;
          nel 1993 scoppiò lo scandalo SISDE (oggi AISI), relativo alla gestione di fondi riservati. Partita dalla bancarotta fraudolenta di un'agenzia di viaggi i cui titolari erano funzionari del servizio segreto del Viminale, un'inchiesta della magistratura fece emergere fondi neri per circa 14 miliardi di lire depositati a favore di altri 5 funzionari. Ci furono l'intervento del Consiglio superiore della magistratura per dissidi fra il magistrato che indagava e il suo procuratore capo, quello della commissione parlamentare d'inchiesta sui servizi segreti, presieduta da Ugo Pecchioli, e quello del Ministro dell'interno Nicola Mancino, e tutti si misero a indagare sull'operato del servizio, mentre a San Marino venivano individuati altri 35 miliardi di uguale sospetta provenienza;
          la storia del Viminale è costellata – come si evince da un'approfondita lettura del saggio (ben documentato) «Il cuore occulto del potere» di Giacomo Pacini – dell'uso di «fondi riservati»;
          i recenti fatti di cronaca di quest'anno hanno ulteriormente confermato un «cattivo» uso dei soldi pubblici (in carico al Viminale), come si evince dal caso del recentissimo arresto del prefetto Francesco La Motta (oltreché da quelli relativi all'arresto dell'ex prefetto Oscar Fioriolli nonché dalle vicende riguardanti il prefetto Izzo e il prefetto Iurato e altro);
          il recente articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano online – nel quale viene sottolineato che «... la Corte dei Conti, nelle sue relazioni al Parlamento, chiede di far luce da anni ...» sul «... mare magno degli appalti da centinaia di milioni di euro ...» del Ministero dell'interno – segnala un'anomalia dilagante per cui le amministrazioni centrali dello Stato (nel caso specifico il Ministero dell'interno) «secretano» anche quelle gare che non avrebbero i requisiti (la legge che lo consente ammette la classificazione solo per casi specifici, la tutela degli interessi essenziali dello Stato e speciali misure di sicurezza), non consentendo (neppure a posteriori) di poter accertare la regolarità delle procedure e la congruità effettiva delle spese sostenute, creando – di fatto – «...una sorta di camera oscura dello Stato in cui si spendono...» centinaia di milioni di euro di soldi pubblici  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda avviare per rendere finalmente trasparente la gestione contabile del Ministero dell'interno, chiarendo – anche alla luce delle dichiarazioni in premessa del Ministro pro tempore Roberto Maroni – se, sotto la gestione attuale del Ministero dell'interno, esistono ancora «fondi riservati» al Viminale in generale e, in particolare, al dipartimento della pubblica sicurezza, indicando se questi vengano ancora oggi utilizzati per attività «estranee» a previsioni di legge (pagamento informatori) ovvero se – come nel richiamato caso dichiarato del Ministro pro tempore Maroni – vengono «distratti» per acquisti vari o per spese che nulla hanno a che vedere con la «sicurezza nazionale»;
          se il Ministro intenda fornire comunque informazioni minime relative all'ammontare annuo di tali fondi e se gli stessi – anche se con un sistema «riservato» – vengano comunque rendicontati punto per punto (e non genericamente/complessivamente) al Ministero dell'economia e delle finanze, al COPASIR e alla Commissione parlamentare antimafia (dato che si tratta di soldi pubblici finalizzati alla sicurezza nazionale nel suo complesso), nonché attraverso quali criteri oggettivi e pubblici di selezione del personale (oltre quelli «fiduciari») vengano scelti i funzionari e/o dirigenti chiamati a gestire un capitolo economico così delicato e complesso, indicando anche quale sia il range temporale di turn over di tali funzionari e/o dirigenti;
          se il Ministro interrogato intenda anche far conoscere se sia invalso nel «costume» del Ministero dell'interno (e nelle sue articolazioni centrali e periferiche) il pagamento (con l'uso di fondi riservati) di «fuori busta» per i funzionari e/o dirigenti appartenenti a quella struttura e se tali «fuori busta» vengano dichiarati al «fisco». (4-01631)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la presente interrogazione non intende addentrarsi nel sistema di reclutamento nella scuola statale, ma riguarda esclusivamente il valore abilitante dei titoli conclusivi di scuola ed istituto magistrale conseguiti entro l'anno scolastico 2001-02 nel contesto della scuola paritaria;
          l'articolo 194, comma 1, e l'articolo 197, comma 1, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, sanciscono, rispettivamente, che: «Al termine del corso di studi della scuola magistrale si sostengono gli esami per il conseguimento del titolo di abilitazione all'insegnamento nelle scuole materne», e che «A conclusione degli studi (...) nell'istituto magistrale si sostiene un esame di maturità, che è esame di Stato e si svolge in unica sessione annuale. Il titolo conseguito nell'esame di maturità a conclusione dei corsi di studio (...) dell'istituto magistrale abilita (...) all'insegnamento nella scuola elementare»;
          l'articolo 15, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n.  323 sancisce che: «I titoli conseguiti nell'esame di Stato a conclusione dei corsi di studio dell'istituto magistrale iniziati entro l'anno scolastico 1997/98 conservano in via permanente l'attuale valore legale e abilitante all'insegnamento nella scuola elementare»;
          l'articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale n.  83 del 10 ottobre 2008, stabilisce che: «Ai sensi dell'articolo 1, comma 4-bis, della legge n.  62 del 2000, come modificato dall'articolo 1, comma 8, del decreto-legge n.  147 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  176 del 2007, al personale docente in servizio presso le scuole dell'infanzia paritarie è riconosciuto il valore abilitante all'insegnamento dei titoli di studio di cui all'articolo 334 del decreto legislativo n.  297 del 1994»;
          la circolare ministeriale n.  31 del 2003 – definita dal Ministero come «interpretazione autentica» della legge n.  62 del 2000 con nota prot. n.  3070/A7a del 23 luglio 2004 – al punto 4.1 chiarisce che: «Il personale docente delle scuole paritarie deve essere in possesso della abilitazione prescritta per l'insegnamento impartito, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 4-bis della legge 10 marzo 2000, n.  62, e successive modificazioni. Resta salvo altresì il valore abilitante del diploma conseguito entro l'a.s. 2001-2002 a conclusione dei corsi ordinari e sperimentali delle scuole magistrali per l'insegnamento nella scuola dell'infanzia e degli istituti magistrali per l'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare»;
          mai prima d'ora, era stato messo in discussione il valore di abilitazione all'insegnamento dei diplomi magistrale, in quanto né i concorsi per titoli ed esami per la scuola elementare, né i corsi ex decreto ministeriale n.  85 del 2005 hanno mai avuto funzione di abilitazione all'insegnamento, costituendo, i primi, semplice procedura concorsuale per l'arruolamento nelle scuole statali senza finalità abilitanti, i secondi corsi finalizzati esclusivamente all'acquisizione della cosiddetta «idoneità» all'inserimento nelle graduatorie permanenti/ad esaurimento;
          in nessun caso, fino ad oggi, tali concorsi/corsi hanno rappresentato un requisito per l'insegnamento nella scuola paritaria, tant’è che gli stessi non sono nemmeno oggetto di valutazione nelle graduatorie interne di tali scuole, in quanto l'abilitazione è conferita dal diploma stesso;
          la Corte costituzionale, con la sentenza numero 466 del 1997, obiter dictum, ha sostenuto che il diploma magistrale «è in sé abilitante», a prescindere dai concorsi a cattedra;
          il decreto ministeriale n.  249 del 2010 in particolare all'articolo 15, comma 16, istituiva, in prima stesura, «percorsi formativi finalizzati esclusivamente al conseguimento dell’“abilitazione” per la scuola dell'infanzia e per la scuola primaria» riservati ai possessori di diploma magistrale, mettendo in discussione il valore abilitante del titolo sancito dalle Norme primarie e mettendo a rischio l'utilizzo dei titoli nelle scuole paritarie e l'esistenza delle scuole stesse;
          con nota del 29 aprile 2011, protocollo n.  1065, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, proprio in relazione a tale articolo, affermava «Si intende precisare che il dettato del 249/2010 non muta la previgente normativa e fa salvo il valore del titolo conseguito in ordine all'accesso alla terza fascia delle graduatorie di istituto e alla possibilità di ottenere contratti a tempo indeterminato nelle scuole paritarie. Il titolo finale conseguito attraverso il percorso consente invece di poter accedere alla seconda fascia delle graduatorie di istituto»;
          la VII Commissione permanente cultura della Camera dei deputati, nel corso della seduta del 6 febbraio 2013 ha espresso parere favorevole alle modifiche introdotte al decreto ministeriale 249 del 10 settembre 2010, finalizzato all'istituzione dei corsi speciali, a condizione che «sia chiaramente riconosciuto nel provvedimento governativo il pieno valore abilitante dei diplomi di istituto magistrale conseguiti entro l'anno scolastico 2001-02»;
          nel recepire tale indicazione, il decreto 25 marzo 2013, n.  81 ha modificato l'articolo 15, comma 16, del decreto ministeriale n.  249 del 2010 sostituendo le finalità «abilitanti» dei corsi con «percorsi formativi finalizzati esclusivamente all'acquisizione di titolo valido all'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie di istituto destinati ai diplomati che hanno titolo all'insegnamento nella scuola materna e nella scuola elementare ai sensi del decreto del Ministro della pubblica istruzione 10 marzo 1997 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  175 del 29 luglio 1997» e chiarendo con l'articolo 15, comma 16-ter, che «Resta fermo il valore dei titoli conseguiti entro i termini di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro della pubblica istruzione 10 marzo 1997 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  175 del 29 luglio 1997 quali titoli di validi ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera g), della legge 10 marzo 2000, n.  62»;
          l'articolo 1, comma 4, lettera g), della legge 10 marzo 2000, n.  62, stabilisce che il personale in servizio nella scuola paritaria sia «dotato di abilitazione» e pertanto appare evidente il riconoscimento esplicito del valore abilitante dei titoli in oggetto e quindi la possibilità per i possessori di esercitare in forma stabile la professione di insegnante nelle scuole paritarie;
          tuttavia, il decreto del direttore generale per il personale scolastico del 25 luglio 2013, discostandosi dalle norme introdotte dal decreto ministeriale n.  249 del 2010 così come modificato dal decreto 25 marzo 2013, n.  81, attiva corsi «finalizzati al conseguimento dell'abilitazione» riservati ai diplomati magistrale, rimettendo, ancora una volta, in discussione il valore abilitante del titolo e le determinazioni a cui è giunta la VII Commissione Cultura nella seduta del 6 febbraio 2013;
          nella risposta fornita alle interrogazioni presentate dalle onorevoli Coscia e Marzana in data 2 agosto 2013, il Ministro pro tempore richiama nuovamente la funzione «abilitante» dei corsi previsti dal decreto del direttore generale per il personale scolastico del 25 luglio 2013 e riconosce ai diplomati magistrale la sola possibilità di svolgere servizio quali supplenti, senza precisare che i titoli in oggetto permettono di stipulare contratti a tempo indeterminato nelle scuole paritarie e che, quindi, tali corsi non costituiscono requisito per l'insegnamento nella scuola paritaria;
          sono state segnalate ingerenze da parte di alcuni uffici regionali e territoriali nelle procedure di assunzione di docenti nelle scuole paritarie aventi come finalità la persuasione a non confermare i contratti ai docenti in possesso di diploma magistrale ventilando la possibile perdita della parità scolastica;
          gli insegnanti di scuola primaria in possesso di diploma di maturità magistrale rappresentano l'80 per cento del personale docente  –:
          se il Ministro non intenda esplicitare con apposita nota chiarificatrice il valore abilitante dei titoli conclusivi di scuola ed istituto magistrale conseguiti entro l'anno scolastico 2001-02 quali titoli validi alla stipula di contratti a tempo indeterminato nella scuola paritaria, nonché censurare eventuali comportamenti difformi da parte del personale in servizio negli uffici regionali e territoriali, a garanzia dei diritti acquisiti dagli insegnanti e della stabilità delle scuole paritarie. (5-00873)


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la riforma del sistema di reclutamento dei professori universitari di I e II fascia, adottate in questi ultimi anni (decreto-legge 10 novembre 2008, n.  180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n.  1, in particolare gli articoli 1 e 3-ter, e legge 30 dicembre 2010, n.  240, in particolare gli articoli 16 e 18) prevede che le università italiane costituiscano un «sistema aperto» a tutti coloro che naturalmente devono avere i titoli idonei per conseguire l'abilitazione scientifica; in questo senso la «riforma Gelmini» prevede anche il reclutamento per «chiara fama»;
          la riforma non discrimina affatto tra candidati in organico tra il personale docente dell'università e candidati non in organico, né stabilisce che tra i requisiti richiesti ai candidati, vi sia quello di essere già ricercatori o professori associati; piuttosto individua un titolo di merito nelle pubblicazioni e nell'attività scientifica svolta;
          in questi giorni sono in corso i lavori da parte delle commissioni giudicatrici nell'ambito delle procedure per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia;
          da notizie pervertite agli interroganti, sembra che, nell'ambito di tali lavori nelle diverse commissioni si stia ponendo il generale problema di escludere più o meno a priori dall'idoneità i candidati non facenti già parte dell'organico universitario;
          se le diverse commissioni effettivamente si orientassero nel senso di concedere l'idoneità solo nell'ambito dei ricercatori e dei professori associati, avrebbero – di fatto – vanificato lo spirito dell'idoneità così come disegnata dalla «riforma Gelmini», introducendo surrettiziamente un elemento scriminante a giudizio dell'interrogante illegittimo (perché come si è detto dello stesso non si trova riscontro nella legge) e gravemente lesivo della parità di trattamento dei candidati;
          questo criterio scriminante non risulta essere stato esplicitamente inserito da alcuna commissione tra i criteri generali formalizzati nelle fasi preliminari dei lavori delle commissioni stesse, anche se il tema risulta essere stato informalmente ma ampiamente dibattuto  –:
          se risulti al Ministro interrogato l'orientamento restrittivo esposto in premessa nell'ambito delle diverse commissioni giudicatrici per le procedure per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia;
          se non ritenga opportuno assumere iniziative per quanto di competenza, volte a chiarire che l'appartenenza a qualunque titolo dei candidati all'organico universitario non costituisce in alcun caso titolo di merito per l'accesso ai ruoli. (5-00875)


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con decreto ministeriale del 2 luglio 2013, n.  579, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha stabilito i prezzi di copertina dei libri di testo della scuola primaria, prevedendo un aumento dell'1,5 per cento;
          tale aumento sarà interamente a carico dei comuni, che sostengono ormai quasi totalmente il costo dei libri di testo della scuola primaria, per tutti gli alunni, sia quelli frequentanti la scuola statale sia quelli frequentanti la scuola privata;
          risulta un costo complessivo ad alunno per i cinque anni di 150 euro mentre i fondi stanziati dallo Stato per tale finalità sono quelli individuati nel 1986, da allora invariati e assolutamente inefficienti a coprire tale spese  –:
          quali interventi il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di adeguare, rispetto a quelli individuati nel lontano 1986, i fondi stanziati ai comuni per pagare i libri di testo degli alunni di scuola primaria, il cui costo si aggira intorno agli 80 milioni di euro e che gravano, in gran parte, sui bilanci delle amministrazioni comunali. (5-00893)

Interrogazione a risposta scritta:


      RIGONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la vigente normativa prevede il rilascio del diploma di abilitazione all'insegnamento, per ciascuna classe di concorso della scuola secondaria di cui al decreto ministeriale n.  39 del 1998 e SIM, alla conclusione del tirocinio formativo attivo (TFA ordinario), disciplinato dal decreto ministeriale n.  249 del 2010;
          il tirocinio formativo attivo ordinario è un percorso a numero programmato, secondo quanto disposto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n.  249 del 2010; nell'anno accademico 2011-12, anno di attivazione del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario, i posti disponibili sono stati determinati sulla base del fabbisogno regionale di personale docente delle scuole statali ai sensi dell'articolo 39 della legge n.  449 del 1997;
          la programmazione di cui al punto precedente si riferisce alla previsione di posti vacanti e disponibili in organico di diritto a livello regionale, cioè del contingente dei posti su cui vengono effettuate le operazioni di mobilità definitiva e le immissioni in ruolo;
          l'accesso al primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario è avvenuto previo superamento di una prova a risposta chiusa, una prova scritta e una prova orale, ciascuna di esse con esito non inferiore all'equivalente di 7/10, e previa valutazione dei titoli, entro il contingente dei posti disponibili, perfettamente coerente e congruente con quanto disposto dall’ articolo 400, comma 1, del decreto legislativo n.  297 del 1994 in merito ai concorsi per titoli ed esami per l'accesso ai ruoli del personale docente; le prove, con carattere selettivo, del tirocinio formativo attivo ordinario sono finalizzate ad accertare la conoscenza dei contenuti disciplinari per ciascuna classe di concorso;
          il percorso di tirocinio formativo attivo ordinario ha poi richiesto sia la frequenza obbligatoria alle attività previste che il superamento delle relative prove, e infine il superamento di un esame finale di abilitazione (articoli 10 e 15 del decreto ministeriale n.  249 del 2010); tutto ciò, per assicurare un'adeguata qualificazione di coloro che intendono esercitare la professione docente (articolo 1 del decreto ministeriale n.  249 del 2010);
          il 31 luglio del corrente anno si è conclusa la sessione estiva degli esami di abilitazione del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario (anno accademico 2011-12), e vi sono quindi i primi abilitati con tirocinio formativo attivo ordinario;
          con l'emanazione in data 27 giugno 2013 del decreto ministeriale n.  572, il Ministero ha disposto l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento di cui alla legge n.  244 del 2007, non prevedendo in alcun modo la possibilità per gli abilitati del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario di essere inclusi nelle stesse;
          con lo stesso decreto, il Ministero ha disposto però la possibilità dello scioglimento della riserva e dell'inclusione a pieno titolo per i cosiddetti «congelati ssis», cioè per coloro che si erano iscritti alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario conseguendo successivamente l'abilitazione con tirocinio formativo attivo ordinario;
          consegue a quanto sopra esposto che con il decreto ministeriale n.  572 del 2013 si sia posta in essere una disparità di trattamento fra soggetti in possesso del medesimo titolo, conseguito con identiche modalità, con grave lesione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; consegue inoltre che gli abilitati del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario, sebbene in numero contingentato al fabbisogno di personale docente da assumersi a tempo indeterminato, siano allo stato attuale privi di valore di prova concorsuale del loro titolo e di un canale per l'immissione in ruolo, con grave lesione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione;
          inoltre, gli abilitati del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario sono allo stato attuale privi anche di un canale per l'accesso agli incarichi fino al termine delle attività didattiche e alle supplenze brevi, poiché nessuna modalità per la comunicazione dell'avvenuto conseguimento del titolo di abilitazione all'insegnamento è stata ad oggi prevista e predisposta dal Ministero; tutto ciò, a fronte della possibilità di conferire gli stessi incarichi e supplenze a personale non abilitato in possesso del solo titolo, con grave lesione dell'articolo 97 della Costituzione;
          i percorsi previsti ai sensi della previgente normativa per il conseguimento del titolo di abilitazione – le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS) – prevedevano, ai sensi della legge n.  143 del 2004, articolo 1, comma 3, per i soggetti in possesso del relativo titolo il diritto all'inserimento nelle graduatorie di cui alla legge n.  124 del 1999, articolo 1, comma 6, in modo automatico;
          il tirocinio formativo attivo ordinario, percorso sostitutivo di quello delle SSIS, risulta quindi incomprensibilmente svalutato, nonostante il numero degli abilitati sia stato strettamente determinato dal fabbisogno di personale docente a tempo indeterminato, e deprivato delle possibilità occupazionali proprie di un titolo di abilitazione professionale;
          l'intento del legislatore all'atto di dichiarare «ad esaurimento» le graduatorie di cui alla legge n.  124 del 1999 era quello di «assicurare regolarità alle assunzioni di personale docente sulla base del numero dei posti vacanti e disponibili effettivamente rilevati e di eliminare le cause che determinano la formazione di precariato» (articolo 2, comma 416, della legge n.  244 del 2007);
          la situazione descritta sopra, al contrario, impedisce le regolari assunzioni di personale docente e determina il moltiplicarsi del precariato, anche privo del titolo di abilitazione all'insegnamento, in contrasto con l'intento del legislatore;
          tutto ciò considerato, più volte in questi anni il legislatore, per garantire il regolare accesso ai ruoli ed agli incarichi a tempo determinato, degli abilitati privi di un canale per l'accesso agli stessi, ha previsto la riapertura straordinaria delle stesse con possibilità di inserimenti ex novo di soggetti abilitati  –:
          se non intenda il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca operare affinché sia conferito valore di prova concorsuale all'esame in ingresso del primo ciclo (anno accademico 2011-12) del tirocinio formativo attivo ordinario ai sensi dell'articolo 400, comma 1, del decreto legislativo n.  297 del 1994 e della legge n.  124 del 1999, articolo 1, comma 6, perfezionato dal diploma di abilitazione rilasciato a seguito del superamento dell'esame finale, e se non intenda quindi disporre sollecitamente l'inclusione degli abilitati del primo ciclo del tirocinio formativo attivo ordinario nelle graduatorie di cui alla legge n.  124 del 1999, articolo 1, comma 6, e alla legge n.  143 del 2004, articolo 1;
          quali urgenti provvedimenti il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda assumere per garantire, a decorrere dall'anno scolastico 2013-14, l'accesso agli incarichi ed alle supplenze a tempo determinato del personale abilitato, con priorità assoluta rispetto al personale non abilitato in possesso del solo titolo di accesso. (4-01618)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la paradossale vicenda di Soriano Ceccanti è stata raccontata da alcuni articoli su quotidiani nazionali così come da alcune agenzie di stampa;
          Soriano Ceccanti è affetto da paraplegia agli arti inferiori, perché fu colpito da un proiettile negli scontri davanti alla Bussola di Focette nel 1969. Risulta pertanto all'INPS persona affetta da invalidità ex lege n.  104 del 1992;
          nel luglio 2011 l'Istituto nazionale della previdenza sociale richiede al Ceccanti documentazione relativa al suo stato di invalidità, nonostante la patologia di cui è affetto Ceccanti non preveda visite di controllo secondo il decreto ministeriale 2 agosto 2007;
          successivamente a Soriano Ceccanti viene sospeso il trattamento di invalidità per il fatto che, secondo l'INPS, egli trascorreva troppo tempo all'estero, dove vivono i parenti della moglie. La pensione si eroga sulla base del requisito di dimora abituale nello Stato italiano: presupposto, che all'interrogante non pare sia mai stato messo in discussione dalla condotta di Ceccanti, che risiede a Pisa;
          il 14 maggio 2013 Soriano Ceccanti, dopo essere riuscito a sottoporsi a visita medico-legale a marzo del 2013, riceve comunicazione dall'INPS di esito positivo e di convalida dell'invalidità;
          da marzo 2013 Guelfi non riceve trattamento di invalidità in seguito alla non conclusa procedura di verifica da parte dell'Istituto di previdenza sociale  –:
          quali iniziative intenda mettere in campo il Ministro interrogato al fine di verificare, anche per tramite degli uffici territorialmente competenti, per quale motivo patologie irreversibili vengano considerate passibili di visita di controllo di invalidità da parte dell'INPS e se non ritenga corretto il ripristino immediato del trattamento pensionistico di invalidità al Ceccanti. (4-01615)


      ZAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data 3 agosto 2013 un operaio egiziano di 43 anni, Mohamed Awad Hassan Abd El Fattah, residente a Treviglio (Bergamo), coniugato e padre di quattro figli, operaio della ditta «Ma.pi s.r.l.» di Bottanuco (Bergamo), è morto a causa di un incidente sul lavoro avvenuto nelle «Acciaierie Venete» di Padova, ubicate in via Riviera Francia;
          Mohamed Awad Hassan Abd El Fattah è caduto da una passerella posta a un'altezza di circa 8 metri costruita per la manutenzione di un forno;
          le cause all'origine dell'incidente sul lavoro sono ancora da accertare. I primi rilievi sono stati eseguiti da parte del «Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro» di Padova, in collaborazione con l'Arma dei carabinieri, al fine di valutare se le prescrizioni di legge in materia di salute e di sicurezza nel luogo di lavoro siano state rispettate e, conseguentemente, applicate  –:
          se il Ministro interrogato intenda acquisire tutte le informazioni utili per accertare le cause dell'incidente e, per quanto di competenza, garantire che siano individuate le eventuali responsabilità per il mancato rispetto delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (4-01619)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FABBRI, CENNI e LENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27 (il cosiddetto decreto «cresci Italia»), ha introdotto, all'articolo 66, una nuova disciplina per la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola;
          in particolare, al comma 1 si prevede che «Entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto di natura non regolamentare da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, anche sulla base dei dati forniti dall'Agenzia del demanio nonché su segnalazione dei soggetti interessati, individua i terreni agricoli e a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n.  85 nonché di proprietà degli enti pubblici nazionali, da locare o alienare»; ad oggi, tuttavia, non è stato ancora emanato il decreto di attuazione dell'articolo 66;
          in base al decreto suddetto nelle procedure di alienazione e locazione dei terreni, al fine di favorire lo sviluppo dell'imprenditorialità agricola giovanile, è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli nella misura di almeno il 50 per cento delle terre alienate. La durata del vincolo di destinazione d'uso agricolo è fissata in 20 anni, invece dei 5 previsti in precedenza;
          il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali De Girolamo, ha recentemente incontrato i vertici dell'Associazione bancaria italiana (Abi) e il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, per mettere a punto un programma di «valorizzazione e vendita» dell'immenso patrimonio agricolo demaniale;
          Cassa depositi e prestiti avrebbe la funzione di assegnare un prezzo ai terreni demaniali, di acquisirli consentendo allo Stato di fare cassa e di metterli successivamente sul mercato;
          a parere degli interroganti questa operazione, definita dalla Ministra «un'occasione per sbloccare la situazione e mettere nuovi terreni a disposizione soprattutto dei giovani, perché senza terra da lavorare non è possibile pensare ad un vero rilancio del comparto» si configura invece come un ulteriore processo di colossale espropriazione di patrimonio, pubblico attraverso l'utilizzo delle risorse del risparmio postale affidato dai cittadini alla Cassa depositi e prestiti;
          lo strumento dell'alienazione dei terreni agricoli non è a parere degli interroganti, di certo il più adatto a risollevare e valorizzare il settore agricolo nazionale, al contrario, l'accesso alla terra in quanto bene comune dovrebbe essere garantito a tutti secondo modalità e strumenti che di certo esulano dalla vendita;
          la perdurante crisi economica, che ha colpito drammaticamente anche il comparto agricolo, non permette a quei giovani interessati a creare impresa in agricoltura di poter acquistare eventuali terreni demaniali sottoposti ad alienazione;
          privare la collettività del bene terra, di inestimabile valore pubblico e sociale, non corrisponde ad avviso degli interroganti a «servizio di interesse economico generale», qualifica cui dovrebbe attenersi ogni investimento di Cassa depositi e prestiti (articolo 10, decreto ministeriale economia 6 ottobre 1994) mentre sarebbe più utile pensare ad un piano per un'agricoltura di qualità e per una nuova occupazione giovanile attraverso il mantenimento della proprietà collettiva del demanio agricolo, l'affidamento dei terreni ai giovani con affitti calmierati e l'intervento di Cassa depositi e prestiti per il sostegno dell'avvio di attività (start up di impresa) e dei primi investimenti in mezzi, tecnologie, impianti e sementi per consentire alle diverse nuove aziende un funzionamento a regime  –:
          se non intenda garantire in tempi certi e rapidi l'emanazione del decreto di cui all'articolo 66, comma 1, del decreto-legge n.  1 del 2012, e se non reputi doveroso dare maggiori rassicurazioni al contempo in merito alle modalità di dismissione dei terreni demaniali, favorendo la locazione o la concessione invece della vendita, come dalle dichiarazioni del Ministro. (5-00874)


      LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          da diversi anni nel mese di agosto si applica il fermo biologico della pesca a strascico;
          dal 2012 il fermo è stato prolungato dai 30 giorni iniziali, a 45 giorni con una disciplina post fermo molto penalizzante per alcune marinerie;
          il fermo 2013 divide in due la fascia costiera adriatica: alto Adriatico e basso Adriatico individuando due diverse date di inizio fermo;
          il periodo estivo risente della mancanza di pesce fresco soprattutto per la ristorazione nei luoghi a più forte impatto turistico;
          il settore ittico è attraversato da una forte crisi economica particolarmente accentuata dall'aumento del prezzo del carburante;
          da anni le marinerie e la comunità scientifica auspicano un fermo biologico fatto in maniera diversa, scegliendo un periodo diverso dall'attuale;
          il fermo pesca 2012 è stato pagato in tutta Italia tranne che per alcune marinerie delle Marche in particolare quella di San Benedetto del Tronto;
          il pagamento del fermo 2013 dovrà essere liquidato a tutte le marinerie nello stesso periodo evitando la discrezionalità come avvenuto in passato  –:
          se il Ministro intenda aprire una discussione tra le marinerie e la comunità scientifica per modificare il fermo biologico 2014, anche in considerazione dell'entrata in vigore della nuova politica comune della pesca;
          se si intendano assumere iniziative per diminuire le difficoltà derivanti dalla situazione post fermo nella zona del basso Adriatico;
          perché non sia stato ancora pagato il fermo pesca del 2012 di alcune marinerie delle Marche;
          se per il 2013 saranno eliminate tutte le lungaggini relative alla liquidazione dell'indennità del fermo biologico, assicurando che questo venga fatto con criteri e modalità oggettivi e non discrezionali come avvenuto fino ad ora. (5-00881)


      GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA e CIPRINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          come evidenziato dall'indagine svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla contraffazione e la pirateria in campo commerciale, istituita nella scorsa legislatura, i prodotti agroalimentari maggiormente importati nel nostro Paese risultano: grano duro: 1,8 milioni di tonnellate per un valore di 387 milioni di euro, principalmente da Canada, Stati Uniti e Messico; pomodori freschi e refrigerati: 10 mila tonnellate per un valore di 12 milioni di euro principalmente da Israele e Marocco; pomodori preparati e conservati: 153 mila tonnellate per un valore di circa 90 milioni di euro, principalmente da Cina, Stati Uniti e Egitto; uva fresca e secca: 32 mila tonnellate per un valore di 41 milioni di euro, principalmente da Turchia, Cile ed Egitto; vini di uve fresche: 62 mila tonnellate per lo più dagli Stati Uniti; carni: 62 mila tonnellate per un valore di 328 milioni di euro, tra cui bovini (41 mila tonnellate, per 261 milioni di euro per lo più dal Brasile, Argentina e Uruguay); ovini o caprini: 5,7 mila tonnellate per 29 milioni di euro per lo più da Nuova Zelanda e Macedonia; volatili: 3 mila tonnellate per 9 milioni di euro per lo più dal Brasile, Israele e Cile; suini: 2,9 tonnellate per 10 milioni di euro; olio vergine e extravergine: circa 43 mila tonnellate per 94 milioni di euro per lo più proveniente dalla Tunisia (93,1 per cento del totale); latte e derivati del latte: 16.200 tonnellate per 83 milioni di euro; formaggi, crema di latte e latticini dalla Svizzera, siero di latte (Israele e Nuova Zelanda ), burro (Marocco), yogurt e coagulati da Stati Uniti e Croazia;
          i dati ISTAT riferiti al 2012 mostrano un export agroalimentare di circa 32 miliardi di euro e un import di quasi 40 miliardi di euro e, ancorché il primo in aumento e il secondo in lieve contrazione rispetto all'anno precedente, evidenziano un deficit di oltre 7 miliardi di euro nella bilancia commerciale agroalimentare del nostro Paese;
          il patrimonio agroalimentare italiano è tra i più prestigiosi al mondo con standard di qualità molto elevati e nonostante la rilevante produzione interna, l'Italia risulta deficitaria nel commercio estero di prodotti agroalimentari con particolare riferimento al settore primario il cui saldo negativo mostra un +11 per cento rispetto agli anni precedenti;
          il settore primario è l'unico che in questa fase di crisi economica fa registrare un aumento della occupazione, a dimostrazione delle enormi potenzialità del settore, anche in considerazione della crescente richiesta di ricambio generazionale attraverso la promozione del subentro di giovani agricoltori nella conduzione ed innovazione di aziende agricole;
          la produzione nazionale non è quindi in grado di soddisfare la domanda interna di prodotti agroalimentari ed il flusso di esportazione, rendendo necessario il ricorso all'acquisto di beni sui mercati esteri;
          le recenti innovazioni normative in materia di fiscalità agricola, ed in particolare il venir meno dell'opzione relativa alla tassazione basata sui redditi fondiari come disposto dalla legge di stabilità 2013, non favoriscono l'aggregazione di imprese, condizione indispensabile per aumentare la produttività aziendale ed incidono seppur indirettamente, sull'aumento dei costi di produzione non remunerati dai prezzi di vendita  –:
          quali siano gli orientamenti del Governo in merito all'opportunità di rilanciare il comparto primario favorendo l'incremento delle produzioni nazionali al fine di diminuire la dipendenza dai mercati esteri ed aumentare l'occupazione nazionale;
          se non ritenga urgente pertanto l'attivazione immediata di iniziative volte a facilitare l'accesso al credito per le aziende agricole e la revisione della fiscalità agricola indispensabile a sostenere l'agricoltura nazionale, la cui redditività è schiacciata dal continuo aumento dei costi di produzione e da una tassazione che non tiene conto delle peculiarità del comparto primario. (5-00887)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZANIN, ZARDINI, ZAPPULLA, VENTRICELLI e VENITTELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio nazionale la percentuale di immigrati è in costante crescita;
          la crisi economica ha colpito in modo pesante il tessuto produttivo del nostro Paese, con un notevole incremento del tasso di disoccupazione;
          per gli immigrati la perdita del posto di lavoro, stante le leggi in vigore, rischia di coincidere con la privazione del permesso di soggiorno e dunque con lo scadere in una situazione di irregolarità;
          molti di loro vivono in Italia da svariati anni e numerosi sono stati anche i ricongiungimenti familiari, per cui vengono coinvolti in questa deriva economica e sociale anche moltissimi minori, com’è facile intuire anche dalle statistiche sulle presenze degli alunni stranieri inseriti nelle scuole italiane;
          tale situazione finisce col far perdere diritti che gli immigrati lavoratori hanno acquisito, anche attraverso lo sviluppo del prodotto interno lordo nazionale e soprattutto attraverso l'adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali;
          questa situazione determina anche una oggettiva difficoltà nell'accesso all'assistenza sanitaria;
          alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia, si sono dotate di ambulatori per gestire le emergenze anche nei confronti di immigrati irregolari, il cui funzionamento è assicurato dal concorso di personale medico volontario, potenziato dalla presenza di mediatori linguistici e da personale con specifiche competenze in «medicina delle migrazioni»; la stessa amministrazione regionale del Friuli Venezia Giulia ha a tal fine recentemente assicurato la prossima riapertura dell'ambulatorio di Pordenone, chiuso dalla precedente amministrazione regionale con inevitabile sperequazione territoriale;
          com’è risultato evidente proprio con l'esperienza pordenonese degli anni passati nei territori in cui questo servizio manca, inevitabilmente i servizi del pronto soccorso locale si trovano a farsi «sovraccarico» della questione;
          non godendo essi di sicura assistenza, nel territorio nazionale ci si troverebbe pertanto nella situazione in cui gli immigrati stranieri irregolari:
              a) sono a rischio di ammalarsi gravemente anche a causa di interventi di cura tardivi e/o inadeguati;
              b) con le pratiche di automedicazione, corrono un grave rischio ivi compresi i casi di aborto clandestino fra le giovani donne, nonostante l'attuale normativa preveda, fra le prestazioni minime essenziali garantite per gli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, la tutela della gravidanza e della maternità, compresa l'interruzione di gravidanza e la tutela della salute del minore;
              c) gravati del timore che la cura determini in pratica l'autodenuncia, possono circolare con rischio di contagio da malattie infettive per chiunque venga a contatto con loro, con particolare gravità nel caso in cui le patologie possano diffondersi anche tra i minori per tramite dei bambini inseriti a scuola;
          tale condizione risulta in effetti una grave mancanza in termini umanitari, violando nello spirito e nella lettera il diritto alla salute sancito dalla costituzione e dall'OMS;
          la mancata prevenzione e cura finisce per costituire un rischio oggettivo per la salute di tutti i residenti;
          il recente accordo Stato-regioni del 20 dicembre 2012 detta precise indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera, demandando alle singole regioni il compito di individuare «le modalità più opportune per garantire le cure essenziali e continuative che possono essere erogate nell'ambito delle strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutture in forma poliambulatoriale od ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi esperienza specifica  –:
          se esista un monitoraggio del fenomeno della cura degli irregolari dal quale desumere indicazioni di ordine generale per l'intero paese;
          quali strumenti il Governo intenda impiegare per intervenire, in caso di mancanza di servizi, nel merito dell'assistenza sanitaria per immigrati irregolari;
          se non si ritenga che questa situazione di fatto segnali una condizione che di per sé orienti fortemente alla necessità di iniziative per un ripensamento complessivo della legge «Bossi-Fini». (4-01616)


      MICILLO, LUIGI GALLO, LUIGI DI MAIO, TOFALO, COLONNESE, PINNA, L'ABBATE, BECHIS, CANCELLERI, BUSINAROLO, BARBANTI, PISANO, NESCI, D'UVA, DA VILLA, CARIELLO, COLLETTI, FRUSONE, ZOLEZZI, RUOCCO, SILVIA GIORDANO, BARONI, LOMBARDI, DE ROSA, DAGA, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO, BUSTO, FERRARESI, CASO, PESCO, ALBERTI, CORDA, RIZZO, GRILLO, DADONE, DIENI, VIGNAROLI, DEL GROSSO, DI BENEDETTO, COMINARDI, SEGONI, PETRAROLI, CIPRINI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, MUCCI, BATTELLI, RIZZETTO, TRIPIEDI, AGOSTINELLI, BASILIO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la «Terra dei Fuochi», è quell'area compresa tra il litorale domitio-flegreo, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, dove ogni giorno, anche più volte al giorno, tonnellate di rifiuti industriali, urbani e speciali, sono abbandonati ai margini delle strade, in prossimità di autostrade o ponti, scuole, ospedali, centri commerciali e nelle campagne aperte o vicino ad immediati nuclei abitativi per poi essere dati alle fiamme, sprigionando in tal senso aria irrespirabile;
          i piromani riescono sempre a dileguarsi lasciando un danno enorme al territorio in termini di salute ed immagine;
          la combustione di materiali eterogenei e pericolosi sprigiona una quantità enorme di fumi tossici che, oltre ad avvelenare l'aria di tutta la zona e dei territori limitrofi, ricade al suolo compromette irrimediabilmente le colture e gli allevamenti presenti, immettendo attraverso la catena alimentare, un'enorme quantità d'inquinanti tossici, incontrollati e incontrollabili, fortemente nocivi per la salute umana. Molti di questi prodotti alimentari, sottoposti a controlli insufficienti, sono poi commercializzati su tutto il territorio nazionale, con conseguenze nocive per la salute di chi li mangia e per le economie della Campania;
          due le categorie comprendenti i rifiuti: urbani (RSU) e i rifiuti speciali e industriali;
          lo studio «Sentieri» (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento finanziato dal Ministero della salute e svoltosi tra il 2007 e il 2010) inserisce ben 77 comuni del litorale domizio flegreo e agro aversano tra i SIN, ovvero siti di interesse che necessitano con urgenza di un piano di bonifica;
          gran parte di questi siti sono collocati nella cosiddetta «terra dei fuochi»;
          in data 22 maggio 2013 il quotidiano Il Mattino a firma di Giuseppe Crimaldi scrive: «Sigilli ai campi agricoli coltivati. Sequestro “ad horas” di un'ampia area in cui si producono prodotti che restano il vanto dell'agricoltura locale: coltivazioni di broccoli e zucchine, soprattutto, ma anche frutteti con alberi già in fiore. L'ultima brutta notizia che riguarda l'ambiente violentato dalla mano dell'uomo giunge da Caivano, uno dei centri della Terra dei fuochi, (...). E qui, verdura, frutta e ortaggi sono compromessi da un veleno subdolo e potente. Il Toluene. A meno di otto chilometri in linea d'aria da Napoli – nel territorio del comune di Caivano – ieri mattina i militari del Corpo forestale dello Stato sono dovuti intervenire, d'urgenza, per apporre i sigilli intorno ad una vasta area (almeno due ettari) di terreni coltivati. Le ragioni che hanno determinato questa decisione sono riconducibili ad un'inchiesta su sversamenti tossici che vanno a ricadere direttamente nel sottosuolo, interessando una falda acquifera pura, che viene utilizzata anche per l'irrigazione delle coltivazioni. La sostanza velenosa riscontrata in quantitativi eccezionali dalle analisi fatte della Forestale è il toluene. Una sostanza che – stando all'inchiesta della sezione Reati ambientali della procura della Repubblica di Napoli – avrebbe già compromesso e invaso la cosiddetta barriera idraulica di una delle aree agricole più produttive e fertili dell'hinterland napoletano. Che cos’è il toluene? Si tratta di una sostanza chimica che viene usata come solvente, in sostituzione dell'ancor più tossico benzene, al quale comunque assomiglia sotto molti aspetti. È uno dei componenti della benzina. Ma, quel che più conta, se diluito nell'acqua potabile o da irrigazione, è un veleno a tutti gli effetti. Si pensi che il toluene riesce a bruciare la plastica e questo basterebbe a spiegare di che cosa stiamo parlando. Resta da chiedersi come un simile composto chimico altamente tossico possa essere finito nelle vene di una falda artesiana profonda almeno sette metri al di sotto del terreno calpestabile. E la risposta c’è. I liquami tossici proverrebbero da scarichi industriali di alcune aziende che lavorano pellami e che scaricano in maniera indiscriminata e criminale questo tipo di rifiuti speciali direttamente nelle condotte fognarie quando non addirittura direttamente nei canali di raccolta delle acque reflue»;
          in data 5 luglio 2013 sono posti sotto sequestro a Caivano, in località Sanganiello, nelle provincia di Napoli circa 6 ettari di terreno irrigati da acqua inquinata proveniente dai pozzi. Il provvedimento disposto dal pubblico ministero aggiunto Fragliasso, è stato eseguito dal Comando provinciale del Corpo forestale dello Stato e dal nucleo investigativo del CFS del capoluogo campano. L'intervento riguarda in maniera specifica un terreno coltivato, trasformato in una vera discarica dove crescevano pomodori, asparagi ed ortaggi, che regolarmente erano immessi sul mercato di tutta Italia. Il sequestro preventivo, si legge in una nota della procura, si è reso necessario al fine di prevenire pericoli per la salute pubblica. Dalle analisi effettuate dall'ARPAC (Agenzia regionale protezione ambiente della Campania) nel terreno coltivato è stato infatti rilevato una grande quantità di sostanze pericolose e velenose tra cui il tetracloroetilene che provoca il cancro con severi danni al sistema nervoso centrale, solfati, arsenico, manganese e floruro. Sei le persone indagate;
          in data 18 luglio 2013 il Corpo forestale dello Stato ha scoperto e sequestrato a Caivano (Napoli) un pozzo in località ponte delle Tavole ed il terreno servito dalle sue acque per un'estensione di oltre 4 ettari ossia 47 mila metri quadrati. Il provvedimento è stato messo d'urgenza dai magistrati della procura, e si inserisce nell'ambito dell'indagine coordinata dalla sezione reati ambientali che ha già portato ad analoghe misure nella stessa area. Le analisi dell'Arpa Campania, su delega dei pubblici ministeri, hanno rilevato un superamento dei limiti di concentrazione della soglia di contaminazione delle acque sotterranee con riferimento ai parametri relativi ai floruri che risultano più del doppio, solfati (più del doppio), arsenico (più del triplo) e manganese (più del 20 per cento). È stata, inoltre, riscontrata la presenza di diclorometano (cloruro di metilene) solventi utilizzato nella chimica industriale, inquinante antropico classificato, ai sensi della normativa in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e preparati pericolosi, come probabile cancerogeno per l'uomo. «Il reato per cui si procede è avvelenamento di acque destinate all'alimentazione. Il sequestro preventivo in via d'urgenza si è reso necessario – informa una nota della procura – per prevenire pericoli per la salute pubblica in quanto il terreno si presentava già arato e pronto per la semina e destinato a essere irrigato con l'acqua risultata contaminata» (il desk.it);
          l'Unione europea limita l'immissione sul mercato e l'uso di sverniciatori contenenti il composto chimico diclorometano (o cloruro di metilene, Dcm), perché pericolosi per la salute umana. Al fine di garantire un'esecuzione graduale della messa fuori uso dalla catena di produzione di svernicianti contenti diclorometano, l'Europarlamento e il Consiglio europeo – con decisione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale che modifica la direttiva del 1976 – fissano le date per il divieto della prima immissione sul mercato e della vendita agli utilizzatori domestici e professionali di tali prodotti;
          dal 2 al 4 agosto 2013 si sono registrati diversi incendi ad Aversa, Trentola Ducenta, Casaluce, Villa Literno e San Marcellino;
          in data 4 agosto 2013 il quotidiano Il Mattino nel proprio sito d'informazione on line riferisce che almeno una decina di roghi sono stati quelli segnalati, tra questi:
              ad Aversa (Caserta), una densa colonna di fumo nero si è sprigionata dalla combustione di una vasta estensione di pneumatici abbandonati in località Cappuccini, dove, tra l'altro, c’è una delle due isole ecologiche per il ritiro di materiali speciali. Il rogo è stato appiccato in pieno pomeriggio, poco dopo le ore 15. Stando ad alcuni testimoni, un uomo avrebbe dato vita all'incendio per poi allontanarsi velocemente a piedi, facendo perdere le proprie tracce. L'odore acre e intenso, anche a causa della cappa di calore, si è diffuso in zona per diverse ore;
              a Trentola Ducenta, in via De Nicola è andata a fuoco una discarica illegale e incustodita ai margini della strada;
              nelle ore notturne si è avuto l'incendio in Via Foscolo tra i cimiteri di Trentola e San Marcellino, a pochi passi dal confine con il comune di Aversa. Un lembo di terreno dove i cumuli di rifiuti vedono abituali montagne di pneumatici che si trascinano per centinaia di metri e a volte anche per chilometri;
              sulla strada provinciale Marcianise-Giugliano, all'altezza dello svincolo per Casaluce, anche qui un incendio su una piazzola di sosta della strada;
          i vigili del fuoco hanno estinto nell'arco dei tre giorni 10 incendi nei 19 comuni della «Terra dei Fuochi» (fonte Il Mattino);
          in data 4 agosto 2013 è data la notizia che ci sono voluti 20 giorni per spegnere le fumarole tossiche della discarica giuglianese. Il cantiere per lo spegnimento della combustione interna ai rifiuti della parte Nord-Est della Cava X della ex Resit è stato allestito il 12 luglio 2013;
          nell'anno 2010 la produzione di rifiuti speciali e industriali è stata di circa 137 milioni di tonnellate l'anno (dati ISPRA) (quindi, circa il quadruplo dei rifiuti urbani) in costante incremento, invece, nonostante la crisi;
          il 28 gennaio 2013 l'ISDE (Associazione medici per l'ambiente) ha divulgato il seguente documento: «Prioritario, oggi la realizzazione di impianti a norma per la gestione corretta dei Rsu, impegnarsi a concretizzare a livello nazionale la migliore e più efficiente tracciabilità satellitare dei rifiuti industriali e tossici, che ancora vede la presenza di un flusso costante di trasporto su gomma dal nord verso il sud di Italia, per una quantità di rifiuti industriali e tossici illegalmente smaltiti che ormai, su base nazionale, ha raggiunto e superato quota 35 milioni di tonnellate l'anno, (in costante aumento), (dati Legambiente e ISPRA 2010-2011), rispetto ai non più di 32 milioni di tonnellate l'anno di tutti i rifiuti urbani prodotti in Italia, in costante decremento per la grave crisi economica»;
          in Italia, nel 2012 vi è stata una produzione complessiva di oltre 165 milioni di tonnellate di rifiuti (dati Ispra);
          la situazione per la gravità assunta in termini di sequestro continuo di pozzi e conseguenti campi da questi irrigati non può subire ulteriori rinvii;
          i dati che detta emergenza producono giornalmente necessitano dell'impiego di analisi eccezionali del suolo e delle acque nonché dei prodotti agricoli e degli allevamenti con una cadenza costante (leggasi settimanale);
          occorre un piano mirato di bonifiche capillari sui terreni e nel sottosuolo unitamente ad un piano di conversione degli stessi per il loro utilizzo alla luce anche di tecniche impiegate nel mondo rispetto alla gestione di analoghi scempi ambientali già affrontati eventualmente con successo altrove;
          i fatti esposti nella premessa sono gravi da richiedere ai Ministri interrogati, per quanto di competenza, misure urgenti a tutela ed a salvaguardia della salute umana e di difesa territoriale ciò inteso campi e pascoli, allevamenti e colture  –:
          quali iniziative, analisi, piani, strumenti, si intendano assumere nell'immediato, avviando da subito un'attenta pianificazione di interventi di prevenzione, controllo e monitoraggio costante nell'arco delle 24 ore dei territori ricadenti nell'area denominata «Terra dei Fuochi» e quali misure si intendano porre in essere per stroncare sul nascere detti traffici e illecite combustioni;
          se non si intenda promuovere uno screening tossicologico su un campione rappresentativo di persone residenti e dei lavoratori esposti (esempio vigili del fuoco) nei territori menzionati nonché il biomonitoraggio ed una specifica ed estesa indagine epidemiologica ambientale. (4-01628)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


      BONACCORSI, FARAONE, CULOTTA, LAURICELLA, RIBAUDO, PICCIONE, CAUSI e TARANTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dopo oltre 18 mesi, trascorsi dal naufragio della nave da crociera Costa Concordia di fronte le coste del comune dell'Isola del Giglio, il relitto dell'imbarcazione si trova ancora nelle acque antistanti l'isola, in posizione sdraiata;
          i lavori di rimozione e messa in sicurezza del relitto della nave Concordia non procedono con la tempistica inizialmente prevista;
          la delibera del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2013 (Gazzetta ufficiale n.  61 del 13 marzo 2013) visto l'allegato III al citato regolamento (Ce) n.  1013/2006 ed in particolare la voce GC030 che classifica tra i rifiuti contenenti metalli le «navi ed altre strutture galleggianti destinate alle demolizioni adeguatamente vuotate di qualsiasi carico e di altri materiali serviti al loro funzionamento che possono essere classificati come sostanze o rifiuti pericolosi», prevede che la nave Concordia sia assoggettata al relativo regime giuridico di gestione, controllo e sanzionatorio;
          la delibera del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 (Gazzetta ufficiale n.  61 del 13 marzo 2013) autorizza il commissario delegato per l'emergenza ambientale in relazione al naufragio della nave da crociera Costa Concordia, nel territorio del comune dell'Isola del Giglio previa verifica della fattibilità e della convenienza dell'operazione in accordo con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti, ad adottare tutti i provvedimenti necessari a consentire il trasporto della nave da crociera Costa Concordia presso il porto di Piombino per lo smantellamento;
          come si apprende da un articolo de la Repubblica Palermo del 6 agosto 2013 è stata richiesta dal Ministro della sviluppo economico a Fincantieri spa una «relazione riservata» nella quale sembrerebbero essere illustrati i tempi e le modalità di rimozione del relitto della nave da crociera, indicando il porto di Palermo, come ipotesi migliore dove trasferire la nave, poiché i tempi dei lavori nel porto di Piombino sembrerebbero stimati in tre anni nel rapporto di Finmeccanica;
          sarebbe stato opportuno che il Governo informasse la competente Commissione parlamentare di eventuali modifiche dell’iter deciso nonché dell'esistenza e del contenuto della relazione di Fincantieri spa;
          la priorità deve essere la liberazione del mare del Giglio dalla carcassa della nave nel minor tempo possibile, per evitare che si verifichino rischi ambientali o aumentino le problematiche di rimozione;
          se l'esistenza di tale relazione corrisponda al vero, se intenda fornirla alle Commissioni competenti in materia, ciò per poter avviare una valutazione immediata sui tempi e le modalità reali di rimozione del relitto;
          se le posizioni dei Ministri interrogati in riferimento a tale materia, in special modo in riferimento al luogo in cui la nave Concordia dovrà essere trasferita per lo svolgimento dei lavori di demolizione, siano cambiate alla luce della relazione di Fincantieri spa dell'andamento dei lavori di rimozione;
          quali siano le misure che i Ministri interrogati intendano adottare, anche alla luce dei ritardi nei lavori di rimozione del relitto della nave da crociera per dare certezza sul destino della Costa Concordia ad abitanti del comune dell'Isola del Giglio e alle Istituzioni locali. (3-00270)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SQUERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il settore energetico appare manifestamente nel suo complesso in stato di forte crisi, sia nell'ambito industriale che commerciale, con una flessione della domanda senza precedenti che ne sta trasformando radicalmente il contesto competitivo e pregiudicando le prospettive di sviluppo;
          una efficace presenza del Ministero è fondamentale nel determinare il contesto della quotidiana operatività delle imprese operanti nel settore nonché per sviluppare interventi efficaci in un contesto di affidabilità e durevolezza normativa;
          le ipotesi di riorganizzazione del Ministero – accorpando in un unico dipartimento le competenze sull'energia a quelle su impresa ed internazionalizzazione ed affidandole a dirigenti estranei alle competenze tecniche di settore – con tutta probabilità indeboliranno il coordinamento tra le tre direzioni che oggi si occupano della materia e soprattutto penalizzeranno la capacità di esprimere una efficace governance del settore;
          a sua volta, la suddivisione delle deleghe fa venir meno l'indispensabile riferimento unitario ed integralmente «dedicato» per tale materia;
          di fronte a ciò che appare un depotenziamento delle funzioni tecniche e politiche in materia, sussiste pertanto un forte e concreto rischio che anche a causa di tali scelte al settore non sia riservata la necessaria e straordinaria attenzione che la situazione proprio oggi invece richiede  –:
          se, nell'ottica di una corretta attenzione ad uno dei settori più strategici per l'economia nazionale, per le imprese e le famiglie, sia intendimento del Ministro rivedere la situazione ed assumere gli opportuni provvedimenti per evitarne una ulteriore marginalizzazione in dipendenza di opzioni chiaramente frammentarie assunte. (5-00888)


      VACCA, COLLETTI, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI e DEL GROSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in località San Silvestro Colle situata nel territorio del comune di Pescara, a partire dall'anno 1952, sono stati dislocati diversi tralicci per antenne radiotelevisive su cui sono installati, da oltre 50 anni, 60 impianti radio-tv aventi potenze di trasmissione elevatissime per raggiungere tutta la fascia costiera abruzzese;
          nel 1998 con la delibera n.  68/98 dell'AGCOM viene emanato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze – per regolamentare a livello nazionale l'insediamento dei ripetitori radio televisivi in esecuzione a quanto disposto dalla legge n.  223 del 1990 e dal decreto legislativo n.  249 del 1997. Nella delibera è precisato che «Detti siti soddisfano le esigenze sia della radiodiffusione analogica che di quella digitale»;
          il sito di San Silvestro Colle, sino ad allora sede legittima degli impianti ex articolo 32 legge n.  223 del 1990 viene «cancellato» dall'elenco dei siti idonei ad ospitare tali impianti;
          successivamente vennero emanate ulteriori delibere da parte dell'AGCOM: la n.  249/02, la n.  15/03, la 399/03 e da ultimo la 93/12. In nessuna di esse compare il sito di San Silvestro Colle;
          nella delibera n.  15 viene introdotto il principio di equivalenza dei siti. Essi comunque dovevano essere compresi nei PNAF o assentiti dalle regioni competenti. San Silvestro non è mai stato assentito dalla regione Abruzzo;
          le autorizzazioni temporanee (valevano 2 anni) rilasciate alle emittenti nel 1994 dal Ministero includevano legittimamente San Silvestro Colle come sito censito;
          dopo il 1998 il Ministero competente non solo non poteva rilasciare nuove autorizzazioni alla installazioni di impianti che includessero il sito «cancellato» di San Silvestro Colle ma doveva necessariamente modificare le vecchie obbligando i concessionari a trasferire gli impianti nei siti di Piano individuati dal PNAF;
          nel 2001 venne emanata la legge n.  66 che introdusse l'obbligo di modificare le trasmissioni da analogico in digitale, dando un congruo periodo di tempo per l'adeguamento;
          nello stesso anno l'AGCOM emanò con delibera n.  435/01 il Regolamento relativo alla TV digitale;
          all'articolo 13 del medesimo venne previsto che «La diffusione per mezzo delle radiofrequenze associate alla licenza è consentita esclusivamente dai siti previsti dal piano di assegnazione delle frequenze ...omissis... rispetta le normative sanitarie, ambientali, ...omissis... nonché le disposizioni relative alla condivisione o alla messa a disposizione degli impianti e dei siti»;
          nel mese di nel mese di giugno 2008 il presidente della regione Abruzzo ha emanato apposita ordinanza di delocalizzazione degli impianti concedendo alle emittenti sei mesi di tempo per provvedere;
          il Tar Abruzzo sezione di Pescara ha rigettato il ricorso delle emittenti contro tale provvedimento dichiarando che «la delocalizzazione allo stato è un atto dovuto non essendo il sito di San Silvestro Colle compreso nei PNAF, indipendentemente dal superamento dei limiti di legge»;
          la regione Abruzzo nonostante sin dall'anno 2009 ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico di emanare il definitivo atto delocalizzatorio nel rispetto di quanto sancito dalle norme vigenti e dalla sentenza del Tar, finora non ha ricevuto alcuna risposta;
          in data 25 giugno 2013 l'esponente nel corso di specifico accesso presso il Ministero dello sviluppo economico non ha rinvenuto alcun atto autorizzatorio da parte del predetto ente nei confronti di tutte le emittenti presenti in San Silvestro;
          l'articolo 41, comma 4, della legge n.  3 del 2003 ha previsto che «Il Ministero delle comunicazioni, anche attraverso i propri organi periferici, esercita la vigilanza sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana anche a supporto degli organi indicati dall'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n.  36, ferme restando le competenze del Ministero della salute;
          l'articolo 28, comma 8, del decreto legislativo n.  177 del 2005 ha previsto che «La titolarità di autorizzazione o di altro legittimo titolo per la radiodiffusione sonora o televisiva dà diritto ad ottenere dal comune competente il rilascio di permesso di costruire per gli impianti di diffusione e di collegamento eserciti e per le relative infrastrutture compatibilmente con la disciplina vigente in materia di realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica;
          l'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n.  177 del 2005 ha stabilito che «al fine di agevolare la conversione del sistema dalla tecnica analogica alla tecnica digitale la diffusione dei programmi radiotelevisivi prosegue con l'esercizio degli impianti di diffusione e di collegamento legittimamente in funzione alla data di entrata in vigore della legge 3 maggio 2004, n.  112»;
          a tutt'oggi non risulta che l'Autorità garante nelle comunicazioni abbia mai vigilato o direttamente o servendosi dei propri organi ispettivi per far rispettare i tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana (20 V/m il valore massimo del campo elettromagnetico) e né verificato che tali tetti anche per effetto congiunto di più emissioni, come nel caso di San Silvestro Colle a Pescara, fosse superato;
          la sentenza sul ricorso numero di registro generale 558 del 2012, proposto da Rete 8 srl annulla le ordinanze con la quale dirigente del dipartimento attività tecniche, energetiche ed ambientali – settore attività produttive-servizio SUAP del comune di Pescara ha ordinato alla società ricorrente la disattivazione dell'impianto fisso di radiodiffusione, relativo alla stazione emittente;
          nel dispositivo di sentenza, tra le motivazioni dell'accoglimento, recita che «il sito di S. Silvestro, pur non più elencato dall'Agcom, resterebbe sempre utilizzabile e sarebbe ricompreso tra i siti digitali europei (Accordo di Ginevra del 2006), se ed in quanto non superano i valori di cui all'articolo 1, comma 6, lettera a), numero 15, legge n.  249 del 1997. Gli impianti esistenti, pertanto, non sarebbero affatto abusivi e solo da tale postazione possono assicurare la continuità del servizio, in attesa dell'operatività della piattaforma marina (Agcom 93/12/Cons). S. Silvestro va considerato un sito equivalente agli altri e per il quale vanno rispettati i parametri normativi stabiliti (nota Agcom 14 novembre 2012, reg. uff. 0057384)»;
          il sito di S. Silvestro all'epoca non era ricompreso nel PNAF, ma restava, in quanto effettivamente utilizzato, un sito equivalente agli altri, in attesa del nuovo sito idoneo per la delocalizzazione voluta dal comune di Pescara; in tale fase di transizione deve essere assicurata la funzionalità dei servizi audio e video, nel rispetto dei limiti di compatibilità (Agcam 93/12/Cons);
          la delocalizzazione, invero, rappresenta una proposta contenuta nella delibera regionale n.  694/13.9.2010, e la «piattaforma marina Francavilla», che pure è presente nel PNAF, non essendo ancora operativa, ha fatto pronunciare l'Agcom per la continuità del servizio sul sito S. Silvestro (nota 14 novembre 2012 rig. uff. 0057384), che è stato appositamente reinserito nell'elenco 2013;
          la sentenza sul ricorso numero di registro generale 558 del 2012 è stata formulata in camera di consiglio il 4 luglio 2013;
          in una lettera protocollata in entrata dal comune di Pescara in data 4 luglio 2013 e inviata dall'autorità garante per le telecomunicazioni il 28 giugno 2013 in seguito ad una comunicazione del sindaco di Pescara e del presidente della provincia di Pescara del 21 maggio 2013 viene dichiarato che «per l'applicazione del citato criterio di equivalenza, la progettazione e la realizzazione delle reti può basarsi su siti diversi da quelli del Piano. I siti devono essere scelti comunque tra quelli assentiti dalle Regioni e/o Province Autonome. È data, inoltre, la facoltà di utilizzare anche siti diversi da quelli assentiti, purché per essi vengano preventivamente acquisite le necessarie autorizzazioni da parte delle competenti autorità territoriali»;
          nella stessa lettera protocollata in entrata dal comune di Pescara in data 4 luglio 2013 e inviata dall'Autorità garante per le telecomunicazioni il 28 giugno 2013 in seguito ad una comunicazione del sindaco di Pescara e del presidente della provincia di Pescara del 21 maggio 2013 viene dichiarato che l'autorità in tutte le delibere di pianificazione adottate dal 1998 a oggi,... non ha incluso il sito di Pescara-San Silvestro nell'elenco cosiddetti «siti candidati», né conseguentemente lo ha utilizzato per la progettazione delle reti di riferimento, non essendo tale sito mai stato assentito dalla regione;
          il sito esiste fisicamente, e la sentenza del TAR lo rende operativo contraddicendo, nel dispositivo di sentenza ciò che dichiara la stessa Autorità garante delle telecomunicazioni  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se non ritenga doveroso emanare quanto prima il definitivo atto di delocalizzazione degli impianti siti in San Silvestro Colle di Pescara;
          se il Ministro non reputi necessario fare luce sulle responsabilità circa l'omesso controllo e vigilanza da parte degli Organi del Ministero dello sviluppo economico, nel periodo 1999-2012;
          come il Ministero intende assicurare il trasferimento immediato degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva di S. Silvestro in Pescara, a cominciare dall'antenna Rai nei siti individuati nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive senza che ciò comporti disagi di alcun genere per la popolazione;
          se intenda fare chiarezza sul sito di trasmissione di San Silvestro Colle in quanto non presente nel PNAF ma effettivamente esistente. (5-00896)

Interrogazione a risposta scritta:


      GRECO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in tema di zone franche urbane è stato recentemente adottato il decreto ministero dello sviluppo economico del 10 aprile 2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 11 luglio 2013;
          la legge della regione siciliana n.  11 del 12 maggio 2012, pubblicata nel supplemento ordinario n.  1 alla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n.  23 del 14 maggio 2010, in particolare, l'articolo 67, consente l'istituzione di ulteriori zone franche urbane rispetto a quelle selezionate con delibera CIPE n.  14/2009, individuate secondo i criteri definiti dalla delibera CIPE n.  5/2008 e dalla circolare del Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione n.  14180 del 26 giugno 2008;
          quindi il Ministero ha di fatto, riconosciuto e equiparato le zone franche urbane individuate con delibera del CIPE n.  14/2009 e quelle individuate dalla regione siciliana ai sensi della legge regionale del 12 maggio 2010;
          la giunta della regione siciliana ha inteso utilizzare come criterio di finanziamento la densità abitativa di ciascuna zona franca, escludendo la determinazione di una graduatoria tra le diverse zone franche urbane e ripartendo quindi le somme individuate in base all'unico criterio individuato;
          per le zone franche urbane ricadenti nella regione Sicilia, oltre alle risorse finanziarie individuate con delibera della giunta regionale siciliana n.  478/12 e provenienti dai fondi PO FERS 2007-2013, sono individuate altre risorse finanziarie pari a circa 41 milioni di euro;
          tale criterio della densità abitativa all'interno della zona franca urbana per determinare la ripartizione del contributo spettante ad ogni singola zona, trova già applicazione nel decreto ed è già accettato dalle amministrazioni in cui ricadono le zone franche urbane, l'individuazione di ulteriori criteri rischia di esporre il provvedimento a ricorsi da parte dei comuni;
          va considerata la non comparabilità dei punteggi di valutazione assegnati alle diverse zone franche urbane ricadenti nella regione Sicilia in quanto determinati in due momenti diversi con due diverse commissioni di valutazione;
          va preso atto del carattere di urgenza con cui il Governo sta procedendo al fine di certificare la spesa nei tempi previsti  –:
          quale sia lo stato di attuazione del decreto 10 aprile 2013;
          se si possano fornire rassicurazioni in merito al fatto che anche i 41 milioni di euro non provenienti dalla delibera n.  478/12 siano ripartiti in base al criterio della densità abitativa evitando situazioni paradossali che esporrebbero il procedimento a ricorsi da parte dei comuni.
       (4-01620)

Apposizione di firme ad una mozione.

      La mozione Zampa e altri n.  1-00156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Micheli, Chaouki.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

      La risoluzione in commissione Faenzi e altri n.  7-00079, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Franco Bordo, Caon, Lupo, Schullian, Sani, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Palazzotto, Zaccagnini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Spessotto n.  3-00263, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Colonnese, Pinna, Nesci, Carinelli, Vignaroli, Fico, Luigi Di Maio, De Lorenzis, D'Ambrosio, Busto, Daga, Segoni, Mannino, Terzoni, De Rosa, Zolezzi, Tofalo.

      L'interrogazione a risposta immediata in commissione Fedriga n.  5-00860, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molteni.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Fauttilli n.  4-00280 del 29 aprile 2013 2013;
          interrogazione a risposta in Commissione Manfredi n.  5-00847 del 5 agosto 2013;
          interrogazione a risposta immediata in assemblea Meta n.  3-00267 del 6 agosto 2013.