XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 15 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              il Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite il 25 aprile 2013 ha prorogato il mandato della MINURSO, alla quale l'Italia partecipa direttamente con alcuni militari, fino al 30 aprile 2014 (SIRES/2099), dopo aver discusso le conclusioni e le 7 raccomandazioni del Segretario generale dell'ONU sulla situazione in Sahara occidentale (S/2013/220 dell'8 aprile 2013) e dell'iniziativa diplomatica svolta dall'inviato personale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale Christopher Ross;
              in tale contesto ha riaffermato la sua volontà di aiutare le parti a pervenire a una soluzione politica giusta, durevole e mutualmente accettata che garantisca l'autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, secondo i principi enunciati dalla Carta delle Nazioni Unite e ha chiesto alle parti e agli Stati vicini di cooperare con le Nazioni Unite al fine di superare l'impasse in cui si trovano, da tempo, i negoziati e di avanzare verso una soluzione politica capace di rinforzare la cooperazione tra gli Stati del Maghreb arabo e di contribuire a garantire stabilità e sicurezza nella regione del Sahel;
              ha chiesto inoltre un maggiore impegno nel garantire il rispetto dei diritti umani in Sahara occidentale e ha incoraggiato le parti a collaborare con la comunità internazionale per mettere a punto e applicare misure credibili che garantiscano pienamente il rispetto dei diritti umani;
              ha infine accolto con soddisfazione l'impegno preso dalle parti di proseguire i negoziati diretti, sotto l'egida delle Nazioni Unite, che considerano inaccettabile il consolidamento dello status quo, ma intendono proseguire i negoziati per garantire una migliore qualità della vita agli abitanti del Sahara occidentale;
              diverse      mozioni del Parlamento italiano ed europeo chiedono da tempo il rispetto dei diritti umani in Sahara Occidentale;
              le risoluzioni delle Nazioni Unite, del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea generale dell'ONU sul conflitto del Sahara Occidentale hanno ribadito più volte il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi, da realizzarsi attraverso un referendum, al fine di arrivare ad una «soluzione politica giusta, durevole e mutuamente accettabile», che possa contribuire alla stabilità, allo sviluppo ed all'integrazione nella regione del Maghreb;
              la Repubblica Araba Sahrawi Democratica è stata riconosciuta come Stato libero e indipendente dall'Unione Africana e da più di 80 Paesi nel mondo anche nell'ottica di assicurare un adeguato sostegno al processo di ammissione della RASD alle Nazioni Unite;
              la difficile situazione nel Sahel rischia di accrescere l'instabilità e l'insicurezza nell'area e rende la soluzione del conflitto del Sahara occidentale più urgente che mai;
              le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal Regno del Marocco nel Sahara occidentale, così come evidenziato dai rapporti di Amnesty International, di Human Rights Watch, dall'Organizzazione mondiale contro la tortura, dall'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e dalla Fondazione Robert F. Kennedy suscitano viva preoccupazione per il possibile degenerare della situazione dei diritti umani in quest'area;
              il 19 aprile 2013 il Dipartimento di Stato americano ha pubblicato un dossier sulla situazione dei diritti umani in Sahara occidentale, a sostegno di un progetto di risoluzione che proponeva l'ampliamento del mandato della MINURSO sui diritti umani, poi abbandonato a seguito delle pressioni della diplomazia marocchina;
              i civili sahrawi, nel «territorio non autonomo» del Sahara occidentale, sono privati dei diritti più elementari (diritti di associazione, di espressione, di manifestazione), la repressione nei loro confronti continua tutt'oggi, come denunciano le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani;
              l'ufficio delle Nazioni Unite dell'Alto Commissario per i diritti umani ha espresso preoccupazione per le durissime sentenze emesse il 17 febbraio 2013 dal Tribunale militare di Rabat nei confronti di 25 civili sahrawi, arrestati la notte tra l'8 e il 9 novembre 2010, dopo lo smantellamento del «campo della dignità» di Gdeim Izik, nei pressi di El Aioun, la capitale del Sahara occidentale, senza aver tentato di fare chiarezza sui fatti e senza avere reali prove di colpevolezza, come hanno testimoniato i rapporti degli osservatori internazionali presenti al processo. Il Tribunale ha emesso 9 condanne all'ergastolo, 4 a trent'anni, 8 a venticinque anni e 2 a vent'anni. Solo per due componenti del gruppo la pena è stata commisurata alla detenzione preventiva della pena (due anni). Gli accusati hanno dichiarato ai famigliari di essere stati torturati e maltrattati durante la detenzione, costretti, con la forza, a sottoscrivere le dichiarazioni rilasciate durante gli interrogatori della polizia;
              la riduzione degli aiuti ai profughi sahrawi dovuta alla crisi mondiale da parte di tutti i donatori internazionali che sta determinando effetti devastanti sulla popolazione sahrawi nei campi di rifugiati di Tindouf (Algeria),

impegna il Governo:

          ad utilizzare il proprio peso nell'Unione europea e i buoni rapporti con tutti i protagonisti in questione per favorire la ricerca di una soluzione del conflitto, che sia rispettosa del diritto all'autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, tenendo conto del quadro di sostanziale stallo in cui verte il negoziato internazionale posto che la stabilizzazione dell'area porterebbe indubbi benefici alle relazioni tra l'Italia e tutto il Nordafrica;
          ad adottare ogni iniziativa utile sul piano internazionale volta a favorire la ripresa dei negoziati diretti, sotto l'egida delle Nazioni Unite, tra Regno del Marocco e Fronte Polisario, al fine di giungere, nel più breve tempo possibile, a una soluzione conforme alle risoluzioni delle Nazioni Unite, che rispetti il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi;
          ad attivarsi nelle opportune sedi internazionali, affinché il mandato della missione MINURSO venga aggiornato sulla base dei più recenti analoghi modelli approvati dal Consiglio di Sicurezza, che includono anche specifici compiti in materia di rispetto dei diritti umani;
          a chiedere alle autorità di Rabat, compatibilmente con le linee di azione concordate nell'ambito dell'Unione europea che ai detenuti saharawi nelle carceri marocchine venga garantito il pieno diritto ad un equo giudizio e ad ottenere garanzie da parte del Governo del Marocco sul rispetto dei diritti fondamentali, come il diritto di espressione, di associazione e di riunione e la libertà di ingresso e movimento nel proprio territorio, conformemente a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite;
          ad adottare, raccordandosi con i partner europei e con le istituzioni comunitarie, ogni iniziativa utile sul piano diplomatico, volta a favorire l'effettivo riconoscimento della libertà di accesso e di circolazione in Sahara Occidentale di osservatori internazionali indipendenti, della stampa e delle organizzazioni umanitarie;
          a stanziare fondi destinati agli aiuti umanitari per la popolazione sahrawi rifugiata nei campi di rifugiati Tindouf (Algeria);
          a riconoscere alla rappresentanza in Italia del Fronte Polisario lo status diplomatico, come è stato fatto in passato per altri movimenti di liberazione riconosciuti dall'ONU come interlocutori ufficiali in processi di pace.
(1-00208) «De Maria, Giorgia Meloni, Di Salvo, Carella, Carnevali, Cardinale, Duranti, Scotto, Mogherini, Rampelli».

Risoluzioni in Commissione:


      La IX Commissione,
          premesso che:
              il ramo R.C. autoveicoli terrestri, in Italia uno dei mercati principali del settore assicurativo, ha registrato, nel 2010, una raccolta di premi pari a quasi 17 miliardi di euro, con un'incidenza del 47,3 per cento sul totale rami danno e del 13,5 per cento sul portafoglio complessivo;
              il mercato delle assicurazioni presenta trend sempre maggiori di crescita dei prezzi;
              nel periodo 2000-2010, la crescita media dei prezzi per l'assicurazione dei mezzi di trasporto in Italia è pari al 4,6 per cento annuo, maggiore di oltre 6 volte quella della Germania, di oltre 5 volte quella della Francia e dell'Olanda. In particolare, nel periodo 2006-2010, la crescita annua dei prezzi per l'assicurazione dei mezzi di trasporto registrata in Italia è quasi il doppio di quella della zona euro e quasi il triplo di quella registrata in Francia, mostrando l'aumento più significativo;
              l'aumento dei prezzi consegue a quello dei costi: le società assicuratrici liquidano sinistri a fronte di incidenti sempre più frequenti e, spesso, simulati;
              le attuali politiche di contenimento dei costi per i risarcimenti dei sinistri non garantiscono il raggiungimento di adeguati livelli di efficienza produttiva nel medio-lungo termine: l'analisi delle politiche di contrasto delle frodi in ambito RC Auto adottate dalle compagnie mostra come il numero di frodi accertate dalle compagnie in Italia sia inferiore a quello dei principali Paesi europei: in particolare, quattro volte inferiore a quello accertato dalle compagnie nel Regno Unito e la metà di quello accertato in Francia;
              spesso le compagnie trovano conveniente liquidare anziché investigare approfonditamente se i danni e, di conseguenza, i risarcimenti vantati, si siano effettivamente prodotti o meno;
              i preventivi elaborati dai carrozzieri relativi ai danni ai veicoli provocati da incidente sono spesso soggettivi ed arbitrari, rendendo difficile la quantificazione oggettiva del danno, con incongruità dei costi di risarcimento per le società assicuratrici;
              ai fini di una corretta valutazione di costi e tempistiche della riparazione dei veicoli sarebbe utile creare uno strumento informativo in cui confluiscano le caratteristiche tecniche, regolamentari e i dati relativi alla proprietà e alla regolarità fiscale ed assicurativa, consultabile sia dalle società assicuratrici sia dai carrozzieri, in modo che sia possibile, da parte di tutti gli attori, costruire strumenti di riscontro e verifica della congruità del danno liquidato, aventi in comune la medesima base-dati;
              l'assenza di controlli adeguati dei costi da corrispondere per i risarcimenti genera inefficienze produttive;
              è necessario recuperare i costi derivanti dai fenomeni fraudolenti dei premi ed investire risorse adeguate in meccanismi efficaci di controllo dei costi;
              la riduzione dei costi di cui sopra si ribalterebbe in un vantaggio immediato per gli automobilisti;
              la digitalizzazione diffusa dei dati della pubblica amministrazione è tra gli obiettivi della strategia Europa 2020;
              la possibilità di disporre, in tempi ridottissimi, di informazioni relative a tutte le caratteristiche dei veicoli consentirebbe di contrastare efficacemente il fenomeno sempre più diffuso della falsificazione dei certificati assicurativi, la verifica della regolarità del pagamento della tassa di bollo, la conformità del veicolo alle prescrizioni del Codice della strada;
              monitorare la congruenza dei rimborsi per sinistro e la correttezza della modalità di riparazione è fondamentale ai fini della sicurezza stradale, in quanto riparazioni sulla struttura del veicolo effettuate con tecniche non corrette possono pregiudicare la resistenza della stessa, e renderla non più conforme all'omologazione originaria;
              gran parte delle informazioni succitate sono già presenti nei database della motorizzazione civile, del pubblico registro automobilistico (P.R.A.), e delle regioni, mentre gli altri sono disponibili su database privati;
              l'accessibilità e la trasparenza dei dati, coniugate con le potenzialità tipiche degli strumenti informatici, creerebbe sinergie in grado di migliorare significativamente la sicurezza e i costi per assicurazioni e consumatori;
              il 9 agosto 2013, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto ministeriale n.  110, hanno definito le modalità per la progressiva dematerializzazione del contrassegno assicurativo,

impegna il Governo:

          a garantire uno strumento informativo unico, in cui confluiscano i dati e le caratteristiche tecniche regolamentari, della proprietà, della regolarità fiscale (bollo regionale) ed assicurative dei veicoli, implementando la «banca dati» di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale n.  110 del 9 agosto 2013;
          a garantire l'implementazione di una metodologia di calcolo e verifica dell'entità del danno liquidato, ai fini di una corretta valutazione di costi, tempistiche e modalità di riparazione dei veicoli, da condividere tra società assicuratrici, carrozzieri e consumatori;
          ad implementare la «banca dati» citata con le informazioni per la quantificazione oggettiva di costi e tempistiche di riparazione dei veicoli, nonché le specifiche del costruttore, definite in collaborazione con le case produttrici;
          ad utilizzare un formato dei dati di tipo aperto così come definito dall'articolo 68, comma 3, lettera a), del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82, e successive modifiche e integrazioni, per la gestione della «banca dati» sopraindicata;
          a rendere, in linea con la strategia nazionale di open government e open data, i dati di cui sopra consultabili tramite una piattaforma «open source», gestita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
(7-00129) «Catalano, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Colletti, Nicola Bianchi, De Lorenzis».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              la linea ferroviaria Cuneo-Limone-Ventimiglia è collocata a cavallo tra tre regioni: Piemonte e Liguria, in Italia, Provence-Alpes-Cote d'Azur, cosiddetta «Paca», in Francia, e costituisce l'unico collegamento ferroviario diretto Italia-Francia, oltre a quello che passa per il Frejus;
              la gestione dell'infrastruttura presente sul territorio italiano è affidata a Rete ferroviaria italiana, mentre il tratto nel territorio francese è gestito da Reseau ferrè de France;
              in particolari condizioni climatiche, la linea ferroviaria rappresenta l'unico mezzo di trasporto pubblico di collegamento tra le diverse località;
              le suddette infrastrutture presentano criticità dovute a deterioramenti, che rendono necessaria la messa in sicurezza della linea, per il costo di 27 milioni di euro;
              si registrano numerosi rallentamenti che non consentono il rispetto delle coincidenze, e provocano disagi a catena con considerevole peggioramento della qualità e fruibilità del servizio;
              le autorità francesi intendono imporre, per problemi di sicurezza, a partire da dicembre 2013, il rallentamento a 40 chilometri orari nel tratto Tenda-Breil;
              l'abbandono della linea aggraverebbe la già critica condizione di isolamento morfologico della tratta;
              in un contesto di forte crisi economica come quello attuale, sarebbe auspicabile una programmazione di investimenti più orientata al medio termine, rispetto ad uno stanziamento ingente di risorse per opere realizzabili nel lungo termine;
              l'investimento nell'alta velocità non dovrebbe costituire l'unica voce di spesa nella pianificazione degli investimenti in infrastrutture dei trasporti;
              il comma 2 dell'articolo 7-ter del decreto-legge 26 aprile 2013, n.  43, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE», autorizza la spesa di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, da attribuire con delibera CIPE con priorità per la prosecuzione dei lavori relativi al Terzo Valico dei Giovi e per il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona di accesso sud alla galleria di base del Brennero;
              l'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013 n.  69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» stabilisce che «...per consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori è istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro, di cui euro 50 milioni per l'anno 2013, euro 189 milioni per l'anno 2014, euro 274 milioni per l'anno 2015 ed euro 250 milioni per l'anno 2016 mediante corrispondente utilizzo delle risorse assegnate dal CIPE in favore del secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi a valere sul Fondo di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111»;
              nella seduta del 18 marzo 2013, il CIPE ha espresso parere favorevole ”sullo schema di contratto di programma 2012-2014 (parte servizi) tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana (RFI) SpA per la disciplina delle attività di safety security e navigazione ferroviaria. Il comitato ha altresì assegnato al medesimo Contratto ulteriori risorse pari a 578 milioni di euro, di cui 240 milioni di euro con una riduzione di pari importo dal lotto dell'AV/AC Milano-Genova (Terzo Valico dei Giovi) e 338 milioni di euro da residuo delle somme derivate dall'articolo 1, comma 176, della legge n.  228 del 2012;
              con delibera CIPE n.  22 del 2013 è stato stabilito che «l'assegnazione disposta a favore di RFI S.p.A. a valere sulle risorse di cui all'articolo 32.1 del decreto-legge n.  98 del 2011, con la delibera n.  86/2011, per il secondo lotto costruttivo dell'opera Linea AV/AC Milano-Genova: Terzo Valico dei Giovi è ridotta da 1.100 a 860 milioni di euro»,

impegna il Governo

a destinare parte delle risorse originariamente assegnate dal CIPE in favore del secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi, destinate al fondo di cui all'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e parte dei 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, da attribuire con delibera CIPE con priorità per la prosecuzione dei lavori relativi al Terzo Valico dei Giovi e per il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona di accesso sud alla galleria di base del Brennero, per la parte relativa agli stanziamenti al Terzo Valico, così come stabilito dal decreto-legge 26 aprile 2013, n.  43, per l'ammodernamento e la messa in sicurezza della linea ferroviaria Cuneo-Limone-Ventimiglia.
(7-00130) «Catalano, De Lorenzis, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Nicola Bianchi».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              il quadro normativo che regola il settore della produzione vitivinicola italiana è molto complesso: dal 1970 ad oggi la legislazione in materia consta di oltre 200 regolamenti comunitari, 350 leggi e decreti e 400 circolari;
              con riferimento ai controlli, è bene ricordare che in Italia un produttore vinicolo è oggi sottoposto a verifiche da parte di circa 10 enti differenti, tra pubblici e privati, che spesso rappresentano dei doppioni l'uno dell'altro – con, inoltre, un evidente utilizzo irrazionale del personale preposto;
              l'appesantimento delle procedure unitamente alle migliaia di regole, rischia, paradossalmente, di vanificare l'efficacia stessa delle norme posto che il quadro di riferimento risulta poco chiaro e non è in grado di dare risposte certe e rapide sia ai produttori che ai consumatori;
              una semplificazione efficace della normativa – ispirata, ad esempio, al modello francese con poche regole di base e solamente quattro organismi di controllo – porterebbe vantaggi qualitativi all'intero comparto, i cui produttori non chiedono meno controlli, necessari ad assicurare la qualità, ma solo di essere sottoposti a verifiche ed ispezioni con procedure più snelle, a controlli proporzionati e diversificati a seconda della tipologia di produttore, posto che la produzione di un piccolo vignaiolo si differenzia notevolmente da quella dei grandi gruppi agroindustriali operanti nel settore vinicolo;
              secondo la Federazione italiana vignaioli indipendenti – che ha redatto una dettagliata proposta di semplificazione della normativa in materia – modelli elaborati a livello centrale, una definizione a livello nazionale degli standard igienici minimi e il contenimento massimo delle variazioni normative e amministrative, consentirebbero di massimizzare l'efficacia delle norme e lo spontaneo adeguamento dei cittadini ad esse soggetti,

impegna il Governo

a procedere con urgenza, nell'ottica di una semplificazione normativa, alla predisposizione di un codice unico del vino che raccolga tutta la legislazione in materia vinicola, alla razionalizzazione degli enti preposti ai controlli e alla definizione di procedure di verifica proporzionate alla tipologia del produttore, al fine di agevolare gli operatori del settore e garantire al tempo stesso la qualità del prodotto.
(7-00131) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Venezia è autorizzato all'esercizio del gioco d'azzardo, in deroga ai divieti imposti dalle vigenti leggi penali, in forza del decreto del Ministero dell'interno, emanato il 30 luglio 1936, così come dei successivi decreti autorizzatori che, di volta in volta, hanno individuato le sedi idonee allo scopo;
          l'autorizzazione ministeriale risulta adottata in virtù del regio decreto-legge del 16 luglio 1936, n.  1404, convertito nella legge il 14 gennaio 1937, n.  62, che ha esteso al comune di Venezia le disposizioni del regio decreto-legge del 22 dicembre 1927, n.  2448, convertito nella legge 27 dicembre 1928, n.  3125, già recante analoghe disposizioni in favore del comune di San Remo;
          il regime derogatorio si giustifica in virtù della sussistenza di numerose ragioni (incremento turistico e di valuta estera, disincentivazione del flusso dei cittadini verso case da gioco nei Paesi di confine, sostegno dell'economia locale e regionale), tutte rispondenti, com’è palese, ad esigenze di natura pubblicistica tali da far qualificare come entrate di diritto pubblico (e non più come profitto di reato) gli utili della casa da gioco, destinati, in massima parte, a favore degli enti territoriali locali;
          la ratio del regime derogatorio, dunque, risiede anche nella particolare vocazione turistica dei comuni interessati (tra i quali, oltre San Remo e Venezia, figura anche Campione d'Italia) e, altresì, nelle finalità pubbliche di particolare rilievo, quali l'assestamento di bilancio e la realizzazione di opere pubbliche indilazionabili, cui le entrate ricavate dalla gestione delle rispettive case da gioco, vengono destinate;
          fino al 2012, la Casa da gioco è stata gestita da una società per azioni, la «Casinò Municipale di Venezia S.p.A.» (in prosieguo CMV S.p.A.) con capitale interamente di proprietà dell'ente locale;
          il comune di Venezia ha deciso, con delibera del consiglio comunale n.  34 del 23 aprile 2012, «...che il servizio di gestione della Casa da Gioco del Comune di Venezia, autorizzato ai sensi del regio decreto-legge n.  1404 del 16 luglio 1936, venga eventualmente affidato a terzi tramite procedura ad evidenza pubblica secondo le modalità ed i termini indicati nelle premesse»;
          tra le premesse della delibera si descrive come l'autorizzazione, di cui sopra, sia «rilasciata al fine di incrementare, attraverso i relativi introiti, gli stanziamenti ordinari del Bilancio dell'amministrazione comunale, per far fronte alle complessità economico-sociali della Città di Venezia» e ancora come la Casa da Gioco «ha garantito entrate importanti, che sono state utilizzate dall'Ente per l'erogazione di servizi alla popolazione indispensabili e irrinunciabili, garantendo con elevati standard qualitativi e quantitativi»;
          nella stessa delibera si spiega poi che «la natura aleatoria delle entrate della Casa da Gioco, ha comportato, in questi ultimi anni (2007-2011), anche a causa della crisi del mercato del gioco d'azzardo in Italia e nel mondo, la diminuzione delle entrate che, correlata alla dinamica dei costi strutturali della società e al regime convenzionale con il Comune di Venezia, ha determinato una situazione economico-finanziaria della società particolarmente critica» e questo ha comportato che il comune «ha dovuto, nel corso degli ultimi esercizi, intervenire sia attraverso la revisione del cosiddetto «minimo garantito lordo» previsto nella Convenzione, che attraverso alcuni interventi di ricapitalizzazione e di copertura perdite del bilancio della società; in particolare il cosiddetto «minimo garantito lordo» è stato ridotto: per l'esercizio 2009, da Euro 107 milioni a Euro 99,5 milioni, per l'esercizio 2010, da Euro 107,5 milioni a Euro 93,5 milioni, per l'esercizio 2011 a Euro 70 milioni, fermo restando il pagamento a carico del comune di Venezia della concessione governativa e delle imposte inerenti e conseguenti il ristorno a favore della società;
          con nota, protocollo n.  2118 dell'8 febbraio 2012, l'avvocatura generale dello Stato ha fornito uno specifico parere, richiesto ad essa dal Ministero dell'interno – dipartimento per gli affari interni e territoriali, nel quale si prendono in considerazione le varie «forme» applicabili alla gestione del Casinò di Venezia, i cui introiti, a detta dello stesso parere, vanno considerati «entrate pubblicistiche di natura tributaria». Nel preambolo, l'avvocato incaricato ricorda che «nella richiesta di parere si segnala che la modifica della forma di gestione, viene invocata dall'Ente territoriale a fronte della situazione di crisi in cui versa la società pubblica, le cui perdite si riflettono sul bilancio del Comune» e poi ancora che «le continue perdite registrate nel bilancio della società pubblica, dunque, andrebbero di fatto a riflettersi sulla qualità dei servizi forniti alla comunità locale nonché sul bilancio complessivo dell'Ente. Di qui la valutazione di alterne soluzioni di affidamento della gestione a soggetti terzi...»;
          il citato parere ha rivestito un'importanza decisiva nella predisposizione dell'operazione proposta dal Sindaco di Venezia al consiglio comunale, con delibera n.  34 del 2012, operazione che utilizza l'istituto giuridico della concessione, molto utilizzato nell'ambito dei servizi pubblici e che non prevede alcuna rigorosa quantificazione del valore d'impresa;
          la relazione sulla gestione del bilancio consolidato al 31 dicembre 2011 del gruppo societario CMV, analizza le cause del declino degli incassi della Casa da gioco attribuendone una natura prevalentemente congiunturale, affermando testualmente, a pagina 8, che il «beneficio netto a favore del comune di Venezia», per una generale contrazione del fatturato e dei risultati, si è «ridotto nel 2011 a 70 milioni di euro;
          la medesima relazione, a pagina 24, afferma che «sulla prospettiva della eventuale privatizzazione» si sarebbe aperta una «fase di agitazioni e di scioperi che purtroppo compromettono ulteriormente l'andamento degli incassi in un esercizio, il 2012, già fortemente condizionato dai fenomeni congiunturali descritti...»;
          ebbene, a fronte di quanto sopra, la Relazione sulla Gestione del Bilancio al 31 dicembre 2012 della subentrata società «Casinò di Venezia Gioco S.p.A.» (post «spacchettamento» tra l'area gioco e l'area immobiliare) afferma a pagina 14 che: «l'impresa-casinò, in sé considerata, nell'esercizio 2012 ha prodotto per il comune di Venezia un provento netto di circa 30 milioni di euro» smentendo, quindi, il quadro disegnato dall'ente locale al Ministero dell'interno ed a cui fa riferimento l'avvocatura Generale dello Stato quando parla di «continue perdite..»;
          i documenti di bilancio sopra citati considerano l'esercizio 2012 come un esercizio di «profonda ristrutturazione» e cionondimeno il risultato netto a favore del comune di Venezia si è confermato positivo;
          il comune di Venezia, come placidamente ammesso nella delibera di cui sopra, ha ricavato dalla Casa da Gioco, gestita per il tramite di una vera e propria società per azioni, un quid definito «minimo garantito lordo», riscosso ogni anno prima della chiusura dell'esercizio, in ragione del contratto di servizio sottoscritto, e contabilmente considerato alla stregua di un normale costo mentre l'ente locale, in qualità di azionista, avrebbe dovuto forse tenere per sé soltanto gli utili societari generati;
          il comportamento sopra descritto del comune di Venezia, ad avviso degli interroganti oltre a stridere con la disposizione dell'articolo 2627 del Codice Civile (illecita ripartizione di utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti), ha, di fatto, causato una netta diminuzione degli utili societari, pregiudicando conseguentemente l'accantonamento, ai sensi dell'articolo 2430 del codice civile, di una parte degli utili a riserva legale;
          i risultati della Casa da Gioco degli ultimi anni sono sintetizzabili come segue:
              a) nel 2003 il corrispettivo incassato dal comune, a titolo di «minimo garantito lordo», è stato pari a euro 101.020.865 mentre il risultato d'esercizio della società gestrice, partecipata al 100 per cento dal comune, è di solo euro 38.184;
              b) nel 2004 il corrispettivo incassato dal comune è stato di euro 99.488.167 mentre il risultato d'esercizio è stato negativo: perdita di euro 2.250.254;
              c) nel 2005 il corrispettivo incassato dal comune è stato di euro 78.497.097 mentre il risultato d'esercizio è stato anche qui negativo: perdita di euro 12.585.607;
              d) nel 2006 il corrispettivo incassato dal comune è stato di euro 105.426.679 mentre il risultato d'esercizio è stato di poco negativo: perdita di euro 66.338;
              e) nel 2007 il corrispettivo incassato dal comune è stato di euro 101.509.736 mentre il risultato d'esercizio è stato di appena euro 103.813;
              f) nel 2008 il corrispettivo incassato dal comune è stato di euro 91.255.647 mentre il risultato d'esercizio è stato piuttosto negativo: una perdita di euro 20.198.477;
              g) nel 2009 il corrispettivo incassato dal comune è sceso ad euro 74.773.687 mentre il risultato d'esercizio è stato ancora più negativo: una perdita di euro 30.602.543;
              h) nel 2010 il corrispettivo incassato dal comune è sceso ulteriormente ad euro 72.829.694 mentre il risultato d'esercizio di CMV S.p.A è stato ancora negativo: una perdita di euro 28.025.044;
              i) nel 2011 il corrispettivo incassato dal comune è cresciuto di poco fino ad euro 75.130.359 mentre il risultato d'esercizio della società per azioni è stato ancora negativo: una perdita di euro 16.133.009;
              j) nel 2012 il corrispettivo incassato dal comune è cresciuto ancora fino ad euro 92.644.400 e il risultato d'esercizio è tornato positivo con un utile di euro 2.340.816;
          i dati sopra elencati mostrano che, effettivamente, per varie annualità si sono registrate delle perdite d'esercizio ma si può anche ben vedere che, in quegli stessi anni, il comune di Venezia ha comunque attinto risorse ben più sostanziose dalla Casa da Gioco rispetto alla perdita d'esercizio di fine anno, eventualmente da ripianare;
          ad esempio, nel 2004, si è avuta una perdita di poco meno di 3 milioni di euro ma il Comune ne ha «prelevati», come corrispettivo pattuito nel contratto di servizio, quasi 100. O ancora nel 2011, si registra una perdita di 16 milioni di euro ma il comune incassa un corrispettivo pari a ben 75 milioni: se l'ente locale avesse attinto soltanto 59 milioni la società CMV S.p.A non avrebbe avuto alcuna perdita;
          il parere rilasciato dall'Avvocatura generale dello Stato, evidentemente emesso nel quadro e nel contesto di una collaborazione fra amministrazioni pubbliche, appare privilegiare l'individuazione celere di un procedimento tecnico-giuridico formalmente appropriato rispetto ad una corretta e ponderata valutazione economica dell'operazione palesata dal comune al Ministero dell'interno, per consentire al comune stesso di porre fine alle «continue perdite registrate nel bilancio della società pubblica», perdite che «andrebbero di fatto a riflettersi sulla qualità dei servizi forniti alla comunità locale nonché sul bilancio complessivo dell'Ente». Risulta evidente, in particolare, una contraddizione fra il presupposto indicato dal parere, e cioè lo stato di crisi della società, e i risultati reali prodotti dalla Casa da Gioco;
          l'istituto della concessione è normalmente impiegato in tutti quei casi in cui l'interesse pubblico riguarda l'attività esercitata (spesso un «pubblico servizio» o una «opera pubblica») piuttosto che i corrispettivi ed i profitti della stessa, come accade per il Casinò e per la relativa concessione;
          sono state avanzate da più parti, nella stampa locale, molti dubbi circa l'effettiva convenienza economica dell'operazione  –:
          se, a quanto consti al Governo, l'Avvocatura dello Stato abbia, nell'esprimere il parere ricordato, approfondito sufficientemente le motivazioni ed i presupposti dell'istanza presentata dall'ente locale o si sia invece semplicemente attenuta a quanto prospettato dall'amministrazione confidando nella bontà dei fatti narrati;
          se, in particolare, l'avvocatura abbia colto, e tenuto nella debita considerazione, il dato incontrovertibile secondo cui il Casinò ha sempre costituito per il comune di Venezia una fonte di guadagno, e non una causa di perdite;
          se non si ritenga opportuno, alla luce del potere derogatorio in capo al Ministero dell'interno per il gioco d'azzardo e delle motivazioni che sostenevano ab origine tale scelta per la città di Venezia (formalmente, le medesime del Comune di Sanremo ovvero «addivenire all'assestamento del proprio Bilancio e all'esecuzione delle opere pubbliche indilazionabili»), verificare in modo più approfondito i presupposti dell'operazione, come descritti dal comune e/o dalle sue società partecipate (stato di crisi della società, perdite di bilancio) con riferimento particolare alle cifre del cosiddetto «minimo garantito lordo» e quelle dell'utile/perdita societaria registrata a fine anno;
          se, in accordo con gli obbiettivi della deroga rilasciata dal Ministero a favore del comune di Venezia e della sua cittadinanza, non sia maggiormente proficuo esprimere parere negativo alla cessione della gestione del Casinò, quanto meno nei termini poco vantaggiosi posti a base del bando di gara, considerate le floride prospettive di crescita del settore cui fa cenno l'analisi dell’advisor incaricato. (5-01214)

Interrogazione a risposta scritta:


      BIONDELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          nella giornata di giovedì 10 ottobre 2013, intorno alle ore 17,30 un violento nubifragio si è abbattuto sul comune di Borgomanero, nel Novarese;
          si tratta di una vera e propria «bomba d'acqua», come descritta dai vigili del fuoco chiamati tra le 19,00 e le 20,00 ad un centinaio di interventi;
          il forte temporale a cui è seguita la grandine ha mandato in tilt la viabilità allagando strade case esercizi commerciali, campi agricoli nonché anche le corsie dell'ospedale dove alcuni pazienti ricoverati sono stati trasferiti d'urgenza in altre strutture mediche della zona;
          alla fine sono caduti 105 millimetri di pioggia in meno di un'ora e mezzo metro di grandine, una grandinata così significativa che ha prodotto sui marciapiedi e lungo le strade, come anche nei giardini, degli strati che hanno ricordato la neve;
          la situazione è drammatica e necessita di interventi urgenti;
          i danni sono ingenti e non è stato ancora possibile quantificarli  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda promuovere, attraverso    gli uffici competenti, per il riconoscimento, in considerazione degli eventi esposti in premessa, dello stato di calamità naturale in favore del comune di Borgomanero.
(4-02170)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


      RUSSO, COSTA, CARFAGNA, CASTIELLO, LUIGI CESARO, SARRO, CALABRÒ, PETRENGA e VITO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in Campania e più precisamente nell'area compresa tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, nota come «Terra dei fuochi», si è al cospetto di un'emergenza nazionale;
          la regione Campania per decine di anni è stata aggredita da un sistema di illegalità incentrato sulle infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti, dei rifiuti prevalentemente pericolosi, nocivi, rifiuti speciali provenienti d'ogni parte d'Italia e che illecitamente sono stati interrati in vaste aree del territorio campano;
          a questo drammatico evento si è aggiunto più di recente il fenomeno dei roghi dei rifiuti e dell'inquinamento causato dall'abusivo smaltimento e dall'abbandono incontrollato dei rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non, lungo una direttrice che interessa un area di circa cento chilometri quadrati, due provincie e circa sessanta comuni;
          il fenomeno ha origine nella saldatura di due elementi: da una parte, la reiterazione di taluni specifici comportamenti incivili e, dall'altra, la presenza di rilevanti interessi criminali ed economici che gravitano intorno al ciclo dei rifiuti e che coinvolgono in modo diretto e indiretto la criminalità organizzata;
          nel 2012 nelle aree delle due province di Napoli e Caserta sono stati registrati oltre seimila roghi illegali di rifiuti tossici e di scarti industriali, la cui combustione ha provocato la dispersione nel suolo, nell'aria e nelle falde acquifere di sostanze velenose, con il concreto rischio di pregiudicare la salubrità della catena alimentare;
          le produzioni agroalimentari della Campania sono fatte oggetto di una violenta ed ingiustificata discriminazione, che spesso rasenta l'illecito comportamento attraverso la pratica delle improprie triangolazioni di prodotto;
          appare indispensabile tutelare la sicurezza dei cittadini-consumatori, in primo luogo, ma anche individuare tutte le strategie possibili, con aiuti sotto forma di erogazioni di risorse e benefici fiscali, per tutelare gli imprenditori agricoli penalizzati anche da speculazioni prive di scrupoli;
          nella cittadinanza è alta la preoccupazione derivante da una serie di allarmanti e talvolta contraddittori dati di incremento di talune patologie neoplastiche e malformative;
          continua a tutt'oggi indisturbato sia il fenomeno dei roghi illegali che quello dell'interramento di rifiuti prodotti altrove;
          diventa indispensabile un «piano Marshall» per le bonifiche, magari individuando modalità innovative nelle priorità delle aree da sottoporre a bonifica ed adottando soluzioni compatibili con le destinazioni delle aree e le migliori e moderne tecniche di bio e fitobonifiche;
          non si può prescindere da un contrasto efficace nei confronti di una criminalità organizzata pervasiva e priva di scrupoli, che, come confermato da importanti indagini della magistratura e da recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, è la principale responsabile dello sversamento di quantità rilevantissime di rifiuti speciali provenienti dal Nord Italia;
          sembra indispensabile operare sotto il profilo della sorveglianza, coordinando e meglio utilizzando le forze di polizia, con l'ausilio – altresì – delle Forze armate;
          è assolutamente indispensabile in tempi rapidi predisporre una specifica attività di mappatura dei siti inquinati, individuando, in maniera specifica, le aree destinate a produzioni food ed aree destinate a produzioni no food  –:
          quali tempestive ed improcrastinabili iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per far fronte a quella che, prima di essere un'emergenza ambientale, sanitaria e dell'agricoltura, rappresenta un'emergenza sociale, in quanto mette a rischio il principio stesso della civile convivenza, nonché l'esistenza stessa della comunità attuale e delle generazioni future. (3-00382)


      FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 luglio 2013, il gruppo Misto-Centro Democratico ha presentato un'interrogazione a risposta immediata relativa al gravissimo tema della cosiddetta Terra dei fuochi;
          nel corso della sua risposta, il Ministro interrogato ha affermato essere uno dei suoi primi impegni il contrasto a questo fenomeno ed ha illustrato quanto fatto sino a quel momento e quanto previsto di fare in seguito;
          sono evidenti a tutti le difficoltà, politiche ed economiche, nelle quali si muove l'azione del Governo, ma a tre mesi da quell'atto di sindacato ispettivo, purtroppo, poco o nulla sembra cambiato in meglio;
          il dramma della «Terra dei fuochi», come sottolineato anche dai più alti vertici istituzionali, è certamente una questione nazionale e per le bonifiche è necessario trovare una disponibilità di risorse minimamente adeguata per affrontare e risolvere la questione;
          si tratta, occorre ribadirlo ancora una volta, di una realtà tragica, che coinvolge la salute di migliaia e migliaia di cittadini italiani;
          le parole forti e chiare delle più alte autorità dello Stato e quelle del cardinale Sepe sono certamente importanti per le popolazioni locali, che si sentono meno sole e abbandonate, ma da sole non bastano; sono necessarie risorse adeguate per affrontare un fenomeno che uccide spietatamente e in silenzio coloro che hanno la disgrazia di vivere in zone che una volta erano dette, a giusta ragione, «Campania felix»;
          la regione Campania ha dichiarato di avere pronti 5 milioni di euro per contrastare i fenomeni più gravi. Si tratta di un fatto di certo importante, ma che rischia di essere una goccia in un mare; appare chiaro, infatti, che quel che manca non sono solo le risorse economiche, ma anche un'organizzazione che sia in grado di gestire concretamente e con efficienza le risorse faticosamente rimediate;
          servono, infatti, regole chiare che riportino al centro le decisioni, sfoltendo quella filiera infinita di enti e organi che non riescono ad agire con efficacia, mentre quella che brucia è la nostra casa, la vita e la salute delle persone  –:
          quali ulteriori iniziative stia attuando il Governo e se sia in grado di definire con chiarezza, per quanto di sua competenza, ed anche temporalmente, gli obiettivi e i mezzi per risolvere quanto prima una situazione sempre più intollerabile.
(3-00383)


      MIGLIORE, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, RAGOSTA, ZAN, PELLEGRINO, ZARATTI, FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          vaste aree della Campania, in particolare i territori a nord di Napoli e a sud di Caserta, hanno subito negli ultimi trent'anni un'autentica e impietosa devastazione, soprattutto per il sistematico smaltimento illegale di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del Nord e dal tessuto dell'economia illegale nazionale;
          nella regione Campania è stato rilevato un gravissimo inquinamento ambientale, specificatamente, per la presenza di diossine e metalli pesanti, come, ad esempio, l'arsenico, e rifiuti tossici di varia natura con contaminazione, per percolazione, delle falde acquifere, cagionando gravissime ripercussioni su tutta la catena alimentare, con un aumento delle malattie tumorali, respiratorie e delle malformazioni congenite, come provato da numerose indagini svolte da medici e giornalisti nel corso degli ultimi anni; l'area a nord di Napoli e l'area meridionale della provincia casertana hanno pagato un prezzo troppo alto in termini di salute pubblica e sicurezza del territorio per le infiltrazioni delle organizzazioni criminali nella gestione del ciclo dei rifiuti;
          nell'area di Taverna del Re, nel comune di Giuliano (Napoli), ubicata a cavallo tra il confine delle province di Napoli e Caserta, sono accatastate, secondo alcune stime, a tutt'oggi, oltre sei milioni di tonnellate di ecoballe e ben 15 discariche abusive con presenza di rifiuti tossici;
          nel territorio giuglianese sono presenti già 46 discariche tra autorizzate e non, oltre ad un impianto di tritovagliatura dei rifiuti ed un sito di stoccaggio di ecoballe;
          il 14 ottobre 2013 si è avuta la prima seduta di «prequalifica al dialogo competitivo» per la realizzazione dell'inceneritore di Giugliano. L'impianto sarà destinato a bruciare le ecoballe, fuori norma, stoccate tra Giugliano, Villa Literno (Caserta), Caivano (Napoli) ed altri siti sparsi per la Campania. Al momento non è dato sapere la quantità di rifiuti che l'inceneritore brucerà quotidianamente;
          lo stesso giorno numerosi cittadini e comitati locali hanno manifestato la loro preoccupazione per la realizzazione dell'impianto. La tensione verificatasi ha comportato anche una carica da parte delle forze dell'ordine per liberare i locali dell'assessorato regionale all'ambiente, che, nel frattempo, era stato occupato dagli stessi;
          la cosiddetta Terra dei fuochi comprende, oltre al comune di Giuliano, anche i comuni di: Qualiano (Napoli), Orta di Atella (Caserta), Caivano (Napoli), Acerra (Napoli), Nola (Napoli), Marcianise (Caserta), Succivo (Caserta), Frattaminore (Napoli), Frattamaggiore (Napoli), Mondragone (Caserta), Castelvolturno (Caserta) e Melito di Napoli (Napoli);
          il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, in un'intervista al quotidiano la Repubblica pubblicata il 22 settembre 2013, dal titolo: «Roberti, sulla Terra dei fuochi subito la bonifica», ha dichiarato che sul dramma della «Terra dei fuochi», avvelenata dai rifiuti tossici, la magistratura sta facendo la propria parte, con le inchieste e i processi, ma che adesso bisogna fare scelte ben precise, che non toccano alla magistratura, rispetto a se si vuole lasciar marcire il territorio o se invece non è arrivato il momento di partire con le bonifiche;
          nel corso dell'intervista il dottor Roberti ha spiegato che, attualmente, non è solo la camorra ad avvelenare il territorio campano; le inchieste hanno fatto emergere figure di personaggi che non possono essere catalogati come mafiosi, ma recitano un ruolo di primo piano nelle attività di inquinamento: ad esempio, aziende zootecniche che, invece di smaltire i rifiuti secondo legge, li sversavano direttamente nei corsi d'acqua, situazione questa con cui la camorra ha poco o nulla a che fare, oppure, in altri casi, le mafie entrano in scena solo nella seconda fase, quando a loro si rivolgono soggetti esterni alle organizzazioni che trovano più conveniente liberarsi illegalmente dei rifiuti;
          proprio a Giugliano, in particolare nella zona di Casacelle, il 22 settembre 2013 si sviluppato un vasto incendio che ha bruciato materiali di risulta abbandonati abusivamente in quella che s’è rivelata essere una vera e propria discarica a cielo aperto, come riporta l'articolo «Terra dei fuochi – vasto incendio a Giugliano, in fiamme rifiuti abbandonati in una discarica a cielo aperto. Paura per gli abitanti della zona», pubblicato il 22 settembre 2013 dal quotidiano online Telecapri News;
          il 26 settembre 2013, il nucleo investigativo provinciale di polizia ambientale e forestale del comando provinciale di Napoli, in località Sanganiello, «Terra dei fuochi», comune di Caivano, ha individuato una discarica interrata, con 60 fusti da 25 litri, si tratta in genere di vernici e solventi usati per le automobili, tirati fuori uno dopo l'altro da un metro e mezzo di profondità. Un contenitore viene «grattato», è incisa la scritta «Milano». Più in profondità, a quattro metri, ci sono le morchie, sostanze gommose impregnate di solventi; con gli scavi suddetti, non vengono trovati soltanto vernici e solventi. Riemergono anche blocchi di calcestruzzo e di pavimentazione stradale, manufatti che contengono amianto, mattonelle, scorie di attività industriali;
          gli episodi citati sono soltanto gli ultimi in ordine di tempo. La drammatica situazione è stata fatta emergere negli ultimi anni grazie al lavoro di magistratura, forze dell'ordine, giornalismo d'inchiesta e comitati locali;
          il 24 agosto 2013 un'intervista al collaboratore di giustizia Carmine Schiavone trasmessa dal canale televisivo satellitare Sky Tg24 ha svelato come, nel corso di audizioni nella Commissione sulle ecomafie nel 1997, siano stati rivelati i luoghi esatti dove la camorra ha interrato l'immondizia più pericolosa, tra cui cassette di piombo con materiale nucleare provenienti dal Nord Europa, come riportato anche dall'articolo «Schiavone: »Ho detto dove sono i rifiuti tossici, non bonificano perché costa troppo«», pubblicato dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2013;
          secondo il suo racconto, Schiavone avrebbe consegnato alla commissione d'inchiesta documenti e appunti con l'indicazione delle società coinvolte, delle targhe dei mezzi usati e dei luoghi degli smaltimenti, sentendosi di rimando rispondere che una bonifica delle aree è impossibile perché eccessivamente gravosa per le casse dello Stato, come riporta sempre Il Fatto Quotidiano, in data 31 agosto 2013, nell'articolo «Traffico di rifiuti, il boss pentito Carmine Schiavone: “Mie denunce inascoltate”»;
          a parere degli interroganti, tali considerazioni sono inaccettabili perché, in assenza di tempestivi ed adeguati interventi di bonifica, sarebbe compromesso, irrimediabilmente, il diritto a vivere in un ambiente pulito e salubre delle generazioni presenti e future, esponendole a malattie e morte;
          alla luce di quanto esposto sopra, la tecnica dell'incenerimento non appare la più appropriata per risolvere l'attuale emergenza. Anche l'Unione europea ha stabilito che l'incenerimento è una tecnica obsoleta e che dovranno man mano essere spenti tutti quelli presenti nel mondo, mentre numerose ricerche scientifiche (ad esempio, quelle del professor Stefano Montanari e di Paul Connett) hanno dimostrato che tutti gli inceneritori provocano danni irreversibili alla salute umana a causa dell'emissione di diossine e nano particelle, che, senza alcun filtro, finiscono direttamente nei polmoni della cittadinanza e nel ciclo biologico delle terre in questione e, conseguentemente, anche nella catena alimentare;
          secondo gli interroganti, questo continuo stato di emergenza in cui si trovano i territori a nord di Napoli, di cui si parla in tutto il mondo, richiama all'ineludibile responsabilità di avviare politiche capaci di consentire una rapida e definitiva uscita dall'emergenza, anche mediante politiche di ciclo virtuoso dei rifiuti, seguendo tasselli propedeutici l'uno all'altro  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per procedere alla rapida e completa bonifica delle aree sopra citate, che, nel corso degli anni, sono diventate uno «sversatoio», con discariche di «tal quale», roghi tossici, discariche abusive, cemento inquinato e terreni avvelenati, e, in particolare, quali azioni concrete intenda adottare affinché si utilizzi un metodo di smaltimento delle ecoballe, alternativo all'incenerimento, che non peggiori il già altissimo livello di inquinamento del compromesso territorio giuglianese. (3-00384)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SANI e FAENZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dai lupi hanno assunto negli ultimi anni dimensioni notevoli, con ripercussioni allarmanti che incidono negativamente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, anche sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
          l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), attraverso l'elaborazione di specifiche ricerche, ha rilevato che nel nostro paese i lupi, dopo aver rischiato l'estinzione, si sono riadattati a sopravvivere in raggruppamenti, localizzabili in alcune aree isolate dell'Appennino centrale e meridionale, riapparendo successivamente in vaste zone lungo l'intera dorsale appenninica e sulle Alpi Marittime, interessando anche aree con grande vocazione rurale e densamente popolate dall'uomo e da attività zootecniche;
          si sono registrati, negli ultimi mesi, attacchi di lupi ad aziende soprattutto nel centro Italia, ultima in ordine di tempo quella che ha colpito nel mese di ottobre 2013 un allevamento ovino nel comune di Scansano (provincia di Grosseto) dove sono state uccise oltre 70 pecore;
          dalla dinamica di tali episodi (verificatisi in strutture protette da appositi recinti rinforzati) e dalle conseguenze spesso drammatiche degli attacchi (interi allevamenti vengono distrutti se ai capi uccisi si aggiungono quelli feriti gravemente ed i conseguenti problemi di riproduzione) risulta evidente che non si tratta di incursioni di lupi isolati ma di veri e propri branchi che potrebbero, se tale fenomeno venisse sottovalutato, rappresentare un problema di sicurezza anche per l'uomo soprattutto nelle zone marginali;
          in alcune aree del territorio nazionale ad alta vocazione agricola, l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi agli allevamenti, sta quindi causando un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra le imprese e gli addetti interessati;
          tale fenomeno assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
          è utile inoltre ricordare che il fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle aziende zootecniche ed agricole ha già indotto la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati a svolgere, nel corso della XVI legislatura, una specifica indagine conoscitiva dedicata al fenomeno, alla quale ha fatto seguito l'avvio dell'esame di proposte di legge volte ad adeguare il quadro normativo vigente, che tuttavia non è stato possibile portare a conclusione entro la fine della legislatura;
          il lupo è tutelato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Berna («Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa»). L'articolo 9 della Convenzione permette, in presenza di determinati presupposti, alcune deroghe alle rigorose disposizioni contemplate per le specie animali elencate; qualora non vi sia altra soluzione soddisfacente e la deroga non debba nuocere alla sopravvivenza della popolazione interessata, gli animali delle specie in questione possono essere abbattuti per prevenire, tra l'altro, danni significativi al bestiame;
          in base all'articolo 9 sopracitato, la Svizzera ha autorizzato l'abbattimento di alcuni lupi appartenenti alla popolazione presente nell'arco alpino e responsabili di gravi danni ad animali da reddito;
          a livello europeo il lupo (definizione ufficiale canis lupus) è una specie identificata e tutelata dalla Direttiva 92/43CE (cosiddetta «direttiva habitat»);
          nonostante l'articolo 12 di tale Direttiva vieti «qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata sulle specie», permette comunque agli Stati membri di mettere in atto delle azioni di gestione in deroga. L'uso di deroghe dipende interamente dalle autorità competenti degli stati membri (in questo caso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e deve soddisfare tre condizioni:
              dimostrare che la deroga è necessaria;
              dimostrare che non ci sia alternativa soddisfacente all'azione in deroga;
              dimostrare che l'azione in deroga non abbia impatto negativo sullo stato di conservazione della specie;
          in Francia (altra nazione dove sono frequenti attacchi di lupi alle aziende agricole e zootecniche) è stato recentemente presentato dal governo il «Piano per il lupo 2013-17» dove è stata introdotta la possibilità di catturare gli «esemplari» per scopo «educativo». Comunque, sulla base dei parametri stabiliti dalla convenzione di Berna, in Francia non si potranno abbattere più di 11 lupi l'anno;
          non esiste in Italia una legge nazionale che regoli la conservazione o la gestione delle specie protette. La Legge numero 157 del 1992 infatti indica solamente che le specie protette non possono essere sottoposte a prelievo venatorio;
          in Italia «il Piano di azione nazionale per la conservazioni dei lupi», redatto dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) nel 2012 raccoglie una serie di raccomandazioni per gli enti locali da attuare in maniera sinergica e concordata. La sua validità era di 5 anni ed è quindi quanto mai necessario un aggiornamento capace di analizzare la situazione pregressa, anche al fine di elaborare protocolli di intervento che prevedano un monitoraggio continuo della popolazione ed azioni di prevenzione e salvaguardia capace di promuovere una effettiva e persistente sostenibilità territoriale della presenza del lupo;
          è comunque necessario che ogni politica territoriale sulla gestione dei lupi sia basata su conoscenze scientifiche comprovate, su una pianificazione territoriale ampia e condivisa da tutti gli enti e le istituzioni preposte e su un compromesso sostenibile con l'ambiente, l'insediamento umano e le attività economiche e produttive inerenti;
          la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato il 19 giugno 2013 una risoluzione congiunta (numero 8-00003: «Iniziative in materia di danni causati all'agricoltura dalla fauna selvatica o inselvatichita») che impegna il governo, anche per ciò che concerne le politiche di gestione dei lupi, a proseguire iniziative di monitoraggio, studio e ricerca a livello nazionale coinvolgendo anche le istituzioni territoriali e le associazioni interessate, per promuovere misure efficaci e concordate di prevenzione e sostegno per i danneggiamenti subiti dalle aziende, utilizzando anche fondi europei. La risoluzione impegna inoltre l'esecutivo ad «assumere in sede europea, previa verifica delle misure adottate da altri Paesi europei per fronteggiare problemi analoghi, le iniziative eventualmente necessarie per adeguare il quadro normativo vigente alle esigenze dell'agricoltura italiana, al fine di assicurare la sostenibilità delle attività agricole e zootecniche nel rispetto delle esigenza di tutela delle specie animali»  –:
          se, alla luce di quanto espresso in premessa, non sia prioritario dare mandato all'Ispra di aggiornare «il Piano di azione nazionale per la conservazioni dei lupi» comprensivo di un censimento dell'attuale presenza in Italia di tale specie animale; quale documento scientifico propedeutico a qualsiasi efficace e corretta politica di gestione di tale fenomeno;
          se non ritenga conseguentemente necessario, coerentemente con la risoluzione numero 8-00003, assumere provvedimenti urgenti al fine di introdurre gli strumenti più idonei a garantire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, per salvaguardare al tempo stesso le attività di reddito per le comunità locali e la conservazione e la valorizzazione delle peculiarità faunistiche ed ambientali del territorio. (5-01212)


      CARIELLO, DE LORENZIS, FEDRIGA, DE ROSA, TOFALO, D'AMBROSIO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la direttiva 92/43/CEE aveva dettato i criteri per la salvaguardia della biodiversità nell'ambito del territorio europeo e quindi per la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e fauna selvatica;
          in particolare, gli Stati membri avrebbero dovuto designare quali «zone speciali di conservazione» alcuni siti di importanza comunitaria che rappresentavano aree naturali di straordinario interesse ambientale e paesaggistico, quali ad esempio le Dolomiti d'Ampezzo, l'isola di Capraia, l'Alta Murgia, le Dolomiti di Pietrapertosa, l'isola di Marettimo, l'isola di Levanzo, l'isola di Lampedusa, le isole di Filicudi e Alicudi, il bosco del Sasseto, i monti Reatini, l'isola di Stromboli;
          al fine di attuare concretamente le direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE, con deliberazione del 2 dicembre 1996, il soppresso Comitato per le aree naturali protette del Ministero dell'ambiente integrava l'articolo 3, comma 4, della legge quadro n.  394 del 6 dicembre 1991, considerando come aree protette:
              a) i parchi nazionali;
              b) le riserve naturali statali;
              c) i parchi naturali interregionali;
              d) i parchi naturali regionali;
              e) le riserve naturali regionali;
              f) le zone umide di importanza internazionale (ai sensi della convenzione di Ramsar, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  448 del 13 marzo 1976);
              g) le zone di protezione speciale (ai sensi della citata direttiva 79/409/CEE, concernente in particolare la conservazione degli uccelli selvatici);
              h) le zone speciali di conservazione, (ai sensi della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche);
              i) altre aree naturali protette;
          pertanto, le zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC) venivano classificate dallo stesso Ministero come aree naturali protette (tale delibera è stata poi integrata dalla deliberazione della Conferenza per i rapporti Stato-regioni del 26 marzo 2008);
          per di più, tale classificazione veniva condivisa e fatta propria dalla Cassazione penale, sez. III, che, con sentenza n.  30 del 5 gennaio 2000, affermava che «nella nozione di area naturale protetta (secondo la più recente classificazione operata, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, della legge n.  394 del 1991, con deliberazione 2 dicembre 1996 del Ministero dell'ambiente, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  139 del 17 giugno 1997) rientrano – oltre ai parchi nazionali – i parchi naturali interregionali e regionali, le riserve naturali statali e regionali, le aree protette marine, le zone umide di importanza nazionale ai sensi della convenzione di Ramsar, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  448 del 13 marzo 1976, le zone di protezione speciale degli uccelli selvatici 79/409/CEE, le zone speciali di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ai sensi della direttiva 92/43/CEE».
      Inoltre, si precisava che alle aree naturali protette si applicano i limiti di salvaguardia previsti dalla legge-quadro n.  394 del 6 dicembre 1991, compresa la relativa tutela penale;
          sempre in attuazione delle direttive comunitarie citate, con decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n.  357, veniva introdotto anche un procedimento di valutazione d'incidenza per i progetti che ricadono in siti d'importanza comunitaria (SIC) ed in zone di protezione speciale, nonché per i progetti che si riferiscono ad interventi ai quali non si applica la procedura di valutazione di impatto ambientale;
          nonostante la piena e necessaria vigenza della normativa comunitaria e nazionale appena esposta, avente la finalità di tutelare valori ambientali di notevole interesse pubblico, con decreto del 25 marzo 2005, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare annullava la precedente delibera del 2 dicembre 1996 (recante il titolo «classificazione delle aree protette»), sulla base del presupposto, ad avviso degli interroganti illogico, che l'equiparazione delle zone di protezione speciale e zone speciali di conservazione alle aree naturali protette avrebbe «di fatto alimentato una conflittualità interpretativa che ha ostacolato la realizzazione gli obiettivi previsti dalle direttive comunitarie 79/409/CEE e 92/43/CEE e della relativa normativa di recepimento»;
          tale provvedimento, inoltre, confermava la delega alle regioni delle modalità di attuazione delle misure di conservazione;
          ciò costituiva, ad avviso degli interroganti, un vulnus rispetto al regime di tutela vigente in precedenza, che aveva impedito, in senso esattamente opposto a quanto affermato nel decreto ministeriale, l'attuazione di progetti in contrasto con gli obiettivi di salvaguardia perseguiti dalle direttive comunitarie;
          pertanto, l'Associazione «Verdi Ambiente e società» - Onlus (Associazione nazionale di protezione ambientale, riconosciuta ex articolo 13 della legge n.  349 del 1986, con decreto del Ministero dell'ambiente 29 marzo 1994), che aveva già lottato per la tutela dell'Alta Murgia in sede penale, proponeva ricorso innanzi a T.A.R. Lazio-Roma che, con ordinanza n.  6856 del 24 novembre 2005, accoglieva l'istanza cautelare proposta contestualmente al ricorso di primo grado, ritenendo che: «il ricorso ad una sommaria delibazione consentita in sede cautelare, appare assistito da sufficiente fumus boni juris, laddove sostanzialmente si contesta la logicità del presupposto della «conflittualità interpretativa» richiamata nel provvedimento impugnato che avrebbe, se mai, legittimato interventi diversi da quelli del mero annullamento della deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato delle aree naturali protette»;
          tale decisione veniva poi confermata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza del 14 febbraio 2006, in cui si precisava che: «...l'accoglimento del ricorso in appello determinerebbe l'immediato venire meno di misura di tutela ambientale più rigorose...»;
          dopo la discussione dell'istanza cautelare, si costituivano in giudizio il comune di Altamura, il Comitato delle organizzazioni produttive dell'Alta Murgia e diverse ditte proprietarie di cave ricadenti nel territorio dell'Alta Murgia, qualificatisi come controinteressati, attraverso memorie di mera forma, e successivamente depositavano un'istanza di prelievo;
          pertanto, il T.A.R. adito fissava la discussione del ricorso in questione, e con la sentenza impugnata, dichiarava lo stesso ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione da parte dell'associazione ambientale;
          in particolare, lo stesso giudice affermava che: «l'intervenuta modifica normativa disposta dalla citata deliberazione del 26 marzo 2008 della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni produce il medesimo effetto che l'impugnazione proposta avrebbe voluto impedire»;
          vero è, invece, che, a prescindere dalla specifica normativa applicabile alle zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC), la deliberazione de qua ha non solo riconosciuto la piena efficacia della delibera del 2 dicembre 1996, ma ha anche integrato il contenuto di quest'ultima deliberazione;
          infatti, la stessa Conferenza Stato-regioni ha integrato la stessa delibera aggiungendo l'articolo 2-bis, che prevede l'applicazione indifferenziata alle zone di protezione speciale del regime di protezione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997 e della (più rigorosa) normativa successiva ora vigente in materia ambientale, ovvero l'applicazione del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007, avente ad oggetto «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS) e ai relativi provvedimenti regionali di recepimento ed attuazione», nonché il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 3 settembre 2002, avente ad oggetto «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000»;
          sul tema è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n.  2885 del 18 maggb 2012 (sez. VI), ha, riformato la sentenza T.A.R. Campania, NA, 23 maggio 2007, n.  5941 e ha statuito che le zone di protezione speciale – ma l'assunto può essere ragionevolmente esteso ai siti di interesse comunitario – non possono essere assimilate alle aree naturali protette di cui alla legge n.  394 del 1991 e successive integrazioni e modificazioni per difetto del necessario procedimento previsto per legge; ne discende che il regime giuridico delle aree ricadenti nella Rete Natura 2000 (direttiva n.  92/43/CEE e n.  2009/147/CE) debba rimanere distinto da quello delle aree naturali protette (legge n.  394 del 1991 e successive integrazioni e modificazioni) –:
          se il Ministro non ritenga che, vuoi a causa di possibili errori nella trasposizione della normativa europea vuoi per una stratificazione legislativa che ha contribuito a rendere il quadro normativo incerto e confuso, vi sia un'oggettiva quanto ingiustificata differenza di regime giuridico tra le zone di protezione stabilite ai sensi delle direttive comunitarie e le aree naturali protette, così come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n.  394, recante legge quadro sulle aree protette, e se non intenda promuovere le opportune iniziative normative per armonizzare e dare certezza al regime giuridico di tutte le aree di interesse naturalistico che l'ordinamento vigente riconosce come meritevoli di tutela. (5-01217)

Interrogazione a risposta scritta:


      SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dai rubinetti di Brescia scende acqua sempre più carica di cromo esavalente;
          il cromo esavalente «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stato classificato dalla IARC come cancerogeno per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT); diversi studi hanno dimostrato che è molto tossico se ingerito o se i fumi vengono respirati;
          l'aumento del cromo esavalente nell'acqua di Brescia è legato al passato industriale della zona: i bagni di cromo sono una protezione essenziale per tutte le lavorazioni metalliche (dalle posate alle armi), e fino a pochi anni fa le scorie liquide venivano scaricate semplicemente nei corsi d'acqua e nel terreno e infatti nel Mella per decenni sono finiti quintali e quintali di liquidi tossici che hanno inquinato i pozzi nella bassa valle, parte della città, fino ad arrivare nella Bassa, il granaio della provincia. Oggi non sono aumentate le fonti inquinanti, ma i veleni rilasciati nell'ambiente in passato proseguono inesorabili la loro discesa e stanno dunque percolando fino alla falda profonda;
          i dati forniti dalla ASL nell'ultimo rapporto di agosto indicano una concentrazione crescente del cromo esavalente nell'acqua di rubinetto, giunta a 10 microgrammi per litro, con picchi nelle zone ovest della città e nella bassa Valtrompia, con un aumento rispetto a febbraio anche in zona Lamarmora e Villaggio Sereno; dai rubinetti scende acqua anche con 13 microgrammi di cromo esavalente per ogni litro, un inquinamento che rimane nonostante gli accurati filtraggi a cui il gestore sottopone l'acqua e che l'organismo umano assimila con gravi rischi per la salute;
          le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità fissano il limite di cromo esavalente a 2 mìcrogrammi per l'acqua destinata al consumo umano, mentre lo Stato della California ha recentemente abbassato il limite da 0,06 a 0,02 microgrammi per litro, quantità ben cinquecento volte inferiore alle concentrazioni medie presenti nell'acquedotto di Brescia;
          ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n.  31 del 2001, che dà attuazione alla direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, «Entro il 31 gennaio di ciascun anno, la regione o la provincia autonoma comunica al Ministero della sanità e dell'ambiente le seguenti informazioni relative ai casi di non conformità — dei parametri relativi alle acque destinate al consumo umano — riscontrati nell'anno precedente» in particolare indicando: «a) il parametro interessato ed il relativo valore, i risultati dei controlli effettuati nel corso degli ultimi dodici mesi, la durata delle situazioni di non conformità; b) l'area geografica, la quantità di acqua fornita ogni giorno, la popolazione coinvolta e gli eventuali effetti sulle industrie alimentari interessate; c) una sintesi dell'eventuale piano relativo all'azione correttiva ritenuta necessaria, compreso un calendario dei lavori, una stima dei costi e la relativa copertura finanziaria nonché disposizioni in materia di riesame»;
          ai sensi dell'articolo 8 del medesimo decreto legislativo «L'azienda unità sanitaria locale comunica i punti di prelievo fissati per il controllo, le frequenze dei campionamenti e gli eventuali aggiornamenti alla competente regione o provincia autonoma ed al Ministero della sanità secondo modalità proposte dal Ministro della salute (...) e trasmette gli eventuali aggiornamenti entro trenta giorni dalle variazioni apportate»;
          infine ai sensi dell'articolo 75 del decreto legislativo n.  152 del 2006, che concerne anche lo stato delle acque superficiali: «Con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Consiglio dei Ministri, sentito il soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via sostitutiva. Gli oneri economici connessi all'attività di sostituzione sono a carico dell'ente inadempiente. Restano fermi i poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente necessità e le disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla legislazione vigente, nonché quanto disposto dall'articolo 132»  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti indicati e se siano stati adottati provvedimenti anche urgenti in relazione alla situazione di cui in premessa, con particolare riferimento alla necessaria tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate, per garantire la salute e la tranquillità della popolazione;
          quale sia il quadro aggiornato della situazione di cui in premessa, e, qualora lo si ritenesse necessario, se si intenda convocare un tavolo tra tutte le parti istituzionali coinvolte per trovare una soluzione condivisa a salvaguardia del territorio e delle popolazioni locali;
          se sussistano i presupposti per l'invio di un'ispezione del Comando dei carabinieri per la tutela della salute per accertare la condizione delle acque destinate al consumo umano nella città di Brescia;
          se e come sia stata informata la popolazione sullo stato del loro territorio e dei rischi per la loro salute;
          se si intenda avviare in tempi rapidi, attraverso l'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica aggiornata sugli eventuali effetti nocivi dell'inquinamento della falda acquifera sulla salute dei cittadini;
          se sussistano i presupposti per un intervento ai sensi dell'articolo 75, comma 2, del decreto legislativo n.  152 del 2006, alla luce di quanto rappresentato in premessa. (4-02162)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


      OTTOBRE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 giugno 2013 la Direzione regionale della Liguria del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha richiesto al sindaco della Spezia la sospensione dei lavori relativi al progetto di trasformazione (progetto Vannetti-Buren) imposto dal comune – pur a fronte di un ampio movimento di protesta – nella nevralgica e pregiata area urbana del centro storico denominata piazza G. Verdi, i cui lavori sarebbero partiti all'indomani, con l'abbattimento del filare di pini domestici presente sull'asse centrale dell'immobile;
          la richiesta veniva motivata dalla direzione regionale con il fatto che, contrariamente alla richiesta fatta dalla soprintendenza ai, beni architettonici e paesaggistici della Liguria al comune della Spezia con protocollo n.  33062 in data 6 novembre 2012 – detto Comune non aveva ancora effettuato la necessaria verifica d'interesse culturale ai sensi dell'articolo 21 del Codice dei beni culturali e del Paesaggio e veniva pertanto invitato ad avviare tale procedura «con ogni possibile urgenza»;
          nella città della Spezia si andava subito aprendo un dibattito sulla reale età dei pini domestici presenti nella piazza, alimentato dalla consapevolezza delle decisive disposizioni introdotte dalla legge n.  10 del 2013 e dal fatto che l'attenzione puntata dai media sulla vicenda aveva permesso all'opinione pubblica cittadina di sapere che l’iter amministrativo del progetto era stato suffragato da una relazione storica, svolta dalla direttrice dei servizi culturali e degli archivi storici del comune della Spezia, in cui si dichiarava che la piantumazione del filare in questione fu fatta negli anni Cinquanta, periodo distante due decenni dalla realizzazione di Piazza Verdi;
          dopo pochi giorni, dal reperimento di atti incontrovertibili conservati presso l'archivio della Biblioteca Civica da parte di un cittadino e prontamente reso noto ai media, veniva accertato che la piantumazione dei pini domestici risale agli anni Trenta, stesso periodo di realizzazione del nuovo spazio urbano denominato piazza Verdi, e che pertanto quanto dichiarato dalla direttrice dei servizi culturali nella relazione tecnica circa l'età del filare di pini non sarebbe corretto;
          nel frattempo avveniva un carteggio fra il comune della Spezia, nella persona del responsabile del procedimento, ingegnere Canneti, e la Soprintendenza, da cui si evince che il Comune: trasmetteva alla soprintendenza i soli atti relativi a Piazza Verdi dal 1969 in poi; comunicava senza dare ulteriori dettagli «Pare che le essenze arboree poste sull'asse longitudinale della piazza abbiano subito nel tempo impianti e rimaneggiamenti così che potrebbero avere meno di anni settanta»; informava di voler procedere nei lavori nelle parti laterali della piazza;
          in data 21 giugno la soprintendenza comunicava nulla-osta ai lavori nelle parti laterali nelle more della verifica d'interesse, ma senza dare prescrizioni;
          in data 15 luglio in assenza delle suddette prescrizioni, il comune dava luogo ai lavori sulla parte sud, cosa che ha portato alla totale distruzione del marciapiede lato-mare ivi incluso il filare di aranci ed oleandri ivi presente, alla movimentazione di mezzi pesanti nell'area centrale ove sono presenti i pini (a tutti gli effetti area di cantiere) e all'apertura di un profondo scavo, con grave rischio di danni irreparabili ai medesimi, oltre alla riemersione di alcune vestigia di preesistenti immobili (frammenti del pavimento del vecchio teatro Politeama e lacerti di fondamenta dell'antico quartiere del Torretto) e a continue problematiche idrogeologiche (dovute alla presenza di acqua a poca profondità) che potrebbero recare nocumento ai beni di rilevanza storico-culturale presenti in loco, dagli stessi pini al prospiciente palazzo delle poste (edificio vincolato);
          in 17 luglio 2013 – data precedente alla distruzione del filare di aranci e oleandri – la soprintendenza al comune comunicava l'avvio d'ufficio della procedura d'interesse su tutta la piazza;
          in data 20 agosto 2013 comunicava al Comune le prescrizioni tecnico-operative da seguire nella prosecuzione degli interventi in corso per non compromettere i beni soggetti a verifica;
          in data 16 settembre 2013 alla ripresa delle attività scolastiche, le transenne del cantiere risultavano posizionate ad appena 3,10 metri dagli ingressi dell'antistante edificio scolastico per tutta l'estensione della facciata del medesimo, con evidente pregiudizio per la sicurezza degli studenti e del personale addetto, soprattutto in casi di emergenza: tale situazione a quanto risulta all'interrogante ad oggi non risulta mutata;
          appare evidente che nel prosieguo delle stesse lavorazioni avviate dal comune nella piazza risultano incompatibili sia con le prescrizioni cautelative/conservative della soprintendenza sia con la procedura di verifica in corso presso la Soprintendenza e la direzione regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (date le profonde, radicali e talora irreversibili alterazioni e manomissioni che comportano rispetto tanto alle singole componenti quanto alla facies complessiva dell'immobile);
          va altresì tenuta in considerazione dal Governo l'incompatibilità di tali lavorazioni con le esigenze primarie di pubblica sicurezza per quanto specificato sopra;
          ad avviso dell'interrogante i lavori in corso in piazza Verdi a La Spezia hanno realizzato pregiudizi ed altri ne stanno prefigurando a danno dell'integrità di Piazza Verdi, contravvenendo il principio conservativo che deve essere applicato ad un bene sottoposto alla procedura di verifica dell'interesse storico-culturale;
          se sussista, ad avviso dell'interrogante in particolare, una situazione di pericolo per i pini domestici del filare ultrasettantenne;
          se Ministro, non ritenga necessario assumere con urgenza iniziative di salvaguardia del bene di cui in premessa, in quanto assoggettato ai suoi uffici di tutela;
          se per quanto finora riscontrato, l'acquisizione dei documenti da parte della direzione regionale e della competente soprintendenza stia avvenendo in modo corretto;
          se il Governo – non ritenga di dover intervenire risolutamente per garantire con sollecitudine e urgenza il rispetto delle condizioni di sicurezza dei cittadini di La Spezia alla luce della situazione denunciata fra le premesse, in riferimento alle distanze fra le transenne e gli accessi delle scuole antistanti. (4-02175)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
          la Camera dei deputati, in data 26 giugno 2013, e il Senato, in data 16 luglio 2013, hanno approvato mozioni aventi per oggetto anche la partecipazione italiana al programma di produzione Joint Strike Fighter per l'acquisizione del cacciabombardiere F-35;
          nelle mozioni n.  1-00125 della Camera dei deputati e n.  1-00107 del Senato, relativamente al programma F-35, si impegnava il Governo: «a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n.  244»;
          nell'audizione tenuta il 1o ottobre 2013, presso la Commissione difesa della Camera dei deputati, nell'ambito della «indagine conoscitiva sui sistemi d'arma», richiesta dalle stesse mozioni, la Rete per il disarmo e la Campagna Sbilanciamoci hanno portato a conoscenza dei deputati un documento del dipartimento della difesa degli Stati Uniti in cui si rende noto l'impegno contrattuale datato 27 settembre del 2013 con la capocommessa del progetto Lockheed Martin per l'acquisizione da parte dell'Italia di ulteriori 3 aerei F-35 (appartenenti al Lotto VII il cui «buy year» cade nel 2013) e il completamento formale, prima non ancora firmato, dell'acquisto di 3 aerei appartenenti al lotto VI;
          il ministro Mario Mauro, in risposta alla interrogazione a risposta immediata in Assemblea, il 9 ottobre 2013, ha specificato che sono stati acquisiti ulteriori long deal item in relazione ad accordi stipulati nel mese di maggio 2012, per i quali si sono formalizzate le acquisizioni in questo anno; si tratta di modifiche all'acquisizione inizialmente stipulata con contratto N00019-12-C-0004, per i lotti VI e VII, come da contratto No. 691-13 pubblicato dal governo USA (Defense) il 27 settembre 2013 (http:/www.defense.gov);
          dal contratto inizialmente stipulato il 15 giugno 2012 a parere degli interpellanti si evince un costo complessivo (per tutti gli stati del progetto JSF e le forze armate USA di dollari 489.528.000,00 ora modificato fino a dollari 3.405.427.661,00;
          l'analisi dei dati indicati nel contratto della Difesa USA a giudizio degli interpellanti è esprimibile in questi termini:
              il lotto VI, d'importo pari a 545.780.005 dollari, è a carico dell'Italia per il 60 per cento e dell'Australia per il restante 40 per cento. L'Italia acquisirà 3 aerei, l'Australia 2. Il lotto VII, d'importo pari a 612.429.977 dollari, è a carico dell'Italia per il 50 per cento, della Norvegia per il 33 per cento e del Regno Unito per il 17 per cento. Pertanto, l'Italia acquisirà 3 aerei, la Norvegia 2 e il Regno Unito 1;
          da ciò si evince come quest'anno il Governo Italiano sia stato il maggior contributore, verso il Governo USA, per la prosecuzione del progetto JSF nella parte internazionale (60 per cento per un ammontare di dollari 694.925.989,20);
          il ritorno della FACO di Cameri è minore di quanto ricavato con la produzione dei componenti (5 per cento e le perdite sono pari a dollari 487.521.752,75;  –:
          se trovi conferma quanto contenuto nel citato documento del dipartimento della difesa degli Stati Uniti;
          nel caso di una risposta confermativa, quali iniziative siano state assunte dal Governo per attuare le mozioni approvate da entrambe le Camere;
          se si intendano fornire tutti i contratti dei lotti già acquisiti e la loro pianificazione temporale in merito ai finanziamenti eventualmente stipulati ed ai pagamenti da effettuare e già effettuati, ai sensi dell'articolo 4 della legge n.  244 del 2012;
          se si intenda fornire una valutazione esatta del costo sostenuto attualmente in merito al progetto F-35, anche includendo eventuali voci di bilancio provenienti da altri ministeri (MISE/MIUR), giacché i contratti sono stati comunque sottoscritti dal Ministero della difesa.
(2-00255) «Artini, Frusone, Marcon, Corda, Duranti, Basilio, Palazzotto, Rizzo, Giancarlo Giordano, Alberti, Airaudo, Paolo Bernini, Sberna, Manlio Di Stefano, Grassi, Di Battista, Spadoni, Grande, Tacconi, Del Grosso, Sibilia, Scagliusi, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial, Barbanti, Pisano, Cancelleri, Villarosa, Chimienti, Ruocco, Pesco, Sarti, Colletti».

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
          l'articolo 2, comma 2-bis, del decreto- legge n.  125 del 5 agosto 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  163 del 1o ottobre 2010 ha disposto, nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari il blocco automatico del turn-over del personale dipendente e del personale convenzionato e il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n.  311, nel caso in cui i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino, entro il 31 ottobre 2010, il venire meno parziale delle condizioni che hanno determinato l'applicazione delle citate misure, nel limite del 10 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
          inoltre, l'ultimo capoverso del comma 2-bis dell'articolo 2 del citato decreto n.  125 prevede che la disapplicazione delle stesse norme sopra citate è disposta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale;
          il commissario straordinario della regione Campania, in ottemperanza a quanto disposto dal decreto commissariale n.  53 del 9 maggio 2012, che ha approvato i programmi operativi predisposti dal commissario ad acta della regione Campania per l'esercizio 2012, ai sensi dell'articolo 2, comma 88, della legge del 23 dicembre 2009, n.  191, ha stabilito l'osservanza del blocco totale delle assunzioni per il personale dipendente, salvo potersi avvalere di specifiche norme nazionali che ne dispongano uno sblocco parziale, per garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ovvero, sempre a tal fine, l'adozione di deroghe assolutamente eccezionali;
          nello specifico in base a quanto contenuto nel citato decreto commissariale n.  53 del 2012, nel blocco del turnover rientrano tutte quelle tipologie di reclutamento ex novo di personale che comportino un incremento di spesa a carico del servizio sanitario regionale, ovvero:
              a) le assunzioni a tempo indeterminato e determinato;
              b) i conferimenti di incarichi a tempo determinato;
              c) le assunzioni a tempo determinato per la sostituzione di personale assente a vario titolo, qualora tale assunzione sia onerosa;
              d) le acquisizioni di personale tramite mobilità intercompartimentali, mobilità extraregionali in entrata nell'ambito del comparto sanità;
              e) i comandi, le assegnazioni temporanee ed i distacchi previsti dalle vigenti disposizioni legislative o dalla contrattazione collettiva ad esclusione dei casi in cui sia configurabile, un diritto soggettivo al trasferimento;
              f) le acquisizioni in outsourcing di servizi finalizzati all'espletamento di funzioni istituzionali che possono configurarsi come elusive del blocco delle assunzioni;
              g) il conferimento di incarichi ex articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2011, nonché tutte le altre forme di lavoro flessibile;
          sono vietati nuovi conferimenti di incarichi o incrementi di oneri degli specialisti ambulatoriali interni in assenza di autorizzazione del commissario ad acta da adottarsi con decreto;
          al fine di mantenere il livello minimo dei livelli essenziali di assistenza, numerose aziende sanitarie e ospedaliere, tra queste la ASL di Avellino e l'azienda ospedaliera Moscati di Avellino, sono costrette a ricorrere a convenzionamenti interni e/o a prestazioni lavorative che vengono tuttavia contabilizzate in bilancio sotto la voce di «acquisti di beni e servizi», non risultando dette modalità di reclutamento di personale tra quelle interdette dal citato decreto;
          dette soluzioni risultano, a parere degli interpellanti, incoerenti con il piano di rientro e con le politiche di contenimento della spesa, in quanto:
              a) nel caso di convenzionamenti interni il costo reale risulta superiore al costo di eventuali contratti a tempo determinato (ad esempio, un medico chiamato a ricoprire un turno notturno costa circa 500/600 euro che se moltiplicate per l'intero monte ore annuali corrisponde a cifre esorbitanti);
              b) nel caso di ricorso a prestazioni lavorative contabilizzate come «acquisti di beni e servizi», il costo effettivo non viene calcolato tra i costi del personale, determinando un mancato controllo della spesa;
          è evidente l'incoerenza e la contraddittorietà di questa condizione che determina chiaramente maggiori costi rispetto al ricorso ad assunzioni a tempo determinato;
          questo stato di cose pesa ulteriormente sulla difficile realtà dell'assistenza campana, gravata a sufficienza dal blocco delle assunzioni di personale medico ed infermieristico, basti considerare che dai dati ufficiali forniti dalla struttura commissariale al tavolo nazionale per la verifica del piano di rientro, si evince che dal 2007 al 2015, a fronte di una riduzione del personale del Servizio sanitario regionale pari a 15.834 unità, verrebbero assunti 1.018 unità pari al 6,43 per cento) una quota irrisoria e del tutto insufficiente per ripristinare adeguate dotazioni organiche indispensabili a garantire i livelli essenziali di assistenza ai cittadini della Campania;
          occorrerebbero, a parere degli interpellanti, azioni puntuali ed analitiche volte a determinare una effettiva e reale riduzione della spesa bilanciata con il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, mentre misure generiche come quelle adottate non hanno evidenziato alcun miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza del sistema salute della Campania  –:
          quali urgenti iniziative intendano porre in essere, al fine di sanare la situazione citata in premessa, con l'obiettivo di coniugare efficienza ed equità del sistema sanitario;
          se non ritengano opportuno procedere alla predisposizione di un decreto, ai sensi dell'ultimo capoverso del comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge n.  125 del 5 agosto 2010, che a seguito di una verifica analitica da parte dei tavoli tecnici che evidenzi una riduzione del costo ed un miglioramento delle prestazioni, attui rispetto alle soluzioni fino ad oggi individuate (convenzionamenti interni e ricorso a prestazioni professionali atipiche), uno sblocco del turn over per contratti a tempo determinato, in ragione delle verificate esigenze, ed in particolare per le urgenze/emergenze determini uno sblocco del turn over per contratti a tempo determinato.
(2-00251) «De Mita, Dallai».

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


      ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi mesi varie imprese stanno ricevendo avvisi di irrogazione delle sanzioni per presunti carenti versamenti della seconda e terza rata dell'imposta sostitutiva per la rivalutazione degli immobili di impresa, effettuata ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2;
          il motivo del recupero è rappresentato dal fatto che, secondo l'Agenzia delle entrate, gli interessi dovuti sulla seconda e sulla terza dovrebbero essere quantificati nella misura del 3 per cento, mentre più contribuenti hanno calcolato gli interessi stessi secondo il tasso legale;
          in molti casi l'elevato ammontare dell'imposta sostitutiva determina importi da versare cospicui, ai quali si aggiungono le sanzioni del 30 per cento per l'insufficiente versamento e gli interessi moratori;
          la questione trae origine da una formulazione imperfetta del comma 22 del citato articolo 15 del decreto-legge n.  185 del 2008, ai sensi del quale «In caso di versamento rateale sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali con la misura del 3 per cento annuo da versarsi contestualmente al versamento di ciascuna rata»;
          è evidente l'ambiguità della norma, la quale avrebbe dovuto prevedere, in via alternativa, o la misura del 3 per cento senza riferimento al tasso legale (in questo caso le eventuali variazioni del tesso non avrebbero sortito effetto sull'entità della seconda e terza rata), oppure il semplice riferimento al tasso legale, senza menzionare la misura del 3 per cento;
          da quanto risulta, molti software per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi e per la predisposizione dei versamenti hanno ritenuto corretta la seconda impostazione; in questo modo gli interessi sono stati calcolati tenendo conto delle variazioni del tasso legale, sceso dal 3 per cento all'1 per cento dal 1o gennaio 2010 e poi ulteriormente passato all'1,5 per cento dal 1o gennaio 2011;
          il riferimento agli «interessi legali nella misura del 3 per cento» sembrerebbe evidenziare l'effettiva volontà di agganciare la misura dell'interesse al tasso legale, che, sia al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge, sia al momento del versamento della prima rata (2009), era proprio pari al 3 per cento, ma poi ha subito le fisiologiche variazioni dovute agli interessi di legge che lo hanno modificato;
          del resto, se la volontà del legislatore fosse stata quella di prevedere un interesse fisso del 3 per cento, probabilmente la norma lo avrebbe esplicitato chiaramente;
          nell'ambito della rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni dei soggetti IRPEF, infatti, sia l'articolo 5 della legge n.  448 del 2001, sia l'articolo 2 del decreto-legge 24 dicembre 2002, n.  282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n.  27, richiamato dalle successive norme di proroga, menzionano semplicemente gli «interessi nella misura del 3 per cento annuo»  –:
          se non ritenga opportuno un intervento dell'Agenzia delle entrate, per fornire con circolare chiarimenti sulle modalità di applicazione degli interessi sui versamenti rateali dell'imposta sostitutiva per la rivalutazione degli immobili di impresa, nonché direttive agli uffici periferici in merito agli avvisi di irrogazione delle sanzioni che, nel presente caso, andrebbero comunque disapplicate per condizioni di obiettiva incertezza. (5-01210)

Interrogazione a risposta scritta:


      NICCHI, MARCON, DURANTI, DI SALVO, RICCIATTI, KRONBICHLER, PIAZZONI, MELILLA, FRANCO BORDO e ZAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nell'aprile 2013 la Banca mondiale ha lanciato una nuova proposta «End Poverty2030» il cui obiettivo è di azzerare nel 2030 il numero delle persone nel mondo con meno di 1,25 dollari al giorno (soglia considerata di «povertà estrema», differente da quella della «povertà assoluta» che si riferisce alla soglia relativa alle persone il cui reddito individuale giornaliero è di 2,50 dollari);
          la Banca mondiale ha stimato ad un 1 miliardo e 200 milioni le persone nel mondo in povertà estrema nel 2010 e in più di 2,8 miliardi quelle in povertà assoluta;
          la povertà mondiale è anche una questione di genere. Il 70 per cento circa dei poveri è donna. Il «differenziale retributivo di genere» è in media del 23 per cento;
          anche l'ONU ha ripreso la proposta della Banca mondiale nell'ambito della nuova iniziativa «Overarching Framework Post-2015» che seguirà alla conclusione del programma in corso «Millennium Development Goals 2015»;
          nel 2030, quindi, il mondo non dovrebbe avere più nessun essere umano con meno di 1,25 dollari al giorno;
          stesso obiettivo però non sarebbe raggiunto per quanto riguarda le persone in povertà assoluta (il cui reddito è minore di 2,50 dollari al giorno) le cui stime, fatte dalla stessa Banca mondiale e da altre organizzazioni internazionali dell'ONU, prevedono nel 2030 tra i 3 e i 4 miliardi di persone;
          questa è la terza volta che la Banca mondiale e l'ONU fissano degli obiettivi quantificati in materia di riduzione ed eliminazione della povertà nel mondo;
          la prima fu nel 1974 in occasione del lancio del «Nuovo ordine economico internazionale» che fissò l'obiettivo «Zero Poverty» nel 2000 (lo «Zero poverty» all'epoca riguardava la povertà assoluta. L'obiettivo fallì totalmente: nel 2000 i poveri assoluti erano rimasti sui 2,8 miliardi di persone);
          la seconda fu nel 1995 alla Conferenza mondiale dell'ONU sulla povertà e l'esclusione sociale quando la Banca mondiale, con l'accordo dell'ONU, lanciò la «poverty reduction strategy», che prevedeva di dimezzare nel 2015 il numero delle persone in stato di povertà estrema;
          la povertà in Italia (si tratta, evidentemente, in termini monetari di altri ordini di grandezza) è ritornata a crescere rapidamente e diffusamente. Essa riguarda in modo preoccupante i giovani (più del 40 per cento senza lavoro), ma sempre di più anche molte altre categorie di persone come le donne, gli immigrati, i disoccupati adulti, gli esodati e altri;
          secondo l'ISTAT è in povertà una coppia con meno di 990 euro da spendere mensilmente. Praticamente una persona è povera in Italia se ha un potere di acquisto al di sotto dei 600 euro al mese;
          la lotta per l'eliminazione/sradicamento dei processi d'impoverimento non è più e non è solo una relazione di aiuto fra i Paesi ricchi ed i Paesi poveri; le ineguaglianze e le ingiustizie socio-economiche e di cittadinanza toccano tutti i Paesi anche quelli «ricchi»;
          in 40 anni si è passati nel mondo dall'obiettivo di «zero povertà assoluta» nel 2000 a quello più «modesto» di «zero povertà estrema» nel 2030, passando dall'obiettivo del dimezzamento della povertà estrema nel 2015;
          la Banca mondiale e l'ONU hanno accettato come inevitabile che nel 2030 ci saranno ancora nel mondo miliardi di persone in povertà assoluta;
          l'Italia fa parte attualmente del Consiglio dei Governatori della Banca mondiale e in molti casi ha condiviso le scelte della Banca mondiale;
          è dimostrato che la crescita economica degli ultimi 30 anni ha accentuato l'aumento delle disuguaglianze tra Paesi, e soprattutto in seno ai Paesi tra i gruppi sociali, a favore dei più competitivi, dei più forti, dei più «ricchi», e che questo è avvenuto anche in Italia  –:
          se il Governo condivida i nuovi obiettivi di lotta alla povertà mondiale della Banca mondiale e dell'ONU ed in caso affermativo come intenda contribuirvi;
          quali siano le azioni/soluzioni che si intendano intraprendere per coniugare la lotta alla povertà in Italia e nel mondo con politiche che portino a nuovi paradigmi di sviluppo. (4-02169)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


      MOLTENI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI.— Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro interrogato, come si apprende da alcune agenzie di stampa e, in particolare, da un'intervista a Radio 24 dell'11 ottobre 2013, si è dichiarato favorevole ad un atto di clemenza, prevedendo l'uscita di circa 20.000 detenuti dalle carceri italiane;
          tali provvedimenti di clemenza, che vengono ciclicamente approvati dal Parlamento ma che hanno sempre visto contrario il gruppo della Lega Nord e Autonomie, si sono rivelati sempre del tutto inefficaci a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, considerato che dei 36.000 detenuti che hanno beneficato dell'ultimo indulto nel 2006 (legge n.  241 del 2006), più di un terzo sono ritornati in carcere in quanto recidivi;
          successivamente all'approvazione dell'indulto del 2006, in una relazione trasmessa dal dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno alla Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati, si evidenziò come dopo l'indulto il numero dei reati commessi era notevolmente aumentato, in particolare quello dei reati cosiddetti predatori: fino a luglio 2006 (quando il Parlamento approvò l'indulto) questi reati erano in flessione rispetto all'anno precedente; tra gennaio e luglio 2006 si era registrata, rispetto allo stesso periodo del 2005, la diminuzione di 1.048 rapine e di 23.323 furti, invece nel periodo agosto-settembre 2006 si registrò, rispetto allo stesso periodo del 2005, un incremento di 1.952 rapine e di 28.830 furti;
          da un'indagine pubblicata recentemente da Il Sole 24 ore, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'interno e riferiti al 2012, si apprende che, se l'aumento dei crimini denunciati in generale ha avuto un incremento dell'1,3 per cento (circa 2,8 milioni, ossia 36 mila in più rispetto al 2011), dall'analisi per tipologia di reato il peggioramento più pesante è per i cosiddetti reati predatori, che sono quelli che incidono direttamente sui beni personali, maggiormente legati alle fasi di crisi economica e in grado di destare particolare allarme nella collettività, ossia furti, scippi, borseggi e truffe che vanno a colpire i singoli cittadini, anche con modalità particolarmente violente;
          tali atti di clemenza, dunque, hanno sempre avuto a parere degli interroganti quale unico effetto quello di far uscire dagli istituti penitenziari autori di crimini, anche di particolare allarme sociale, che, come dimostrano i dati, in larga parte vi hanno fatto rientro, commettendo, però, nel frattempo altri reati a danno di onesti cittadini, del tutto evitabili se vi fosse la certezza della pena;
          l'8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nuovamente l'Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, concedendo al nostro Paese un anno di tempo per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario, ma non ha individuato in un atto di clemenza la soluzione allo stesso;
          il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani non può essere risolto con amnistie, indulti o altri provvedimenti «tampone», come da ultimo il recentissimo cosiddetto svuota carceri (legge n.  94 del 2013), perché tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema; pertanto essi non rappresentano un'idonea soluzione e saranno anche molto probabili altre future condanne da parte della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo;
          secondo gli ultimi dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al 30 settembre 2013 i detenuti presenti negli istituti penitenziari italiani sono 64.758, di cui 22.770 stranieri;
          sempre secondo i dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, a fronte dei 64.758 detenuti presenti, l'esubero rispetto alla capienza regolamentare sarebbe di 17.143 posti;
          nonostante esponenti di questo Governo continuino a insistere sulla necessità di un atto di clemenza quale unica soluzione per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, vi sono invece almeno 40 edifici che potrebbero essere utilizzati come istituti penitenziari, ma risultano allo stato in disuso o abbandonati;
          tali atti di clemenza rappresentano ad avviso degli interroganti una resa dello Stato alla criminalità, un colpo mortale alla sicurezza dei cittadini, alle vittime dei reati, al principio della certezza della pena, vanificando, altresì, l'operato delle forze dell'ordine che, nonostante le esigue risorse finanziarie a loro disposizione, si impegnano quotidianamente nel controllo del territorio per assicurare alla giustizia gli autori dei crimini  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario senza tradire il principio della certezza della pena e senza mettere in pericolo la sicurezza e l'incolumità dei cittadini, in particolare se, in alternativa a qualsiasi atto di clemenza, non intenda procedere con il già esistente piano di edilizia carceraria. (3-00377)


      RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la legge 15 luglio 2009, n.  94, ha introdotto, attraverso una modifica al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, il reato d'immigrazione clandestina nell'ordinamento giuridico italiano;
          nella fattispecie, si tratta di una semplice contravvenzione, sanzionata unicamente con la pena pecuniaria, la quale punisce le condotte di ingresso e permanenza illegale nello Stato italiano, senza prevedere alcuna reclusione ma solo il pagamento di un'ammenda di 5-10 mila euro, che nessuno straniero irregolare sarà mai in grado di pagare;
          sulla base delle diverse normative nazionali attualmente vigenti in Europa, la presenza illegale di un cittadino non comunitario può essere punita con la detenzione in Belgio, Danimarca, Regno Unito, Grecia, Francia, Germania, Irlanda, Svezia, seppur con durate diverse;
          l'Italia rappresenta un esempio di eccellenza per quanto riguarda l'integrazione degli immigrati regolari e dei rifugiati, sia nella scuola sia nel lavoro;
          sono in corso concrete iniziative per procedere all'abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, come disciplinato dall'articolo 10-bis del citato testo unico sull'immigrazione;
          il controllo delle frontiere va considerato come un atto costitutivo della sovranità dello Stato e, nell'esercizio di questa stessa sovranità, lo Stato attraverso le sue leggi deve regolare l'afflusso regolare di immigrati e stabilire i provvedimenti e le pene per i clandestini  –:
          quale sia l'orientamento del Governo in merito all'abrogazione del reato in questione e, in caso sia favorevole, attraverso quali normative intenda garantire il rispetto delle frontiere italiane. (3-00378)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 3 maggio 2013 il Consiglio d'Europa nel rapporto sulla popolazione carceraria nei 47 Stati membri ha indicato l'Italia come il Paese con il maggior sovraffollamento nelle carceri dopo Serbia e Grecia, con un record di 147 detenuti per ogni 100 posti. Nel documento si evidenzia anche che il nostro Stato è al terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio dopo Ucraina e Turchia, e che il basso numero di guardie carcerarie rende ancora più grave la gestione degli istituti penitenziari italiani;
          il SAPPE, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, ha più volte denunciato la difficilissima situazione in cui versa il nostro sistema penitenziario, ricordando che dall'inizio del 2013 si sono registrati 7 suicidi di poliziotti penitenziari, 100 dal 2000 ad oggi;
          da una rilevazione effettuata dal dipartimento per l'amministrazione penitenziaria emerge che gli operatori di polizia penitenziaria effettivamente in servizio nel mese di dicembre 2012 erano 37.989, circa 7.000 in meno — come denunciato più volte dai sindacati del comparto — di quelli previsti per legge in pianta organica. Questi numeri quanto mai allarmanti sono ascrivibili da un lato, al blocco delle assunzioni che negli ultimi anni ha fortemente penalizzato la polizia penitenziaria, dall'altro, alla mancanza di concorsi pubblici per i profili amministrativi che ha portato molte guardie carcerarie ad un impiego stabile nei ruoli amministrativi, sottraendo unità di polizia penitenziaria all'espletamento dei compiti istituzionali. Tale criticità è evidenziata anche nel «rapporto» del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria del mese di settembre 2012 — dove tra i principali obiettivi dell'amministrazione si indica espressamente quello di ridurre il numero del personale di polizia penitenziaria adibito a compiti propri del personale amministrativo. Ed infatti, sulla base del quadro tracciato dal «rapporto», il 22 marzo 2013, con apposito decreto, il Ministro della giustizia ha sostituito le tabelle allegate al decreto ministeriale 8 febbraio 2001, riformando in modo radicale le dotazioni organiche del corpo di polizia penitenziaria, con riferimento sia alle strutture detentive sia ai servizi penitenziari (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, provveditorati regionali, scuole di formazione). In particolare, questo provvedimento definisce le piante organiche dei servizi penitenziari al fine di evitare discutibili assegnazioni temporanee sine die di personale di polizia penitenziaria in uscita dagli istituti. Il decreto, tuttavia, a parere delle organizzazioni sindacali più rappresentative, pur apprezzabile nelle intenzioni, si limita a «fotografare» l'esistente, cioè cristallizzare i numeri già presenti presso le strutture non detentive, che in questo modo acquistano in via definitiva il personale assegnato in posizione di distacco, privandone gli istituti carcerari di provenienza e aggravando ulteriormente la carenza di personale effettivamente in servizio;
          il problema degli organici della polizia penitenziaria costituisce, poi, una delle tre direttrici del cosiddetto piano carceri, rispetto al quale l'assunzione di 1.800 unità di personale dei vari ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria (resa possibile grazie all'articolo 4, comma 1 della legge 26 novembre 2010, n.  199, di modifica dell'articolo 2, comma 215, legge 23 dicembre 2009, n.  191) a copertura dell'aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed all'apertura delle nuove strutture, consentirà al massimo di arginare il decremento dell'organico ma certamente non ne favorirà la necessaria implementazione  –:
          se intenda valutare la possibilità di:
              a) rivedere il decreto ministeriale 23 marzo 2013 e le tabella ad esso allegate, per conseguire una equilibrata razionalizzazione degli organici della polizia penitenziaria superando le criticità segnalate dai sindacati di categoria;
              b) indire, in vista della piena realizzazione del citato «piano carceri», bandi di concorso per integrare le dotazioni del comparto sia nei ruoli amministrativi che in quelli operativi e adeguare il personale effettivamente in servizio alle esigenze del sistema penitenziario italiano. (4-02160)


      DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in base a dati pubblicati sul sito del Ministero della giustizia e aggiornati al 30 settembre 2013, i detenuti presenti nei 19 istituti di pena della regione Lombardia risultano essere 8.980 a fronte di una capienza regolamentare di 6.040 unità;
          drammatiche risultano anche le carenze di organico della polizia penitenziaria: complessivamente, come lamentato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, in Lombardia mancano più di 1.000 unità;
          ne consegue che il personale di polizia penitenziaria della Lombardia non solo debba lavorare in carceri sovraffollate ma debba anche coprire più posti di servizio a causa della carenza di organico; tutto ciò con gravi rischi per la propria incolumità e per la sicurezza della collettività. Inoltre, neanche la imminente apertura di tre ampi padiglioni (Pavia, Cremona, Voghera) sembra abbia portato ad un adeguamento delle piante organiche rispondenti, quanto meno, alle reali esigenze degli istituti;
          alle criticità relative al sovraffollamento ed alla mancanza di personale di polizia penitenziaria si affianca anche una difficile situazione sul piano sanitario. Infatti da diversi anni la sanità penitenziaria è sotto la competenza delle aziende ospedaliere locali e ciò, come emerso nel corso di una audizione delle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria nelle sale del Pirellone di Milano del 20 giugno 2013, ha creato moltissimi problemi, tra cui il significativo aumento dei ricoveri in luoghi esterni di cura dei detenuti e la moltiplicazioni delle visite specialistiche fuori dagli istituti penitenziari, con risvolti negativi dal punto di vista della sicurezza e con un consistente aumento dei costi di gestione;
          secondo quanto segnalato dal Sappe in una missiva al direttore generale del personale e della formazione del DAP del 16 settembre 2013, nonostante il carcere di Mantova viva una situazione di drammatica carenza di personale, subirà una riduzione di organico di ulteriori 8 unità con evidenti ripercussioni dal punto di vista della sicurezza. Viene inoltre segnalato come il nucleo traduzioni, con circa 11 unità, debba garantire i movimenti di 180 detenuti dell'istituto mantovano più i circa 300 dell'ospedale pediatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere;
          è slittata l'apertura del nuovo padiglione del carcere di Voghera prevista per metà settembre e che dovrà ospitare circa 200 detenuti. Nonostante il fabbisogno per la custodia del nuovo padiglione oscilli fra le 21 e le 27 nuove unità sembra che siano stati assegnati solo altri 15 poliziotti. Inoltre, a seguito di una visita all'istituto avvenuta in data 7 settembre 2013, i sindacalisti Cgil e Sippe hanno riferito alcune situazioni limite fra le quali monitor fuori uso, posizioni di controllo fatiscenti e con spazi angusti, uno stato disastroso del parco macchine, presenza di pensiline in eternit accanto alla sala conferenze;
          a seguito di una visita al carcere di Monza avvenuta in data 13 settembre 2013, l'organizzazione sindacale Uil Penitenziari ha riportato, fra le altre, le seguenti criticità: intere sezioni,tra cui quelle di isolamento e tutti i locali ad esse adiacenti del reparto femminile, chiuse per infiltrazioni d'acqua; palestra detenuti e cappella inagibili; assenza nell'area passaggio carraio di impianti di areazione; ingenti infiltrazioni d'acqua con conseguente pericolo di folgorazione per il personale di servizio nella Sala Regia; assenza di climatizzazione che costringe il personale a lavorare a temperature al limite di sopportazione; caserma agenti inutilizzata per dichiarata inagibilità; inidoneità della maggior parte dei mezzi in dotazione. Inoltre, i detenuti risultano essere 746 in una struttura che ne potrebbe ospitare 400 e in conseguenza di ciò lo spazio vitale nelle celle risulta ridotto al mimmo;
          a seguito di una visita al carcere di Milano San Vittore avvenuta in data 24 settembre 2013, l'organizzazione sindacale Uil Penitenziari ha riferito, oltre alla grave situazione di sovraffollamento dei detenuti e alla carenza di personale, fra le altre le seguenti criticità; assenza di qualsiasi apparato tecnologico in portineria con evidenti ricadute dal punto di vista della sicurezza; cancelli di accesso ai padiglioni tutti a comando manuale che comportano un aumento del carico di lavoro insopportabile per gli agenti; padiglioni detentivi connotati da una presenza di detenuti di gran lunga superiore rispetto alle possibilità ricettive; centro clinico caratterizzato da una situazione deficitaria dal punto di vista dell'igiene e della salubrità degli ambienti; area colloqui caratterizzata da spazi stretti mura sporche, carenze igieniche, mancanza di finestre di aerazione; allarmante e deficitaria la situazione degli automezzi per numero e qualità; caserma esterna con ambienti insalubri e fatiscenti, pareti sporche, vetri rotti e infiltrazioni diffuse, bagni indecorosi e condizioni igieniche pessime;
          a seguito di una visita al carcere di Cremona avvenuta in data 6 marzo 2013, l'organizzazione sindacale Uil Penitenziari ha riscontrato fra le altre le seguenti criticità: mancanze strutturali dell'istituto nel suo complesso soprattutto a causa di diffuse infiltrazioni d'acqua piovana che rendono inagibili e pericolosi interi settori, come quello destinato ai colloqui e quello destinato ai box in uso al personale di polizia; assenza all'interno delle sezioni di sistemi di allarme sonoro, tutto ciò con evidenti ricadute sul piano della sicurezza personale degli agenti; reparto infermeria e ambulatori utilizzati solo parzialmente a causa della parziale inagibilità degli stessi; cucina detenuti inadeguata, priva di riscaldamento, caratterizzata da locali umidi e freddi che non rispettano i parametri stabiliti in materia di igiene e salubrità; nuovo padiglione caratterizzato anch'esso da evidenti carenze strutturali e scelte costruttive che hanno tenuto in poco conto la sicurezza del personale. Inoltre su una pianta organica prevista di 210 unità risultano presenti solo 171;
          a seguito di una visita al carcere di Pavia avvenuta in data 13 settembre 2013, l'organizzazione sindacale Uil Penitenziari ha riferito, relativamente al vecchio reparto, fra le altre, le seguenti criticità: passo carraio, passaggio pedonale e area colloqui caratterizzati da ingenti infiltrazioni d'acqua; ufficio preposto e sorveglianza generale insieme al corridoio che conduce alla caserma detenuti caratterizzati da un evidente rischio di caduta di parti di soffitto; postazioni di vigilanza dei cortili adibiti a passeggio caratterizzati da infiltrazioni di acqua; scarsa tenuta igienica nella maggior parte dei posti di servizio della struttura; muro di cinta e garitte in uso al servizio sentinella in condizioni pessime; molte postazioni di lavoro caratterizzate da situazioni di igiene, sicurezza e salubrità al di sotto degli standard previsti dal testo unico n.  81 del 2008. Inoltre da tempo le organizzazioni sindacali di categoria lamentano una situazione di drammatica carenza di organico di Polizia Penitenziaria. Nonostante ciò, a fronte dell'arrivo nella struttura di 300 detenuti in più in conseguenza dell'apertura di un nuovo padiglione, risulta che il DAP abbia previsto un incremento di organico di sole 8 unità, incremento ritenuto dalle stesse organizzazioni sindacali assolutamente insufficiente a garantire ai poliziotti penitenziari di lavorare in sicurezza. Sintomatico, infine, della decadenza strutturale e organizzativa in cui versa l'istituto di pena in questione, è il gravissimo episodio di furto avvenuto all'interno della palazzina comando nella notte fra il 18 e il 19 settembre. Una cassaforte è stata smurata e portata via senza che nessuno si accorgesse di nulla. Si tratta indubbiamente di un evento gravissimo  –:
          se corrisponda al vero quanto riportato dai sindacati di categoria in merito alla situazione strutturale e organizzativa delle carceri lombarde e, in particolare, alle attuali difficili condizioni di lavoro del corpo di polizia penitenziaria;
          quali misure urgenti intenda adottare nella regione Lombardia al fine di:
              a) migliorare le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria eventualmente prevedendo un potenziamento dell'organico attualmente disponibile;
              b) valorizzare il patrimonio immobiliare carcerario;
              c) migliorare le condizioni di permanenza per i detenuti. (4-02161)


      TONINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la casa circondariale di Cremona è gravemente sovraffollata e lo sbilanciamento tra il numero degli agenti in servizio ed il numero degli ospiti avrebbe raggiunto livelli allarmanti;
          con una lettera aperta l'Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) e il sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria (Sinappe) hanno segnalato nel dettaglio le numerose criticità attualmente esistenti nella struttura. Si tratta di criticità a loro avviso destinate addirittura ad aggravarsi con l'imminente apertura di un nuovo padiglione che avrà l'effetto di aumentare la popolazione carceraria;
          «Circa il personale impiegato presso l'istituto penitenziario (...) su 203 unità appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, nei diversi ruoli, circa una ventina risultano distaccate, a vario titolo, presso altre sedi dell'Amministrazione Penitenziaria. Nonostante gli ultimi arrivi di personale di Polizia penitenziaria, a parere delle (...) OO.SS., risultano essere ancora insufficienti a reggere l'urto derivante dall'apertura del nuovo padiglione detentivo e del nuovo assetto organizzativo dettato dai superiori uffici per la costituzione delle unità operative (gruppi di lavoro organizzati)» (inviatoquotidiano.it del 1o ottobre 2013);
          secondo il vicesegretario regionale del Sinappe, Vincenzo Martucci, «Le undici guardie in più assegnate a Cremona bastano forse a coprire le necessità della struttura esistente. Mancano anche educatori. (...)» (La Provincia di Cremona.it 6 ottobre 2013);
          inoltre i mezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti presso le aule giudiziarie si troverebbero in condizione di totale abbandono: di quattro mezzi in dotazione, soltanto 2 sarebbero funzionanti;
          sempre secondo i sindacati, nella struttura «filtra acqua piovana, che si dirama in diverse articolazioni, fino a raggiungere i quadri elettrici, mettendo a repentaglio continuamente la sicurezza del personale che quotidianamente vi opera, compresi gli stessi reclusi che a volte si trovano per molte ore al buio e con i letti bagnati dalle stesse infiltrazioni» (Il Giorno Cremona.it del 2 ottobre 2013);
          per i sindacati, «Altrettanto meritevole di attenzione, per le medesime infiltrazioni di acqua piovana è la Caserma degli agenti, che per incuria e per la mancanza di manutenzione straordinaria, risulta essere inagibile per l'intero 2o piano; questo costringe il personale accasermato a doversi dividere i pochi alloggi rimasti.» (inviatoquotidiano.it del 1o ottobre 2013);
          durante una visita ispettiva effettuata in data domenica 13 ottobre 2013 dal sottoscritto accompagnato dal proprio collaboratore, dalla direttrice dell'istituto e da un rappresentante della polizia penitenziaria sono stati riscontrati numerosi stati di degrado della struttura, che spesso vanno a ledere la salubrità e l'igiene dei luoghi in cui si trovano i detenuti nonché mettono a rischio l'incolumità degli operatori che vi lavorano, dove la salvaguardia ad eventuali incidenti è affidata a secchi per la raccolta dell'acqua di infiltrazione;
          in questo difficile contesto, presso la casa circondariale da gennaio 2013 si sono inoltre verificati diversi tentativi di suicidio, un suicidio e frequenti atti di autolesionismo, che sarebbero «indice di un disagio profondo, reso ancor più grave dalla mancanza di educatori» (Il Giorno Cremona.it del 2 ottobre 2013);
          nell'ottobre 2013 si sono verificati altri due episodi di violenza: «Tre agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Cremona sono stati aggrediti e picchiati da un detenuto e due reclusi si sono affrontati violentemente, uno armato di un tirapugni artigianale presumibilmente costruito con materiale e recupero e poi sequestrato» (La Provincia di Cremona.it del 6 ottobre 2013)  –:
          quali iniziative intenda assumere per incrementare il personale penitenziario, amministrativo e le figure professionali assegnate al carcere di Cremona, ciò anche alla luce della imminente apertura del nuovo padiglione detentivo;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di risolvere i problemi tecnici e tecnologici insiti nella struttura ed in costante aumento rilevate presso la casa circondariale di Cremona, e, quindi, avviare un piano di manutenzione straordinario per estinguere quanto prima queste problematiche. (4-02171)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


      LIUZZI, DE LORENZIS, CATALANO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 17 settembre 2013, sul «Quotidiano della Basilicata», due studenti universitari di Nova-Siri, hanno raccontato la sgradevole esperienza che hanno dovuto affrontare per recarsi dalla cittadina jonica al confine con la Calabria, all'ateneo della città di Potenza dove seguono corsi universitari;
          il giorno 16 settembre 2013, i due studenti hanno usufruito del servizio su gomma dell'azienda «Simet» che è partito alle ore 6 del mattino dal piazzale antistante la stazione, autobus della compagnia di autolinee di Rossano – città calabrese – che ha in appalto il servizio sostitutivo da Trenitalia per la tratta Sibari-Taranto;
          i due giovani, una volta arrivati a Metaponto, avrebbero dovuto prendere un altro bus sostitutivo, della ditta «Nolé» di Salandra, che ha in appalto la tratta Metaponto-Potenza. Tuttavia il bus Simet, non è riuscito ad arrivare all'orario previsto delle 6,33 poiché ha tardato di 7 minuti, non permettendo ai due studenti sopra citati e ai cittadini viaggiatori che andavano in direzione Potenza, di prendere la coincidenza con l'autobus di Metaponto che parte alle ore 6,35;
          in conseguenza a quanto detto precedentemente, i due viaggiatori hanno dovuto attendere fino alle ore 8,23 per usufruire del servizio Intercity diretto verso Potenza e poter così giungere dopo circa 4 ore nel capoluogo di regione lucano;
          per aver usufruito del servizio Trenitalia, gli studenti hanno dovuto pagare un supplemento di 3 euro e 90 centesimi, in quanto tale servizio non è compreso nell'abbonamento di viaggio. Una scelta obbligata in quanto il successivo autobus sostitutivo era previsto per le ore 9,30, ritardo che avrebbe portato gli studenti a perdere ulteriori ore di lezioni universitarie;
          il personale della stazione di Metaponto – in base a quanto si legge dall'articolo di stampa – ha spiegato che la coincidenza tra le due corse autobus non è prevista;
          a detta dell'interrogante i due autobus sostituivi del servizio Trenitalia dovrebbero coordinarsi tra loro per assicurare una sicura intermodalità ai pendolari o per lo meno non far pagare alcun costo aggiuntivo ai clienti che per causa di forza maggiore sono costretti ad usufruire del servizio su rotaia;
          dall'articolo di stampa locale si apprende un ulteriore problema. Per percorrere la tratta in senso inverso, (quindi Potenza – Nova Siri), il treno che parte da Potenza alle ore 17,14 non sempre riesce ad arrivare alle 18,46 a Metaponto e di conseguenza i passeggeri che devono usufruire del servizio sostitutivo delle ore 18,52 di sera diretto a Sibari (e quindi Scanzano, Policoro e Nova Siri) – autolinee Simet – spesso sono costretti ad attendere il bus omologo che parte alle ore 20,12;
          a detta dell'interrogante è importante considerare che, oltre che dagli studenti, il servizio oggetto dell'interrogazione è spesso per i pendolari l'unico mezzo utilizzato per recarsi sul posto di lavoro sito a Potenza o all'ospedale San Carlo della stessa città;
          il regolamento (UE) n.  181/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, stabilisce, all'articolo 1, che «L'azione dell'Unione nel settore del trasporto con autobus dovrebbe mirare, tra l'altro, a garantire un livello elevato di protezione dei passeggeri, comparabile a quello offerto da altri modi di trasporto, qualunque sia la loro destinazione. Occorre inoltre tenere in debita considerazione le esigenze relative alla protezione dei consumatori in generale»;
          l'articolo 16 Cost. tutela la libera circolazione dei cittadini e la mobilità  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra citati;
          se intenda assumere iniziative per assicurare una reale intermodalità tra i servizi sostitutivi su gomma dell'azienda statale ferroviaria Trenitalia nella tratta oggetto dell'interrogazione, considerando – fino a soluzione del problema – la possibilità di non far pagare alcun costo aggiuntivo ai pendolari che per causa di forza maggiore sono costretti a fruire del servizio regionale Intercity nel tragitto Metaponto-Potenza;
          se si intenda considerare il ripristino del servizio su rotaia per la tratta Nova Siri-Potenza e viceversa. (4-02164)


      LIUZZI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CATALANO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 4 agosto 2013 Il Fatto Quotidiano, ha pubblicato a mezzo stampa on line la denuncia di una pendolare sanzionata a causa del titolo di viaggio in formato elettronico e non cartaceo, non valido per i treni regionali Trenitalia;
          la cittadina ha successivamente richiesto l'annullamento della sanzione amministrativa poiché la procedura di acquisto e pagamento era avvenuta correttamente;
          in base a quanto si legge nell'articolo, la divisione passeggeri regionale di Trenitalia ha tempestivamente risposto al reclamo, riconfermando la bontà della sanzione amministrativa e citando le condizioni generali di trasporto secondo le quali «è considerato mancanza del biglietto anche il caso dell'impossibilità di esibire la stampa dell’home printing»;
          acquistare sul sito di Trenitalia un biglietto elettronico, contenente il QR-code (leggibile anche su tablet e dai più comuni lettori ottici) e codici identificativi, risulta quindi non sufficiente per viaggiare sui treni Regionali. A detta dello scrivente, non è in linea con la politica di digitalizzazione del Paese e l'utilizzo sempre maggiore dei dispositivi mobili per acquistare beni o servizi, che Trenitalia abbia ancora nel 2013 queste limitazioni sui titoli di viaggio regionali;
          l'interrogante aggiunge che, sotto idrofilo giuridico non vi dovrebbe essere oggi alcuna differenza tra stampa di un documento informatico e il medesimo documento in formato digitale;
          in un'ottica in cui gli obiettivi dell'Agenda digitale italiana (decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179) mirano ad un commercio elettronico e all'informatizzazione dei servizi, è incomprensibile non applicare la medesima filosofia di marketing dei biglietti dell'alta velocità anche per i treni regionali;
          a parere dell'interrogante si potrebbero incentivare gli investimenti per disporre i controllori dei sistemi e dell'alfabetizzazione informatica, necessari ad effettuare i controlli e facilitare la fruibilità del servizio;
          il regolamento (CE) n.  1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario;
          l'articolo 16 della Costituzione tutela la libera circolazione dei cittadini e la mobilità;
          l'articolo 8 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, inerente alle «Misure per l'innovazione dei sistemi di trasporto» prevede al comma 1 che: «Al fine di incentivare l'uso degli strumenti elettronici per migliorare i servizi ai cittadini nel settore del trasporto pubblico locale, riducendone i costi connessi, le aziende di trasporto pubblico locale promuovono l'adozione di sistemi di bigliettazione elettronica interoperabili a livello nazionale»  –:
          se sia possibile intervenire per regolarizzare la possibilità di consentire ad un viaggiatore di usare un biglietto acquistato on line in formato elettronico su tutte le categorie di treni dell'azienda Trenitalia-Gruppo delle Ferrovie dello Stato Italiano;
          se la stampa obbligatoria dei biglietti regionali di Trenitalia non vada in controtendenza con gli obiettivi della digitalizzazione dei servizi pubblici al fine di aumentare i profitti mediante l'informatizzazione e allo stesso tempo agevolare i clienti. (4-02165)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


      MARCOLIN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in occasione del proprio avvicendamento alla testa della legione Veneto dell'Arma dei Carabinieri, il generale Sabino Cavaliere ha affermato che «la situazione economica impone delle scelte: meno caserme e più uomini sulla strada»;
          secondo il generale Cavaliere, in particolare, l'Arma non potrebbe più permettersi di avere dei «presidi semivuoti»;
          proprio per questo motivo, la tenenza di Mira, comune in provincia di Venezia, sarebbe stata potenziata chiudendo la stazione della frazione di Oriago, mentre a Santo Stefano, in provincia di Belluno, è stata aperta una caserma solo in seguito all'accorpamento di tre reparti;
          se è indubbiamente condivisibile la scelta di avvicinare i Carabinieri alla cittadinanza, impegnandoli sul territorio dove maggiormente occorre, come prefigurato dal generale Cavaliere, è tuttavia certo che si profila una riduzione sensibile non solo nelle caserme, ma anche nelle stazioni venete dei Carabinieri, veri e propri front office dell'Arma  –:
          quale sia il numero esatto e la tipologia dei presidi dei carabinieri che si conta di sopprimere in Veneto ed i criteri di redistribuzione delle forze dell'Arma sul territorio della regione. (4-02172)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          il Fis (Fondo di Istituto) è l'insieme di risorse finanziarie che arrivano alla scuola per retribuire attività aggiuntive, e/o l'intensificazione delle attività;
          l'articolo 26 del CCNL del 31 agosto 1999 istituì – in conseguenza dell'autonomia scolastica, entrata in vigore il 1o settembre del 2000 – per tutte le scuole di ogni ordine e grado il fondo dell'istituzione scolastica, destinato a retribuire le prestazioni del personale finalizzate a sostenere esigenze didattiche e organizzative derivanti dalla concretizzazione del Pof e la qualificazione e l'ampliamento dell'offerta di istruzione e formazione, anche in relazione alla domanda proveniente dal territorio;
          il MOF (Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa) è costituito dal FIS e dai finanziamenti per la retribuzione delle funzioni strumentali del personale docente, degli incarichi specifici del personale ATA, delle ore eccedenti per la sostituzione del personale docente assente, dell'indennità del lavoro notturno e festivo per gli educatori, delle ore eccedenti di pratica sportiva nella scuola secondaria;
          il MOF, dunque, è un fondo che può essere utilizzato solo per la retribuzione delle prestazioni aggiuntive dei lavoratori della scuola;
          il 17 settembre 2013 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inviato alle scuole l'integrazione alla nota per la predisposizione del programma annuale 2013 tra cui avrebbe dovuto esserci un chiaro riferimento all'ammontare complessivo dei fondi destinati al MOF;
          infatti, la nota 6348 del 17 settembre 2013 comunica alle scuole l'assegnazione di ulteriori risorse per il periodo settembre-dicembre 2013 per il funzionamento amministrativo e didattico, per le supplenze brevi e saltuarie, relative al periodo settembre-dicembre 2013, e per i contratti di pulizia e altre attività ausiliarie fino al 31 dicembre 2013 (in attesa della Convenzione quadro predisposta da Consip) ma non offre comunicazione rispetto allo stanziamento complessivo del MOF 2013/2014;
          inoltre, la nota contiene un'indicazione che impedisce alle scuole di attuare quanto previsto dal piano dell'offerta formativa e quanto esse hanno programmato o intendevano programmare, infatti le scuole possono «provvedere unicamente alla contrattazione delle risorse eventualmente disponibili provenienti dagli anni scolastici decorsi»;
          il 10 ottobre 2013 si è svolto un incontro di informativa al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca su un ipotesi di assegnazione alle scuole del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) 2013/2014;
          da quanto si apprende, il Ministero intende assegnare alle scuole una quota parte di circa un terzo (circa 330 milioni di euro) della disponibilità complessiva, (984 milioni di euro) in attesa che arrivi la certificazione delle economie (30 per cento) da parte del MEF derivanti dai tagli agli organici prodotti dall'articolo 64 del decreto-legge n.  112 del 2008, come convertito dalla legge n.  133 del 2008;
          tuttavia sembra evidente che al fine di consentire alle istituzioni scolastiche di programmare le attività con certezza dei fondi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbe comunicare in tempi rapidi alle scuole l'intero ammontare del MOF 2013/2014;
          infatti, l'autonomia si fonda sulla possibilità di poter programmare con risorse certe quantomeno gli ampliamenti dell'offerta formativa. Se viene meno questo elemento si svuota di significato l'autonomia. E in questo senso, il Ministro interrogato nella sua audizione alle VII Commissioni riunite il 6 agosto 2013, ha confermato la volontà di operare interventi di sistema a partire dallo sviluppo e sostegno proprio all'autonomia delle scuole;
          tale quadro, inoltre, si aggrava poiché i fondi per le aree a rischio e forte processo migratorio del 2012/2013 non sono ancora stati erogati;
          come noto, l'attivazione e realizzazione di specifici progetti per le scuole collocate in aree a rischio, a forte processo immigratorio e dispersione scolastica (articolo 9 del Ccnl/07) devono seguire una procedura particolare per poter avere i finanziamenti specifici previsti dal contratto nazionale;
          a differenza delle risorse del Fis (o di altre voci del Mof), in questo caso le risorse effettive (che sono al «lordo dipendente») per poter pagare le attività svolte vengono assegnate direttamente alle scuole, solo a consuntivo e solo una volta che sia stato accertato l'effettivo svolgimento delle attività previste nel progetto finanziato;
          sulla base di quanto comunicato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alle scuole a fine anno 2012, queste hanno dato avvio ed attuato i progetti, le attività sono state svolte ma, ad oggi (cioè ad anno scolastico 2012-2013 concluso), il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora provveduto ad inviare le risorse spettanti;
          le istituzioni scolastiche hanno bisogno di poter contare su una base certa di risorse per programmare e contrattare le attività indispensabili per il loro funzionamento e ulteriori rinvii sarebbero insostenibili e negativi per la qualità della didattica;
          inoltre, le istituzioni scolastiche hanno sofferto lo scorso anno scolastico un pesante taglio dei fondi del MOF  –:
          se non ritenga opportuno definire e comunicare alle istituzioni scolastiche l'importo certo del MOF 2013-2014 che consenta loro di valutare in tempi rapidi quali ampliamenti di offerta formativa siano effettivamente attuabili.
(2-00252) «Carocci, Rocchi, Tullo, Carrescia, Michele Bordo, Capozzolo, Marco Meloni, Carnevali, Censore, Cominelli, Blazina, Zampa, La Marca, Ascani, Pes, Orfini, Rampi, Cimbro, Ribaudo, Rigoni, Rotta, Malpezzi, Rughetti, Rubinato, Giuditta Pini, Coscia, Porta, Pastorino, Moscatt, Parrini, Narduolo, Coccia, Crivellari, Culotta, Casellato, Basso».    

Interrogazione a risposta immediata:


      VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, CHIMIENTI, BATTELLI, SIMONE VALENTE, D'UVA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni si apprende dagli organi di stampa che cinque «saggi», incaricati dal Presidente del Consiglio dei ministri di riformare la Carta costituzionale, sono stati denunciati dalla Guardia di finanza per truffa, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio e falso ideologico;
          i docenti sono accusati di aver costituito un'associazione per delinquere che ha pilotato, negli ultimi tre anni, i concorsi per diventare professori nelle università italiane;
          la «riforma Gelmini» si prefiggeva anche di bloccare la consuetudine di pilotare i concorsi dei ruoli di docenza nelle università;
          tale consuetudine è conosciuta da tutti, accettata nel silenzio e quasi mai denunciata;
          questo sistema rappresenta il vero cancro dell'università italiana e blocca ogni forma di crescita sia nel campo della ricerca e dell'innovazione, che nella didattica;
          come prevede la «riforma Gelmini» alcuni membri delle commissioni sono designati tra personalità di fama internazionale e, in virtù di ciò, il professore Francisco Balaguer Callejon, docente di diritto costituzionale all'Università di Granada, è membro della commissione del concorso nazionale per professore di diritto costituzionale in qualità di commissario Ocse;
          il professore Francisco Balaguer Callejon già a luglio 2013 scriveva una lettera aperta all'intera comunità dei costituzionalisti italiani denunciando l'esistenza di una «commissione fantasma», che opera al fianco della commissione nazionale, e influenza le sorti del concorso nazionale per professore di diritto costituzionale, rassegnando, quindi, le dimissioni;
          in seguito a ciò il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha convocato i componenti della commissione per chiarimenti e in seguito ha annullato gli atti consegnati dalla commissione;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato ai componenti della commissione precisi indirizzi che dovevano tener conto delle censure avanzate dal professor Balaguer, in specie tendendo ad evitare giudizi negativi adottati in base a criteri irrazionali e privi di fondamento normativo;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha richiesto una rinnovata valutazione di tutti i candidati;
          nonostante ciò, dopo la prima riunione successiva alla richiesta di nuova valutazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il professor Francisco Balaguer Callejón ha nuovamente rassegnato le dimissioni;
          le rinnovate dimissioni fanno presupporre che le perplessità e le valutazioni presentate dal professor Francisco Balaguer Callejón non sono state superate nonostante l'intervento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          le indagini della Guardia di finanza, nonostante siano ancora in fase istruttoria, non prefigurano uno scenario trasparente e corretto delle procedure concorsuali;
          nell'università italiana esiste ormai da decenni una logica di cooptazione dei nuovi ricercatori e docenti, che si ramifica già dal dottorato di ricerca per arrivare fino ai concorsi per professori ordinari, ed è praticamente diffusa in tutti gli atenei italiani;
          la «riforma Gelmini» risulta, quindi, l'ennesimo tentativo andato a vuoto;
          l'unico percorso per arginare il fenomeno delle cosiddette baronie dei professori universitari è lo svecchiamento della classe docente, immettendo massicciamente nuovi e giovani ricercatori nei ruoli di docenza e ricerca  –:
          come intenda operare il Ministro interrogato per garantire la regolarità effettiva del concorso di diritto costituzionale, avviando un percorso istituzionale che miri ad arginare una volta per tutte il fenomeno dei concorsi pilotati, anche attraverso l'immissione in ruolo di una nuova generazione di ricercatori e docenti che sostituisca l'attuale. (3-00379)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          secondo le previsioni di Bloomberg New Energy — il ramo «energia» della multinazionale specializzata in mass media finanziari — le fonti rinnovabili si starebbero adattando al periodo post-incentivo misurandosi con un mercato mondiale che ne vede la crescita continua;
          a livello globale, nel 2013 il fotovoltaico supererà per potenza installata l'eolico, trend confermato anche da un recente studio del Worldwatch Institute sui Paesi che sostengono le rinnovabili, passati dai 48 del 2005 a 127 nella metà del 2013;
          l'Italia nel 2011 è stato il più grande mercato mondiale di riferimento, con 18.500 occupati diretti, che arrivano a oltre 100.000 unità includendo l'indotto;
          il comparto ora è in difficoltà a causa della crisi economica e del credito, del crollo del prezzo di celle e moduli oltre al raggiungimento in pochi mesi del limite finanziabile con le risorse previste dal quinto «Conto energia» (6,7 miliardi di euro);
          la grave situazione in cui versa il settore è testimoniata dalle aziende Mx Group di Villasanta (Monza) e Solarday di Mezzago (Milano) che realizzavano pannelli fotovoltaici, poi fallite e messe in liquidazione come riportato il 7 ottobre scorso dalla testata online de Il Fatto quotidiano;
          i 200 lavoratori — impiegati nelle due imprese del distretto brianzolo legato alla produzione di apparecchiature utili per sfruttare le energie rinnovabili — sono in cassa integrazione e molti di loro, principalmente quelli della Solarday, da marzo scorso devono ancora ricevere gli assegni relativi;
          alle summenzionate aziende brianzole se ne aggiungono oltre 200 del distretto più importante per il settore, quello in provincia di Padova, il cui indotto coinvolge circa di 5.000 persone;
          in questo contesto sarebbe opportuno sostenere il comparto garantendo la stabilità al sistema incentivante previsto dal cosiddetto decreto-legge «ecobonus» (n.  63 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n.  90 del 2013), che proroga al 31 dicembre 2013 le detrazioni fiscali del 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione degli edifici, inclusi gli impianti fotovoltaici, considerandone inoltre un eventuale innalzamento percentuale  –:
          se il Ministro interrogato intenda attivare immediatamente un tavolo di concertazione, con la partecipazione delle parti sociali e delle imprese interessate, per individuare una soluzione che consenta di salvaguardare i poli produttivi summenzionati e il livello occupazionale, fondamentali per mantenere la competitività in un settore cruciale come quello fotovoltaico. (5-01209)


      FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          è notizia riportata sul quotidiano Il Piccolo del 14 ottobre 2013 quella della chiusura della sede di Trieste della direzione regionale del lavoro, con conseguente accorpamento a Venezia;
          tale operazione rientrerebbe nelle operazioni di fusione delle direzioni regionali previste dallo schema di riorganizzazione deciso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Venezia dovrebbe accentrare il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, l'Emilia Romagna e le Marche;
          sarebbero 80 le posizioni a rischio in Friuli Venezia Giulia, di cui una trentina a Trieste, 300 invece a livello nazionale;
          la direzione del lavoro di Trieste, stando all'ultimo report di attività, risulta alquanto efficiente: nel 2012 ha trattato 410 controversie di lavoro e a far data da luglio 2012 anche 108 controversie per licenziamento; ha smaltito 146 autorizzazioni al lavoro minorile per lo spettacolo e dopo gli interventi normativi per la salvaguardia dei lavoratori cosiddetti «esodati» ha istituito la commissione per esaminare le domande: 142 domande evase su 142 pervenute;
          ancora più produttiva è risultata essere in fase di controllo: 456 aziende visitate, di cui 216 trovate irregolari (120 nel settore terziario, 82 nell'edilizia, 14 in industrie); 466 ispezioni e 2.707 posizioni lavorative verificate; sono state comminate 127 maxisanzioni per lavoro nero; 62 lavoratori coinvolti in appalti illeciti, mentre 122 assunti con contratti impropri; accertata un'evasione per oltre 3 milioni di euro, di cui oltre un milione recuperata  –:
          a quanto si preveda ammonti il risparmio derivante dal processo di destrutturazione degli uffici regionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          se alla riduzione delle direzioni regionali corrisponda un calo del numero delle posizioni dirigenziali ovvero, come lamentato dagli impiegati interessati dal processo di accorpamento, in una sede accentrata servano più dirigenti;
          se corrisponda al vero quanto contestato dagli impiegati della sede triestina, vale a dire un intento di rafforzare la struttura romana a scapito di quelle territoriali ed un attuale rapporto di dirigenti pari ad uno ogni 13 dipendenti a Roma, contro uno ogni 73 in Friuli Venezia Giulia;
          se il Ministro interrogato non convenga sull'opportunità di procedere ad una riorganizzazione degli uffici, ai fini dell'abbattimento della spesa pubblica, non già seguendo un taglio lineare bensì eliminando le sedi inefficienti. (5-01215)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento alle notizie emerse sulla stampa in merito ad un trasferimento dei dipendenti della direzione regionale del lavoro di Trieste a Venezia in attuazione di una riorganizzazione che prevedrebbe una fusione delle direzioni regionali;
          va preso atto della funzione strategica della direzione di Trieste in quanto assolve fra l'altro al compito di gestire i ricorsi amministrativi, il coordinamento e il supporto tecnico-operativo nella vigilanza in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, l'abilitazione alla professione di consulente del lavoro  –:
          se corrisponda al vero quanto suesposto, in particolare se l'accorpamento delle direzioni regionali del lavoro comprenderà l'azzeramento degli uffici a Trieste e in Friuli Venezia Giulia con gravi ricadute sulla presenza dello Stato sul territorio in ordine alla gestione di un campo d'azione strategico come il lavoro. (4-02168)


      TRIPIEDI, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, BALDASSARRE, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
          al personale dipendente della società Poste italiane, assunto prima del 28 febbraio 1998 – data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni –, spetta l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  1032 del 23 dicembre 1973;
          per i lavoratori postelegrafonici, l'articolo 53, comma 6, della legge n.  449 del 30 dicembre 1997 (legge finanziaria 1998) stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma» e quindi avendo a riferimento la retribuzione percepita al 28 febbraio 1998;
          il sistema di calcolo normativamente previsto congela, di fatto, la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998, indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione o comunque cesserà il suo rapporto di lavoro e continua ad arrecare un importante danno, economico agli interessati;
          con risoluzione conclusiva di dibatto (8-00208) relativa alla questione sopra citata il Governo si impegnava a valutare la possibilità di assumere, entro il 31 gennaio 2013 compatibilmente con gli effetti finanziari, eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentissero ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché «il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro;
          il Governo si impegnava anche ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare del fondo della gestione commissariale Fondo buonuscita per i lavoratori di Poste italiane e valutarne la sua relativa destinazione d'uso;
          la circostanza di cui sopra coinvolge oltre 150 mila lavoratori attivi, molti dei quali si sono rivolti all'autorità giudiziaria al fine di veder riconosciuto lo stesso criterio di rivalutazione per il periodo maturato fino al 28 febbraio 1998;
          ad oggi tuttavia, il Governo non ha ancora provveduto in via normativa per porre fine a questa situazione, pur in presenza di un elevato numero di contenziosi giudiziari ed un formale impegno assunto dallo stesso il 6 novembre 2012 con la risoluzione sopra citata  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano le iniziative normative che il Governo intende adottare per porre rimedio alla predetta vicenda. (4-02174)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
          il 24 settembre 2013, il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione Europea e la Commissione europea hanno raggiunto l'accordo sulla riforma della politica agricola comune (PAC);
          la commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo il 30 settembre ha licenziato le proposte di regolamento del pacchetto di riforma della PAC concernenti i pagamenti diretti, l'organizzazione comune dei mercati, lo sviluppo rurale e il finanziamento, il monitoraggio e la gestione della PAC;
          è importante operare entro un quadro complessivo improntato ad una solida e condivisa visione d'insieme che non può che essere basata sul pieno riconoscimento delle istanze delle diverse zone omogenee di produzione agricola riconoscibili in Italia, come nel caso del bacino padano, attraverso un tempestivo, frequente e urgente coinvolgimento nella definizione della riforma;
          si considera urgente rendere disponibile alle regioni e province autonome un quadro sintetico degli elementi essenziali all'interno del quale le regioni possano tarare, e condividere col partenariato locale, strategie, obiettivi e azioni dei programmi per lo sviluppo rurale 2014-2020 entro le scadenze (gennaio 2014) prospettate dai servizi della commissione europea per ottenerne l'approvazione entro il 2014;
          alla luce della conoscenza del quadro delle scelte nazionali da definirsi e della tempistica dettata dai regolamenti stessi, a parere dei proponenti, non è più rinviabile ed è ormai urgente aprire il confronto interno tra Stato e regioni per definire in primis i criteri di distribuzione interna delle risorse finanziarie disponibili per l'Italia e parallelamente trovare un accordo sui temi che i regolamenti lasciano aperti ad opzioni decise dagli stati membri;
          è necessario che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali si faccia parte attiva rispetto alle proprie competenze per avviare tavoli e momenti di lavoro con le regioni proprio per poter arrivare in tempo utile a rendere operativa la nuova PAC dato atto che saranno le uniche risorse a disposizione degli agricoltori italiani. In più occasioni il Ministro si è detto pronto ad iniziare tale percorso, ma nei fatti da luglio è stato fatto un unico incontro a livello tecnico;
          ad oggi le regioni non sono in grado di proseguire serenamente le proprie attività di costruzione dei PSR non essendo in condizione ne di conoscere il budget che verrà loro assegnato ne quali scelte di politica agricola verranno adottate a livello nazionale  –:
          perché ad oggi non si sia ancora stato convocato e/o riunito un tavolo tra il Ministero e le regioni per discutere della ripartizione dei fondi Europei per la futura PAC e per i programmi di sviluppo rurali;
          se non ritenga opportuno fornire alle regioni e alle province autonome un quadro sintetico, chiaro e comparativo, rispetto al 2007-2013, degli strumenti della PAC disponibili anche alla luce di eventuali azioni di semplificazione dei frammentati strumenti messi a disposizione nonché il quadro strategico nazionale che supporti le proposte rispetto alle problematiche trasversali, settoriali, territoriali per le diverse aree rurali del Paese;
          se sia possibile mettere a disposizione delle regioni autonome il quadro delle risorse della PAC complessivamente disponibili (FEAGA, FEASR, statali) e il loro riparto, necessario per avere gli elementi conoscitivi utili ad effettuare le scelte di programmazione regionale o nazionale (gestione del rischio) indispensabili per equilibrare i gravi deficit territoriali e aziendali che potrebbero verificarsi in aree omogenee, in analogia a quanto avvenuto in sede di negoziato comunitario rispetto alla tutela del budget nazionale per il I e II pilastro;
          se intenda di astenersi dal perseguire ipotesi di centralizzazione programmatica che minerebbero la collaudata efficienza di spesa dei migliori sistemi regionali, riducendo la massa critica delle risorse gestite ed i fattori di successo storici, quali le forme di collaborazione tra le autorità di gestione e gli organismi pagatori convertendole, per esempio, in proposte concertate di schede di misura omogenee e volontarie per affrontare temi che beneficerebbero di un coordinamento e di una negoziazione rafforzata in sede comunitaria;
          se intenda predisporre un puntuale calendario dei lavori che consenta con il coinvolgimento dei tecnici e degli amministratori di definire il quadro completo delle scelte necessarie per proseguire nella costruzione dei programmi di sviluppo rurale.
(2-00253) «Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Nicola Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
          da sabato 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) sono stati coltivati seimila metri quadrati con mais transgenico MON810 comportando contaminazione nelle produzioni convenzionali/biologiche limitrofe;
          il Governo, in seguito all'impegno sorto dall'approvazione in Parlamento di una risoluzione e di una mozione sull'avvenuta semina del mais OGM e alle sollecitazioni provenienti sia dalla Conferenza delle regioni e delle provincie autonome che dalla società civile, ha adottato l'11 luglio 2013 un decreto interministeriale che ha coinvolgendo tre Ministeri fondamentali: Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero della salute;
          nel decreto, entrato in vigore l'11 agosto 2013, si prevede che «la coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate è vietata nel territorio nazionale, fino all'adozione di misure comunitarie di cui all'articolo 54, comma 3 del regolamento (CE) 178/2002 del 28 gennaio 2002 e comunque non oltre diciotto mesi dalla data del presente provvedimento»;
          il decreto risulta inattuato poiché i campi in cui sono avvenute le semine di mais MON810 non sono stati bonificati né sono stati messi in sicurezza le coltivazioni convenzionali/biologici limitrofe, determinando così un grave rischio per la tutela della biodiversità della zona;
          durante riunione della task force «Italia libera da OGM» tenutasi a Pordenone il 4 ottobre 2013, i rappresentanti del Corpo forestale regionale, che sta effettuando tutte le azioni di controllo e monitoraggio sul luoghi in questione, ha affermato che potrebbe essere in atto una presunta contaminazione dei campi limitrofi a quelli seminati con mais OGM e che, a causa della previsioni contenute nel decreto, non hanno nessun potere per mettere in atto alcuna azione che possa bloccare tale processo;
          la regione Friuli Venezia Giulia, secondo quanto spiegato dal vicepresidente Bolzonello (con delega per le attività produttive, il commercio, la cooperazione e l'agricoltura), rilevando l'impossibilità di applicare il decreto interministeriale in quanto risulta mancante il sistema sanzionatorio che comporta carenza di potere, il 23 settembre 2013 ha ritenuto opportuno emettere un'ordinanza di raccolta del mais MON810 molto stringente, che permetta, in caso di violazione delle prescrizioni, di agire ex articolo 650 cp;
          la mancanza del sistema sanzionatorio del decreto ministeriale in questione è stata confermata dallo stesso Ministro interpellato che, davanti alla Commissione agricoltura durante la seduta del 9 ottobre 2013 in risposta al question time, ha affermato: «L'incompletezza del quadro giuridico, dovuta all'assoluta novità della situazione di fatto non ancora disciplinata in modo sistematico, è una lacuna con riflessi operativi che rende necessario un ulteriore intervento normativo in materia di sanzioni per violazione di disposizioni di carattere ambientale»; e poi ancora: «Sul territorio del Friuli Venezia Giulia stanno, dunque, proseguendo tutte le azioni di controllo volte ad accertare se dalla coltivazione del mais in questione possano prodursi danni all'ambiente, ma resta da affrontare la questione di rafforzare il divieto introdotto dal decreto interministeriale del 12 luglio scorso con la previsione di uno specifico sistema sanzionatorio. A tal fine, si condivide la necessità di un nuovo intervento normativo in materia di sanzioni per violazione delle disposizioni di carattere ambientale e in tal senso è rivolta l'attività dell'Amministrazione»;
          nella medesima seduta, il Ministro ha constatato la necessità di promuovere una modifica della direttiva 2001/18/CE al fine ampliare l'autonomia degli Stati membri nel vietare la coltivazione di OGM sul proprio territorio  –:
          preso atto che la modifica della direttiva 2001/18/CE in primis e l'attuazione della medesima sul nostro territorio potrebbero richiedere tempi assai lunghi, determinando così il prolungamento della lacuna normativa fino al periodo di semina del prossima primavera, con quali tempi e modalità si intendano promuovere un'iniziativa normativa in materia di sanzioni per violazione di disposizioni di carattere ambientale affinché il divieto di coltivazione OGM sia effettivo nel breve termine;
          data l'incertezza delle regioni di fronte all'attuale quadro normativo come dimostrato dalla mancata attuazione del decreto da parte della regione Friuli Venezia Giulia, se le regioni e gli enti locali, al fine di attuare almeno la messa in sicurezza delle coltivazioni convenzionali/biologiche in caso di accertato danno ambientale da coltivazione ogm abbiano il potere di applicare le sanzioni previste dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n.  224 del 2003 e la bonifica, il ripristino ambientale e il risarcimento ai sensi del Codice dell'ambiente (decreto legislativo n.  152 del 2006) come affermato dal Ministro interpellato nella lettera inviata alla presidente Serracchiani il 9 ottobre 2013;
          a seguito del parere poco confortante dell'ESFA (Autorità europea sulla sicurezza alimentare) in cui si afferma la mancata evidenza di rischi per la salute umana o animale e per l'ambiente che legittimi la richiesta di misure di emergenza dell'Italia ex articolo 34 Regolamento (CE) n.  1829 del 2003, quali misure il Governo ha intenzione di mettere in campo per evitare che nel nostro Paese, attraverso il precedente che si sta formando in Friuli Venezia Giulia, venga introdotta in larga scala la coltivazione OGM a discapito della vastissima biodiversità territoriale.
(2-00254) «Zanin, Cenni, Braga, Mariani, Bratti, Cova, Terrosi, Ferrari, Venittelli, Zaccagnini, Zardini, Bargero, Zappulla, Senaldi, Nicoletti, Labriola, Ventricelli, Sbrollini, Giuditta Pini, Martelli, Marzano, Mattiello, Simoni, Vaccaro, Pastorelli, Taranto, Furnari, Valiante, Bazoli, Preziosi, Patriarca, Fiorio, Luciano Agostini, Brandolin, Dallai, Fanucci».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MONGIELLO e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          a livello europeo ed internazionale è forte e consolidato l'elevato livello di reputazione e di successo del Made in Italy nel settore agroalimentare. Nel 2013, in particolare, nell'ambito della trentaduesima edizione della ANUGA di Colonia, si è riscontrato come ancora una volta il food and beverage made in Italy rappresenti un trionfo per il nostro Paese ed un invidiabile punto di riferimento per tutti gli operatori ed i concorrenti internazionali;
          i primi dati forniti dai rapporti della predetta edizione 2013 della fiera ANUGA di Colonia hanno evidenziato l'elevatissima presenza, in seno alla manifestazione, delle aziende italiane con oltre 5000 marchi e circa 20.000 referenze italiane;
          in tale contesto l'Italia conferma il proprio ruolo di leader mondiale dei prodotti alimentari di eccellenza la cui domanda continua a crescere su tutti i principali mercati;
          purtroppo, però, proprio in questa sede fieristica, ossia nel cuore dell'Unione europea, la quale come istituzione propugna la tutela della qualità dei prodotti destinati all'alimentazione e la difesa del sistema rurale degli Stati membri e quindi in uno dei principali scenari di grande interesse per l’export agroalimentare italiano, si sono evidenziati anche i peggiori episodi di contraffazione e di falsificazione del vero made in Italy;
          le notizie sullo svolgimento della sopra citata fiera ANUGA hanno sottolineato la forte presenza di prodotti falsamente originari della tradizione italiana a testimonianza delle costanti minacce di contraffazione e italian sounding che affliggono i nostri prodotti, fenomeni che innescano un giro di affari pari a 60 miliardi di euro. Nella stessa fiera ANUGA si è potuta constatare infatti la presenza di stand e prodotti che utilizzano i colori della bandiera italiana ma non hanno nulla a che fare con l'Italia ed il fatto più grave ed inaccettabile è che spesso si sia trattato di operatori appartenenti a Paesi dell'Unione europea le cui regole sull'informazione ingannevole al consumatore dovrebbero essere uguali per tutti offrendo uno stesso livello di tutela sul territorio comunitario;
          sembra che vi sia stata la scoperta, nella Fiera tedesca Anuga, di formaggi italiani «taroccati» realizzati negli Stati Uniti e in Australia ((Com/Set/ Dire) 15:47 10-10-13). Ma è certo, invece, il caso denunciato dall'Assessore regionale dell'agricoltura della Sardegna relativo al falso «Pecorino Romano» prodotto da una ditta statunitense ((ANSA) – CAGLIARI, 10 OTT): si tratta addirittura della falsificazione, in piena Unione europea, di una denominazione di origine protetta;
          secondo l'interrogante non si dovrebbe tollerare che le imitazioni dei nostri prodotti più tipici trovino spazio all'interno di una delle principali manifestazioni alimentari di un Paese membro dell'Unione europea come la Germania che sulla base della normativa europea dovrebbe invece combatterle direttamente;
          al riguardo giova evidenziare come la stessa Unione europea faccia forte di essere portatrice di regole di trasparenza e di garanzia dirette a istituire un regime comunitario della qualità dei prodotti agricoli coerente e finalizzata ad aiutare gli agricoltori a comunicare meglio le qualità, le caratteristiche e le proprietà dei prodotti agricoli garantendo un'adeguata informazione dei consumatori;
          su tali principi la Commissione europea proprio di recente ha approvato una regolamentazione specifica, il regolamento (UE) n.  1151 del 2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, le cui finalità dovrebbero essere quelle di tutelare i consumatori, rendere trasparenti i mercati, assicurare lealtà nei mercati e proteggere gli agricoltori contro le azioni sleali. La stessa Commissione, nel motivare l'introduzione di tale regolamentazione, ha fatto presente che «gli agricoltori e i produttori di prodotti agricoli subiscono una pressione competitiva riconducibile a vari fattori: la riforma della politica, la globalizzazione, la concentrazione del potere contrattuale nel settore del commercio al dettaglio e infine la situazione dell'economia. Contemporaneamente i consumatori sono sempre più alla ricerca di prodotti autentici, ottenuti con metodi specifici e tradizionali. La varietà e la qualità della produzione agricola dell'Unione europea, oltre a soddisfare tale domanda, dovrebbero rappresentare un importante punto di forza e una fonte di vantaggi competitivi per gli agricoltori europei;
          tuttavia, per informare adeguatamente i consumatori e gli acquirenti delle caratteristiche e delle modalità di produzione dei prodotti agricoli, è necessario che l'etichettatura dei prodotti contenga informazioni precise e affidabili. La preoccupazione centrale della politica di qualità dei prodotti agricoli a livello dell'Unione europea è offrire ai produttori gli strumenti giusti per comunicare agli acquirenti e ai consumatori le caratteristiche e le modalità di produzione dei prodotti e tutelare i produttori da pratiche commerciali sleali»;
          l'Italia ha sostenuto fortemente la celere approvazione di tale normativa, ma ancora di più ha rappresentato alle istituzioni europee che la vera svolta per il conseguimento degli obiettivi di tutela e di trasparenza perseguiti dall'Unione, vi sarebbe stata se fosse stata introdotta concretamente l'obbligatorietà dell'indicazione, sulle etichette dei prodotti agroalimentari, della loro origine e dei loro luoghi di produzione;
          purtroppo, tale richiesta non è stata recepita. La Commissione europea infatti ha deciso di rimandare ad un altro momento la formazione di una base giuridica che imponga l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione;
          ad oggi, quindi, l'Unione europea è inadempiente verso il proprio compito di rendere applicative le predette norme che rechino l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione al livello geografico appropriato per rispondere alle aspettative dei consumatori in fatto di trasparenza e informazione;
          ancora più biasimevole appare essere la Commissione europea quando nel dichiarare di voler tutelare la qualità dei prodotti agroalimentari, i diritti dei consumatori ed i legittimi interessi dei produttori, permette che negli Stati membri, nel caso in oggetto in Germania, si possano impunemente consumare fatti contrari alle sue politiche di garanzia e pregiudizievoli per l'economia e per gli interessi di un altro specifico Paese, in queste circostanze l'Italia;
          anche alla luce di queste ulteriori testimonianze che dimostrano come il made in Italy necessiti di concrete politiche europee ed internazionali di protezione, appare necessario richiedere all'Unione europea che approvi con urgenza le norme, della stessa proposta ma mai adottate, che permettano controlli e sanzioni efficaci validi in tutta l'Unione e che facciano sì che la supervisione delle attività di controllo degli Stati membri sia realizzata a livello dell'Unione per corroborare l'affidabilità della normativa applicabile ai prodotti alimentari in tutta l'Unione europea, in linea con i principi stabiliti anche dal suddetto regolamento sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari  –:
          quali ulteriori informazioni possa fornire in merito ai fatti di concorrenza sleale e di presunte frodi agroalimentari arrecate al made in Italy nel corso della fiera ANUGA di Colonia;
          se non ritenga indifferibile ed urgente agire in maniera decisa presso le competenti istituzioni dell'Unione Europea affinché sia approvata l'attesa normativa che imponga l'obbligo di indicare nell'etichetta dei prodotti agroalimentari il loro luogo di produzione;
          se esistano procedure di collaborazione tra gli organi di controllo e di ispezione italiani con quelli degli altri Stati membri e, come nel caso della Germania in cui si sarebbe auspicata un'azione repressiva appropriata, in che modo tali rapporti potrebbero reprimere e sanzionare gli operatori che mettono in atto condotte illecite a danno del made in Italy agroalimentare. (5-01211)

Interrogazione a risposta scritta:


      COSTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la regione Piemonte è una delle zone geografiche di maggior produzione vitivinicola nell'intera Unione europea, con oltre 46.000 ha vitati e 2.300.000 ettolitri di vino prodotti nel solo anno 2012;
          il numero delle DOC e DOCG risulta essere, rispettivamente, di 42 e 16 vitigni, un record assoluto nel panorama nazionale ed internazionale, a conferma della grande tradizione — storica, oltre che economica — del settore vitivinicolo piemontese;
          il 35 per cento della produzione vinicola piemontese è destinato all’export, garantendo a tale settore il primato nel quadro economico regionale;
          negli ultimi mesi si sono verificate numerose ispezioni, da parte dell'Ispettorato controllo qualità dei prodotti agroalimentari, miranti a garantire l'applicazione delle infinite disposizioni the regolano il settore;
          oggetto di contestazione sono state, soprattutto, le informazioni aggiuntive apposte in etichetta. Tali informazioni, presenti in etichetta ormai da molti anni, sono utilizzate dalle aziende per permettere il diffondersi tra i consumatori di un'educazione al vino ed al bere responsabilmente e consapevolmente, oltre che per tutelare, anche sotto il profilo storico, il territorio di provenienza di grandi cru come Barolo e Barbaresco;
          la normativa italiana in materia, peraltro, è estremamente più restrittiva rispetto alle normative comunitarie, che permettono di inserire anche ulteriori indicazioni utili al consumatore;
          tutti gli altri Paesi europei, quindi, operano in un regime di maggior liberalità, liberando i propri produttori da un apparato burocratico che, al contrario, ostacola i produttori italiani che si ritrovano a competere in un mercato globale con questo deficit comunicativo;
          questo atteggiamento da parte delle autorità, seppure supportato dalla legge, ha permesso l'elevazione di numerose pesanti sanzioni, senza offrire ai produttori — almeno a coloro i quali abbiano sbagliato in buona fede — la possibilità di modificare e correggere entro breve tempo le etichette errate;
          il citato atteggiamento sanzionatorio giunge in un periodo economico particolarmente difficile e va esattamente nella direzione opposta ad una logica di collaborazione tra lo Stato e le Imprese, che mai come ora hanno la necessità di collaborare;
          se, da un lato, tali controlli sono giusti e corretti per garantire allo stesso settore vitivinicolo quella trasparenza che, talvolta, negli ultimi anni è venuta a mancare, dall'altro non possono prescindere dalla tradizione e dalle consuetudini che hanno permesso a questo importante settore dell'economia regionale e nazionale di essere traino, anche in un periodo di depressione dei consumi  –:
          se ritenga di svolgere un monitoraggio in ordine a quanto esposto in premessa e, più in generale, rispetto all'attività dell'ispettorato;
          se non intenda avviare un confronto con i produttori, le associazioni di categoria e le istituzioni locali per avviare un approfondimento finalizzato a correggere eventuali anomalie normative presenti nel nostro ordinamento. (4-02166)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la normativa vigente prevede che le autorizzazioni ope legis dei medicinali omeopatici in commercio all'atto di recepimento della direttiva europea scadono il 31 dicembre 2015;
          le associazioni industriali che rappresentano il comparto dei medicinali omeopatici e antroposofici sono pertanto consapevoli di dover procedere, al più presto, al rinnovo delle autorizzazioni, con conseguente predisposizione dei dossier tecnici relativi a ciascun prodotto;
          l'Agenzia italiana del farmaco ha dichiarato che sono stati notificati venticinquemila medicinali omeopatici, mentre secondo le associazioni di categoria risulterebbero dodicimila specialità farmaceutiche effettivamente sul mercato;
          secondo una ragionevole stima, è dunque verosimile che i dossier tecnici di prodotto possano essere tra otto e diecimila;
          sulla base di tali valutazioni, una corretta opera di revisione e approvazione dei dossier dei medicinali omeopatici potrebbe davvero essere portata a termine entro la fine del 2015 (come previsto dalla normativa vigente), soltanto nell'ipotesi in cui si preveda l'attività presso l'Agenzia italiana del farmaco di una vera e propria task force dedicata, che si occupi dell'esame di tutti i dossier, secondo un calendario concordato con le aziende produttrici, che consenta di iniziare l'attività di autorizzazione, partendo dai dossier già predisposti dalle stesse aziende produttrici;
          tale indispensabile celerità nelle operazioni di verifica dei dossier da parte dell'Agenzia italiana del farmaco sembra inoltre confliggere con le persistenti incertezze sui parametri di redazione dei dossier tecnici e sui criteri di valutazione degli stessi dal parte dell'Agenzia italiana del farmaco  –:
          se l'Agenzia italiana del farmaco ritenga opportuno ipotizzare per il rinnovo delle autorizzazioni rilasciate ope legis nel 1995, la cui validità cesserebbe nel 2015, un iter che, pur iniziando immediatamente, non potrebbe che avere una previsione di lunga durata, come certificato dall'esperienza di altri Paesi, come Francia e Germania, in cui è ancora in itinere il rinnovo delle autorizzazioni, senza che peraltro vi sia alcun detrimento per l'attività delle aziende e per le esigenze di salute dei pazienti;
          se, una volta stabilite le tariffe, entro il primo semestre del 2014, AIFA possa concordare con le aziende la lista definitiva dei medicinali di cui si intende presentare domanda di rinnovo;
          se, nel caso fosse possibile la redazione concordata di tale lista, ritenga che ai prodotti appartenenti alla lista possa essere assegnato un numero di autorizzazione per l'immissione in commercio che comporti il contestuale pagamento della tassa annuale di mantenimento;
          se ritenga invece che i prodotti privi di tale numero di autorizzazione per l'immissione in commercio debbano terminare la loro presenza sul mercato il 31 dicembre 2015, come previsto comunque anche dalla norma vigente in caso mancata presentazione del dossier;
          se non ritenga opportuno far partire immediatamente un tavolo di confronto che coinvolga le aziende produttrici e l'Agenzia italiana del farmaco per analizzare e verificare la corretta attuazione di tutte le disposizioni normative relative all'utilizzo di tali farmaci, a forte specificità;
          se non ritenga necessario un'iniziativa normativa urgente per una più efficace regolamentazione dell'omeopatia che possa normare in modo certo l'attività delle aziende produttrici e possa agevolare la piena disponibilità di tutti i prodotti omeopatici per l'utilizzo da parte dei cittadini. (4-02163)


      IORI, LENZI, BIONDELLI, BURTONE, FOSSATI, BENI, CASATI, D'INCECCO, PATRIARCA, GRASSI, AMATO, BELLANOVA, SCUVERA e CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal 14 giugno 2008, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008, riguardante le modalità e i criteri per il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie, delle attrezzature e dei beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, sono state trasferite le funzioni sanitarie necessarie a garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) per le persone detenute in carcere, negli istituti e servizi di giustizia minorile o internate negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG); dopo tale trasferimento, le responsabilità dell'assistenza sanitaria sono state assunte dalle regioni e dalle aziende sanitarie;
          nell'ambito delle disposizioni per il progressivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stata autorizzata la spesa di 120 milioni di euro per l'anno 2012 e di 60 milioni di euro per l'anno 2013 per la realizzazione e la riconversione delle strutture già esistenti; tali risorse sono assegnate alle singole regioni con decreto del Ministro della salute che, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze previa intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni, approva i programmi specifici per l'adozione di misure alternative all'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari e il potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale;    
          il decreto interministeriale adottato il 28 dicembre 2012 prevedeva uno stanziamento complessivo di 173.807.991 euro ripartito secondo due macro-criteri: il 50 per cento delle risorse secondo la popolazione residente al 1o gennaio 2011, l'altro 50 per cento delle risorse a seconda del numero dei soggetti internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, suddivisi per regione di residenza, al 31 dicembre 2011,
          le persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari alla data del 4 aprile 2013, sono risultate 1.015, in calo rispetto alle 1.484 censite alla data del 31 dicembre 2011, grazie soprattutto ai programmi regionali di dimissioni di tutti gli internati considerati in grado di proseguire il proprio percorso di vita anche in un ambiente esterno alle strutture degli ospedali psichiatrici giudiziari, passando in carico ai dipartimenti di salute mentale competenti;
          per ora sono in fase finale di approvazione da parte del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, i programmi presentati dalle regioni Emilia-Romagna, Marche, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Campania e Calabria, mentre i programmi di altre regioni sono in attesa del concerto tecnico finanziario o devono ancora essere presentati; l'articolo 1, comma 1, lettera e), del decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2013, n.  57 ha posticipato al 15 maggio 2014 il termine di presentazione dei programmi per le regioni ancora in attesa di definire il programma;
          il comma 7 dell'articolo 3-ter del decreto-legge 22 dicembre 2011, n.  211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n.  9, ha stanziato 38 milioni di euro per il 2012 e 55 milioni di euro a decorrere dal 2013; tali risorse sono state destinate alle regioni per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e per il recupero e il reinserimento sociale dei pazienti precedentemente internati, prevedendo l'assunzione di personale qualificato in grado di attuare specifici percorsi terapeutico-riabilitativi;
          il CIPE ha approvato, nella seduta del 21 dicembre 2012, la delibera di riparto tra le regioni delle risorse destinate alla copertura finanziaria degli oneri di parte di corrente derivanti dal completamento del percorso di progressivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari; e che relativamente al riparto dei fondi per l'anno 2013, è stata raggiunta, in sede di Conferenza unificata del 7 febbraio 2013 intesa sulla proposta di delibera CIPE (n.  15 dell'8 marzo 2013);
          il percorso istituzionale e burocratico che dovrà portare alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 1o aprile 2014, secondo i dati del Ministero, imporrebbe di assicurare entro quella data 995 posti letto, e rileva altresì che il costo unitario per posto letto sarebbe variabile tra i 110.000 e i 230.000 euro  –:
          se corrisponda al vero che il termine del 1° aprile 2014 potrebbe essere superato ancora una volta rendendo necessaria un'ulteriore proroga dei termini del percorso che porti alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari;
          quali iniziative siano state intraprese dal Ministero affinché le regioni che devono ancora realizzare il programma definitivo di dimissioni degli internati dagli ospedali psichiatrici giudiziari presentino i progetti entro il termine previsto del 15 maggio;
          quali tempistiche e quali modalità siano previste per l'erogazione delle risorse per gli anni 2012 e 2013 destinate alla copertura finanziaria degli oneri di parte di corrente per il completamento del percorso di progressivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
          se il Ministro non ritenga sovrastimato, per la fase successiva al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, un numero complessivo di posti letto commisurato al numero di soggetti attualmente internati negli ospedali psichiatrici giudiziari e quali criteri intenda fornire sulle notevoli differenze dei costi unitari per singolo posto letto previsti nei programmi regionali di dimissioni degli internati dagli ospedali psichiatrici giudiziari già presentati da alcune regioni;
          se tutti i programmi presentati dalle regioni prevedano l'utilizzo delle risorse in conto capitale per realizzare misure alternative alla detenzione sia tramite le strutture di sicurezza, sia tramite la riqualificazione dei servizi territoriali e dei dipartimenti di salute mentale. (4-02167)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


      CAUSIN e ZANETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          dal 2009 al 2012 il mercato motociclistico italiano è crollato da 500 a 250 mila pezzi venduti, con un crollo dello scooter del 50,5 per cento e delle moto del 45,3 per cento. Contestualmente quello europeo scende del 23,5 per cento nello scooter e del 24,4 per cento nelle moto, passando in 4 anni da 1,4 milioni di pezzi venduti a 1 milione;
          nel primo quadrimestre 2013 il mercato Italia segna altri dati preoccupanti: meno 36 per cento scooter e meno 20 per cento moto. Aprilia va peggio del mercato negli scooter di cilindrata superiore ai 50 centimetri cubici di cilindrata (meno 50 per cento contro il meno 36 per cento del mercato) e nelle moto (meno 30 per cento contro il meno 20 per cento del mercato); va meglio negli scooter di 50 centimetri cubici di cilindrata (meno 30 per cento contro il meno 38 per cento del mercato);
          Aprilia è un'azienda motociclistica italiana fondata nel 1945 che fa parte del gruppo Piaggio e che occupa circa 720 lavoratori negli stabilimenti di Noale e Scorzè;
          Aprilia rappresenta per il territorio di Scorzè e Noale, e più in generale dell'area miranese, un'eccellenza industriale, un'azienda simbolo per i due comuni che ha saputo conquistare sempre maggiori fette del mercato degli scooter e del motociclo e importanti successi sportivi, l'ultimo festeggiato a Noale solo qualche mese fa;
          nei recenti incontri con le organizzazioni sindacali, alla luce del negativo andamento del mercato della motocicletta, l'azienda ha messo sul piatto un piano di mobilità riguardante, soprattutto, lo stabilimento di Scorzè, consistente in un taglio di 98 lavoratori dei 360 in organico. Si tratta di una vera novità, visto che negli anni scorsi il provvedimento ha riguardato soprattutto il sito di Noale, dove ora gli esuberi oggi sarebbero 38 su altri 360 dipendenti;
          la riduzione di quasi 200 unità rappresenta, in pratica, la riproposizione dei tagli prospettati un paio d'anni fa e scongiurati grazie al buon esito della trattativa condotta a buon fine con l'applicazione del contratto di solidarietà (in scadenza il 31 gennaio 2013), una soluzione individuata per scongiurare licenziamenti in una realtà di fabbrica in cui l'età media è molto bassa: il grosso dei dipendenti è sui quaranta anni, età critica per riuscire a trovare un'altra collocazione e troppo distante per predisporre un percorso verso il pensionamento;
          l'attività dell'azienda non è proprio stagnante, dal momento che tra qualche mese dovrebbero entrare in produzione alcuni nuovi modelli e che la Banca europea per gli investimenti e Piaggio hanno recentemente firmato un contratto da 60 milioni di euro per sostenere ricerca e sviluppo del gruppo;
          è indispensabile mantenere gli investimenti nei siti produttivi Aprilia di Noale e Scorzè, anche nel reparto corse Aprilia racing, che è sempre stato un punto di forza di questa azienda e rappresenta una delle leve principali per incentivare le vendite e, di conseguenza, mantenere l'occupazione  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga necessario convocare urgentemente un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico con i rappresentanti dell'azienda e con le organizzazioni sindacali e gli enti locali interessati dell'area miranese, finalizzato ad individuare soluzioni adeguate a scongiurare la perdita occupazionale in un'area già pesantemente colpita da crisi. (3-00380)


      BENAMATI, TARANTO, BASSO, BINI, CANI, CIVATI, DEL BASSO DE CARO, DONATI, FOLINO, GALPERTI, GINEFRA, IMPEGNO, MARIANO, MARTELLA, MONTRONI, NARDELLA, PELUFFO, PETITTI, PORTAS, SENALDI, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico — Per sapere – premesso che:
          la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2013 ha dedicato un apposito focus all'andamento del mercato del credito ed ai suoi effetti sulle imprese, in cui si osserva che «l'aumento dei crediti in sofferenza e una accresciuta avversione al rischio delle banche si sono aggiunte alle esigenze di ricapitalizzazione legate alle indicazioni delle autorità finanziarie e dei nuovi regolamenti internazionali, producendo un sostanziale stallo del mercato del credito in Italia e in altri Paesi» e in cui si ricorda, ancora, che «in base ai dati diffusi dalla Banca d'Italia nell'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, la riduzione del credito bancario ha iniziato ad influenzare non solo le imprese in condizioni finanziarie fragili, ma anche quelle con bilanci solidi»;
          la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2013 ha, altresì, dedicato un apposito focus allo stato di attuazione dei provvedimenti ed alla loro autoapplicatività, in cui si osserva che, alla data del 15 settembre 2013, l'insieme dei provvedimenti legislativi adottati dal Governo comporta «265 provvedimenti attuativi di secondo livello da emanare da parte delle Amministrazioni centrali», di cui 89 – pari al 34 per cento dei 265 complessivi – previsti dal «decreto del fare» (decreto-legge n.  69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  98 del 2013);
          nel novero dei richiamati ed attesi provvedimenti a valle delle disposizioni recate dal «decreto del fare», rientra il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 1, comma 1, chiamato a dettare specifiche disposizioni attuative dei principi e dei criteri recati dall'articolo medesimo «al fine di migliorare l'efficacia degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese», secondo quanto segnalato anche nel recentissimo «Progetto Garanzia Italia» – congiuntamente proposto da Abi, Alleanza delle cooperative italiane, Confindustria, Rete imprese Italia – ove, per quel che appunto riguarda il fondo di garanzia, viene sottolineata la necessità di «dare immediata applicazione al decreto del fare, in particolare per quanto riguarda l'allentamento dei criteri di valutazione, le semplificazioni per l'accesso alle garanzie, l'innalzamento delle percentuali di copertura»;
          nel novero dei richiamati ed attesi provvedimenti attuativi delle disposizioni recate dal «decreto del fare» rientra, altresì, il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 2, comma 5, chiamato a definire requisiti e condizioni di accesso, misura massima, modalità di erogazione, controllo e raccordo con il plafond di provvista costituito presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti s.p.a. ai fini dell'attivazione dei finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese, previsti dall'articolo medesimo (cosiddetta Sabatini-bis);
          stante la perdurante riduzione del credito bancario, risulta, dunque, davvero preziosa la tempestiva operatività delle menzionate misure di cui agli articoli 1 e 2 del decreto-legge n.  69 del 2013  –:
          quali siano i tempi previsti per l'emanazione dei richiamati decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e comunque per la piena operatività delle misure in favore delle piccole e medie imprese di cui agli articoli 1 e 2 del decreto-legge n.  69 del 2013. (3-00381)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la multinazionale Alcatel-Lucent ha insediato da anni diversi siti in Italia; più precisamente specializzati in ingegneria software a Vimercate, Battipaglia e Rieti, nelle attività di produzione a Trieste e nelle attività amministrative e commerciali a Roma;
          Alcatel rappresenta un polo tecnologico di assoluta qualità e di elevato livello nel nostro Paese, con personale estremamente qualificato e numerosissimi laureati specializzati in ingegneria, informatica, matematica e fisica;
          in particolare, lo stabilimento Alcatel-Lucent di Battipaglia costituisce un polo industriale di assoluta eccellenza nel settore delle telecomunicazioni e della ricerca, di rilievo europeo;
          tale sede è costituita da un centro di ricerca e sviluppo che ha svolto una intensa attività, all'avanguardia per capacità di innovazione scientifica e di elaborazione progettuale, e che rappresenta un rilevante canale occupazionale per le università della Campania e del Mezzogiorno, sviluppando un'importante attività al servizio delle imprese del territorio ed alimentando un significativo indotto;
          il centro partecipa a diversi progetti di ricerca italiani ed internazionali; tale centro ha acquisito rilevanti competenze in vari campi della tecnologia digitale e della gestione integrata dei sistemi di videosorveglianza ed allarmistica;
          negli ultimi anni il sito Alcatel di Battipaglia, nonostante abbia raggiunto elevati livelli di competenza e di innovazione tecnologica e scientifica, ha sofferto tutta una serie di decisioni aziendali che lo hanno pesantemente colpito e penalizzato, con diverse unità lavorative che sono state già costrette a trasferirsi a Vimercate;
          uno dei tre gruppi operanti a Battipaglia, quello «Optics» è stato completamente chiuso con il trasferimento della relativa attività nello stabilimento di Vimercate, mettendo così in pericolo il destino lavorativo di 31 ricercatori;
          il 19 aprile 2013 l'azienda ha comunicato al Ministero dello sviluppo economico la decisione di alienare o chiudere un altro gruppo di Battipaglia, quello «DMS» con 29 ricercatori;
          il 22 giugno 2013 l'azienda ha deciso di porre in cassa integrazione guadagni 110 lavoratori, dei quali 13 nel sito di Battipaglia; gli impegni, assunti negli anni dall'Alcatel verso gli impianti italiani ed anche quello di Battipaglia, sono stati disattesi e non rispettati, nonostante i molteplici interventi pubblici (finanziamenti statali ed europei) che si sono susseguiti nel tempo a sostegno della produzione e del centro di ricerca;
          queste ripetute decisioni e scelte aziendali hanno riguardato complessivamente 51 unità di personale;
          il centro di Battipaglia rischia sempre di più di essere smantellato ed impoverito, con la negativa dispersione delle competenze professionali acquisite nel corso di una esperienza trentennale;
          il 27 settembre 2013 si è tenuto, dopo diversi rinvii, un incontro dell'amministratore delegato di Alcatel-Lucent con il Ministro interrogato per illustrare le strategie ed i programmi dell'azienda verso gli stabilimenti e le attività presenti in Italia;
          Alcatel-Lucent ha presentato il Piano di ristrutturazione «Shift Plan», con l'annuncio di 5.870 tagli nel personale degli impianti e dei siti europei, su di un totale complessivo di circa 15.000 tagli a livello mondiale; in questo quadro il piano prevedrebbe 586 tagli nei siti Alcatel in Italia, ponendo fortemente in pericolo di chiusura e/o di cessione le sedi italiane di Battipaglia e di Rieti;
          Alcatel-Lucent ha, altresì messo in preventivo ulteriori esternalizzazioni totali o parziali di diverse altre attività, che finirebbero inevitabilmente per rendere ancora più pesanti i tagli ipotizzati per il nostro Paese;
          è indispensabile, pertanto, che il Governo, senza indugio, assuma una decisa e forte iniziativa per salvaguardare e difendere la presenza ed il ruolo di Alcatel in Italia, anche ponendo in campo proposte precise nel campo dell'Agenda digitale, che potrebbe rappresentare un terreno estremamente utile per definire un accordo con Alcatel capace di salvaguardare la presenza e le attività’ della multinazionale in Italia;
          fra l'altro é previsto un incontro fra Alcatel e Governo, fissato per il 17 ottobre 2013, specificamente per discutere delle prospettive e delle strategie relative agli stabilimenti ed ai siti italiani;
          del resto, é utile ricordare che, in sede di risposta ad una precedente interrogazione degli esponenti (5-00592 del 3 luglio 2013), il Sottosegretario allo sviluppo economico De Vincenti, nella seduta della X Commissione Attività Produttive del 7 agosto 2013, si impegnava «a riferire agli interroganti gli esiti dell'incontro che si svolgerà il prossimo settembre sugli ulteriori sviluppi della vicenda»;
          nel quadro della sua iniziativa più complessiva e generale, il Ministro dello sviluppo economico deve intervenire per evitare ulteriori tagli e penalizzazioni al sito di Battipaglia, che costituisce un centro di elevata qualità, tutelando adeguatamente i livelli occupazionali in una realtà territoriale già così afflitta dalla crisi economica e sociale e dalla enorme disoccupazione  –:
          quali iniziative il Governo e, specificamente, il Ministro interrogato — anche alla luce ed all'esito degli incontri che si sono tenuti con l'amministratore delegato ed i rappresentanti di Alcatel-Lucent e dei quali occorre una approfondita informativa da parte dell'Esecutivo — intendano assumere per preservare e sviluppare la funzione produttiva strategica di Alcatel in Italia, in particolare per lo stabilimento ed il sito Alcatel di Battipaglia, salvaguardando i livelli occupazionali ed eliminando ogni pericolo di chiusura e/o di cessione o, di grave depauperamento di tale stabilimento, o comunque di delocalizzazione o esternalizzazione delle sue attività. (5-01213)


      AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-00621 il sottoscritto chiedeva se il Ministro dello sviluppo economico non ritenesse necessario assumere iniziative per prorogare la cassa integrazione ai più di mille lavoratori del fallimento De Tomaso in modo da verificare la possibilità di una ricollocazione degli stessi nelle attività che si potrebbero insediare prioritariamente nel sito di Grugliasco e/o in altri piani di ricollocazione in attività lavorative nella provincia di Torino in modo da non aggravare ulteriormente dal punto di vista sociale una situazione di grave crisi produttiva come quella che sta vivendo l'area del torinese;
          nella sua risposta il Ministro precisava che il suo Ministero il 28 agosto 2012 ha autorizzato il trattamento straordinario di integrazione salariale per il periodo dal 5 luglio 2012 al 4 luglio 2013 e la proroga per il semestre dal 5 luglio 2013 al 4 gennaio 2014, in favore di 1.030 lavoratori operanti presso la sedi di Collesalvetti (Livorno) e Grugliasco (Torino);
          replicando alla risposta del Ministro il sottoscritto aveva dichiarato la propria insoddisfazione per la risposta del rappresentante del Governo, atteso che essa non ha fornito alcuna rassicurazione in ordine alla sorte dei lavoratori coinvolti, costretti a vivere una situazione di profonda incertezza, anche in relazione all'esito della procedura di proroga dei trattamenti di integrazione salariale;
          inoltre, ha reiterato la richiesta che il Governo verifichi con puntualità le eventuali offerte di acquisto, di cui ha spesso parlato ai tavoli negoziali la stessa regione Piemonte. Proposte, che se ci sono, visti anche i precedenti sulle quali occorreva svolgere adeguati accertamenti, tenuto conto che non appariva chiaro se tali offerte riguardassero la rilevazione delle attività economiche, gli immobili o altro e potessero, pertanto, produrre effetti positivi dal punto di vista dell'occupazione;
          la situazione dell'azienda nel frattempo è andata peggiorando e il curatore fallimentare della De Tomaso ha inviato in data 13 ottobre 2013 le lettere di licenziamento ai 1.100 addetti della società (tra Piemonte e Toscana) del settore Automotive della famiglia Rossignolo;
          i termini del licenziamento scatteranno a partire dal 4 gennaio prossimo se in questo periodo non saranno trovate soluzioni alternative per il recupero anche parziale della realtà produttiva;
          la Federazione Italiana Operai Metalmeccanici (Fiom) ha chiesto un incontro urgente alla regione Piemonte;
          a complicare il futuro dell'azienda vi è anche la vicenda giudiziaria che coinvolge il marchio De Tomaso, di fatto conteso, e su cui pende un ricorso in appello. Un ulteriore difficoltà per la ricerca di una eventuale soluzione industriale; è oltremodo necessario che il Governo si impegni per assicurare una soluzione strutturale al problema dell'azienda in oggetto, evitando il licenziamento di 1.100 addetti e la ulteriore depressione dell'area economica torinese e i nefasti effetti occupazionali per la provincia di Livorno  –:
          quali misure concrete e puntali il Governo intenda attuare per bloccare il licenziamento dei 1.100 lavoratori della De Tomaso, tenendo conto — in particolare — che gli immobili presso cui opera l'impresa sono ad oggi di proprietà della regione Piemonte. (5-01216)

Interrogazione a risposta scritta:


      SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, ARTINI, BALDASSARRE, BONAFEDE e GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 23 febbraio 2006 il Ministro delle attività produttive, di concerto con quello dell'Ambiente e su istanza di una società privata, ha concesso per decreto l'autorizzazione a realizzare un impianto industriale offshore galleggiante di rigassificazione di GNL (gas naturale liquefatto), permanentemente ancorato al fondo marino e collegato tramite gasdotto alla rete di distribuzione in terraferma, localizzato in un «sito» al largo della costa toscana, tra Livorno e Pisa, al confine delle acque territoriali italiane. Nello specifico l'opera consiste in un'unità di stoccaggio e rigassificazione galleggiante FSRU (floating storage and regasification unit) ancorato a circa 12 miglia nautiche (22,5 chilometri) al largo della costa di Livorno, in acque di profondità di circa 120 metri, e collegata alla terraferma da una condotta sottomarina per il trasporto del gas. Il terminale galleggiante o FSRU è un vettore di gas naturale liquefatto (GNL) convertito, con quattro serbatoi di stoccaggio di tipo Moss con una capacità complessiva di 137.000 metri cubi di GNL. Il FSRU «Toscana» è un'opera di una tipologia unica, mai realizzata prima anche per la nota pericolosità delle operazioni di trasbordo in mare di combustibili infiammabili di questo tipo. Non esistono altri esemplari al mondo di terminali analoghi. Nel sito in oggetto, infatti, dovrebbero compiersi operazioni di allibo, ossia di travaso del gas raffreddato a 160o C da nave gasiera a nave rigassificatrice. Il rigassificatore in questione è quindi soggetto a particolari rischi mai prima valutati e sperimentati, a partire da quelli dovuti all'allibo, operazione altamente rischiosa, da tempo vietata in Italia e poi improvvisamente autorizzata con il decreto 6 febbraio 2006 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio 2006, ovvero lo stesso giorno in cui è stato autorizzato il rigassificatore OLT (offshore LNG Toscana);
          in altri Paesi, come gli USA, i pochissimi terminali GNL offshore esistenti o in progettazione sfruttano tecnologie di ben altro livello di sicurezza, quali la tecnologia energy bridge, che prevede la rigassificazione a bordo della stessa gasiera che ha trasportato il GNL, evitando così i rischi dell'allibo;
          il registro italiano navale (RINA) ha dichiarato che il sistema di ormeggio tramite il quale dovrebbe avvenire l'allibo è risultato essere conforme alle norme, sebbene ad oggi, tali standard utilizzati per la realizzazione non siano al momento conosciuti. Si è tentato in vari modi (azioni parlamentari, attività di diverse associazioni ambientaliste) di accedere alla relazione redatta dal gruppo di lavoro merci pericolose che parrebbe essere l'unico riferimento tecnico procedimentale a sostegno dell'autorizzazione ad un'attività così pericolosa, ma ad oggi non sì è avuto modo di recepire tali documenti;
          nell'area del rigassificatore, in conformità a quanto stabilito dall'ordinanza n.  137 del 2013 della capitaneria di porto di Livorno, per motivi di sicurezza, sono stati posti vincoli di vario grado per la navigazione, con l'istituzione di tre aree – la zona di interdizione totale, quella di limitazione e quella di preavviso – in cui la navigazione, la sosta, l'ancoraggio, la pesca nonché qualunque altra attività di superficie o subacquea sono vietate, con conseguente danno per l'attività del porto, del turismo e dell'attività di pesca locale;
          non è altrettanto secondario lo stravolgimento e il probabile danno ambientale di tale area marina, infatti un impianto di tale tipologia versa nei fondali circa 550.000 metri cubi-giorno di acqua clorata (acqua e varichina – NaC1O) necessari a garantire la pulizia dello scambiatore di calore (un'area di 100x70 metri per un'altezza di 75 metri), tutto ciò non può che determinare importantissime modifiche all'ecosistema marino ed in particolare a quella zona di interesse naturale unico denominata «Il santuario dei cetacei»;
          il funzionamento del rigassificatore è notevolmente limitato dalla natura di quel tratto del mar Tirreno, peraltro soggetto a frequenti e forti mareggiate. A tal proposito, lo studio «Risultanze della Commissione tecnico-scientifica per la valutazione del rischio ambientale derivante dalla localizzazione dei depositi e dalla movimentazione di Gas di Petrolio Liquefatto (GPL) in alcune aree portuali italiane, istituita con decreto GAB/DEC//019/2001 del 13 febbraio 2001 – Roma, Febbraio-Maggio 2001», con riferimento alla zona di mare antistante il porto di Livorno, afferma che «i venti ed il moto ondoso sono tali da non poter garantire un sufficiente numero di giorni/anno con condizioni di operabilità in sicurezza»;
          il numero dei giorni in cui il rigassificatore non sarà in grado di operare sono inevitabilmente destinate ad aumentare, anche a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici, considerato che – come si legge nella pubblicazione del 2007 «Il libeccio e Livorno – Un viaggio tra culto, storia e scienza» a cura dell'Istituto di biometereologia del CNR (IBIMET-CNR), Centro di biologia marina e monitoraggio ambientale del mediterraneo LaMMA – CoMMA-Med: «I dati mostrano un andamento crescente della frequenza del Libeccio negli ultimi decenni del XX secolo a partire dagli anni ’80, con un aumento di circa il 32 per cento nell'ultimo decennio (frequenza media =  12.3 per cento) rispetto alla media del trentennio precedente (frequenza media =  9.3 per cento)» e che «L'aumento della frequenza del Libeccio durante la seconda metà del XX secolo risulta ancor più significativo qualora si considerino solo gli eventi che hanno superato la velocità di 10.8 m/s (circa 40 km/h), corrispondente al valore soglia del grado 6 della scala Beaufort. In particolare, nell'ultimo decennio del XX secolo la percentuale media degli eventi di Libeccio con velocità uguale o superiore a 10.8 m/s, rispetto al numero totale di eventi, è del 10 per cento, rispetto al 3.9 per cento del trentennio precedente»;
          il «Rapporto finale sulla sicurezza OLT LNG Toscana» è stato oggetto di analisi, per conto della regione Toscana, da parte del gruppo di studio costituito da Jerry Havens, Ph.D., P.E., Ronald.P. Koopman, Ph.D., P.E. e Andrew Alderson, I., Eng. Gli studiosi evidenziano, in particolare, due aspetti che non vengono presi in considerazione dal rapporto regionale: il primo relativo alla possibilità di collisione di un'altra nave con il FRSU (che, secondo l'analisi dovrebbe essere scongiurato dalla presenza h24 di una nave guardiana) ed il secondo legato alla possibilità di attacchi terroristici. Inoltre i calcoli previsionali riportati nello studio, presuppongono che il GNL proveniente dai paesi produttori contenga una parte inferiore al 10-15 per cento di idrocarburi con peso molecolare maggiore rispetto al metano. Gli GLN, sigla con la quale s'intende normalmente una miscela di idrocarburi più pesanti del metano, quali etano, propano e butano, hanno un potere energetico maggiore del liquido da gas naturale. Questo fattore rende di gran lunga più pericoloso l'intero impianto, in quanto le probabilità di possibili incidenti, come le esplosioni sono di gran lunga più probabili con una miscela di gas come il metano, l'etano, il propano e il butano;
          il rigassificatore in questione risulta, tra l'altro, molto costoso e la sua gestione finanziaria è incompatibile con l'accesso regolato dei terzi. A tal proposito, la Commissione europea nel documento SG-Greffe (2009) D11105 afferma che: «La specifica natura del terminal lo rende molto costoso. Allo stesso modo la limitata capacità di stoccaggio e la sua posizione al largo, esposta alle differenti condizioni meteorologiche, risultano in condizioni logistiche più complesse di altri terminal GNL tradizionali. Pertanto, per essere finanziariamente sostenibile, il progetto deve funzionare secondo uno stretto programma logistico incompatibile con l'accesso regolato dei terzi»;
          il terminale in questione non è ancora oggetto di un contratto definito e a lungo termine per la fornitura di gas, anche perché è piuttosto evidente che nel Paese c’è una cospicua sovraccapacità di importazione di gas rispetto alla domanda, grazie anche alla crescita delle energie rinnovabili;
          infatti l'aumento della produzione da fonti energetiche rinnovabili e il consolidamento degli interventi in efficienza energetica rendono assolutamente privo di senso tornare ad investire sui combustibili fossili, e, in particolare, su un progetto come quello del terminale offshore OLT, le cui anomalie progettuali ed autorizzative erano evidenti sin dall'origine e che rischia di finire ancor peggio per le poco trasparenti procedure di sicurezza adottate, tenuto conto che non vi è stato alcuno specifico approfondimento e che di terminali come quello in esame al mondo non ne esistono altri;
          in un articolo del 14 gennaio 2013, pubblicato sul quotidiano on line Quale Energia, titolato «Quel regalo ai rigassificatori fatto coi soldi nostri», a firma di Alessandro Codegoni, si riferisce che con il sistema di incentivazione dei rigassificatori, chiamato «fattore di garanzia», varato dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Aeeg) nel 2005 (delibera Aeeg n.  178/05), in seguito all'emergenza gas di quell'inverno, «invece di garantire tariffe eque, in grado di rendere il gas di tutti competitivo, si promette ai gestori dei rigassificatori il rimborso del valore del gas (che poi i consumatori pagheranno in bolletta) fino all'80 per cento (ridotto poi al 71,5 per cento in una delibera del 2008) della capacità massima dell'impianto, nel caso, magari per un calo del mercato o per le troppo alte tariffe di trasporto, non si riuscisse a venderlo. Un guadagno garantito, scaricato sulle bollette di tutti, per la bellezza di 20 anni. (...) Forse anche per queste condizioni straordinariamente favorevoli, da quel momento sono in effetti fioccate in Italia le richieste per aprire rigassificatori, arrivando nel 2011 a un massimo di 15 domande per nuovi impianti sparpagliati per tutta la penisola (su un totale di 21 richieste in tutta Europa) che, se realizzati, avrebbero più che raddoppiato la nostra fornitura potenziale di gas, sommandosi anche, oltre che ai 4 gasdotti esistenti, anche al nuovo gasdotto dall'Algeria, il Galsi, in funzione dal 2014, e (forse) al gasdotto South Stream dai Balcani»;
          un successivo articolo pubblicato il 10 luglio 2013, sul sito «Energia felice», titolato «Ancora incentivi ai rigassificatori», a firma di Alessandro Codegoni, riferisce che la delibera Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Aeeg) del 31 ottobre 2012 «escludeva il fattore di garanzia per tutti i futuri rigassificatori, e lo prevedeva per quelli recentemente approvati (quindi i rigassificatori di Rovigo e Livorno) solo se avessero aperto le porte a fornitori diversi dalla società proprietaria. Visto che sia Rovigo che Livorno sono gestiti in esclusiva, nessuno avrebbe goduto dell'incentivo. (...) Dopo la delibera del 31 ottobre 2012 la società OLT (Offshore LNG Toscana), controllata da E.On, che ha quasi ultimato il rigassificatore di Livorno, ha fatto ricorso al Tar della Lombardia, chiedendo che l'incentivo gli fosse conferito, anche se il suo impianto non è aperto a terzi. E il 7 luglio il Tar ha deciso in suo favore e la nave-rigassificatore di OLT, fino ad allora ferma a Dubai, si è immediatamente diretta a tutto gas (è proprio il caso di dirlo) verso le nostre coste. Così, a partire dalla fine dell'anno, (...) a tutti noi non resta che pregare che i suoi affari vadano a gonfie vele. Perché, se così non fosse, e nel 2014 vendesse meno del 71 per cento della sua capacità nominale di 3,75 miliardi di metri cubi di metano annui, la differenza gliela pagheremmo noi in bolletta»;
          secondo quanto riportato in un articolo pubblicato il 6 settembre 2013 sul sito on line de la Repubblica, a firma di Luca Pagni, titolato «Authority contro rigassificatore di Livorno. Troppi oneri sulle bollette dei cittadini», l'Autorità per l'energia e il gas ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per contestare la decisione del Tar della Lombardia che ha dato ragione a OLT in primo grado contro la decisione della stessa Autorità che nel 2012 aveva eliminato il sistema di garanzie finanziarie in favore delle società che realizzano infrastrutture strategiche. Secondo l'Autorità, il peso del fattore di garanzia «va dai 110 ai 90 milioni all'anno per 20 anni (a decrescere) fino a pagamento dei 900 milioni dell'investimento»;
          il costo in bolletta di tale rimborso rappresenta dunque un ulteriore balzello a carico dei consumatori che sin dal 1992 pagano in bolletta una quota per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, che è stata invece indebitamente destinata a pagare l'energia prodotta dalla combustione di code pesanti di raffinazione e degli inceneritori;
          le numerose criticità relative alla legittimità dell'intero iter procedurale precedente e successivo all'autorizzazione alla realizzazione dell'impianto di rigassificazione e la necessità di garantire la tutela dell'ambiente e della salute della popolazione hanno indotto il senatore del M5S Gianni Pietro Girotto a presentare in data 26 settembre 2013 un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno volto all'accertamento dei fatti sommariamente esposti e di qualsivoglia ipotesi di reato commissiva od omissiva  –:
          se i Ministri intendano considerare l'ipotesi, acclarata la particolare fragilità e delicatezza ambientale del sito in questione e l'assoluta novità della soluzione tecnologica adottata, di sospendere l'efficacia dell'autorizzazione all'esercizio del terminale rigassificatore galleggiante FSRU Toscana e procedere ad un riesame dell'autorizzazione concessa;
          se non intendano rivedere il carattere strategico attribuito ad un impianto realizzato in un'area protetta, in assenza delle garanzie di sicurezza, con il chiaro intento di avvantaggiarsi del fattore di garanzia di cui si è detto in premessa e che non sarà in grado né di svincolare il nostro Paese dalle forniture via terra né tantomeno di contribuire a ridurre le bollette degli utenti;
          se sia stato redatto un piano d'emergenza della protezione civile per un impianto di tale portata e singolarità tipologica e se si intenda pubblico e fruibile da tutti i cittadini tale piano. (4-02173)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Lacquaniti n.  4-02089, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lavagno, Kronbichler, Melilla.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Ferrara n.  4-01565 del 2 agosto 2013;
          interrogazione a risposta orale Causin n.  3-00329 del 24 settembre 2013;
          interrogazione a risposta scritta Vacca n.  4-02110 del 9 ottobre 2013;