XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 12 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              le carceri italiane ospitano attualmente circa 23.000 detenuti stranieri su un totale di 65.000 persone;
              la percentuale media nazionale degli stranieri detenuti in Italia è del 36-37 per cento, ma a livello locale, soprattutto nel Nord Italia, la percentuale arriva anche al 60-70 per cento. Il carcere di Padova ospita addirittura l'80 per cento di detenuti stranieri;
              l'Italia ha aderito alla convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti assieme ad altri 60 Paesi. Ha poi stretto accordi bilaterali con altri sette che erano rimasti fuori dalla convenzione, ma non con quelli che più pesano sul conto del sovraffollamento delle carceri;
              mancano, infatti, all'appello proprio i Paesi che affollano maggiormente le nostre carceri: il Marocco con 4.249 detenuti (18,7 per cento del totale), la Romania con 3.674 detenuti (16,1 per cento) e la Tunisia con 2.774 unità (12,2 per cento);
              per quanto riguarda invece l'Albania (2.787 detenuti, 12 per cento), un accordo specifico è stato siglato nel 2002. Quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non viene neppure monitorato a fini statistici;
              gli stranieri detenuti in Italia che stanno scontando attualmente una condanna definitiva, e che potrebbero quindi essere trasferiti, sono circa 12.500;
              il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della giustizia ha calcolato un costo medio per detenuto di 124,6 euro al giorno;
              la sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali per il rimpatrio dei stranieri e l'attuazione di quelli già in essere consentirebbero allo Stato di risparmiare oltre mezzo miliardo di euro che potrebbe essere destinato alla costruzione di nuove strutture, l'ammodernamento di quelle esistenti, e all'incentivo di forme rieducative e di reinserimento;
              il decreto legislativo n.  161 del 7 settembre 2010 ha attuato la delega conferita al Governo con la legge comunitaria 2008 (legge n.  88 del 2009) per conformare il diritto interno alla decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione in Italia,

impegna il Governo:

          ad attivarsi con urgenza per sottoscrivere accordi bilaterali, ovvero ulteriori accordi integrativi qualora necessari, con Albania, Marocco, Tunisia e Romania, al fine di estendere ai detenuti di quelle nazionalità gli effetti della convenzione di Strasburgo del 1983;
          ad assumere iniziative per inserire nei predetti accordi apposite disposizioni volte al riconoscimento automatico, anche senza il consenso del detenuto, delle sentenze emesse all'estero ed al rimpatrio di tutti i detenuti stranieri condannati in via definitiva;
          ad assumere iniziative per integrare e rafforzare in tale direzione le norme di cui al decreto legislativo n.  161 del 7 settembre 2010 in materia di riconoscimento all'estero delle sentenze penali emesse in Italia secondo i principi espressi nella decisione quadro 2008/909/GAI dell'Unione europea;
          a considerare anche l'opportunità di concedere, in favore dei Paesi firmatari degli accordi bilaterali, il riconoscimento di un contributo economico da parte dello Stato italiano proporzionato alle spese di mantenimento dei propri detenuti presso le loro carceri, in quota parte rispetto al costo sostenuto dall'Italia quotidianamente, che allo stato attuale è pari ad euro 124,6 giornaliero per detenuto;
          a concorrere infine alla predisposizione di validi strumenti di monitoraggio e di controllo riguardanti l'attuazione della convenzione di Strasburgo del 1983, dei regolamenti europei in materia e degli accordi bilaterali sottoscritti con i Paesi esteri.
(1-00239) «Colletti, Businarolo, Turco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Scagliusi, Bechis, Rostellato, Cecconi, Baldassarre, Spadoni, Grillo, D'Uva, Cozzolino, Lorefice, Liuzzi, Frusone».

Risoluzione in Commissione:


      La X Commissione,
          premesso che:
              l'efficienza energetica rappresenta il principale strumento per ridurre le emissioni climalteranti, per aumentare l'indipendenza energetica, ed è un elemento importante per sviluppare un'economica sostenibile poiché favorisce la creazione di nuove imprese innovative e può portare alla creazione di nuova occupazione in campo edilizio, impiantistico e industriale;
              l'efficienza energetica è anche una delle aree che più facilmente consentono azioni win-win sul lato economico ed ambientale e, per questo, particolarmente efficace in un periodo di crisi, è stato, infatti, elaborato uno scenario al 2050 in cui si ipotizza, rispetto ai valori del 2010, una riduzione assoluta dei consumi di energia del 14 per cento nel 2030 mentre a metà secolo la riduzione dovrebbe raggiungere il 30 per cento;
              la direttiva europea 2010/31/UE del 19 maggio 2010 sulla prestazione energetica degli edifici, prevede che entro la fine del 2020 per tutti gli edifici, ma già dalla fine del 2018 per quelli pubblici o ad uso pubblico, ogni nuova costruzione in Europa dovrà essere «a energia quasi zero», mentre un processo di trasformazione verso l'energia quasi zero dovrà essere avviato anche per il patrimonio edilizio esistente;
              gli edifici a energia quasi zero, definiti dalla citata direttiva, sono edifici ad alte prestazioni, con un bassissimo fabbisogno energetico coperto in parte o completamente con le fonti rinnovabili;
              da pochi mesi è entrata in vigore la direttiva (UE) 2012/27 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sull'efficienza energetica secondo la quale ogni Stato membro dovrà stabilire una strategia per mobilitare investimenti volti alla ristrutturazione del parco nazionale di edifici residenziali e commerciali, sia pubblici che privati e promuovere un uso efficiente dell'energia anche presso le utenze domestiche attraverso incentivi fiscali, accesso a finanziamenti, contributi e convenzioni;
              con la direttiva 2012/27/UE viene chiesto agli Stati membri di risparmiare energia fissando obiettivi nazionali indicativi di efficienza energetica, ogni Stato membro dovrà dunque, fissare un obiettivo nazionale indicativo di efficienza energetica, basato sul consumo di energia primaria o finale, sul risparmio di energia primaria o finale o sull'intensità energetica;
              in particolare si precisa che ogni Stato membro dovrà prevedere «una strategia a lungo termine per mobilitare investimenti nella ristrutturazione del parco nazionale di edifici residenziali e commerciali, sia pubblici che privati»;
              la direttiva 2012/27/UE, all'articolo 5, evidenzia il ruolo esemplare degli enti pubblici obbligando ciascun Stato membro a garantire che, dal 1o gennaio 2014, il 3 per cento della superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati e/o raffreddati di proprietà del Governo e da esso occupati, sia ristrutturata ogni anno;
              la quota del 3 per cento è calcolata sulla superficie coperta totale degli edifici superiore a 500 metri quadrati, tale soglia è portata a 250 metri quadrati a partire dal 9 luglio 2015;
              il decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63 ha innovato la disciplina recata dal decreto legislativo 19 agosto 2005 n.  192, introducendo nuove misure relativamente agli edifici ad energia quasi zero e prevedendo che dal 1o gennaio 2021 tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici ad energia quasi zero;
              in linea con gli orientamenti europei, che prevedono per le pubbliche amministrazioni un ruolo «esemplare» in materia di efficientamento energetico, il citato decreto-legge n.  63, prevede per queste ultime un anticipo di due anni nell'applicazione della suddetta normativa, analogamente all'articolo 9 della direttiva 2010/31/UE;
              per conseguenza, a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di proprietà di pubbliche amministrazioni o occupati da pubbliche amministrazioni devono essere edifici a energia quasi zero;
              dal 30 giugno 2014 con decreto interministeriale adottato, sentita la Conferenza unificata, sarà definito un Piano d'azione che potrà includere obiettivi differenziati per tipologia edilizia e che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea, come richiesto dalla direttiva 2010/31/UE;
              per la realizzazione di progetti di miglioramento dell'efficienza energetica nell'edilizia pubblica, inclusa l'attestazione della prestazione energetica dell'intervento successiva a tale realizzazione, con particolare riguardo agli edifici scolastici e agli ospedali il citato decreto-legge n.  63 del 2013, prevede l'utilizzo del fondo di garanzia a sostegno della realizzazione di reti di teleriscaldamento, istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico;
              la dotazione del fondo di garanzia è stata pertanto incrementata attingendo ai proventi delle aste delle quote di emissione di CO2, di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 13 marzo 2013, n.  30, destinati ai progetti energetico-ambientali;
              le sopra citate norme hanno un particolare valore se si considera che, secondo un recente studio realizzato da Nomisma, qualora si procedesse all'efficientamento energetico di circa 85 milioni di metri quadrati di edifici pubblici – scuole ed uffici – con una spesa di 17 miliardi di euro di investimenti, si otterrebbe un risparmio annuo pari a circa 750 milioni di euro in termini di minori costi energetici;
              si tratta di quasi il 50 per cento rispetto alla spesa attuale, di una possibile crescita del PIL annuo dell'1,4 per cento, della creazione di circa 400.000 nuovi posti di lavoro in quattro anni, di un risparmio potenziale annuo pari a 0,77 tonnellate equivalenti di petrolio e di una riduzione di emissioni di gas serra pari a circa 1,66 milioni di tonnellate di CO2 (pari alle emissioni di un anno di CO2 per riscaldamento dell'intera città di Roma);
              al fine di adeguare e/o ristrutturare gli edifici di proprietà delle pubbliche amministrazioni è necessario procedere preliminarmente ad un audit energetico che costituisce il preludio all'avvio di un qualsiasi progetto finalizzato all'ottenimento di una maggiore efficienza e risparmio energetico, in base al quale sarà possibile definire in anticipo se un intervento possa risultare fattibile e conveniente, sia dal punto vista tecnico che economico;
              l'obiettivo di riqualificare da un punto di vista energetico gli edifici pubblici può essere raggiunto utilizzando le conoscenze e le potenzialità di tutti gli attori pubblici dal Ministero dello sviluppo economico, all'Enea, al GSE, alle Energy Service Company (ESCO);
              deve essere particolarmente valorizzato il ruolo dell'Enea che ha presentato nel 2009 un Piano nazionale di intervento per la «Riqualificazione Energetica del Patrimonio Edilizio Pubblico», in corso di aggiornamento in collaborazione (partenariato pubblico/privato) con il Tavolo EPBD 2;
              per ridurre, inoltre, i consumi energetici residenziali in ambito urbano e per rilanciare il settore edile-impiantistico nell'ambito della green economy, è utile identificare approcci innovativi e concreti quali il progetto «condomini intelligenti», sviluppato da provincia di Genova, Fondazione Muvita, Camera di Commercio di Genova e Banca Carige con il contributo delle associazioni rappresentative delle imprese, delle associazioni ambientaliste, degli ordini professionali, degli amministratori condominiali, delle associazioni dei proprietari, dei consumatori, e altro;
              il progetto «Condomini Intelligenti» prevede un approccio «di sistema» al tema della riqualificazione energetica degli edifici ed interviene in linea con le raccomandazioni dell'Unione europea:
                  a) realizzando una corretta informazione verso gli inquilini, i proprietari e gli amministratori di immobili con prestazioni energetiche scarse;
                  b) promuovendo concretamente la diagnosi energetica degli edifici quale strumento propedeutico alla realizzazione di efficaci interventi di riqualificazione energetica, ed una corretta «lettura» della stessa da parte del condominio;
                  c) favorendo la realizzazione dei lavori di efficientamento energetico nel condominio, anche nei casi in cui non sia possibile impegnare risorse ulteriori rispetto a quanto il condominio spende per le correnti spese energetiche, rivolgendosi prioritariamente alle piccole imprese che intendono operare, come «Esco», attraverso uno specifico Fondo di garanzia;
                  d) promuovendo la creazione di nuove professionalità e lo sviluppo di quelle esistenti nell'ambito dei cosiddetti «green jobs» collegati al tema dell'efficienza energetica;
                  e) creando mercato per le imprese locali;
              il progetto «condomini intelligenti», realizzato nell'ambito del progetto europeo EnSure (Energy savings in urban quarters through rehabilitation and new ways of energy supply) del programma «Central Europe», è stato recentemente riconosciuto dall'Unione Europea quale progetto di eccellenza nell'ambito dell'iniziativa «patto dei sindaci» e costituisce uno degli assi portanti della strategia locale per la lotta all'inquinamento e per l'adattamento ai cambiamenti climatici,

impegna il Governo

          ad attuare nel più breve tempo possibile la direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, adottando un piano strategico d'azione per intraprendere un censimento degli edifici pubblici al fine di accelerarne il processo di efficientamento energetico, riducendo i costi a carico del bilancio dello Stato;
          ad assumere ogni iniziativa volta al sostegno e allo sviluppo su tutto il territorio nazionale di iniziative quali il progetto «condomini intelligenti».
(7-00164) «Basso, Benamati, Bini, Petitti, Senaldi, Cani, Donati, Taranto, Impegno, Martella, Montroni, Mariano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


      ANZALDI, CARBONE, BONACCORSI, GELLI, BOBBA e MAGORNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          è degli ultimi giorni la notizia che la Fiera di Milano presenterà un proprio salone dell'auto che si svolgerà a dicembre 2014 nelle stesse date e a soli 100 chilometri di distanza dalla sede dello storico Motorshow di Bologna unico salone italiano che può valersi del titolo di salone internazionale dell'auto riconosciuto da Oica; l'associazione internazionale dei costruttori d'auto;
          il MotorShow di Bologna si svolge da 36 edizioni nel quartiere fieristico bolognese e ha costituito nel corso del tempo il punto di riferimento per il mercato automobilistico italiano e internazionale;
          dopo il 2002 anno in cui è stato annullato il salone dell'auto di Torino, il Motorshow di Bologna ha, infatti, ottenuto l'ambita certificazione biennale di OICA, l'associazione Internazionale di Costruttori di Auto, che lo ha inserito nel proprio calendario internazionale dopo un'attenta e difficile selezione basata sulle capacità organizzative e sull'internazionalità della sede in cui il Salone è ospitato, così come sul tasso di internazionalità di visitatori e espositori;
          la prossima edizione già prevista per dicembre 2014 è come facilmente riscontrabile dal sito di Oica, già ovviamente inserita ufficialmente tra gli eventi ufficiali approvati dall'associazione dei costruttori internazionali di auto. Tale prestigio internazionale è dovuto appunto alla professionalità degli organizzatori e all'importanza per il mondo dei motori assicurata dalla sede del Motorshow;
          nelle sue 36 edizioni il Motorshow ha attirato a Bologna Fiere circa 30 milioni di visitatori, circa un milione all'anno per tutti gli anni ottanta e novanta, diventati oltre 400.000 nell'ultima edizione a causa della crisi del mercato dell'auto;
          al Motorshow di Bologna le principali case auto mondiali, a partire da quelle italiane, Fiat e Ferrari in primis, hanno da sempre presentato i loro modelli più innovativi, i campioni di ogni disciplina legata al mondo dei motori hanno gareggiato tra migliaia di spettatori entusiasti dando una opportunità unica anche a chi non può assistere a gare internazionali e gran premi di ogni sorta;
          BolognaFiere, con i suoi 60.000 metri quadri di estensione detiene già un primato, possiede la più grande area esterna di un quartiere fieristico in Europa consentendo a nuovi modelli e prototipi di poter essere ammirati dal vivo nelle loro performance;
          innescare una guerra tra campanili rischia di penalizzare l'intero Sistema Paese;
          occorrerebbe altresì dimostrare una maturità del mercato fieristico italiano, che è la prima vetrina del made in Italy nel mondo, anche per rassicurare investitori e produttori stranieri;
          attraverso il Motorshow di Bologna l'Italia dei motori potrebbe, facendo squadra intorno a uno dei suoi territori più apprezzati all'estero per capacità di innovazione tecnologica, presentarsi agli occhi del mondo come un Paese che sa premiare le sue eccellenze, non mortificarle;
          in Germania, ad esempio, che ha il migliore panorama fieristico internazionale, i grandi quartieri di Francoforte, Monaco, Hannover, godono di una regolamentazione nazionale che impedisce la duplicazione delle fiere storiche di riferimento di un settore industriale, ed è anche per questo che il salone di Francoforte dell'auto è punto di riferimento internazionale del settore;
          si tratta di una occasione che il Governo italiano deve cogliere per regolamentare e rendere competitivo a livello internazionale un mercato fondamentale per il successo del made in Italy, come quello dell'industria fieristica, formato da enti privati con azionariato a prevalenza pubblico;
          si tratta quindi di una necessità che va a massimizzare i rendimenti e gli investimenti di denari pubblici spesi a sostegno dell'industria italiana, espositiva e produttiva, che ha anche un indotto importantissimo sul territorio, e che oggi più che mai ha bisogno di punti fermi per poter dare al sistema Paese la capacità di affrontare la sfida per l'internazionalizzazione;
          la realizzazione di due fiere in contemporanea oltre a confondere i player internazionali mette a rischio il riconoscimento di salone certificato OICA di Motorshow. Il Paese rischierebbe quindi di perdere la sua unica fiera internazionale nel settore delle auto, a scapito di una fiera locale;
          in Italia, in un settore fondamentale come quello dell'auto si contano circa trenta tra fiere e sezioni di fiere dedicate al mondo dei motori. Una frammentazione davvero poco comprensibile agli occhi degli investitori stranieri;
          fare squadra, inoltre, sarebbe anche il modo migliore per avviare la sfida dell'Expo 2015 non provincializzare un evento internazionale come quello di Bologna;
          si fa presente inoltre che la concessione per la realizzazione di nuove enti fieristici spetta alle regioni che presentano di anno in anno il proprio calendario di manifestazioni per confrontarlo con quelle delle altre regioni, nell'ottica di non creare inutili duplicazioni. In questo caso l'evento non è neanche inserito nel calendario delle manifestazioni 2014 della regione Lombardia, che ha comunque la responsabilità del suo svolgimento;
          tale necessità di coordinamento è stata più volte evidenziata a livello governativo negli incontri con gli organizzatori fieristici, ponendo in evidenza la necessità da parte dei ministeri competenti di individuare e puntare sulla promozione e sul consolidamento degli eventi storici e di riferimento di ogni singolo settore industriale, come appunto il Motorshow lo è per il mercato dell'auto  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per salvaguardare il Motorshow di Bologna e il suo carattere di salone internazionale dell'auto evitando dequalificazioni in campo Oica e se, partendo da questa vicenda, non intenda altresì prendere in esame la possibilità di assumere iniziative per varare un quadro normativo organico come avvenuto, ad esempio, in Germania per regolamentare il settore delle fiere. (3-00435)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SCUVERA, REALACCI e FERRARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il sito di interesse nazionale (SIN) presente nel comune di Broni, in provincia di Pavia, è stato riconosciuto nel 2002 per la presenza dell'area dismessa «ex Fibronit»;
          in tale area sorgeva la Cementifera Italiana Fibronit spa (in seguito Fibronit spa, poi finanziaria Fibronit spa), già produttrice di cemento fin dal 1919 e che, nel 1932, avviava la lavorazione dell'amianto, mantenendola fino al giugno del 1993, anno nel quale ne fu inibita la produzione ai sensi della legge n.  257 del 1992 che dettava le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», con specifica deroga che consentiva la produzione di tubi e lastre fino al 1994. Si osserva che la produzione a base di cemento-amianto della Fibronit riguardava principalmente tubi, lastre di copertura e pezzi speciali (camini, curve colmi e altro);
          la finanziaria Fibronit spa aveva costituito un ramo d'azienda per la produzione di tubi in fibrocemento c.p.c. sistema Ecored (senza amianto) che si insediò nella precedente azienda, quindi in locali ed ambienti inquinati da amianto; il ramo d'azienda verme poi ceduto nel 1998 dalla stessa finanziaria Fibronit spa, allora in liquidazione, insieme ai prodotti finiti, alle merci e alle rimanenze di magazzino, ai macchinari e a parte degli immobili e dell'area (per un totale di circa 3,5 ettari) alla Ecored spa, appositamente costituita (pertanto l'area ex Fibronit comprende anche l'area ex Ecored);
          il suddetto sito di interesse nazionale è l'unico, dislocato in Lombardia, inquinato da amianto. L'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari, di cui il 35 per cento è coperto da capannoni e da uffici, mentre la parte residua, adibita a piazzale, è pavimentata quasi totalmente (cls/asfalto). Originariamente circondata dalla zona agricola, dista soltanto circa 600 metri dal centro storico di Broni, che rappresenta ancora oggi il nucleo con più elevata densità abitativa. Negli anni, l'insediamento è stato raggiunto dall'espansione residenziale ed artigianale e dal censimento effettuato dal comune medesimo risulta che le coperture in amianto hanno una superficie complessiva di circa 150.000 metri quadrati di cui circa 1.000 metri quadrati sono coperture di edifici pubblici, tra cui anche scuole;
          l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle persone esposte delle cosiddette patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma (tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro), come anche accertato dalla sentenza del 13 febbraio 2012 con cui il tribunale di Torino condannava i vertici della multinazionale elvetica Eternit. Broni è l'area con il più alto numero di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i soggetti non esposti per motivi professionali;
          le operazioni di bonifica programmate finora hanno determinato il completamento della sola messa in sicurezza di emergenza del sito (MISE), senza procedere alla effettiva bonifica dell'ambiente inquinato; scrive Lorenzo Bordoni nel suo Reportage «Broni, l'amianto killer» del 2011: «L'azienda si chiamava Fibronit, sorge a pochi passi dal centro di Broni e ha cambiato insegna vent'anni fa. Ma continua a fare strage: prima degli operai che si riempivano i polmoni di polvere d'amianto, poi delle loro mogli che lavavano i panni da lavoro, oggi dei loro figli. Quaranta morti all'anno, perché in quello stabilimento ci sono ancora trecentomila metri quadri da bonificare»;
          eppure la messa al bando dell'amianto di cui alla citata legge n.  257 del 1992 imponeva l'immediata bonifica del sito; tuttavia, a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate, il progetto di bonifica ambientale, proposto più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, è stato sempre respinto dagli organi di controllo. Pertanto dal 1994 al 2000 non è stata operata alcuna operazione di bonifica;
          nel gennaio 2002 il comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti, ai sensi del decreto legislativo n.  22 del 1997, e nel maggio 2002, ha affidato l'incarico per l'esecuzione del progetto preliminare di messa in sicurezza e smaltimento dei rifiuti contenenti amianto;
          ad oggi, sono stati complessivamente concessi e/o assentiti per le operazioni di bonifica 7.054.872 euro, di cui 1.382.145 euro dalla regione Lombardia e 5.572,727 euro dal Ministero competente; con tali finanziamenti sono stati realizzati interventi, relativi alla messa in sicurezza del sito, alla bonifica e allo smaltimento e, in particolare, dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati realizzati i relativi interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; complessivamente sono state smaltite 1.418 tonnellate di manufatti contaminati da amianto e 100 tonnellate di fanghi;
          nel 2009 la ditta Sadi Servizi Industriali SpA ha eseguito i lavori per la messa in sicurezza di emergenza, con il conseguente smaltimento di 27,4 tonnellate di materiali contaminati da amianto e 18,7 tonnellate di ferro e acciaio;
          sempre nel 2009 il comune di Broni ha acquisito a costo zero l'area ex Fibronit e l'area ex Ecored, che sono ancora oggi di proprietà dell'amministrazione che non ha ancora definito la destinazione dell'area;
          nel 2010 è stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito ed è stato emanato il bando d'appalto per l'assegnazione dei lavori, consegnati alle imprese vincitrici nel luglio 2011 da Bronistradella spa, società partecipata dal comune di Broni, che gestisce l'attività di bonifica; sono, dunque, partiti i lavori relativi alla messa in sicurezza d'emergenza dell'intero sito e alla bonifica del primo lotto dell'area ex Fibronit ex Ecored;
          quindi, ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; detti lavori hanno generato 2400 tonnellate di rifiuti pericolosi, 800 tonnellate di rifiuti non pericolosi, 800 tonnellate di altri rifiuti e 1500 tonnellate di materiali ferrosi;
          una stima aggiornata dei costi per il completamento delle operazioni di bonifica (escluso lo smaltimento) comprensivi del monitoraggio ambientale periodico e delle valutazioni epidemiologiche ammonterebbe ad euro 21.174.872; pertanto le risorse da reperire ammontano a oltre 14 milioni di euro;
          la gravità della situazione rende necessario «sbloccare» tali finanziamenti e procedere alla valutazione istruttoria della variante giacente al Ministero nel più breve tempo possibile: la messa in sicurezza di emergenza, infatti, è un intervento «tampone», ma il lavoro di bonifica deve proseguire; peraltro si stima che la preventiva messa in sicurezza dell'intero sito, senza procedere direttamente alla bonifica, abbia prodotto un aumento di costi almeno del 30-40 per cento rispetto all'intervento immediato di bonifica;
          il 25 marzo 2013 il sindaco di Broni con i gruppi consiliari di tutte le forze politiche e le associazioni ambientaliste ha chiesto con forza al presidente della regione Lombardia e all'assessore regionale all'ambiente, nelle more del finanziamento statale, di stanziare le necessarie risorse per finanziare la bonifica Fibronit; in particolare l'amministrazione locale scrive che «è ormai riconosciuta la grave situazione sanitaria locale caratterizzata da un costante aumento delle vittime di malattie asbesto correlate, che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa 3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi cittadini che hanno soltanto la colpa di aver respirato all'epoca della produzione l'aria di Broni»;
          infatti, la dispersione di fibre legata alla produzione di manufatti, particolarmente forte negli anni settanta, ha provocato un gravissimo inquinamento ambientale e la conseguente mortalità si sta verificando dopo 35-40 anni, come spiegato dalla letteratura medica. Nel quaderno del Ministero della salute n.  15 del maggio-giugno 2012, il tasso grezzo di incidenza per 100.000 abitanti di mesotelioma pleurico osservato a Broni è di 82,02, addirittura superiore a quello di Casale Monferrato;
          nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute, delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi, mentre si sceglie un percorso di sviluppo del territorio basato su opere faraoniche – come l'autostrada Broni-Mortara – che continua a deprimere le potenzialità turistiche e le bellezze paesaggistiche dell'Oltrepò pavese, aggravandone l'inquinamento e danneggiando il tessuto socio-economico e, in particolare, l'impresa agricola  –:
          quale sia lo stadio dell'istruttoria di approvazione della variante di progetto che consentirebbe lo sblocco di euro 800.000 coi quali il comune di Broni potrebbe dare l'avvio effettivo della bonifica;
          quali siano i motivi del ritardo dei finanziamenti per ultimare la bonifica;
          se il Governo non intenda individuare urgentemente, e rendere immediatamente disponibili, adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse nazionale ex Fibronit insistente a Broni. (5-01431)


      DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel 2005 viene approvato dal CIPE (65/2005) un progetto preliminare che prevede un'aggiunta di un terzo binario da Rho a Gallarate (linea del Sempione) per potenziare il trasporto regionale. Nel progetto preliminare si cita chiaramente (SIA sintesi non tecnica 3.2.2) che: «la scelta di realizzare un terzo binario piuttosto che un quadruplicamento della linea è dettata dai vincoli imposti dal fitto contesto urbanistico di riferimento, che non consente l'inserimento di un ulteriore quarto binario nella sede esistente, senza bisogno di ampliamenti»;
          con l'avvento di EXPO 2015 il Governo Berlusconi e la giunta Formigoni riescono ad inserire quest'opera tra quelle connesse a EXPO 2015 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008);
          nell'agosto del 2009 RFI presenta quindi un progetto definitivo che anziché dare esecuzione al preliminare a 3 binari prevede l'inserimento di un quarto binario solo per la tratta (8,9 Km) tra Rho e Parabiago. Costo complessivo stimato dell'opera 450 Milioni di Euro;
          la regione Lombardia, RFI e il Ministero delle infrastrutture aprono dei tavoli tecnici (ottobre 2009-febbraio 2011) per discutere con le amministrazioni locali le modifiche da apportare al progetto definitivo e soprattutto definire le compensazioni ambientali;
          il progetto definitivo è approvato dal CIPE (33/2010 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 febbraio 2011) senza che siano accolte le richieste dei cittadini dei comuni coinvolti che non vogliono il quarto binario. Le procedure di esproprio prevedono infine un risarcimento delle case e delle proprietà private che verranno espropriate o demolite ai prezzi molto inferiori a quelli di mercato o dei valori al nuovo. Il tutto in nome delle compensazioni ambientali richieste e promesse ai comuni;
          il progetto definitivo prevede inoltre, per diminuire ma non eliminare il rumore residuo, barriere antirumore alte sino a 8 metri da costruirsi a ridosso delle abitazioni. Purtroppo anche con queste drastiche misure, RFI non riesce comunque a contenere il rumore residuo diurno nelle vicinanze delle scuole e quello notturno nei confronti della casa di cura RSA Ferrario di Vanzago;
          si costituisce a Vanzago un comitato civico della tratta Rho-Parabiago che impugna la delibera del CIPE, riuscendo a far annullare la delibera del CIPE (33/2010) di approvazione del progetto definitivo;
          il TAR con la sentenza n.  1914 del 9 luglio 2012 definisce: «È opinione del Collegio che la previsione a livello di progettazione definitiva di una soluzione, non solo diversa, ma addirittura esclusa dal progetto preliminare, sia decisiva per affermare la sussistenza di un insanabile contrasto fra i due progetti e dunque per affermare l'illegittimità dell'operato della pubblica amministrazione»;
          viene archiviata la sentenza del Consiglio di Stato n.  6667 del 21 dicembre 2012 e soprattutto quella del TAR n.  1914 del 9 luglio 2012 che sentenzia: «Inoltre va osservato che proprio la differenza strutturale dell'opera, e il suo differente profilo funzionale – che comporta un più denso utilizzo della rete ferroviaria – potrebbero far sorgere l'esigenza per le comunità locali, le cui istanze dovrebbero essere rappresentate dalla regione, di proporne, quantomeno per alcuni tratti, una diversa localizzazione; e ciò evidenzia la necessità di procedere ad una nuova approvazione del progetto preliminare secondo la procedura all'uopo prevista, giacché è solo nell'ambito di tale procedura che possono essere riesaminati i profili concernenti la localizzazione del tracciato»;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta il 15 ottobre 2013 una nuova valutazione di impatto ambientale solo per il quadruplicamento della tratta Rho-Parabiago. In sostanza resta il vecchio progetto definitivo. Di fatto riducono quanto sentenziato dal TAR e dal CdS alla «sussistenza di difetto motivazionale nel parere reso dal Ministero dell'Ambiente in ordine alla compatibilità ambientale di detta differenza progettuale»;
          tra il progetto definitivo del 2009 e quello del 2013 scompare di fatto il terzo binario tra Parabiago e Gallarate. I quattro binari, che nel 2009 dovevano essere solo il primo lotto funzionale del progetto definitivo di allungare poi il terzo sino a Gallarate, rimangono orfani del secondo lotto funzionale;
          il progetto definitivo oggetto della procedura di valutazione di impatto ambientale è sostanzialmente lo stesso che era stato già oggetto di precedenti osservazioni e contestazioni per i suoi gravi impatti, nonché lo stesso che è stato annullato dal TAR e dal Consiglio di Stato;
          l'impatto acustico è sottostimato, in quanto lo studio effettuato considera il passaggio di soli 20 treni merci giornalieri, quando in realtà il traffico risulta già oggi essere molto più intenso ed una verifica diretta sulle ripercussioni derivanti dalle vibrazioni, relative alle abitazioni circostanti sarà possibile solo successivamente alla realizzazione delle barriere fonoassorbenti, ma le stesse si preannunciano come un pesante impatto su territorio e cittadini;
          dal punto di vista ambientale, la nuova infrastruttura costituirebbe la distruzione di numerose aree naturali o agricole residuali e provocherebbe l'interruzione di importantissimi corridoi ecologici;
          nello studio di impatto ambientale non si tiene conto degli impatti sul suolo in termini di consumo di suolo ed inquinamento, invece di massima rilevanza e ben rappresentativi della portata devastante dell'opera sul territorio;
          la realizzazione di 2 binari in più solo tra Rho e Parabiago (8,9 Km) non servirebbe a niente. Non risolverebbe il grave problema della mancanza di treni e carrozze per i pendolari della linea Milano-Gallarate;
          quest'opera espropria e demolisce abitazioni, innalza barriere antirumore di 8 metri contro le finestre delle case, mette in pericolo il territorio e la sicurezza ferroviaria costruendo due nuovi binari che passeranno a ridosso di alcuni impianti a rischio di incidenti rilevanti. Spendere 450 milioni di europei un opera del genere significherebbe solo favorire speculazioni a discapito del territorio interessato e dei propri abitanti  –:
          cosa il Governo intenda fare per rendere la «Rho-Parabiago» un'opera efficiente e coerente con la tutela e lo sviluppo del territorio, salvaguardando i corridoi ecologici, evitando il consumo di suolo eccessivo e l'inquinamento acustico e del sottosuolo che comporterebbe il quarto binario o se invece preferisca lasciar compiere quello che l'interrogante giudica l'ennesimo abuso su suolo e cittadini, indegno di un Paese civile, contribuendo ad abbandonare ad un destino di degrado quel territorio che lo studio di impatto ambientale descrive di un paesaggio edilizio di scarsa entità, con strutture in cemento spesso banali e monocorde, esito di politiche dei Governi precedenti e per il quale sarebbe opportuno che l'attuale desse un significativo segnale di discontinuità.
(5-01437)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MARCO DI STEFANO, MARIASTELLA BIANCHI, BLAZINA, BONACCORSI, PAOLA BRAGANTINI, BORGHI, BRANDOLIN, CAMPANA, COVA, CRIVELLARI, PELILLO, FERRO, FIORONI, GARAVINI, GASBARRA, GIULIANI, LORENZO GUERINI, MARRONI, MARTELLA, MAZZOLI, MICCOLI, ORFINI, PES, PICIERNO, ROTTA, TIDEI, VACCARO, VELO, BURTONE, GRASSI, ARGENTIN, BAZOLI, MADIA e PIERDOMENICO MARTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 19 del decreto-legge n.  83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n.  134, ha istituito l'Agenzia per l'Italia Digitale, le cui funzioni venivano esplicitate puntualmente all'articolo 20 del medesimo decreto;
          l'articolo 21 del medesimo decreto ha definito gli organi direttivi dell'Agenzia, con particolare riferimento alla figura del direttore generale da nominarsi entro trenta giorni dalla sua entrata in vigore;
          con l'articolo 22 del medesimo decreto sono state soppresse la DigitPA e l'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione e trasferiti alla costituenda Agenzia per l'Italia Digitale il personale, le risorse finanziarie e strumentali e i rapporti giuridici attivi e passivi dei due enti soppressi;
          l'Agenda digitale italiana inizia il suo percorso ancor prima, ossia nel marzo del 2012, con l'istituzione della cabina di regia per definire le linee strategiche principali del programma di digitalizzazione del Paese, culminato a dicembre 2012 con l'approvazione del decreto «Crescita 2.0», che rappresenta il riferimento per i contenuti dell'Agenda digitale italiana e successivamente rivista con l'approvazione del cosiddetto decreto-legge «Fare»;
          nel mese di ottobre 2012 è stato selezionato il direttore generale della costituenda Agenzia e in data 16 gennaio 2012 (ovvero oltre 5 mesi dopo la scadenza dettata dal decreto-legge n.  83 del 2012) è stato notificato all'interessato, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il decreto di nomina del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia Digitale;
          il comma 4 dell'articolo 21 del medesimo decreto ha impegnato il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti (sviluppo economico, istruzione università e ricerca, pubblica amministrazione e semplificazione, economia e finanze) ad approvare entro 45 giorni lo statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale in conformità ai principi e criteri direttivi previsti dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  300;
          dal complesso della normativa summenzionata risulta evidente il ruolo determinante conferito all'AGID (Agenzia per l'Italia digitale), ai fini dello sviluppo dell'innovazione tecnologica come fattore strutturale di crescita sostenibile, favorendo lo sviluppo di un sistema economico-sociale basato sulla condivisione delle informazioni pubbliche, su standard aperti e interoperabili, e su una marcata diffusione delle nuove tecnologie digitali, il tutto garantendo un alto livello di sicurezza informatica;
          nel mese di maggio 2013 si è appreso da numerose fonti di stampa che la Presidenza del Consiglio avrebbe ritirato lo statuto dell'Agenzia, già predisposto nel marzo 2013 e in corso di registrazione presso la Corte dei conti, a seguito di rilievi sollevati della Corte dei Conti stessa;
          conseguentemente a tutt'oggi, ad oltre dieci mesi dalla scadenza dei termini previsti dalla normativa vigente, lo statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale non risulta ancora approvato, il che comporta l'impossibilità da parte dell'Agenzia stessa di esercitare i compiti ad essa attribuiti, se non limitatamente alle operazioni di ordinaria amministrazione e gestione delle attività degli enti soppressi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione;
          da tale paralisi deriva anche l'ulteriore ritardo del nostro Paese rispetto all'attuazione degli obiettivi assegnati all'Agenzia per l'Italia Digitale, con significative ripercussioni sulla «roadmap» per l'Agenda Digitale, ritardo ancora recentemente stigmatizzato dal Commissario europeo per l'Agenda digitale, Neelie Kroes, come si evince da tutti i dati rilevati dagli enti preposti nazionali (ISTAT) ed europei, oltre che da numerose ricerche internazionali;
          uno dei compiti di maggiore rilievo affidati dalla normativa vigente all'Agenzia per l'Italia Digitale è la realizzazione del CERT della pubblica amministrazione, struttura di prevenzione, individuazione e contrasto degli attacchi informatici indirizzati verso i siti istituzionali, finalizzata a garantire l'integrità e l'efficienza dei sistemi informatici e di trasmissione dati dell'amministrazione pubblica;
          su tale specifico aspetto, alla luce dell'attuale situazione, risulterebbe che da quasi 3 anni il CERT della pubblica amministrazione, affidato all'allora DigitPA, non è operativo, il che ha provocato, in aggiunta alle diverse dichiarazioni di ammonimento da parte della signora Neelie Kroes, Commissario dell'Unione europea per l'Agenda Digitale, anche l'apertura di una procedura di infrazione;
          proprio in questi giorni il nostro Paese è al centro di un dibattito molto delicato sulla vicenda delle intercettazioni effettuate dalle strutture di intelligence degli USA nei principali Paesi dell'Unione europea; l'articolo titolato «Sicurezza informatica di Palazzo Chigi in mano ad i Privati» apparso il 28 ottobre 2013 sul «Il Fatto quotidiano» dà inoltre conto delle modalità gestionali dei sistemi informatici della Presidenza del Consiglio con contenuti, che ove risultassero confermati, assumerebbero dei contorni a dir poco inquietanti;
          come appalesato nel corso degli attacchi informatici, perpetrati recentemente nel corso delle manifestazioni NO TAV del 19 ottobre 2013 ai danni dei siti istituzionali di alcuni Ministeri ed enti istituzionali, la realizzazione del CERT della pubblica amministrazione non è ulteriormente differibile  –:
          quale sia il reale stato dell’iter di approvazione dello statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale e quali siano le ragioni del perdurare di un ritardo in totale contraddizione sia con gli obiettivi del Governo, sia con le necessità più volte sottolineate, anche dalla stessa Presidenza del Consiglio, circa l'urgenza di dare vigore alle politiche di digitalizzazione per il Paese, nell'ambito della Agenda digitale europea. (4-02492)


      MIGLIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio d'amministrazione di Rcs «ha approvato a maggioranza la vendita a The Blackstone Group International Partners LLp dell'intero complesso immobiliare di via San Marco e via Solferino» sede storica del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport;
          in una sua nota il Consiglio di amministrazione, sottolinea che la cessione, per un valore di 120 milioni di euro, è «in linea con l'annunciato programma di dismissioni previste nel piano per lo sviluppo 2013-2015». Il board ha dato quindi mandato alla amministratore delegato, P. Scott Jovane, di finalizzare l'operazione che comprende la stipula di contratti di affitto sull'intero complesso, «con durate variabili sulle diverse porzioni»;
          dopo il via libera, da parte del consiglio di amministrazione del Corriere della Sera, alla vendita dell'intero complesso immobiliare di via San Marco e via Solferino, sede storica del Corriere e della Gazzetta dello Sport, il Comitato di redazione ha diffuso la seguente nota: «Il Comitato di redazione del Corriere della Sera considera la decisione di vendere il palazzo storico di Via Solferino un atto folle dal punto di vista finanziario e uno sfregio inaccettabile all'identità del Corriere della Sera. Il risultato è un danno permanente allo stato patrimoniale del gruppo, un'iniziativa che concede solo un sollievo transitorio e apparente ai conti, ma che peserà nel medio-lungo periodo sulla solvibilità del gruppo. Ma, probabilmente ha aggiunto l'organo sindacale del Corriere – per allora l'amministratore delegato Pietro Scott Jovane avrà già lasciato la società con una generosa buonuscita. Il Cdr continuerà a percorrere tutte le strade per promuovere un'azione di responsabilità nei confronti dei consiglieri che hanno approvato la delibera, senza escludere anche eventuali esposti alla magistratura. Fin d'ora è chiaro che l'operazione mette in luce un intrico di conflitti di interesse che tocca soggetti azionisti di giornali concorrenti (ed è il caso della Fiat) e società nello stesso tempo azionisti e creditori di Rcs (ed è il caso di Intesa Sanpaolo). Senza contare il fatto che l’advisor dell'operazione, banca Imi, fa parte proprio di Intesa San Paolo ... con amarezza, il Cdr registra l'assoluta indifferenza mostrata dalle istituzioni rispetto a una spregiudicata operazione finanziaria che consegna un pezzo dell'identità storico-culturale di Milano e del Paese a un fondo speculativo che potrà farne l'uso più conveniente»;
          la società RCS proprietaria del Corriere della Sera sarebbe, infatti, in procinto di vendere la storica sede del quotidiano per una somma pari a 120 milioni di euro, mentre il valore di mercato dell'immobile risulterebbe secondo una valutazione di fine 2010 pari a 250 milioni;
          i contorni dell'operazione non seguono ad avviso dell'interrogante alcuna logica economica. L'intenzione sembrerebbe quella di vendere in blocco un immobile collocato nella zona più costosa di Milano (Garibaldi-Moscova-Solferino) al fondo americano Blackstone a un prezzo largamente inferiore ai valori potenziali per poi riaffittarne una parte a prezzi di mercato, quindi altissimi;
          ci si può legittimamente chiedere come possono azionisti come Fiat, Mediobanca, Intesa SanPaolo (il nucleo di comando della società) accettare che lo stato patrimoniale della Rcs venga «saccheggiato» come se il gruppo fosse alla disperazione, e che senso ha sottolineare in continuazione il valore culturale del Corriere e poi consegnare alla finanza speculativa un pezzo dell'identità storica del giornale;
          per tutte queste ragioni il Comitato di redazione ha già avviato una serie di azioni legali e intende proseguire su questa strada, interpellando anche la Consob a meno che il consiglio di amministrazione decida in extremis di prendere finalmente in considerazione le proposte alternative per valorizzare l'immobile;
          i giornalisti del Corriere della sera hanno rivolto alla Consob otto domande:
              1) quale sia il valore complessivo dell'operazione;
              2) se si tratta di una vendita vera e propria, o di una vendita con riscatto (lease-back), se esistano opzioni di riacquisto e come siano esercitabili;
              3) se risulti da indiscrezioni di mercato che il canone di affitto annuo che Rcs MediaGroup dovrà pagare al fondo Blackstone sia pari o superiore al 7 per cento dell'investimento effettuatoci; una cifra spropositata se si pensa che un mutuo ipotecario costa oggi a chi lo contrae all'incirca il 3 per cento lordo (con tasso variabile). Perché non sia stata, ad esempio, scelta la strada di ipotecare l'immobile in attesa di tempi migliori, una mossa non solo economicamente sensata ma anche coerente con il «piano per lo sviluppo» già approvato;
              4) se ci siano nei contratti di finanziamento tra Rcs e le banche creditrici clausole che impongono o rendono vantaggiosa la vendita dell'immobile entro il 2013;
              5) quanto dureranno i contratti di affitto (informazione fondamentale per valutare fin d'ora il peso che la locazione avrà negli anni sui conti del gruppo);
              6) se Rcs sia a conoscenza di rapporti di ogni genere tra i suoi azionisti rilevanti e il fondo Blackstone, tali da far considerare la vendita come un'operazione con parti correlate;
              7) se nel fondo Blackstone abbiano investito azionisti rilevanti della Rcs, e in che misura;
              8) se il fondo Blackstone per questa operazione sia finanziato anche da istituti finanziari azionisti e/o creditori di Rcs;
          questa operazione vede anche la netta opposizione, oltre che di alcuni membri del Consiglio di amministrazione, della Federazione nazionale della stampa che aveva chiesto al Consiglio di amministrazione della società editrice di bloccare la vendita oppure di fare una proposta all'Inpgi, o alle casse previdenziali nel loro insieme, per l'acquisizione dello stabile;
          l'immobile andrebbe al fondo d'investimento statunitense Blackstone. Blackstone partecipa con un ruolo decisivo al fondo immobiliare Due, al quale partecipano anche gli istituti di credito Intesa e Unicredit. Tale fondo immobiliare Due si trova attualmente in una delicata situazione contabile;
          Blackstone è, al pari dei due istituti italiani, un creditore del Fondo il cui debito da 300 milioni di euro è scaduto a febbraio 2013. Tuttavia la sua esposizione è minore rispetto alle banche italiane perché la sua quota del debito (il 20 per cento del totale) è stata acquistata a metà prezzo da Société Générale. Dettaglio, quest'ultimo, non da poco visto che con il debito scaduto, salvo accordo di ristrutturazione, ogni creditore può chiedere la liquidazione del fondo che a Blackstone converrebbe perché rientrerebbe dell'investimento. Non si può dire lo stesso per le banche italiane che sarebbero costrette a iscrivere in bilancio la perdita corrispondente al credito offerto al fondo quando la valutazione dei suoi immobili era di 300 milioni di euro contro gli attuali 200 di mercato;
          due partite diverse, quella di via Solferino e quella del fondo Due, ma con alcuni protagonisti di rilievo in comune. Una situazione che avrebbe richiesto massima trasparenza per una società quotata come Rcs e che invece resta ancora molto riservata sui termini di una trattativa che, oltre alla cessione dell'immobile, già venduto nel 2000 a Hdp, Milano Centrale (Pirelli) e Morgan Stanley Real Estate Funds per poi essere riacquistato nel 2003, prevede a latere, come in passato, un contratto di locazione per Rcs. Secondo quanto riportato il 6 ottobre dal Sole 24 Ore, il fondo statunitense avrebbe spuntato un rendimento del 7 per cento, che sarebbe in linea con la fascia alta di mercato della zona ed equivarrebbe ad un canone di affitto da circa 8,5 milioni di euro. Tuttavia le indiscrezioni di mercato parlano di un tasso vicino al 9 per cento. Interpellata in merito Blackstone non ha voluto confermare né smentire nulla. Tuttavia se confermato, il dato rappresenterebbe un vero e proprio affare per la società americana con un canone di locazione annuo superiore ai dieci milioni. Se così fosse, in pratica, con dodici anni di affitto l'immobile sarebbe praticamente ricomprato. Con il beneplacito delle banche creditrici di Rcs che grazie alla cessione rientrano di parte dei loro crediti;
          l'operazione presenta aspetti tanto più discutibili in quanto è partito dal primo novembre 2013 lo stato di crisi al Corriere della Sera, in seguito al via libera del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Potranno così partire i prepensionamenti (previo rifinanziamento dell'ammortizzatore) e pensionamenti con incentivi da trattare individualmente. Ma soprattutto prenderà il via la cassa integrazione dei giornalisti per un giorno a testa nel biennio. Il Cdr scrive: «mercoledì 2 ottobre abbiamo firmato la richiesta dello stato di crisi al Ministero del lavoro. Il documento recepisce tutti i termini dei nostri accordi. Lo stato di crisi partirà dal 1o novembre 2013. La parte sui prepensionamenti ex legge 416 (almeno 58 anni di età e almeno 18 di contributi) diventerà operativa se e quando il governo rifinanzierà la legge. ... Sarà applicabile da subito, invece, il capitolo che riguarda i pensionamenti ex articolo 33 del contratto nazionale (62 anni di età e almeno 35 anni di contributi). E sarà avviata la cassa integrazione che interesserà ciascun collega per un giorno nei prossimi due anni (fino al 30 ottobre 2015)»  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito;
          se non intenda convocare le parti in causa per acquisire maggiori informazioni sull'operazione descritta e sulla sua compatibilità con l'impegno di risorse pubbliche per gli ammortizzatori sociali, mentre la proprietà della società di fatto svende un bene immobile di grande valore patrimoniale per un prezzo pari alla metà del valore leale di mercato;
          se non intenda assumere ogni possibile iniziativa di competenza affinché la società Rcs sospenda la vendita degli immobili in attesa degli accertamenti richiesti alla Consob da parte del Comitato di redazione del quotidiano di Via Solferino. (4-02496)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la Ferriera di Servola (Trieste) è uno degli stabilimenti industriali del gruppo Lucchini per il quale il Governo ha aperto un tavolo di crisi il 22 gennaio 2013 a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico;
          il Governo, oltre ad avviare il confronto con il territorio, ha riconosciuto lo stato di crisi industriale complessa per gli impianti triestini con il decreto-legge sulle emergenze ambientali (n.  43 del 2013, convertito dalla legge n.  71 del 2013), avviando il processo di riconversione produttiva;
          da anni desta preoccupazione il livello di inquinamento ambientale legato alla Ferriera, specializzata nella produzione di ghisa, che costituisce una seria minaccia per la salute di lavoratori e abitanti;
          lo stato di degrado ambientale della zona in cui insiste lo stabilimento siderurgico è evidente dai risultati di alcune indagini effettuate nel corso degli anni;
          nello specifico, si tratta dei dati raccolti nel 2007 dal CIGRA (Centro interdipartimentale di gestione e recupero ambientale) dell'università degli studi di Trieste su richiesta della procura della Repubblica, di un'indagine epidemiologica dell'ASS (l'azienda per i servizi sanitari) n.  1 di Trieste resa nota nel 2013, anche in questo caso su incarico dalla Procura, e di ulteriori dati ambientali pubblicati da fonti giornalistiche in relazione alle indagine della magistratura sul caso del riciclaggio delle scorie e nella gestione di due discariche abusive all'interno dello stabilimento;
          nel 2012, inoltre, sono stati pubblicati i risultati del progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), finanziato dal Ministero della salute per l'analisi della mortalità delle popolazioni residenti vicino a grandi centri industriali attivi o dismessi e aree di smaltimento di rifiuti industriali e pericolosi. Queste zone presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da essere state riconosciute come «siti di interesse nazionale per le bonifiche» (SIN);
          lo studio ha preso in considerazione 44 dei 57 siti oggi compresi nel «programma nazionale di bonifica», che coincidono con i maggiori agglomerati industriali nazionali e tra questi figurano anche quelli di Trieste (che include la Ferriera) e Taranto;
          le conclusioni relative al sito di interesse nazionale di Trieste, nel periodo 1995-2002, sono allarmanti: a differenza di Taranto, sono stati osservati più casi di decesso, quasi il doppio, sia per gli uomini (12.907 contro 7.585) che per le donne (13.573 contro 7.104) nell'analisi delle patologie riscontrate e monitorate;
          la gravità della situazione è testimoniata anche dalla decisione del pubblico ministero della procura di Trieste Federico Frezza, assunta nel mese di settembre 2013, di nominare due consulenti nell'ambito dell'indagine in corso allo scopo di chiarire le cause di alcuni mal funzionamenti degli impianti della Ferriera che hanno innescato emissioni nocive e se esistono possibili migliorie impiantistiche, manutentive o accorgimenti nella conduzione della struttura;
          in pratica i due consulenti tecnici d'ufficio della procura faranno una «fotografia» della situazione attuale – in vista della firma dell'accordo di programma che prevede il passaggio della gestione dell'impianto dal gruppo Lucchini alla Arvedi – registrando le irregolarità precedenti necessarie per fare chiarezza sulle eventuali responsabilità che dovessero emergere;
          il gruppo Arvedi, in vista dell'acquisizione definitiva della Ferriera, procederà all'affitto della struttura per un periodo di otto mesi ma è ancora da definire la questione delle bonifiche e dei trattamenti delle acque e dei rifiuti (che ammontano a ben 240 mila tonnellate sui quali urgono trattamenti diversificati previa caratterizzazione) per i quali si è chiesto apertamente il ricorso a finanziamenti pubblici (statali e comunitari);
          in ambito comunitario è stato riconosciuto il principio «chi inquina paga» ribadito da una risoluzione approvata dal Parlamento europeo all'inizio del 2013, con il quale si è chiesto alla autorità italiane di garantire il recupero ambientale del sito Ilva di Taranto con estrema urgenza, obbligando chi ha causato il danno a sostenere i costi di bonifica  –:
          se il Ministro interrogato intenda intervenire con urgenza, d'intesa con gli enti locali, chiarendo in che modo saranno garantiti i fondi per la bonifica dell'area della Ferriera di Servola, visto che non sono state stanziate risorse pubbliche;
          se s'intenda coinvolgere e responsabilizzare, per i lavori di recupero ambientale, il gruppo Lucchini che fino ad ora ha gestito l'impianto e determinato il grave inquinamento che deve essere risolto nel più breve tempo possibile a garanzia dei dipendenti e della popolazione locale.
(5-01429)


      GALLINELLA, CIPRINI, MASSIMILIANO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          con la sentenza n.  93 del 20 maggio 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della legge regionale delle Marche 26 marzo 2012, n.  3 disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA) nella parte in cui escludeva dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti per le energie rinnovabili in base al solo criterio dimensionale senza considerare tutti gli altri criteri dettati dalla direttiva 2011/92/UE direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione): cumulo con altri progetti, utilizzazione di risorse naturali, produzione di rifiuti, inquinamento e disturbi ambientali, localizzazione e impatto sull'area geografica e densità della popolazione interessata;
          in Umbria, dove vige una normativa identica a quella delle Marche, il limite dimensionale sopra il quale scatta l'obbligo di sottoporre il progetto alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale è stato fissato in 1 (Mwh. In forza di tale previsione normativa è così accaduto che la gran parte dei proponenti per la costruzione di impianti per la produzione di energia rinnovabile ha presentato progetti di potenza pari a 999 Kwh al solo ed evidente scopo di evitare la valutazione di impatto ambientale;
          la stessa cosa sta accadendo a Perugia, dove, nel 2010 l'ente Opere Pie Riunite di Perugia, ente nominato e controllato dal Comune di Perugia, ha presentato al Comune il progetto di un impianto a biogas della potenza elettrica proprio di 999 Kw in località Santa Maria Rossa impianto, su di un terreno di circa 15 ettari ubicato tra abitazioni e vicino al centro abitato;
          tale impianto, inoltre, è annesso alla realizzazione di una maxi-stalla per circa 900 bovini per la quale è necessaria la rimozione del vincolo, attraverso una variante al piano regolatorio generale, di unità di paesaggio 3S posto su quell'area;
          il vincolo era stato posto nell'area al fine di evitare ulteriori allevamenti intensivi in quanto l'area presenta già una pressione ambientale estremamente elevata in quanto vi si concentrano oltre il 50 per cento dei capi di bestiame presenti nell'intero territorio del comune di Perugia; allo stesso tempo i carichi di azoto nella zona oggetto di rimozione del vincolo risultano il 54 per cento per cento di quelli prodotti nell'intero territorio comunale; si stima che il nuovo progetto avrebbe una produzione annua di letame di 8.976 tonnellate e di azoto pari a 34.680 chilogrammi;
          l'area oggetto di rimozione del vincolo, inoltre, è dichiarata ZVN (Zona vulnerabile da nitrati) per le alte concentrazioni di nitrati, oltre il doppio della media nella regione Umbria, e ha una falda acquifera particolarmente superficiale con conseguente elevato rischio di inquinamento; tali condizioni non sono ad oggi mutate e rappresentano la principale motivazione alla conservazione del vincolo di unità di paesaggio 3S;
          i cittadini di Santa Maria Rossa si sono organizzati e costituiti nel Comitato per la tutela dell'ambiente e la salute dei cittadini (ex NO-Maxistalla) e segnalato, avendo preso visione di tutti i documenti prodotti dalle autorità, una serie di irregolarità e lacune oggetto di ricorsi al TAR ed al Consiglio di Stato, in particolare per la disapplicazione del diritto comunitario in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) e valutazione ambientale strategica (VAS);
          la legge della regione Umbria n.  8 del 16 settembre 2011 ha apportato modifiche alla legge regionale n.  12 del 16 febbraio 2010 ed alla legge regionale n.  11 del 22 febbraio 2005 in materia di VAS consentendo uno spostamento di competenze dalla provincia ai comuni con conseguente coincidenza tra autorità procedente e autorità competente ad esprimere il parere sull'assoggettabilità di piani e programmi alla valutazione ambientale strategica, in palese conflitto di interessi come nel caso specifico e conseguente disapplicazione del diritto comunitario;
          il 25 settembre 2013 si è svolta la Conferenza istituzionale indetta dalla provincia in merito alla variante al piano regolatore generale del Comune di Perugia, ed è emersa dal confronto dei soggetti presenti, provincia, regione, comune di Perugia e comune di Torgiano, la richiesta al Comune di Perugia di ulteriori approfondimenti in applicazione del diritto comunitario in materia di valutazione ambientale strategica, ma nonostante tale richiesta il comune di Perugia ha ribadito la non assoggettabilità a valutazione ambientale strategica della variante nella parte di rimozione del vincolo di tutela ambientale 3S nel piano regolatore del comune  –:
          se sia a conoscenza del caso esposto in premessa e se, in base ad esso e a tutte le criticità emerse nel caso del comune di Perugia, che comunque non è l'unico in Italia, non ritenga necessario assumere tutte le iniziative di propria pertinenza per evitare che le regioni italiane emanino normative in contrasto con le direttive 2011/92/UE e 2001/42/CE a tutela dell'ambiente e del territorio italiano, nonché della salute dei cittadini;
          se non intenda avviare un monitoraggio delle diverse normative regionali in materia al fine di verificare se presentino degli elementi di illegittimità e, nel caso, se non intenda valutare l'opportunità di impugnare, ove sussistano i presupposti per farlo, tali leggi poiché contrastanti con la normativa comunitaria vigente in materia. (5-01436)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZOLEZZI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TOFALO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nella discarica di Cupinoro, sita in località Cupinoro, nel comune di Bracciano, ad oggi, sono conferiti i rifiuti provenienti da ventiquattro comuni (Anguillara, Bracciano, Campagnano, Canale Monterano, Cerveteri, Castelnuovo di Porto, Capena, Magliano, Fiano, Formello, Civitella S. Paolo, Ladispoli, Manziana, Mazzano, Nazzano, Morlupo, Ponzano Romano, Riano, Rignano, Sacrofano, Santa Marinella, Sant'Oreste, Torrita Tiberina, Trevignano, Filacciano) e quattro aziende private;
          in data 16 ottobre 2013, al n.  di protocollo G00480, la regione Lazio ha espresso pronuncia di compatibilità ambientale alla Bracciano Ambiente spa, ente gestore della discarica, in relazione alla proposta di progetto per la realizzazione di un lotto funzionale di discarica denominato «Vaira 1» con capacità di 450.000 metricubi;
          la società Bracciano spa ha motivato l'intervento, intendendo garantire il corretto funzionamento degli impianti di trattamento già autorizzati nell'area di Cupinoro (trattamento meccanico biologico e linea compost di qualità in anaerobico autorizzati in autorizzazione integrata ambientale dalla regione Lazio con determina dirigenziale n.  B1671 del 4 maggio 2009);
          la situazione del comprensorio ove è ubicato l'impianto necessita di un'attenzione particolare, stante la presenza massiccia di un significativo fattore di criticità ambientale legato alla tutela della avifauna e degli habitat naturali;
          l'intervento previsto ricade, infatti, in zona ZPS (zona di protezione speciale) identificate con il codice IT6030005 denominato «Comprensorio Tolfetano Cerite Manziate» facente parte della Rete Natura 2000 istituita dalla direttiva «Habitat» (ovvero la Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – Gazzetta Ufficiale del 22 luglio 1992 –). La rete comprende anche zone create ai sensi della direttiva «Uccelli» e mira a fornire una valida protezione per le zone faunistiche più importanti dell'Europa;
          gli Stati membri ex articolo 3 della direttiva Direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici classificano in particolare come zone di protezione speciale (ZPS) i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la direttiva «Habitat»;
          l'ampliamento della discarica di Cupinoro mette a serio repentaglio la tutela delle migrazione degli uccelli e delle specie selvatiche nell'ambito della zone di protezione sociale (ZPS), considerato che attorno all'area in esame, gravitano alcune aree SIC (un sito di interesse comunitario che contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat) nei comuni di Bracciano, Cerveteri e Manziana che per il loro pregio floro-faunistico creano una rete di flussi migratori che sarebbe inevitabilmente compromessa dall'ulteriore ampliamento del sito di discarica, venendo meno agli obiettivi perseguiti dalla direttiva citata  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intenda adottare alla luce di eventuali accertamenti tecnici effettuati sullo stato di conservazione degli ambienti naturali in relazione al rispetto dell'articolo 3 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 sul mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat delle specie migratorie, alla luce dell'ampliamento della discarica di Cupinoro a Bracciano. (4-02473)


      TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla stampa, il 30 ottobre 2013 si è verificata una moria piuttosto consistente di pesci nel canale «cavo Robecco» nell'area del territorio cremonese;
          si tratterebbe «di non meno di mezza tonnellata di pesce – tra cavedani, tinche, arborelle e carpe – morto, con ogni probabilità per un mix di assenza d'ossigeno e sostanze inquinanti» (La Cronaca di Cremona del 31 ottobre 2013);
          sempre secondo quanto riportato dal succitato quotidiano, «È stato da subito chiaro che un elemento decisivo era la scarsità d'acqua, al quale va aggiunta la probabile immissione di sostanze inquinanti, che hanno dispiegato tutto il loro potenziale tossico proprio per l'assenza di quantità d'acqua sufficiente a diluire i vari principi attivi»;
          conseguentemente, è stato necessario immettere ulteriore acqua al fine di consentire alla corrente di far defluire il pesce morto e di «diluire» la presenza di sostanze inquinanti;
          il fenomeno purtroppo non risulta isolato. Qualche giorno prima del fatto sarebbe avvenuto un episodio molto simile, in un canale presso la zona Migliaro  –:
          se il Ministro, per quanto di competenza, ritenga opportuno assumere iniziative, anche promuovendo verifiche da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per chiarire le cause degli episodi descritti in premessa al fine di prevenire ulteriori simili fenomeni presso l'area cremonese. (4-02477)


      MANTERO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, RUOCCO, BUSINAROLO, D'UVA, DE LORENZIS, SORIAL, TURCO, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, PARENTELA, TONINELLI, BECHIS, COZZOLINO e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'importo di 1 miliardo di euro dai fondi FAS destinati ad interventi di risanamento ambientale, previsto nel 2009 per la realizzazione di un piano nazionale di prevenzione del dissesto idrogeologico, nemmeno iniziato in molte regioni, è stato annullato dai tagli lineari dello stesso Governo che lo aveva promesso;
          il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Stefania Prestigiacomo, il 3 novembre 2011, nel corso di un'audizione, denunciava che non era stata assegnata alcuna risorsa per il piano, tenuto anche conto che le risorse FAS regionali non erano in molti casi ancora disponibili;
          la città di Genova, a poco più di un anno dall'esondazione del torrente Chiaravagna, avvenuta il 4 ottobre 2010 in conseguenza ad un alluvione, proprio il giorno successivo all'audizione del ministro, il 4 novembre 2011, veniva colpita da una nuova alluvione che causa l'esondazione del torrente Fereggiano. La città paga un prezzo altissimo, abitazioni ed attività commerciali devastate, centinaia di famiglie evacuate, 6 persone decedute, tra cui due bambini;
          secondo gli investigatori della procura di Genova la macchina operativa della protezione civile non venne messa in moto: non vennero chiuse le strade adiacenti a via Fereggiano, dove ci furono le vittime, non venne disposta la chiusura delle scuole né venne ordinato ai presidi di non fare uscire gli studenti, non venne per lunghe ore nemmeno bloccata la circolazione stradale;
          a marzo 2013 un cittadino gravemente colpito negli affetti, con una lettera aperta di cui si riportano alcuni passi, chiede alle istituzioni di farsi parte attiva affinché un evento simile non possa più accadere: «... la situazione di rischio esponenziale del quartiere della bassa Val Bisagno, che comprende anche il rio Fereggiano, dall'evento ad oggi, non è mutata. È passato un anno e mezzo e l'amministrazione pubblica non si è ancora adoperata per la mitigazione del rischio... il rio ha materiale in alveo trasportato da anni di incuria che ha causato un innalzamento del suo alveo rispetto la sua quota originale e che quindi ha ridotto la già grave insufficiente portata prevista... nella parte esondata nel 2011 esistono dei ponti di attraversamento che ne riducono la portata... il tratto esondato nel 2011 è riportato anche nei piani di bacino, del torrente Bisagno come un tratto ad alto rischio... ultimamente ci sono iniziative di protezione civile comunale che sembrano destinate a generalizzare il problema senza analizzarne alcuno, si parla di informazioni alla popolazione indirizzando libretti informativi agli alunni delle scuole materne, elementari e medie. Ma non basta. L'istituto Montale di via del Castoro a Genova non chiude anche se il fabbricato è nella zona rossa, cioè quella ad altissimo rischio esondazione, questo è un esempio di come i vari responsabili, sia comune che dirigenza scolastica, non abbiano la cultura della prevenzione... quindi per poter portare avanti un interesse comune che dovrebbe svolgere l'amministrazione, io come cittadino inascoltato, sono costretto a cercare canali diversi per sensibilizzare la cittadinanza su evidenti situazioni di rischio per l'incolumità pubblica»;
          secondo i dati forniti a maggio 2013 dagli assessori regionali all'ambiente Renata Briano ed alle attività produttive Renzo Guccinelli, su un importo complessivo di circa 56 milioni di euro assegnati alla regione Liguria per intervenire a sostegno delle numerose attività economiche compromesse e di chi si è ritrovato fuori casa a seguito degli eventi alluvionali del 2010 e del 2011, sono stati spesi solo 16 milioni di euro, pari a meno del 30 per cento dell'importo complessivamente assegnato;
          le poche ed insufficienti attività di mitigazione del rischio intraprese in questi due anni non rappresentano certo una risposta efficace e strutturale al problema. Non se, ma quando si ripresenterà un evento alluvionale anche di minor portata, gli effetti derivanti sarebbero, con alta probabilità, molto simili a quelli avvenuti quel tragico 4 novembre 2011;
          ad ottobre 2013, gli assessori regionali all'ambiente Renata Briano ed alle infrastrutture Raffaella Paita, hanno comunicato che, a seguito di tre decreti a firma del presidente della regione Liguria Claudio Burlando in qualità di commissario delegato per l'alluvione, è stato destinato un importo pari a 8,7 milioni di euro per i piani di intervento relativo ad opere urgenti, messa in sicurezza di pendici e ripristini di strade danneggiate. Ma non basta. C’è ancora molto da fare nel campo delle prevenzione  –:
          se siano a conoscenza dei fatti e della situazione esposta;
          quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo al fine di tutelare la vita dei cittadini della città di Genova;
          se intendano intraprendere iniziative normative che allentino il patto di stabilità, eventualmente limitatamente alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza e mitigazione del rischio, nei confronti del comune di Genova;
          se intendano istituire un tavolo tecnico permanente per la tutela del territorio, coinvolgendo associazioni e comitati di cittadini impegnati nella difesa del territorio, esponenti del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, che svolga attività di impulso, promozione e definizione di strumenti volti alla tutela, al risanamento ed al monitoraggio dei siti a rischio idrogeologico. (4-02493)


      GALLINELLA, ZACCAGNINI, DE ROSA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, ZOLEZZI, GAGNARLI, TERZONI, L'ABBATE, CIPRINI, TOFALO, DAGA, SEGONI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          lo sviluppo e la promozione di fonti di energia rinnovabile sono fondamentali per il futuro del nostro Paese;
          l'energia eolica, solare e fotovoltaica dovranno trovare una strada privilegiata nel territorio italiano che, in base alle sue caratteristiche geomorfologiche, si presta allo sviluppo di queste energie naturali, ma mantenendo necessariamente le peculiarità paesaggistiche, naturalistiche, ambientali e culturali;
          molti impianti, infatti, spesso invadono aree protette o di particolare importanza per la produzione agricola o la bellezza del paesaggio; basti pensare alle distese di pannelli solari che occupano centinaia di ettari del territorio agricolo ormai fondamentale per la produzione di cibo, nonché impianti eolici di grandi dimensioni che stanno arrecando danni ambientali non più sopportabili in molte regioni del Paese;
          uno dei casi che stanno suscitando maggiore interesse nelle ultime settimane è quello dei due impianti eolici ravvicinati sul Monte Peglia, in vista del duomo di Orvieto, una delle città simbolo del nostro Paese;
          si tratta, nel dettaglio, di due impianti eolici alti più di 150 metri dal suolo, tre volte l'altezza del duomo di Orvieto, costituiti uno da una centrale eolica in località «Poggio della Cavallaccia», con otto aereogeneratori – tre nel territorio comunale di Parrano (Terni) e cinque in quello San Venanzo (Terni), per una potenza complessiva di 18,4 megawatt; l'altro da una analoga centrale eolica in località «La Montagna», nel comune di San Venanzo (Terni) con dieci aereogeneratori, per una potenza complessiva di 23 megawatt;
          il progetto è stato presentato a luglio 2012 alla provincia di Terni per il rilascio dell'autorizzazione unica alla costruzione e l'esercizio dei due impianti di cui al decreto legislativo n.  387 del 2003 (decreto Bersani) da parte della società napoletana Innova Wind s.r.l.;
          molte e diverse sono state le opposizioni al progetto, da parte di cittadini, amministratori e associazioni ambientaliste. In data 13 aprile 2013 si è tenuta ad Orvieto in piazza del Duomo una imponente manifestazione nazionale di protesta di cui hanno dato notizia molti giornali locali e nazionali ed anche un servizio del TG2, edizione del secondo canale Rai delle ore 13;
          il Monte Peglia, infatti, appartiene al sistema territoriale di interesse naturalistico ambientale (S.T.I.N.A.) e con la selva di Meana comprende tre aree naturali protette separate tra loro, ma tutte ricadenti in un ambito più vasto di interesse naturalistico;
          secondo quanto si legge in un rapporto redatto dalla facoltà di agraria dell'università di Perugia «la cementificazione del Monte Peglia, l'abbattimento di migliaio di alberi, la trasformazione perenne della morfologia del territorio, oltre a un fortissimo impatto ambientale e allo sconvolgimento delle rotte dei numerosi uccelli migratori, porteranno alla alterazione irreversibile delle biocenosi presenti anche all'interno della zona a protezione integrale creando la totale desertificazione del territorio»;
          le associazioni ecologiste Amici della Terra, Italia Nostra, Gruppo d'Intervento giuridico onlus e diverse altre realtà associazionistiche nazionali e locali, nonché numerosi cittadini, ed il comune di Parrano hanno inoltrato, in data 21 febbraio 2013, uno specifico atto di opposizione al rilascio dell'autorizzazione unica per le due centrali eoliche motivando la richiesta con questioni di ricevibilità e procedibilità delle istanze;
          in particolare, nell'atto succitato si legge che:
              la realizzazione di centrali eoliche è assoggettata al preventivo e vincolante procedimento di valutazione di impatto ambientale (decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni), quindi è privo di senso rilasciare un provvedimento di autorizzazione unica (che – per sua natura – costituisce autorizzazione definitiva alla realizzazione e all'esercizio di un impianto produttivo di energia rinnovabile) in assenza di una procedura di VIA conclusa positivamente;
              nel verbale della conferenza di servizi del 17 gennaio 2013 indetta dalla provincia di Terni, il rappresentante dell'unità operativa (U.O.) beni ambientali, piani comunali e VAS della provincia di Terni ha espresso parere negativo in quanto «si ritiene che il Progetto dovrà essere sottoposto a procedura di VIA sia per la consistenza dell'impianto sia per la valutazione di altre criticità, evidenziando fin da oggi che, dal punto di vista ambientale il parco eolico, per la sua collocazione in un'area ad alta esposizione panoramica, con una percezione visiva del paesaggio molto alta, rappresenterebbe un forte impatto negativo, pertanto da non attuare in questo territorio», ai sensi del piano territoriale di coordinamento provinciale (P.T.C.P.) della provincia di Terni (deliberazione consiglio provinciale n.  150 del 14 settembre 2000 e successive modificazioni e integrazioni). Analogo parere negativo è stato espresso dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria sulla base anche del parere negativo della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria per i danni indotti dalle opere ai valori paesaggistici e panoramici dell'intera area;
              i progetti di centrali eoliche sono ricompresi fra quelli delle aree proposte dalla provincia di Terni come siti non idonei all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con delibera giunta provinciale n.  195 del 14 ottobre 2011, in quanto trattasi di siti ad alta esposizione panoramica, con una percezione visiva del paesaggio ben oltre i 20 chilometri di raggio considerati nei progetti;
              lo stesso comune di San Venanzo – analogamente a quanto fatto da altri undici comuni dell'area orvietana, anche non direttamente interessati dal progetto – ha espresso parere negativo, con deliberazione giunta comunale n.  19 del 23 gennaio 2013;
          l'8 aprile 2013, anche il consiglio provinciale di Terni si è espresso per fermare la realizzazione del parco eolico approvando un ordine del giorno in tal senso;
          in data 25 marzo 2013 una motivata richiesta di nuova riunione della conferenza dei servizi veniva inoltrata alla provincia di Terni a firma di ben 11 sindaci dei territori interessati dalle istanze e in data 13 aprile 2013 una diffida a nome di 22 associazioni ambientaliste e comitati di cittadini veniva anch'essa inoltrata alla provincia di Terni ed altri enti tra cui al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione pro tempore per verificare le regolarità dei procedimenti messi in atto dalla provincia di Terni in merito alla segnalata questioni di ricevibilità e procedibilità;
          è evidente che, sulla base di quanto esposto, l'impatto ambientale del parco eolico della Innova Wind di Napoli risulta molto alto e per alcuni tratti devastante, apparendo come un'aggressione all'ecosistema della zona e al paesaggio;
          sulla base delle considerazioni effettuate e delle motivazioni addotte dalle diverse associazioni ambientaliste, nonché da diverse amministrazioni locali, sarebbe opportuno verificare la piena correttezza dell’iter procedurale per l'installazione del parco eolico del Monte Peglia  –:
          se siano a conoscenza della situazione esposta;
          se non si ritenga, in ogni caso, necessario avviare una seria riflessione sull'esigenza di rivedere il quadro normativo e autorizzatorio in tema di impianti eolici per la produzione di energia elettrica, in modo da garantire che la loro installazione non pregiudichi l'ambiente, il paesaggio e la tutela dell'avifauna, nel pieno rispetto dell'articolo 9 della Carta costituzionale;
          se il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione abbia assunto iniziative a seguito della diffida inoltrata il 13 aprile 2013;
          se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere il sistema degli incentivi che oggi, per legge, assicurano rendite eccezionali a produttori di alcune energie rinnovabili e sono stati un modo sicuro per favorire la penetrazione del crimine organizzato nei relativi comparti (si veda da ultimo il caso Nicastri);
          se non si ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la priorità di dispacciamento e gli obblighi di acquisto da parte del GSE (il gestore dei servizi di energia) anche per l'energia non immessa in rete, al fine di evitare il rischio di creare una categoria di imprenditori irresponsabili, che non devono confrontarsi col rischio d'impresa ma hanno profitti assicurati dallo Stato per 15/20 anni e sottraggono alla competizione del mercato la produzione di energia elettrica rinnovabile. (4-02494)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CHIMIENTI, BUSTO, DADONE, CASTELLI, BECHIS, CRIPPA, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DELLA VALLE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          in Vercelli, zona via Derna, durante i lavori per la costruzione del Museo dello Sport portati avanti dal Comune, la ditta incaricata dal Ministero dei beni culturali rinveniva nei mesi estivi del 2012 una serie di testimonianze romane che poi si scoprivano essere appartenenti ad un complesso industriale denominato opificio romano;
          venivano denominati opifici gli edifici che sorgevano in al di fuori delle mura della città e in cui, in epoca romana imperiale, si svolgevano attività industriali in prossimità di strade strategiche per la comunicazione che fungevano da collegamento con centri di municipium altrettanto importanti;
          il rinvenimento del citato opificio rappresenta una testimonianza di irripetibile e indubbio valore storico e artistico, unica nel suo genere scientifico quale esempio di produttività di generi di svariato uso per la vita umana, nonostante risulti mancante del suo elevato;
          l'intera zona dove è stato rinvenuto l'opificio andrebbe sottoposta ad indagine esplorativa per rinvenire le numerose testimonianze consistenti in ceramiche, vetri, pietra, marmo e quant'altro riservi il sito. L'opificio è infatti collocato ai margini di una strada romana che da Vercelli conduceva ad Asti, costellata da ambo i lati da sepolture in nuda terra a cremazione e sarcofagi in pietra, come quello di una giovinetta romana, rinvenuto in epoca fascista nell'attuale piazza Cesare Battisti;
          diversi sono gli edifici di carattere monumentale e di rilievo archeologico sepolti, in parte distrutti, ma pur sempre localizzabili in Vercelli che attendono una loro rivalorizzazione e tra questi, oltre all'opificio sopra citato, degno di particolare attenzione è sicuramente l'anfiteatro romano datato I-II secolo d.C., localizzato tra gli attuali Corso De Rege e Viale Rimembranza a Vercelli e di cui nel corso degli anni sono state rinvenute ampie e ben conservate parti, rivelandolo come uno dei più grandi anfiteatri romani, di oltre 130 metri di ellisse;
          il Comune di Vercelli, anziché muoversi in direzione di un programma di salvaguardia effettiva dell'ambiente archeologico vercellese e in particolare dell'area dell'anfiteatro, ha deciso di approvare un progetto per il recupero della suddetta area che è stato criticato da più parti e ha suscitato reazioni e note di disappunto di movimenti ambientalisti, gruppi archeologici locali ed esperti. In particolare si fa riferimento alle voci autorevoli di studiosi ed associazioni come il Centro studi – Ricerche storiche e archeologiche Vercellae aderente ai gruppi archeologici italiani con sede a Roma costituitosi recentemente con il termine GAPO «Gruppo archeologico Piemonte Orientale», che si sono attestate unanimemente sulla stessa posizione di contrarietà al progetto. Tale progetto prevede infatti l'edificazione di una struttura in ferro e legno che ricordi in modo approssimativo la forma di un anfiteatro, con una parte destinata alle mura attualmente visibili, una pozza d'acqua rifornita dalla roggia Molinara al centro dell'arena, un parco verde e infine tre nuovi condomini circolari da 12.000 metri quadri, per un totale di novanta appartamenti e 200 posti d'auto sotterranei. Il valore degli interventi è stato stimato in 2 milioni e 400 mila euro;
          il progetto che coinvolge l'area dell'anfiteatro, il cui suolo è di proprietà di privati cittadini, è finanziato in parte pubblicamente e in parte privatamente mediante la realizzazione dei tre blocchi con superfici residenziali e commerciali, ed è stato definito da esponenti di Società Futura «più un'operazione immobiliare vantaggiosa per i costruttori che un intervento di valorizzazione di un patrimonio artistico finora rimasto nascosto. Il tutto perché, riducendo la zona di vincolo archeologico, gli edifici residenziali a terrazze che dovrebbero ricordare l'anfiteatro sorgeranno proprio a ridosso della parte interrata della struttura in cui ancora sono presenti le cavee»;
          oggi le mura romane dell'anfiteatro, in attesa che il progetto di riqualificazione dell'area voluto dal comune di Vercelli prenda avvio dopo continui rimandi, giacciono alle intemperie e rischiano di essere danneggiate irrimediabilmente, anche perché oramai mancanti del loro rivestimento in marmo;
          moltissimi altri siti in Vercelli, oltre all'opificio e all'anfiteatro, offrono testimonianze storiche di inestimabile valore nazionale e per la collettività, quali la necropoli presso i Cappuccini, la zona di Santo Stefano in civitate, il sito di San Bartolomeo, per citare solo una minima parte dei luoghi  –:
          se non intenda confrontare con gli esperti della sezione cittadina dei gruppi archeologici aventi sede in Roma il progetto della nuova costruzione del museo dello sport con i disegni delle murature di epoca romana, al fine di poterne evitare la demolizione o la copertura, con il grave rischio di non rendere più visionabile il prezioso sito in oggetto;
          se non intenda adoperarsi per interloquire con la soprintendenza affinché i proprietari dell'area possano gradualmente cedere a prezzo di costo il suolo dell'area dell'anfiteatro, in modo da adibire finalmente la zona ad uso culturale grazie al lavoro dei gruppi archeologici volontari che già operano sul territorio vercellese e che si sono offerti a più riprese di collaborare per riportare alla luce con le loro competenze l'immenso patrimonio artistico e storico dell'area, sbloccando in questo modo una situazione che rischia di danneggiare irreversibilmente i reperti;
          quali urgenti iniziative intenda adottare affinché opere di irripetibile valenza scientifica, storica e culturale, come l'opificio sopracitato e l'anfiteatro romano, siano preservate e possano occupare a Vercelli, ricchissima città d'arte, il posto che loro compete. (5-01438)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      CHIARELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la città di Taranto da oltre cento anni è sede di diversi importanti insediamenti della Marina militare italiana, quali un arsenale militare, una base navale di recente realizzazione, una scuola sottufficiali, un centro addestramento, nonché sede del comando in capo del dipartimento marittimo dello Jonio e del Canale d'Otranto;
          la Marina militare, per ragioni oggi non più attuali, continua ad occupare ampie e significative aree della città, imponendo un sacrificio in termini di fruibilità del territorio alla cittadinanza, oltre che per tutte le ricadute negative dovute agli esiti delle lavorazioni realizzate;
          il territorio, come è noto per essere stato assunto alla attenzione del Governo, vive un momento di particolare crisi economica che vede attiva una serie di vertenze, dalla nota vicenda Ilva all'abbandono del territorio da parte di importanti realtà produttive come la multinazionale Vestas, il gruppo Marcegaglia, il gruppo Natuzzi, Miroglio, e tante altre realtà produttive di piccole e medie dimensioni;
          in questo quadro di grave emergenza occupazionale si inserisce un'ulteriore nuova pesantissima novità che vede la Marina militare abbandonare di fatto il territorio. Da notizie giornalistiche, infatti, si apprende del possibile esubero di ben 500 unità tra il personale civile della difesa, del declassamento del comando in capo, del trasferimento delle attività di addestramento, e, ultimo «schiaffo», il trasferimento dell'incrociatore Vittorio Veneto a Trieste;
          l'incrociatore Vittorio Veneto, di base a Taranto per oltre 40 anni, è stato oggetto nei primi anni del 2000 di proposta dell'allora amministrazione locale mirata a realizzare un museo galleggiante da mantenere a Taranto. Nel 2007 un decreto che stanziava fondi per la ricorrenza dei 150 anni della unità di Italia, prevedeva, giusto accordo Stato-regione, la realizzazione di tale progetto;
          sempre da fonti giornalistiche si apprende che la Vittorio Veneto sarebbe destinata a diventare museo ma non a Taranto bensì a Trieste;
          l'ufficio stampa locale della Marina militare ha diffuso una nota con cui ridimensiona le voci di stampa  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se ritenga necessario intervenire al fine di chiarire la fondatezza delle ipotesi giornalistiche, nonché richiedere agli organi di comando della Marina militare di riconsiderare eventuali decisioni destinate a ridimensionare drasticamente la presenza a Taranto, e, altresì, rivalutare il progetto museo Vittorio Veneto come giusto riconoscimento della centralità di Taranto nel sistema della difesa. (4-02488)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


      CAUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il magistrato alle acque di Venezia ha messo in campo una vasta azione di recupero per i canoni demaniali marittimi dovuti da circa 2500 concessionari. L'ottanta per cento dei concessionari è costituito da proprietari di piccole imbarcazioni da diporto o a remi. All'origine dell'azione del magistrato alle Acque vi è la necessità di rettificare gli importi dei canoni dei piccoli spazi acquei, che, a causa di incertezze sulla norma da applicare, è stato calcolato al di sotto del minimo stabilito dalla legge 160/1989 (nel 2013 circa euro 360, contro euro 180 riportati negli atti di concessione anteriori al 2010-2011);
          i piccoli proprietari di barche, pertanto, si trovano a dover corrispondere differenze da calcolarsi su un periodo, di più di vent'anni. Il rilievo che i canoni sono prescritti, peraltro, obbliga in ogni caso il magistrato alle acque ad iscrivere a ruolo l'intera somma dovuta, poiché non è nei suoi poteri e facoltà permettere che un credito dello Stato si estingua per il semplice decorso del tempo senza alcuna dichiarazione documentata dal concessionario e valutata da chi ne abbia la competenza (il giudice, gli uffici finanziari che sono competenti per la riscossione coattiva);
          la posizione di ciascun concessionario è infatti da valutarsi caso per caso, la prescrizione è diversa a seconda del tipo di occupazione, e del comportamento sin qui tenuto dagli uffici finanziari o dal concessionario stesso;
          i concessionari di piccoli spazi acquei, pertanto, dovranno difendersi in un giudizio di impugnazione degli atti esattoriali;
          pare che all'origine di ciò vi sia stata l'applicazione di tabelle elaborate localmente dagli uffici finanziari, tabelle che avevano il pregio di considerare la specificità della laguna di Venezia, che, come è noto, nulla ha a che vedere con il mare costiero, tanto è vero che è oggetto di legislazione speciale;
          vi è poi l'anomalia, vissuta come un problema di giustizia dalla gente, del fatto che fino a 100 metriquadri circa di spazio acqueo, il canone è per tutti di circa euro 360, senza distinzione fra imbarcazioni di lusso, imbarcazioni modeste e imbarcazioni – infine – utilizzate per attività d'impresa ad alta redditività come taxi acquei o imbarcazioni per trasporto merci;
          è palesemente ingiusto costringere una moltitudine di piccoli proprietari di barca, spesso pescatori e piccoli artigiani, ad eccepire formalmente e davanti ad un giudice o con un ricorso all'autorità amministrativa competente la prescrizione di un credito dello Stato;
          sussiste una palese distanza fra legalità e giustizia quando lo Stato pretende il pagamento di una somma che per fatto proprio è stata calcolata in modo sbagliato;
          è iniquo pretendere che imbarcazioni a remi di modestissimo valore paghino uno spazio acqueo di 12 metriquadri quanto un panfilo di dimensioni e valore ben più grandi  –:
          se non sia opportuno, tenuto conto anche del fatto che l'uso delle imbarcazioni nella laguna di Venezia è di stimolo per moltissime piccole e medie attività artigianali e commerciali, assumere iniziative per sanare o condonare i canoni dovuti per periodi anteriori al 2012 e provvedere all'adozione di tabelle speciali per la Laguna di Venezia, sentito il magistrato alle acque. (3-00437)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 20 del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n.  90, «Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale» prevede, a fini di copertura finanziaria delle misure contenute nel provvedimento, l'aumento dell'aliquota IVA dal 4 al 10 per cento sulle operazioni di somministrazione di alimenti e bevande effettuate mediante distributori automatici collocati in stabilimenti, ospedali, case di cura, uffici, scuole, caserme e altri edifici destinati a collettività;
          tale aumento dell'IVA si applica a decorrere dal 1° gennaio 2014;
          le citate disposizioni richiedono alcuni chiarimenti in ordine alla loro applicazione, avuto riguardo alle modalità di determinazione dei prezzi degli alimenti e bevande somministrati mediante i distributori automatici in questione;
          occorre tener conto che la modifica dell'aliquota IVA dal 4 al 10 per cento sulle somministrazioni di alimenti e bevande effettuate mediante distributori automatici incide sul prezzo relativo ai singoli alimenti e bevande che sono di volta in volta oggetto delle operazioni di somministrazione: tali prezzi devono, pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, essere modificati, per adeguarli alla più elevata aliquota IVA stabilita dal decreto-legge n.  63 del 2013;
          per altro verso, la collocazione dei distributori automatici all'interno di stabilimenti, edifici o comunque strutture destinate a collettività, si fonda su contratti o convenzioni stipulate tra il soggetto che svolge l'attività imprenditoriale di gestire i distributori automatici e il soggetto (pubblico o privato) che è proprietario o gestisce l'edificio destinato a collettività nel quale i distributori medesimi sono collocati; i contratti o le convenzioni in questione fissano i prezzi unitari degli alimenti o bevande oggetto di somministrazione mediante i distributori automatici e può dunque anche accadere che l'installazione dei distributori in una determinata struttura sia preceduta da una gara o comunque da una comparazione tra le proposte presentate da più soggetti che gestiscono distributori automatici, in cui parametro fondamentale o addirittura esclusivo di scelta dell'uno o dell'altro soggetto è rappresentato dal prezzo stabilito per le singole operazioni di somministrazione di alimenti o bevande;
          per questa ragione possono emergere profili problematici con riferimento all'attuazione dei contratti o delle convenzioni che siano stati stipulati tra il gestore del distributore e il gestore della struttura in data anteriore a quella di entrata in vigore del decreto-legge n.  63 del 2013 e che abbiano una durata che va oltre il 1° gennaio 2014;
          in tal caso, se nei contratti o nelle convenzioni tra il gestore dei distributori e il gestore della struttura sono fissati i prezzi dei singoli alimenti e bevande oggetto di somministrazione comprensivi di IVA, il gestore del distributore avrà facoltà di modificare in aumento, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i prezzi suddetti, rispetto a quanto stabilito nel contratto o nella convenzione, nella misura necessaria per applicare la diversa e più elevata aliquota IVA stabilita dal decreto-legge n.  63 del 2013: ciò in base ai principi generali che definiscono la natura dell'imposta sul valore aggiunto, che, come è noto, incide sul consumatore finale; le richiamate disposizioni del decreto-legge n.  63, pertanto, hanno l'effetto di modificare rapporti contrattuali già in essere alla data in cui le disposizioni medesime sono entrate in vigore;
          sarebbe assolutamente opportuno chiarire espressamente, in via interpretativa, mediante apposita circolare del Ministero o mediante apposito atto del direttore dell'Agenzia delle entrate, che dalle disposizioni recate dall'articolo 20 del decreto-legge n.  63 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  90 del 2013, discende la facoltà del gestore del distributore di rivedere i prezzi degli alimenti e bevande oggetto di somministrazione a decorrere dal 1° gennaio 2014, nella misura necessaria, per adeguarli all'aumento dell'IVA, imposto dalla disposizione di legge;
          l'opportunità dei chiarimenti prospettati deriva anche dall'esigenza di prevenire l'insorgere di contenziosi, che costituirebbero per le imprese del settore un pesante ostacolo rispetto al normale svolgimento della propria attività  –:
          se il Governo intenda adottare appositi atti che, in via interpretativa, precisino le modalità di applicazione delle disposizioni recate dall'articolo 20 del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n.  90, fornendo i chiarimenti e le indicazioni illustrati in premessa. (5-01432)


      PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in fase di conversione in legge del decreto-legge n.  102 del 2013, il Parlamento ha introdotto all'articolo 5 (Disposizioni in materia di TARES), il comma 4-quater, al fine di consentire ai comuni di continuare ad applicare il regime del tributo (Tarsu) o della tariffa (Tia 1 o Tia 2) relativi alla gestione dei rifiuti urbani utilizzati nel 2012, derogando così al comma 46 dell'articolo 14, del decreto-legge n.  201 del 2011, che prevedeva l'abrogazione, a decorrere dal 1o gennaio 2013, dei vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, e quindi di mantenere sostanzialmente in essere per il 2013 il sistema di pagamento del servizio rifiuti già in vigore per il 2012;
          la suddetta possibilità è data dalla legge indistintamente a tutti i comuni, siano essi in regime TARSU o TIA, prevedendo come unico vincolo la deliberazione entro il termine ultimo previsto per il bilancio preventivo degli enti locali, attualmente fissato al 30 novembre 2013;
          questa sembra essere l'unica interpretazione possibile della norma, salvo diversa opinione da parte del Governo, che rischierebbe tuttavia di aprire contenziosi significativi;
          sembra quindi assodato che un comune soggetto a TIA per il 2012 possa mantenere tale regime anche per il 2013, procedendo ad apposito aggiustamento, anche nel caso in cui avesse già approvato il preventivo 2013;
          la TIA, almeno limitatamente alle utenze non domestiche, si configura come tariffa esatta a pagamento di un servizio, e non come tassa a copertura di un costo, e quindi non dovrebbero esserci dubbi sulla possibilità per i soggetti IVA di poter scaricare l'IVA relativa;
          risulta all'interrogante che alcuni soggetti erogatori del servizio, anche di primaria importanza nazionale, sostengono che tale possibilità non sarebbe consentita dal tenore della norma, con riferimento all'IVA relativa al servizio rifiuti;
          non è chiaro su quale presupposto giuridico possa basarsi tale interpretazione, essendo la TIA una tariffa a tutti gli effetti, pur se pagata su servizi non reperibili sul libero mercato, e come tale pagata e messa a bilancio dalle imprese dei territori soggetti;
          qualora prevalesse l'interpretazione che la frazione del tributo imputabile all'IVA non è scaricabile, questa si tradurrebbe in un significativo aggravio per le imprese, data l'aliquota fissata al 10 per cento  –:
          quale sia, alla luce di quanto esposto in premessa, la posizione del Ministero dell'economia e delle finanze, con riferimento alla piena deducibilità o meno dell'IVA relativa alla TIA delle utenze non domestiche. (5-01433)


      BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Equitalia è una società a totale controllo pubblico (51 per cento Agenzia delle entrate e 49 per cento INPS), nata il 1o ottobre 2006;
          il legislatore ha attribuito alla medesima Agenzia delle entrate, che poi esercita tali funzioni tramite Equitalia (articolo 3 del decreto-legge n.  203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  248 del 2005), l'esercizio di attività di riscossione di tributi, contributi e sanzioni;
          le somme che sono pagate dai cittadini ad Equitalia vengono poi interamente restituite agli enti creditori, ad eccezione dell'aggio e delle spese di riscossione stabiliti dal legislatore, e proprio su questo ultimo punto, il legislatore dovrebbe intervenire, in quanto il collegamento fra aggio riconosciuto al riscossore ed effettiva copertura dei costi sostenuti nell'attività, appare come unica giustificazione possibile di quello che è senza dubbio un onere improprio gravante sul debitore;
          fino ad oggi, tale aggravio è fissato per Equitalia nella misura dell'8 per cento, valore che appare evidentemente sproporzionato rispetto ai costi effettivamente sostenuti per la riscossione, come potrebbe essere, ad esempio, una attività di riscossione che si limiti alla spedizione di una raccomandata, così da apparire ingiustificata;
          l'articolo 52 del decreto del fare (decreto-legge n.  69 del 2013), al comma 2, modificando l'articolo 10, comma 13-quinquies, del decreto-legge n.  201 del 2011, anticipa al 30 settembre (in luogo del 31 dicembre) il termine entro il quale devono essere adottati i decreti non regolamentari del Ministro dell'economia e delle finanze finalizzati a definire tale nuovo sistema di remunerazione;
          questa innovativa modalità dovrebbe rivedere la metodologia di fondo sulla quale il sistema di riscossione si è finora basato, sostituendo l'attuale gravoso sistema con aggio con un rimborso che faccia riferimento agli effettivi costi di riscossione, così da superare l'attuale sistema, chiaramente iniquo ed eccessivamente gravoso per il contribuente  –:
          se, in virtù del fatto che, in difformità a quanto previsto dall'articolo 52 del decreto-legge n.  69 del 2013, i decreti non regolamentari per l'entrata in vigore del nuovo sistema non sono ancora stati emanati, il Ministro non ritenga urgente adottare opportune iniziative al fine di dare seguito alla vigente normativa e porre così rimedio sul piano normativo a questo ritardo, specificando altresì come la innovativa modalità di aggiornamento consideri tra i criteri per la sua definizione le sole spese sostenute dall'ente riscossore.
(5-01434)


      CAUSI e LORENZO GUERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha introdotto dal 1° gennaio 2013 il «tributo comunale sui rifiuti e sui servizi» denominato TARES, con contestuale soppressione della tassa rifiuti TARSU;
          l'articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013, n.  35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n.  64, ha consentito ai comuni, per il solo anno 2013, di stabilire con propria deliberazione la scadenza e il numero delle rate di versamento del tributo; inviare ai contribuenti, per il pagamento delle prime due rate, i modelli di pagamento precompilati già predisposti per la Tarsu, la Tia 1 o la Tia 2; continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani;
          l'articolo 5 del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n.  124, ha, da ultimo, previsto che il comune possa stabilire di applicare per l'anno 2013 la componente della Tares, diretta alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto del principio «chi inquina paga» sancito dall'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE;
          il comma 4-quater del citato articolo 5, consente ai comuni di continuare ad applicare il tributo (Tarsu) o la tariffa (Tia 1 o Tia 2) relativi alla gestione dei rifiuti urbani utilizzato nel 2012, derogando al comma 46 del citato articolo 14, del decreto-legge n.  201 del 2011, che aveva abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria;
          è fatta invece salva la maggiorazione di 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni di cui al comma 13 dell'articolo 14 del decreto-legge n.  201 del 2011 ed il comune è tenuto a predisporre e inviare ai contribuenti il relativo modello di pagamento;
          secondo la normativa vigente i comuni che continuano ad applicare la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) devono quindi necessariamente mantenere due modalità di riscossione distinte; una per il pagamento del tributo secondo le vecchie modalità – conto corrente postale, bonifico e altro – l'altra con il modello F24 per il pagamento della maggiorazione, con evidente disagio per i cittadini;
          in considerazione dell'intervenuta deroga, per il solo 2013, sarebbe opportuno semplificare il sistema di pagamento attraverso l'utilizzo dei modelli F24 anche nei casi in cui i comuni non abbiano rinnovato o stipulato una nuova convenzione con l'Agenzia delle entrate  –:
          quali misure intenda intraprendere al fine di semplificare le modalità di pagamento del tributo relativo alla gestione dei rifiuti urbani anche per i comuni che continuano ad applicare la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nei casi in cui i comuni non abbiano rinnovato o stipulato una nuova convenzione con l'Agenzia delle entrate, in tal modo evitando lo sdoppiamento della modalità di pagamento del tributo attualmente previsto con le previgenti modalità di riscossione (conto corrente postale, bonifico, e altro) e quelle della maggiorazione previsto con il modello di versamento F24. (5-01435)

Interrogazione a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 31 agosto 2013, n.  102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n.  124, ha disposto l'abolizione della prima rata dell'imu per il 2013 e la soppressione della seconda rata dell'imposta relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati;
          l'articolo 3 del suesposto provvedimento ha disposto il ristorno del minor gettito dell'imposta derivante dalle disposizioni recate dagli articoli 1 e 2 del medesimo decreto, il cui riparto effettuato dal comune di Cermenate della provincia di Como, ha erogato la cifra di 295,007 euro;
          la soppressione della prima rata ha comportato un minor gettito calcolato sui dati del 2012, pari a 291,109 euro per abitazione principale e circa 11,400 euro per gli altri immobili;
          la differenza tra quanto corrisposto al comune ed il minor gettito dovuto all'abolizione della prima rata (circa 2,400 euro) dovrebbe corrispondere alla soppressione dell'obbligo di versamento della seconda rata;
          il suddetto importo risulta a parere dell'interrogante, sottostimato a fronte di un importo calcolato sulla base dei dati in possesso dell'ufficio tributi, di circa 50 mila euro;
          da pochi giorni si conoscono i dati del fondo di solidarietà comunale, pubblicati sul sito internet www.finanzalocale.it e rilevano che la quota che il comune deve restituire allo Stato mediante trattenuta da parte dell'Agenzia delle entrate sugli incassi a titolo di seconda rata imu, per contribuire al finanziamento del suddetto fondo, comporta una differenza negativa a carico del bilancio del comune del comasco di circa 530 mila euro;
          la somma che conseguentemente deve essere ulteriormente finanziata nel 2013, pari al mancato gettito imu e la differenza negativa indicata, risulta essere di 580 mila euro;
          la mancata quantificazione del fondo di solidarietà che per legge avrebbe dovuto essere comunicata entro il mese di maggio 2013, unita al minor gettito imu dovuto ai sensi delle disposizioni contenute all'interno del decreto-legge n.  102 del 2013, rischia di portare a situazioni di disavanzo economico e di mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità interno;
          le suddette conseguenze determineranno effetti negativi sui servizi forniti già da tempo razionalizzati nelle previsioni di spesa, impedendo in concreto una corretta amministrazione per qualsiasi comunità nazionale;
          le suddette considerazioni, a giudizio dell'interrogante, non coinvolgono soltanto il comune di Cermenate in provincia di Como, ma rappresentano un più ampio ed evidente problema economico e sociale, in ambito locale ma anche e soprattutto nazionale in tema di fiscalità territoriale  –:
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda intraprendere al fine di porre un rimedio ai ritardi nella intempestiva comunicazione di cui in premessa, che certamente non favorisce gli enti locali nel calcolo della quota imu da versare allo Stato. (4-02480)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con decreto ministeriale 30 ottobre 2013 è stato indetto un concorso a 365 posti di magistrato ordinario;
          il bando per tale procedura concorsuale era atteso già da due anni e non può essere considerato che come un primo passo a fronte delle gravi carenze d'organico che si riscontrano nei tribunali d'Italia, pur a fronte della revisione della geografia giudiziaria;
          secondo alcune stime tali carenze supererebbero le duemila unità;
          il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 2011, n.  161, «Regolamento recante modifiche ed integrazioni delle norme sullo svolgimento del concorso a procuratore dello Stato», ha disposto l'abbassamento del limite di età per accedere al concorso a procuratore dello Stato a trentacinque anni;
          la lunga attesa che i candidati devono sopportare fino all'indizione dei relativi bandi concorsuali e la contemporanea riduzione dei limiti di età per accedervi appare non solo come un controsenso in sé ma anche come un danno a chi sogna tali carriere e si è impegnato profondamente in tal senso  –:
          se non ritenga di attivare tempestivamente le procedure per l'indizione di un ulteriore bando di concorso a magistrato ordinario, affinché si possa realizzare quanto prima la copertura delle vacanze d'organico attualmente riscontrabili;
          se non ritenga opportuno elevare nuovamente a quarant'anni il limite d'età per l'accesso al concorso a procuratore dello Stato, così come previsto dalla normativa previgente al citato decreto del Presidente della Repubblica. (4-02481)


      ALBERTI e BASILIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione penitenziaria ha consentito, senza che ci fosse la carenza in organico degli appartenenti alle qualifiche di vice commissario e commissario della polizia penitenziaria, la frequenza al terzo corso degli stessi. Tale carenza ci sarebbe stata se avessero provveduto all'inquadramento nella qualifica di commissario Capo gli aventi diritto che hanno maturato i presupposti nel luglio del 2011;
          il decreto legislativo n.  146 del 2000 «Adeguamento delle strutture e degli organici dell'Amministrazione penitenziaria e dell'Ufficio centrale per la giustizia minorile, nonché istituzione dei ruoli direttivi ordinario e speciale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'articolo 12 della legge 28 luglio 1999, n.  266», nella tabella «D» prevede: 300 tra vice commissari e commissari del ruolo direttivo ordinario; 113 commissari capo penitenziari; 90 commissari coordinatori penitenziari; 8 primi dirigenti e 4 dirigenti superiori; allo stato attuale, non avendo ancora inquadrato nella qualifica di commissario capo gli aventi diritto, ossia i funzionari con qualifica di commissario appartenenti al primo corso del ruolo direttivo ordinario, ne deriva che risulta violata la norma in quanto si trovano in ruolo oltre 400 tra vice commissari e commissari;
          gli appartenenti al terzo corso di vice commissari di polizia penitenziaria hanno concluso il relativo corso, della durata di un anno nel mese di gennaio 2013, ma l'amministrazione penitenziaria ad oggi non ha ancora provveduto alle relative assegnazioni nelle sedi ove dovranno essere impiegati, con il gravissimo risultato di elargire oltre 120 stipendi dal mese di gennaio 2013 ad oggi senza rendere alcun servizio utile alla società;
          l'Amministrazione non potrebbe, infatti, giustificare tale sperpero di denaro pubblico adducendo che avesse voluto implementare l'attività addestrativa, in quanto l'articolo 9 del decreto legislativo n.  146 del 2000 prevede che i vincitori del concorso frequentino un corso teorico-pratico «della durata di dodici mesi», che al termine del corso gli stessi sostengano un esame finale, prestino giuramento e siano ammessi al ruolo direttivo ordinario, secondo l'ordine in graduatoria;
          gli appartenenti al terzo corso hanno iniziato il corso nel mese di gennaio 2012, pertanto il termine di 12 mesi previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo n.  146 del 2000 è terminato nel mese di gennaio 2013, ma ad oggi non sono stati ancora assegnati nelle sedi ove dovrebbero prestare servizio  –:
          per quale motivo l'amministrazione penitenziaria abbia consentito l'inizio del terzo corso di vice commissario senza che vi fosse la carenza in organico della relativa qualifica;
          per quale motivo l'amministrazione penitenziaria dal gennaio 2013 continui a pagare 120 stipendi (di circa 1.800 euro netti al mese ad ognuno) senza aver ancora provveduto ad assegnare i suddetti funzionari nelle sedi dove dovranno essere impiegati;
          a cosa sia da addurre il ritardo nella mobilità dei funzionari già in ruolo che dovrebbero liberare le sedi prima dell'assegnazione degli appartenenti al terzo corso e il ritardo eccessivo (dal luglio 2011) nell'inquadramento alla qualifica di commissario capo degli appartenenti al primo corso del ruolo direttivo ordinario che a tutt'oggi non hanno ancora ricevuto il relativo decreto di nomina a commissario capo. (4-02482)


      CARDINALE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la camera civile di Caltanissetta, con deliberato del 26 settembre 2013, ha lamentato che sono stati trasferiti 11 magistrati togati e che attualmente la sezione civile del tribunale su 10 magistrati previsti in pianta organica conta solo 3 magistrati in servizio;
          il trasferimento di sette magistrati ha comportato la quasi paralisi dell'attività giudiziaria del tribunale civile di Caltanissetta;
          attualmente dette assenze comportano un ritardo superiore a due anni nella definizione dei giudizi di primo grado;
          il ricorso all'utilizzo dei giudici onorari non si appalesa quale rimedio idoneo a risolvere il grave problema creatosi;
          attualmente la situazione non è migliore presso la sezione civile della corte di appello ove i tempi per la definizione dei giudizi di secondo grado si sono notevolmente allungati a causa del carico pendente e della sopravvenienza di numerosissimi giudizi di equa riparazione;
          in conseguenza di ciò l'amministrazione della giustizia civile a Caltanissetta è gravemente deficitaria con irreparabili danni alla popolazione nissena ed agli utenti;
          il distretto della corte d'appello di Caltanissetta costituisce eccezionale baluardo per la lotta alla criminalità organizzata e per la riaffermazione della legalità;
          le carenze avanti manifestate pongono in essere una situazione di pericolo che potrebbe, in caso denegata giustizia, far rivivere sopiti interessi malavitosi  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di ripristinare la normale e regolare funzionalità degli uffici giudiziari della corte d'appello, nonché quali immediate iniziative intenda adottare per evitare perniciose vacanze dell'organico del distretto della corte d'appello di Caltanissetta.
(4-02486)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni si è registrato un forte degrado del trasporto pubblico su rotaia nella regione Umbria, in particolare per quanto riguarda la linea che collega le stazioni umbre alle città di Roma e Firenze, Roma e Perugia/Ancona via Foligno;
          sono migliaia le persone che ogni giorno si muovono dall'Umbria per dirigersi, per motivi di lavoro o di studio, verso la Capitale;
          la tratta è frequentata costantemente anche da un numero rilevante di turisti, nazionali e internazionali, essendo le zone interessate fortemente attrattive dal punto di vista paesaggistico, artistico e religioso;
          sono molte le sollecitazioni pervenute in ordine ai vari disservizi del trasporto ferroviario su tale linea, alla bassa qualità dei treni utilizzati, vetusti e fatiscenti, e alle cattive condizioni igieniche delle vetture, proprio in un momento in cui, anche per la crisi economica esistente, bisogna garantire servizi efficienti e continuativi ai tanti utenti che preferiscono viaggiare in treno piuttosto che in auto;
          negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di associazioni di consumatori, comitati di pendolari e singoli utenti sulla insostenibilità del servizio ferroviario della linea Firenze-Roma e Ancona/Perugia via Foligno;
          sono molti i disservizi a cui sono sottoposti giornalmente i passeggeri che viaggiano sui treni Intercity della linea Direttissima, a contratto di servizio del Ministero delle infrastrutture e trasporti: lunghi tempi di percorrenza, mancanza di puntualità, soppressione senza preavviso delle corse, carenza di informazione, non garanzia di partenza delle coincidenze, guasti tecnici all'ormai obsoleto materiale rotabile dotato di motrici vecchie e carrozze non adeguate e poco pulite, sovraffollamento dei convogli, condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie, aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione dei servizi offerti;
          tali disfunzioni e inefficienze inducono spesso gli utenti a ricorrere al trasporto regionale, parimenti scadente per qualità del materiale rotabile, decoro di viaggio, disponibilità di convogli, affollamento, riduzione delle corse, aumento dei tempi di percorrenza, ritardi molto pesanti e sistematici, guasti alle locomotrici e alle vetture;
          a causa dell'inadeguatezza infrastrutturale delle ferrovie italiane, la frequenza dei treni ad alta capacità che viaggiano sulle linee ad alta velocità ha creato ulteriori problemi al trasporto locale, dal momento che, in molte tratte, il transito degli intercity ed interregionali, soprattutto nelle fasce orarie di maggiore affluenza, è stato spostato sulle linee lente già sature per la presenza dei treni regionali;
          i treni Intercity e interregionali subiscono spesso soppressioni di corse, variazioni di orario o notevoli ritardi, tali da rendere estremamente disagevoli i collegamenti tra le città umbre e le regioni limitrofe;
          le carrozze di questi treni sono sovraffollate e spesso vetuste e fatiscenti, con bagni poco igienici e impianti di condizionamento e riscaldamento malfunzionanti e non dimensionati decentemente per resistere a condizioni normali di temperatura invernale ed estiva; in alcuni casi le carrozze di prima classe («revampizzate» non diverse «fisicamente» da quelle di seconda classe) vengono declassate per un viaggio di andata, grazie ad un foglietto applicato sulla porta di interconnessione della carrozza con scritto 2, mentre al viaggio di ritorno diventano nuovamente di prima classe: ciò causa confusione tra i passeggeri ed imbarazzo nei controllori che non riescono a spiegare come la medesima carrozza sia di 1 o di 2 classe a seconda del foglietto di carta applicato sulla porta piuttosto che ai servizi che dovrebbero essere diversi;
          una quota parte non trascurabile del materiale rotabile dei treni del trasporto regionale, non oggetto di interventi di revisione, è ancora dotata di finestrini tradizionali, senza doppi vetri, e con la possibilità di apertura da parte dei viaggiatori, pertanto in caso di guasto o malfunzionamento degli impianti di climatizzazione diventa consuetudine che i viaggiatori aprano i finestrini per ottenere un minimo di refrigerio, causando forti correnti d'aria che possono risultare disagevoli per altri viaggiatori;
          il grave problema che tuttavia scaturisce da tale situazione è il forte livello di pressione anche acustico che si produce nelle gallerie della Linea Direttissima, in speciale modo durante gli incroci con i treni di Alta Velocità: un impatto teorico a circa 400 km/h, visto che i treni regionali viaggiano a 160 km/h ed i treni AV a 250 km/h, per cui che la pressione che si produce in tal circostanze, anche a livello acustico, può essere pericolosa per i viaggiatori e per l'apparato uditivo;
          inoltre, persistono con frequenza e diffusione su tutti i treni intercity e interregionali transitanti per l'Umbria, problemi riguardanti il funzionamento e il bloccaggio delle porte esterne ed interne delle vetture, che spesso sono causa delle soppressioni di corse ferroviarie o dei ritardi dei treni e sono motivo di disagio ma anche di pregiudizio per la sicurezza attiva e passiva;
          l'inadeguatezza funzionale della rete ferroviaria nella regione Umbria e il peggioramento del servizio sia dal punto di vista quantitativo, per disponibilità di convogli e infrastrutture, sia dal punto di vista qualitativo in termini di affidabilità e pulizia, crea incertezza e precarietà nei collegamenti tra le diverse aree della regione, con gravi conseguenze sui flussi legati all'economia del territorio, al lavoro e al turismo;
          per quanto concerne l'attività ispettiva della regione Umbria sui servizi di Trenitalia, da un comunicato pubblicato sul portale regionale, relativo alle sanzioni applicate a Trenitalia per inadempienze riguardanti il contratto di servizio, si evince che «la Regione è costantemente impegnata a verificare il rispetto degli accordi sottoscritti da Trenitalia per la fornitura dei servizi ferroviari, attraverso un'attenta attività ispettiva e di monitoraggio su puntualità e regolarità dei treni, pulizia, comfort di viaggio e affidabilità». Tuttavia nessuna autorità regionale ha finora specificato come e da chi sia svolta tale attività e come sia possibile agli utenti chiedere l'intervento di tali ispettori. Di fatto, a quanto consta all'interpellante è pressoché inesistente un'attività ispettiva sulle inadempienze di Trenitalia, nonché il servizio segnalazione dei disservizi, in Umbria come in molte altre regioni italiane  –:
          se sia a conoscenza della situazione di emergenza del servizio ferroviario nelle tratte in regione Umbria (sia sulla linea Firenze-Roma che sulla linea Ancona/Perugia via Foligno) e dei gravi disagi a cui sono sottoposti giornalmente migliaia di passeggeri, in particolare lavoratori, studenti e turisti, che viaggiano sulla linea che collega le stazioni umbre a tali città;
          quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza e nei confronti di Trenitalia, per evitare che continuino a verificarsi quei disservizi e malfunzionamenti dei treni denunciati in premessa, accertando lo stato di manutenzione delle vetture impiegate e di conformità delle stesse, adottando ogni utile provvedimento a tutela degli utenti, della loro sicurezza di viaggio e della regolarità del servizio ferroviario;
          se non ritenga opportuno intervenire presso Trenitalia affinché provveda a garantire alla regione Umbria una sufficiente copertura del territorio in termini di trasporto pubblico, nonché un servizio ferroviario continuativo e non disagevole, con treni adeguati e senza ripetuti e frequenti ritardi che i passeggeri sono costretti a subire ormai da troppo tempo;
          quali iniziative di competenza intenda adottare per il potenziamento infrastrutturale delle linee ferroviarie utilizzate dai pendolari, e in particolare delle linee umbre verso la Capitale, per l'adeguamento dell'offerta di trasporto pubblico locale, per l'ammodernamento del parco rotabile su gomma, destinando risorse per un serio piano di ristrutturazione delle carrozze e dei servizi ai passeggeri che metta in condizione i viaggiatori di usufruire di un servizio di trasporto dignitoso ed efficiente;
          quali iniziative intenda assumere nei confronti di Trenitalia al fine di assicurare, su tutto il territorio nazionale, il pieno rispetto degli standard qualitativi europei in merito a puntualità, affidabilità, affollamento, pulizia, comfort, decoro e informazione;
          se non ritenga opportuno rivedere e aggiornare il contratto nazionale di servizio con Trenitalia per vincolare la società al rispetto di tali standard qualitativi, condizionando l'assegnazione di ulteriori risorse a Trenitalia all'effettivo ottenimento di miglioramenti nel trasporto ferroviario pubblico.
(2-00298) «Galgano».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          è notizia di questi giorni che Trenitalia spa, in vista della rimodulazione e riorganizzazione dell'offerta e degli orari ferroviari avrebbe intenzione di cancellare, poiché non più sostenibile «a mercato», una grossa fetta dell'offerta di trasporto ferroviario di collegamento da e per la regione Toscana;
          si tratterebbe, in particolare, di 12 intercity in tutta la regione, con rilevante incidenza sulla tratta Firenze-Arezzo, uno dei percorsi che presenta già oggi molte criticità, con pendolari letteralmente ammassati sulle vetture e che si trovano ad affrontare tragitti, spesso molto lunghi, in condizioni non certo agevoli;
          l'offerta dei trasporti pubblici in Toscana, come del resto in tutta Italia, è spesso insufficiente a coprire il fabbisogno dei cittadini e per questo il taglio ipotizzato da Trenitalia e denunciato dallo stesso assessore ai trasporti della regione, Vincenzo Ceccarelli, appare inopportuno, quanto, controproducente;
          il trasporto regionale ed interregionale su ferro che collega la Toscana con piccole e grandi città italiane, a prescindere da quello dedicato all'alta velocità, dovrebbe essere, a detta degli interpellanti, garantito ai cittadini che ne usufruiscono ogni giorno per lavoro o studio;
          appare inopportuno, agli occhi degli interpellanti, puntare tutta la riorganizzazione e gli investimenti sui treni ad alta velocità che, pur essendo fondamentali per il collegamento su ferro in tutta la nazione, non sono certo quelli fruiti maggiormente e quotidianamente dai pendolari. Tali treni dovrebbero affiancare la rete regionale ed interregionale che andrebbe potenziata e valorizzata, anche al fine di rilanciare la mobilità sostenibile in Italia;
          la situazione della Toscana non è certo l'unica; i ritardi, le soppressioni e i disservizi costringono ogni giorno milioni di italiani a spostarsi in tutta Italia in condizioni vergognose e al limite della decenza; un caso emblematico è l'IC 531 Perugia-Roma che da anni registra ormai un ritardo «a regime» di almeno 20 minuti, sempre imputabile a guasti tecnici dovuti alle difficoltà di controllo blocco porte, segno questo di un materiale vetusto, non correttamente mantenuto e non più utilizzabile, che tuttavia, migliorato nell'aspetto estetico, continua ad essere impiegato e classificato come categoria intercity;
          è evidente che il rinnovo del parco macchine dei treni destinati al trasporto dei pendolari sia stato sacrificato per privilegiare scelte aziendali volte a potenziare lo sviluppo dell'alta velocità, motivo di vanto peraltro di una gestione manageriale che risulta fallimentare sotto tutti i punti di vista, e che tuttavia non sembra essere destinata ad alcun tipo di alternanza  –:
          se non ritengano urgente avviare, per quanto di competenza, un'opportuna valutazione dell'impatto che la cancellazione degli intercity avrebbe sul pendolarismo della regione Toscana;
          se non si intendano verificare le cause del giornaliero disservizio registrato dall'IC 531, e, per quanto di competenza, le responsabilità dei ritardi, posto che non si tratta di ritardi dovuti ad eventi eccezionali;
          se non intenda predisporre urgentemente, anche in collaborazione con le regioni Umbria e Toscana, un piano di risanamento del trasporto pendolari, assicurando oltre al «normale» funzionamento del materiale, la copertura, con un adeguato numero di treni, dei territori fortemente interessati al pendolarismo;
          se non ritenga necessaria una profonda revisione del modello strategico infrastrutturale del Paese che, al momento attuale, con il programma delle opere pubbliche della «legge obiettivo», destina prioritariamente ingenti risorse alla realizzazione di opere di dubbia utilità e di enorme impatto ambientale, a scapito degli interventi necessari per rendere più funzionale ed efficiente il sistema di trasporto ferroviario locale e il trasporto pubblico urbano, la cui inefficienza induce, di fatto, l'utilizzo di forme di mobilità privata, con un più elevato impatto ambientale e sanitario e con conseguenti enormi problemi di congestione delle aree urbane.
(2-00299) «Gagnarli, Gallinella, Artini, Segoni, Baldassarre, Ciprini, Bonafede, Lupo, Benedetti, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Parentela, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco, Catalano, De Lorenzis, Corda, Rizzo, Frusone, Tofalo, Basilio, Paolo Bernini, Busto, Daga, Mannino, Terzoni, De Rosa, Zolezzi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          alcuni automobilisti in viaggio da Salerno verso Potenza hanno segnalato una serie di disagi nel percorrere il raccordo autostradale Sicignano-Potenza nella notte fra il giorno 8 e il giorno 9 di novembre;
          all'altezza dell'uscita di Buccino infatti l'arteria era stata chiusa con obbligo di uscita a Buccino;
          lo svincolo è senza illuminazione ed era priva di indicazioni per il capoluogo di regione, Potenza;
          non vi era neppure una pattuglia della POLSTRADA e neppure una squadra dell'Anas ad aiutare i malcapitati viaggiatori;
          una zona in cui neppure i navigatori se non aggiornatissimi sono in grado di aiutare a trovare la rotta;
          le chiusure del raccordo autostradale non sono rare, lo testimoniano anche molti atti di sindacato ispettivo presentati dal sottoscritto e da altri colleghi  –:
          se e quali iniziative il Ministro intenda intraprendere nei confronti del compartimento Anas competente per il tratto autostradale per evitare il ripetersi di questi disagi e se non intenda adottare un piano di comunicazione e di informazione anche mediante i bollettini CCISS viaggiare informati e potenziando il segnale di isoradio anche nel tratto in questione. (5-01427)


      CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          numerosi articoli di stampa riportano dei disagi con i quali i pendolari che si servono della tratta ferroviaria Brescia-Milano, tra le più trafficate d'Italia, devono affrontare quotidianamente;
          detti treni risultano essere sporchi, sovraffollati, in alcune fasce di orario quasi mai puntuali, privi di servizi per i diversamente abili, a cui, di fatto non è garantito il diritto alla mobilità;
          in particolare, il «regionale» delle 6,56 che parte da Brescia per Milano è in condizioni igieniche indecenti a causa della sosta notturna alla stazione di Brescia dove viene utilizzato come dormitorio da vagabondi e senzatetto;
          sono oltretutto aumentati i costi di abbonamento, passati da 85 a 100 euro mensili, senza che si sia riscontrato alcun miglioramento del servizio;
          il taglio ai treni pendolari stabilito dalla regione Veneto, motivato dalla riduzione dei trasferimenti statali, crea ulteriori disagi per le migliaia di passeggeri che vivono ogni giorno quel tragitto;
          l'Expo 2015 comporterà un aumento dei viaggiatori nelle tratte verso Milano –:
          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di migliorare il servizio ferroviario nella tratta Brescia-Milano rispondendo alle esigenze dei numerosi pendolari che quotidianamente la affollano;
          se non ritenga che la gestione finanziaria, specie delle linee di Trenord, debba essere interamente affidata alla regione Lombardia, al fine di rendere più efficiente ed efficace il servizio, individuando conseguentemente adeguate forme di copertura finanziaria. (5-01430)

Interrogazione a risposta scritta:


      GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il treno IC 531 è il primo intercity della mattina utile a raggiungere Roma da Perugia in linea con gli orari imposti ai migliaia di pendolari che dall'Umbria si recano nella capitale per motivi di lavoro e di studio;
          i disservizi causati alla rete ferroviaria da eventi spesso non ponderabili, quali avversità atmosferiche e guasti di eccezionale entità, unitamente alla complessità insita nella gestione della circolazione dei treni, sono fattori di ritardo che i pendolari «mettono in conto come normali» in quanto elementi legati all'imprevedibilità che caratterizza ogni tipo di viaggio o spostamento;
          i continui ritardi registrati dal treno in parola, risultano tuttavia legati a dinamiche diverse da quelle sopradescritte, di natura prettamente emergenziale, tanto da risultare ormai «a regime» in quanto giornalmente, i pendolari che utilizzano il treno IC 531, arrivano a destinazione con un minimo di 20 minuti di ritardo fisso;
          al fine di evidenziare la gravità della situazione che si espone, peraltro riferita ad un tratto di ferrovia di appena 200 chilometri, si riportano di seguito solo alcuni degli episodi di disservizio più eclatanti:
              a) il 19 dicembre 2011 i pendolari umbri e l'associazione «Spoleto Legambiente» protestano contro le Ferrovie dello Stato per un guasto al materiale rotabile dell'IC 531 che giunge a Foligno alle ore 8:40 anziché alle ore 7:16;
              b) il 16 febbraio 2012 un gruppo di pendolari della linea Terni-Roma effettua un esposto alla POLFER di Terni in seguito alla soppressione non annunciata dell'IC 531. L'esposto riguarda la mancata comunicazione della soppressione del treno IC 531 e la mancata segnalazione della corsa alternativa resa possibile dalla presenza di un regionale precedente per Roma fermo con 15 minuti di ritardo al binario 1 della stazione di Terni;
              c) il 16 febbraio 2012 i pendolari di «Quelli che in treno» hanno inviato una lettera aperta alla presidente della giunta della regione Umbria, Catiuscia Marini e all'assessore ai trasporti, Silvano Rometti, segnalando numerosissimi episodi di disagi, ritardi e cancellazioni soprattutto condensati nei giorni 13, 14 e 15 febbraio 2012;
              d) il giorno 5 marzo 2013 il treno IC 531 è soppresso e circa 250 persone devono ripiegare sul convoglio successivo che, oltre a partire 50 minuti dopo, accumula un ulteriore ritardo e costringe i pendolari a stiparsi nei vagoni in condizioni molto disagevoli;
          la dettagliata registrazione dei ritardi che giornalmente accumula il treno IC 531 è disponibile sul sito ufficiale di Trenitalia, si segnalano di seguito soltanto i più recenti disservizi dovuti a guasti tecnici che purtroppo si verificano con frequenza giornaliera:
              a) il giorno 4 novembre 2013 il treno IC 531 è arrivato con 30 minuti di ritardo alla stazione Roma Termini causa problemi di controllo blocco porte occorsi in galleria;
              b) il giorno 6 novembre 2013 il treno IC 531 si è fermato nei pressi di Narni per un guasto tecnico al treno ed è arrivato a Roma Termini con 30 minuti di ritardo;
              c) il giorno 7 novembre 2013 il treno IC 531 è giunto a Roma con un ritardo di 60 minuti per un intervento tecnico al treno;
              d) il giorno 8 novembre 2013 il treno IC 531 è partito dalla stazione di Perugia con un ritardo di 10 minuti, giunto alla stazione di Perugia Ponte San Giovanni con un ritardo di 17 minuti ed arrivato a Roma termini con un ritardo di 20 minuti;
          stando a quanto riferito dal personale viaggiante di Trenitalia, e come evidenziato sopra, il treno IC 531 registra il quotidiano ritardo a causa soprattutto delle difficoltà di controllo blocco porte, segno questo di un materiale vetusto e non correttamente manutenuto non più utilizzabile, che tuttavia, migliorato nell'aspetto estetico, continua ad essere impiegato e classificato come categoria Intercity, con un costo del biglietto superiore agli altri, anche se il tempo di percorrenza e le fermate effettuate sono uguali a quelle di un treno regionale;
          è evidente che il rinnovo del parco macchine dei treni destinati al trasporto dei pendolari sia stato sacrificato per privilegiare scelte aziendali volte a potenziare lo sviluppo dell'alta velocità, motivo di vanto peraltro di una gestione manageriale che risulta fallimentare sotto tutti i punti di vista, e che tuttavia non sembra essere destinata ad alcun tipo di alternanza;
          a fronte di quanto detto sopra, risultano ancora più sconvolgenti e preoccupanti per i pendolari che utilizzano il treno IC 531 le quotidiane «esclamazioni di sorpresa» con cui il personale in servizio sul treno si rallegra dell'avvenuta regolare chiusura porte o del «buon fine» a cui vanno altre operazioni legate al normale funzionamento del treno che dovrebbero pertanto ritenersi, anziché fortuite, di routine;
          suddetti ritardi generano l'impossibilità per i lavoratori pendolari di raggiungere per tempo il proprio luogo di lavoro causando problemi di produttività e rispetto delle clausole contrattuali  –:
          di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato rispetto a quanto espresso in premessa, e se non ritenga urgente intervenire per:
              a) verificare le cause del giornaliero disservizio registrato dall'IC 531, accertando le responsabilità dei ritardi, posto che non si tratta di ritardi dovuti ad eventi eccezionali;
              b) predisporre urgentemente, anche in collaborazione con la regione Umbria, un piano di risanamento del trasporto pendolari, assicurando il «normale» funzionamento del materiale, anche ai fini della sicurezza dei viaggiatori;
              c) rivedere i contratti di servizio stipulati con Trenitalia al fine di obbligare quest'ultima ad assicurare ai pendolari umbri il diritto di raggiungere i luoghi di lavoro e di istruzione in condizioni, se non migliori almeno normali, con la certezza degli orari, nel pieno rispetto del diritto alla mobilità, eventualmente condizionando lo stanziamento di risorse al rispetto di standard qualitativi. (4-02476)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


      FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          da alcuni articoli apparsi recentemente sui quotidiani, si apprende che il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) è stato, di fatto, reso inagibile e praticamente distrutto dagli stessi clandestini lì ospitati nel corso delle numerose e violente rivolte scoppiate negli ultimi mesi;
          non si tratta di un fatto isolato, poiché domenica scorsa anche i clandestini ospitati nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano hanno dato fuoco a lenzuola, asciugamani e materassi del settore D del centro e solo l'intervento tempestivo dei vigili del fuoco, che hanno subito sedato le fiamme, ha evitato conseguenze ancora più gravi;
          in particolare, si apprende, sempre da articoli di stampa, che in poco più di 60 giorni, sono già cinque gli incendi appiccati al centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, concentrati tra il 7 e il 29 settembre 2013, e che ormai quattro dei cinque settori (da 28 posti ciascuno) sono inagibili;
          come per il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, anche in questo caso i clandestini ospitati saranno trasferiti, date le condizioni di inagibilità delle strutture ed in attesa dell'effettiva espulsione dal territorio italiano, in altre analoghe strutture, sempre se vi sia la disponibilità recettiva;
          di fatto, tali episodi sono una resa dello Stato verso chi mette sistematicamente atti di danneggiamento e violenza ed il messaggio che passa con questi provvedimenti di trasferimento è che, anche se non si rispettano le leggi italiane e le regole, si può ottenere tutto, tanto che tali episodi di devastazione sono ormai sempre più frequenti;
          sempre nei giorni scorsi a Bruxelles presso il Parlamento europeo, durante il convegno organizzato dall'associazione LasciateCientrare-European alternatives, il Ministro interrogato ha dichiarato che in materia di centri di identificazione ed espulsione «la normativa nazionale dovrebbe meglio adeguarsi allo spirito di quella europea», senza però meglio specificare quali siano i suoi concreti intendimenti, con ciò alimentando le speranze di una possibile loro definitiva chiusura ed i sempre più frequenti episodi di devastazione e violenza, come quelli sopra specificati;
          è la stessa direttiva comunitaria 2008/115, cosiddetta direttiva rimpatri, a prevedere la necessaria presenza e operatività in territorio nazionale dei centri di identificazione ed espulsione, che, in particolare, all'articolo 15 e 16 dispone in materia di «trattenimento», prevedendo che avvenga «in appositi centri di permanenza temporanea» «per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio»;
          pertanto, la permanenza nei centri di identificazione ed espulsione è condizione necessaria per procedere all'identificazione del clandestino e al suo effettivo rimpatrio, poiché, sempre ai sensi della sopra citata direttiva, «occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d'immigrazione correttamente gestita» –:
          quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato riguardo alla propria proposta più volte annunciata di procedere alla chiusura dei centri di identificazione ed espulsione, alla luce degli ultimi avvenimenti e della richiamata legislazione comunitaria, e se non ritenga di condannare fermamente tali episodi gravissimi, indice secondo gli interroganti di una totale mancanza di volontà di integrazione e di rispetto delle regole vigenti nel nostro Paese da parte di soggetti entrati clandestinamente nel nostro territorio. (3-00440)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      QUARTAPELLE PROCOPIO, FIANO, ROSATO, GARAVINI, AMENDOLA, BENI, CHAOUKI, NICOLETTI, PORTA e BOSCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n.  91, in materia di cittadinanza, prevede, al comma 2, che lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data;
          il decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito con la legge 9 agosto 2013, n.  98, ha introdotto all'articolo 33 una norma volta a semplificare il procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia, prevedendo in particolare che ai fini dell'articolo 4, comma 2, della legge n.  91 del 1992, non sono imputabili all'interessato eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni idonea documentazione;
          l'articolo 33 ha altresì stabilito che gli ufficiali di stato civile sono tenuti, nel corso dei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, a comunicare all'interessato, nella sede di residenza quale risulta all'ufficio, la possibilità di esercitare il diritto di cui al comma 2 del citato articolo 4 della legge n.  91 del 1992 entro il compimento del diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto può essere esercitato anche oltre tale data;
          tuttavia, si sono verificati numerosi casi nella prassi in cui i genitori, pur in possesso dell'atto di nascita in Italia, non hanno potuto registrare all'anagrafe i figli, a causa della loro condizione di irregolarità, poiché il presupposto per richiedere l'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente di un determinato comune è costituito dal fatto di risiedervi, vale a dire di avervi stabilito la propria residenza o dimora abituale;
          tali persone, pertanto, non riescono ad usufruire del comma 2 dell'articolo 4 per problemi legati alla residenza legale, pur essendo nati in Italia, disponendo di un certificato di nascita in Italia e avendo qui frequentato i percorsi scolastici; essi infatti possono vantare una residenza legale non dalla nascita, ma a partire dall'avvenuta regolarizzazione dei propri genitori  –:
          se, a parere dei Ministri interrogati, anche la mancata registrazione alla nascita presso l'anagrafe, a causa della condizione di irregolarità dei genitori, in presenza di atto che certifica la nascita in Italia, rientri nella fattispecie di inadempimenti riconducibili ai genitori di cui all'articolo 33, e non imputabili all'interessato, ai fini della previsione di cui all'articolo 4, comma 2. (5-01426)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 6 novembre 2013 gli ultimi otto immigrati ospitati nel Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) sono stati trasferiti a Milano o rimpatriati su decisione del Ministero dell'interno per l'inagibilità della struttura: erano rimasti fruibili solo 18 posti letto su 268;
          l'8 novembre 2013 Il Piccolo, quotidiano triestino, ha pubblicato un articolo in cui si riferisce che non è stata fissata una data d'inizio dei lavori di ristrutturazione del Centro di identificazione ed espulsione, riportando la dichiarazione di Giuseppe Donadio, capo di gabinetto della prefettura di Gorizia: «Ad oggi non abbiamo comunicazioni ufficiali sull'inizio dei lavori e sulla loro durata né sappiamo se l'eventuale riapertura avverrà a blocchi o bisognerà attendere che tutte e tre le sezioni siano ripristinate»;
          questa situazione di incertezza è condivisa da altri Centri di identificazione ed espulsione italiani, visto che nei mesi scorsi hanno chiuso temporaneamente i centri di Brindisi, Bologna, Modena e Crotone, mentre altre otto strutture operative registrano ogni giorno la chiusura di alcuni padiglioni a causa delle rivolte degli ospiti, legate alle dure condizioni in cui sono costretti a vivere;
          sulla presunta utilità del centro in provincia di Gorizia si sono espressi numerosi consiglieri regionali tra cui Ilaria Dal Zovo (M5S) secondo la quale le condizioni di trattenimento degli immigrati erano ormai oscene «non per colpa degli operatori e delle forze dell'ordine che anzi hanno operato in condizioni difficili e alle quali va la nostra solidarietà. Ma è giunto il tempo di una totale revisione della normativa sull'immigrazione»;
          è in corso un'inchiesta della procura di Gorizia sul consorzio Connecting people che gestisce la struttura a seguito di un contenzioso giudiziario con la società che originariamente si era classificata prima nell'ultima gara di appalto. Le indagini svolte nei confronti di alcuni amministratori del consorzio riguardano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e di frode nelle pubbliche forniture;
          con una prima interrogazione, la 4-00825, si è chiesto al Ministero dell'interno di revocare l'appalto vinto dal consorzio Connecting people e di affidare le attività che ne sono oggetto al personale militare di stanza presso la Caserma «Ugo Polonio»;
          nella risposta pervenuta il 18 ottobre 2013, il Sottosegretario di Stato per l'interno Domenico Manzione ha ricordato che la commissione composta dalla prefettura di Gorizia, dalla questura e dalle organizzazioni umanitarie (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Croce rossa italiana, Organizzazione internazionale delle migrazioni) ha effettuato due visite nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo il 12 aprile e il 12 luglio 2013;
          a seguito di queste ispezioni si è riscontrata l'esigenza di rivedere alcune modalità di funzionamento, «al fine di assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori»;
          sotto il profilo amministrativo, sostiene il Sottosegretario, «si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie»  –:
          se s'intendano avviare i lavori di ristrutturazione del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca D'Isonzo o se la struttura sia stata chiusa in via definitiva;
          se s'intenda rivedere l'organizzazione dei centri di accoglienza per evitare disagi insopportabili per gli ospiti e situazioni critiche per le forze dell'ordine deputate alla vigilanza;
          se a livello amministrativo si sia effettivamente intervenuto sui criteri alla base dell'asta per l'aggiudicazione degli appalti, in modo da garantirne la massima trasparenza. (4-02484)


      SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          per il 10 novembre 2013, in occasione dell'undicesima giornata del campionato di calcio di Prima Divisione della Lega Pro, era prevista nel girone B la partita tra U.S. Salernitana e A.S.G. Nocerina;
          il match in questione, vero e proprio derby della provincia di Salerno, era atteso dalle rispettive tifoserie da oltre un quarto di secolo;
          considerata la storica rivalità tra le due tifoserie, d'intesa con l'Osservatorio sulle manifestazioni sportive il prefetto di Salerno aveva deciso di vietare ai sostenitori della Nocerina la trasferta a Salerno, nel timore che la partita potesse determinare gravi incidenti;
          questa decisione ha scatenato l'ira di parte della tifoseria nocerina;
          la mattina dell'incontro una folla di circa 200 persone si è presentata alle porte dell'hotel di Mercato San Severino dove la Nocerina era in ritiro, lanciando slogan all'indirizzo dei giocatori e minacciandoli di ritorsioni nel caso in cui la squadra non avesse assecondato la richiesta di rifiutarsi di scendere in campo in assenza dei propri tifosi;
          il questore di Salerno Antonio De Jesu ha provato a rassicurare i calciatori della Nocerina garantendo loro il mantenimento dell'ordine pubblico durante la partita da parte delle forze dell'ordine, e facendoli scortare fino allo stadio;
          nonostante queste rassicurazioni, i calciatori della Nocerina, impauriti dalla possibilità di diventare nei prossimi giorni vittima di ritorsioni e/o aggressioni da parte di quelli che dovrebbero essere i propri tifosi, hanno inscenato in campo una farsa, provvedendo alle tre sostituzioni disponibili nei primi centoventi secondi di gioco e poi inscenando una serie di finti infortuni fino a rimanere in soli sei giocatori in campo, situazione che ha obbligato l'arbitro, seguendo il regolamento, a sospendere la partita;
          nel frattempo un aereo ultraleggero sorvolava lo stadio trascinando uno striscione con su scritto «RISPETTO X NOCERA E GLI ULTRAS»;
          a seguito dell'accaduto la dirigenza e lo staff tecnico dell'ASG Nocerina hanno rassegnato le dimissioni;
          un'indagine in merito è già stata avviata da parte della polizia di Salerno;
          la scelta di vietare la trasferta ai tifosi dell'A.S.G. Nocerina, che doveva servire ad evitare ogni rischio legato a questioni di ordine pubblico, si è rivelata di fatto del tutto controproducente, giacché ha esasperato ulteriormente una situazione già complicata e portato a risultati paradossali;
          i fatti sono ampiamente naratti nell'articolo intitolato «Follia ultras Nocerina inchiesta su 200 tifosi» pubblicato dall'edizione locale online del quotidiano La Repubblica l'11 novembre 2013  –:
          se, considerato il completo fallimento della scelta di vietare la trasferta ai tifosi della squadra ospite, non si debba iniziare a ragionare su forme diverse di gestione dell'ordine pubblico nel caso di partite a rischio e quali misure siano già state prese in merito e quali azioni si intendano intraprendere. (4-02485)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          si è appreso che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore Francesco Profumo ha proceduto, tramite decreto ministeriale del 24 aprile 2013, n.  334, a definire per l'anno accademico 2013/2014 il calendario dei test per l'ammissione ad alcuni corsi universitari per cui è previsto l'accesso programmato, anticipandoli al mese di aprile 2014;
          in particolare sono state definite le date di svolgimento dei test per alcune facoltà, che avranno inizio a partire da aprile 2014: l'8 aprile per medicina ed odontoiatria, il 9 aprile per medicina veterinaria, il 10 aprile per architettura;
          tale decisione è gravemente penalizzante per gli studenti, i quali, in tale periodo, si trovano nella fase di preparazione per l'esame di maturità e che, invece, contemporaneamente, dovrebbero prepararsi per sostenere i test d'ingresso su materie che probabilmente non hanno mai nemmeno studiato;
          tale calendarizzazione rappresenta un ulteriore elemento di difficoltà percorso per migliaia di studenti che dopo le scuole superiori intendono intraprendere un percorso universitario  –:
          se il Ministro interrogato, in base a quanto si è appreso e descritto in premessa, intenda perpetuare la volontà del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore Profumo o se, soprattutto in considerazione delle necessità degli studenti, non ritenga opportuno revocare le date dei test d'ammissione fissandole per il mese di settembre 2014, dando così la possibilità agli stessi, una volta sostenuto l'esame di Stato, di dedicare l'intero periodo estivo allo studio approfondito delle materie oggetto dei test.
(4-02483)


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          negli scorsi giorni numerosi quotidiani hanno riportato la notizia che nella scuola media «Besta» di Bologna è stata istituita una classe, denominata «A sperimentale», composta esclusivamente da alunni non italiani;
          la classe apposita dovrebbe costituire un'assegnazione temporanea per gli studenti, allo scopo di permettere loro l'apprendimento della lingua italiana prima di essere poi inseriti nelle altre classi dell'istituto;
          l'interrogante ha stigmatizzato in numerose occasioni la mancata applicazione della circolare del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca dell'8 gennaio 2010 contenente le «Indicazioni e raccomandazioni per l'integrazione di alunni con cittadinanza non italiana», che disciplina la distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra le scuole e le classi costituite in ciascuna scuola, in attuazione della normativa, adottata con il decreto del Presidente della Repubblica 394 del 1999, che prevede il corretto bilanciamento degli alunni italiani e non italiani all'interno delle classi scolastiche;
          la circolare fornisce, inoltre, precise indicazioni in merito all'utilizzo di accordi di rete tra scuole per la distribuzione delle iscrizioni di alunni stranieri;
          la scuola «Besta», istituendo la citata classe sperimentale, disattende del tutto tale normativa, creando, al contrario, una sorta di «classe ghetto», all'interno della quale gli alunni stranieri saranno isolati rispetto ai propri coetanei;
          l'istruzione rappresenta un veicolo straordinario per l'integrazione sociale, che costituisce un valore da perseguire per la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini, e va realizzata nel più completo rispetto di tutte le parti coinvolte;
          la Carta costituzionale riconosce il diritto all'istruzione e questo deve essere realizzato in condizioni di parità per tutti gli studenti  –:
          se non ritenga opportuno intervenire con urgenza, affinché in tutti gli istituti scolastici, di ogni ordine e grado, sia pienamente rispettato, e realizzato in condizioni di parità, il diritto all'istruzione degli alunni, in tutte le sue declinazioni. (4-02487)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


      ROSTELLATO, CIPRINI, BECHIS, BALDASSARRE, RIZZETTO, TRIPIEDI e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nelle ultime decretazioni di urgenza, il Governo ha provveduto al parziale rifinanziamento della cassa integrazione guadagni in deroga;
          il quotidiano La Stampa di domenica 10 novembre 2013 ha rilanciato l'allarme, citando situazioni emergenziali: dal Mezzogiorno al Nord industriale, la cassa integrazione in deroga è al collasso. Centinaia di migliaia di famiglie sono rimaste senza redditi, benché sia stato loro promesso di aver legalmente titolo a questa forma «eccezionale» di sussidio;
          dal distretto del tessile a Como, al commercio nel Lazio, fino all'edilizia in Campania o in Sicilia, sono probabilmente circa 350 mila i lavoratori che subiscono forti ritardi nel versamento degli ammortizzatori in deroga;
          si verificano situazioni al limite del collasso: secondo notizie di stampa apparse sui maggiori quotidiani nazionali, a Catanzaro un gruppo di lavoratori in cassa integrazione si è presentato all'assessorato al lavoro della Calabria e ha chiesto di visionare attestazione della sussistenza dei fondi per il pagamento degli ammortizzatori sociali; quando i funzionari locali hanno preso tempo, i cassaintegrati sono scesi in strada, hanno spostato transenne e cassonetti e hanno bloccato un'arteria di traffico per circa otto ore;
          nel frattempo, a Cosenza, altri cassaintegrati sono saliti sul tetto del palazzo dell'Inps e hanno minacciato di buttarsi se non fossero stati pagati. Solo in Calabria, 20 mila lavoratori in cassa o mobilità hanno smesso da nove mesi di ricevere sussidi che in teoria sarebbero già stati autorizzati;
          la detta emergenza riguarda oramai tutto il territorio nazionale ed urgono risposte serie da fornire ai lavoratori –:
          quale sia, ad oggi, l'esatto quadro numerico dei lavoratori aventi diritto, con espresso riferimento al numero di aziende che hanno fatto richiesta di accesso alla cassa integrazione guadagni in deroga ed al relativo reale fabbisogno economico utile a finanziare le richieste accolte.
(3-00441)


      POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi l'Istat ha diffuso le previsioni biennali del Paese sul mercato del lavoro, stimando una crescita del tasso di disoccupazione che raggiungerà quota 12,1 per cento nel 2013 e quota 12,4 per cento per il 2014, raggiungendo, quindi, il valore più alto di disoccupazione mai registrato dal 1977;
          la legge 28 giugno 2012, n.  92, all'articolo 2, ha riformato il sistema degli ammortizzatori sociali in caso di perdita del posto di lavoro, con il progressivo passaggio all'assicurazione sociale per l'impiego;
          la stessa norma, ma all'articolo 3, ha anche previsto la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, prevedendo, però, una disciplina particolarmente complessa, cosa che sta rendendo difficoltoso l'avvio di questo strumento;
          la cassa integrazione in deroga ha permesso finora di mantenere il tasso di disoccupazione in linea con la media europea, ma l'autorizzazione da parte delle regioni è subordinata alla disponibilità di risorse, che, secondo recenti notizie di stampa, risulterebbero ormai esaurite;
          almeno fino al 2012, oltre al sostegno al reddito sono stati assicurati ai lavoratori coinvolti dei percorsi di riqualificazione professionale obbligatori;
          il ritardo che si è accumulato nei pagamenti da parte dell'Inps è quantificabile in otto-nove mesi, cosa che si riflette pesantemente sulla tenuta del potere d'acquisto dei lavoratori coinvolti, privi di ogni sostegno al reddito;
          è in via di definizione un decreto interministeriale sulle regole di accesso allo strumento della cassa integrazione in deroga –:
          quale sia la reale ed immediata disponibilità di risorse per l'anno in corso e per il 2014, in considerazione del fatto che le regioni lamentano un'insufficiente disponibilità a copertura delle domande presentate, e se, nella definizione del citato decreto interministeriale, si intenda aprire un tavolo di confronto con le competenti commissioni parlamentari, le regioni e le parti sociali, al fine di evitare che, attraverso il cambiamento delle regole, si restringa surrettiziamente la platea dei beneficiari, con grave danno per il sistema produttivo italiano e per i lavoratori coinvolti. (3-00442)


      MIGLIORE, FERRARA, AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la cassa integrazione in deroga era stata immaginata per rispondere alle necessità di un welfare moderno e flessibile che rispondesse all'emergenza della grande crisi recessiva;
          da un articolo uscito sul quotidiano la Repubblica, «Cassa in deroga, giro di vite del Governo» dell'11 novembre 2013 si evince l'intenzione del Governo, nel 2014, di preparare il terreno in vista del passaggio ai nuovi istituti per i senza lavoro, i fondi di solidarietà e dell'aspi, l'assicurazione sociale per l'impiego, contenuti nella «riforma del mercato del lavoro Fornero», varata dal Governo Monti nel 2012;
          nei prossimi giorni è prevista la firma del decreto interministeriale recante i nuovi criteri per l'accesso alla cassa integrazione in deroga che coinvolge il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze, di cui l'articolo su citato de la Repubblica anticipa la notizia di un «giro di vite» a partire dal 2014 incidente sia sulla durata del sostegno che sulla prorogabilità degli accordi. Anche se, in realtà, non è stato ancora chiarito dal Governo che il decreto interministeriale si applicherà solo per il futuro e non anche per il passato;
          in questi giorni sta emergendo, infatti, il caso di 350 mila lavoratori ammessi a godere della cassa integrazione in deroga nel 2013, rimasti senza pagamenti;
          per coprire il 2013 servirebbe circa un altro miliardo di euro secondo le stime di Gianfranco Simoncini, coordinatore della commissione lavoro della conferenza delle regioni e assessore al lavoro in regione Toscana, sostenendo che per molte decine di migliaia di lavoratori non ci sarà copertura e questo rischia di determinare un contenzioso tra aziende e lavoratori: i lavoratori chiederanno alle aziende di rifondere i soldi non ricevuti. Ci saranno aziende che licenzieranno e altre che saranno costrette a fallire;
          a parere degli interroganti, in base alle autorizzazioni di cassa integrazione in deroga, riconosciute dalle regioni sulla base della normativa vigente, il Governo non può decidere una riduzione delle coperture o, peggio, non trasferire le risorse indispensabili per erogare il sussidio alle persone che da mesi, ormai, non lo ricevono  –:
          cosa intenda fare per garantire tutti i lavoratori che nel 2013 sono stati ammessi alla cassa integrazione in deroga, affinché ricevano quanto previsto, e quali misure concrete intenda mettere in atto per ricreare le condizioni di recupero dei posti di lavoro che inevitabilmente andranno perduti senza un intervento forte dello Stato. (3-00443)


      GNECCHI, INCERTI, GIACOBBE, MAESTRI, BARUFFI, BELLANOVA, BOCCUZZI, CINZIA MARIA FONTANA, RUBINATO, MURER, MOGNATO, ALBANELLA, MICCOLI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          con il messaggio n.  17606 del 4 novembre 2013, l'Inps ha dato un'interpretazione restrittiva della garanzia di salvaguardia prevista dall'articolo 22, comma 1, lettera a), del decreto-legge n.  95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012, riferendosi in modo particolare ai lavoratori che sono stati coinvolti nelle procedure di gestione di esuberi attraverso accordi in sede governativa stipulati entro il 31 dicembre 2011;
          nello specifico, l'istituto crea due platee distinte di lavoratori e lavoratrici all'interno dello stesso accordo: chi matura i requisiti previgenti durante la cassa integrazione, ma non matura i nuovi durante la mobilità, e chi matura i requisiti previgenti durante la cassa integrazione, ma matura anche i nuovi requisiti durante la mobilità. Praticamente chi ha più anni di contribuzione o è più avanti negli anni anagraficamente si ritrova a dover vivere qualche anno in più con l'ammortizzatore sociale, anziché con la pensione, solo ed esclusivamente per ridurre il numero dei salvaguardati, senza tener conto che la mobilità e la pensione potrebbero essere di importo diverso anche in modo significativo;
          si vanno così ad escludere dalla salvaguardia quei lavoratori che maturano i previgenti requisiti durante il periodo di cassa integrazione prima dell'ingresso in mobilità, nonostante la norma richiamata preveda: «a) ai lavoratori per i quali le imprese abbiano stipulato in sede governativa entro il 31 dicembre 2011 accordi finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali con utilizzo di ammortizzatori sociali ancorché alla data del 4 dicembre 2011 gli stessi lavoratori ancora non risultino cessati dall'attività lavorativa e collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n.  223, e successive modificazioni, i quali in ogni caso maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n.  223 ovvero, ove prevista, della mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della predetta legge n.  223 del 1991». Nel concetto di maturazione entro la fruizione dell'indennità di mobilità la norma comprende ovviamente, secondo gli interroganti, anche la cassa integrazione che è immediatamente precedente e senza soluzione di continuità con la mobilità;
          l'interpretazione data dall'istituto crea disparità di trattamento tra lavoratori che si trovano nella stessa identica situazione, creando nuove complicazioni che si vanno ad aggiungere alle tante già note, sulla gestione della problematica delle salvaguardie. L'istituto è, peraltro, consapevole che quando si sottoscrivono accordi che prevedono esuberi, vengono individuati i lavoratori con la maggiore anzianità contributiva e, di conseguenza, quelli più prossimi al raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione che sono inseriti nel processo, proprio per tutelare il diritto dei lavoratori più giovani al mantenimento del posto di lavoro;
          questa ulteriore, restrittiva e, davvero, incomprensibile interpretazione dell'Inps non fa altro che prolungare le sofferenze di questi lavoratori, convinti e fiduciosi che un accordo di esubero, firmato in sede ministeriale secondo le leggi vigenti in quel periodo, quindi con la garanzia dello Stato, debba essere rispettato e non possa creare differenze incomprensibili tra lavoratori inseriti nello stesso accordo –:
          se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire urgentemente sull'Inps per modificare il messaggio n.  17606 del 4 novembre 2013, eliminando la palese discriminazione tra i lavoratori coinvolti e rispettando quanto previsto dall'articolo 22, comma 1, lettera a), del decreto-legge n.  95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012.
(3-00444)


      TOTARO e RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la città di Prato ospita una numerosissima comunità cinese, che si stima ammonti al 20 per cento della popolazione locale, perlopiù immigrata, a partire dagli anni ’90 e impegnata, nella maggioranza pressoché assoluta dei casi, nel settore manifatturiero;
          il distretto industriale di Prato, una volta fiore all'occhiello del settore tessile nazionale, ha subito, nell'ultimo decennio, una perdita di quasi 1.500 milioni di euro di fatturato (mille dei quali in esportazioni), che, tradotta in risorse umane, significa un'emorragia di almeno diecimila posti di lavoro e la chiusura di oltre duemila aziende;
          secondo i dati raccolti per uno studio de Il Sole 24 ore, oggi a Prato un'azienda su otto è cinese e, su un dato complessivo di 3.500 aziende, solo 215 sono ancora attive nel settore tessile, mentre tutte le altre operano nel settore delle confezioni, con tessuti importati dalla Cina a basso prezzo, cuciti copiando i modelli degli stilisti famosi e rivenduti secondo un modello low cost che va dal produttore al consumatore;
          a fronte di un numero superiore a ottomila occupati, nelle aziende cinesi di Prato negli ultimi anni sono stati solo due gli infortuni sul lavoro denunciati e neanche un lavoratore risulta iscritto ad un sindacato;
          il giro d'affari delle imprese in mano ai cinesi è stimato in un miliardo e ottocento milioni di euro, dei quali, si sospetta, un miliardo in nero;
          il sorpasso delle aziende cinesi rispetto a quelle italiane, nonché la maggiore sopravvivenza alla crisi in atto delle prime rispetto alle seconde trova le sue ragioni, almeno per una parte, nel fatto che le aziende cinesi disattendono larga parte delle normative sia in materia di commercio, come, ad esempio, quella sugli orari di apertura dei negozi, sia rispetto alle tutele riconosciute ai lavoratori, posto che tale sorpasso si basa, per larghissima parte, sullo sfruttamento della manodopera clandestina e sui laboratori-dormitorio dove la gente vive e lavora senza distinzioni;
          si realizza, quindi, un fenomeno di vera e propria concorrenza sleale, che permette ai cinesi di vendere le proprie merci sottocosto, e a seguito della quale le aziende italiane, che adempiono a tutti gli oneri sociali e fiscali imposti dalle vigenti normative, sono destinate a soccombere;
          lo studio de Il Sole 24 ore ha dimostrato, infatti, che su cento aziende cinesi che aprono a fine anno ne rimangono solo quaranta, in segno di un turnover continuo messo in atto per sfuggire ai controlli –:
          se non ritenga di attivarsi affinché sia potenziata l'attività ispettiva nei territori interessati, al fine di combattere lo sfruttamento dei lavoratori e di ripristinare condizioni di parità di accesso al mercato per tutte le aziende. (3-00445)

Interrogazione a risposta orale:


      MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          si apprende a mezzo stampa che la Carbotech di Martinsicuro, azienda che produce spazzole per motori elettrici, ha deciso di non utilizzare le prestazioni lavorative di un dipendente licenziato nel gennaio 2013 e reintegrato dal giudice del lavoro di Teramo il 30 ottobre 2013;
          il caso risale a gennaio quando uno dei 60 operai, da dieci anni alle dipendenze della Carbotech, viene licenziato dall'azienda che gli contestava una omissione nel funzionamento delle presse e del forno a cui era addetto durante il turno di notte;
          l'operaio, dopo aver fatto ricorso al tribunale per contestare il provvedimento, trovava l'accoglienza dell'istanza da parte del giudice del lavoro di Teramo Giuseppe Marcheggiani che specificava nella sentenza: «non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo e della giusta causa addotti dal datore di lavoro per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi dei codici disciplinari applicabili e per questo annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione»;
          l'avvocato dell'Azienda, ha scritto ai due legali dell'operaio una lettera in cui spiega che in attesa che venga esaminata la legittimità del provvedimento giudiziale e deciso il comportamento da seguire, la proprietà ritiene opportuno ricostituire il rapporto di lavoro con la riapertura della disposizione previdenziale, assistenziale ed infortunistica e con la sua re-iscrizione nel libro unico ed il compimento di tutte le formalità amministrative connesse al ripristino del rapporto di lavoro;
          tuttavia la società non intende al momento utilizzare le prestazioni lavorative dell'operaio anche se provvederà al pagamento della normale retribuzione per tutto il tempo in cui egli rimarrà a disposizione della Carbotech;
          gli avvocati dell'operaio attaccano l'Azienda sostenendo la natura assolutamente vessatoria e pretestuosa del licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice e la reiterazione della vessazione impedendo la ripresa del servizio nonostante l'esito del giudizio;
          mantenere a casa il dipendente lede gravemente la dignità del lavoratore e non ottempera alla sentenza del tribunale di Teramo;
          la suprema corte di Cassazione, ha sancito recentemente come a carico del datore di lavoro grava l'obbligo di adibire il dipendente al lavoro. In caso contrario la sua è una condotta illecita che viola la Costituzione ed i diritti del lavoratore  –:
          se non intenda svolgere una iniziativa volta a garantire il diritto dell'operaio a svolgere la propria attività lavorativa dopo la sentenza del giudice del lavoro di Teramo. (3-00434)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GUIDESI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          sono giunte, con la rata di ottobre 2013, i conguagli fiscali per i pensionati. L'Inps, infatti, nel corso del mese di agosto 2013 ha proceduto alla ricostituzione delle pensioni delle gestioni private effettuate a livello centrale, con effetto a partire dalla rata di pensione di ottobre 2013;
          in particolare, la ricostituzione automatica delle pensioni con conguaglio fiscale ha provveduto a rielaborare le pensioni che subiscono variazioni fiscali a seguito della liquidazione di altre prestazioni fiscalmente rilevanti comunicate al casellario dei pensionati (cosiddetti nuovi abbinamenti), ovvero del venir di prestazioni erogate da altri enti e comunicate al casellario (disabbinamenti), o della variazione dell'imponibile Irpef di prestazioni erogate da altri enti comunicate al casellario dei pensionati, o ancora dell'acquisizione e/o delle variazioni delle detrazioni di imposta, oppure della revoca della detrazione per il coniuge fiscalmente a carico effettuata dalla procedura di «segnalazione decesso», o infine della variazione di imponibile determinata dalle segnalazioni effettuate dalle sedi con la procedura «gestione pagamenti ridotti e disgiunti»;
          spesso accade, come conseguenza delle siffatte operazioni di conguaglio, che migliaia di pensionati nei mesi successivi si vedono ridurre all'osso i propri trattamenti pensionistici; nel caso delle pensioni minime, addirittura, il conguaglio porta i percettori all'assurdità di ricevere pensioni ridotte a zero per i mesi consecutivi o persino al paradosso di dover restituire soldi all'Inps senza avere alcuna entrata monetaria;
          le procedure burocratiche sembrano non tener conto delle miriade di anziani pensionati che vivono di sola «minima», insufficiente già nella sua interezza a far arrivare il titolare del trattamento a fine mese  –:
          se e quali iniziative di propria competenza il Governo intenda porre in essere con urgenza, al fine di accomodare l'obbligo di legge dell'istituto previdenziale ad effettuare i conguagli fiscali per la ricostituzione della pensione alla necessità dei titolari di pensioni basse di avere mensilmente un'adeguata disponibilità economica;
          se non convenga sull'opportunità che l'Istituto, in qualunque ipotesi di diminuzione dell'importo pensionistico, anche non dovuto a conguaglio, proceda preventivamente a comunicare la decurtazione all'interessato prima di procedere al ricalcolo ed, in ogni caso, garantisca che gli uffici territoriali competenti forniscano le dovute e precise informazioni ai pensionati. (5-01428)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MORASSUT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la Ceit impianti srl, con sede legale in San Giovanni Teatino (Chieti), via Aterno 108, è un'importante azienda del territorio operante nel settore impiantistico/telefonico, che si occupa della realizzazione di reti ed impianti per telecomunicazioni. La società, allo stato, occupa n.  479 dipendenti di cui n.5 con qualifica di dirigente, n.19 con qualifica di quadro, n.  143 con qualifica di impiegato e n.  312 con qualifica di operaio. Oltre la sede legale sopra indicata, l'organizzazione aziendale si articola nelle seguenti unità produttive: S. Elpidio (FM) – Scoppito (AQ) – Redecesio (MI) – Torino – Treviso – Trento – Due Carrare (PD) – P.S. Giorgio (AP) – Bari-Lamezia (CZ) – Montalto Uffugo (CS) – Villapiana (CS) – Palmi (RC) – Palermo – Cagliari – Ariccia (Roma) – Castropignano (Campobasso);
          l'azienda è organizzata funzionalmente per aree di business, separate e in particolare la gestione delle reti di telefonia fissa costituisce un settore produttivo totalmente autonomo e separato all'interno dell'organizzazione;
          per effetto di un contratto di manutenzione e sviluppo della rete telefonica di Roma e della regione Lazio, la Ceit impianti srl, impiega circa 70 suoi dipendenti nella capitale e circa 180 persone provenienti dall'indotto del comparto delle telecomunicazione. La decisione di Telecom Italia di non rinnovare l'appalto ha provocato la messa in cassa integrazione guadagni dal 10 gennaio 2013 di circa 70 dipendenti, senza prospettive di ripresa lavorativa;
          il giorno 7 gennaio 2013, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza del dottor Antonio Leggio della Divisione VII – direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, si è tenuta una riunione per l'espletamento dell'esame congiunto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  218 del 2000. Hanno partecipato: Ceit Impianti srl, rappresentata dal dottor Stefano Vio e le rappresentanze sindacali unitarie aziendali delle unità produttive di Ariccia, Chieti, Campobasso assistite da FIOM CGIL Nazionale rappresentata da Roberta Turi, UIM UIL provincia di Roma rappresentata da Giancarlo Marino. In quella sede le parti hanno concluso con accordo la procedura di consultazione sindacale ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  218 del 2000  –:
          se intenda riconvocare le parti per monitorare l'effettiva messa in atto degli accordi siglati il 7 gennaio 2013 da parte della Cassa integrazioni guadagni straordinaria Ceit srl, rispetto al piano di gestione esuberi per il primo anno di cassa integrazioni guadagni straordinaria;
          se intenda promuovere un tavolo di trattativa convocando Ceit srl, Telecom Italia e le istituzioni interessate, al fine di valutare una eventuale ricollocazione degli esuberi o di parte di essi in aziende collegate, prima della stipula degli accordi per il secondo anno di cassa integrazione guadagni straordinaria. (4-02474)


      MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la VECO Fonderia Smalteria s.p.a. di Martinsicuro (Teramo), copre attualmente un area di 62.000 metri cui 23.000 coperti. Opera da sempre nel settore delle fusioni di ghisa ed è una delle più moderne ed attrezzate fonderie d'Italia. La produzione giornaliera è di circa 150 tonnellate e dà stabile occupazione a oltre 160 unità tra diretti e indotti;
          dopo l'esposto in comune da parte di alcuni abitanti delle vicinanze della fabbrica e la conseguente rilevazione dell'Arta, il sindaco di Martinsicuro, Camaioni, ha emanato un'ordinanza (n.  185 del 13 settembre 2013) che impone alla Veco di adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di rientrare nei limiti di legge sulla rumorosità prodotta dai propri impianti produttivi;
          conseguentemente a tale provvedimento sono stati ridotti i turni di lavoro da parte dell'azienda (quello notturno cui venivano caricati i forni e dunque quello più rumoroso), con una perdita sulla produzione, stimato intorno al 20-25 per cento;
          l'azienda in una nota ha fatto sapere che con i turni ridotti diventa impossibile rispettare i tempi di eventuali immesse mettendosi a rischio di pagare delle penali;
          un problema, quello delle emissioni acustiche, che parte da lontano, quando con l'ormai noto emendamento della delibera del 2007 si inserì la Veco in zona acustica 5, quella dove dovrebbero essere inserite le industrie. Il problema cruciale di una Veco in zona 5 riguarda la corretta creazione di aree contigue visto che la legge vieta la disposizione di fasce acustiche con differenze di decibel superiori a 5. Contro tale ordinanza l'azienda ha presentato ricorso al TAR, che dovrebbe pronunciarsi per il 20 novembre;
          Confindustria ha scritto una lettera ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando e dello sviluppo economico Flavio Zanonato oltre che ai vertici regionali e provinciali, al comune, all'Arta e all'Asl per sollecitare un intervento immediato che sblocchi tale situazione;
          la stessa Confindustria sottolinea che nel 2007 venne approvato il piano di classificazione acustica che poneva la Veco in classe quinta, cioè in zona industriale con meno vincoli, ma poi tutto è rimasto in sospeso;
          anche i sindacati chiedono un adeguamento della disciplina per tener conto del caso specifico della Veco, onde evitarne la chiusura. Gli stessi sottolineano come sia fondamentale adeguare il piano acustico e mettere a norma gli impianti produttivi, trovando un equilibrio tra la salvaguardia dei posti di lavori e la salute dei cittadini che vivono nella zona della fonderia e quella degli stessi lavoratori  –:
          se non intendano convocare enti locali, vertici aziendali e sindacati per contribuire a trovare una soluzione al problema e scongiurare il rischio di chiusura dello stabilimento Veco tutelando i 160 dipendenti e la salute dei cittadini nell'area. (4-02478)


      CHIARELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo Marcegaglia, che produce pannelli fotovoltaici e gestisce impianti per la produzione di energia pulita, in una città, Taranto, notoriamente gravata da serie problematiche di natura ambientale, ha annunciato la chiusura dello stabilimento ionico, con la conseguenza del licenziamento di 134 dipendenti, che si aggiungono agli altrettanti dipendenti della società Vestas, che produce invece pale eoliche, che ha assunto stessa decisione;
          tra le motivazioni addotte dall'azienda c’è quella della difficoltà di competere con produzioni di aziende straniere che propongono impianti a costi inferiori ma, nel contempo, di qualità inferiore alla produzione italiana. In particolare, si evidenzia come i pannelli provenienti da produttori cinesi adottano tecnologie che presentano il problema dello smaltimento al termine della campagna di funzionamento, mentre la produzione Marcegaglia consente il riciclo dei materiali;
          pertanto, il gruppo Marcegaglia ha annunciato ai sindacati di categoria e alle rappresentanze sindacali unitarie di Fim, Fiom e Uilm la cessazione delle attività, con la conseguente chiusura e il licenziamento dei dipendenti, dal 31 dicembre 2013. Marcegaglia Buildtech ha, in buona sostanza, riferito in una nota di aver preso la decisione di cessare la produzione di pannelli coibentati e di pannelli fotovoltaici «a causa della grave crisi che ha irreversibilmente colpito il settore del fotovoltaico in Italia e nel mondo»;
          notizie di stampa pubblicate sul quotidiano locale di Mantova riferiscono dichiarazioni del gruppo Marcegaglia che assocerebbero la decisione di chiudere la fabbrica tarantina al rafforzamento degli insediamenti del Nord;
          il territorio tarantino, come è noto per essere stato assunto alla attenzione del Governo, già martoriato da una crisi senza precedenti, continua a mietere perdite di posti di lavoro a causa di decisioni aziendali che ignorano la realtà di un territorio dove, spesso, si insediano attività imprenditoriali che durano il tempo di acquisire i benefici previsti per le aree disagiate. Dopo la Vestas nell'eolico, Marcegaglia è un altro pezzo di attività industriale nelle fonti energetiche rinnovabili che si perde nel giro di poche settimane;
          in questo quadro di grave emergenza occupazionale si inserisce un'ulteriore, nuova, pesantissima sconfitta per il sistema pugliese ma ancor prima per l'intero sistema nazionale che non riesce a gestire i numeri drammatici dell'odierna disoccupazione  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto ovvero del dramma che la chiusura della Marcegaglia Buildtech provocherà, mandando a casa 134 lavoratori;
          quali azioni intenda adottare per affrontare nel complesso la grave crisi occupazionale del territorio ionico, che partendo dalla vicenda Ilva e del suo indotto, vede quotidianamente sommarsi situazioni di crisi di interi comparti e fuga di aziende, quali la Vestas, il gruppo Natuzzi, il gruppo Miroglio, e in ultimo Marcegaglia, a cui, per colmo di misura, si aggiungono altre chiusure di attività nei settori del tessile, del commercio, per non parlare dell'edilizia e della ipotesi di riduzione dell'impegno della Difesa in conseguenza della razionalizzazione dell'intero sistema militare. (4-02489)


      CATALANO, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 luglio 2008 il dottor Francesco Carbone, promosso dirigente nel 1998, veniva licenziato da Poste Italiane spa, con effetto immediato, a causa di un procedimento disciplinare preso nei suoi confronti per un diverbio verbale con un collega;
          con sentenza del 27 gennaio 2010 il giudice del lavoro c/o il tribunale di Palermo ha dichiarato illegittimo e ingiustificato il provvedimento espulsivo disponendo per questo la immediata reintegra del dottor Carbone nel posto di lavoro con conseguente soccombenza delle spese legali a carico della stessa società Poste (tribunale di Palermo – sentenza n.  378 del 2010);
          a seguito della suddetta sentenza, la società pubblica Poste, oltre a non dare esecuzione alla decisione, proponeva appello;
          con sentenza del 21 aprile 2011 la corte di appello di Palermo (corte di appello/sezione lavoro procedimento RG n.  553/2010) confermava l'illegittimità dell'atto espulsivo, anche se non nelle parte relativa alla reintegra, in quanto il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli articoli 1 e 3 della legge n.  604 del 1966;
          il dottor Carbone non svolgeva mansioni da dirigente e pertanto rientra nella categoria di pseudo dirigente per cui valgono le previsioni degli articoli 1 e 3 della legge n.  604 del 1966;
          il dottor Carbone presentava così il ricorso per Cassazione, notificato alla società pubblica, a mezzo del servizio Postale, in data 25 maggio 2012;
          il licenziamento in questione è scaturito dalle testimonianze rese alla società pubblica dai dipendenti Piazza Fabio e Sferlazzo Antonio;
          lo stesso dottor Carbone ha sempre manifestato il proposito di rientrare in servizio rinunciando al contenzioso per il riconoscimento di ogni danno derivante dalla grave vicenda;
          da tale vicenda hanno tratto forte pregiudizio altri dipendenti di Poste italiane, e precisamente il dottor Alberto Donato, il dottor Aldo Andaloro e il dottor Alessandro Carollo che chiamati a testimoniare sulla vicenda avevano smentito quanto imputato al dottor Carbone;
          l'ingegner Sferlazzo Antonio è rientrato da Trapani a Palermo in data 19 febbraio 2009 (quindi dopo la «falsa testimonianza» formalizzata alla società pubblica e poi ritrattata in tribunale) a seguito dell'ordine di servizio n.  4/09 a firma dell'ingegner Massimo Sarmi, amministratore delegato della stessa società pubblica;
          il signor Piazza Fabio con il medesimo ordine di servizio, sarebbe stato fatto rientrare da Ragusa a Palermo e gli è stato assegnato l'incarico di responsabile commerciale dell'intera area territoriale Mercato Privati Sud 2;
          il detto signor Piazza sarebbe stato, poi, promosso dirigente con ordine di servizio;
           il dottor Donato Alberto, con ordine di servizio n.  SP/1/10 è stato trasferito da Messina (quale responsabile della filiale di Messina 1) a Palermo (presso servizio qualità di SP/ALT Sud 2), ad avviso degli interroganti con evidente dequalificazione professionale;
          il dottor Andaloro Aldo, con ordine di servizio n.  11/12 è stato trasferito da Catania (quale responsabile di filiale) in Sardegna;
          il dottor Alessandro Carollo, ispettore di funzione fraud management, avrebbe subìto, addirittura sin dallo stesso anno 2009, un arresto nella progressione di carriera;
          nei confronti del dottor Fabio Giamporcaro, il dipendente che aggredì verbalmente il dottor Carbone, non risulterebbe, a quanto consta agli interroganti, attivato alcun procedimento disciplinare;
          lo stesso dottor Giamporcaro Fabio ricoprirebbe ad oggi un ruolo di rilievo all'interno della funzione tutela aziendale Sicilia;
          la stessa funzione di tutela aziendale non avrebbe svolto accertamento finalizzato a far piena luce sull'accadimento;
          con ordine di servizio n.  4/09 – a firma dell'ingegner Sarmi Massimo – del 19 febbraio 2009 il signor Dario Sciacca, superiore del Carbone e dei testi Sferlazzo e Piazza sarebbe stato nominato dirigente centrale con la responsabilità del settore commerciale della società pubblica  –:
          di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa;
          per quali motivi il dottor Francesco Carbone non sia stato ancora riassunto;
          come mai nessun provvedimento sia stato assunto nei confronti dei due dirigenti Piazza e Sferlazzo che ad avviso degli interroganti hanno violato, fra l'altro, il codice etico di Poste italiane spa adottato con delibera del consiglio di amministrazione;
          se non si intendano intraprendere immediate iniziative per accertare la veridicità dei fatti descritti;
          se non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché si possa pervenire alla riammissione in servizio del dottor Francesco Carbone stante i notevoli danni che potrebbero ulteriormente scaturire alla società;
          se non ritengano opportuno intervenire affinché la gestione del personale avvenga nel massimo rispetto di chiari princìpi di legalità e trasparenza. (4-02495)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
          le coltivazioni di alberi di ulivo rivestono straordinaria importanza per l'assetto ambientale e per l'economia della Puglia, in relazione alla diffusa caratterizzazione del paesaggio storico regionale, al valore inestimabile delle varietà, degli esemplari presenti sul territorio e alla qualità delle produzioni olearie che ne derivano; in particolare, il patrimonio olivicolo del Salento, con i suoi quasi 10 milioni di alberi, è oggi esposto ad un rischio di un danno incalcolabile per l'economia del territorio, che comporterebbe anche il mutamento paesaggistico di un'area del nostro Paese da sempre associata alle immense distese di ulivo; è stato riscontrato nell'area ionico-salentina un fenomeno di disseccamento rapido delle piante che si manifesta con danni estesi alle chiome, imbrunimenti interni del fusto e rapida compromissione delle piante, con caratteristiche espansive che determinano una notevole preoccupazione negli operatori del settore e nelle autorità locali;
          l'Osservatorio fitosanitario della regione Puglia, d'intesa con altri enti ed istituzioni scientifiche, ha effettuato un approfondito monitoraggio del fenomeno e della sua localizzazione, riscontrando attacchi parassitari alle piante, con particolare riferimento al «Rodilegno giallo» (Zeuzera pyrina) e ad un agente patogeno da quarantena denominato «Xylella fastidiosa»;
          l'agente patogeno da quarantena è stato inoltre riscontrato, nell'area, anche su piante di mandorlo, oleandro e querce, coltura arborea molto diffusa nel territorio salentino;
          nella «zona focolaio» tutte le piante di ulivo dovranno essere estirpate per evitare ulteriori contagi, si pensi che l'estensione di tale zona è di 8000 ettari e che la densità media di ulivi per ettaro nel Salento è di 80 unità, ossia rispetto all'infezione risultano compromessi già oltre 600 mila alberi d'ulivo; la «Xylella fastidiosa» è un batterio – sino ad ora non diffuso in Europa e non riscontrato su piante come gli olivi – di tipo patogeno inserito nell'elenco A1 della EPPO, l'Organizzazione intergovernativa responsabile della cooperazione europea per la salute delle piante, cioè inserito nella lista nera dei batteri da quarantena, necessariamente da isolare a causa della sua portata infettiva e distruttiva; l'agente patogeno è invece presente soprattutto in Asia e in America del Nord dove ha provocato malattie su numerose specie di piante, tra cui vite, agrumi, mandorle e caffè, rappresentando una seria minaccia per le realtà agricole sia in termini del paesaggio e dell'ecosistema che per le gravissime perdite di raccolti;
          la situazione manifestatasi in Puglia, per la sua estensione e gravità, rischia di allargarsi fuori dai confini regionali, assumendo, per la portata delle conseguenze in termini ambientali ed economici, rilievo nazionale tale da rendere necessario un intervento del Governo, anche in considerazione dell'obbligatorietà che impone la normativa comunitaria in caso di ritrovamento di agenti patogeni da quarantena;
          in passato l'Unione europea ha contestato allo Stato italiano l'inadeguata applicazione delle misure dirette a impedire la diffusione di diversi organismi nocivi, prescritte dalla normativa europea e l'omessa notifica della presenza, o della comparsa, di organismi nocivi sul proprio territorio;
          la regione Puglia ha già avviato il protocollo tecnico-amministrativo previsto dalle normative vigenti, per quanto di competenza, investendo il Ministero delle politiche alimentari e forestali e la Commissione europea;
          per tamponare l'emergenza sono necessari decine di milioni di euro e che, i quaranta esperti inviati da Roma per censire gli ulivi oramai compromessi, hanno definito insufficienti le risorse economiche per far fronte all'epidemia dell'agente patogeno da quarantena;
          l'intero Fondo di solidarietà nazionale, pari a 18 milioni di euro, non basterebbe a fronteggiare la sola urgenza;
          si rende pertanto necessaria e urgente sia l'adozione di misure tecniche di gestione delle colture olivicole nell'area interessata, con particolare riferimento al divieto di movimentare materiale vegetale proveniente da potature di piante infette, sia l'adozione di misure preventive sulle piante non compromesse e di trattamenti mirati accompagnati da strategie di controllo degli agenti patogeni, oltre all'immediato avvio dell'opportuna attività di ricerca;
          sono necessari interventi economici, e non solo, a sostegno di un tessuto socio-economico che subirà, nella migliore delle ipotesi, un forte rallentamento se non addirittura un arresto a causa del fenomeno infettivo in atto;
          il danno ecosistemico ed economico che l'agente patogeno sta causando al territorio pugliese si rifletterà, negativamente, sul raccolto delle olive nel prossimo anno e, a cascata, su tutto l'indotto agroindustriale che da esso deriva;
          l'olio extravergine d'oliva di Puglia rappresenta una delle eccellenze alimentari più significative del territorio nazionale e consente all'Italia di poter primeggiare a livello mondiale in questo settore; quali risorse finanziarie e in che tempi il Ministro interpellato intenda stanziare per gli interventi di ricerca, per l'isolamento dell'agente patogeno e per gli interventi di sostegno socio-economico ai territori colpiti dall'agente patogeno da quarantena;
          quali misure immediate s'intendano adottare per affiancare le azioni già messe in campo dalla regione Puglia al fine di evitare il contagio verso il resto d'Italia o, addirittura, verso l'Europa.
(2-00297) «Pannarale, Di Salvo, Piazzoni, Airaudo, Sannicandro, Duranti, Fratoianni, Zaratti, Matarrelli, Franco Bordo, Kronbichler, Marcon, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pellegrino, Pilozzi, Placido, Ragosta, Lavagno, Ferrara, Giancarlo Giordano, Melilla, Piras, Quaranta, Ricciatti, Lacquaniti, Daniele Farina, Zan, Aiello, Boccadutri, Scotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


      OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 5 novembre 2013 risulta che nel Comune di Cotronei, in provincia di Crotone, territorio ad alta valenza agricola, opererebbe da tempo una vera e propria associazione a delinquere che perpetuerebbe continui, ripetuti e indiscriminati tagli di alberi arrecando ingenti danni alla biodiversità naturale ed agricola e alle colture locali;
          alcuni sconosciuti, armati di motosega, hanno tagliato nove alberi di ulivo e due di fico, nel terreno della famiglia dell'ex sindaco Nino Bevilacqua;
          sembrerebbe, ma è tutto da accertare, che questi atti vandalici siano riconducibili a ritorsioni nei confronti di coloro che da anni si stanno battendo contro il diffuso fenomeno del pascolo abusivo che assilla i proprietari dei fondi della località Rivioti;
          quello che più preoccupa è che i proprietari interessati dai soprusi sono stati e continuano ad essere oggetto di pressioni intimidatorie di diversa natura da parte degli allevatori in questione; è assolutamente importante, pertanto, promuovere tutte le iniziative per ridare serenità e tranquillità agli agricoltori;
          il reiterarsi di questi gravi episodi rende necessaria l'adozione di urgenti iniziative al fine di prevenire e reprimere il fenomeno illegale del taglio abusivo di alberi  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere di fronte a questa ulteriore grave vicenda.
(4-02479)


      GREGORI, TIDEI, FERRO, MARCO DI STEFANO e CARELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nonostante il decreto ministeriale sulla cosiddetta condizionalità n.  39125 del 2009 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali avesse fatto chiarezza in tema di smaltimento delle potature derivanti dalla lavorazione agricola, in particolare rispetto alla bruciatura delle ramaglie, una rigida interpretazione del decreto legislativo n.  152 del 2006, riguardo lo smaltimento, commercio e intermediazione dei rifiuti, mette in costante difficoltà l'attività degli agricoltori, con particolare riferimento a coloro che sono impegnati nella potatura degli olivi;
          inoltre, l'articolo 13 del decreto legislativo n.  205 del 2010, modificando proprio il decreto legislativo del 2006, stabilisce che paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale se non utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente o mettono in pericolo la salute umana, devono essere considerati rifiuti e come tali devono essere trattati. Di conseguenza, la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola o forestale si configura quindi come un illecito smaltimento di rifiuti, sanzionabile penalmente oltre che amministrativamente;
          i comuni in Italia attrezzati con impianti di compostaggio adatti a ricevere le enormi quantità di ramaglie di potatura, che spesso, in aree a particolare vocazione olivicola, si vengono a concentrare in poche settimane, sono pochissimi e scarsamente insufficienti a soddisfare il fabbisogno di richieste;
          del resto, il costo per lo smaltimento come rifiuto ordinario, per non parlare di quello speciale e spesso alcune ramaglie vengono inserite in questa categoria, risulta altamente proibitivo per qualsiasi impresa agricola. Gli agricoltori si vedono spesso costretti ad inviare le ramaglie e i residui di potatura a impianti distanti talvolta centinaia di chilometri, rendendo l'operazione poco sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico;
          numerose associazioni di categoria hanno espresso la loro viva preoccupazione in merito alla rigida applicazione di una normativa che rischia di mettere in ginocchio tutto il settore olivicolo italiano, in un momento di forte crisi economica e sociale  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'allarme lanciato dalle associazioni di categoria e dalle imprese agricole olivicole in merito alla sostenibilità economica delle stesse rispetto alla presenza di un quadro sanzionatorio percepito come fortemente ingiusto e vessatorio;
          se il Ministro interrogato intenda vagliare o meno l'opportunità di elaborare una modifica della normativa di cui alla presente interrogazione, al fine di semplificare la disciplina relativa alla potatura e smaltimento dei residui, favorendo le esigenze delle imprese agricole e degli agricoltori;
          se s'intendano, comunque, assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire un'adeguata presenza, su tutto il territorio nazionale, di impianti di compostaggio adatti a ricevere le ingenti quantità di ramaglie di potatura. (4-02490)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      VECCHIO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la Repubblica italiana, così come recita l'articolo 1 della nostra Costituzione, è «fondata sul lavoro»;
          il 31 luglio 2013 scadranno i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in proroga (come previsto dall'articolo 1, comma 400, della dalla legge n.  228 del 24 dicembre 2012) di circa 150.000 tra lavoratrici e lavoratori con posizioni contrattuali anomale nelle pubbliche amministrazioni. Si tratta, solo a titolo di esempio, di addetti agli sportelli per l'immigrazione di questure e prefetture, medici e infermieri del pronto soccorso ospedaliero, educatrici di asilo nido;
          è ormai indispensabile l'avvio di una seria riorganizzazione strutturale di tutta la pubblica amministrazione (precaria e no), che vagli competenze, capacità e resa dei dipendenti e che aiuti a determinare nuovi criteri di contrattualizzazione;
          ogni intervento dello Stato che sia solo sintomatico, tratta il problema in superficie senza risolverlo  –:
          quali criteri il Governo abbia individuato o stia individuando per affrontare il tema complesso e dagli importanti risvolti sociali dei dipendenti precari nella pubblica amministrazione. (4-02491)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


      CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è quello stabilito dal decreto ministeriale n.  332 del 27 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 27 settembre 1999, dal titolo: «Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe». Esso individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 e le modalità di erogazione;
          l'articolo 11 stabilisce che: «Il nomenclatore è aggiornato periodicamente, con riferimento al periodo di validità del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili»;
          l'aggiornamento previsto all'articolo 11 non è mai stato effettuato; di conseguenza, da oramai 14 anni prezzi, tecnologie e presidi ortopedici sono rimasti sostanzialmente gli stessi;
          la mancanza di tale aggiornamento ha provocato con il passare degli anni un danno sia per i disabili, sia per le aziende erogatrici di dispositivi ortopedici, poiché ha generato una distorsione del libero mercato, e, fatto ancora più grave, il mancato aggiornamento periodico del nomenclatore, non essendo in linea con il costante progresso tecnologico, inibisce alle migliaia di disabili italiani l'accesso a nuovi strumenti di supporto, che, da un lato, potrebbero migliorare notevolmente la qualità della vita e, dall'altro, creano una condizione di disparità sociale, dal momento che solo le famiglie con maggiori possibilità economiche sono in grado di fornire a queste persone ausili tecnologicamente più moderni, in quanto sostengono la differenza di spesa del presidio;
          il decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n.  189, ha stabilito all'articolo 5, comma 2-bis, che: «Il Ministro della salute procede entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n.  332»;
          la giurisprudenza, nel corso degli anni, ha sistematicamente riconosciuto le ragioni delle imprese e degli assistiti, richiamando ad un più attento rispetto della normativa vigente. In tal senso il tribunale di Napoli, con ordinanza del 12 marzo 2012, ha riconosciuto il diritto del cittadino con disabilità ad ottenere un ausilio non previsto dal nomenclatore tariffario, ma dimostrato con certificazione medica necessario per il miglioramento della sua salute: «Il diritto alla salute rappresenta un valore preminente rispetto a qualunque interesse di contenimento della spesa pubblica, interesse tutelato dalla predisposizione di specifici elenchi di farmaci e di presidi che lo Stato eroga a totale suo carico. Conseguentemente, sussiste il pieno diritto alla somministrazione di un presidio che, sebbene non inserito nel nomenclatore allegato al regolamento approvato con decreto ministeriale n.  332 del 1999, costituisca l'unico mezzo per salvaguardare il bene salute del cittadino». Così anche il tribunale amministrativo regionale della Sicilia, con riferimento alla cosiddetta assistenza indiretta. Con la sentenza n.  144 del 2012, il tribunale amministrativo regionale della Sicilia afferma come l'assistito possa scegliere liberamente l'ausilio ritenuto più congeniale ai suoi bisogni (tra quelli riconosciuti omogenei), senza doverlo scegliere tra quelli proposti dalle regioni e dalle aziende sanitarie locali, che non sono più tenute ad acquistare in blocco l'intera quantità di dispositivi, ma solo ad intervenire col saldo dell'eventuale eccedenza di prezzo rispetto a quello stabilito per quel tipo di ausilio con bando di gara. Secondo il tribunale amministrativo regionale, questa sentenza trova la propria giustificazione nella necessità che i pazienti siano meglio garantiti dalla possibilità di una vasta scelta di tipologie e di marche – sicuramente superiore a quella di cui si potrebbero giovare nell'ipotesi della concentrazione dell'offerta in uno o poche imprese – e dalla possibilità di un servizio per la manutenzione ordinaria e straordinaria a cifra di un'idonea rete distributiva»;
          il Ministro interrogato, nell'audizione tenutasi il 31 luglio 2013 al Senato della Repubblica presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, ha sottolineato come la questione del nomenclatore tariffario sia una cosa di cui si parla poco, ma che ha un'importanza fondamentale. Ha ricordato che nell'aprile 2008 il Ministero aveva elaborato una proposta di modifica degli elenchi di dispositivi di assistenza protesica – inserita all'interno del provvedimento di revisione complessiva dei livelli essenziali di assistenza, dell'insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale eroga a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket – ma lo schema di decreto fu oggetto di rilievi da parte della Corte dei conti;
          nel marzo 2010 l'approvazione di un ulteriore provvedimento fu, invece, sospesa dalla valutazione del Ministero dell'economia e delle finanze circa la maggiore spesa indotta dal provvedimento a carico del sistema sanitario nazionale;
          il Ministro si è poi soffermato ad analizzare i costi che l'aggiornamento del nomenclatore comporterebbe, sostenendo che sono stati stimati 321 milioni di euro l'anno, costi che vanno messi, soprattutto, in relazione con il continuo avanzamento della ricerca tecnologica nel campo degli ausili;
          con riferimento agli impegni futuri in tale ambito, il Ministro interrogato ha annunciato la volontà di aprire un tavolo con la conferenza Stato-regioni per ridefinire la programmazione delle spese del sistema sanitario nazionale e di volersi occupare del nomenclatore all'interno di tale programmazione. Infine, ha riferito di voler includere, all'interno del nuovo patto per la salute, cui il Ministero della salute sta lavorando, per il prossimo quinquennio l'aggiornamento del nomenclatore –:
          quali iniziative concrete il Ministro interrogato abbia posto in essere per dar corso agli impegni annunciati in sede di audizione, al fine di provvedere all'aggiornamento del nomenclatore tariffario, ai sensi del regolamento di cui al decreto ministeriale n.  332 del 1999, anche alla luce di quanto previsto nel decreto-legge n.  158 del 2012, che aveva stabilito come termine per la revisione il 31 maggio 2013, in modo da ricomprendere nel nomenclatore anche i più moderni presidi ortopedici e dispositivi di ausilio e di permettere una giusta remunerazione. (3-00438)


      BINETTI, VARGIU, MONCHIERO, GIGLI e SCHIRÒ PLANETA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          ricorre in questi giorni la Giornata mondiale del diabete, con iniziative previste in tutta Italia. Sono numerosissimi i volontari e i professionisti sanitari coinvolti. La Giornata mondiale del diabete – supportata da Nazioni Unite, International diabetes foundation e Organizzazione mondiale della sanità – si celebra in tutto il mondo il 14 novembre;
          si tratta della più grande manifestazione del volontariato in campo sanitario. La Giornata mondiale del diabete è, infatti, una delle poche nel suo campo a non sollecitare contributi, ma anzi a offrire gratuitamente servizi. L'evento classico della giornata è la «glicemia in piazza», che si è evoluta fino a includere una serie di test effettuati sul momento che permettono di scoprire se chi fa il test ha il diabete o di valutare quale sia il rischio di svilupparlo;
          il rapporto «Il diabete in Italia 2000-2011», realizzato dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), fornisce una fotografia dettagliata dell'evoluzione del diabete nel nostro Paese negli ultimi 11 anni;
          nel 2011 è stato calcolato che la diffusione del diabete aumenta al crescere dell'età: dopo i 75 anni almeno una persona su cinque è affetta dalla malattia. Su 100 diabetici, 80 avevano più di 65 anni e 40 più di 75. Sotto i 74 anni il diabete è più diffuso tra gli uomini. Sono circa 3 milioni gli italiani che soffrono di diabete. Al Sud ci sono circa 900 mila diabetici; al Nord-Ovest 650 mila persone hanno il diabete, al Centro 600 mila, al Nord-Est 450 mila e nelle Isole circa 350 mila;
          il numero delle persone decedute per il diabete è passato da 17.547 nel 2000 a 20.760 nel 2009. Per poter prevenire il diabete servono un'adeguata educazione alimentare, sport e attività fisica;
          presso il Senato della Repubblica è stato presentato un documento strategico di intervento integrato per l'inserimento dell'adolescente diabetico a scuola promosso dal coordinamento tra le associazioni italiane giovani con «Diabete Italia», in condivisione con i Ministeri della salute e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ha l'obiettivo di garantire il pieno godimento del diritto alla salute psico-fisica, l'accesso protetto dei percorsi scolastici e la rimozione di ogni ostacolo per la piena integrazione sociale del bambino, adolescente e ragazzo con diabete –:
          se non ritenga opportuno incentivare campagne d'informazione e di prevenzione sul diabete, soprattutto quello di tipo 2, mettendo l'accento sull'importanza di stili di vita corretti, attraverso lo sport, un'adeguata attività fisica e una corretta alimentazione, nonché sull'importanza del test glicemico già dai primi anni di vita, per poi monitorare la glicemia nelle diverse fasi della vita e poter così diagnosticare tempestivamente la comparsa del diabete, fin dai suoi primi sintomi. (3-00439)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta orale:


      SIMONI, BENI, CENNI, ERMINI, PARRINI, ROCCHI e SANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda Pirelli di Figline Valdarno produce cordicella metallica (steel cord) per pneumatici occupando 390 lavoratori;
          il settore Steel Cord del Gruppo Pirelli vede il suo centro direzionale a Figline e la produzione suddivisa in sei stabilimenti, incluso quello italiano, con sede in Turchia, Germania, Brasile, Romania e Cina;
          la cordicella metallica prodotta viene venduta anche ad altre importanti aziende concorrenti, quali Goodyear e Continental;
          nonostante negli ultimi anni si siano susseguite numerose crisi interne, a destare profonda preoccupazione è la recente comunicazione data alle organizzazioni sindacali dalla direzione aziendale, circa l'intenzione di non investire più nella produzione della cordicella metallica per pneumatici, in quanto non rientrerebbe più fra le eccellenze dell'azienda;
          la direzione aziendale ha affidato ad alcune banche l'incarico di trovare nuovi partner interessati ad investire per continuare la produzione;
          dall'azienda, oltre alla conferma della ricerca di nuovi partner, non è pervenuto alcun chiarimento in merito alle garanzie previste nel caso di cessione ad un concorrente diretto, nonostante sia stato più volte sollecitato dalle organizzazioni sindacali sia dagli amministratori locali;
          le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali sono preoccupate dalle gravi ripercussioni che potrebbero scaturire dall'intenzione manifestata dall'azienda, sia in termini occupazionali sia di indebolimento del tessuto produttivo;
          nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico la posizione dell'azienda non sarebbe cambiata, avendo la stessa ribadito di non essere interessata alla produzione della cordicella metallica, senza aggiungere alcun chiarimento sul futuro dei dipendenti;
          secondo le organizzazioni sindacali l'atteggiamento assunto dalla Pirelli denota un profondo senso di irresponsabilità sociale soprattutto nei confronti di una sede storica come quella di Figline;
          gli enti locali e i rappresentanti sindacali ritengono necessari degli interventi urgenti mirati ad una politica industriale attiva che tuteli i siti produttivi e le relative professionalità presenti;
          alla luce della ferma presa di posizione dell'Azienda e delle mancate risposte sul futuro dei dipendenti risulta necessario che le Istituzioni si attivino al fine di trovare soluzioni congiunte per il mantenimento dello stabilimento di Figline, indispensabile per l'economia locale dato il suo ruolo strategico relativamente a progettazione e sviluppo del prodotto, e per la tutela dei dipendenti  –:
          quale sia stato l'esito dell'incontro svoltosi presso il Ministero dello sviluppo economico, alla presenza dei dirigenti aziendali e delle rappresentanze sindacali;
          quali urgenti iniziative intenda attivare al fine di preservare i livelli occupazionali e produttivi dello stabilimento di Figline, al fine di scongiurare il depotenziamento dello stesso qualora l'ipotesi di cessione ad un partner straniero dovesse essere confermata. (3-00433)


      NICCHI e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 4 ottobre 2013 si è tenuto uno sciopero unitario dei lavoratori della AnsaldoBreda contro l'ipotesi dello spacchettamento delle aziende del gruppo, contro la cessione separata di AnsaldoBreda, Ansaldo Energia e Ansaldo Sts, e per la salvaguardia dell'occupazione in un settore che i sindacati definiscono strategico per lo sviluppo del Paese;
          lo smembramento porterebbe alla fine del comparto ferroviario in Italia dato che non può essere competitiva un'azienda di dimensioni minori rispetto ai competitor stranieri anche in presenza di un piano dei trasporti tutto italiano;
          in data 9 ottobre 2013 c’è stato un nuovo tentativo di AnsaldoBreda per convincere l'Olanda a ritornare sui suoi passi per i Fyra, i treni ad alta velocità che dovevano servire la tratta Amsterdam-Bruxelles il cui contratto era stato rescisso sia da Bruxelles che dall'Aja. L'obiettivo era quello di spiegare come i treni modificati fossero pronti per essere rimessi in servizio e chiedere di conseguenza il ripristino del contratto di commessa di essere;
          in data 14 ottobre 2013 il Ministro dello sviluppo economico Zanonato, in visita allo stabilimento AnsaldoBreda di Pistoia, ha dichiarato, in linea con quanto affermato dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta che aveva manifestato l'intenzione da parte del Governo di investire nel settore ferroviario, di voler scongiurare la dismissione, di «cercare dei partner e non degli acquirenti» e di impegnare il Governo a tenere Ansaldo Breda e Ansaldo Sts nel nostro Paese, «a management italiano, a maggioranza italiana»;
          negli altri Paesi europei si preferisce ordinare il materiale rotabile, alle aziende presenti sul territorio, con tutte le ricadute occupazionali che ne derivano  –:
          quali siano le decisioni che il Governo intenda mettere in campo per un grande e necessario rilancio di una vera prospettiva industriale, non soltanto finanziaria, per il settore civile di Finmeccanica, e quindi in particolare per la AnsaldoBreda, tralasciando qualunque ipotesi di fuoriuscita del Paese della produzione di materiale rotabile che, oltre a privare l'Italia di un settore industriale strategico per il futuro, nell'immediato non potrebbe che ridursi ad una inaccettabile svendita. (3-00436)

Interrogazione a risposta scritta:


      ZOLEZZI, CARRA e MARTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in merito alla commercializzazione di prodotti petroliferi nel Nord Est d'Italia, la crisi della raffineria IES di Mantova, posta al confine tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, s'inserisce in un contesto provinciale già pesantemente segnato da chiusure e dismissioni di importanti impianti produttivi. Il gruppo ungherese MOL proprietario della raffineria IES dal 2007, ha dichiarato l'intenzione di dismettere l'attività produttiva e riconvertire la raffineria in polo logistico, così da rimanere attivo commercialmente nell'area circostante e in tutto il Nord-Est ove resiste una vivace imprenditorialità e un mercato ancora decisamente fiorente anche nel settore dei combustibili e del bitume stradale e industriale. A proposito di bitume, vogliamo sottolineare che la IES è il maggiore produttore di bitume in Italia con una potenzialità di 600.000 t/y: i dati sulla domanda di bitume nel 2012 in Italia riportano un consumo di 1,5 milioni t/y, prodotti dalle raffinerie di Mantova, di Falconara, di Busalla, di Ravenna e di Livorno (che esporta all'estero), Taranto, Esso di Augusta. I consumi nel centro e nord Italia di bitume industriale (impiegato per produrre guaine) è di 500.000 t/y di cui l'80 per cento consumato nel nord, con la chiusura di Mantova rimarrebbe un unico produttore, che è l'API di Falconara, con conseguente monopolio del settore. È possibile verificare questi dati, consultando il consorzio SITEB dei produttori di bitume;
          in merito alla decisione di chiusura della raffineria IES di Mantova e della richiesta di passaggio a polo logistico da parte del gruppo ungherese MOL, si può citare Paul Betts, editorialista del Financial Times, il quale sostiene che le società petrolifere statali (MOL ha come azionista il governo ungherese), provenienti sia da Paesi emergenti produttori di petrolio, che da Paesi emergenti privi di risorse petrolifere, hanno effettuato in questi anni, investimenti nel settore della raffinazione europea. L'attività di queste multinazionali non si limita ad incursioni finalizzate a stabilire la propria presenza nel vecchio continente e ad acquisire un'utile piattaforma per tenere sotto controllo gli sviluppi del settore, ma tali acquisizioni di raffinerie, vengono interpretate da più parti, come dei cavalli di Troia, il cui fine sarebbe quello di ottenere delle strutture di stoccaggio che possano contribuire a distribuire sui mercati europei, prodotti raffinati esportati dalle loro grandi, competitive e tecnologicamente avanzate raffinerie collocate nei relativi Paesi d'origine o in altri Paesi;
          attualmente i Governi di alcune nazioni stanno incentivando economicamente l'attività di raffinazione interna, stanno adottando regolamenti ambientali e di tutela dei lavoratori decisamente inferiori agli standard italiani ed europei; tali pratiche, seppur accettate dalle regole del mercato globale (world trade organization – WTO), rischiano a parere degli interroganti di drogare il mercato della raffinazione, compromettendo e rischiando di annullare le attività di raffinazione in atto nel nostro Paese, con il rischio di successivi incrementi dei costi dei prodotti finiti e di impedire il passaggio graduale a pratiche di raffinazione maggiormente ecocompatibili dati decisamente sfavorevoli per tutte le piccole e medie imprese italiane; il 27 novembre 2013 si terrà a Bruxelles l'incontro europeo delle società di raffinazione che cercherà di fare il punto sulle difficoltà del settore;
          attualmente nel Nord-Est d'Italia, Mantova è l'unica raffineria in funzione, con una presenza di una efficace rete di distribuzione, compresi impianti di distribuzione e operatori indipendenti, che al momento consentono l'approvvigionamento di combustibili (per autotrazione, bitumi, e altro) in quantitativi adeguati e a prezzi talvolta lievemente più bassi che nel resto d'Italia, dato decisamente significativo per i privati cittadini e ancor più per le imprese;
          la chiusura della raffineria IES, ed il contratto che il Gruppo MOL ha sottoscritto con ENI (società partecipata per oltre il 30 per cento dallo Stato italiano) per rifornire il proprio polo logistico potrebbe determinare una situazione di monopolio, dove in tutta l'area del Nord Est d'Italia a fronte della presenza delle raffinerie ESSO di Trecate ed ENI di Sannazzaro dei Burgundi, esisterebbero svariati poli logistici: Milano Lachiarella – Cremona Tamoil – Mantova IES/MOL – Marghera ENI, tutti riforniti dall'ENI  –:
          se il Governo sia a conoscenza del fatto che, in conseguenza della chiusura della raffineria IES di Mantova vi potrebbe essere il rischio di una situazione dominante di ENI, con il possibile incremento dei prezzi sul mercato extrarete;
          quali siano gli accordi fra ENI e MOL e come possano influire in merito alla competitività del settore della raffinazione in Italia e di tutti i settori che dipendono attualmente dai prodotti finiti. (4-02475)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Airaudo e altri n.  5-01186, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lavagno.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Giancarlo Giordano e Piazzoni n.  5-01283, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Costantino.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Catalano e altri n.  5-01425, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interpellanza Vecchio n.  2-00041 del 14 maggio 2013;
          interrogazione a risposta scritta Capelli n.  4-01871 del 18 settembre 2013;
          interrogazione a risposta orale Galgano n.  3-00371 del 9 ottobre 2013;
          interpellanza Pannarale n.  2-00291 del 7 novembre 2013;
          interpellanza urgente Marco Di Stefano n.  2-00292 del 7 novembre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta orale Scuvera e altri n.  3-00085 del 28 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-01431;
          interrogazione a risposta orale Chimienti e altri n.  3-00200 dell'11 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-01438;
          interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e altri n.  5-01328 del 30 ottobre 2013 in interrogazione a risposta scritta n.  4-02494.