XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 25 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              il rilancio del sistema economico del Paese non può prescindere: a) da un corretto e più efficiente funzionamento delle pubbliche amministrazioni chiamate ad erogare con tempestività ed efficacia i servizi alle imprese ed ai cittadini; b) dalla garanzia di elevati standard qualitativi ed economici dei servizi che devono essere competitivi anche in raffronto con quelli erogati dalle amministrazioni pubbliche dei paesi dell'Unione europea;
              in sede di riforma occorre intervenire sulle criticità che il settore pubblico presenta, al fine di risolverle e superarle con la gradualità che il contesto organizzativo e finanziario consente;
              tra le maggiori criticità emergono:
                  a) l'emergenza su questo fronte è molto evidente in quanto:
                      è in continua crescita il contenzioso con le amministrazioni pubbliche per l'abuso di contratti di lavoro flessibile, con i conseguenti costi a carico dei bilanci pubblici;
                      spesso i giudici del lavoro che riconoscono la specialità del settore pubblico e non sentenziano per la conversione del rapporto di lavoro, nei casi di abuso nell'utilizzo dei contratti a tempo determinato, condannano le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno, con riflessi sempre più pesanti sulla finanza pubblica;
                      sono sempre più pressanti gli effetti delle procedure di infrazione avviate, in sede comunitaria, nei confronti dell'Italia per il fenomeno del precariato storico nella pubblica amministrazione e delle richieste di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea da parte di giudici italiani;
                      sono migliaia i rapporti di lavoro a termine che proseguono da oltre un decennio per assicurare l'erogazione dei servizi essenziali alla collettività, servizi che devono essere comunque assicurati pur in presenza dei stringenti vincoli di finanza pubblica in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Basti pensare che nel settore sanitario spesso l'erogazione dei servizi e dei livelli essenziali di assistenza è garantita dal ricorso al lavoro flessibile soprattutto in quelle regioni che, essendo vincolate dal piano di rientro dal disavanzo, si vedono precluse le assunzioni a tempo indeterminato;
                  b) il comparto della scuola, con circa 140 mila unità tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliare, registra il numero più alto di personale precario. È da sottolineare che le recenti conclusioni espresse dalla Commissione europea – con le quali si apre una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato – ribadiscono che «(...) Non può ritenersi obiettivamente giustificata ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a) dell'accordo quadro una legislazione nazionale, quale quella italiana in causa, che, nel settore scolastico, non prevede alcuna misura diretta a reprimere il ricorso abusivo a contratti di lavoro a termine successivi (...)»;
                  c) sussiste un'elevata consistenza del precariato nel settore pubblico che riguarda: 1) personale con contratto di lavoro a tempo determinato, 2) titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, 3) lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione, 4) professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo, 5) lavoratori addetti ad attività socialmente utili svolte in virtù delle previste convenzioni;
                  d) l'età media dei dipendenti pubblici in Italia è molto più elevata rispetto a quella degli altri Paesi europei e destinata ad aumentare in relazione all'effetto sinergico della disciplina normativa che limita il turnover e della riforma pensionistica che riduce il flusso di fuoriuscite in relazione ai nuovi criteri di maturazione dei requisiti per il diritto di accesso a pensione;
                  e) a causa dell'applicazione della cosiddetta «legge Fornero» e il prolungarsi dell'età di permanenza in cattedra, parte del corpo docente impegnato con gli studenti italiani ha sempre più difficoltà a stare al passo con il dinamismo della comunità scolastica: gli ultimi dati forniti dall'Ocse nel rapporto Education at a glance 2013 rilevano che nel 2011 il 47,6 per cento dei docenti elementari, il 61 per cento di quelli delle medie inferiori e il 62,5 per cento di quelli delle superiori aveva oltre 50 anni; la modifica della cosiddetta legge Fornero avrebbe anche il vantaggio di sbloccare il turnover della scuola e permettere la stabilizzazione di molti giovani insegnanti;
                  f) sussiste la necessità di valutare con attenzione la consistenza delle strutture dirigenziali, che produce una discrasia tra piante organiche teoriche relative alla dirigenza e dirigenti effettivamente in forza; tale discrasia costituisce causa di ingiustificata frammentazione nell'assegnazione del personale ad uffici dirigenziali vacanti, con conseguenze non virtuose nella gestione delle risorse;
              nel 2006, con l'approvazione della prima legge finanziaria dell'allora Governo Prodi, si è delineata, con la trasformazione delle graduatorie permanenti per il reclutamento degli insegnanti in «graduatorie ad esaurimento» e l'avvio di un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di 150.000 insegnanti e 10.000 unità di personale ausiliare tecnico e amministrativo, la necessità di costruire una programmazione di medio-lungo periodo degli organici e superare il fenomeno del precariato. Nel 2009 – cambiato lo scenario politico – il settore scolastico, dopo l'approvazione dell'articolo 64, del decreto-legge n.  22 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, sconta il drastico taglio di circa 8 miliardi di euro e la conseguente riduzione di oltre 87 mila docenti e di 44.500 ausiliari, tecnico e amministrativi;
              l'ultimo intervento a sostegno del settore scolastico, con l'approvazione della legge 8 novembre 2013, n.  128, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n.  104, ha definito un piano triennale (2014-2016) per l'assunzione a tempo indeterminato di 69 mila docenti e 16 mila amministrativi, tecnici e ausiliari e, inoltre, l'autorizzazione all'assunzione a tempo indeterminato di oltre 26.500 docenti di sostegno;
              le misure contenute nel decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101, convertito, con modificazioni, dalla legge, 30 ottobre 2013, n.  125, nello spirito di favorire politiche occupazionali razionali, prevedono forme di reclutamento speciale finalizzate a valorizzare la professionalità acquisita da coloro che hanno maturato, nell'ultimo quinquennio, un'anzianità di tre anni con rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, nonché misure a favore dei lavoratori socialmente utili, senza disporre di interventi adeguati anche per le altre forme di precariato di cui alla lettera c) del terzo capoverso della premessa del presente atto di indirizzo;
              nella totale condivisione del programma di Governo, si ritiene urgente affrontare il tema del precariato del pubblico impiego valorizzando il ruolo sociale degli operatori pubblici impegnati quotidianamente in servizi che promuovono e tutelano il benessere dei cittadini,

impegna il Governo:

          a riaprire in tempi brevi e con i soggetti preposti la trattativa per l'adeguamento della parte normativa del contratto nazionale del pubblico impiego a garanzia di un corretto funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche con la finalità di valutare misure volte al superamento del precariato, prestando particolare attenzione alla valorizzazione della professionalità acquisita anche dai titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, dai lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione e dai professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo;
          per quanto riguarda il personale della scuola e nel rispetto della normativa europea:
              a) a definire un nuovo piano pluriennale di assorbimento delle graduatorie ad esaurimento;
              b) espletate le procedure di assunzione relative all'ultimo concorso a cattedra del 2012, a bandire, con cadenza biennale, nuove prove concorsuali che tengano conto dei flussi di pensionamento e dei trasferimenti e, nel rispetto della normativa europea, a garantire il regime del doppio canale per i docenti abilitati, a partire da coloro che siano in possesso di almeno tre anni di servizio;
              c) ad assumere iniziative per ovviare ad una carenza della riforma pensionistica attuata con l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, che non ha tenuto nel necessario conto le peculiarità del comparto della scuola, nel quale la data di pensionamento è legata, per esigenze di funzionalità e di continuità didattica, alla conclusione dell'anno scolastico;
              d) ad attuare pienamente l'autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n.  5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  35 del 2012, con l'assegnazione almeno triennale dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole, al fine di pervenire al progressivo superamento della distinzione tra l'organico di diritto e l'organico di fatto;
          a proseguire nel percorso di attuazione delle misure contenute nel decreto-legge n.  101 del 2013 di cui in premessa, a tal fine attuando, per un verso, la rilevazione ai sensi del citato decreto-legge n.  101 del 2013 delle graduatorie di concorso aperte e, per altro verso, il monitoraggio e la verifica del processo di superamento delle situazioni di precarietà contrattuale nelle pubbliche amministrazioni, tenendone costantemente informato il Parlamento;
          stante, infine, la ripetizione storica, ormai consolidata, nei bilanci delle amministrazioni della spesa per il personale con tipologie di lavoro flessibile, a considerare, nel rispetto delle norme che regolano le assunzioni nel pubblico impiego, la complessiva spesa di personale, comprensiva quindi di quella effettuata per rapporti di lavoro a tempo determinato, per contratti di collaborazione coordinata e continuativa o per altre forme di rapporti di lavoro flessibile, quale parametro consolidato di riferimento ai fini dei processi di proroga dei rapporti di lavoro precario e, nell'ambito della regolamentazione prevista dal decreto-legge n.  10 del 2013 e dalla legge n.  147 del 2013, di eventuale stabilizzazione.
(1-00408) «Coscia, Gnecchi, Martelli, Malpezzi, Ghizzoni, Faraone, Rocchi, Carocci, Rotta, Paris, Albanella, Ascani, Baruffi, Blazina, Boccuzzi, Bossa, Casellato, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Dell'Aringa, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Malisani, Manzi, Miccoli, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Giorgio Piccolo, Raciti, Rampi, Simoni, Zampa, Zappulla, Zoggia».

Risoluzione in Commissione:


      La III Commissione,
          premesso che:
              dall'11 gennaio 2002, il Governo degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Bush, ha aperto a Guantanàmo (Cuba) un campo di prigionia nella base militare Usa, finalizzato alla detenzione di prigionieri catturati in Afghanistan (poi estesi anche a quelli di catturati in vario modo di altri Paesi) e ritenuti collegati con attività terroristiche, come conseguenza diretta degli attacchi dell'11 settembre 2001;
              tali detenuti non sono stati classificati dal Governo degli Stati Uniti d'America come prigionieri di guerra, né come imputati di reati ordinari (il che avrebbe potuto garantire loro i processi e le garanzie di difesa) ma detenuti in qualità di «combattenti irregolari» verso i quali, secondo quanto affermato dall'allora segretario della difesa Donald Rumsfeld, non viene applicata la convenzione di Ginevra;
              nel programma del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, alla sua prima elezione nel 2008, fu esplicitata in maniera netta l'intenzione di voler chiudere il centro di detenzione di Guantanàmo Bay sull'isola di Cuba perché: «È costoso. È inefficiente. Danneggia la statura internazionale degli Stati Uniti»; infatti, il 22 gennaio 2009 firmò poi il decreto in cui disponeva la chiusura del centro di detenzione entro il 22 gennaio 2010;
              Guantanàmo è stato in questi 6 anni uno dei temi politici più capaci di scatenare polemiche e tensioni tra la Casa Bianca e il Congresso tanto che quest'ultimo ha sempre negato i fondi necessari per il trasferimento dei detenuti riaffermando continuamente la necessità di mantenere aperta la prigione come presidio nella lotta al terrorismo;
              12 anni dopo l'apertura del penitenziario, risulta che circa 90 dei 166 detenuti abbiano ottenuto l'autorizzazione al rilascio ma sono ancora trattenuti per un tempo indefinito e che soltanto 6 persone sono state incriminate;
              il 26 marzo 2013 è stata presentata una mozione d'emergenza presso la Corte distrettuale del District of Columbia, secondo la quale le guardie di Guantànamo avrebbero negato ai prigionieri acqua potabile sicura e capi di vestiario sufficienti per pregiudicare la loro iniziativa di sciopero della fame;
              ciò che è accaduto in questo luogo, infatti, è tristemente noto a tutta la comunità internazionale, attraverso foto e video che esplicitano l'uso e l'abuso perpetrato ai danni dei detenuti, umiliati e torturati;
              tuttavia, è evidente che quanto denunciato da più parti contrasta con i trattati e le norme internazionali in materia di diritti umani e libertà fondamentali e in particolare il divieto assoluto di tortura, maltrattamenti, sparizioni coatte ed esecuzioni sommarie, il diritto a non essere incarcerato senza processo e il diritto a un processo equo;
              il 6 febbraio 2013 un gran numero di detenuti presso il carcere di Guantànamo Bay aveva iniziato uno sciopero della fame come forma di protesta in diretta conseguenza del limbo legale in cui si trovano, quasi tutti rinchiusi in condizioni estreme da un decennio senza essere mai stati accusati formalmente di alcun crimine e senza avere affrontato un qualsiasi procedimento penale;
              tredici di questi detenuti erano stati alimentati a forza, mentre Peter Maurer, a capo del Comitato internazionale della Croce Rossa, si era opposto all'alimentazione forzata di quanti stavano partecipando allo sciopero della fame di massa presso il centro di detenzione di Guantànamo, poiché è noto che si tratta di una modalità pressoché universalmente considerata come tortura;
              il 5 aprile 2013 l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha affermato che «la continua reclusione a tempo indeterminato di molti detenuti si configura come una detenzione arbitraria» e costituisce una «chiara violazione degli impegni assunti (dagli Stati Uniti) ma anche delle leggi e delle norme internazionali che tale paese è tenuto a rispettare» e che il penitenziario di Guantànamo dovrebbe essere chiuso;
              anche 26 ONG internazionali impegnate nella difesa dei diritti umani sono intervenute con una lettera aperta congiunta dell'11 aprile 2013 che invitava con insistenza il Presidente degli Stati Uniti a tener fede alla sua promessa del 2009 di chiudere questo centro detentivo;
              uno dei motivi importanti alla base dello sciopero della fame indicato dagli avvocati della difesa e dal Comitato internazionale della Croce Rossa è la sofferenza dei detenuti per la mancanza di qualsiasi prospettiva di rilascio, in particolare dopo che il Presidente Obama ha promulgato nel gennaio 2009 la legge National Defence Authorization Act (NDAA) le cui disposizioni prevedono il mantenimento di Guantanàmo Bay nel prossimo futuro;
              il perdurare della detenzione di questi detenuti senza un'accusa o un processo è in contrasto con i principi fondamentali di giustizia e la detenzione arbitraria costituisce una chiara violazione del diritto internazionale e questo pregiudica seriamente la posizione di sostenitore dei diritti umani degli Stati Uniti,

impegna il Governo:

          a coordinare, con l'Alto rappresentante europeo per gli affari esteri e per la sicurezza, un'iniziativa congiunta degli Stati membri volta a sollecitare l'azione del Presidente degli Stati Uniti, anche in virtù del suo citato atto emanato in data 22 gennaio 2009, affinché venga chiuso immediatamente il centro di detenzione di Guantànamo Bay e venga proibito il ricorso alla tortura o ai maltrattamenti in qualsiasi circostanza;
          a sollecitare ogni utile azione affinché i detenuti che hanno ottenuto l'autorizzazione al rilascio siano rilasciati, trasferiti nei loro Paesi d'origine o in altri Paesi per potervisi stabilire, e gli altri detenuti possano beneficiare di un processo equo.
(7-00315) «Di Battista, Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia, Scagliusi, Del Grosso, Grande».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          in data 21 marzo 2014 sono stati sbarcati nel porto di Augusta 1.606 migranti, dei quali 116 minori non accompagnati;
          sono stati ricoverati in ospedale: tre bambini affetti da varicella, 9 uomini per accertamenti ed una donna in procinto di partorire;
          con l'operazione «Mare Nostrum» il porto di Augusta vede lo sbarco quasi quotidiano di centinaia di migranti e molti minori non accompagnati. In questi ultimi mesi la Marina militare sbarca gli immigrati ad Augusta e ad ogni sbarco sono centinaia i minori affidati al comune. Nonostante gli sforzi, certamente lodevoli e generosi, delle istituzioni locali, del comune e di volontari della comunità civile e religiosa, è estremamente difficile dare un'accoglienza dignitosa a questi minori in attesa che possano essere collocati in centri idonei sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista formativo. I minori, collocati provvisoriamente in strutture improprie ed inadeguate (vedi Palasport e centri sportivi), sono soggetti al freddo, a condizioni igieniche carenti, a scarsa assistenza sanitaria;
          nei prossimi giorni si profilano ulteriori sbarchi delle medesime dimensioni;
          secondo quanto affermato da Carlotta Sami, portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu, sarebbe stato diagnosticato qualche caso di scabbia;
          negli ultimi due mesi sono state registrate oltre 5 mila persone;
          la situazione creatasi è preoccupante ed ha diverse criticità: umanitarie, sanitarie ed economiche;
          in questi ultimi giorni la comunità di Augusta ha manifestato anche pubblicamente la solidarietà ai migranti ma anche la necessità di individuare sedi, strutture e servizi adeguati nello stesso comune e nel territorio;
          la gestione dei minori non accompagnati è economicamente insostenibile per gli enti locali ed in particolare per il comune di Augusta, atteso che il Ministero dell'interno rimborsa esclusivamente le somme per il mantenimento dei richiedenti asilo politico, mentre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali copre solo una parte dell'importo, delle spese affrontate dal comune per il soggiorno dei minori non accompagnati e sempre in data successiva; sui comuni pertanto grava un onere molto pesante;
          ad oggi gli enti locali ed il terzo settore hanno sviluppato interventi ed azioni per favorire non solo l'accoglienza ma anche l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati con personale esperto, con competenza, con sacrifici forti e immani; oggi è molto difficile proseguire ed i comuni non potranno più, da soli, fare fronte al peso economico di questa gestione;
          il comune di Augusta non è più nelle condizioni di mantenere le comunità che assistono i minori non accompagnati; mancano le strutture ed i mezzi per un trattamento rispettoso della dignità umana e dei diritti dovuti in special modo ai minori;
          le comunità gestite dal terzo settore rischiano di cessare ogni attività;
          vi è un dato sempre trascurato nelle azioni politiche nazionali sulla immigrazione, specie con riferimento ai minori non accompagnati, ovvero che è profondamente iniquo addossare l'onere di sostenimento dei minori non accompagnati ad un ente locale, anziché all'intera collettività nazionale;
          è necessario che le istituzioni nazionali assumano per intero l'onere di mettere a disposizione le risorse finanziarie con specifico riferimento alla posizione dei minori non accompagnati;
          il tema dell'immigrazione è di competenza delle istituzioni nazionali e quello dei minori immigrati non accompagnati non può non competere all'intero Paese;
          in data 13 giugno 2013 nel corso dell'esame dell'interpellanza n.  2-00085 del deputato Moscatt, il Sottosegretario di Stato per l'interno pro tempore in relazione alla disponibilità delle risorse finanziarie con le quali si possa eventualmente venire incontro agli enti locali, con specifico riferimento alla posizione dei minori non accompagnati rispose: «... posso attestare l'impegno del Governo a mettere nell'osservazione del fenomeno e nella soluzione ovviamente dei problemi ad esso connessi una particolare attenzione: qui mi riferisco ovviamente, come del resto lei stesso spiegava prima, soprattutto ai minori stranieri non accompagnati, per i quali è necessario consolidare gli interventi relativi all'accoglienza sia sotto il profilo procedurale sia del reperimento delle risorse dedicate, altro aspetto a cui lei faceva riferimento. Sotto il primo profilo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha avviato contatti con la regione Sicilia, nella consapevolezza che la questione dell'accoglienza in un territorio di sbarco vada affrontata attraverso una governance che coinvolga le istituzioni centrali e locali, esattamente nel senso che lei diceva prima. Per tale ragione presso quel Dicastero è stato istituito un tavolo tecnico con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate;
          con questa iniziativa si è voluta proseguire quella collaborazione istituzionale già avviata con il tavolo di coordinamento nazionale, istituito presso l'amministrazione dell'interno, per l'elaborazione di una strategia di uscita dall'emergenza, che oggi è divenuto organismo permanente. Tra i progetti innovativi elaborati va poi segnalata la realizzazione, attualmente in corso d'opera, di un sistema informativo on line per la tracciabilità del percorso di accoglienza del minore. Tale sistema consentirà a tutti gli operatori coinvolti, dalle forze di polizia agli enti locali, di accedere ad una banca dati condivisa. Vorrei anche ricordare che per incrementare i livelli di efficienza del sistema di accoglienza è stato previsto anche l'ampliamento del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati che, già implementato di 702 posti nel 2012, è stato ulteriormente incrementato di 800 nuovi posti, portandone la ricettività complessiva a 4.500 posti. Infine, al fine di alleggerire le presenze presso il centro di primo soccorso e assistenza di Lampedusa, è stato pianificato il trasferimento degli stranieri presenti verso i centri di assistenza per richiedenti asilo di Bari, Foggia, Crotone, Caltanissetta, Roma e Trapani. In merito alle modalità di finanziamento del complessivo sistema di accoglienza, volevo rammentare che per i minori non accompagnati giunti in Italia durante l'emergenza nord Africa sono in corso di erogazione, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dei contributi relativi alle spese sostenute durante lo scorso anno. Al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi a favore dei minori non accompagnati connessi al superamento dell'emergenza umanitaria, con il decreto-legge n.  95 del 2012 è stato istituito presso lo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito fondo nazionale finalizzato alla copertura dei costi sostenuti dagli enti locali per l'accoglienza. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha attivato tutte le iniziative necessarie per ottenere un rifinanziamento del predetto fondo anche per quanto riguarda l'annualità in corso e, quindi, anche per il 2013. Un ulteriore intervento di fondamentale importanza riguarda poi l'inclusione socio-lavorativa dei minori. Al riguardo, nel 2012, sono stati finanziati, sia con risorse nazionali che del Fondo sociale europeo, specifici percorsi di integrazione per garantire il proseguimento della permanenza dei minori in Italia fino al raggiungimento della maggiore età. Con riferimento, invece, ai minori non accompagnati richiedenti asilo, il Ministero dell'interno ha destinato la somma di 5 milioni di euro per i rimborsi che gli enti locali possono richiedere alle prefetture, in relazione ai costi sostenuti dal momento della formalizzazione della domanda di asilo sino all'inserimento del minore nelle apposite strutture dedicate. Sono, peraltro, già state richieste risorse aggiuntive, da parte del Ministero, rispetto alla somma inizialmente stanziata per coprire le richieste di rimborso relative all'intera annualità del 2013;
          voglio, infine, ribadire che una politica migratoria efficace richiede ovviamente strategie condivise dai vari livelli di governo sul territorio, con interventi coordinati per una migliore razionalizzazione nell'impiego delle risorse, in una logica di condivisione delle responsabilità. L'impegno del Governo sarà orientato in questa direzione, per non trovarsi impreparati di fronte a eventuali criticità e riuscire in tal modo a fronteggiare, con strumenti ordinari, anche le situazioni più delicate e complesse»;
          nonostante quanto sopra attestato dal sottosegretario, ad oggi, non vi è stata la presa in carico totale dell'onere economico della gestione dei minori non accompagnati, non sono definiti percorsi procedurali chiari che consentano interventi coordinati per una migliore razionalizzazione nell'impiego delle risorse, in una logica di condivisione delle responsabilità  –:
          se non si renda necessario ed urgente rendere immediatamente disponibili e per intero le risorse necessarie all'assistenza ed accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, definendo percorsi procedurali chiari che consentano interventi coordinati per una migliore razionalizzazione nell'impiego delle risorse, in una logica di condivisione delle responsabilità;
          cosa sia emerso dal tavolo tecnico istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la regione siciliana;
          quali dati emergano dal sistema informativo on line per la tracciabilità dei minori.
(2-00474) «Amoddio, Speranza, Zappulla, Albanella, Iacono».

Interrogazioni a risposta scritta:


      CORDA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'OUA (Organismo unitario dell'avvocatura) ha indetto una nuova astensione dalle udienze da parte degli avvocati ne giorni dal 21 al 22 marzo 2014. La protesta in essere, iniziata già da tempo, ha lo scopo precipuo di manifestare il profondo disagio dell'avvocatura italiana, come dalla stessa deliberato a Napoli nel gennaio 2014, a causa:
              a) dello stato e delle condizioni in cui versa la giustizia a causa del ricorso ipertrofico alla decretazione d'urgenza, frequentemente, in carenza dei presupposti di legge e, altresì, in carenza di una organica politica giudiziaria e di ogni adeguata possibilità di interlocuzione con il Parlamento;
          b) della persistenza, a parere degli interroganti, di un attacco diretto alla funzione e alla rilevanza costituzionale della professione di avvocato attraverso una politica che parrebbe voler, deliberatamente, procedere allo smantellamento della giurisdizione e, al contempo, scoraggiare l'accesso alla tutela giudiziaria da parte dei cittadini, relegandola a privilegio per coloro che, in virtù delle loro condizioni economiche, possono permettersi il pagamento degli onerosi tributi imposti per ricorrervi;
              c) del fatto che da diversi anni è in atto un processo di svilimento della professione con la inspiegabile esclusione degli avvocati nelle decisioni sensibili per la vita ed il futuro dell'avvocatura;
          a parere degli    interroganti i governi si sono succeduti recentemente hanno sottovalutato, verosimilmente, questo aspetto. L'avvocatura, lungi dal voler instaurare un rapporto conflittuale con il Governo, vorrebbe, tuttavia, svolgere un ruolo di rilievo in quelle che sono le decisioni che condizionano la vita e spesso la dignità della professione. Se è vero che l'avvocato deve svolgere il suo incarico con autonomia ed indipendenza, dignità e decoro al fine di garantire la miglior difesa a tutti i cittadini senza alcuna distinzione nel rispetto degli articoli 24, 111 e 3 della Costituzione; a fortiori deve essere in grado di partecipare attivamente alle riforme e alle vicende che riguardano l'evoluzione, lo sviluppo della professione e l'amministrazione della giustizia, così come dispone l'articolo 35, comma primo lettera q), della legge n.  47 del 2012, in realtà così non è;
          ancor da ultimo, infatti, il disegno di legge di riforma del processo civile, approvato dal Consiglio dei ministri in data 17 dicembre 2013, viene visto dagli avvocati con sfavore.    Infatti non vi è stato il coinvolgimento dell'avvocatura alla quale non è stata neppure richiesta preventivamente quanto meno la sua opinione nonostante si tratti di un provvedimento in grado di incidere ampiamente sullo svolgimento della professione forense e nell'amministrazione della giustizia. Il dissenso verte non solo sull'aspetto formale, segno di un modus operandi non condivisibile e ormai patologico, ma, altresì, nel merito in virtù del fatto che alcune disposizioni, ragionevolmente, si riverberano negativamente nell'amministrazione della giustizia che secondo la Carta costituzionale è amministrata in nome del popolo ex articolo 101. Tra le norme a dir poco discutibili, che hanno generato la ferma opposizione dell'Avvocatura, vi è la previsione del deposito della motivazione della sentenza di primo grado previo pagamento di una quota del contributo unificato dovuto per il giudizio d'appello; in sostanza si tratta di una sorta di sentenza a pagamento. La decisione che verrà emessa dal giudice di prime cure sarà sprovvista della motivazione e sarà costituita quasi dal solo dispositivo, l'organo giudicante deciderà la causa senza esporre in fatto e in diritto come è giunto alla decisione di specie e quale ragionamento ha adottato. In tal senso la disposizione, quanto meno astrattamente, mal si concilia con il precetto di cui al secondo comma, punto n.  4, dell'articolo 132 del codice di procedura civile e, altresì, con l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione. In secondo luogo, e nel merito, il giudice del gravame, che secondo il disegno di legge de quo aspira a diventare monocratico, nel motivare la sua decisione potrebbe tout court rifarsi alle conclusioni del giudice di prime cure, motivando, quindi, per relationem. Aspetto anch'esso, a parere degli interroganti, quanto meno discutibile. Disciplinare ciò che avviene nella prassi, con lo scopo di semplificare la motivazione di una sentenza d'appello, potrebbe, ragionevolmente, dare origine a delle storture. Non si può, a parere degli interroganti, ancorare la giustizia a criteri di mera produttività;
          non si comprende, poi, la disposizione che prevede la responsabilità in solido tra l'avvocato e il proprio assistito in caso di lite temeraria ex articolo 96 del codice di procedura civile. Appare una disposizione illogica e priva di fondamento che parrebbe volere ascrivere agli avvocati, del tutto gratuitamente, la responsabilità per il degrado e il continuo svilimento della giustizia. Non sono chiari, poi, i criteri di valutazione per stabilire, ex ante, la sussistenza di un eventuale accordo tra avvocato e parte assistita al fine di agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave. Se è vero che queste disposizioni sono animate dalla ratio, peraltro apprezzabile, di ridurre i tempi e i costi del processo è anche vero che, a parere degli interroganti, non rappresentino lo strumento più efficace ed equo per realizzare lo scopo che il legislatore intende perseguire. Gli interventi normativi de quibus rappresentano, invece, una sorta di Giano bifronte che non restituisce efficienza alla macchina della giustizia ma contribuisce a renderla un privilegio a discapito soprattutto dei cittadini più deboli;
          negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di interventi e modifiche al codice di procedure civile, tuttavia, lungi dal consentire un'ottimizzazione dei tempi e dei costi del processo si è, invece, giunti ad un esito contrario: i tempi non sono stati ridotti e i costi non sono diminuiti. I tempi del processo sono aumentati in media di due anni e i costi sono lievitati tanto da far aumentare gli importi del contributo unificato del 55,62 per cento per il primo grado di giudizio, del 119,15 per cento per l'appello e del 182,67 per cento per il ricorso al giudice di legittimità oltre alla triplicazione dei costi, a partire dal 2 gennaio 2014, della marca da bollo necessaria per iscrivere a ruolo una causa civile, amministrativa o tributaria. Inoltre, appare irragionevole che non sussistano differenziazioni, per fasce di reddito, per coloro che intendano iniziare una causa. Ciò rappresenta un pregiudizio per il diritto di difesa dei più deboli. I recenti provvedimenti legislativi hanno, altresì, indebolito la difesa penale per coloro che beneficiano del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Difatti, lo svilimento economico della prestazione professionale degli avvocati d'ufficio incentiva la richiesta da parte loro di cancellazione dai rispettivi elenchi; questo, a parere degli scriventi, implicherà ulteriori riduzioni di tutela per i non abbienti. La riduzione dei compensi per i difensori penalisti, già previsto dal decreto ministeriale n.  140 del 2012 e confermato da ultimo con la    legge di stabilità, va a detrimento sia degli avvocati, in particolare dei più giovani che intraprendono la professione, che dei cittadini ammessi al patrocinio a spese dello Stato. La situazione è ulteriormente aggravata dalle disfunzioni che caratterizzano i procedimenti di liquidazione dei compensi degli avvocati; si tratta di una vera e propria patologica del sistema che si concreta, frequentemente, nella dilatazione irragionevole dei tempi per l'emissione dei decreti di liquidazione e per il pagamento. Ciò arreca, ancora una volta, un pregiudizio morale prima di tutto e poi economico ai professionisti più giovani e, indirettamente, al cittadino; quest'ultimo vero anello debole della catena nonostante la vigenza dell'articolo 24 della Carta costituzionale;
          è notizia dei giorni scorsi che il presidente del CNF (Consiglio nazionale Forense), l'avvocato Guido Alpa, ha incontrato il Guardasigilli, al fine di giungere ad una soluzione delle problematiche che preoccupano l'Avvocatura nell'interesse del cittadino e dei suoi diritti. In tale occasione veniva auspicata dal Ministro una fattiva collaborazione attraverso una celere approvazione dei regolamenti di attuazione della riforma forense nonché l'avvio di un tavolo di lavoro con l'Avvocatura. La recente firma del decreto ministeriale che aggiorna i parametri forensi rappresenta un ulteriore passo in avanti. Tale intento, certamente apprezzabile, si presenta tuttavia, in considerazione degli interessi di tutte le persone, come improcrastinabile e rende necessario un intervento immediato e concreto;
          in data 7 febbraio 2014 l'Assemblea degli avvocati del foro di Cagliari indiceva uno sciopero/consistente nella astensione delle udienze sine die, a partire dall'11 febbraio 2014. L'intento veniva confermato in data 27 febbraio 2014, con l'obiettivo precipuo di far comprendere la vera gravità della situazione in cui versa la giustizia, l'avvocatura e in particolare quella sarda data la congiuntura economica attuale che incide maggiormente in un'economia già debole;
          a giudizio degli interroganti l'enorme disagio non solo professionale ma anche umano che vivono gli avvocati, la precarietà della giustizia italiana e soprattutto lo svilimento del diritto di difesa del cittadino richiedono un intervento profondo, organico ed immediato al fine di restituire equità alla giustizia, decoro e dignità alla professione forense e, conseguentemente, una compiuta tutela dei cittadini  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quali misure urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare e in quali termini al fine di intervenire compiutamente nella risoluzione delle problematiche descritte in premessa;
          se intenda avviare con urgenza un tavolo di lavoro tra i soggetti interessati a livello nazionale e regionale, considerata l'estrema complessità e la delicatezza della situazione in cui versano la giustizia, i suoi operatori e la tutela dei cittadini. (4-04179)


      LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          così come riportato da fonti di stampa il 21 marzo 2014, mentre il Presidente del Consiglio dei ministri annuncia la dismissione delle prime cento auto di servizio della pubblica amministrazione e il Ministro dell'interno dichiara che metterà in vendita su eBay 78 automobili del Viminale, sul sito della CONSIP è possibile reperire un bando, scaduto il 27 febbraio 2014, per l'acquisto di 210 cosiddette «auto blu» e pubblicato presso il link http://www.consip.it;
          più precisamente si può leggere nell'avviso per l'estratto del bando di gara che si tratta di «una gara a procedura aperta ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, per la fornitura in acquisto di autoveicoli e dei servizi connessi ed opzionali per le pubbliche amministrazioni – autovetture protette – ID 1215. La gara sarà aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. La base d'asta è pari a 23.305.000,00 Euro»;
          nel disciplinare di gara, reperibile sempre sul sito web della CONSIP, si può leggere che – nonostante «la legge n.  125 del 30 ottobre 2013 recante “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” stabilisca che “(...) fino al 31 dicembre 2015 le Amministrazioni Pubbliche di cui al comma 141 della legge n.  228 del 24 dicembre 2012 non possono acquistare autovetture (...)» – sempre secondo quanto disposto dalla medesima legge, «tale disposizione non trova applicazione per gli acquisti effettuati per le esigenze del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza»;
          tuttavia, non è ben chiaro quale sia la reale destinazione d'uso delle automobili in questione, anche perché all'articolo 1 (Definizioni) dell'allegato n.  4 allo schema di convenzione, recante le «condizioni generali» e sempre reperibile sul sito web della CONSIP, si può leggere che per «Amministrazioni o Enti» si intendono «le amministrazioni che – sulla base della normativa vigente – sono legittimate ad utilizzare la Convenzione, in particolare le Pubbliche Amministrazioni definite dall'articolo 1 del decreto legislativo n.  165 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni, come richiamato dall'articolo 58, Legge 23 dicembre 2000, n.  388, nonché i soggetti che ai sensi della normativa vigente (es.: i soggetti di cui all'articolo 2, comma 573 Legge n.  244 del 2007 e i movimenti politici, ex articolo 24, comma 3, Legge n.  289 del 2002), sono legittimati ad utilizzare la Convenzione»  –:
          quale sia la effettiva destinazione d'uso all'interno della pubblica amministrazione per le 210 «auto blu» che lo Stato sta per acquistare;
          come si concilino le recenti dichiarazioni di autorevolissimi membri del Governo e il bando in questione. (4-04181)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


      RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 23 marzo 2014 si è appreso dalle agenzie di stampa che Gianluca Salviato, tecnico dell'impresa friulana «Enrico Ravanelli» di Venzone, lo scorso 22 marzo, è scomparso in Libia, dove l'impresa sta realizzando opere infrastrutturali;
          Gianluca Salviato ha 48 anni, è originario di Martellago nella provincia di Venezia e lavora da alcuni anni per la predetta società che opera nel settore delle costruzioni;
          secondo quanto dichiarato da un funzionario dell'impresa, il giorno in cui è scomparso, Gianluca Salviato si trovava a Tobruk, in Cirenaica, per effettuare un sopralluogo di collaudo e stava seguendo i lavori di realizzazione degli impianti fognari;
          si ipotizza che si tratti di un rapimento a scopo di estorsione, ma, sul punto, ad oggi, non vi è ancora certezza sulle cause della scomparsa;
          si teme per la vita di Salviato in quanto è malato di diabete e per sopravvivere ha bisogno dell'insulina, medicinale di cui si ritiene essere sprovvisto poiché l'auto di cui si era servito è stata ritrovata abbandonata e con all'interno le quantità di insulina a lui necessarie;
          a quanto è dato sapere, La Farnesina si sta occupando della vicenda ed è in contatto costante con l'unità di crisi e l'ambasciata italiana a Tripoli; al riguardo, l'ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ha incontrato il Ministro della difesa libico, Abdallah Abdulrahman Al-Theni, per fare il punto della situazione;    
          all'interrogante appaiono esservi delle gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri per la scomparsa di Gianluca Salviato;
          difatti, l'interrogante già con una precedentemente interrogazione del 4 febbraio 2014 (4-03364) ha denunciato il sequestro di altri due operai, poi rilasciati, in territorio libico, evidenziando le gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri, posto che si ritiene non adotti adeguati provvedimenti per tutelare la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia considerando la situazione di rischio per la sicurezza che sussiste in tale Stato;
          il predetto Ministero è ben consapevole che molte imprese italiane operano in tale territorio e dei rischi a cui sono quotidianamente sottoposti i lavoratori, pertanto, la scomparsa di Gianluca Salviato è l'ennesima prova secondo l'interrogante dell'incapacità della Farnesina di promuovere azioni per tutelare l'incolumità fisica di coloro che lavorano in tale Stato;
          inoltre, come già denunciato dall'interrogante, con il predetto atto, la situazione è resa più grave dal fatto che il Ministero degli affari esteri non si adopera adeguatamente per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane in Libia successivi alla crisi dell'anno 2001;
          la mancata liquidazione di tali crediti, determinando la crisi delle aziende coinvolte, ha costretto, a rischio di vita, gli imprenditori e gli operai delle stesse a continuare ad operare in Libia pur di far «sopravvivere» tali attività;
          negli anni, tali fatti sono stati denunciati più volte dalle imprese, tra cui la Friulana Bitumi International srl, al Ministero degli affari esteri; tuttavia, ad oggi, tali realtà risultano totalmente abbandonate dalle istituzioni, sia per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori che rispetto alla liquidazione dei crediti di cui sono titolari le imprese italiane;
          con atto del 27 febbraio 2014, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Giro, ha fornito risposta alla predetta interrogazione che non è stata ritenuta soddisfacente dall'interrogante, in particolare, relativamente alle misure predisposte per l'incolumità dei lavoratori italiani in Libia nonché i provvedimenti adottati per la liquidazione dei crediti  –:
          se e quali iniziative siano state adottate dal Ministro interrogato per rintracciare Gianluca Salviato, tecnico dell'impresa friulana «Enrico Ravanelli» di Venzone, scomparso in territorio libico;
          se e quali interventi abbia posto in essere il Ministro interrogato per tutelare i lavoratori delle imprese italiane che operano in Libia, considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
          se e quali concreti provvedimenti abbia adottato per risolvere la ben nota situazione che vede una moltitudine di imprese italiane in attesa, da molti anni, della liquidazione di crediti in Libia, costringendo le stesse, per stato di necessità, a continuare ad operare in territorio libico al fine di far sopravvivere le proprie attività. (4-04175)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
          nella giornata di lunedì 24 marzo 2014 gli organi di stampa hanno diramato la notizia dell'esecuzione, da parte della Guardia di finanza, di quattro arresti nell'ambito dell'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli sulle procedure di affidamento, progettazione e realizzazione del sistema di tracciabilità dei rifiuti «SISTRI»;
          secondo la ricostruzione della Guardia di finanza: «le indagini consentivano di accertare che, attraverso un articolato sistema di false fatturazioni e sovrafatturazioni nei rapporti tra la Selex Service Management S.p.a. e le molteplici società affidatarie compiacenti, erano stati creati cospicui “fondi neri”, destinati, secondo la ricostruzione accusatoria avvalorata dal Gip, al pagamento di tangenti, anche mediante la costituzione di società estere in paradisi fiscali del Delaware (Usa) e l'apertura di conti correnti cifrati in Svizzera»;
          in tale ambito, secondo gli investigatori, l'imprenditore Angeloni «appariva aver costituito una sorta di braccio operativo dei vertici di Finmeccanica, occupandosi della richiesta e dell'esazione delle somme di denaro illecitamente accumulate, per recapitarle ai vertici del gruppo industriale»;
          a quanto risulta, le investigazioni riguardano anche un episodio di corruzione per 4 milioni di euro, parte dei quali consegnati per contanti direttamente negli uffici di Finmeccanica, celati all'interno di due borsoni della società sportiva Valle del Giovenco;
          il Gip ha disposto anche il sequestro preventivo di 28 conti correnti e due cassette di sicurezza, riconducibili alle persone fisiche a vario titolo coinvolte nell'indagine e sono in corso diverse perquisizioni;
          secondo quanto riportato da Il Sole 24 ore, «Una delle perquisizioni eseguite dagli uomini del Nucleo polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli riguarda l'abitazione romana di Pier Francesco Guarguaglini, ex presidente di Finmeccanica»;
          al momento i protagonisti di questa vicenda sono: Lorenzo Borgognoni: ex direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica, già protagonista dell'indagine Finmeccanica e della commessa degli elicotteri Augusta; Stefano Carlini: ex direttore operativo della SELEX service management; Vincenzo Angeloni: dentista, ex parlamentare di Forza Italia e AN, fondatore ed ex presidente delle società di calcio Avezzano Calcio e Valle del Giovenco (dentro i cui borsoni avrebbero viaggiato milioni di euro destinati alla corruzione) e già indagato nel 2010 per i presunti casi di corruzione nella ricostruzione post-terremoto a L'Aquila; Luigi Malavisi: uno dei manager che nel tempo si sono succeduti alla direzione strategica dell'azienda URMET società che controlla la RCS (Research Control System);
          la RCS è la società che nei primi anni del 2000 costruì un sistema di monopolio che causò un aggravio di costi nel sistema delle intercettazioni e nel 2005 due suoi manager – Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli – recapitarono i nastri di un'intercettazione di una conversazione telefonica svoltasi tra Consorte (AD di Unipol) e Fassino (Segretario dei DS), ancora non nota ai magistrati, a Silvio Berlusconi – all'epoca dei fatti leader dell'opposizione – nella sua villa di Arcore; da quell'episodio nacque un'inchiesta penale che ha portato al rinvio a giudizio dei protagonisti;
          l'inchiesta è lo sviluppo delle indagini avviate a inizio 2013 quando furono coinvolti anche altri personaggi; tra questi Francesco Paolo Di Martino – presidente delle Eldem security subappaltatrice di SELEX per la produzione delle permette usb che, associate alle black box, dovevano assicurare la tracciabilità dei rifiuti – succeduto a Vincenzo Angeloni e a Sabatino Stornelli alla Presidenza della società calcistica Pescina Valle del Giovenco che potrebbe aver usufruito di sponsorizzazioni da parte di società collegate a SELEX e al sistema SISTRI;
          Francesco Paolo Di Martino venne anche coinvolto nelle indagini del 2009 quando venne intercettata una sua mail indirizzata all'ex amministratore delegato di SELEX Maurizio Stornelli; secondo il Gip di Napoli quella mail svelerebbe un chiaro accordo tra Di Martino e Stornelli, i presunti grandi artefici del vortice di false fatturazioni che ha affossato il progetto Sistri, «finalizzato a giustificare attraverso dei contratti di consulenza dei trasferimenti di denaro a favore del professor Malinconico»;
          già un anno fa sul sito «lanotiziagiornale.it» si poteva leggere che Malinconico ricevette dal Ministero dell'ambiente un doppio mandato, prima in qualità di consulente per la valutazione del contratto di assegnazione dell'incarico a Selex, poi come Presidente della Commissione di vigilanza sulla realizzazione del progetto;
          il Gip, in un altro passaggio dell'ordinanza, afferma che «Nella decisione di addivenire alla stipula con Selex del contratto per il Sistri contribuisce in maniera rilevante il professor Malinconico, nominato consulente del Ministero e incaricato di presiedere la commissione di vigilanza sulla corretta e tempestiva attuazione del progetto»; emblematica dell'atteggiamento «benevolo» di malinconico nei confronti di Selex, secondo i gip, sarebbe la relazione della commissione di vigilanza guidata dall'ex sottosegretario all'indomani del «click day» dell'11 maggio 2011, il giorno della messa in esecuzione del progetto Sistri rivelatosi un vero e proprio flop; «Entro il termine previsto dall'accordo contrattuale tra il Ministero e Selex», scrive ancora il gip, «non solo il progetto non era partito, ma non era nemmeno in grado di essere programmato. Ciononostante, non vengono adottati provvedimenti risolutori o sanzionatori nei confronti del concessionario»;
          dalle analisi della polizia giudiziaria, le ragioni del ritardo rispetto alla tabella di marcia appaiono chiare: la produzione delle «scatole nere» destinate agli automezzi impegnati nello smaltimento dei rifiuti sarebbe stata subappaltata in gran parte a un soggetto esterno (la società VIASAT), senza dare comunicazioni al Ministero dell'ambiente né avere l'autorizzazione dalla stazione appaltante; mentre i ritardi nella distribuzione sono attribuibili, in base a quanto emerso dagli atti, al cattivo funzionamento degli strumenti, alla necessità di intervenire per provvedere alla riparazione ed alla relativa sostituzione: tutte circostanze, scrive il gip, «nascoste dalla Selex al Ministero»;
          tutto ciò è avvenuto in contrasto con quanto previsto dall'articolo 18 del contratto stipulato tra SELEX e Ministero dell'ambiente dove si legge che: «Selex non potrà subappaltare neanche in parte le prestazioni e i servizi oggetto del presente Contratto se non previa autorizzazione del Ministero, al quale dovranno essere sottoposti preventivamente i nominativi delle ditte subappaltatrici, nonché il dettaglio delle prestazioni da affidare in subappalto. L'affidamento in subappalto sarà condizionato all'iscrizione del subappaltatore alla Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura (CCIAA), competente per territorio, alla sussistenza nei suoi confronti dei requisiti di ordine generale previsti dall'articolo 38 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, nonché al possesso del Nulla Osta Sicurezza Aziendale. Qualora autorizzato, il subappalto non potrà superare il valore del 30 per cento del Corrispettivo Complessivo del Contratto, come calcolato ai sensi dell'articolo 7. Nel caso di subappalto autorizzato resta comunque ferma la responsabilità di Selex, la quale, pertanto, risponderà pienamente e direttamente nei confronti del Ministero della regolare esecuzione e dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal presente Contratto. In particolare Selex dovrà provvedere a depositare presso il Ministero copia autentica del contratto con la ditta subappaltatrice, almeno 20 (venti) giorni prima dell'inizio delle relative attività. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo autorizza il Ministero a risolvere il presente Contratto in danno di Selex ai sensi dell'articolo 1456 del Codice Civile. Si applica, in ogni caso, l'articolo 118 del decreto legislativo n.  163 del 2006»;
          a fronte di questa situazione disastrosa, la Commissione presieduta da Malinconico incaricata di verificare la corretta e tempestiva attuazione del progetto, riscontrando la piena conformità alle richieste del Ministero dell'ambiente, concludeva così l'analisi sull’iter del progetto SISTRI: «la verifica effettuata ha dato esito positivo sotto il profilo infrastrutturale, strumentale e funzionale»;
          nonostante queste notizie il 13 settembre 2013 il Ministero dell'ambiente. Rispondendo all'interrogazione n.  5-00913 con la quale si chiedeva di relazionare sullo stato di avanzamento del sistema SISTRI ed eventualmente sulla possibilità di superarlo, dichiarò che: «Allo stato inoltre, le note vicende che hanno portato, a suo tempo, all'affidamento del contratto alla società SELEX con trattativa privata coperta inizialmente da segretazione, e attenzionate anche dalla magistratura penale, non sono sfociate nessun accertamento definitivo di illegittimità dell'affidamento medesimo. Invero, è in atti, oltre al contestato parere a firma dell'avvocato Malinconico (oggetto di indagini penali), anche un parere ufficiale dell'Avvocatura Generale dello Stato, che giudica legittimo sia il vincolo di segretazione, sia l'affidamento a trattativa privata [...]. Sicché ad oggi: a) non vi è alcun contenzioso giurisdizionale amministrativo pendente, che possa sfociare in una declaratoria di illegittimità dell'affidamento in favore di SELEX; b) non vi sono a fronte di un parere favorevole dell'Avvocatura generale dello Stato, elementi per giudicare invalido l'affidamento e intervenire su di esso in via di autotutela (...); c) non sono noti gli esiti delle indagini penali in corso, sicché neppure si può ipotizzare, allo stato, che l'affidamento del contratto sia stato frutto di un illecito penale. In tale contesto, il contratto non può che essere considerato valido e legittimo, e si impone il rispetto degli obblighi contrattuali da parte del Ministero»;
          dopo aver sottolineato l'impossibilità di azzerare il sistema SISTRI per non incorrere in responsabilità contrattuali, il Ministero aggiunge che «In una realtà quale quella italiana connotata da continue e plurime emergenze rifiuti e da continue e comprovate infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, è irrinunciabile che lo Stato si doti di un efficiente ed efficace sistema di tracciamento dei rifiuti, che non può non passare per un sistema informatico meno eludibile di quello cartaceo»;
          il sito del Ministero dell'ambiente dice del SISTRI che: «Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica amministrazione per permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania. Il Sistema semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità nel settore dei rifiuti speciali costituisce una priorità del Governo per contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti e, in particolare, per mettere ordine a un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare, tra l'altro, i compiti affidati alle autorità di controllo [...]. I vantaggi per lo Stato, derivanti dall'applicazione del SISTRI, saranno quindi molteplici in termini di legalità, prevenzione, trasparenza, efficienza, semplificazione normativa, modernizzazione. Benefici ricadranno anche sul sistema delle imprese. Una più corretta gestione dei rifiuti avrà, infatti, vantaggi sia in termini di riduzione del danno ambientale, sia di eliminazione di forme di concorrenza sleale tra imprese, con un impatto positivo per tutte quelle che, pur sopportando costi maggiori, operano nel rispetto delle regole»;
          a fronte di questi buoni propositi ad oggi ci si trova nella condizione di avere un sistema che non risulta essere caratterizzato da legalità, trasparenza, efficienza, semplificazione e modernizzazione del sistema di tracciamento dei rifiuti; un sistema che, oltretutto, si proponeva di creare benefici alle imprese e riduzione dei costi e che invece fin'ora ha comportato per le stesse solo spese e complicazioni a fronte di un servizio mai reso;
          Confartigianato a maggio 2012 quantificava le spese sostenute da 325.470 imprenditori in 70 milioni di euro per iscriversi al Sistri, acquistare oltre 500 mila chiavette usb e quasi 90 mila black box. A proposito di queste spese in una inchiesta della trasmissione Report andata in onda nel 2012 si puntava l'attenzione sugli elevati costi dei singoli elementi: 500 euro più iva per le black box, mentre sul mercato se ne trovano di simili a 70 euro e 75 euro più iva per le pendette USB mentre il prezzo di mercato si aggira intorno ai 4 euro;
          il progetto del sistema integrato di gestione dei rifiuti viene avviato nel 2007 dal Ministro dell'ambiente pro tempore Pecoraro Scanio, durante il Governo Prodi;
          il 5 settembre del 2008 il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi firma il decreto-legge che pone il segreto di Stato sul progetto, giustificato dal fatto che si stava impiegando una «avanzatissima tecnologia militare», la quale deve essere il più possibile inaccessibile agli operatori illegali dello smaltimento dei rifiuti;
          il 14 dicembre 2009 il Ministero dell'ambiente firma con la società Selex service management (gruppo Finmeccanica) l'accordo per la progettazione e la gestione del SISTRI;
          il decreto ministeriale 17 dicembre 2009 sancisce quindi la nascita del SISTRI stabilendo i soggetti obbligati ad aderirvi, le linee guida, il regime transitorio per il paesaggio al nuovo sistema, le apparecchiature elettroniche di cui le aziende dovranno dotarsi e i costi a carico delle stesse;
          a maggio 2011, il cosiddetto click day, cioè il collaudo generale del sistema voluto dalle associazioni imprenditoriali in vista dell'imminente partenza del sistema del 1o giugno (in seguito ulteriormente prorogata), porta risultati al di sotto delle attese: un terzo delle imprese coinvolte registrò problemi nella gestione del sistema, a causa di malfunzionamenti delle apparecchiature elettroniche e di carenze del sistema informativo centrale che non fu in grado di garantire l'accesso a tutti gli operatori;
          la storia del sistema SISTRI, che sarebbe dovuto partire a luglio del 2010, è costellata da continui rinvii, di cui si riporta la successione cronologica: 1o ottobre 2010; 1o gennaio 2011; 31 maggio 2011; 1o giugno 2011; 1o settembre 2011; aprile 2012 (decreto «Milleproroghe» del 23 dicembre 2011); 30 giugno 2013; 1o ottobre 2013; 1o gennaio 2015 (decreto «Milleproroghe» del 30 dicembre 2013 n.  150 come modificato dalla legge 27 febbraio 2014, n.  15);
          dal contratto sopra ricordato tra il Ministero e SELEX all'articolo 12 «Durata del contratto e trasferimento della proprietà dell'infrastruttura» risulta che il termine della validità del contratto medesimo è fissata al 30 novembre 2014 con possibilità di rinnovo per una durata quinquennale da determinarsi con 24 mesi di anticipo prima della scadenza  –:
          se il Ministro interpellato intenda confermare le notizie riportate sugli organi di stampa secondo le quali i subappalti realizzati da SELEX non sarebbero stati comunicati e autorizzati dal Ministero come previsto nell'articolo 18 del contratto e in caso quali provvedimenti, anche di carattere risarcitorio, si intendano adottare nei confronti dell'impresa contraente;
          se nel procedimento giudiziario, lo Stato, segnatamente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non intenda costituirsi parte civile ai sensi dell'articolo 1 della legge 3 gennaio 1991, n.  3;
          se il Ministro interpellato non ritenga opportuno valutare la possibilità di recedere dal contratto con la SELEX e procedere con un nuovo procedimento amministrativo per riaffilare il servizio con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità prevedendo nel contenuto del nuovo assetto contrattuale anche l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie;
          se il contratto di affidamento del servizio a SELEX sia stato rinnovato nei tempi e nei modi previsti e, nel caso, quali siano le eventuali modifiche inserite, in modo particolare rispetto alle procedure di recesso anticipato;
          se possano essere prese in considerazione forme di rimborso da destinare alle imprese che fino ad oggi si stima abbiano versato oltre 70 milioni di euro a fronte di un servizio del quale non hanno mai potuto usufruire, tenuto conto che il Governo pro tempore, nell'accogliere l'ordine del giorno a prima firma Busto, accolto come raccomandazione dal Governo il 24 ottobre 2013, si era impegnato ad adottare un piano di intervento che prevedesse che ogni onere versato a titolo di contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012 dai soggetti di cui all'articolo 3 del 17 dicembre 2009 fosse restituito o compensato secondo le modalità previste ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
          per quale motivo, a fronte delle gravissime vicende riportate in premessa, il Ministro interpellato non abbia ritenuto di dover intervenire prima, anche adottando le misure qui ipotizzate.
(2-00473) «Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Zolezzi, Nuti».

Interrogazione a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da un articolo di Giovanni Valentini, pubblicato da La Repubblica il 24 marzo 2014, dell'intenzione da parte dell'amministrazione comunale di Bussi sul Tirino (PE) di reindustrializzare il sito produttivo di Bussi;
          Bussi sul Tirino è stato da sempre considerato un sito di grande interesse industriale grazie alla ricchezza di acqua. Così nel 1901 la società Franco-Svizzera di Elettricità, divenuta poi Società Italiana di Elettrochimica, ottenne la concessione di installare impianti per la produzione di cloro, sfruttando il fiume sia per il fabbisogno di acqua dell'industria stessa che per la produzione di energia elettrica. Nel 1907 Bussi rappresenta la prima produzione in Italia dell'alluminio con il metodo elettrochimico. Dopo la prima guerra mondiale il polo industriale si concentrò sulla produzione di ferro-silicio (corazze per le navi), clorati (per esplosivi), fosgene (da tetracloruro di carbonio per gas asfissianti), Ioduro e cloruro di benzile (gas irritanti e lacrimogeni), acido benzoico (irritanti). Nel dopoguerra gli impianti passarono sotto la gestione della Montecatini che dal 1960 concentrò lo sfruttamento per la produzione di cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Nel luglio del 1966 venne costituita la SIAC (Società italiana additivi per carburanti) che assunse, nel gennaio del 1967, la gestione del settore produttivo piombo-alchili. Tra il 1989 e il 1994 furono potenziati gli impianti per l'acqua ossigenata e per il clorometano. Nel 1995 fu installato un nuovo impianto per la produzione di detergenti domestici con la caratteristica di esercitare a freddo l'effetto sbiancante a cui si uniscono le proprietà battericide;
          per quanto sopraesposto si evince che le attività del polo industriale di Bussi sul Tirino, storicamente, sono state caratterizzate da produzioni di grande nocività per la fauna, la flora, l'equilibrio idrico dell'area e gli esseri umani;    
          secondo il detto articolo di Repubblica ed anche nella relazione della regione Abruzzo in relazione al sito si conferma che: «il Corpo Forestale dello Stato ha individuato, in località Bussi sul Tirino (PE), un'area estesa circa 30.000 mq, sita a poca distanza dalla confluenza dei fiumi Tirino e Pescara (nella sponda sinistra del fiume Pescara) nei pressi della stazione ferroviaria del medesimo comune, in cui è stata rinvenuta una notevole quantità di rifiuti (per una volumetria presumibile di circa 240.000 me). Sono in corso già da tempo e analisi chimico-fisiche dei materiali rinvenuti da parte dei tecnici dell'ARTA Abruzzo, impegnati nella zona anche per indagini più vaste, commissionate dalla Regione Abruzzo, inerenti studi della qualità delle acque di falda («Pozzi Sant'Angelo»), da cui si preleva acqua per fini potabili da parte dell'ACA, azienda acquedottistica di Pescara. Dalle analisi di laboratorio effettuate dall'ARTA Abruzzo e dai sondaggi e carotaggi che ad oggi sono stati eseguiti, è risultato che i rifiuti sono costituiti da sostanze altamente nocive, per lo più cancerogene, come: cloroformio, esacloroetano, tetracloruro di carbonio, tetracloroetano, tricloroetilene, idrocarburi policiclici aromatici, frammiste a terreni inquinati. Alcune di queste sostanze sono la base degli acidi solitamente utilizzati nelle tintorie. L'area suddetta, posta nei pressi del viadotto autostradale A 25 (Roma-Pescara), è stata ceduta nel 1999 dalla MONTEDISON ad una Società immobiliare di Milano, si trova in un ambito territoriale molto delicato, a poca distanza dai territori dei due Parchi Nazionali: Maiella Morrone e Gran Sasso e Monti della Laga, è stata posta sottosequestro dalla Magistratura di Pescara che sta svolgendo le relative indagini. La Regione Abruzzo, la Provincia di Pescara ed il Comune di Bussi sul Tirino, tramite i rispettivi rappresentanti istituzionali, hanno dichiarato di volersi costituire come parte civile nell'eventuale giudizio di responsabilità per il danno ambientale arrecato»;
          anche Legambiente Abruzzo lamenta come Bussi sul Tirino si configuri come un'area a gravissimo inquinamento ricompresa tra i gioielli ambientali e paesaggistici del Parco del Gran Sasso e il Parco della Maiella. Tra i «Siti di interesse nazionale» figura anche Bussi sul Tirino. I SIN sono stati definiti dal decreto legislativo n.  22 del 1997 (decreto Ronchi) e nel decreto ministeriale n.  471 del 1999 e ripresi dal decreto n.  152 del 2006 che stabilisce che essi sono individuabili in relazione alle caratteristiche dei sito, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini sanitari e ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali;
          secondo una prima stima effettuata dall'Ispra per il Ministero della salute si valuta in 8,5 miliardi di euro il danno ambientale per quel territorio e in circa 500-600 milioni di euro il costo di bonifica dell'area inquinata, ora ricoperta, come testimonia Repubblica: «da un sarcofago, con un telone impermeabile e sopra un terrapieno in ghiaia»;
          l'interrogante ha presentato due atti di sindacato ispettivo nella passata XVI legislatura aventi il medesimo oggetto, senza però aver ottenuto alcuna risposta  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
          se e quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per aggiornare, dopo anni, lo studio e il grado di inquinamento del SIN di Bussi sul Tirino;
          se intendano altresì chiarire lo stato degli interventi di bonifica, anche primaria, dei siti produttivi e inquinati finora attuati;
          da ultimo, se non intendano valutare l'opportunità di istituire, per quanto di competenza e di concerto con l'amministrazione comunale e la regione Abruzzo, un tavolo tecnico interministeriale per implementare un piano di rilancio socio-economico della comunità montana, anche attraverso un piano di reindustrializzazione dell'area, a patto punto di vista ambientale e compatibile con i predetti piani di bonifica. (4-04176)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


      PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          i rappresentanti del gruppo di Gruppo consiliare del comune di Bonorva – «Bonorva autonomia e progresso e unidos Bonorva» nelle persone di Antonio Zanza, Angelo Solinas, Mariano Sanna, Gian Pietro Marras hanno segnalato il gravissimo deterioramento e colpevole stato di abbandono delle Domus de Janas de Sa Pala Larga (Una sepoltura della cultura di Ozieri anteriore 3000 a.c.) nel comune di Bonorva, una delle necropoli più importanti dell'isola;
          nel sito archeologico di primaria importanza è ampiamente documentato il patrimonio artistico-culturale di cui le popolazioni preistoriche disponevano;
          all'interno della grotta, destinata a ospitare i defunti, sono stati, infatti, individuati motivi del Neolitico come la protome taurina, le spirali, il motivo della scacchiera e l'uso della pittura (di color rosso e ocra) per coprire le pareti (cit. Aristanis Bike);
          la tomba con tutto il suo materiale e le sue incisioni si stanno irrimediabilmente deteriorando senza che nessuno faccia nulla;
          tutto questo patrimonio oltre al suo colpevole deterioramento risulta non essere fruibile al pubblico;
          George Nash, archeologo del dipartimento di archeologia e antropologia dell'università di Bristol ed esperto mondiale di arte preistorica, scrisse sul Quotidiano di storia e archeologia il 15 agosto 2012: Lo straordinario stato di conservazione di questo esempio di arte preistorica è paragonabile per importanza alle immagini dipinte all'interno della camera dell'oracolo dell'ipogeo di Hal-Saflieni a Malta;
          la considerazione finale dell'illustre scienziato archeologo è la seguente: questa scoperta è di importanza internazionale e dovrebbe essere condivisa tra i ricercatori di arte preistorica;
          l'aver sigillato il monumento rappresenta un crimine contro la comprensione delle vere origini del neolitico dell'Europa meridionale;
          la soprintendenza in totale contraddizione tra le affermazioni e le azioni sostiene l'eccezionalità della tomba, dovuta soprattutto alle bellissime pitture interne ma a sua volta l'ha «sigillata» con grandi blocchi di pietra ricoprendo in seguito il tutto con una colata di cemento;
          oggi in molte parti la tomba risulta crollata e sommersa dall'acqua, aggravandone così lo stato di conservazione;
          la stessa soprintendenza con un'azione secondo l'interrogante inaudita ha precluso il sito sia alle persone che vogliono visitarlo che ai ricercatori rilevando che la necropoli si trova in un luogo isolato e difficilmente accessibile violando come si legge nella Convenzione europea De La Valletta gli articoli 7-8-9 per la salvaguardia del patrimonio archeologico e la condivisione delle scoperte con la comunità scientifica visto che del sito si è venuto a conoscenza solo grazie ad appassionati archeologi locali;
          a proposito della convenzione de La Valletta, la soprintendenza continua secondo l'interrogante ad ignorarla ed applicare propri orientamenti che appaiono all'interrogante in contrasto con buon senso e senso di responsabilità;
          la stessa soprintendenza per quanto riguarda la tutela e valorizzazione del sito di Sa Pala Larga sostiene che ci saranno sempre problemi di valorizzazione per la posizione isolata del sito;
          afferma che mancano i fondi;
          ora il sito non solo non è più sigillato ma è in pericolo di ulteriori crolli e non sono serviti e non servono le reiterate segnalazioni che da qualche tempo si susseguono, anche fotografiche, fatte da appassionati, archeologi, e cittadini sui portali internet e sul social network Facebook;
          le Domus de Janas de Sa Pala Larga versano in condizioni pietose senza che nessuno delle autorità competenti faccia qualcosa;
          il territorio continua ancora inesorabilmente ad essere privato di un bene che può produrre ricchezza e toglie al comune di Bonorva e alla Sardegna un'attrazione che serve e può servire per quel rilancio che tutti vogliamo per la nostra terra;
          risulta indispensabile un intervento urgente di consolidamento, restauro e di vigilanza per preservare il predetto bene identitario consentendo la sua completa valorizzazione;
          il sito monumentale di Sant'Andria Apriu, a poche centinaia di metri da Sa Pala Larga è altresì escluso da opere di restauro da tanto tempo e che lo stesso rappresenta una unicità nel bacino del mediterraneo, riportando il percorso storico e pittorico che cronologicamente sono inquadrabili nel neo-eneolitico, fra IV e III millennio a.c., ma le prime fasi di utilizzo sono da ricondurre alla Cultura di Ozieri (neolitico finale: 3200-2800 a.C.)  –:
          se il Ministro competente non intenda intervenire con somma urgenza sul sito considerata la gravità della situazione denunciata;
          se non intenda promuovere un incontro tra le istituzioni nazionali e regionali e l'amministrazione comunale di Bonorva al fine di valutare gli interventi sia di restauro che di ripristino dell'intero sito archeologico;
          se non ritenga disporre un piano adeguato e urgente teso alla salvaguardia e valorizzazione del bene archeologico provvedendo allo stanziamento di apposite risorse finanziarie nell'ambito dei programmi di spesa del Ministero;
          se non ritenga necessario individuare e segnalare i responsabili dell'incuria e dell'abbandono del sito agli organi preposti perché possano perseguire eventuali responsabilità. (4-04180)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MARCON, FRATOIANNI, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal 15 febbraio 2014, le organizzazioni del Municipio dei beni comuni con numerose altre associazioni della città di Pisa hanno avviato – utilizzando stabilmente e stanzialmente le strutture dell'area dell'ex-distretto militare di Pisa ridenominandolo «Distretto 42» – molteplici attività sociali e culturali;
          l'amministrazione comunale, nel mese di novembre 2013, ha presentato alla Agenzia del demanio, proprietaria del bene immobiliare in questione, la richiesta di trasferimento nelle proprie disponibilità del bene stesso e a titolo gratuito, secondo quanto previsto dall'articolo 56-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98, che ha introdotto procedure semplificate per il trasferimento agli enti territoriali di immobili, in attuazione del decreto legislativo 28 maggio 2010, n.  85 (cosiddetto federalismo demaniale);
          la stessa Agenzia del demanio sta ottenendo la conferma formale da parte del Ministero della difesa della rinuncia all'utilizzo dell'area, per poter trasferire il bene al comune di Pisa secondo la procedura sopra indicata;
          grazie alle organizzazioni del Municipio beni comuni è iniziata l'opera di pulizia e sistemazione della grande area a verde promossa dai volontari delle suddette associazioni all'interno della ex caserma «Curtatone e Montanara», e stanno avendo luogo i percorsi di visite guidate che realtà associative come Legambiente e il WWF stanno svolgendo anche con un lavoro di catalogazione della flora presente nell'area;
          è stata lanciata una petizione promossa e sottoscritta da oltre 600 cittadini del quartiere San Martino in cui si auspica che «sia intrapreso, in tempi rapidi, un dialogo con il Sindaco, la Giunta, il Consiglio, per esplorare possibili modalità di gestione partecipata dell'ex distretto: confidiamo nel fatto che l'incontro e il confronto tra differenti punti di vista espressi con reciproco rispetto da persone provenienti da percorsi diversi e appartenenti ai più vari ambienti (sociali, culturali, professionali, politici, associativi eccetera) possa essere fecondo ed essere orientato in una logica di “buon vivere”»;
          vi è stato l'appello di noti giuristi e esponenti del mondo della cultura – tra cui Salvatore Settis e Adriano Prosperi – a sostegno dell'esperienza del Distretto 42; in esso si afferma che «considerato che il venir meno di una esigenza difensiva ha determinato l'abbandono della Caserma Curtatone, è legittimo pretendere che questo bene torni ad essere patrimonio, per scopi diversi, della collettività, convinti che rispetto alla gestione dei beni pubblici lo Stato debba comportarsi nell'interesse della comunità che rappresenta. In questo processo, il primo interesse che va verificato è quello della cittadinanza pisana, proprio perché, nella logica della sussidiarietà, il livello comunale si rivela quello più adatto e vicino a raccogliere le sensibilità di un uso pubblico»;
          l'Agenzia del demanio ha ritenuto non ostativa nel trasferimento del bene al comune di Pisa l'esperienza del Distretto 42  –:
          quali siano i contatti in essere con il comune di Pisa e quali siano le procedure in atto per avviare e concludere al più presto, attraverso l'Agenzia del demanio, l’iter di trasferimento del bene in questione al comune secondo quanto previsto dal cosiddetto federalismo demaniale;
          se si ritenga ancora opportuno, viste le compatibilità delineate dalla spending review, proseguire a Pisa quanto previsto nel protocollo riguardante il «progetto caserme» che prevede la realizzazione di una nuova caserma da 70 milioni di euro nell'area di Ospedaletto. (5-02440)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


      La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          l'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n.  122, ha introdotto l'obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'IVA, di importo non inferiore a 3.000 euro (così detto «spesometro»);
          la funzione del provvedimento – come espressamente indicato nella relazione al decreto istitutivo – è quella di «rafforzare gli strumenti a disposizione dell'amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei comportamenti fraudolenti soprattutto in materia di IVA (frodi “carosello” e false fatturazioni) ma anche in ambito di imposizione sul reddito». La relazione specifica, inoltre che: «la disponibilità dei dati agevolerà, infatti, una più puntuale ricostruzione della congruità dei volumi d'affari e dei costi dichiarati dai contribuenti»;
          con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2010, come modificato dal provvedimento del 14 aprile 2011 sono stati individuati i soggetti obbligati alla comunicazione tra i quali rientrano anche gli enti non commerciali, limitatamente alle operazioni effettuate nell'esercizio di attività commerciali o agricole, ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633;
          nella più ampia categoria degli enti non commerciali sono annoverate anche le associazioni senza finalità di lucro di cui all'articolo 148 del testo unico del 22 dicembre 1986 n.  917. A queste ultime è concesso, previa opzione, di beneficiare del regime di favore previsto dalla legge 16 dicembre 1991, n.  398, con facoltà di determinare in maniera forfettaria il reddito imponibile e l'iva relative alle attività commerciali eventualmente svolte;
          nello specifico, l'adesione al summenzionato regime consente alle associazioni beneficiarie di calcolare l'iva a debito verso l'erario applicando all'imposta dovuta sulle operazioni attive l'abbattimento forfettario del 50 per cento (percentuale che scende al 10 per cento per le prestazioni di sponsorizzazione e al 33,33 per cento per le cessioni di diritti radio-televisivi). L'Iva pagata sulle fatture di acquisto è indetraibile;
          anche il calcolo del reddito imponibile è determinato in modo forfettario applicando al volume di affari commerciali il coefficiente fisso del 3 per cento equivalente ad un abbattimento forfettario del 97 per cento, senza deduzione analitica dei costi;
          le fatture di acquisto, pertanto, non rilevano in alcun modo nella determinazione delle imposte dovute, non sono soggette ad alcuna forma di registrazione contabile ma solo alla numerazione progressiva per anno solare e all'obbligo di conservazione;
          inoltre le associazioni senza scopo di lucro che hanno optato per il regime forfettario di cui alla legge 16 dicembre 1991, n.  398 sono dispensate dagli obblighi di dichiarazione e comunicazione annuale iva e dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili. Esse si limitano ad annotare con un'unica registrazione, entro il giorno 15 del mese successivo, l'ammontare dei soli corrispettivi e proventi commerciali conseguiti nel mese precedente, utilizzando, all'uopo, il prospetto semplificato di cui al DM 11 febbraio 1997, con le necessarie integrazioni;
          con nota AGE.AGEDC001.REGISTRO UFFICIALE.0009366 del 23 gennaio 2014 l'Agenzia delle entrate si è, testualmente, espressa nel senso che: «i soggetti che hanno esercitato l'opzione per il regime di favore previsto dalla legge 16 dicembre 1991, n.  398, anche se non sono tenuti alla registrazione analitica delle fatture passive ricevute, devono comunicare gli importi relativi agli acquisti di beni e servizi direttamente riferibili all'attività commerciale eventualmente svolta»;
          tale pretesa appare estranea alle precipue finalità dello spesometro, quali riportate in premessa, in quanto gli acquisti di beni e servizi delle associazioni in regime forfettario, ancorché riferiti all'attività commerciale, sono totalmente indeducibili ed indetraibili ai fini delle imposte dirette ed indirette. La relativa documentazione, pertanto, non può essere utilizzata per ridurre artificiosamente l'imponibile né per altre finalità di frode o evasione. I dati relativi agli acquisti non sono nemmeno utili per verificare la congruità delle dichiarazioni trasmesse dai contribuenti in quanto non sorge l'obbligo di inserire tali dati nelle dichiarazioni e dunque nessun riscontro è possibile in merito;
          inoltre il contenuto della menzionata nota appare in netto contrasto con la volontà del legislatore – desumibile dall'articolo 21 del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.  122 – di «limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti per la comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto». Ossia «di circoscrivere gli adempimenti ad una ristretta platea dei titolari di partita IVA, escludendo in specie milioni di soggetti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all'adempimento dell'obbligo in questione appaiono non proporzionati alla pur importante finalità della disposizione», come esposto nella relazione illustrativa;
          invero, per fornire i dati richiesti dall'amministrazione finanziaria, le associazioni in regime forfettario debbono dotarsi di un impianto contabile che preveda anche la registrazione delle fatture di acquisto quantunque la legge 16 dicembre 1991, n.  398 le esenti espressamente da tale incombenza. Conseguentemente esse debbono subire un aumento dei costi amministrativi e uno stravolgimento del regime di favore accordato dal legislatore. L'aggravio è palese e con esso anche la manifesta inutilità della pretesa;
          appare, infine, censurabile nel metodo e nella forma, la modalità con cui l'Agenzia delle entrate ha reso nota la propria interpretazione alla platea dei soggetti interessati su una questione caratterizzata da complessità e incertezza giuridica: una risposta a una FAQ (frequently asked question) diramata il 23 gennaio 2014 ad appena 9 giorni dalla scadenza definitiva per la trasmissione telematica della comunicazione  –:
          se non ritenga necessario ed urgente chiarire che gli enti associativi aderenti al regime forfettario di cui alla legge 16 dicembre 1991, n.  398, adempiono agli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122 trasmettendo esclusivamente i dati relativi alle operazioni attive di carattere commerciale, dal momento che solo queste rilevano ai fini della determinazione dell'imponibile e dell'iva ed esonerandoli, pertanto, dalla trasmissione dei dati relativi agli acquisti di beni e servizi in sintonia con il regime generale di esenzione da incombenze contabili e dichiarative accordato dal legislatore e con l'intento di limitare al massimo l'aggravio derivante dall'adempimento, ciò anche in considerazione dell'interpretazione che l'Agenzia delle entrate ha fornito con Circolare N. 24/E del 2011 per il caso similare dei soggetti che si avvalgono del regime di cui all'articolo 1, commi da 96 a 116, della legge 24 dicembre 2007, n.  244 (così detti «contribuenti minimi») i quali sono considerati «esonerati dall'obbligo di comunicazione in quanto l'adesione a detto regime comporta, sotto il profilo della semplificazione degli adempimenti IVA, l'esonero da qualunque obbligo, fatta salva la certificazione dei corrispettivi anche tenuto conto che l'esclusione in parola risponde all'intento di limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all'adempimento dell'obbligo in questione appaiono non proporzionati alla finalità della disposizione».
(2-00469) «Cancelleri».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      CAUSI e BENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 9, comma 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, in materia di federalismo fiscale municipale, ha disposto l'esenzione dall'imposta municipale propria – IMU – per gli immobili già esentati dall'imposta comunale sugli immobili – ICI –, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  504, di proprietà degli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive;
          l'articolo 91-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012 n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, come successivamente integrato dal comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.  174, ha circoscritto l'esenzione IMU agli immobili nei quali tali attività sono svolte «con modalità non commerciali», delegando a norme di rango secondario sia la disciplina dei presupposti della nozione di commercialità, sia i contenuti della dichiarazione che gli enti sono chiamati ad assolvere nei casi di utilizzo «misto» (per attività a contenuto commerciale e non) degli immobili, allo scopo di richiamare a tassazione solo la quota-parte alle prime riferita;
          la nozione di commercialità, concetto-chiave da cui dipendono i presupposti di applicabilità del tributo, ha trovato specificazione solo con la pubblicazione del decreto ministeriale 19 novembre 2012, n.  200, che, emanato a ridosso dell'ultima scadenza di pagamento per il 2012, ha determinato l'emersione retroattiva di materia imponibile;
          ad oggi non risultano ancora disponibili il modello e le relative istruzioni per poter effettuare la dichiarazione prevista all'articolo 6 del citato decreto n.  200 in merito agli utilizzi immobiliari «misti»;
          il citato decreto ministeriale n.  200 ha inoltre tracciato una nozione di commercialità avulsa dal contesto legislativo consolidato in materia di reddito (articoli 143 e successivi decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917) e di IVA (articolo 4, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.  633), che ha reso ostico l'approccio agli adempimenti sia sostanziali sia strumentali al corretto assolvimento del tributo;
          anche la nozione di concorrenza di mercato, delineata nel citato decreto ministeriale n.  200 del 2012 è estranea al mondo del no profit e sovverte le regole consolidate rispetto alla distinzione fra attività istituzionali e commerciali degli enti no profit con l'effetto che alcune attività tuttora riconosciute non imponibili sia ai fini delle imposte sul reddito sia ai fini IVA, lo diventerebbero invece ai fini IMU, con effetti retroattivi;
          le organizzazioni di terzo settore hanno contestato la vigente normativa, che rischia di penalizzare con oneri insostenibili molte piccole associazioni, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di attività e servizi di grande rilevanza sociale, e chiedono che siano emanate regole chiare a cui attenersi;
          in Italia sono presenti oltre 235.000 organizzazioni, circa 750.000 lavoratori retribuiti e oltre 3 milioni di volontari, un sistema che fornisce servizi di importanza quali le mense sociali, i dormitori, l'assistenza ai disabili, la cura degli anziani, la protezione civile, la difesa del patrimonio culturale, la promozione della pratica sportiva e i centri di aggregazione e socialità;
          la mancata soluzione della problematica sopra esposta rischia di recare grave nocumento all'iniziativa svolta dagli enti non profit e compromettere i benefici sociali prodotti dalle loro attività  –:
          quali iniziative intenda intraprendere al fine di porre in essere una revisione della normativa IMU in relazione agli enti non commerciali, affinché i medesimi siano tenuti al pagamento dell'imposta municipale solo per gli immobili (o le porzioni di essi) effettivamente destinati ad attività commerciali, in modo da rendere coerenti i presupposti della tassazione IMU sugli immobili degli enti non commerciali ai modelli attuali della tassazione delle attività svolte, dai medesimi enti, così come consolidati in ambito reddituale ai sensi degli articoli 143 e successivi del decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 1986, n.  917, e, in ambito IVA, ai sensi dell'articolo 4, commi 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, anche prevedendo la deflazione del contenzioso tributario che dovesse emergere a causa dell'attuale incertezza normativa nonché fornendo indicazioni precise affinché gli enti interessati possano effettuare la dichiarazione relativa agli utilizzi immobiliari «misti» di cui all'articolo 6 del citato decreto ministeriale n.  200 del 2012.
(5-02444)


      BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con la decisione 2013/678/UE del Consiglio dell'Unione europea pubblicata nella Gazzetta Ufficiale europea n.  L316 del 27 novembre 2013, in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l'Italia è autorizzata a esentare dall'IVA i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui; la precedente decisione n.  2010/688/UE del 15 ottobre 2010 del Consiglio dell'Unione europea autorizzava l'Italia ad applicare il regime dei minimi, di cui all'articolo 1, comma 96 e seguenti, della legge n.  244 del 2007, fino al 31 dicembre 2013, e la stessa decisione consentiva al nostro Paese di mantenere quale soglia massima, per l'applicazione del regime, gli attuali 30.000 euro di fatturato;
          analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione 2008/737/CE del 15 settembre 2008, lo stesso Consiglio aveva autorizzato l'Italia a conservare la citata soglia di 30.000 euro al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali, stabilendo allo stesso tempo come l'autorizzazione sarebbe scaduta alla data di entrata in vigore di norme comunitarie che fissassero una soglia comune di volume di affari al di sotto della quale i soggetti passivi possono essere esonerati dall'IVA, o al più tardi, entro il 31 dicembre 2013;
          con la decisione di esecuzione 2013/678/UE del 15 novembre 2013, il Consiglio ha autorizzato il mantenimento del regime speciale di esenzione dall'IVA fino al 31 dicembre 2016 e l'aumento a 65.000 euro del volume d'affari annuo per l'accesso al regime speciale stesso; nelle motivazioni del provvedimento, il Consiglio osserva, tra l'altro, che l'importo è compatibile con la proposta di modifica della direttiva presentata dalla Commissione europea il 29 ottobre 2004 che, allo scopo di semplificare gli obblighi IVA intende permettere agli Stati membri di fissare fino a 100.000 euro la soglia di volume d'affari annuo per l'accesso al regime speciale di esenzione dall'IVA per le piccole imprese;
          in Italia, stando alle dichiarazioni presentate nel 2012 (redditi del 2011), l'eventuale esclusione dall'IVA entro il volume di affari di 65 mila euro determinerebbe l'esonero dalla contabilità IVA e dalla relativa presentazione della dichiarazione per circa 1,15 milioni di imprenditori individuali (pari al 62,15 per cento) e di 537 mila lavoratori autonomi (pari al 72,70 per cento);
          la decorrenza della nuova disposizione è stata fissata a 1o gennaio 2014 ed è applicabile fino al 31 dicembre 2016, salvo che nel frattempo non intervenga una nuova direttiva che, modificando gli importi dei massimali del volume di affari, stabilisca anche l'esenzione dall'IVA per i soggetti passivi rientranti nei nuovi parametri;
          il Ministero dell'economia e delle finanze, in risposta ad un precedente question time presentato dal sottoscritto nel quale si chiedeva di valutare la possibilità di armonizzare la vigente legislazione nazionale alle nuove normative europee ampliando così il numero dei contribuenti per i quali sono oggi previste semplificazioni e riduzioni degli obblighi fiscali, aveva replicato evidenziando come l'incremento della soglia dei ricavi a 65.000 euro per accedere al regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile avrebbe determinato una perdita di gettito di circa 29 milioni di euro su base annua, e che la stessa «abbisognerebbe di valutazioni circa la compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato»;
          la stima quantificata dal Ministero in 29 milioni di euro e derivante dall'ampliamento del regime fiscale alla soglia di ricavi fino a 65.000 euro non appare considerare i positivi effetti determinati dalla potenziale nuova occupazione generata, dalla riduzione dell'utilizzo della cassa integrazione in deroga, nonché della riduzione dell'utilizzo della mobilità e degli ammortizzatori sociali onerosi in genere, oltre che dell'aumento indotto dalla creazione di nuove imprese; non appare chiaro come l'eventuale ampliamento abbisogni di valutazioni circa la compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato, stante il fatto che è stata la stessa Unione europea, con la decisione 2013/678, ad autorizzare l'Italia ad esentare dall'IVA i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui;
          tra gli intendimenti del nuovo Governo del Presidente Renzi, figura l'intenzione di stimolare la ripresa della domanda interna, e dare conseguentemente un nuovo impulso alla crescita del prodotto interno lordo, attraverso l'adozione di provvedimenti ed iniziative legislative volti ad utilizzare la leva fiscale a favore di soggetti a basso reddito  –:
          se sussista la concreta possibilità da parte del Ministro interrogato di assumere iniziative per elevare la soglia di applicazione del regime dei minimi fino a 65.000 euro, definendo altresì con precisione i tempi entro i quali si intende procedere. (5-02445)


      CANCELLERI, ALBERTI, BARBANTI, PESCO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i candidati che negli ultimi anni hanno partecipato ai concorsi banditi dalla Guardia di Finanza e che non sono risultati vincitori bensì dichiarati idonei hanno confidato legittimamente di poter essere ammessi in servizio per effetto dello scorrimento delle graduatorie, ai sensi di quanto previsto dalla legge n.  125 del 2013 che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge n.  101 del 2013;
          successivamente alla pubblicazione della legge succitata, lo stesso dicastero ha emesso la circolare n.  5 del 21 novembre 2013, la quale, all'articolo 4, comma 5, ha chiarito che «Al fine di ridurre presso le medesime pubbliche amministrazioni l'utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato, favorire l'avvio di nuove procedure concorsuali e l'assunzione di coloro che sono collocati in posizione utile in graduatorie vigenti per concorsi a tempo indeterminato, in coerenza con il fabbisogno di personale delle pubbliche amministrazioni e dei principi costituzionali sull'adeguato accesso dall'esterno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 30 marzo 2014, nel rispetto della disciplina prevista dal presente articolo, sono definiti, per il perseguimento delle predette finalità, criteri di razionale distribuzione delle risorse finanziarie connesse con le facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni»;
          per quanto concerne i concorsi indetti dal Corpo della Guardia di finanza occorre tenere in considerazione anche la disciplina di settore di cui al decreto legislativo n.  199 del 1995 (articolo 35, comma 2, ed articolo 43, comma 7);
          la suindicata disciplina speciale prevede solo la facoltà e non l'obbligo, di far scorrere, fino ad un massimo di 18 mesi, le graduatorie dei concorsi per il reclutamento di allievi marescialli e allievi finanzieri, mentre nulla è stabilito per quelle relative agli allievi ufficiali  –:
          se intenda, per quanto di propria competenza, assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, in un'ottica di buon andamento, imparzialità ed efficienza della pubblica amministrazione nonché secondo i criteri meritocratici e di uguaglianza, affinché la regola dello scorrimento della graduatoria, a vantaggio di coloro i quali risultano «Idonei», si applichi anche ai concorsi banditi dalla Guardia di Finanza. (5-02446)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione della Guardia di finanza ha bandito nel 2008 e nel 2010 due concorsi per titoli ed esami per il reclutamento di 77 allievi ufficiali in ferma prefissata di 30 mesi (più 12 a richiesta);
          il blocco del turn over stabilito a seguito della revisione della spesa non ha consentito per alcuni di essi il transito nel servizio permanente effettivo;
          sono 9 le unità rimaste escluse dal corretto scorrimento delle graduatorie, nonostante fossero state giudicate idonee e avessero già maturato 42 mesi di servizio continuato, conseguendo plurime idoneità;
          questi «idonei non vincitori» si ritrovano al termine del periodo di ferma prefissata, a non essere stati assunti dal Corpo per il quale hanno svolto il servizio. Alcuni hanno un'età che impedisce loro di partecipare a nuovi concorsi o, comunque, che rende difficile qualsiasi inserimento lavorativo in un diverso ambito;
          con l'ordine del giorno 9/1682-A/82 il Governo pro tempore si è impegnato a «valutare l'opportunità di prevedere iniziative, anche di tipo normativo, volte ad assumere» le unità sopra menzionate;
          all'interrogante preme sottolineare l'importanza per il Corpo di potersi avvalere anche in futuro delle professionalità proficuamente impegnate nei 42 mesi di ferma durante i quali hanno sviluppato e accresciuto competenze sicuramente utili allo svolgimento delle funzioni della Guardia di finanza  –:
          come il Ministro intenda dare seguito all'ordine del giorno citato in premessa;
          quali iniziative intenda promuovere per assumere le 9 unità di allievi ufficiali rimaste escluse a causa del blocco del turn over. (4-04173)


      CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Equitalia è la società pubblica della riscossione dei tributi, posseduta al 51 per cento dall'agenzia delle entrate e per il 49 per cento dall'INPS;
          Equitalia ha conosciuto molti episodi, alcuni dei quali riscontrati in altri atti ispettivi della interrogante, 4-03550, 4-03497, 4-03436, 5-01868, in materia di malcostume e soprattutto alterazioni ovvero sospensioni dolose e fittizie di cartelle esattoriali sia da parte di semplici funzionari sia da parte di alcuni dirigenti di Equitalia, segnatamente nell'area romana;
          da il Messaggero, pagine di cronaca romana del 19 marzo 2014, si apprende che il pubblico ministero romano Attilio Pisani ha concluso le indagini su tredici indagati che avrebbero alterato numerose cartelle esattoriali Equitalia;
          sempre ne il Messaggero si apprende che sono coinvolti nella indagine, tra gli altri, due funzionari della regione Lazio, Antonio Orsini e Antonio Caia, e «una dipendente dell'Ente di riscossione, anche lei accusata di falso» che avrebbe «procurato a Orsini alcuni moduli per la cancellazione delle imposte relative ai bolli auto»;
          a parere dell'interrogante è evidente che i sistemi di controllo interni a Equitalia e dell'azionista Agenzia delle entrate, nonché del Ministero dell'economia e delle finanze non sono efficaci, data la reiterazione coerente nel tempo dei reati connessi all'alterazione del normale destino delle cartelle esattoriali  –:
          se sia vera la notizia del coinvolgimento nell'indagine di una dipendente Equitalia e se la stessa è stata sottoposta a un provvedimento di sospensione ovvero di licenziamento e comunque se ci siano state condotte omissive nei dirigenti preposti al controllo dei propri dipendenti;
          se nella vicenda giudiziaria siano coinvolti altri dipendenti di Equitalia oppure dell'Agenzia delle entrate e quali provvedimenti d'urgenza siano stati adottati per impedire il ripetersi seriale in Equitalia di tali episodi che determinano danno erariale grave. (4-04183)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BUSINAROLO, COLLETTI, BRESCIA, CECCONI, SPADONI, D'UVA e DA VILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con l'articolo 3 comma 1, lettera b) del decreto cosiddetto svuotacarceri 23 dicembre 2013, n. 146, è stato aggiunto l'articolo 35-bis all'ordinamento penitenziario che prevede l'istituzione del reclamo giurisdizionale davanti al magistrato di sorveglianza, a tutela dei diritti dei detenuti;
          il testo originario del decreto, all'articolo 6, comma 3, lettera c), poi soppresso durante l’iter parlamentare, prevedeva che il magistrato di sorveglianza determinasse su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di 100 euro per ogni giorno»;
          i magistrati di sorveglianza avrebbero dovuto sanzionare le amministrazioni penitenziarie inadempienti alle loro decisioni, con effetti riparatori per il detenuto e preventivi sull'amministrazione;
          è emerso da fonti di stampa del 13 febbraio 2014 che il carcere di Venezia Santa Maria Maggiore dovrà trovare celle più ampie, assicurando a ciascun detenuto almeno 7 metri quadri di spazio vitale. E, se non lo farà, dovrà risarcire i carcerati con 100 euro al giorno. È la condanna stabilita dai magistrati degli uffici di sorveglianza di Venezia, in parziale accoglimento dei reclami giurisdizionali presentati da una quindicina di detenuti veneziani e di uno trevigiano;
          «Queste ordinanze sono tra le prime in Italia in materia», affermano i dirigenti del tribunale di Sorveglianza. Di fatto il reclamo può essere presentato quando inosservanze dell'amministrazione comportano attuale e grave pregiudizio ai diritti dei detenuti. Primo fra tutti il pregiudizio derivante dal sovraffollamento delle carceri, riconosciuto dalla Corte europea e dalla Corte Costituzionale;
          la magistratura di sorveglianza ha dato ragione ai detenuti, accogliendone i reclami, relativamente allo «spazio vitale» e ordinato conseguentemente all'amministrazione penitenziaria di garantire ai ricorrenti celle con almeno 7 metri quadri a disposizione per persona. Il Ministero può impugnare le ordinanze tramite l'Avvocatura dello Stato, entro il termine di 15 giorni. Se non lo farà la decisione «passerà in giudicato»;
          nell'iter di conversione del decreto legge convertito dalla legge n.  10 del 21 febbraio 2014), il comma 3, lettera c) è stato soppresso  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
          quanti siano i reclami già presentati dai detenuti e quante ordinanze con condanna dello Stato siano state sinora emesse dai magistrati di sorveglianza;
          se siano state corrisposte eventuali somme ai detenuti a titolo di risarcimento dei danni da parte dell'amministrazione penitenziaria, circostanza che, ad avviso degli interroganti costituirebbe un indebito ed in particolare da quali capitoli di bilancio le risorse siano state attinte. (5-02451)

Interrogazione a risposta scritta:


      PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la legge 26 luglio 1975, n.  354 dispone - norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (GU n.  212 del 9 agosto 1975 - Suppl. Ordinario) Entrata in vigore del provvedimento: 24 agosto 1975;
          secondo il testo della norma in vigore dal 21 febbraio 2012 l'articolo 67 dispone:
          «Visite agli istituti – Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da:
          a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Corte costituzionale;
          b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura;
          c) il presidente della corte d'appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l'esercizio delle sue funzioni;
          d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell'ambito della loro circoscrizione;
          e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero;
          f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale;
          g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati;
          h) gli ispettori generali dell'amministrazione penitenziaria;
          i) l'ispettore dei cappellani;
          l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia:
              l-bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati;
              l-ter) i membri del Parlamento europeo);
          l'autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell'articolo 18-bis;
          gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria;
          possono accedere agli istituti, con l'autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti»;
          tale norma è esplicita sotto ogni punta di vista e soprattutto disciplina in modo esaustivo e non interpretativo la disposizione in cui si fa riferimento esplicitamente al fatto che «l'autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell'articolo 18-bis;
          in questa richiamata norma si fa esplicito riferimento a «coloro che accompagnano» (accompagnatori) «per ragioni del loro ufficio» (ufficio inteso ovviamente e senza possibilità di interpretazione come il più ampio raggio d'azione politico della funzione esercitata dall'avente titolo, per esempio parlamentare);
          le ragioni d'ufficio del parlamentare rientrano in una più ampia funzione legislativa, di controllo sul governo e di indirizzo politico;
          è evidente che nessuna limitazione in tal senso può essere introdotta in modo surrettizio e improprio da qualsivoglia organismo che sul piano gerarchico risulti subordinato e comunque non idoneo a limitare e restringere «le ragioni d'ufficio» del parlamentare stesso;
          qualora si tentasse in modo secondo l'interrogante illegittimo di limitare il campo d'azione delle «ragioni d'ufficio» risulterebbe evidente una limitazione grave della funzione parlamentare e della stessa funzione legata per esempio al controllo sul governo e allo stesso indirizzo politico;
          in tal senso appare illegittima la disposizione di una circolare del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tenta in modo secondo l'interrogante illegittimo di limitare il campo d'azione dei parlamentari introducendo in modo surrettizio una «disposizione» che vorrebbe restringere «le ragioni d'ufficio» ad un campo meramente «dattilografico»;
          si tratta di una violazione grave delle funzioni e delle prerogative parlamentari che vengono intaccate gravemente da un'arbitraria, quanto irragionevole e illogica disposizione che finisce per sottrarre al parlamentare quella esplicita previsione della norma, rango superiore a qualsiasi circolare, che prevede appunto di poter essere «accompagnato» da «accompagnatori» e non «collaboratori» da intendersi per giunta contrattualizzati;
          in tal senso appare grave e protesa a violare in modo esplicito le funzioni e le prerogative parlamentari la circolare 7 novembre 2013 che con enfasi impropria dispone – nuovo testo unico delle disposizioni dipartimentali in materia di visite agli istituti penitenziari ex articolo 67 o.p.;
          la circolare N. 3651/6101 dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ufficio del capo del dipartimento, trasmessa esclusivamente ad uso interno, e mai notificata ai soggetti di cui alla norma stessa risulta essere trasmessa ai provveditori regionali, ai vice Capi del dipartimento, ai direttori generali ai direttori degli uffici di staff dell'ufficio del capo del dipartimento;
          la circolare del tutto illegittima per l'obiettivo che persegue dichiara in premessa un duplice obiettivo: «raccogliere organicamente» le disposizioni finora impartite e di introdurre surrettizi «aggiornamenti suggeriti dall'esperienza applicativa» maturata negli ultimi anni o resi necessari dal sopravvenire di modifiche normative»;
          mentre nel primo dichiarato obiettivo di raccogliere organicamente le disposizioni esistenti si intravede l'obiettivo di riordinare norme che sono già di per chiare anche sul piano applicativo nel secondo obiettivo si esplicita il tentativo esplicito di violare le norme vigenti e limitare oltremodo la funzione delle visite di cui all'articolo 67 delle norme richiamate in premessa, le uniche a far testo in materia;
          è fin troppo evidente che le visite di cui all'articolo 67 costituiscono un cardine del rapporto tra la realtà carceraria e la società esterna, rapporto che la legge del 1975, in modo esplicito, non soltanto non vuole impedire, ma anzi intende tutelare in ogni modo;
          il fatto che sia stato fatto esplicito riferimento nella norma in vigore che le persone abilitate in modo preciso e chiaro possono accedere nella struttura penitenziaria senza autorizzazione, costituisce la più eloquente ratio della norma stessa, favorire e non limitare;
          i soggetti istituzionali che godono della prerogativa di visitare senza autorizzazione gli istituti penitenziari sono elencati, in maniera tassativa, dall'articolo 67, comma 1, O.P.;
          il comma 2 dell'articolo 67 O.P. prevede che non occorra alcuna autorizzazione per accedere all'istituto nemmeno per «coloro che accompagnano... per ragioni del loro ufficio» le persone di cui al comma 1 dell'articolo;
          in questo caso la circolare del dap introduce una fantasiosa quanto grave limitazione della legge del 1975 che aveva in modo esplicito fatto riferimento «alle ragioni d'ufficio» non introducendo nessuna limitazione proprio perché si tratta di una formula fin troppo chiara non essendo passato per l'anticamera del cervello a nessuno di considerare quella «ragione d'ufficio» limitata a ragioni dattilografico e segretariali;
          secondo quanto riporta la fantasiosa ma nel contempo grave pretesa della circolare del Dap si ritiene che «la disposizione di cui all'articolo 67, comma 2, O.P. deve essere interpretata nel senso che è richiesta un'effettiva relazione tra le specifiche attribuzioni funzionali proprie dell'accompagnatore e le ragioni che consentono il libero accesso agli istituti penitenziari del soggetto cui tale facoltà è accordata in via primaria (ad es. collaboratore di cancelleria in funzione di, accompagnatore del magistrato che accede all'istituto)»;
          con un abuso di funzione e di ruolo, ignorando la più elementare gerarchia delle fonti e attribuendosi la facoltà di limitare il mandato parlamentare, il Dap prescrive: «Con particolare riferimento ai Parlamentari ed ai Consiglieri regionali ”le ragioni di ufficio” di cui parla la disposizione in discorso debbono ritenersi integrate non in presenza di qualunque tipo di episodica collaborazione, ma solo allorché si adduce l'esistenza di un rapporto di collaborazione professionale stabile e continuativo, ancorché non avente fonte in veri e propri provvedimenti formali di nomina producibili dall'interessato»;
          è fin troppo evidente che tale circolare e i suoi estensori ignorano il vero e autentico significato della norma che dispone l'accesso degli accompagnatori senza in funzione delle «ragioni d'ufficio» del parlamentare stesso;
          è fin troppo evidente che il solo richiamo alla funzione politica rientrante a pieno titolo nelle «ragioni d'ufficio» del parlamentare farebbe venir meno quella preclusione ad accompagnatori che non avessero un rapporto di collaborazione professionale stabile e continuativo, così come del resto non solo è normato ma che la consuetudine applicativa dal 1975 ad oggi è ampiamente riscontrabile negli atti parlamentari;
          le ragioni d'ufficio del parlamentare comprendono per esempio le funzioni di sindacato ispettivo per le quali il parlamentare potrebbe in ogni momento doversi avvalere di accompagnatori in grado di fornirgli strumenti di valutazione legati allo svolgimento delle «ragioni d'ufficio»  –:
          se non intenda con somma urgenza far revocare quella circolare che per forma e contenuti secondo l'interrogante viola una legge dello Stato;
          se non intenda assumere provvedimenti tali da evitare che continuamente vengano violate le prerogative parlamentari da parte del Dap applicando disposizioni che non rientrano nelle facoltà dipartimento;
          se non intenda ripristinare urgentemente l'applicazione della norma così come applicato costantemente nel tempo in modo da consentire lo svolgimento della funzione parlamentare senza limitazioni di sorta da parte di un ufficio dello Stato;
          se non intenda richiamare esplicitamente il Dap e i suoi responsabili allo svolgimento del proprio ruolo secondo le proprie ragioni d'ufficio senza esodare dalle proprie competenze. (4-04178)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DE MICHELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          a seguito di un accordo tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le società autostradali aderenti all'iniziativa, dal 1o febbraio 2014 fino alla scadenza, prevista il 31 dicembre 2015, è prevista un'agevolazione fino al 20 per cento sul pedaggio autostradale per i pendolari che pagano con il Telepass;    
          gli utenti Telepass possono usufruire dell'agevolazione se, nell'arco di un mese e per non più di due volte al giorno, effettuano percorrenze di una determinata tratta autostradale con percorso massimo di 50 chilometri, con origine e destinazione fissa dichiarata al momento della richiesta dell'agevolazione o utilizzano la stazione di attraversamento dichiarata al momento della predetta richiesta;
          l'agevolazione consiste nella riduzione del pedaggio, applicata in misura progressiva, da un minimo dell'1 per cento, (in caso di 21 transiti/mese) fino ad un massimo del 20 per cento (in caso di 40 transiti/mese);
          lo sconto, applicato esclusivamente sulle tratte di un massimo di 50 chilometri all'andata e di 50 al ritorno, ha tagliato fuori la tratta Piacenza-Milano; in tal modo i numerosi pendolari piacentini che ogni giorno si recano a Milano per lavoro con la propria automobile non godranno delle predette agevolazioni  –:
          se il Ministro ritenga utile rivedere l'accordo di cui in premessa per consentire anche ai pendolari piacentini che lavorano a Milano di poter usufruire dell'incentivo previsto per altre tratte autostradali.
(5-02438)


      ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n.  147, cosiddetta «legge di stabilità 2014», ai commi 427 e successivi, ha normato l'adozione di misure di razionalizzazione e di revisione della spesa, di ridimensionamento delle strutture, di riduzione delle spese per beni e servizi, di ottimizzazione dell'uso degli immobili;
          nell'ambito di tali azioni di cosiddetta «spending review», il comma 427 ha previsto anche l'unificazione in un unico archivio telematico nazionale, dei dati concernenti la proprietà e le caratteristiche tecniche dei veicoli attualmente inseriti nei due distinti pubblico registro automobilistico (Pra) e archivio nazionale dei veicoli (Anv);
          la misura in questione è volta a conseguire un risparmio di spesa a carico dell'amministrazione e a carico degli utenti, nonché a ridurre ed accorpare gli adempimenti burocratici per i cittadini, oggi previsti;
          la norma in argomento ha disposto a tal fine, l'emanazione di uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 2013 ed entrata in vigore il 1o gennaio 2014);
          ad oggi, all'interrogante non risulta sia stato emanato alcun provvedimento conseguente alla disposizione inserita al comma 427 dell'articolo 1 della legge di cui sopra, nonostante siano trascorsi i sessanta giorni indicati dalla norma  –:
          a quale fase dell’iter di emanazione siano i provvedimenti in argomento;
          quali tempi il Ministro interrogato ritenga siano necessari per giungere all'adozione definitiva del regolamento o dei regolamenti, e dei provvedimenti attuativi conseguenti. (5-02439)


      DE ROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 26 ottobre 2012 viene approvato dal Cipe un finanziamento da 60 milioni di euro per la costruzione di un hub portuale a Ravenna;
          per tale progetto di espansione logistico-portuale è stata individuata, alla periferia di Ravenna, una vasta e fertile area agricola fra il porto San Vitale ed il centro abitato di Porto Fuori, per un'estensione di circa 173 ettari, suddivisi in 4 comparti denominati 1, 2, 3, e 4 che saranno interessati dalla ricollocazione di fanghi di risulta dall'escavazione del porto canale Candiano;
          il progetto prevede per il comparto 3, costituito a ridosso di Porto Fuori da circa 56 ettari di pregiati terreni agricoli, comprendenti anche aree naturalistiche protette, la destinazione ad area logistica portuale in cui trasportare 900.000 metri cubi di fanghi estratti dal canale Candiano, il trasferimento della fabbrica CMC, di conglomerati bituminosi e calcestruzzo attualmente collocati a Ravenna, in via Trieste, la realizzazione di servizi di autotrasporto, la costruzione di imponenti complessi produttivi e commerciali per un investimento valutato in 100 milioni di euro;
          gli interventi di cui sopra sono riconducibili alla «variante 2011 al POC (Piano Operativo Comunale) Tematico Logistica 2010» di cui fa parte l'accordo ex articolo 18 della legge regionale n.  20 del 2000 stipulato tra il comune e l'autorità portuale di Ravenna, la Sapir spa e la cooperativa muratori e cementisti;
          le aree del comparto 3 sono inserite dal PTCP in ambito di tutela per «zone di particolare interesse paesaggistico ambientale»;
          quando fu redatta la VAS, l'area del comparto 3 risultava inserita dal piano stralcio per il rischio idrogeologico, approvato dall'autorità di bacino dei fiumi romagnoli, in «aree centro abitato di Porto Fuori (3.700 abitanti) a moderata probabilità di esondazione» come tale dichiarata non idonea alla localizzazione di discariche dall'articolo 6 del piano provinciale di gestione dei rifiuti (PPGR). Nel 2011, tuttavia, l'autorità di bacino ha stralciato l'area del comparto 3 dal perimetro delle aree a rischio idrogeologico;
          il decreto di compatibilità ambientale n.  DVA-DEC-2012 0000006 del 20 gennaio 2012 con cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo al piano regolatore portuale 2007 del porto di Ravenna (che prevede il dragaggio del Candiano), prevede (punto A.21 delle Prescrizioni della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS) che «La parte di materiale derivante dai dragaggi che non risulta idonea per i ripascimenti o per la realizzazione delle opere portuali dovrà essere gestita concordando con l'ARPA Emilia-Romagna e con la provincia di Ravenna le modalità per lo stoccaggio e per il trasporto presso i siti di allocazione definitiva;
          le modalità di gestione dei fanghi di dragaggio, da localizzare in aree esterne all'ambito portuale, sono soggette alle prescrizioni impartite dal Ministero, e non già alle pattuizioni dell'accordo ex articolo 18 della legge regionale n.  20 del 2000, le quali, tra l'altro, prevedono modalità di riutilizzo dei fanghi sensibilmente diverse da quelle previste dal citato decreto di compatibilità ambientale, ovvero ripascimento e realizzazione di opere portuali  –:
          se l'autorità di bacino e l'autorità portuale abbiano esercitato le proprie competenze;
          quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di provvedere ad un'attenta verifica dell'utilizzo dei fondi pubblici e della loro corretta destinazione e, nel caso di specie, revocare i finanziamenti concessi, considerato che il finanziamento pubblico che impegnerebbe per l'esecuzione del progetto potrebbe essere utilizzato investendo nel settore della ricerca, nelle nuove tecnologie, nella bonifica e messa in sicurezza del territorio e sua valorizzazione nonché nell'agricoltura, rendendo così il suddetto polo industriale un polo sostenibile;
          se in relazione ai già eseguiti interventi di sbancamento e movimentazione del terreno sull'area del comparto 3, tutelata a norma del PTCP, siano state avviate indagini o eventuali accertamenti. (5-02449)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'organizzazione di estrema destra Memento, ha organizzato per la giornata di domenica 23 marzo 2014 una celebrazione dell'anniversario della Fondazione dei Fasci di combattimento avvenuta a Milano in Piazza San Sepolcro nel 1919;
          tale celebrazione è stata pubblicizzata con un volantino e con manifesti recanti l'aquila littoria (ovvero romana), noto simbolo fascista, campeggiante sulla bandiera di guerra della Repubblica sociale italiana;
          nel volantino veniva rappresentato altresì il fascio littorio, simbolo fascista per eccellenza, e si rendeva omaggio ai martiri della rivoluzione fascista;
          l'evento è stato organizzato presso un luogo pubblico qual è il cimitero monumentale di Milano;
          la XII disposizione transitoria della Costituzione indica il divieto della riorganizzazione del disciolto partito fascista;
          la legge 25 giugno 1993, n.  205, e successive modifiche, punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, e la celebrazione della nascita dei fasci di combattimento, che portarono al Partito fascista e al suo correlato di attività razzista e criminale, sembra configurare esattamente questa fattispecie;
          sempre la legge 25 giugno 1993, n.  205, e successive modifiche, stabilisce che «chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi» come sopra definiti «è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila», e i simboli sopra citati – riprodotti sui volantini – sembrano ancora una volta configurare la fattispecie in questione  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di verificare se tale manifestazione in luogo pubblico, pur preventivamente preavvisata alla questura, ma con evidenti caratteristiche contrarie alla legislazione vigente, andasse autorizzata;
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere circa il proliferare di tali manifestazioni in tutto il territorio nazionale, laddove l'uso di simboli del fascismo e la celebrazione di date apologetiche di quel disciolto partito appaiono in evidente contrasto con la normativa vigente;
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare affinché tali manifestazioni, in ossequio alle leggi vigenti, vengano precluse preventivamente, e non successivamente denunciate alla magistratura nelle ipotesi di reato. (5-02442)


      PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 21 marzo 2014 un commando di una decina di uomini armati di kalashnikov, tre auto, un furgone e un camion, ha messo a segno una rapina da sei milioni di euro mettendo a rischio la vita decine di persone nella principale arteria stradale della Sardegna;
          i malviventi sono entrati in azione a circa 40 chilometri da Cagliari, lungo la statale 131, nel comune di Serrenti;
          si è trattato di un piano paramilitare studiato a tavolino nei minimi dettagli;
          sono stati assaltati due mezzi della «vigilanza Sardegna», portate via sacche piene di denaro, appena prelevate dalla sede di Cagliari della Banca d'Italia e destinate agli uffici postali della provincia di Nuoro;
          il commando composto da una decina di persone tra esecutori materiali e autisti è entrato in azione intorno alle 15;
          il colpo era stato pianificato dettagliatamente: un furgone Fiat Fiorino seguiva i portavalori che appena imboccata una bretella di collegamento della «Carlo Felice» sono stati costretti a rallentare a causa di un'Audi A6 parcheggiata dai banditi, simulando un guasto, sul ciglio della strada. Davanti ai due mezzi della Vigilanza Sardegna, un tir che ha ostruito la carreggiata impedendo ai mezzi blindati di allontanarsi dalla zona;
          una volta intrappolati i portavalori, i banditi hanno trasformato quella piccola lingua d'asfalto in un inferno;
          almeno in quattro sarebbero scesi dai veicoli con il volto coperto e armati di mitra hanno esploso una ventina di colpi contro il furgone che trasportava denaro e assegni, centrando per cinque volte i cristalli;
          il commando ha poi obbligato i tre vigilantes che si trovavano a bordo e gli altri due che viaggiavano sul mezzo di supporto a scendere dai furgoni, li hanno immobilizzati, derubati di cinque pistole e due fucili, e con una smerigliatrice hanno aperto la porta blindata portando via le sacche con il denaro;
          prima di fuggire a bordo di due auto hanno anche tentato di incendiare il camion, il furgoncino e l'Audi, usati per il colpo, tutti mezzi risultati rubati;
          nel giro di pochi minuti è scattato l'allarme;
          sulla 131 sono arrivati i carabinieri della Compagnia di Sanluri, del comando provinciale di Cagliari e agenti della squadra mobile e della Polstrada;
          tutta la zona dove è stato compiuto l'assalto armato al portavalori è stata interdetta dalle forze dell'ordine e la Statale 131 chiusa al traffico in direzione nord, dal chilometro 34,050 al chilometro 40,800, nel territorio comunale di Serrenti, in provincia del Medio Campidano;
          si tratta di una rapina che costituisce un vero e proprio salto di categoria senza precedenti in Sardegna riconducibile ad una organizzazione criminale in grado di utilizzare metodi e strumenti da guerra paramilitare nel cuore di un'arteria viaria primaria;
          dopo questo gravissimo episodio la sicurezza nell'isola risulta sempre più a rischio, sia per le modalità che per il luogo dove la stessa rapina è avvenuta;
          il tipo di agguato e il suo esito sono l'epilogo di una escalation criminale che rischia di mettere in ginocchio l'apparato della sicurezza in Sardegna;
          il Governo deve dare risposte immediate e urgenti sia sul fronte delle risorse utili alle indagini, e allo smantellamento di questa organizzazione criminale, che sul piano della prevenzione;
          il piano di smantellare commissariati, caserme e presidi di sicurezza significa mettere la Sardegna sempre più in balia di una criminalità sempre più organizzata;
          il Ministro dell'interno deve immediatamente attivare tutte le procedure per coordinare gli interventi per sterminare questa banda criminale che ha messo a rischio la vita di passanti e cittadini e delle stesse guardie giurate che operavano il trasporto dei valori;
          le tecniche, armi e potenziale di fuoco impressionanti messi in campo a due passi dalla capitale della Sardegna hanno avuto l'ulteriore agevolazione-complicità di un cantiere infinito sulla strada statale 131 che da otto anni mette in ginocchio l'ingresso nella provincia di Cagliari;
          le affermazioni inquietanti di uomini in prima linea alla lotta alla criminalità rendono ancora più urgente un intervento consistente dello Stato;
          l'annunciata chiusura di presidi di sicurezza sul territorio sardo sono la dimostrazione di un governo disattento alle questioni della sicurezza nell'isola;
          questo gravissimo fatto criminale avrebbe potuto provocare una vera e propria strage;
          è indispensabile che il Ministro dell'interno convochi immediatamente un vertice multiforze per valutare tutte le iniziative da assumere sia sul piano investigativo che preventivo, considerato il salto di qualità che lascia presumere che si tratti di vera e propria criminalità organizzata che godrà di ulteriori supporti finanziari proprio grazie al bottino della rapina sulla Carlo Felice;
          il fatto che il gruppo paramilitare riesca – secondo quanto affermato da un autorevole inquirente – a procacciarsi auto in province diverse e finisca per utilizzarle anche a distanza di anni per colpire furgoni «carichi» conferma che vi è stato un salto di qualità che non può escludere l'arrivo di supporti criminali esterni all'isola. Posto che lo stesso riciclaggio del denaro sarà più complesso nell'isola piuttosto che nel resto del continente;
          a questo si aggiunge una situazione della viabilità senza precedenti che mette a rischio non solo la percorrenza dell'arteria dorsale della Sardegna ma anche l'incolumità pubblica legata alla criminalità organizzata che sfrutta quell'imbuto viario per mettere a segno rapine milionarie;
          il Governo deve approntare interventi emergenziali e deve far ripartire quei cantieri senza perdere un solo giorno, prima che siano ancora causa non solo di ritardi inaccettabili ma anche di eventi più gravi  –:
          se il Ministro dell'interno non intenda promuovere un immediato e urgente vertice per valutare con le forze dell'ordine attive sul territorio quali azioni e quali supporti debbano immediatamente essere attivati sia sul piano del contrasto che a livello preventivo per evitare il ripetersi di fatti di questa rilevanza;
          se non ritenga di dover rafforzare i presidi sardi a tutti i livelli e dismettere qualsiasi tipo di riduzione di organici e di presenza attiva sul territorio;
          se non ritenga di dover revocare l'intendimento di chiudere numerose stazioni o presidi di sicurezza sul territorio sardo proprio alla luce di questo salto di qualità dell'organizzazione criminale in Sardegna;
          se non si ritenga di dover obbligare, l'Anas ad eseguire con somma urgenza quei lavori necessari ad ovviare a quel cantiere infinito che blocca l'ingresso all'intera provincia di Cagliari. (5-02443)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GALATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 3 marzo 2014 la direzione centrale degli affari generali della polizia di Stato del dipartimento della pubblica sicurezza trasmette alle sedi delle questure la nota n.  599/A/1/131.4.1/2701 avente ad oggetto un progetto di «razionalizzazione delle risorse e dei presidi della Polizia di Stato sul territorio»;
          con la nota è evidenziata l'esigenza di una condivisa razionalizzazione e dislocazione dei presidi di polizia sul territorio, che tenga in debito conto la conclamata carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine, e l'attuale congiuntura economica;
          fa presente che, inoltre, è allo studio una riduzione degli organici di ruolo, oltre che operativi e tecnici nell'ambito di una ipotesi progettuale che si struttura attraverso due direttrici, delle quali una sarebbe orientata e finalizzata a una rivisitazione della dislocazione dei commissariati di P.S., delle compagnie dei carabinieri e di quelle forze speciali a carattere sussidiario concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite sul territorio; l'altra, a carattere interno alla polizia dello Stato, diretta ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità di base (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) – che, come si legge nella stessa nota, sono considerate «legate ad una realtà ormai superata alla luce delle nuove esigenze, conseguenti alla rete stradale e ferroviaria rinnovata ed al nuovo sistema postale e delle frontiere»;
          in considerazione di tali valutazioni, la nota illustra gli interventi di razionalizzazione identificati al fine di porre in essere tale orientamento, consistenti nella previsione di consistenti tagli, soppressioni ed accorpamenti per le sedi operative delle questure (n.  11 commissariati), della polizia stradale (n.  2 compartimenti e 27 presidi), della polizia ferroviaria (con la soppressione di n.  73 sottosezioni e posti Polfer), della polizia postale (soppressione di n.  73 sezioni provinciali), della polizia delle frontiere (soppressione di 2 zone franche e 10 presidi minori). Ulteriori tagli sono previsti per le squadre nautiche, squadre sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri;
          nell'ambito di questo quadro di revisione della spesa, l'interrogante segnala diversi elementi di preoccupazione e perplessità, riscontati, diffusi e percepiti come elementi di turbamento nella società civile e tra gli amministratori degli enti territoriali, con particolare riferimento a quei territori nei quali quello della sicurezza è un problema di primaria importanza ed assume sovente i tratti dell'emergenza;
          tra questi territori, ad esempio, si segnala la previsione di soppressione di alcuni presidi di polizia (ferroviaria e postale) collocati nell'area provinciale calabrese di Cosenza; secondo quanto comunicato all'interrogante dai referenti istituzionali della provincia di Cosenza, infatti, rientrerebbero nel piano di tagli e soppressioni sia la Polfer che la sezione di polizia postale di tale provincia, che rappresentano indispensabili diramazioni statali di garanzia per la sicurezza dei cittadini, come dimostrano peraltro i dati sui volumi dei procedimenti amministrativi avviati e conclusi nell'area di riferimento nell'ambito delle attività di prevenzione e del perseguimento delle infrazioni, oltre che di controllo sulla sicurezza del territorio. Con riferimento alla sezione polizia postale di Cosenza, l'interrogante ritiene opportuno segnalare che tale ufficio rappresenta l'unico punto di riferimento per il contrasto dei reati, cui la stessa unità operativa fa fronte attraverso l'utilizzo della rete informatica e telefonica;
          appaiono infine condivisibili le preoccupazioni sollevate da chi vede nella soppressione di questo servizio una circostanza idonea a riversarsi negativamente sul settore turistico – fonte essenziale di sviluppo economico per un'area notoriamente interessata da forti criticità – essendo suscettibile di configurarsi quale elemento di depauperamento dei livelli di attrattività del territorio per i visitatori e viaggiatori, i quali ricercano in prima istanza la tranquillità e la sicurezza dei luoghi di destinazione, sicurezza e tranquillità che questo territorio avrebbe serie difficoltà a garantire  –:
          quali interventi il Ministro ritenga di poter sollecitare, nell'ambito dei propri poteri di impulso ed indirizzo delle attività gestionali che fanno capo al dicastero, per pervenire a una revisione nel piano di tagli, soppressioni ed accorpamenti organici tra strutture amministrative preposte alla sicurezza e al controllo del territorio e ritenute indispensabili per una convivenza civica e serena dei cittadini ivi residenti. (4-04174)


      SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          stando ai dati raccolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII in collaborazione con Eurostat, delle 120 mila donne che nel solo 2013 sono state costrette a prostituirsi, ben il 37 per cento, cioè più di una su tre, erano minorenni, con un'età che va dai 13 ai 17 anni;
          in Italia il mercato della prostituzione, anche minorile, risulta essere in costante crescita, come recenti fatti di cronaca dimostrano, portando all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale quanto il fenomeno sia radicato e diffuso;
          si sono, infatti, tristemente moltiplicati negli ultimi mesi casi di minorenni coinvolte in vicende di prostituzione nel nostro Paese: ragazze giovanissime che mercificano il proprio corpo, come per le ragazze dei Parioli, sfruttate in un appartamento sito nel famoso quartiere di Roma, o le cosiddette «ragazze doccia» di Milano, studentesse dai 14 ai 16 anni, che sembra si prostituissero nei bagni delle loro scuole in cambio di regali;
          le recenti inchieste mettono in evidenza che questi fatti di cronaca purtroppo sono solo la cosiddetta punta dell’iceberg, la prostituzione di minorenni è infatti in forte crescita, e coinvolge sia italiane, sia straniere, queste ultime in numero molto maggiore, arruolate nei loro Paesi d'origine e spesso controllate e sfruttate da organizzazioni criminali: per quanto riguarda le straniere, le stime oscillano tra le settemila e le undicimila minori coinvolte, soltanto in Italia;
          la strada, come raccontano i dati raccolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, resta la vetrina preferita dai cosiddetti protettori, mentre nel 35 per cento dei casi la prostituzione avviene fra quattro mura, ma qualunque sia il luogo, la prostituzione rappresenta il modo più veloce per far soldi in nero, da investire poi in altro come droga e armi, per un giro d'affari che, sempre secondo la Comunità, può arrivare fino a dieci miliardi di euro l'anno, sfruttando quelle che sono vere e proprie schiave dei nostri tempi;
          la clientela italiana — come illustrato anche dalla recente vicenda delle squillo dei Parioli — risulta spesso di ceto piuttosto elevato, «medio alto» nel 56 per cento dei casi, l'età è fra i 40-55 anni nel 43 per cento e si tratta di molto spesso di uomini sposati (nel 77 per cento dei casi);
          quando i minori riescono a liberarsi dalla schiavitù della tratta «Prima c’è il periodo di protezione, per non farsi ripescare dagli aguzzini — spiega Don Aldo della Comunità Papa Giovanni XXIII — poi c’è il tempo per ristabilirsi psicologicamente, iniziare a reintegrarsi, e togliersi di dosso quel marchio oltreché il ricordo e gli effetti concreti delle tante violenze anche fisiche subite. Sono momenti difficili, è un percorso lungo, e per alcuni purtroppo molto in salita»;
          uno dei casi più eclatanti di prostituzione minorile in Italia è quello di Napoli, messo in luce da una recente inchiesta svolta dal Corriere della Sera, dove ci sarebbe un ignobile e vergognoso mercato della prostituzione minorile e della pedofilia che coinvolge ragazze e ragazzi di appena 13 anni o forse anche meno che, spesso costretti dalle famiglie, si prostituiscono per le strade, nel silenzio generale di cittadini e non solo;
          ciò che accade a Napoli è rappresentativo di tanti altri casi simili che purtroppo quotidianamente si verificano nel nostro Paese, di cui sono oggetto bambini ai quali viene rubata, nel modo peggiore, l'infanzia;
          in molti casi si è visto che gli spazi virtuali di chat o bacheche on-line sono stati il luogo di incontro dei minori, caduti nel giro della prostituzione, con i loro sfruttatori, tramite annunci e che dunque la rete può trasformarsi tristemente in luogo di adescamento dei ragazzi;
          in base alla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, andare con dei minori rientra nel reato ancora più grave della pedofilia, tanto più se le vittime hanno meno di 16 anni  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere in maniera urgente per contrastare il fenomeno della prostituzione minorile in tutta Italia, garantendo ad ogni minore il diritto a vivere con dignità e rispetto la sua infanzia e la sua adolescenza;
          se non si ritenga necessario, da un lato, incrementare l'azione preventiva e repressiva nei confronti dei criminali che sfruttano e usano violenza nei confronti, soprattutto, di donne e minori, immigrati e non, prevedendo maggiori tutele per chi trova il coraggio di denunciare i propri «aguzzini», e, dall'altro attivare azioni, per promuovere il recupero e la reintegrazione nella società dei minori che sono caduti nella trappola dello sfruttamento sessuale;
          quali iniziative si intendano avviare, a partire dalla scuola pubblica e non solo, per favorire un innalzamento generale del livello di consapevolezza rispetto al valore del proprio corpo e della sessualità e al problema della prostituzione, al fine di salvaguardare i minori, ma anche per sostenere il difficile compito di genitori e insegnanti di monitoraggio, protezione ed educazione dei minori, relativamente a tematiche tanto rilevanti quanto complesse da affrontare;
          quali azioni si intendano adottare per contrastare il fenomeno della prostituzione, in particolare con iniziative volte a monitorare e regolamentare l'utilizzo di siti web, chat, bacheche virtuali di annunci che possono diventare luoghi di adescamento dei minori. (4-04177)


      TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, BECHIS, RIZZETTO, ROSTELLATO e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Comitato provinciale Monza e Brianza per l'acqua pubblica, ora Comitato beni comuni Monza e Brianza, ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso al provvedimento del 1o dicembre 2011 del Consiglio di amministrazione dell'ufficio d'ambito territoriale omogeneo della provincia di Monza e Brianza, con il quale si imponeva alle patrimoniali di sottoscrivere uno schema di convenzione con la società di gestione del servizio idrico integrato, Brianzacque;
          per tale ricorso, il cui numero di R.G. è 98/2013, in data 13 febbraio 2013,      si è tenuta adunanza al Consiglio di Stato, seconda sezione, per la discussione; con ordinanza n.  1/2014 il Consiglio di Stato ha poi chiesto parere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato in merito alla legittimità dell'affidamento avvenuto a favore di Brianzacque;
          la relazione n.  46976 in data 10 dicembre 2010 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firmata e spedita al Consiglio di Stato, pur non riconoscendo la legittimazione ad agire da parte del ricorrente, nel merito dichiara fondate le istanze del Comitato beni comuni Monza e Brianza affermando che: «È altresì condivisibile quanto sostiene il ricorrente, con il secondo motivo del ricorso, in ordine alla mancanza, da parte di Brianzacque srl, dei requisiti giuridici per essere affidatario diretta della gestione del servizio idrico integrato (...). Il conferimento in proprietà delle reti idriche, ad una società per azioni, anche se a capitale interamente pubblico, trasformerebbe le reti medesime in patrimonio aziendale privato e le renderebbe pertanto soggette a trasferimento in favore di un terzo o ad azioni esecutive, con violazione degli articoli 822, 823 e 824 del codice civile;
          il Comitato beni comuni Monza e Brianza ha inviato anche all'Autorità garante della concorrenza e del mercato medesima istanza e l'istruttoria dell'autorità ha confermato le tesi del Comitato;
          in data 17 ottobre 2012 l'autorità garante della concorrenza e del mercato si è convocata in adunanza e si è espressa in questi termini: «l'affidamento in house a Brianzacque è avvenuto in assenza dei necessari requisiti per tale forma di affidamento», «questi ultimi, infatti, devono logicamente essere integrati dalla società a ciò individuata, al momento stesso in cui le viene conferito l'affidamento del servizio senza che il possesso integrale degli stessi possa essere rimandato ad un momento successivo nel tempo»;
          in data 12 febbraio 2013, l'AGCM ha comunicato di aver riaperto una pratica per verificare l'applicabilità delle disposizioni di cui alla legge n.  287 del 1990, ovvero la possibilità di procedere, tramite l'Avvocatura dello Stato, alla presentazione del ricorso avverso ai provvedimenti adottati dalla provincia di Monza e Brianza;
          con nota del 3 maggio 2013, l'AGCM comunicava che: «ogni ulteriore atto di proroga del termine conclusione del necessario processo di riorganizzazione di Brianzacque integrerebbe una violazione dei principi e delle norme di concorrenza da rispettarsi, ai sensi della giurisprudenza europea, per un legittimo ricorso all'affidamento in house e sarebbe, pertanto suscettibile di un intervento della stessa Autorità ai sensi dell'articolo 21-bis della legge n.  287 del 1990»;
          sul bollettino dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n.  44 dell'11 novembre 2013, veniva successivamente pubblicata ulteriore segnalazione relativa all'illegittimo affidamento del servizio idrico avvenuto a favore di Brianzacque srl; l'AGCM ha segnalato gli effetti distorsivi della concorrenza che derivano dai vari atti con cui nel tempo il Servizio Idrico Integrato (SII) è stato oggetto di affidamento diretto a Brianzacque senza che ne ricorressero le condizioni, ha ribadito che i requisiti richiesti dalla giurisprudenza europea per ammettere affidamenti diretti devono preesistere all'affidamento ed ha auspicato che, a fronte delle perduranti irregolarità del regime di affidamento diretto del SII alla società Brianzacque, questa società, nel rigoroso rispetto del termine del 31 dicembre 2013, possa conformarsi al modello dell’in house providing;
          il consiglio di amministrazione dell'ufficio d'ambito territoriale omogeneo (ATO) della provincia di Monza e Brianza, con deliberazione del 27 dicembre 2013, n.  28, adottava, ai sensi dell'articolo 34, comma 20, del decreto-legge n.  179/2012, la relazione sull'affidamento del servizio idrico integrato servizio idrico integrato in contrasto con i suddetti rilievi espressi dal Ministero dell'ambiente e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato; nonostante ciò, nell'ultima segnalazione sul bollettino dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n.  44 dell'11 novembre 2013, si rileva che non sia mutato alcunché nell'assetto societario di Brianzacque e si sostiene che Brianzacque possiede i requisiti per un affidamento in house;
          nell'ambito del processo di riorganizzazione che ha portato all'affidamento del servizio a Brianzacque, sono previsti progetti di fusione che prevedono l'incorporazione delle patrimoniali socie di Brianzacque in questa società (la fusione della società Alto Lambro Servizi Idrici (ALSI) in Brianzacque è stata approvata dalle rispettive assemblee) e il progetto di fusione è stato approvato già da diversi comuni soci delle patrimoniali;
          nella riunione del 19 febbraio 2014, l'AGCM deliberava di esercitare i poteri di cui all'articolo 21-bis della legge n.  287 del 1990 (60 giorni per ottemperare, altrimenti impugnazione dell'atto entro i successivi 30 giorni tramite Avvocatura dello Stato) inviando un parere all'ATO di Monza e Brianza con riferimento alla «Relazione sul servizio idrico integrato» adottata, ai sensi dell'articolo 34, comma 20, del decreto legge n.  179 del 2012 e pubblicata dall'ATO a fine anno 2013, che sosteneva che Brianzacque fosse da considerarsi già in possesso dei requisiti per un affidamento in house;
          l'AGCM, in una nota inviata al Comitato beni comuni Monza e Brianza nel mese di marzo 2014, comunicava che, con riferimento alla delibera adottata dal comune di Nova Milanese per la fusione (primo comune della provincia di Monza e Brianza ad impiegare tale atto), ha deliberato di esercitare i poteri di cui all'articolo 21-bis della legge n.  287 del 1990, inviando un parere all'amministrazione interessata con riferimento alla «Relazione sul servizio idrico integrato» pubblicata dall'ATO a fine anno 2013;
          l'articolo 34, comma 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 prevede che: «Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. ... Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013»;
          l'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n.  150, convertito dalla legge 27 febbraio 2014, n.  15 (cosiddetto decreto legge «Milleproroghe») prevede che dalla deroga a quanto previsto dall'articolo 34, comma 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l'ente responsabile dell'affidamento ovvero, ove previsto, l'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento pubblicando la relazione di cui al comma 20 del medesimo articolo, il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014;
          con il decreto-legge «Milleproroghe» non è stato concesso a Brianzacque ulteriore tempo per acquisire i requisiti necessari per un affidamento in house ma, piuttosto, di continuare il servizio fino al 31 dicembre 2014, mentre la relazione prevista dall'articolo 34, comma 20, avrebbe dovuto riguardare l'avvio delle procedure per un nuovo affidamento;
          il comma 2 del citato articolo 13 del decreto-legge «Milleproroghe» prevede che: «... la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comporta l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014»;
          nel contempo sono accaduti fatti che possono comportare gravi sanzioni pecuniarie e interdittive per Brianzacque, quali:
          a) l'arresto dell'ex presidente Raho e di un funzionario di Brianzacque per episodi di corruzione legati all'inchiesta «clean city»; b) lo stesso Raho e un dirigente di Brianzacque sono indagati per truffa per aver ottenuto, a seguito del disastro provocato dalla Lombarda Petroli, un doppio rimborso dalla regione Lombardia e dall'ente assicurativo per gli stessi danni con disposizione del tribunale di Monza nei confronti di Brianzacque del sequestro di beni pari a 800 mila euro;
          ai sensi dell'articolo 2501 del codice civile gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere oltre al progetto di fusione anche la situazione patrimoniale delle società stesse, redatta con l'osservanza delle norme sul bilancio di esercizio oltre ad una relazione la quale illustri e giustifichi, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di fusione; tale relazione di fusione è stata redatta senza menzionare nessuno di tutti gli atti emanati da pubbliche amministrazioni indipendenti e di controllo le quali evidenziano l'illegittimità dell'affidamento a Brianzacque, oltre alla sottoposizione a misure interdittive, rendendo secondo gli interroganti di fatto la fusione deliberata in violazione di norme di legge;
          la situazione patrimoniale è redatta ad avviso degli interroganti senza tenere conto del grave atto cautelare e di sequestro disposto dalla procura di Monza con la conseguente possibile condanna ad una ingente pena pecuniaria, oltre a diversi atti conseguenti ad azioni civili ed amministrative che rendono la situazione patrimoniale non coerente con la reale situazione dell'attivo e passivo;
          gli enti locali hanno deliberato su atti ad avviso degli interroganti non adeguatamente motivati e gli atti della procura di Monza presi successivamente alle delibere dei consigli comunali, rendono necessario un procedimento di revisione di quanto deliberato  –:
          il prefetto della provincia di Monza e Brianza      abbia allo studio iniziative, per quanto di competenza, in relazione alla grave situazione venutasi a creare nell'ambito della gestione del servizio idrico della provincia interessata;
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro      visto l'approssimarsi della scadenza del termine del 30 giugno 2014, scaduto il quale l'autorità prefettizia sopra indicata sarà tenuta a esercitare i poteri sostitutivi previsti dal citato articolo 13, comma 2 del decreto-legge n.  150 del 2013. (4-04185)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          la legge n.  240 del 2010, all'articolo 16, comma 1, recita: «L'abilitazione attesta la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori» e sottolinea, al comma 3, la necessità di una valutazione oggettiva dei titoli e delle pubblicazioni, l'istituzione di una unica commissione per entrambe le abilitazioni di professore ordinario e associato, la trasparenza dei giudizi del commissari allegati agli atti della    procedura»;
          una circolare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la n.  754 dell'11 gennaio 2012, aveva inteso accogliere le domande anche di coloro che non superavano le mediane, senza peraltro annullare il valore degli indicatori bibliometrici quale criterio oggettivo di selezione; la legge prevede tra l'altro anche la possibilità che la commissione possa acquisire pareri scritti pro veritate sull'attività scientifica dei candidati da parte di esperti, soprattutto quando in un determinato settore vengono valutati candidati che fanno parte di specifici «sottosettori»; in tal senso è già stata presentata una interpellanza urgente il 13 febbraio 2014 con specifico riferimento al SSD Med/02; in quella occasione il sottosegretario pro tempore Marco Rossi Doria rispondendo alla interpellanza relativa alla abilitazione scientifica nazionale nel settore specifico della storia della medicina, affermava che il: «Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è ben disposto a valutare l'opportunità di interventi correttivi alla disciplina. Esula però dalle attribuzioni del Ministero il compito di valutare l'operato delle singole commissioni né è previsto che il Ministro possa disporre la revisione delle valutazioni ipotizzata dagli onorevoli interpellanti...» e aggiungeva «Le commissioni esaminatrici hanno la facoltà di conferire l'abilitazione scientifica ai candidati che, pur non superando le mediane, conseguono un giudizio di merito positivo...»;
          il 24 febbraio sul sito del Ministero (https:/abilitazione.cineca.it) si legge concretamente che: «il ministero considerato in particolare che tali errori materiali in un caso specifico, relativo al candidato..., determinano un'incongruenza tra giudizi individuali e giudizio collegiale...» decide la riapertura dei lavori della commissione;
          con un rammarico evidente e con uno spirito di trasparenza analogo a quello manifestato dai docenti del SSD MED 02, si segnala anche quanto è accaduto nella valutazione dei partecipanti alle procedure di valutazione nella facoltà di architettura, dove la commissione ha bocciato ricercatori universitari e docenti a contratto di grande esperienza non solo sul piano professionale, come confermano gli importanti lavori di progettazione firmati dai candidati e apprezzati a livello internazionale, ma anche sul piano didattico come emerge dai giudizi ampiamente positivi degli studenti che frequentano i loro corsi; il direttivo ProArch In una lettera al Ministro ha scritto: «Le affermazioni sprezzanti e personalistiche contenute in diversi giudizi creano sconcerto e perplessità e danneggiamo pubblicamente i candidati. Si tratta di espressioni inaccettabili in una comunità scientifica, incompatibili col prestigio e il ruolo dei docenti universitari»;
          analogamente l'Associazione italiana di Architettura e critica chiede al Ministro una verifica del lavoro della commissione e molti illustri docenti universitari si sono dichiarati d'accordo con la protesta personale dei candidati esclusi e con le proteste di una intera categoria che si sente ingiustamente umiliata;
          accanto alle iniziative dei singoli candidati si sta formando un vero e proprio movimento di opinione che guarda alle valutazioni dei candidati mettendo in dubbio l'oggettività dei giudizi del commissari; si citano ad esempio espressioni francamente discutibili nella sostanza e nella forma; si cita ad esempio: «sparisca, per favore...» oppure: «La candidata non è scema...»;
          accanto agli storici della medicina, agli architetti si schierano anche economisti, climatologi, geofisici, tutti con una documentata competenza scientifica che le rispettive commissioni non hanno riconosciuto, con le più svariate argomentazioni; tra i tanti casi si può citare quello di un candidato, dirigente, a cui pur essendo stata riconosciuta una produzione scientifica pertinente non si riconosce una maturità compatibile con l'abilitazione alle funzioni di prima fascia, con un giudizio pesante sul piano personale e in evidente contraddizione con il suo profilo professionale;
          col passare delle settimane i lavori delle 184 commissioni si rivelano in molti casi parziali, soggettivi, e poco aderenti agli effettivi profili di maturità umana, professionale e scientifica dei candidati: Antonio Navarra, climatologo, Augusto Neri, vulcanologo, Giorgio Spada, geofisico, tutti scienziati di fama mondiale, ma non abilitati; le commissioni hanno in molti casi valutato solo ed esclusivamente la produzione scientifica ignorando le competenze effettive dei candidati rilevabili dagli incarichi ottenuti e tanto meno hanno tenuto conto della competenza didattica nei propri settori, frutto indubbio di una maturità scientifica che si rende chiara e comprensibile nella trasmissione alle nuove generazioni;
          altro elemento fondamentale per valutare il lavoro delle commissioni non è solo l'esclusione degli eccellenti, quanto l'inclusione di persone con molti minori titoli sia sul piano della produzione scientifica che su quello della competenza professionale e didattica; le contraddizioni di certi giudizi è stridente e non può essere    ignorata da parte del Ministero;
          in una precedente risposta ad una interpellanza urgente il sottosegretario pro tempore Rossi Doria aveva affermato: «Esula però dalle attribuzioni del Ministero il compito di valutare l'operato delle singole commissioni né è previsto che il Ministro possa disporre la revisione delle valutazioni ipotizzata dagli onorevoli interpellanti», ma il Ministro interpellato non può avallare questa rinunzia all'esercizio della propria responsabilità nella più importante operazione di rilancio dell'università italiana;
          il nuovo Governo ha fatto una opzione forte, indicando nella scuola e nell'università una delle sue priorità; ma non si può neppure immaginare una «nuova stagione» dell'università e della vita universitaria ignorando giudizi così diffusi e tanto critici da parte dei candidati esclusi, dai momento che non si tratta di uno o più commissari in difetto, ma di una capacità di giudizio complessiva di docenti nei confronti di colleghi o futuri colleghi; la maturità scientifica del docente universitario come recitano criteri previsti dalla legge includono accanto ai parametri bibliometrici anche criteri di professionalità da cui è possibile ricavare lo spessore delle competenze dei candidati misurato sul campo e, affidato non solo alla rivista su cui appaiono gli articoli  –:
          come il Ministro interpellato intenda affrontare la valutazione del lavoro delle diverse commissioni, a partire proprio dalle discrepanze e dalle contraddizioni che emergono nei giudizi delle singole Commissioni, denunciate sia a livello personale da parte dei candidati sia a livello delle diverse associazioni scientifiche.
(2-00470) «Binetti, Dellai».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BUSINAROLO, COLLETTI, BRESCIA, CECCONI, SPADONI, D'UVA, BRUGNEROTTO, COZZOLINO, DA VILLA e TOFALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          «Per me sei morto» disse l'ex presidente dell'Agenzia Spaziale italiana Enrico Saggese al manager che aveva scoperto le sue malefatte. La carriera del funzionario all'Asi sarebbe stata stroncata se non avesse mantenuto il massimo riserbo. Il dirigente, che prontamente aveva segnalato come whistleblower e denunciato i fatti scoperti, è stato demansionato. Da lui è partita l'inchiesta che ha portato Saggese agli arresti per tentata concussione;
          viaggi da centinaia di migliaia di euro in giro per il mondo, generose consulenze affidate agli amici degli amici, false fatture per mascherare il pagamento di tangenti in cambio di appalti;
          sono questi i contorni dell'inchiesta della procura di Roma sulla gestione dell'Agenzia spaziale italiana (Asi) da parte dell'ex presidente Enrico Saggese, nominato in data 3 luglio 2009 dal Consiglio dei ministri;
          il 7 febbraio 2014 Enrico Saggese aveva rimesso il proprio mandato ed il 13 febbraio è stato nominato al suo posto un commissario straordinario, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          l'ordinanza con cui il gip Carmine Castaldo ha messo Saggese agli arresti domiciliari, risale al 2009. Dopo aver promesso di fare i dovuti accertamenti, a settembre 2013, Saggese, davanti alle pressanti richieste del dirigente sugli esiti delle verifiche, avrebbe risposto, dopo essere sbiancato in volto, con un secco «le fatture sono false, per me sei morto»;
          nell'ambito del sessantesimo Congresso astronautico internazionale (Iac) in Corea, evento clou del settore, le imprese che dovevano essere invitate furono indicate al responsabile dell'ufficio acquisti dell'Asi da parte di Saggese. Furono corrisposti rilevanti importi di denaro (ufficialmente per consulenze organizzative) alla Get-in Communication di Torino, società di cui era socio di maggioranza Vittorio Sette e amministratrice Elena Oteri, rispettivamente padre e madre di Francesca Sette, responsabile comunicazione dell'Asi cooptata da Saggese da Finmeccanica, gruppo di cui era stato vice presidente;
          i pm sospettano che anche questi pagamenti alla Get-in, come quelli fin qui emersi, siano stati eseguiti a fronte di prestazioni inesistenti e che servissero, in realtà, a nascondere tangenti destinate a Francesca Sette, che per questo motivo è finita nel registro degli indagati insieme ai genitori e al fratello, il ballerino di tango Mario Giacomo Sette, anche lui assunto in una controllata dell'Asi il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) di Capua;
          Saggese avrebbe delegato a Francesca Sette, sua persona di fiducia, anche il compito di tenere i rapporti con i vertici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (cui compete la vigilanza sull'Asi), come confermato ai pm dal capo di gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca Luciano Fiorentino. Saggese non avrebbe esitato di minacciare di stroncare la carriera a un suo dipendente che, a giugno del 2013, gli fece presente di aver scoperto rapporti illeciti tra la manager e la Sistina Travel Lufthansa City Center, società amministrata da Salvatore Marascia che gestisce i viaggi all'estero dei dipendenti Asi. In particolare il dirigente riferì a Saggese di aver scoperto due fatture per operazioni inesistenti emesse dalla Get-in, società che era risultata essere priva di dipendenti e la cui sede coincideva con la residenza di Oteri e della figlia;
          gli inquirenti hanno scoperto che Saggese, forte delle sue entrature all'Asi, ha continuato a minacciare il dirigente fino a pochi giorni fa, continuando a mantenere stretti legami con alcuni dirigenti dell'Agenzia spaziale;
          infatti, il 7 febbraio 2014, quando la notizia dell'indagine divenne di pubblico dominio, Saggese si limitò a rassegnare le dimissioni dalla presidenza dell'Asi conservando però quella della Cira, la società che gestisce il programma di ricerche aerospaziali dell'Agenzia;
          secondo il gip Saggese, anche grazie alla presidenza del Cira, ha continuato a condizionare la vita istituzionale dell'Asi. Alcuni dipendenti infatti hanno confermato che dopo le dimissioni e le conversazioni intercettate durante le perquisizioni del 7 febbraio, fornisce ad alcuni ex sottoposti dell'Asi indicazioni su come comportarsi  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          perché il Ministro, che vigila sull'Agenzia spaziale italiana, abbia permesso che il presidente dell'Agenzia indagato per corruzione e concussione, a seguito di segnalazione di un dipendente whistleblower, mantenesse comunque il proprio incarico nella società CIRA, Centro italiano di ricerche aerospaziali, società partecipata attualmente a maggioranza pubblica, mettendo lo stesso dipendente in posizione poco tutelata. (5-02452)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti intendono interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          il Governo con la legge 27 dicembre 2013, n.  147, legge di Stabilità 2014, ha confermato per l'anno in corso la misura della «social card», sia quella ordinaria che quella straordinaria;
          in particolare, la social card straordinaria, introdotta nel 2013, con il decreto-legge n.  5 del 9 febbraio 2012, con uno stanziamento di 50 milioni di euro e, resa attuativa con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (10 gennaio 2013) nei 12 comuni con più di duecentocinquantamila abitanti – Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona è un sostegno subordinato al reinserimento lavorativo di chi ne usufruisce;
          secondo i dati diffusi dal comune di Milano su 1.738 domande presentate nel capoluogo lombardo, l'Inps ne ha accolte soltanto 666: praticamente quattro su dieci. Quasi mille domande non hanno i requisiti mentre 104 risultano in sospeso. Questo, nonostante, anche a Milano sia forte la crisi e numerose siano le persone in situazione di grande difficoltà economica e sociale;
          i criteri di individuazione della soglia di povertà stabiliti per poter usufruire della social card si sono rivelati troppo ’stringenti’ e così, molte famiglie, pur in condizioni di serissimo disagio economico non vedono riconosciuta la propria condizione di precarietà. Su 5,4 milioni di euro che sarebbero stati destinati a Milano, almeno 3 milioni resteranno inutilizzati;
          a coloro i quali è stato riconosciuto il diritto dall'Inps di poter usufruire della social card riceveranno una comunicazione da Poste Italiane per ritirare la carta, sulla quale saranno accreditati i bimensili da 200 a 400 euro per un anno;
          l'Inps, sulla base delle indicazioni fornite dal Governo, ha escluso dal diritto di poter usufruire della social card coloro che hanno perso il lavoro nei 36 mesi precedenti la domanda e coloro che hanno oltre 4.000 euro di reddito complessivo nei sei mesi precedenti la domanda;
          anche nelle altre città in cui è stata avviata la sperimentazione la richiesta è stata inferiore alle aspettative non certo perché non esista una reale esigenza ma per la rigidità dei criteri e la farraginosità della procedura  –:
          se il Governo non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa per rivedere i criteri per l'accesso alla social card sperimentale, inoltre, prevedendo che, i comuni interessati alla sperimentazione destinino la parte delle risorse già previste e non erogate per iniziative volte a contrastare il disagio sociale e la povertà.
(2-00472) «Quartapelle Procopio, Boccia, Brandolin, Preziosi, Piccoli Nardelli, Marco Di Maio, Lauricella, Leva, Peluffo, Piepoli, Morassut, Francesco Sanna, Manciulli, Scanu, Petrini, Parrini, Giampaolo Galli, Venittelli, Zanin, Cova, Schirò, Epifani, Nesi, Binetti, Pastorelli, Monchiero, Folino, Tinagli, Bergamini, Castricone, Mazzoli, Bonavitacola, Gutgeld, Giuliani, Scotto, Bonifazi, Rocchi, Rigoni, Carlo Galli, Pes, Nicoletti, Pollastrini, Roberta Agostini, Fabbri».

Interrogazioni a risposta immediata:


      MATARRESE, CAUSIN, MONCHIERO, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, RABINO e ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 41, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n.  289, così come modificato dall'articolo 44, comma 9-bis, della legge 24 novembre 2003, n.  326, e, da ultimo, dall'articolo 1, comma 190, della legge 27 dicembre 2013, n.  147, ha previsto che «per gli anni 2004-2017 le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 11 giugno 2002, n.  108, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2002, n.  172, si applicano anche ai lavoratori licenziati da enti non commerciali operanti nelle aree individuate ai sensi degli obiettivi 1 e 2 del regolamento (CE) n.  1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata ed in situazione di crisi aziendale in seguito a processi di riconversione e ristrutturazione aziendale. Il trattamento economico, comprensivo della contribuzione figurativa e, ove spettanti, degli assegni per il nucleo familiare, è corrisposto in misura pari al massimo dell'indennità di mobilità prevista dalle leggi vigenti, per la durata di 66 mesi dalla data di decorrenza del licenziamento e nel limite di 400 unità, calcolato come media del periodo. Ai lavoratori di cui al presente comma si applicano, ai fini del trattamento pensionistico, le disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n.  724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n.  449»;
          tale disposizione, nello stabilire una speciale indennità di mobilità per i lavoratori dipendenti da enti non commerciali operanti in aree disagiate, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata, ha previsto, altresì, che gli stessi possano accedere al pensionamento con il possesso dei soli requisiti di cui «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n.  724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n.  449»;
          i predetti requisiti sembrerebbero più favorevoli per i lavoratori rispetto a quelli stabiliti, successivamente, dalla legge n.  243 del 2004 e dal decreto-legge n.  201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, a ragione della particolare situazione economica del settore suddetto. Infatti, la legge n.  289 del 2002, dispone l'accesso al trattamento pensionistico con soli 57 anni di anzianità anagrafica e con 35 di anzianità contributiva mentre il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, aumenterebbe questi requisiti a oltre 66 anni di anzianità anagrafica con 20 anni di anzianità contributiva;
          sembrerebbe trattarsi di una norma di carattere speciale, con la conseguenza che la stessa non potrebbe ritenersi abrogata dalle successive disposizioni in materia di ordinamento pensionistico (ultima tra tutte, l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011);
          la disposizione, infatti, è stata prorogata di anno in anno (da ultimo, dall'articolo 1, comma 190, della legge 27 dicembre 2013, n.  147), senza che sia stato modificato il riferimento «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n.  724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n.  449»;
          inoltre, al momento dell'emanazione della legge n.  289 del 2002, era all'esame della Camera dei deputati il disegno di legge A.C. 2145 (poi divenuto legge 23 agosto 2004, n.  243) e, quindi, ad avviso degli interroganti, il riferimento alla legge n.  724 del 1994 e alla legge n.  449 del 1997 non può che interpretarsi come una espressa volontà legislativa di stabilizzare tale disciplina pensionistica;
          la Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza (Opera Don Uva), ente che rientra nell'ambito di applicazione della suddetta disposizione, ha avviato, con lettera del 23 ottobre 2014, una procedura di licenziamento collettivo ex articolo 24 della legge, 23 luglio 1991, n.  223, avente ad oggetto 587 lavoratori del settore sanitario;
          tale procedura si è conclusa con accordo del 22 febbraio 2013, stipulato presso la competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la previsione, in particolare, del criterio di scelta costituito dalla possibilità di accedere ad un trattamento pensionistico entro la durata dell'indennità di mobilità in questione;
          l'accoglimento della suddetta interpretazione consentirebbe di ridurre notevolmente l'impatto sociale della procedura di licenziamento in questione  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in particolare, se la suddetta interpretazione sia corretta e se, quindi, i lavoratori di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n.  289 del 2002, possano accedere ai trattamenti pensionistici di vecchiaia e di anzianità con il possesso dei requisiti di cui all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n.  724, e relativa tabella A, nonché di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n.  449, se possano beneficiare dei ridotti requisiti pensionistici solamente i lavoratori percettori dell'indennità di cui trattasi o tutti i lavoratori dipendenti dai datori di lavoro di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n.  289 del 2002 che siano licenziati per motivi di carattere oggettivo e se l'organico minimo di 1.800 dipendenti debba intendersi riferito al momento di entrata in vigore dell'articolo 41, comma 7, della legge n.  289 del 2002, ovvero debba sussistere in occasione dell'attivazione delle procedure di licenziamento collettivo ex articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n.  223, o di licenziamento individuale ex articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n.  604. (3-00707)


      DI SALVO, AIRAUDO, PLACIDO e MIGLIORE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio dei ministri del 12 marzo 2014 ha approvato due distinti e, a parere degli interroganti, contraddittori provvedimenti: un disegno di legge delega che propugna un contratto a tutele crescenti ed un decreto-legge (il decreto-legge 20 marzo 2014, n.  34) che stabilisce nei fatti periodi di prova lunghissimi;
          lo strumento della legge delega è stato utilizzato dal Governo per «semplificare» e «riordinare» le diverse figure contrattuali, introducendo «eventualmente in via sperimentale» un contratto «a tutele crescenti per i lavoratori coinvolti»;
          con il decreto-legge citato è ora, invece, possibile assumere per otto volte nell'arco di tre anni un lavoratore con un contratto a tempo determinato di 4/5 mesi. Una norma di questo tipo, di fatto, introduce un periodo di prova di 3 anni in cui il datore può licenziare senza pagare un'indennità, senza dare un minimo di preavviso e senza neanche motivazione;
          il decreto-legge con la nuova prova triennale rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello al quale si accenna nel disegno di legge delega. Un periodo di prova così lungo spiazza, infatti, qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento a tutele crescenti che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l'anzianità aziendale media in Italia è attorno ai 15 anni. Inoltre, il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato;
          il contratto di lavoro a tutele crescenti ha esattamente la filosofia opposta: ridurre le barriere, unificare laddove oggi c’è segmentazione. Invece con il decreto citato si è scelto di aumentarla ulteriormente: così il mercato del lavoro italiano sarà ancora più spaccato a metà. Le disposizioni del decreto-legge citate rendono improponibile la previsione della legge delega che introduce il contratto a tutele crescenti  –:
          quale sia la reale politica che il Governo intende perseguire per riformare il mercato del lavoro. (3-00708)


      FORMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la crisi economica degli ultimi anni ha avuto pesantissime ripercussioni sull'occupazione, in particolare su quella giovanile. I dati Istat più recenti parlano di una percentuale superiore al 42 per cento di disoccupati per i giovani dai 15 ai 24 anni di età. Si tratta di una cifra che, giustamente, il Presidente del Consiglio Renzi ha definito allucinante;
          il Governo ha appena emanato il decreto-legge 20 marzo 2014, n.  34 «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», che è certamente una prima risposta al problema della disoccupazione, in particolare per quel che riguarda i giovani;
          appare, però, necessario intervenire anche con ulteriori misure che, sia pure non risolutive, diano un primo respiro ad una fascia sempre più ampia di popolazione italiana;
          uno strumento importante può essere certamente la cosiddetta «staffetta generazionale», che appare utile per affrontare una situazione che, se è difficile ovunque, è particolarmente tragica nel Mezzogiorno d'Italia, cronicamente afflitto dal fenomeno della disoccupazione e ora colpito con particolare durezza dalla crisi che si sta vivendo;
          la staffetta generazionale non è certo un'idea peregrina o utopistica. Infatti, già la cosiddetta «legge Treu», la legge 196 del 1997, all'articolo 13, comma 4, lettera b), stabiliva che la maggiore misura della riduzione delle aliquote contributive prevista si applicava ai «contratti di lavoro a tempo parziale in cui siano trasformati i contratti di lavoro intercorrenti con lavoratori che conseguono nei successivi tre anni i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, a condizione che il datore di lavoro assuma, con contratti di lavoro a tempo parziale e per un tempo lavorativo non inferiore a quello ridotto ai lavoratori predetti, giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore a trentadue anni»;
          successivamente, molte sono state le proposte per migliorare l'istituto della staffetta tra generazioni nel mondo del lavoro e oggi essa viene sperimentata in regioni quali il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, mentre è utilizzata con successo in vari Stati europei, tra i quali la Germania, laddove lo Stato ha accettato di aiutare coloro che intendessero lasciare il lavoro, per farsi sostituire da un giovane, riconoscendo i contributi figurativi mancanti per il raggiungimento della pensione;
          la Camera dei deputati ha approvato, in data 20 giugno 2013 una mozione del gruppo Misto-Centro Democratico che impegnava il Governo ad intraprendere tutte le iniziative del caso per l'implementazione della cosiddetta «staffetta generazionale»;
          inoltre, durante la discussione della legge di stabilità, il 20 dicembre 2013, è stato accolto un ordine del giorno che impegnava il Governo a «riprendere concretamente ed in tempi rapidi il tema della «staffetta generazionale», in modo da consentire, anche in via sperimentale, la concreta attuazione di uno strumento utile per facilitare l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro»  –:
          se il Ministro interrogato intenda, come auspicabile, proseguire nell'opera di concreta attuazione della «staffetta generazionale». (3-00709)


      PIZZOLANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontalieri;
          nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
          i provvedimenti del Governo adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere; a titolo esemplificativo si sono verificate controversie in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione; non è risolta in via definitiva la questione dell'esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera; a tale problema si è provveduto con misure temporanee, da ultimo con una disposizione apposita nella legge di stabilità 2014, pur permanendo problematiche relative alla previdenza;
          inoltre, con riferimento a San Marino, il Protocollo sulla doppia imposizione sottoscritto a Roma il 13 giugno 2012 e ratificato con legge 19 luglio 2013, n.88 prevede che con legge ordinaria del Parlamento italiano si risolva in maniera definitiva la questione del trattamento fiscale e previdenziale dei lavoratori frontalieri; sul punto esistono proposte depositate in Parlamento  –:
          se, in attesa di pervenire al più presto all'approvazione di uno Statuto dei lavoratori frontalieri (presumibilmente mediante l'apertura di un tavolo di confronto con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine – impegno assunto dal Governo a seguito dell'approvazione presso questa Camera il 22 ottobre 2013, della mozione Braga, Pizzolante, Antimo Cesaro, Kronbichler, Plangger ed altri n.  1-00013), non ritenga opportuno dare seguito a quanto previsto dal Protocollo con San Marino ratificato con la legge 19 luglio 2013, n.  88, presentando al Parlamento le proprie proposte in materia di trattamento fiscale e previdenziale dei lavoratori frontalieri. (3-00710)


      FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          dal 2008 è presente una gravissima crisi economica internazionale che ha colpito in modo particolare anche alcuni Paesi dell'area dell'Unione europea. L'attuale congiuntura economica, superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali a quella del 1929, ha investito anche il nostro Paese;
          secondo la circolare dell'8 gennaio 2014 del Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, recante «Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza», a qualunque clandestino che sbarchi in Italia e semplicemente presenti richiesta di protezione internazionale, anche se fittizia, deve essere garantito vitto e alloggio per un importo pari a 30 euro oltre IVA, un pocket money di 2 euro e 50 centesimi al giorno e una tessera/ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso delle strutture di accoglienza, nonché assistenza e cure sanitarie;
          considerando solo i clandestini arrivati in Italia dall'inizio del 2014, se presentassero domanda di protezione internazionale per ottenere tali benefit, i costi sarebbero di 127.500 euro di ricariche telefoniche, 21.250 euro di pocket money al giorno e 255.000 euro di vitto e alloggio al giorno, oltre a cure sanitarie;
          su undici centri di identificazione ed espulsione sei sono stati chiusi nel 2013 per lavori di ristrutturazione, causati dai danneggiamenti dei clandestini ospitati, e perciò risulta che centinaia di clandestini, in questi giorni trasferiti nelle regioni del Nord, vengano alloggiati anche in alberghi a 4 stelle, come ad esempio al Riz di San Genesio, in provincia di Pavia, dove il pernottamento a notte costa dai 120 ai 140 euro; non si sa al momento quanti di essi, dove e per quanto saranno alloggiati presso le strutture alberghiere;
          secondo anticipazioni di organi stampa, per affrontare il sovraffollamento delle carceri e la questione delle condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dell'Italia su questo tema, il Governo sarebbe sul punto di approvare un provvedimento che stabilirà, per tutti i detenuti che hanno fatto ricorso per la carenza di spazio nelle carceri, un indennizzo di 20 euro al giorno;
          la crisi economica che ha investito il nostro Paese ha fatto emergere in tutta la sua gravità le profonde criticità nella gestione pubblica delle risorse finanziarie. È palese come sia inaccettabile che lo Stato spenda per il sostegno ai migranti arrivati clandestinamente nel nostro Paese e per i detenuti, mentre nulla è stato previsto per le vittime della crisi economica: disoccupati, esodati, artigiani, commercianti e piccoli medi imprenditori  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi promotore di un'iniziativa finalizzata al riconoscimento ufficiale delle vittime della crisi economica esercitando le dovute iniziative atte alla protezione umanitaria e presa in carico di questa particolare categoria, anche promuovendo l'individuazione delle risorse necessarie tra quelle destinate all'assistenza degli extracomunitari, sulla base del principio di dare priorità ai cittadini del nostro Paese. (3-00711)


      ARGENTIN, LENZI, AMATO, BENI, BOSSA, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in un'intervista rilasciata il 16 marzo 2014 al «Quotidiano Nazionale» il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha indicato, fra le intenzioni governative: «Tagli alla spesa pubblica inefficiente. Ci sono tantissimi margini di manovra. Pensiamo ai 12 miliardi sulle pensioni di invalidità e accompagnamento spesi dall'Inps: hanno dei picchi in alcune zone totalmente inspiegabili, se non con il fatto che ci siano degli abusi. Per garantire controlli, equità ed evitare abusi applicheremo l'ISEE.»;
          dalle dichiarazioni sembra prendere corpo l'ipotesi, in modo assai preoccupante, che il Governo intenda ridurre drasticamente la spesa per pensioni di invalidità (circa 280 euro al mese) e per l'indennità di accompagnamento (500 euro al mese) riservata – fino a oggi – a persone con grave disabilità, non autosufficienti, allettati, malati oncologici terminali;
          è stata diffusa, inoltre, una tabella che sintetizza «le proposte per la revisione della spesa 2014-2016» elaborate dal commissario Carlo Cottarelli. Tra le varie voci di risparmio previste, sotto la categoria «Riduzioni trasferimenti inefficienti», compaiono la «Prova reddito per indennità accompagno» e «Abusi pensioni di invalidità»: il risparmio previsto è per entrambi pari a zero per il 2014, mentre per il 2015 e il 2016 si prevede un rientro di 0,1 e 0,2 miliardi da entrambe le voci (per un risparmio complessivo di 0.6 miliardi in due anni). Sotto la categoria «spese settori», compaiono invece sia la «Revisione pensioni di guerra» (per un risparmio di 0,2 miliardi già nel 2014, e di 0,3 nel 2015 e 2016), sia le «Pensioni reversibilità» (nessun risparmio nel 2014 e 2015, ma con un rientro di 0,1 miliardi nel 2016). Complessivamente, quindi, si parla di un rientro di spesa di 1,5 miliardi derivante da pensioni d'invalidità, indennità di accompagno, pensioni di guerra e reversibilità;
          in questi ultimi anni la campagna contro i cosiddetti «falsi invalidi», quale causa principale dei disastri del bilancio italiano, è stata prima di tutto una campagna strumentale e mediatica, assumendo in alcuni momenti anche toni drammatici;
          a partire dal 2008, con il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, si prevede, all'articolo 80, un «Piano straordinario di verifica» di 200.000 accertamenti nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile da attuarsi da parte dell'Inps nel periodo dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2009;
          in questo caso l'individuazione del primo campione di 200.000 persone da sottoporre a visita fu demandata a un successivo decreto ministeriale del 29 gennaio 2009 che escluse dai controlli le persone affette dalle patologie di cui al decreto del 2 agosto 2007 (gravi patologie stabilizzate o ingravescenti), i residenti in regione Valle d'Aosta e nelle province autonome di Trento e Bolzano, ma anche le persone di età inferiore ai 18 anni e di età superiore ai 78 anni, i titolari di prestazioni sospese, gli invalidi inviati o da inviare a visita sanitaria di revisione rispettivamente dopo il 1o luglio 2007 o entro il 30 giugno 2010;
          ancora in corso questi primi accertamenti, su proposta del Governo, il Parlamento approvò, nel mese di agosto del 2009, la legge 3 agosto 2009, n.  102, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o luglio 2009, n.  78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» e all'articolo 20, comma 2, del decreto-legge, si predispose per il triennio 2010-2012 da parte dell'Inps, con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente, in via aggiuntiva all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per l'anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile;
          in questo caso l'Inps prese a campione i titolari di indennità di accompagnamento (ciechi e invalidi) e di comunicazione, ma solo di età compresa fra i 18 e i 67 anni compiuti; i titolari di assegno mensile di assistenza (invalidi parziali), ma solo di età compresa fra i 40 e i 60 anni. Inoltre, il campione è stato estratto solo su chi percepisce assegni o indennità da prima del 1o aprile 2007 (Circolare Inps n.  76 del 22 giugno 2010). Le verifiche non riguardarono, quindi, né i minori, né gli anziani oltre i 67 anni di età (cioè la fascia più ampia dei percettori di indennità di accompagnamento), né gli invalidi al 100 per cento che ricevono la sola pensione di invalidità;
          nel 2010, con il decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, si prevede, all'articolo 10, un potenziamento dei programmi di verifica per gli anni 2011 e 2012 portandoli a 250.000 l'anno per un totale di 500.000 verifiche in due anni;
          per il 2011 l'Inps prese come campione quello già evidenziato nel 2010 aggiungendo anche gli invalidi civili, ciechi civili e sordi – titolari di provvidenze economiche – il cui certificato di invalidità prevedesse una revisione fra luglio e dicembre 2011, mentre per il 2012 il campione comprese (circolare 76/2010 e messaggio 6763/2011) gli invalidi titolari di provvidenze economiche in scadenza prima della fine dell'anno (esclusi quelli per cui la scadenza era prevista entro due mesi dal messaggio), senza fissare alcun limite di età; i titolari di indennità di accompagnamento (ciechi e invalidi) e di comunicazione, ma solo di età compresa fra i 18 e i 67 anni compiuti; i titolari di assegno mensile di assistenza (invalidi parziali), ma solo di età compresa fra i 40 e i 60 anni;
          infine con la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n.  228), all'articolo 1, comma 109, si predispone per il periodo 2013-2015 da realizzarsi, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, un ulteriore piano di 150.000 verifiche straordinarie annue, aggiuntivo rispetto all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, nei confronti dei titolari di benefici di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità;
          in questi anni numerosi sono stati i controlli sui cosiddetti falsi invalidi, 800 mila quelli straordinari effettuati dal 2009 al 2012, e altri 450 mila in programma dal 2013 al 2015 con l'unico obiettivo di contrastare le false invalidità per recuperare la spesa che deriva da pensioni che non spettano;
          secondo i dati della guardia di finanza si attestano attorno ai 1.500 all'anno i veri, reali, falsi invalidi (lo 0,06 per cento dei percettori di pensioni di invalidità) che vengono giustamente scoperti e denunciati alla fine delle procedure (visita di controllo – eventuale abbassamento della percentuale con sospensione della pensione – ricorso del disabile - giudizio della magistratura pro o contro disabile)  –:
          se il Governo non ritenga opportuno e doveroso tranquillizzare tutte le persone disabili e le loro famiglie sul fatto che la normativa sulle pensioni di invalidità e sugli assegni di accompagnamento non sarà modificata ed in particolare che l'erogazione di questi ultimi non sarà legata al reddito e all'ISEE, ma continuerà a dipendere solo e soltanto dall'effettivo diritto della persona disabile, nonché quali siano stati fino ad oggi i risultati ed i costi dell'attività di verifica dei vari piani approvati. (3-00712)

Interrogazione a risposta scritta:


      LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          con riferimento agli enti previdenziali privatizzati di cui al decreto legislativo 509 del 1994, l'interrogante ha già depositato una serie di atti di sindacato ispettivo relativi alla gestione e dismissioni dei patrimoni immobiliari delle stesse Casse, sollevando numerose perplessità circa la condotta tenuta dai componenti dei CdA degli enti e, soprattutto, dai soggetti preposti al loro controllo, tra cui il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali;
          la direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative, presso il Ministero del lavoro è attualmente affidata al dottor Edoardo Gambacciani, dal cui curriculum vitae si evince che, in passato, egli ha ricoperto numerosi incarichi, infatti è stato:
              dirigente INAIL, vice capo ufficio legislativo del Ministero del lavoro e direttore della sede compartimentale IPSEMA di Trieste;
              consulente giuridico della Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, ha partecipato in qualità di esperto designato dall'amministrazione di appartenenza a numerosi tavoli tecnici e progetti di ricerca in materia previdenziale e di sicurezza sociale;
              componente del comitato tripartito OIL;
              presidente del collegio sindacale dell'ENPAF;
          egli ha altresì insegnato presso la Scuola superiore della PA, l'Università «La Sapienza» e «Roma Tre» e l'Università di Teramo (dove è stato titolare di insegnamenti presso la Facoltà di Giurisprudenza dall'anno accademico 2005/06 all'anno accademico 2009/10);
          infine, egli è stato nominato consigliere dell'ENPAM dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore;
          Enasarco – la cassa previdenziale degli agenti e rappresentanti di commercio – da diversi anni si avvale della consulenza e dell'assistenza legale degli studi Origoni & partners e Proia & Portners, di cui è titolare il professor Giampiero Proia, docente di diritto del lavoro presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università Roma Tre. Già in sede di commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori, è stato chiesto al presidente della Fondazione, Brunetto Boco, di rendere noto il rapporto contrattuale che lega Enasarco a tali studi legali e soprattutto quali siano i corrispettivi versati da Enasarco in favore dei suddetti professionisti;
          nei contenziosi in corso tra Enasarco e gli inquilini degli immobili di sua proprietà – i quali lamentano che i prezzi di vendita degli appartamenti non rispettino i criteri stabiliti dalla legge – la fondazione è difesa dallo studio legale Proia & partners, con cui ha collaborato anche l'avvocato Marco Gambacciani il cui studio legale, da una ricerca sul sito avvocati.professionistiroma.it, risulta essere allo stesso indirizzo dello studio del professor Giampiero Proia, nato a Roma il 6 aprile 1973, il quale collabora anche con la cattedra del professor Proia;
          il dottor Edoardo Gambacciani riveste la carica di direttore generale del dipartimento per le politiche previdenziali e assicurative, organo preposto al controllo diretto sugli enti previdenziali privatizzati, tra cui Enasarco  –:
          se esista un rapporto di parentela tra il dottor Edoardo Gambacciani e l'avvocato Marco Gambacciani, collaboratore con la cattedra del professor Proia;
          qualora sia assodata l'esistenza di un rapporto di parentela, sulla base di quali criteri oggettivi e soggettivi sia stato scelto il dottor Edoardo Gambacciani e se sia stato valutato il «potenziale conflitto d'interessi» tra l'avvocato Marco Gambacciani e il dottor Edoardo Gambacciani, tenuto conto del ruolo da quest'ultimo svolto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. (4-04184)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


      FAUTTILLI e SCHIRÒ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          a distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore non sono stati ancora emanati i decreti attuativi della legge n.  4 del 2011, recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari»;
          si stima che il 33 per cento della produzione complessiva dei prodotti alimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio «made in Italy», contenga materie prime straniere. Secondo Coldiretti, due prosciutti su tre provengono da maiali allevati all'estero e tre cartoni di latte a lunga scadenza su quattro sono esteri, senza contare la pasta ottenuta da grano di indefinita provenienza, il concentrato di pomodoro cinese e l'elenco potrebbe continuare;
          gli unici prodotti che hanno ottenuto l'etichettatura d'origine obbligatoria, perché provvisti di una tutela a livello europeo, sono la carne bovina (a seguito dell'emergenza «mucca pazza»), i polli (ma solo dopo l'emergenza Sars) e l'ortofrutta;
          a dimostrazione di come questa situazione favorisca l'inserimento della criminalità organizzata, si segnala che dall'inizio del 2014 è stata sequestrata merce contraffatta per circa mezzo miliardo di euro;
          una risoluzione del Parlamento europeo votata recentemente ha ribadito che l'obbligo relativo a un'etichettatura chiara ed esaustiva sull'origine è essenziale e può contribuire a contrastare le frodi promuovendo una maggiore trasparenza lungo la catena di approvvigionamento alimentare;
          con oltre 53 miliardi di euro il «made in Italy» agroalimentare rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e rappresenta la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica  –:
          se non ritenga opportuno procedere senza ulteriori ritardi all'emanazione dei sopra detti decreti attuativi per garantire la salute dei consumatori e per tutelare l'industria agroalimentare italiana. (3-00713)


      TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto-legge n.  136 del 2013, recante «Disposizioni urgenti in materia di reati ambientali e per la tutela dell'ambiente, della salute e delle produzioni agroalimentari in Campania», cd. «decreto Terra dei fuochi», per la prima volta le istituzioni nazionali hanno affrontato l'emergenza della Terra dei fuochi, introducendo nell'ordinamento italiano il reato di combustione dei rifiuti, punibile con la detenzione fino a cinque anni e col sequestro del terreno;
          l'articolo 1 di tale decreto-legge ha stabilito, inoltre, che i massimi organismi scientifici in materia di ambiente, salute e agricoltura, individuati nell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nell'Istituto superiore di sanità, nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e nell'Arpac, svolgano indagini tecniche per la «mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura, al fine di accertare eventuale esistenza di effetti contaminanti a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi anche mediante combustione»;
          i Ministri dell'ambiente e della tutela e del territorio e del mare, della salute, e delle politiche agricole, alimentari e forestali, con apposita direttiva del 23 dicembre 2013, hanno emanato gli indirizzi comuni e le priorità cui gli enti citati devono attenersi nello svolgimento del compito assegnato;
          la priorità territoriale individuata dalla citata direttiva ministeriale include numerosi comuni delle province di Napoli e Caserta, in particolare tutti i 57 comuni aderenti al cosiddetto «Patto per la Terra dei fuochi»;
          in tale direttiva è stata prioritariamente richiamata la necessità della più ampia condivisione delle informazioni pertinenti, siano esse già disponibili agli enti interessati o da acquisire da parte di tutti gli altri organismi istituzionali che ne siano in possesso (come, ad esempio, i Noe, i Nas, Cfs ed altri), utilizzando a tale scopo apposite strutture informatiche;
          per l'esame dei dati così raccolti, la direttiva ha individuato un gruppo di lavoro composto, oltre che ovviamente da delegati degli enti scientifici sopra elencati, anche da rappresentanti della regione Campania, degli Istituti zooprofilattici sperimentali Abruzzo e Molise (Teramo) e Campania e Calabria Portici), dell'Università Federico II di Napoli e dell'Agea, cui è stato affidato il coordinamento del gruppo stesso;
          il gruppo di lavoro, come previsto dal decreto-legge, ha predisposto e consegnato, il 10 marzo 2014, la relazione finale inerente le indagini svolte e le metodologie utilizzate al fine dell'individuazione dei siti interessati da sversamenti e smaltimenti abusivi di rifiuti nel territorio della regione Campania;
          detta relazione individua 5 classi di rischio dei suoli agricoli, sovrapponendo le risultanze dell'interpretazione multitemporale delle ortofoto e dei valori relativi ai superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione, proponendo, per ciascun livello di rischio le indagini a farsi e la relativa tempistica, fissate in una tabella allegata;
          il decreto interministeriale in corso di pubblicazione prevede, tra l'altro, che il Crsa, l'Ispra, l'Iss e l'Arpac per il tramite del gruppo di lavoro, e avvalendosi delle Forze dell'ordine, stabiliscano le indagini dirette da effettuare nei terreni individuati; che per le indagini dirette, finanziate con le risorse del POR FESR Campania 2007/13 destinate alle bonifiche, gli enti richiedano alla regione il rimborso delle spese sostenute, nei limiti delle risorse stanziate dal decreto-legge, pari a complessivi 4 milioni di euro; che le indagini per i terreni con livello di rischio 5, 4, 3, 2a e 2b debbano essere effettuate nel termine di novanta giorni;
          in particolar modo per i siti inseriti nelle classi di rischio 2b, 3 e 5, sarà necessario procedere, preliminarmente all'esecuzione delle indagini analitiche dirette, alla esecuzione di indagini indirette a terra, e, nel caso in cui l'esito di tali indagini dovesse confermare i sospetti, effettuare gli scavi per verificare la eventuale presenza di rifiuti interrati  –:
          se non ritenga che la tempistica indicata nel decreto interministeriale di cui in premessa per l'effettuazione delle indagini dirette delle matrici suolo ed acqua per i terreni classificati a rischio 5, 4, 3, 2a e 2b, che è di molto inferiore a quella proposta dal gruppo di lavoro, sia incongrua, posto che già per le sole classi di rischio 2a e 2b si tratta di migliaia di siti. (3-00714)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi, presso il centro commerciale Porta di Roma, all'interno del ristorante della catena internazionale IKEA, un bambino di soli 3 anni accusava gravissimi sintomi di soffocamento;
          le difficoltà respiratorie del piccolo provocavano la pronta reazione dei suoi genitori e delle persone presenti nel ristorante all'interno del Centro commerciale che provvedevano ad avvisare il 118;
          dalle notizie di stampa, si evince come l'intervento delle strutture sanitarie sia stato compatibile con i tempi tecnici di spostamento dalla struttura più vicina al centro commerciale Porta di Roma, senza particolari ritardi dovuti al traffico veicolare o a indisponibilità dell'ambulanza ma, evidentemente, tempi importanti rispetto al danno occorso al bambino, che invece avrebbe richiesto un intervento immediato di primo soccorso;
          nonostante il ricovero immediato al policlinico Gemelli, le cure di terapia intensiva prestate non erano in grado di scongiurare la tragica fatalità;
          l'episodio avvenuto al centro commerciale, è solo l'ultimo di una serie di incidenti che spesso si sono verificati in dei luoghi pesantemente affollati come può essere un grande centro commerciale;
          negli ultimi anni, proprio a seguito di una serie di drammatiche vicende, il legislatore italiano ha introdotto norme volte a potenziare la presenza e la disponibilità di presidi sanitari e di strumenti volti a favorire l'intervento medico il più rapidamente possibile, specie in relazione a determinate patologie;
          il decreto Ministero della salute del 24 aprile 2013, ad esempio, ha introdotto l'obbligo della presenza di defibrillatori in occasione di eventi sportivi anche a carattere amatoriale, proprio al fine di ridurre la mortalità dovuta ad arresti cardiocircolatori che, al fine di essere validamente curati, richiedono un pronto intervento sanitario;
          pur avendo migliorato la legislazione di settore, l'episodio citato dimostra quanto sia necessario estendere le possibilità di primo soccorso a tutte quelle occasioni, aree, realtà, caratterizzate dalla presenza contemporanea di decine di migliaia di persone, ma lontane da centri di pronto soccorso o nosocomi;
          in altri termini, nel caso citato sarebbero aumentate le probabilità di salvare la vita del bambino se all'interno del centro commerciale fosse stato presente personale medico sanitario, in grado di intervenire immediatamente e con competenza;
          mentre negli stadi, in occasione dei grandi eventi sportivi e culturali, oggi la presenza di presidi sanitari è obbligatoria e in ogni caso garantita, ciò non può dirsi invece per i grandi centri commerciali che caratterizzano il panorama delle grandi periferie urbane e sono divenuti meta di incontro e socializzazione di migliaia di persone che vi si recano indipendentemente dalla volontà di acquistare;
          senza entrare nel merito dei risvolti sociologici della vicenda, tale cambiamento radicale occorso nelle abitudini dei cittadini, richiede un adeguamento della normativa che oggi non può prescindere anche dall'affrontare il tema dell'assistenza sanitaria all'interno di questi luoghi;
          come è noto, l'organizzazione dell'assistenza sanitaria è di competenza delle regioni alcune delle quali hanno in effetti iniziato a valutare l'estensione degli obblighi di presidi sanitari in tutti i luoghi che, per qualsiasi natura o ragione, vedano la presenza contemporanea di molte persone  –:
          se non ritenga opportuno e necessario, anche alla luce degli ultimi eventi di cronaca, adottare apposite iniziative volte ad estendere l'obbligo della presenza di presidi sanitari di primo soccorso in tutti quei luoghi che, come i centri commerciali di grandi dimensioni, si caratterizzano per la presenza contemporanea di migliaia di persone nell'arco dell'intera giornata;
          se, a tal fine, non ritenga opportuno coinvolgere le regioni per valutare la possibilità di adottare idonee iniziative per estendere gli obblighi di organizzazione di presidi sanitari di primo soccorso nei luoghi di cui sopra. (5-02441)


      CAPONE, BENI, GRASSI e D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nella seduta del 7 marzo 2014 il Consiglio dei ministri ha deciso di non impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale la legge regionale dell'Abruzzo n.  4 del gennaio 2014 che disciplina la «Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche». Secondo tale norma, i «medicinali cannabinoidi possono essere prescritti, con oneri a carico del sistema sanitario regionale, da medici specialisti del Ssr e da medici di medicina generale del Ssr, sulla base di un piano terapeutico redatto dal medico specialista». Sempre secondo la norma, la cura potrà avvenire sia «in ambito ospedaliero o in strutture ad esso assimilabile» che «in ambito domiciliare». In entrambi i casi è prevista l'erogazione gratuita. I medicinali «cannabinoidi» sono acquistati dalla farmacia ospedaliera o dell'azienda sanitaria di appartenenza dell'assistito e posti a carico del Servizio sanitario regionale qualora l'inizio del trattamento avvenga nelle strutture ospedaliere o in quelle stesse assimilabili, anche nel caso del prolungamento della cura dopo la dimissione;
          la decisione del Governo ha suscitato grande attenzione, a parere degli interroganti giustamente, da parte degli organi di informazione dal momento che la stessa ha segnato un punto di rottura evidente con il comportamento assunto, dal precedente Governo Monti, sullo stesso tema, ed è stata interpretata «come un via libera più generale»;
          sono ormai 7 le regioni italiane dove, in attuazione delle disposizioni ministeriali del 2007 dove si riconosce la valenza terapeutica dei derivati dalla cannabis, i rispettivi Governi hanno approvato leggi che dispongono la gratuità dei cannabinoidi per uso terapeutico: Toscana, dove l'uso della cannabis per fini terapeutici è stato legalizzato dal 2012, Liguria, che si è vista impugnare la legge dal Governo Monti, Marche, Friuli Venezia Giulia, Puglia, e Veneto (queste ultime due che si sono viste impugnare la legge dal Governo Monti) Sette regioni e, come si può constatare leggendo i differenti dispositivi, sette differenti torsioni di approccio al problema, «nelle modalità di somministrazioni nelle restrizioni relativamente alle patologie trattabili con i cannabinoidi». Inoltre, nessuna delle sette regioni ha ancora adottato i relativi regolamenti attuativi;
          a latere della decisione del CdM il Ministro interrogato ha dichiarato «Ricordo che in Italia i cannabinoidi al pari degli oppiacei per uso curativo sono pienamente legittimi e il costo può essere a carico del Servizio Sanitario Regionale. Ciò è stato deciso in molte Regioni, l'Abruzzo infatti è la settima; tuttavia come è stato affermato su autorevoli organi di stampa, pur essendo il ricorso a farmaci cannabinoidi legittimo da ormai quattordici mesi, «questa cura è negata, per mancanza di fondi, quasi dovunque»; anche relativamente alla decisione di non impugnazione si è commentato: «per i pazienti non cambia nulla. La decisione del Governo di non opporsi alla legge dell'Abruzzo sull'uso terapeutico della cannabis non ha per ora una ricaduta concreta. Continueranno a pagare l'antidolorifico presentando la ricetta bianca che esclude il rimborso»;
          se le leggi regionali fanno emergere una diffusa nuova sensibilità relativamente alla questione, confermando peraltro «le qualità terapeutiche della cannabis che in relazione a patologie quali alcune malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla o alcune forme tumorali sono ampiamente riconosciute», al contempo rivelano anche discrasie e contraddizioni, a partire dalla differenza degli impianti legislativi che, in assenza di una legge quadro nazionale, restituiscono complessivamente un quadri a macchia di leopardo. Lo si evince proprio scorrendo la legge regionale dell'Abruzzo, che prevede l'obbligo del Servizio sanitario regionale di garantire la terapia gratuitamente sia in ambito ospedaliero, o in struttura ad esso assimilabile, che domiciliare e che inoltre, all'articolo 6, recita: «La Giunta regionale può stipulare convenzioni con i Centri e gli Istituti autorizzati ai sensi della normativa statale alla produzione o alla preparazione dei medicinali cannabinoidi... Ai fini della presente legge e anche per ridurre il costo dei medicinali cannabinoidi importati dall'estero, è autorizzata ad avviare azioni sperimentali o specifici progetti pilota con lo Stabilimento chimico farmaceutico o con altri soggetti autorizzati, secondo la normativa vigente, a produrre medicinali cannabinoidi»;
          la contraddizione più evidente che le    regionali evidenziano è infatti quella relativa alla produzione dei medicinali cannabinoidi. Come riportato dagli organi di stampa: «In Italia esistono solo due centri che sono autorizzati a coltivare la canapa a scopo sperimentale, e sono l'istituto farmaceutico militare di Firenze e l'istituto farmaceutico militare di Rovigo. Ma nessuno dei due può fornire la materia prima alle Case farmaceutiche o a chiunque possieda autorizzazione per i farmaci galenici, perché in Italia è vietato. Ora invece si apre uno spiraglio e con opportune norme sarà possibile la coltivazione della materia prima anche in Italia, invece di importare i farmaci dall'Olanda a costi elevatissimi». Tali contraddizioni emergono anche da inchieste giornalistiche dove si racconta la vita concreta di persone affette da sclerosi multipla e però costrette a fare i conti con «trafile lunghe, attese solo a volte risolutive, percorsi burocratici tortuosi» e alla fine «cura negata per mancanza di fondi, quasi ovunque senza eccezioni», dal momento che a quanto si apprende «un flacone costa 750 euro, senza rimborso», e che «dall'aprile 2013 l'Agenzia del farmaco ha inserito nel prontuario il Sativex, medicinale a cura di cannabinoidi, per la cura della sclerosi multipla. In teoria dovrebbe essere liberamente distribuito»;
          tale stato di cose ha permesso dunque l'emergere di una penosa verità: nel nostro Paese, nonostante le disposizioni ministeriali del 2007, nonostante le leggi regionali, i pazienti «sono costretti a rivolgersi al mercato clandestino per acquistare la canapa terapeutica»; nel Salento in Puglia si è registrata la nascita del primo cannabis social club in Italia, fondato dall'Associazione «La pianTiamo», con l'obiettivo di legalizzarne l'approviggionamento attraverso la coltivazione diretta. L'esperienza è maturata a Racale, sostenuta dal comune e dal sindaco Donato Metallo, ispirata da Lucia Spiri e Andrea Trisciuoglio, fondatori dell'associazione, colpiti da sclerosi multipla, e in cura con il Bedrocan, medicina a base di infiorescenze di canapa, proveniente dall'Olanda e prescrivibile in Puglia grazie alla delibera regionale che consente alle farmacie ospedaliere di ricevere il medicinale. Gli esiti, a quanto si apprende, sono fortemente positivi sia sul versante antalgico che su quello terapeutico, ma il medicinale non è facile da ottenere, la trafila burocratica è lunga, e i tempi ancor di più;
          d'altra parte anche relativamente alle leggi regionali già esistenti, è illuminante quanto, ancora sulla stampa, si legge. Ad esempio, relativamente alla legge regionale Toscana, n.  18 dell'8 maggio 2012, si apprende come «appare impossibile per la Toscana rispettare l'impegno preso con la sua legge», mentre allo stato «tutto sarebbe lettera morta», come afferma anche lo stesso promotore della legge, Enzo Brogi: «Il rischio è che una montagna partorisca un topolino. Aver fatto la legge è certamente importante. Purtroppo, anche per le indicazioni del Consiglio sanitario, oltre che per la lentezza e un eccesso di timore da parte della Giunta, rischiamo di non soddisfare le legittime aspettative di tanti malati»;
          in questi anni sono state numerose le proposte di legge presentate e aventi come obiettivi prioritari modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, e la disciplina della coltivazione della cannabis;
          a tale riguardo una prima soluzione relativamente alla produzione e alla preparazione dei farmaci potrebbe essere approntata, come è stato suggerito da più parti, tramite un Protocollo tra Ministero della Difesa e Ministero della Salute atto a incaricare lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze di produrre medicinali cannabinoidi per i pazienti italiani;
          contemporaneamente, in questi giorni, a proposito del Decreto del Ministro della sanità pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 21 marzo, numerose associazioni hanno evidenziato come ripristinando l'articolo 26 (oltre che 127 sull'uso del metadone) sul divieto di coltivazione presente nella Legge Fini-Giovanardi, Legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta, senza alcuna eccezione per gli scopi terapeutici, lo stesso Decreto blocchi nuovamente la coltivazione della cannabis a fini terapeutici. Non sono mancati articoli di stampa che così hanno commentato la decisione del Governo: «un passo indietro per la cannabis terapeutica e uno schiaffo a tutte le regioni che a dieci anni dalle direttive del ministro Turco stanno legiferando sulla materia»;
          da ultimo, in attesa di una Legge Quadro Nazionale, e nelle more dei Regolamenti delle LR, si rende necessaria l'individuazione di un luogo di confronto, atto ad armonizzare le singole azioni, con l'obiettivo prioritario di migliorare la qualità della vita dei pazienti, e tale luogo potrebbe essere, opportunamente individuato, nella Conferenza Stato Regioni  –:
          quali iniziative il Ministro intraprendere dinanzi a un quadro complessivo così articolato, per permettere la piena attuazione di quanto già indicato nelle disposizioni ministeriali del 2007;
          se il Ministro non ritenga ormai maturi i tempi per promuovere una legge quadro nazionale che, normando erga omnes la materia, riduca e risolva anche le difformità legislative da regione a regione, consentendo ai pazienti affetti da gravi e gravissime patologie di poter ricorrere in piena tranquillità e in piena sicurezza ai farmaci cannabinodi, secondo le corretta prescrizione medica e se, in via transeunte e nelle more, non ritenga possibile, utile e necessaria l'adozione di regolamenti attuativi allo scopo;
          se, anche relativamente ai temi della coltivazione e della produzione nel nostro Paese, il Ministro non ritenga utile accogliere le proposte avanzate in via transitoria, in modo da favorire la produzione e la preparazione di farmaci nel nostro Paese, e di conseguenza permetterne l'utilizzo sotto il controllo medico sconfiggendo così la necessità di ricorrere al mercato nero. (5-02447)


      CATALANO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'abitudine al fumo (tabagismo) rappresenta uno dei più grandi problemi di sanità pubblica a livello mondiale ed è uno dei maggiori fattori di rischio nello sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie;
          si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco in Italia dalle 70.000 alle 83.000 morti l'anno. Oltre il 25 per cento di questi decessi è compreso tra i 35 ed i 65 anni di età (ISTAT, 2012) e secondo il rapporto il fumo in Italia 2012, realizzato in collaborazione con la Doxa dall'Osservatorio fumo, alcol e droga dell'Istituto superiore di sanità, in Italia fumano circa 10,8 milioni di persone, di cui il 24,6 per cento maschi e 17,2 per cento femmine. La classe di età più rappresentativa si trova fra coloro che hanno un'età compresa fra 25 e 44 anni. Un dato particolarmente preoccupante riguarda la fascia di età tra i 15 e i 24 anni, in cui fuma il 20,9 per cento dei maschi e il 16 per cento delle femmine;
          il fumo non è responsabile solo del tumore del polmone, ma rappresenta anche il principale fattore di rischio per le malattie respiratorie non neoplastiche, fra cui la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ed è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare: un fumatore ha un rischio di mortalità, a causa di una coronaropatia, superiore da 3 a 5 volte rispetto a un non fumatore. Un individuo che fuma per tutta la vita ha il 50 per cento di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al fumo e la sua vita potrebbe non superare un'età compresa tra i 45 e i 54 anni;
          in generale, va considerato che la qualità di vita del fumatore è seriamente compromessa, a causa della maggiore frequenza di patologie respiratorie (tosse, catarro, bronchiti ricorrenti, asma e altro) e cardiache (ipertensione, ictus, infarto e altro) che possono limitare le attività della vita quotidiana;
          la legge n.  3 del 16 gennaio 2003 (articolo 51), «Tutela della salute dei non fumatori», ha esteso il divieto di fumo a tutti i locali chiusi (compresi i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, palestre, centri sportivi), con le sole eccezioni dei locali riservati ai fumatori e degli ambiti strettamente privati (abitazioni civili);
          la legge non prevede un obbligo, ma concede la possibilità di creare locali per fumatori, le cui caratteristiche strutturali e i parametri di ventilazione sono stati definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2003, che prevede anche le misure di vigilanza e sanzionamento delle infrazioni;
          tra le altre misure volte alla riduzione della domanda di prodotti del tabacco ci sono le norme relative regolamentazione della composizione dei prodotti e all'etichettatura. In particolare, con il decreto legislativo n.  184 del 24 giugno 2003 è stata recepita la direttiva 2001/37/CE «Ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco»;
          questo provvedimento stabilisce il tenore massimo di catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette, pari rispettivamente a 10 mg/sigaretta, 1 mg/sigaretta e 10mg/sigaretta, con i relativi metodi di misurazione;
          il decreto individua, inoltre, il provvedimento che all'interrogante non risulta essere ancora stato emanato (decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze), che definisce i requisiti strutturali, tecnologici e funzionali dei laboratori di analisi autorizzati all'espletamento o alla verifica delle relative analisi e le procedure per il rilascio delle autorizzazioni ai laboratori ed eventuali ulteriori analisi richiedibili ai fabbricanti per determinare il tenore e gli effetti sulla salute di altre sostanze contenute o derivate nei prodotti del tabacco capaci di procurare dipendenza;
          secondo lo studio del 2010 elaborato dall'ENEA, «l'impatto ambientale del fumo di Tabacco: le cicche di sigaretta un rifiuto tossico nocivo dimenticato», nella cicca di sigaretta sono presenti i seguenti componenti: nicotina, catrame, toluene, catecolo, formaldeide, benzene, ammoniaca, nichel-cadmio, piridina, polonio -210, benzopirene, idrochinone;
          mentre la sigaretta brucia una parte dei composti chimici, si trasforma in quella che comunemente viene chiamata cenere, composta da ossidi, carbonati, metalli pesanti, per una quantità complessiva di circa 10 mg; complessivamente in Italia i fumatori, ogni anno immettono in ambiente 2784 tonnellate di cenere, che contamina prima il suolo e poi l'aria;
          la pratica del gettare la cicca di sigaretta senza curarsi del luogo è un comportamento usuale che è in piena violazione delle norme per la tutela dell'ambiente;
          molti fumatori buttano anche il pacchetto vuoto in terra; riciclandolo si potrebbero recuperare più di 22.000 tonnellate di carta (ogni tonnellata di carta che viene recuperata mediante il riciclo permette il risparmio di: 14 alberi di alto fusto, 350 tonnellate di acqua, 250 chilogrammi di petrolio; si potrebbero risparmiare 5.500 tonnellate di petrolio);
          facendo un rapido calcolo un'automobile diesel euro 4 che rispetta la normativa dell'Unione europea, emette 0,025 g/km di polveri (25 mg/km); in una città ideale con 300.000 diesel euro 4 che percorrono a livello urbano 15 chilometri al giorno per 365 giorni/anno, verrebbero prodotte circa 41,1 tonnellate di polveri/anno, mentre, una sigaretta completamente bruciata produce 40 mg di polveri sottili; ogni tabagista in base ai dati Doxa 2012 fuma in media 13 sigarette al giorno, ipotizzando 208.000 fumatori che consumano 13 sigarette al giorno per 365 giorni/anno, si ha che verrebbero prodotte 39,4 tonnellate di polveri sottili all'anno;
          se paragonati i due calcoli presentano due numeri confrontabili e dello stesso ordine di grandezza;
          tutto ciò, genera ulteriori costi esterni dovuti all'inquinamento e all'aumento di patologie nella popolazione da curare, con ulteriore aggravio sul sistema sanitario nazionale;
          il codice della strada, all'articolo 15, commi f), f-bis) e i), vieta di sporcare la strada, sia gettando che depositando rifiuti o materie di qualsiasi specie. Solo però al comma 3-bis) si introduce una sanzione: «Chiunque viola il divieto di cui al comma 1, lettera f-bis), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 400»  –:
          di quali dati disponga in riferimento ai costi sanitari dovuti ai problemi di salute che il fumo causa e ai costi ambientali citati in premessa;
          a che punto sia l’iter di emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 2 dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  184 del 24 giugno 2003;
          se non intenda il Governo assumere iniziative per introdurre sanzioni anche per i commi f) ed i) dell'articolo 15 del codice della strada;
          se non intenda promuovere una ridefinizione dell'apparato sanzionatorio, affinché la sanzione amministrativa sia commisurata al gesto, al fine da rendere possibile all'agente accertatore della violazione l'applicazione ed al sanzionato il pagamento in tempi rapidi e certi;
          se non intenda assumere iniziative per estendere il divieto di fumo anche negli ambiti strettamente privati (abitazioni civili), quando si svolgono presso il locale corsi di formazioni privati, pubblicizzati e a pagamento;
          se non intenda assumere iniziative per individuare una forza dell'ordine autorizzata in via diretta ad intervenire su segnalazione dell'utenza per il rispetto della normativa;
          se non intenda, nel rispetto dell'ambiente, del suolo, dei mari e dell'aria, definire parametri di miglioramento dell'emissioni inquinanti e di composizione della sigaretta, affinché si possa rendere più sostenibile il consumo;
          se non intenda, nel rispetto dell'ambiente, assumere iniziative per organizzare con gli enti pubblici e privati centri di raccolta, dislocati anche sul territorio, ove possibile a fronte di un compenso economico simbolico, per ritirare i mozziconi di sigaretta e i pacchetti vuoti;
          se non intenda, nel rispetto dell'ambiente, promuovere una regolamentazione per migliorare i materiali componenti la sigaretta, al fine di renderla più eco-compatibile. (5-02448)


      LUIGI GALLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, COZZOLINO, CECCONI, LOREFICE e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto n.  49 del 27 settembre 2010 emesso dal presidente della giunta regionale Campana, quale commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario regionale (pubblicato sul BURC il 28 settembre 2010), al quale fa riferimento l'articolo 1, comma 35, della legge regionale n.  14 del 4 agosto 2011, che ha introdotto il comma 237-bis all'articolo 1 della legge regionale n.  4 del 2011, ha annullato e sostituito integralmente i documenti approvati con i decreti commissariali 29/2010, 42/2010, 46/2010, con conseguente rimozione della legge regionale n.  16 del 2008, nella parte in cui disciplina la ristrutturazione ospedaliera e di tutti i provvedimenti in contrasto con il decreto stesso;
          l'obiettivo prefigurato col richiamato decreto n.  49 del 2010, con le conseguenti delibere attuative emanate nel corso dei mesi successivi dalla regione Campania e con il decreto n.  34 del 27 maggio 2011 che ha approvato il piano attuativo dell'ASL NA3 Sud, è quello di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale, prescrivendo interventi per la dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi non in grado di assicurare profili di efficienza e di efficacia, individuati secondo criteri prestabiliti nello stesso decreto; in buona sostanza, la necessaria riorganizzazione dell'offerta sanitaria ospedaliera regionale è finalizzata al contenimento dei costi ed all'ottimizzazione, in termini di efficacia ed efficienza, del servizio complessivamente considerato;
          il piano di rientro allegato alla legge regionale n.  16 del 2008 riportava numerose tabelle che indicavano il numero «attuale» dei posti letto (P.L.) delle aziende sanitarie ed ospedaliere e delle strutture private di tutta regione Campania (all'anno 2008). Con i piani allegati ai richiamati decreti n.  42/10 e n.  49/10, vengono riportate tabelle con il numero dei posti letto «attuali» inspiegabilmente discordanti rispetto a quelli della legge regionale n.  16 del 2008, sia per disciplina che per numero totale, relativamente ad ogni presidio ospedaliero. Alla luce di detta oggettiva discrasia, in effetti del tutto inspiegabile, appare davvero incomprensibile perché la regione Campania abbia presentato per lo stesso anno 2008 tabelle diverse nel numero dei posti letto totale e per disciplina degli stessi;
          dalle predette tabelle messe a confronto si evince che sono stati indicati, nei piani di rientro allegati alla legge regionale n.  16 del 2008 (prima) ed al decreto n.  49/10 (successivamente), come «esistenti», rispettivamente 268 e 237 posti letto in più, contrariamente a quanto indicato nelle deliberazioni dell'ASL NA3 SUD; in buona sostanza, con il decreto n.  49/010 compaiono 237 posti letto in più, contrariamente a 760 posti letto in precedenza registrati dalla stessa regione in pregressi atti determinativi. Detti dati vengono espressamente riportati nelle deliberazioni regionali n.  1053/10, n.  128/11 («Piano Attuativo Aziendale») e n.  347/2013 che confermano l'esistenza attuale di 763 posti letto, a fronte di una previsione del decreto 49/10 di 879 posti letto per acuti;
          in termini più strettamente economici, a detta alterazione dei dati numerici di partenza conseguirà una certa dichiarazione di «realizzato il rientro» del disavanzo sanitario regionale a cui l'alterazione dei dati di partenza è evidentemente strumentale; E difatti, tenendo per buoni gli stessi dati indicati nel decreto 49/10, se un posto letto per acuti richiede un costo medio di gestione annuo di 200.000 euro (decreto 49/10 pagina 76), con il numero dei posti letto in più riportati per la sola ASL NA3 Sud si avrebbe un risparmio (fittizio) di 237 x 200.000 = euro 47.400.000, che però non è un dato veritiero, ma prefigurato nell'ambito di risultati evidentemente predeterminati;
          i criteri di valutazione adottati per approntare il piano di rientro e per definire le sue modalità di attuazione (in particolare, nel decreto del commissario ad acta n.  42 del 14 luglio 2010, nel successivo decreto n.  49 del 29 settembre 2010 e della delibera del direttore generale n.  347 del 26 giugno 2013 che ha approvato, l'atto aziendale dell'ASL NA3 Sud) risultano fondati su dati incerti e non oggettivamente riscontrabili, incentrati su improbabili calcoli numerici inerenti alla valutazione delle schede di dimissioni ospedaliere (SDO) che non tengono però conto di oggettive realtà di fatto e che hanno portato ad una errata determinazione dei costi relativi ai raggruppamenti omogenei di diagnosi e che appaiono strumentali alla ridefinizione della rete ospedaliera;
          dal contenuto prescrittivo dello stesso decreto 49/2010 emergono evidenti dubbi e perplessità in ordine alla effettiva perseguibilità degli obiettivi annunciati, ed in particolare appare del tutto indefinito l'impatto economico-finanziario che effettivamente produrrà il riassetto ivi prescritto una volta che il sistema prefigurato verrà portato a regime e ciò anche volendo prescindere dalla naturale considerazione che la riorganizzazione del sistema sanitario debba essere determinata in funzione unicamente della salvaguardia della salute e del soddisfacimento dei LEA;
          ciò che emerge dalle disposizioni in parola è che il sistema sanitario che si sta approntando per la fascia costiera vesuviana risulta improntato al pedissequo rispetto dei parametri prescritti nel piano di rientro sanitario richiamato quale suo presupposto nell'ambito del decreto 49/2010, che a sua volta si fonda su dati errati e/o malamente interpretati, oltre che contrastanti con elementi di fatto precedentemente individuati ed indicati dalla stessa regione in propri atti deliberativi;
          alla luce di quanto sopra, resta del tutto teorico e concretamente non realizzabile l'obiettivo esplicitato del decreto di procedere ad un risparmio relativo attraverso la trasformazione di 907 posti letto per acuti in altrettanti posti di riabilitazione/lungodegenza e la dismissione di complessivi 1100 posti letto (760 pubblici e 350 privati), da cui dovrebbe ricavarsi una riduzione dei costi di circa 150 milioni di euro nei limiti temporali fissati dal cronoprogramma;
          detti dati non tengono in alcun conto il costo per i nuovi posti letto da istituire per riabilitazione ed al relativo conseguente rientro di spesa dal privato convenzionato;
          ancora, oltre che a risultare illogico e contrastante con dati oggettivi, il sistema che si sta approntando a giudizio dell'interrogante contrasta con i limiti normativi in ordine al numero dei posti, attestando l'offerta sanitaria per l'area costiera vesuviana ben al di sotto del limite di 1 posto letto per mille abitanti prescritto su tutto il territorio della nostra ASL NA3 Sud ed in buona parte della provincia di Napoli, di gran lunga inferiore al fabbisogno previsto dal «patto per la salute 2010-2012» e sin'anche inferiore ai limiti prescritti a livello nazionale dal decreto sulla definizione degli standard qualitativi redatto per il triennio 2013-2015 dal Ministro pro tempore Balduzzi durante il Governo Monti;
          pertanto, appare evidente che il piano di «rientro» viene approntato ad esclusivo discapito della qualità dell'offerta sanitaria per i cittadini campani, evidentemente penalizzati rispetto alle altre regioni ed in spregio dei principi di eguaglianza e pari dignità e del diritto alla salute costituzionalmente garantito e destinato ad incrementare il penoso fenomeno delle migrazioni sanitarie alla ricerca di un'assistenza sanitaria adeguata;
          nell'ambito di queste linee programmatiche e strumentalmente al perseguimento dei predetti obiettivi di riduzione di costi e rientro dal disavanzo, economico, col decreto n.  49, la regione ha prescritto tra l'altro, il declassamento del presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco (Napoli) a struttura riabilitativa e di lungodegenza, decidendo di utilizzare il presidio ospedaliero S. Anna di Boscotrecase come contenitore principale, ossia come ospedale di II livello emergenza-urgenza, e l'ospedale Maresca a contenitore secondario, ossia come ospedale di lungodegenza e riabilitazione, facendo confluire nel primo tutti i reparti dell'ospedale torrese, pur essendo quest'ultimo più grande in termini di metratura e cubatura, nonché in termini di posti letto e dall'accessibilità viaria sicuramente più agevole e diretta (basti pensare che il tenimento di Boscotrecase non ha nemmeno un accesso diretto all'autostrada A3 da cui si accede attraversando il comune di Torre Annunziata);
          il predetto presidio ospedaliero Maresca è una struttura ospedaliera situata in una posizione strategica per il servizio sanitario/ospedaliero di tutta l'area pedemontana vesuviana dall'altissima densità abitativa, con un bacino di utenza oltre 300.000 cittadini stanziali, ed a servizio di città numerosamente e densamente popolate, quali S. Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, Portici, Ercolano, oltre che la stessa Torre del Greco;
          la struttura edile del presidio ospedaliero di Boscotrecase è ancora in fase di completamento, con reparti non ancora destinati alle sedi previste ed evidenti inadeguatezze sia delle aree ambulatoriali, sia degli spazi destinati alla degenza e di quelli destinati alla fruizione quotidiana di un'utenza che, a regime, dovrebbe essere quadrupla rispetto a quella attualmente servita dal nosocomio boschese;
          risulta fondata su presupposti di fatto travisati e/o alterati la decisione di far confluire sul nosocomio di Boscotrecase, privo di adeguate infrastrutture di collegamento e non perfettamente funzionante, tenuto altresì conto che è venuto meno un ulteriore presupposto sostanziale del decreto 49/2010, ovvero l'apertura del nuovo ospedale del mare;
          a detta carenza di presupposti va aggiunto che sono evidenti la inadeguatezza e l'antieconomicità delle scelte effettuate con il piano di rientro, la disparità di trattamento rispetto alla salvezza dei piccoli nosocomi allocati sulle isole regionali e di altre strutture tra loro accorpate e l'illegittimità di fondo che connota determinazioni fondate su ragioni di mera economia contenute nel piano di riassetto, che nulla prevede in riferimento alla rete della emergenza-urgenze, nulla motiva in ordine ai criteri di individuazione del numero di 100 posti letto individuati come soglia minima di congruità dimensionale e non tiene conto che la riduzione a 98 posti letto dell'ospedale Maresca è dovuta alla dismissione dei reparti, determinata con la legge regionale campana n.  16/08 senza che si sia contestualmente provveduto all'incremento dei posti letto per altri reparti, pure previsto dalla medesima legge regionale;
          la trasformazione del presidio ospedaliero Maresca in struttura polifunzionale per la salute comporterebbe di fatto la cessazione di ogni funzione ospedaliera di primo soccorso, con esclusione del nosocomio in parola dalla rete delle emergenza ed avverrebbe a dispetto proprio di quanto espressamente prescritto nella legge regionale n.  16 del 28 novembre 2008 che aveva previsto una ridotta diminuzione del numero complessivo di posti letto per trasferimento di alcune unità operative e del punto di nascita, neonatologia e pediatria e il successivo potenziamento di altre che avrebbe riportato il numero dei posti letto al di sopra della richiamata soglia limite (100 posti letto) individuata per discriminare le strutture pubbliche di ricovero per acuti tra quelle che assicurano adeguati profili di efficienza ed efficacia e quelle che non assicurando tali profili minimi sono sottoposte a procedure di ridimensionamento;
          pertanto, il completamento della dismissione del presidio ospedaliero Maresca a vantaggio della struttura di Boscotrecase implicherà la sostanziale scopertura, per tutta la citata fascia costiera vesuviana, di un presidio di emergenza-urgenza e ciò impone una sostanziale revisione delle determinazioni prescritte nel decreto n.  49 alla luce delle esperienze maturate dalla sua elaborazione alla sua effettiva attuazione;
          dette macroscopiche incongruenze risultano ancor più risaltate, se non addirittura accentuate, dalle disposizioni contenute nell'atto aziendale dell'ASL NA3 Sud, approvato con la delibera n.  347 del 26 giugno 2013, laddove vengono smentite le previsioni del piano ospedaliero e si prescrive la permanenza presso l'ospedale Maresca del pronto soccorso (ma la chirurgia dovrebbe essere assicurata da soli tre medici e la medicina da due); per converso, sempre l'atto aziendale prevede che all'ospedale di Boscotrecase, dove manca del tutto la diagnostica, resterebbe l'emergenza per cui i pazienti in urgenza dovranno prima andare a Torre del Greco per una Tac e poi tornare a Boscotrecase per la degenza;
          ciò che in realtà pare emergere da questo complessivo quadro di incongruenze ed oggettive contraddittorietà è un ben prefigurato piano di smantellamento della sanità campana che ad avviso dell'interrogante più che essere prodromico al rientro del disavanzo, non consente di far emergere le precipue responsabilità politiche e dirigenziali in ordine all'enorme buco economico già esistente prima della presidenza Caldoro e confermato con quest'ultimo  –:
          se e quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere al fine di verificare se il riassetto dei presidi ospedalieri in Campania pregiudichi irrimediabilmente i livelli essenziali di assistenza (LEA) per i cittadini della fascia costiera vesuviana ed il loro diritto di ricevere prestazioni sanitarie in egual misura con gli altri cittadini;
          se intenda riscontrare, per quanto sopra esposto, se siano effettivamente perseguiti gli indirizzi di contenimento della spesa sanitaria fissati in sede di definizione dei piani di rientro dal disavanzo sanitario verificando se i criteri di nuova classificazione di riorganizzazione dei presidi ospedalieri territoriali siano effettivamente rispondenti agli obiettivi di contenimento della spesa, salvaguardando l'offerta di prestazioni sanitarie di sufficiente qualità e fruibilità per i cittadini vesuviani. (5-02450)

Interrogazione a risposta scritta:


      BONAFEDE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'ospedale di Mazara del Vallo, intitolato ad Abele Ajello, è una struttura sanitaria dell'ASP (azienda sanitaria provinciale) di Trapani e fa parte del distretto ospedaliero TP2;
          tale presidio ospedaliero ha avuto, per moltissimi anni, oltre 200 posti letto ed ha rappresentato il riferimento sanitario per gran parte della provincia e per tutta la Valle del Belice, risultando peraltro un centro all'avanguardia nella provincia per professionalità e capacità di gestire anche grandi emergenze con autorevoli riconoscimenti e con strumenti di alta tecnologia acquistati con fondi europei, oggi inutilizzati;
          nel mese di luglio 2010, il locale comando dei vigili del fuoco, a seguito di sopralluoghi effettuati nella struttura ospedaliera, ha riscontrato l'inadeguatezza della stessa, in particolar modo in merito alla sua sicurezza;
          sulla base dei sopralluoghi tale autorità ha comunicato alla prefettura di Trapani la «sospensione di tutte le attività ospedaliere», richiedendo la riduzione del numero di posti letto ad un numero inferiore a 25 e l'adeguamento del piano di sicurezza della struttura;
          alla luce dei problemi riscontrati, l'ASP di Trapani ha reperito i fondi per realizzare la ristrutturazione dell'ospedale attraverso un finanziamento dell'Unione europea per un totale di 32,4 milioni di euro e, secondo le linee guida del finanziamento, i lavori di ristrutturazione avrebbero dovuto essere completati entro il 31 dicembre 2013;
          alla data odierna gran parte del presidio è stata demolita senza che gli sfabbricidi siano stati rimossi, i lavori procedono a singhiozzo e lungi dalla propria conclusione;
          in data 12 febbraio 2014 – a seguito di un prolungato stop dei lavori legato ad una tormentata vicenda giudiziaria che ha investito la società subappaltatrice della ristrutturazione dell'ospedale – è stato siglato presso la prefettura di Trapani un protocollo di legalità per garantire la prevenzione di eventuali tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata sui lavori in questione;
          l'assenza da circa tre anni di un ospedale a Mazara sta creando grandi disagi ai cittadini mazaresi nonostante personale medico e paramedico, pur in assenza della struttura principale, continui a lavorare a ranghi ridotti, all'interno di una aleatoria area di emergenza-urgenza dotata peraltro di una sala operatoria appositamente realizzata ma inutilizzata;
          l'8 dicembre 2013 sul quotidiano La Stampa, con fonte il Ministero della salute, l'ospedale Ajello è inserito nella lista dei 175 ospedali italiani da chiudere (37 in Sicilia) in quanto «inutili, costosi, insicuri e quindi considerati monumenti allo spreco»;
          se la notizia suddetta venisse confermata, potrebbero essere spesi oltre 30 milioni di euro per ristrutturare un ospedale che verrà riconvertito e quindi destinato a sotto utilizzo;
          l'ospedale di Mazara è stato, negli ultimi anni, oggetto di vere e proprie «espropriazioni» di reparti e di personale sia medico che infermieristico di grandi capacità in favore dei presidi ospedalieri di Castelvetrano e Marsala e tale migrazione di reparti ha fatto sì che, nell'anno 2012, risultassero per Mazara soli 18 posti letto (tanti quanti per il presidio di Pantelleria e addirittura meno di quello di Salemi)  –:
          di quali elementi disponga, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari e nell'esclusivo interesse della salvaguardia del diritto alla salute dei cittadini mazaresi e del comprensorio (oltre 100 mila abitanti), su quali siano, sulla base dell'attuale programma dei lavori di ristrutturazione, le concrete prospettive di un rientro alla piena operatività dell'ospedale di Mazara del Vallo e se sia noto di quanti posti letto sarà dotato, di quali reparti potrà avvalersi ed entro quale termine temporale stante che nessuna notizia certa in merito si ha dal piano di riordino ospedaliera della regione Sicilia in elaborazione. (4-04182)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          la centrale Enel «Pietro Vannucci» di Bastardo, che si trova nel comune di Gualdo Cattaneo (Perugia), avente una potenza complessiva di 150 megawatt erogata da due unità produttive di 75 megawattora ciascuno, è caratterizzata da una lunga storia e conseguentemente da una lunga attività altamente produttiva;
          fu costruita nel 1958 grazie alla presenza sul territorio di miniere di lignite ed entrò in produzione nel 1967, utilizzando come alimentazione primaria olio combustibile;
          nel 1989-90 l'impianto fu modernizzato e trasformato in un impianto a carbone, combustibile che tutt'ora viene utilizzato per l'alimentazione;
          alla fine degli anni ’90, a seguito della disponibilità di nuove tecnologie, subì un ulteriore upgrade volto al miglioramento sia del rendimento specifico dell'impianto, sia delle emissioni ambientali;
          la fornitura di carbone, sempre proveniente dall'estero, è garantita da due depositi, uno dei quali sito presso il porto di Ancona, ove l'Enel ha realizzato un carbonile ecologico per scaricare il combustibile dalle navi, costituito da una struttura completamente coperta con la capacità di 40.000 tonnellate, l'altro sito all'interno dell'impianto stesso con la capacità di 100.000 tonnellate;
          il trasporto tra i due siti di stoccaggio viene assicurato prevalentemente su rotaie e solo in piccola parte su gomma; il carbone raggiunge la centrale attraverso container trasbordati nella stazione di Foligno dove giungono su rotaia dal porto di Ancona e tutto il processo di trasporto è stato oggetto di verifica e certificazione ambientale;
          dal marzo 2003 la centrale è tecnicamente ambientalizzata con certificazione EMAS (sistema di ecogestione ed audit) e possiede la certificazione ISO 9001;
          l'impianto inoltre offre elevate garanzie sull'impatto ambientale poiché, oltre ai controlli chimici delle acque, dal 1997 è attivo un sistema di monitoraggio continuo delle emissioni di fornitura Siemens e nel territorio dei comuni di Gualdo Cattaneo e di Giano dell'Umbria sono presenti quattro stazioni di rilevamento della qualità dell'aria per valutare il valore delle emissioni; situazione pienamente tranquillizzante, confermando la buona qualità dell'aria e che l'impianto opera nel pieno rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo n.  152 del 2006;
          anche in questi ultimi anni l'azienda si è attivata per far sì che l'impianto mantenesse le sue funzionalità operative, recependo continuamente tutte quelle normative volte al continuo miglioramento al rispetto ambientale;
          la centrale è ritenuta dalla giunta regionale dell'Umbria un sito di interesse strategico sia per collocazione che per qualità produttiva, infatti alcuni anni fa ha approvato «Il nuovo piano energetico regionale» evidenziandola con un passaggio particolare e specifico;
          nel 2009, al fine del rilascio dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale), è stato messo in atto un progetto di miglioramento ambientale che ha permesso di ottenere tale importante certificazione;
          il sistema di funzionamento dell'impianto fino a qualche tempo fa era pressoché ininterrotto vista la sua alta affidabilità, il suo basso costo di esercizio e la sua importanza per il mantenimento dell'equilibrio della rete;
          da tempo questo si è assoggettato al nuovo sistema imposto dal GSE (gestore servizi energetici), il quale chiama in servizio gli impianti che offrono la loro produzione a prezzi più bassi;
          questo nuovo sistema di gestione prevedeva in una fase iniziale pochi giorni di funzionamento all'anno, ma di fatto, successivamente, grazie al basso costo di esercizio dovuto all'ammortamento ormai smaltito e al basso numero di maestranze presenti che garantiscono comunque una gestione altamente affidabile e in piena sicurezza, a fronte di una discreta richiesta del mercato dell'energia elettrica e del suo prezzo non bassissimo di megawattora, il funzionamento dei gruppi è stato quasi continuativo evitando, in alcuni momenti, anche le consuete fermate dei fine settimana;
          attualmente l'impianto non viene utilizzato a piene capacità e uno delle due unità produttive viene tenuta spenta, ufficialmente per mancanza di richiesta di energia ma in realtà sembrerebbe a causa della mancanza di scorta di carbone disponibile  –:
          visto il trend di funzionamento e dato che a tutt'oggi il prezzo dell'energia e le richieste non hanno subito flessioni, di quali elementi disponga il Governo, anche alla luce della partecipazione in Enel, in ordine ai motivi per i quali non si è provveduto a effettuare gli ordini di carbone necessari e sul perché nei siti di stoccaggio dell'impianto non è presente «la scorta strategica prevista» che dovrebbe garantire almeno venti giorni di funzionamento a pieno regime dei due gruppi;
          se non sia opportuno verificare se le modalità di chiamata in servizio dei vari impianti produttivi da parte del GSE rispondano effettivamente alle disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n.  79, il quale si ispira a criteri di libero mercato;
          se risulti quali siano i motivi per cui recentemente, nonostante l'economicità e la certificazione A.I.A. ottenuta, l'impianto ENEL «Pietro Vannucci», in presenza di un elevato costo del megawattora nel mercato elettrico, non sia stato chiamato in servizio.
(2-00471) «Galgano, Rabino».

Interrogazioni a risposta immediata:


      BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la piena applicazione dell'Agenda digitale a livello nazionale vale più di una manovra economica quanto al taglio dei costi della pubblica amministrazione, della possibilità di sviluppo per le PMI e per la creazione di posti di lavoro, eliminando le farraginosità della burocrazia delle sue inefficienze e dei sistemi di potere che essa genera;
          da una ricognizione a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati in materia di Agenda digitale italiana del 27 maggio 2013, con dati aggiornati al 21 maggio 2013, si evince che dei 47 adempimenti considerati solo 4 sono stati adottati (per gli adempimenti non ancora adottati in 19 casi risultava già scaduto il termine per provvedere);
          nel corrente mese di marzo 2014, risulta che dei 55 adempimenti considerati, ne sono stati adottati 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n.  69 del 2013, decreto «Del fare», la cui legge di conversione è entrata in vigore il 21 agosto 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge «Crescita 2.0», n.  179 del 2012, la cui legge di conversione è entrata in vigore il 19 dicembre 2012, in precedenza non considerate, ma comunque collegate all'attuazione dell'agenda digitale);
          ad oggi tuttavia non risulta mai utilizzata la procedura prevista dall'articolo 13, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n.  69 del 2013, in base alla quale, per accelerare l'adozione dei provvedimenti attuativi previsti da quattordici specifiche disposizioni del decreto-legge n.  179 del 2012 si consente, per i regolamenti governativi, la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e non dei ministri proponenti previsti (comma 2-bis), e per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e per i decreti ministeriali la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio anche in assenza del concerto dei ministri previsti (commi 2-ter e 2-quater);
          tutti i provvedimenti attuativi in questione risultano ancora da adottare, fatta eccezione per due casi, nei quali si è però utilizzata la procedura ordinaria (si tratta nello specifico del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2013, n.  109, attuativo dell'articolo 2, comma 1 e del decreto ministeriale 9 agosto 2013, n.  165, attuativo dell'articolo 14, comma 2-bis);
          nel suo ultimo intervento alla Camera dei deputati del 19 marzo 2014, il Presidente del Consiglio Renzi ha annunciato la necessità di organizzare nel mese di luglio 2014 un importante appuntamento sull'Agenda digitale in tutti e ventotto i Paesi, immaginando di arrivarci con un lavoro ancora più approfondito da parte del Governo italiano e delle nostre istituzioni, dopo ciò che già è stato fatto dalla commissione guidata dal presidente Francesco Caio;
          il Presidente Renzi ha sottolineato inoltre che una parte della competitività del sistema deriva dall'investimento sulla STI e dalla capacità delle forze politiche e dei Governi di tradurre in atti concreti tutto il grande tema dell'Agenda digitale, e ha dichiarato di averne già discusso con il Presidente François Hollande e il Cancelliere Angela Merkel decidendo di organizzare in luglio, a Venezia, il suddetto appuntamento ad hoc centrato su questi temi, per mostrare come un pezzo della competitività sia anche l'investimento sull'innovazione e sullo sviluppo delle reti, non solo di quelle tradizionali;
          la digitalizzazione è fondamentale per incentivare anche la trasparenza delle pubbliche amministrazioni permettendo l'accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, sul cui tema è già intervenuto il decreto legislativo n.  33 del 2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) diretto a sconfiggere la corruzione negli apparati burocratici  –:
          se il Governo intenda attivarsi fin da subito per varare tutti i regolamenti, i decreti attuativi e le circolari già previste senza attendere il semestre europeo e quali iniziative intenda intraprendere, in linea generale, per garantire lo sviluppo digitale del nostro Paese sia dal punto di vista infrastrutturale che culturale, in particolar modo intervenendo a sostegno delle aree in digital divide ed assicurando che le misure previste dalle norme vengano poi realmente – e correttamente – applicate dalla pubblica amministrazione. (3-00705)


      PAOLO NICOLÒ ROMANO, TRIPIEDI, RIZZETTO, BECHIS, BALDASSARRE, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, ROSTELLATO, DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, VALLASCAS, PETRAROLI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Askoll è una importante holding, con sede a Dueville (Vicenza), leader mondiale nella produzione di motori elettrici sincroni che trovano applicazione in molti elettrodomestici, principalmente lavabiancheria e lavastoviglie, oltre che nel settore dell'acquario. Fondata nel 1978, con gli anni è diventata un'azienda di dimensioni internazionali con undici unità operative tra cui Italia, in cui ha sei stabilimenti, Brasile, Messico, Slovacchia, Romania e Cina. Possiede rappresentanze commerciali negli Stati Uniti e in Corea del Sud e una presenza consolidata nei mercati di 20 Paesi. Il fatturato annuo si aggira sui 400 milioni di euro e impiega oltre 2.500 addetti;
          nel 2008 la Askoll, per consolidare la propria presenza internazionale, acquisisce l'americana Emerson appliance motors Europe (E.A.M.E) proprietaria in Italia di due realtà industriali di eccellenza: lo stabilimento ex Plaset di Moncalieri, in provincia di Torino, con circa 330 dipendenti e lo stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero, in provincia di Asti, con circa 296 dipendenti. Questi due siti produttivi assumeranno la nuova denominazione di Askoll P&C;
          quest'acquisizione permetterà alla Askoll di conseguire la leadership nel mercato mondiale dei motori elettrici per applicazioni domestiche (ex Ceset) e delle pompe di scarico per lavabiancheria e lavastoviglie (ex Plaset);
          al momento dell'acquisizione dell'EAME la Askoll P&C presenta il nuovo piano industriale di riconversione e riqualificazione industriale dei due siti produttivi di Moncalieri (Torino) e Castell'Alfero (Asti) prevedendo nel biennio 2009/2010 investimenti per complessivi 16 milioni di euro a fronte però di una riorganizzazione dei suddetti siti piemontesi con l'avvio della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione (CIGS) su cui viene siglato un accordo sindacale;
          in contrasto con quanto affermato, anche con comunicato stampa del 9 giugno 2009, «(...) di rimanere competitiva ed efficiente senza delocalizzare, creando valore attraverso un nuovo sistema industriale, tecnologicamente avanzato, radicato e integrato nel territorio (...)» la Askoll avvia una sistematica azione di ridimensionamento della presenza in Italia a favore degli stabilimenti esteri;
          infatti, la ex Plaset di Moncalieri, dopo l'iniziale accordo dei 24 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria (giugno 2009-giugno 2011) per l'avvio del percorso di ristrutturazione industriale, viene chiusa per crisi e i 208 lavoratori coinvolti messi in cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività;
          anche per Castell'Alfero, dove attualmente sono in forza circa 225 addetti, si sta profilando lo stesso destino della ex Plaset. Infatti, successivamente al piano di ristrutturazione e all'accordo sottoscritto il 5 giugno 2012 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, relativo al nuovo piano industriale, la società avvia la procedura di licenziamento collettivo comunicando la necessità di dar corso, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dagli articoli da 4 a 24 della legge n.  223 del 1991, «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro», ad una riduzione collettiva del personale per cessazione dell'attività. Questo a fronte di un piano industriale che prevedeva la prosecuzione della produzione a Castell'Alfero dell'Askollmotor, che ha registrato negli ultimi anni un trend produttivo molto positivo, e all'industrializzazione di altri motori elettrici evoluti, già peraltro sviluppati nei laboratori castellalferesi anche in partnership col politecnico di Torino;
          infatti la Askoll è leader mondiale di motori elettrici, con 600 brevetti depositati e con circa 17 milioni annui dedicati allo sviluppo tecnologico di prodotti e componenti, con laboratori dedicati sia a Castell'Alfero che a Dueville. Inoltre, sono a un livello avanzato di sviluppo i prototipi di veicoli elettrici (minicar, scooter e biciclette elettriche) che rappresentano il futuro della mobilità urbana in Italia e nel mondo e, pertanto, l'azienda italiana, come per altri prodotti nel passato, potrebbe diventare leader mondiale di motori elettrici per la mobilità urbana;
          da settimane i lavoratori di Askoll P&C sono in stato di agitazione, con presidi ai cancelli e cortei per le vie di Asti e di Dueville (Vicenza), per denunciare il comportamento elusivo e poco etico della direzione aziendale e la decisione di trasferire all'estero tecnologia e know-how italiano, nonostante i volumi produttivi nel sito astigiano siano raddoppiati rispetto lo scorso anno e il trend sia in netta crescita. Senza tener alcun conto di questo, l'Azienda ha inviato alle organizzazioni sindacali il 25 febbraio 2014 la surricordata lettera di avvio procedura per la chiusura dello stabilimento;
          presso il Ministero dello sviluppo economico a Roma è stato attivato un tavolo di crisi per discutere di un piano alternativo alla cessazione dello stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero. In particolare, nell'incontro di venerdì 21 marzo 2014 la regione Piemonte è intervenuta con un corposo piano di sostegno economico all'Azienda mettendo sul piatto 1.000.000 di euro di finanziamento a tasso agevolato per l'industrializzazione del nuovo motore Askoll Motor Evo. In più un ulteriore finanziamento sino al 40 per cento a fondo perduto su progetti di ricerca e sviluppo della mobilità elettrica, in virtù anche della partnership avviata tra la Askoll Holding e l'azienda torinese Model Master per la progettazione e realizzazione di prototipi e componenti per veicoli di case automobilistiche. Altre misure sono state presentate pur di evitare la cessazione della produzione, come la decontribuzione sino al 40 per cento di tutti gli oneri contributivi, ma da parte dell'Azienda si è sempre manifestato un netto rifiuto a qualsiasi ipotesi alternativa alla delocalizzazione;
          quest'atteggiamento dei vertici di Askoll è sospetto considerando il precedente della ex Plaset di Moncalieri, in provincia di Torino, e la diffusione da parte di alcuni organi di stampa di un documento riservato relativo ad un piano per la chiusura dello stabilimento di Castell'Alfero, redatto in tempi non sospetti, che evidenziano la volontà da tempo maturata dai vertici aziendali di delocalizzare all'estero la sua produzione;
          lo stabilimento Askoll P&C di Castell'Alfero si è sempre contraddistinto quale sito d'eccellenza per la progettazione e la produzione di motori elettrici e pertanto, oltre a salvaguardare i livelli occupazionali, occorre proteggere un patrimonio produttivo strategico per il nostro Paese che dovrà necessariamente conquistare una leadership mondiale nelle nuove tecnologie della mobilità urbana  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per scongiurare la chiusura dello stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero, in provincia di Asti, oggetto, a giudizio degli interroganti, di una evidente operazione speculativa finalizzata a delocalizzare all'estero le sue attività, come è ampiamente emerso dal documento riservato diffuso dalla stampa, così da salvaguardare un sito di eccellenza nazionale nella progettazione e produzione di motori elettrici. (3-00706)

Apposizione di firme a mozioni.

      La mozione Roberta Agostini e altri n. 1-00273, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

      La mozione Vezzali e altri n. 1-00319, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

      La mozione Zan e altri n. 1-00354, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pastorelli.

      La mozione Moretto e altri n. 1-00385, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pastorelli.

      La mozione Marchi e altri n. 1-00386, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

      La mozione Franco Bordo e altri n. 1-00390, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zan, Pellegrino, Zaratti.

      La mozione Benamati e altri n. 1-00401, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fabbri, Nesi.

Apposizione di una firma ad una risoluzione e cambio di presentatore.

      La risoluzione in Commissione Rughetti n. 7-00273, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2014, è da intendersi sottoscritta anche dal deputato Guerra che ne diventa il primo firmatario.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Matarrese n. 4-00711 del 5 giugno 2013;
          interrogazione a risposta scritta Matteo Bragantini n. 4-03014 del 19 dicembre 2013;
          interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-00596 del 29 gennaio 2014;
          interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00650 del 26 febbraio 2014;
          interrogazione a risposta scritta Gregori n. 4-04099 del 19 marzo 2014.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

      Risoluzione in Commissione Guerra e altri n. 7-00273, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2014; è stata ritirata la firma del deputato Rughetti.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: Interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-01812 del 12 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02450.