XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 10 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              i bambini, specie in età pediatrica, sono soggetti al soffocamento a causa dell'incompleta maturità dei meccanismi riflessi di coordinazione delle differenti funzioni delle vie aeree che li porta all'inalazione accidentale di corpi estranei; recentemente si sono verificati casi di decessi di bambini dovuti a soffocamento per ostruzione da vie aeree causate da corpi estranei, la maggior parte delle volte causate da cibo in luoghi di ristorazione o durante i pasti;
              secondo fonti autorevoli tra le quali anche la Croce rossa italiana (CRI), in Italia muore circa un bambino a settimana per ostruzione da corpo estraneo, risultando questa la seconda causa di morte tra i bambini da zero a quattro anni di età; questo dato è preoccupante a tal punto da spingere molte associazioni e anche la stessa Croce rossa italiana, ad organizzare gratuitamente corsi formativi rivolti agli insegnanti di asili nido e scuole elementari, ai genitori e nonni e alle/ai baby sitter;
              i corsi di formazione sulla «manovra di disostruzione pediatrica» organizzati da molte associazioni tra cui anche la CRI e che seguono le linee internazionali dell’International liason committee on resuscitation (ILCOR), hanno una durata esigua che si può calcolare nell'ordine di poche ore e impegnano pochissime risorse economiche;
              la normativa vigente prevede obblighi riguardo il primo soccorso sia sui luoghi di lavoro che durante eventi pubblici, nonché la diffusione di defibrillatori semiautomatici esterni (DAE); in particolare per la diffusione dei DAE, il Governo ha appositamente approvato il decreto 18 marzo 2011 la cui finalità è «quella di individuare i criteri e le modalità per favorire la diffusione dei defibrillatori semiautomatici esterni» e di promuovere «la realizzazione di programmi regionali per la diffusione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici esterni, indicando i criteri per l'individuazione dei luoghi, degli eventi, delle strutture e dei mezzi di trasporto dove deve essere garantita la disponibilità dei defibrillatori semiautomatici esterni, nonché le modalità della formazione degli operatori addetti»;
              la tempestività di una «manovra di disostruzione pediatrica» compiuta in modo corretto, può salvare la vita di un bambino; al contrario, il rischio che si corre con manovre scorrette o dettate dall'istinto, oltre a non causare il miglioramento di un bambino che ha inalato corpi estranei, può provocare il peggiorarsi di una situazione di pericolo, fino a trasformare un'ostruzione «parziale», in ostruzione «totale»,

impegna il Governo:

          ad assumere un'iniziativa normativa al fine di rendere obbligatoria, così come lo è in altri ambiti lavorativi come specificato in premessa, la presenza di personale con formazione che segua le nuove linee internazionali ILCOR riguardo la «manovra di disostruzione pediatrica», tra:
              a) gli insegnanti di asili nido e scuole elementari;
              b) il personale delle mense e dei luoghi di ristoro dov’è prevista la presenza di bambini;
              c) il personale che svolge mansioni lavorative e/o di volontariato a contatto con i bambini;
              d) le figure professionali quali le/i baby-sitter;
          a promuovere la realizzazione, d'intesa con regione e ANCI, di programmi per l'istituzione di corsi gratuiti di formazione uniforme su tutto il territorio nazionale che seguano le linee internazionali ILCOR, da proporre a:
              a) i cittadini in attesa di figli, sia naturali che adottivi;
              b) i genitori di bambini fino ad un'età di 10 anni;
              c) i lavoratori coinvolti nel programma obbligatorio di formazione.
(1-00431) «Massimiliano Bernini, Cecconi, Mantero, Silvia Giordano, Frusone, L'Abbate, Lorefice, Sibilia, Cristian Iannuzzi, Spessotto».

Risoluzioni in Commissione:


      La I Commissione,
          premesso che:
              negli ultimi anni, il legittimo e doveroso contrasto a tutte le forme di violenza negli stadi – e in generale in occasione dello svolgimento di qualunque manifestazione sportiva – è stato spesso determinato dalla necessità di rispondere ad una emergenza in atto, ed è dunque stato attuato con strumenti prevalentemente di carattere punitivo, senza che si riuscisse ad attuare, da parte dei soggetti interessati, un'efficace politica di prevenzione, educazione e dialogo con le tifoserie organizzate;
              in particolare, con il decreto-legge 8 febbraio 2007, n.  8, convertito con modificazioni, nella legge n.  41 del 2007, fu introdotta la cosiddetta tessera del tifoso, uno strumento che avrebbe dovuto da un lato consentire al tifoso di seguire la propria squadra in trasferta, ed entrare nei settori dello stadio riservato agli ospiti; e dall'altro avrebbe dovuto permettere uno snellimento delle procedure di controllo dei documenti ai varchi, strumento successivamente trasformato dal Consiglio di Stato, con una sentenza del dicembre 2011, in una sorta di fidelity card tra il tifoso e la società di appartenenza;
              tuttavia, fin dall'introduzione di questo strumento non sono mancate critiche, anche da parte degli stessi operatori della sicurezza, sulla sua efficacia, e durante un'intervista del 18 luglio 2013 l'allora capo della polizia Manganelli, pur rivendicando la necessità di affrontare un'emergenza che si era registrata ed aveva portato all'introduzione della tessera del tifoso, ne auspicava il superamento, nel quadro di un più generale ritorno alla normalità;
              particolarmente problematico, poi, è l'articolo 9 della legge 4 aprile 2007, n.  41, istitutiva della tessera del tifoso, che prevede che i destinatari di un provvedimento di Daspo sarebbero inibiti sine die a partecipare a manifestazioni sportive e ad acquistare la cosiddetta tessera del tifoso;
          tale norma, infatti, da un lato sembra essere piuttosto incoerente, anche alla luce del fatto che si sono registrati numerosi casi nella cronaca nei quali il Daspo che era stato applicato è stato successivamente revocato, ma colui al quale era stato applicato non ha potuto ottenere il rilascio della tessera del tifoso, né dunque essere riammesso negli stadi;
              dall'altro tale disposizione sembra contrastare fortemente con la filosofia di fondo del nostro ordinamento giuridico che, tra le altre cose, prevede che l'applicazione delle sanzioni amministrative e penali sia tesa all'educazione e al recupero dei soggetti che hanno commesso reati, conformemente all'articolo 27 della Costituzione;
              nel corso di questi anni sono state tentate numerose modifiche interpretative e regolamentari di questa norma, anche attraverso provvedimenti dell'Osservatorio nazionale manifestazioni sportive, al fine di renderla quanto meno più flessibile, senza però riuscire ad ottenere alcun esito concreto,

impegna il Governo:

          a presentare entro due mesi una dettagliata relazione sull'efficacia dello strumento della tessera del tifoso, trascorsi quasi sette anni dalla sua introduzione, anche al fine di valutare l'opportunità di un suo definitivo superamento;
          per quanto di sua competenza, ad adottare ogni iniziativa utile, anche sul piano normativo, volta a favorire un'interpretazione più flessibile dell'articolo 9 della legge 4 aprile 2007, n.  41, tale da consentire che, a fronte di un'eventuale revoca del provvedimento di Daspo in precedenza applicato, ovvero scontata la pena, possa rilasciarsi nuovamente la tessera del tifoso;
          a prevedere la convocazione, quanto prima, di un tavolo di lavoro che veda coinvolti tutti i soggetti interessati, anche al fine di introdurre nuove e più decise politiche di prevenzione, educazione e dialogo con le tifoserie organizzate, così determinando una loro maggior responsabilizzazione in relazione alle misure adottate.
(7-00339) «Lattuca, Tullo, Fossati, Maestri, Sbrollini, Bossa, Pastorino, Ferrari, Carrescia, Capozzolo, Marantelli, Miccoli, Fiorio, Pierdomenico Martino, Carbone, Basso, Ferro, Carra, Boccuzzi, Borghi, Brandolin, Leva».


      La III Commissione,
          premesso che:
              la Jaafari personal status law, dal nome del sesto Imam a cui la legge si ispirerebbe, è attualmente in discussione nel Parlamento iracheno;
              la legge ha lo scopo di abbassare l'età matrimoniale per le bambine dai 18 ai 9 anni, legalizzare lo stupro familiare e portare a numerose restrizioni che ridurrebbero le donne in un vero e proprio stato di segregazione, come la custodia in automatico dei figli all'uomo in caso di divorzio;
              attualmente in Iraq l'età legale minima per il matrimonio è di 18 anni senza il consenso dei genitori, ma scende a 15 anni con l'approvazione di un tutore;
              la nuova norma, che estende l'età del divorzio a iracheni con non meno di 8 anni e 8 mesi (conto derivante dalle particolarità del calendario islamico), introduce di fatto la possibilità di legarsi in matrimonio sin da quella tenera età;
              la percentuale di coppie con sposi minorenni è salita dal 15 per cento del 1997 al 25 per cento del 2011;
              molti considerano la legislazione ora vigente in Iraq una delle più avanzate e progressiste del Medio Oriente sui diritti delle donne in materia di matrimonio, eredità e custodia dei figli, ma i difensori della proposta, a partire dallo stesso Ministro della giustizia Hassan al-Shammari (aderente al partito Fadhila), sostengono che la legge attuale violi il codice della sharia;
              secondo l'Onu, le spose bambine sarebbero circa 60 milioni, molte delle quali vivrebbero proprio in Medio Oriente;
              il progetto di legge in questione è stato già approvato nel mese di febbraio 2014 dal Consiglio dei ministri iracheno;
              in vista delle elezioni politiche del 30 aprile, secondo alcuni analisti politici, questo è un chiaro tentativo da parte del partito Fadhila per ottenere consenso, aumentando il sentimento identitario degli sciiti e anche un atto d'indipendenza dall'Occidente;
              in occasione di tale tornata elettorale, il primo ministro, lo sciita Nuri al-Maliki, è in corsa per il terzo mandato consecutivo e, tra l'altro, non ha ancora dichiarato la propria posizione in merito alla legge;
              la sfida alla coalizioni di Maliki arriva dalla Lista dei Cittadini, un movimento ritenuto vicino all'Iran, e dal partito Ahrar, legato al religioso sciita Moqtada al-Sadr, che a febbraio 2014 ha annunciato il ritiro dalla scena politica;
              l'Iraq sta vivendo oggi uno dei momenti più violenti della sua storia, con continui attentati che hanno raggiunto, se non superato, la disastrosa situazione conosciuta nel 2008;
              Baghdad si ritrova ad avere una situazione politica piuttosto frammentaria, che non consente a nessuno di arrivare a ottenere una maggioranza assoluta nei 328 seggi che compongono il Parlamento;
              lo Stato iracheno ha firmato e ratificato la «Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne» del 1986 e la «Convenzione sui diritti dei bambini» del 1994,

impegna il Governo

a intraprendere con urgenza ogni iniziativa utile dal punto di vista diplomatico, e attraverso i consueti canali bilaterali, affinché il Governo iracheno fornisca immediate rassicurazioni circa la paventata approvazione della citata proposta di legge nella direzione di un suo ritiro, nel rispetto gli accordi internazionali sottoscritti e ratificati a difesa della dignità umana e dei diritti dell'infanzia e delle donne.
(7-00338) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri, il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
          con la legge n.  107 del 2003 è stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento dei fascicoli, ritrovati nel 1999 a palazzo Cesi, sede della procura generale militare, in quello che è stato chiamato «l'armadio della vergogna», contenenti denunce ed atti relativi a stragi nazifasciste commesse nel corso della 2a guerra mondiale, che hanno causato circa 15.000 vittime;
          gli atti della Commissione (audizioni, resoconti stenografici desecretati, elenco delle località e delle vittime, relazioni finali) sono stati raccolti e resi pubblici in quattro volumi editi dalla Camera dei deputati, ad esclusione degli atti su cui la Commissione aveva posto il segreto funzionale, nonché dei documenti formalmente classificati «riservati» o «segreti» dalle autorità di Governo;
          tale Commissione ha concluso i suoi lavori nel febbraio del 2006 con la presentazione di due relazioni, una di maggioranza e l'altra di minoranza. Tali relazioni non sono state discusse in Aula. I resoconti delle sedute della Commissione sono stati, di recente, trasferiti su supporto informatico. Restano aperti, invece, i profili relativi all'ampia documentazione raccolta, che non è stata ancora resa pubblica e consultabile nella sua interezza. Da quanto risulta, nessuno dei documenti tuttora soggetti a classifica è sottoposto a segreto funzionale rispetto al quale è possibile esercitare, da parte della Presidente della Camera, un potere di declassificazione. Gli atti tuttora soggetti al vincolo di segreto o di riservato sono atti infatti pervenuti con detta classifica alla Commissione di inchiesta da parte di diverse autorità. A questo riguardo, risulta essere stata avviata da parte della Presidenza della Camera la procedura di interpello delle autorità responsabili della formazione dei documenti per verificare se permangano i vincoli originariamente apposti. Ciò al fine di una rapida adozione degli opportuni provvedimenti affinché tutto il materiale, anche documentale, sia consultabile liberamente da parte di ricercatori, studiosi ed esperti, al fine di pervenire ad una piena chiarezza su tutti gli aspetti di quanto avvenuto. Resta peraltro ancora irrisolto il problema tempestivamente sollevato dalla Presidenza della Camera circa la permanenza o meno dei vincoli residui;
          il lungo tempo trascorso dai tragici avvenimenti bellici consente una riflessione obiettiva, non emotiva, sulle stragi del 1943-1945;
          il dovere della memoria è imposto dall'esigenza di chiudere la vicenda delle stragi con l'attenzione che esse meritano, con l'accertamento della verità e col risarcimento, almeno morale, ai pochissimi superstiti ed ai loro familiari e con adeguate «riparazioni»; per altro verso, la memoria ragionata delle stragi è indispensabile oggi, in un contesto in cui i rigurgiti neofascisti in tutta Europa trovano il proprio humus nell'ambiguo e pericoloso revisionismo storiografico, che da decenni ormai viene ad evidenziarsi sempre di più, sino a posizioni di vero e proprio negazionismo;
          il ripetersi, in Italia come in Europa, di manifestazioni che rievocano un passato davvero tragico, rende necessario rafforzare la conoscenza dei fatti e delle aberrazioni e nefandezze compiute dagli eserciti occupanti, in modo da creare gli antidoti necessari perché fatti del genere non accadano mai più;
          insomma, occorre chiudere definitivamente, ma con giustizia e dignità, una pagina tremenda della storia del Paese. Ciò non per spirito vendicativo ma anzi nello spirito di collaborazione già in essere fra Italia e Germania per il chiarimento e la condanna unanime delle atrocità compiute in danno dei diritti umani, così come ribadito anche certamente dal Presidente Napolitano e dal Presidente Gauck in visita ufficiale a S. Anna di Stazzema, nel mese di marzo 2013; visita nel corso della quale il Presidente tedesco ha avuto modo di sottolineare, significativamente, come «la conciliazione non può essere oblio»;
          con la sentenza del 3 febbraio 2012 la Corte internazionale di giustizia dell'Aja ha accolto il ricorso della Germania contro le sentenze dei tribunali militari italiani, che condannavano la Repubblica Federale di Germania – come responsabile civile – a risarcire le vittime delle stragi e gli altri danni cagionati. La motivazione dei giudici dell'Aja è basata sul principio di diritto internazionale consuetudinario per cui uno Stato sovrano non può essere soggetto alla giurisdizione di un tribunale straniero, senza possibilità di deroghe. Tesi che, in concreto, finisce, ad avviso degli interpellanti, per equiparare quelli che vanno intesi a tutti gli effetti come «crimini contro l'umanità» a mere azioni belliche. Questi eventi, invece, vanno ben al di là delle atrocità connaturate ad ogni guerra e, dunque, dovrebbero essere perseguibili sempre ed ovunque;
          in ogni caso, la sentenza della Corte dell'Aja ha lasciato aperta la via delle intese tra Stati, per addivenire a forme adeguate di risarcimento e/o di riparazione;
          vi sono stati contatti e colloqui tra il Ministero degli affari esteri italiano e quello della Germania federale; è stata istituita una Commissione di storici italo-tedeschi, che ha depositato la sua relazione conclusiva circa un anno fa, formulando anche una serie di «raccomandazioni» perché si realizzino gli obiettivi della verità e della giustizia;
          in questo contesto ed a seguito di vari incontri di diverse associazioni e dell'ANPI col Ministro degli affari esteri, si sono definite proposte concrete, che il Ministero ha esaminato e trasmesso al corrispondente Ministro della Repubblica federale di Germania. Di recente, quest'ultima si è orientata a dare avvio al finanziamento di alcuni progetti. Uno di questi (predisposto da ANPI e ISMLI, per la creazione di un atlante delle stragi), sta partendo in questo periodo. Ma è certo che occorreranno interventi molto più importanti e complessi, se si vuole davvero creare un «clima» rispondente alle esigenze di verità e giustizia;
          bisognerà dunque ottenere che altri progetti vengano presi in considerazione ed attuati, così come altre forme di risarcimento e/o di riparazione; e su questo piano sarà molto importante l'impegno del Ministro degli affari esteri e dello stesso Governo italiano;
          è fondamentale inoltre, ai fini della verità e della giustizia, che si possano eseguire, anche in Germania, le sentenze emesse dai tribunali militari di La Spezia, Verona e Roma, nei confronti di cittadini tedeschi. Da un carteggio svoltosi di recente tra l'ANPI nazionale e il Ministro della giustizia risulterebbe che, in pratica, l'esecuzione delle pene non sia stata mai ottenuta, mentre poco si conosce circa l'esecuzione delle sentenze per quanto riguarda le statuizioni civili;
          è evidente, peraltro, che non è possibile occuparsi solo delle responsabilità altrui, e dunque la ricerca della verità e l'assunzione delle responsabilità debbono riguardare anche le istituzioni italiane;
          è certo che l'occultamento dei fascicoli di cui si è detto, ha reso praticamente impossibile il tempestivo avvio di numerosissimi procedimenti penali e che il decorso del tempo ha ostacolato e reso impervie anche le istruttorie e i dibattimenti che si sono potuti svolgere a tanti anni di distanza;
          su questo terreno non si è fatta ancora luce, né sui fatti né sulle responsabilità, restando peraltro già evidente che fatti così gravi di occultamento di centinaia di fascicoli non possono essere ascritti solo a negligenze individuali. Ed è per questo che occorre, finalmente, un'approfondita discussione in sede parlamentare su quanto accertato dalla Commissione di inchiesta e da altri atti e documenti acquisiti in varie sedi. È assolutamente certo che non potrà parlarsi di giustizia né di verità, se anche da parte dello Stato italiano non ci sarà un'aperta e chiara assunzione di responsabilità, che valga anche come, sia pur tardiva, riparazione  –:
          se non ritenga opportuno adoperarsi per assicurare l'esecuzione, anche in Germania, sotto il profilo penale e civile, delle sentenze emesse dai tribunali italiani in relazione alle stragi del 1943-1945;
          se non ritenga opportuno attivarsi con la Repubblica federale della Germania perché ai primi atti di riparazione facciano seguito forme concrete e consistenti di risarcimento e/o di riparazione, secondo le richieste formulate da molte associazioni e dall'ANPI e depositate al Ministero degli affari esteri;
          se intenda appoggiare e sostenere, per quanto di competenza, l'attuazione dei progetti recepiti, in tutto o in parte, dalla Repubblica federale di Germania, mediante concreto appoggio – ove richiesto – agli organismi, enti ed associazioni competenti;
          se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, attivare tutti i mezzi e gli strumenti, anche normativi, necessari per rendere accessibili gli atti ed i documenti acquisiti dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull'occultamento di fascicoli, eliminando ogni secretazione residua e facilitando la conoscenza e lo studio del materiale raccolto, anche al fine di accertare definitivamente tutte le cause effettive dell'occultamento dei fascicoli, con le relative responsabilità ed effetti e se non ritenga opportuno, alla luce di tutto quanto premesso, compiere un atto di assunzione di responsabilità che funga anche come atto di riparazione morale nei confronti delle vittime e dei loro familiari, per quanto riguarda il ruolo italiano nelle stragi nazifasciste del 1943-1945, e per ciò che attiene ai ritardi ed alle omissioni che tanto hanno pesato sull'accertamento della verità;
          quali iniziative intenda, inoltre, adottare al fine di facilitare, sostenere e promuovere studi e ricerche storiche, anche a livello territoriale, in merito ai tragici effetti delle stragi, contribuendo così non solo all'accertamento della verità, ma anche alla diffusa conoscenza dei fatti, ai fini di una efficace prevenzione per il futuro e della formazione di una vera memoria collettiva e se non ritenga opportuno presentare al Parlamento una relazione in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate e agli eventuali risultati conseguiti.    
(2-00504) «Speranza, Villecco Calipari, De Maria, Migliore, Luigi Di Maio, Pisicchio, Schirò, Palese, Antimo Cesaro, Scopelliti, Cicu, Allasia, Locatelli, Zaccagnini, Gitti, Garavini, Ghizzoni, Gribaudo, Giuditta Pini, Furnari, Tacconi, Verini».

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI SALVO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il contrasto alla violenza maschile contro le donne deve essere una priorità per il nostro Paese che va affrontata partendo dalle radici su cui si fonda la violenza stessa e cioè l'incapacità a riconoscere ed accettare la libertà delle donne. È necessario dunque partire dalla scuola e dall'educazione, dalla destrutturazione degli stereotipi, del rafforzamento dell'autonomia e alla libertà delle donne e dal sostegno ai centri anti-violenza;
          con l'insediamento del Governo è stata chiesta a gran voce da associazioni e movimenti la nomina di un/a ministro/a per le pari opportunità, che fosse il punto di riferimento per coordinare tutti gli interventi e le strategie necessarie per contrastare il fenomeno e le discriminazioni che alimentano la violenza;
          il precedente Governo aveva avviato i tavoli di lavoro della task force interministeriale con un confronto tra istituzioni, associazioni e centri antiviolenza per elaborare il nuovo Piano nazionale antiviolenza, individuando misure volte sia alla prevenzione del fenomeno che al sostegno e al rafforzamento delle vittime. Il Dipartimento per le pari opportunità stava svolgendo il suo ruolo istituzionale di coordinamento fra tutte le amministrazioni, centrali e decentrate;
          le associazioni di donne che da anni lavorano sui territori per il contrasto alla violenza in quella sede hanno chiesto la realizzazione di tutte quelle misure e azioni previste dalla Convenzione di Istanbul e dalle direttive internazionali ancora inapplicate in Italia;
          il precedente Governo aveva deciso di distribuire ai Centri antiviolenza e alle case rifugio 17 milioni di euro per il biennio 2013-2014 come previsto dal decreto-legge n.  93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  119 del 2013. Le associazioni che coordinano i centri anti-violenza fra cui D.i.re auspicano che al più presto vengano assegnati ai Centri i finanziamenti stanziati, in un'unica soluzione, al fine di consentire continuità ai progetti di sostegno e aiuto alle donne che intraprendono percorsi di uscita dalla violenza;
          ad oggi il Piano nazionale antiviolenza non è stato ancora rinnovato e i 17 milioni di euro per il biennio 2013-2014 previsti dal decreto-legge sicurezza non sono stati ancora assegnati ai Centri antiviolenza e alle Case rifugio, mettendone seriamente a repentaglio la sopravvivenza  –:
          quali iniziative intenda prendere per mettere il contrasto alla violenza maschile contro le donne come priorità nell'agenda politica del Governo;
          quali iniziative intenda prendere affinché si concluda il confronto avviato tra le istituzioni e le associazioni nell'ambito della task force interministeriale, istituita dal precedente Governo e coordinata dal Dipartimento per le pari opportunità;
          se non ritenga urgente che sia rinnovato il Piano nazionale antiviolenza;
          se non ritenga necessario che siano assegnati ai Centri antiviolenza e alle Case rifugio i fondi previsti dal decreto-legge n.  93 del 2013, individuando chiari criteri di distribuzione;
          se non ritenga necessario che l'attuale Governo si assuma l'impegno affinché i Centri antiviolenza e le Case rifugio siano finanziati in maniera certa e costante, sottraendoli all'incertezza; alla sopravvivenza o al rischio di chiusura. (4-04447)


      LOCATELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 10 aprile 2014 al Parlamento europeo si svolge un'audizione sull'iniziativa «One of Us», l’European Citizens’ Initiative che ha l'obiettivo di modificare una serie di norme dell'Unione europea per garantire che nessun fondo dell'Unione venga destinato ad attività che distruggono embrioni umani o che presuppongono tale distruzione e, quindi, alla ricerca che utilizza embrioni umani o cellule staminali embrionali umane;
          al tempo stesso l'iniziativa si propone di modificare le norme che destinano risorse all'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) rivolto alla salute materna per il raggiungimento dell'obiettivo 5 di sviluppo del millennio (OSM) perché, secondo i promotori, i fondi stanziati per questo scopo potrebbe essere utilizzati per finanziare anche indirettamente l'aborto;
          coloro che la sostengono paiono non considerare la gravità delle conseguenze che questa iniziativa comporta. Sarebbero limitati, infatti:
              la possibilità per le istituzioni europee di aderire ad accordi e/o iniziative internazionali relativi alla salute materna, come il piano sulla salute materna e infantile «Every Women, Every Child» del segretario generale delle Nazioni Unite del 2010;
              gli impegni finanziari assunti a Muskoka al G8 del 2010 per promuovere la salute materna e infantile;
              le recenti Agreed Conclusion adottate in occasione della 58aCommission on the Status of Women (marzo 2014) che hanno riaffermato la validità del programma d'azione del Cairo (1994) e della piattaforma di azione di Pechino (1995), richiedendo investimenti «per un'assistenza sanitaria completa e di qualità per la salute sessuale e riproduttiva», tra cui la contraccezione d'emergenza, l'informazione e l'educazione, l'aborto sicuro, là dove è consentito dalla legge, la prevenzione e il trattamento delle infezioni sessualmente trasmissibili, compreso l'Hiv, e lo sviluppo di programmi di educazione sessuale per i/le giovani;
              inoltre, le conclusioni richiamano al riconoscimento del diritto delle donne di «decidere liberamente e responsabilmente sulle questioni relative alla loro sessualità libere da coercizione, discriminazione e violenza»;
          l'iniziativa «One of Us» comporterebbe un taglio di circa 120 milioni di dollari annui di aiuto pubblico allo sviluppo europeo destinato alla salute materna negando così alle donne dei Paesi in via di sviluppo i servizi per la salute riproduttiva e provocando di conseguenza la morte di circa 800 donne ogni giorno;
          il finanziamento europeo alla salute materna trova la sua base legale e politica in una serie di documenti dell'Unione europea:
              l'articolo 208 del trattato di Lisbona in materia di cooperazione allo sviluppo dice che «gli Stati membri devono rispettare gli impegni e tener conto degli obiettivi approvati nell'ambito delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali»;
              successivamente, nel 2005, con l’European Consensus Development, i presidenti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio hanno definito i princìpi comuni che regolano la politica di sviluppo dell'Unione europea e degli Stati membri, tra cui il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio sottoscritti dagli Stati aderenti alle Nazioni Unite;
              più recentemente, le conclusioni del Consiglio dell'Unione europea nella «Overarching Post 2015 Agenda» stabiliscono che l'Unione europea si impegna a promuovere, proteggere e attuare tutti i diritti umani e ad attuare, in modo completo ed efficace, la piattaforma d'azione di Pechino, il programma di azione della conferenza su popolazione e sviluppo del Cairo e i documenti prodotti nelle conferenze di revisione che ne sono seguite  –:
          quale sia l'orientamento del Governo sul contenuto di questa iniziativa in ordine alle eventuali conseguenze della stessa sulle politiche europee ed italiane in tema di sanità pubblica, ricerca e aiuto allo sviluppo. (4-04455)


      LOMBARDI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SIBILIA, FRUSONE, ARTINI, PAOLO BERNINI, BASILIO, CORDA, TOFALO e RIZZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 12 settembre 1990 Davide Cervia è stato rapito a Velletri, in provincia di Roma, e dopo 9 anni di indagini la relativa inchiesta è stata archiviata – nel novembre 1999 – «perché ignoti gli autori del reato»; da quel momento c’è stata una fila interminabile di documenti falsi in vario modo fatti pervenire alla moglie Marisa e al suocero Alberto, un ginepraio di fonti create probabilmente ad hoc per depistare ed una verità che nessuno ha forse voluto realmente cercare; sullo sfondo la Libia di Gheddafi, il colonnello che non ha mai smesso di basare il suo potere anche sui rapporti strettissimi con l'Italia;
          Davide Cervia era un tecnico di guerra elettronica, specializzato nei sistemi di arma Teseo Otomat, prodotto in Italia da prima dal consorzio Oto Melara-Matra (da cui il nome Otomat) successivamente confluito nel gruppo MBDA, società partecipata del gruppo Finmeccanica. Il Teseo/Otomat è stato un missile largamente impiegato dalla Marina militare italiana e venduto, fin dagli anni ’70, ai diversi Paesi del sud del mondo, tra i quali alcuni Stati definiti «canaglia» come la Libia e l'Iraq;
          prima di congedarsi, Davide lavorò sulla Maestrale, acquisendo una specializzazione preziosissima; poi, nel 1990, sparì per sempre, rapito, come risultò all'esito dell'inchiesta ufficiale;
          per anni la Marina militare ha negato che il Cervia avesse conseguito la qualifica di esperto «GE», fino a quando la moglie Marisa e il suocero Alberto occuparono, insieme al Comitato per la verità su Davide Cervia, gli uffici dell'allora Ministro della difesa italiano Cesare Previti; dopo otto ore di trattative, di palpabile tensione, il foglio matricolare del Cervia venne finalmente reso pubblico: la specializzazione che la Marina aveva sempre negato era lì, nero su bianco; un addestramento di alto livello, che poche decine di tecnici avevano. Per la burocrazia della Marina militare era un tecnico Elt/Ete/Ge, specializzato nella «guerra elettronica», quella serie di dispositivi dedicati al disturbo dei radar nemici; quella sigla rendeva l'ex sergente della Marina scomparso, un tecnico pregiato e richiesto sul mercato dei sistemi di arma più sofisticati. Era in possesso di una conoscenza indispensabile per utilizzare ed istruire nuovi quadri all'uso di sistemi come il Teseo Otomat;
          le competenze di Davide Cervia erano risapute, tanto che sul suo dossier gli ufficiali scrissero: «Ha contribuito in maniera fattiva alla esecuzione delle manutenzioni preventive e correttive sugli apparati GE, facendosi apprezzare per l'elevata preparazione professionale, l'interesse e la dedizione al servizio»;
          gli elementi che ricollegano la sua scomparsa alla Libia sono moltissimi: «A Taranto, quando Davide fece il corso della Marina – spiega il suocero Alberto Gentile – vi erano moltissimi marinai libici e qualcuno potrebbe aver notato la sua preparazione». Il nostro Paese è sempre stato specializzato nell'assistenza militare al regime di Gheddafi;
          nel 1994, un giornalista sportivo raccolse una testimonianza di due operai italiani appena tornati dalla Libia, che riferirono di aver visto Cervia nella zona centrale del Paese;
          inoltre, proprio la Libia alla fine degli anni ’80 aveva contattato diverse imprese italiane per sistemare le navi attrezzate con il sistema Teseo Otomat, in cui Cervia era specializzato;
          il 23 dicembre del 1996 una prima velata ammissione della pista libica del rapimento di Davide Cervia arrivò – seppur indirettamente – dal Governo italiano: «L'allora Sottosegretario agli esteri Rino Serri ci disse che stavano trattando il rilascio di Davide con i libici – ricorda Alberto Gentile – ma noi non dovevamo più parlare di rapimento. Passarono mesi e nulla accadde». Poi calò di nuovo il silenzio;
          nel corso delle precedenti legislature sono stati numerosi gli atti di sindacato ispettivo presentati nei due rami del Parlamento, ma rimasti privi delle dovute risposte;
          nonostante tutto, la famiglia si è sempre dimostrata tenace ed attenta nella ricerca della verità e giustizia, scontrandosi spesso nell'insensibilità e nella mancanza di collaborazione di alcune istituzioni;
          i familiari di Cervia hanno agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del diritto alla verità ed alla giustizia, diritto a copertura costituzionale, che costituisce la condizione minima inderogabile perché funzioni il patto sociale alla radice del vivere, in una collettività retta dallo stato di diritto e da principi democratici  –:
          cosa risulti dagli archivi dei servizi segreti civili e militari che negli anni si sono succeduti sul rapimento di Davide Cervia e se non si ritenga opportuno desecretarli;
          se della vicenda si siano interessate l'Interpol e la Criminalpol e se risulti quali risultati siano emersi dalle loro investigazioni;
          se siano state effettuate ricerche ed indagini presso i Paesi ai quali gli armamenti in questione sono stati venduti;
          se sia stata accertata l'effettiva destinazione finale dei suddetti sistemi d'arma, al fine di verificare eventuali triangolazioni atte ad eludere le norme sulle esportazioni di armi verso Paesi per i quali erano in corso embarghi da parte della comunità internazionale;
          se, in caso di incertezza circa la destinazione finale delle armi, non si siano allargate le ricerche presso i Paesi – anche se soggetti ad embargo – che avevano effettivamente in uso i sistemi d'arma sui quali Davide Cervia era stato addestrato;
          se siano state avviate indagini interne per accertare eventuali responsabilità ed incongruenze sulla vicenda Cervia da parte dei preposti apparati del Ministero dell'interno, del Ministero degli affari esteri e del Ministero della difesa dai quali, a vario titolo ed in varie circostanze, siano pervenute notizie incomplete, fuorvianti, alcune delle quali rivelatesi addirittura false;
          se non si ritenga, alla luce degli ultimi importantissimi eventi che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi, di impegnarsi a dare nuovo impulso alle ricerche di Davide Cervia, anche al fine di evitare che la causa introdotta dai suoi familiari dinanzi al tribunale civile di Roma si concluda, come chiesto dalla controparte Avvocatura dello Stato, per decorso di un periodo di tempo ritenuto troppo lungo. (4-04465)


      LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il settimo comma dell'articolo 23 della legge 23 agosto 1988, n.  400, prevede che a capo dell'Ufficio centrale per il coordinamento dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo (ora dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, DAGL) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sia preposto «un magistrato delle giurisdizioni superiori, ordinaria o amministrativa, ovvero un dirigente generale dello Stato o un avvocato dello Stato o un professore universitario di ruolo di discipline giuridiche»;
          si apprende da fonti di stampa che per il ruolo di capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi sarebbe stata prescelta la dottoressa Antonella Manzione, direttore generale del comune di Firenze e comandante del Corpo dei Vigili urbani della medesima città;
          scorrendo il curriculum vitae della dottoressa Manzione, disponibile sul sito web del comune di Firenze, appare con una certa evidenza come la stessa non disponga dei sopra citati requisiti necessari ai sensi dell'articolo 23, comma 7, della legge n.  400 del 1988 per assumere l'incarico in questione;
          infatti, sempre secondo il sopra citato curriculum vitae, la dottoressa sarebbe in possesso della «Qualifica unica dirigenziale come da CCNL Regione EELL Area Dirigenza», che non pare essere paragonabile a quello di dirigente generale dello Stato previsto dal predetto articolo 23, comma 7, della legge n.  400 del 1988;
          anche le precedenti esperienze della dottoressa Manzione appaiono sostanzialmente inconferenti rispetto al delicato ruolo che dovrebbe assumere presso la Presidenza del Consiglio dei ministri: tutto il percorso formativo e professionale appare incentrato su questioni relative alla polizia locale, ambito del tutto estraneo all'incarico di capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi;
          la vicenda pone inquietanti interrogativi a livello politico-istituzionale: non si comprende per quale ragione si dovrebbe preporre ad un incarico tecnico così delicato e complesso una figura sostanzialmente priva dei requisiti; pare evidente la volontà di accentrare tutto il potere sul versante politico. Peraltro, tale nomina è la tessera di un mosaico più ampio che rappresenta la deriva secondo l'interrogante cesaristica che il Presidente Renzi ha impresso all'azione del suo Esecutivo  –:
          sulla base di quali criteri il Presidente del Consiglio dei ministri abbia proceduto all'individuazione della dottoressa Antonella Manzione come capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi e se non ritenga di dover rivedere la sua decisione alla luce delle considerazioni sopra esposte. (4-04470)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, ZOLEZZI, MANNINO, DE ROSA, BUSTO, DAGA, SEGONI, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Ascoli Piceno, a ridosso degli abitati di Villa Sant'Antonio e di Castel di Lama, è posizionata una azienda, la Ocma, specializzata nella realizzazione di estrusi industriali in alluminio;
          nell'ottobre 2010 i carabinieri del NOE di Ancona hanno operato il sequestro di ben 1500 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, stoccati all'interno di alcuni capannoni della Ocma che si trova nella zona industriale di Campolungo, a pochi passi dalla discarica abusiva di via del Grano;
          le mille e cinquecento tonnellate di rifiuti pericolosi, sfuggite, tra l'altro, ad ogni tipo di registrazione, erano state stoccate illecitamente nel capannone dell'Ocma e nelle aree limitrofe, e giacevano lì da oltre un anno;
          i rifiuti che avrebbero dovuto essere smaltiti ogni tre mesi erano costituiti da polveri provenienti dal sistema di abbattimento dei fumi industriali, fanghi di lavaggio delle colate di alluminio, ceneri da combustione di leghe metalliche e pietre refrattarie degli altiforni industriali; 400 tonnellate circa di rifiuti speciali non pericolosi (rottami metallici, pneumatici fuori uso, piloni in cemento armato, inerti da demolizione, bancali in legno ed oggetti plastici danneggiati);
          a distanza di 3 anni e mezzo i rifiuti sono ancora al loro posto e anzi il loro volume è aumentato. Infatti dal giorno del sequestro, il comune di Ascoli Piceno ha concesso più proroghe per la loro rimozione, attraverso delle ordinanze sindacali, concedendo ulteriori scadenze: 7 marzo 2011, 21 marzo 2011, 31 luglio 2012, 28 febbraio 2013;
          da circa un anno la Ocma ha sospeso l'attività e attualmente si trova in amministrazione controllata. Nella domanda di concordato preventivo si legge che «il fondo oneri per smaltimento scorie e ripristino ambientale per euro sette milioni e cinquecentomila euro include i costi stimati dalla società per lo smaltimento ed il trasporto delle scorie»  –:
          se il Ministro sia conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se non ritenga urgente assumere iniziative normative affinché chiunque, in qualsiasi forma individuale o societaria, svolga attività imprenditoriali tali da produrre effetti potenzialmente dannosi sulle matrici naturali come nel caso esposto in premessa, sia obbligato a prestare, prima di iniziare le suddette attività, idonee garanzie finanziarie, anche fideiussorie, al fine di evitare che in caso di successiva insolvenza le spese necessarie all'eventuale rimozione dei rifiuti, alle bonifiche e al ripristino ambientale non ricadano sulla collettività, anche prendendo a modello quanto disposto per l'attivazione e la gestione post-chiusura degli impianti di discarica ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n.  36;
          quali iniziative di competenza intenda intraprendere per evitare il rischio che nel caso specifico sopra presentato, in caso di dichiarazione di fallimento della ditta, le spese per lo smaltimento dei rifiuti e la relativa bonifica dell'area ricadano sulla collettività. (5-02613)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Mantova vi sono 70 comuni e il servizio idrico integrato (SII) è stato affidato fino al 2025 alle seguenti 5 società: – TEA Acque s.r.l. – A.I.M.A.G. s.p.a. – A.SE.P s.p.a. – INDECAST s.r.l. – SICAM s.r.l.;
          da una ricerca effettuata dall'ASL di Mantova sulle falde acquifere sotterranee, in 62 comuni su 70 è stata rilevata la presenza di una concentrazione di arsenico con valori superiori ai limiti stabiliti dal decreto legislativo 31 del 2001 nelle acque destinate al consumo umano;
          su 976 campioni prelevati, l'ASL ha rilevato il superamento del limite di legge in 262 campioni, pari al 27 per cento dei casi osservati;
          in questi 62 comuni l'approvvigionamento di acqua avviene con le seguenti modalità: in 26 comuni esclusivamente tramite pubblico acquedotto, in 10 comuni prevalentemente tramite acquedotto pubblico e alcuni pozzi privati, in 16 comuni prevalentemente con pozzi privati, in 10 comuni esclusivamente tramite pozzi privati;
          la popolazione della provincia di Mantova potenzialmente interessata dal problema è di 370.000 abitanti;
          per valutare la situazione e prendere i provvedimenti necessari è stato istituito un gruppo di lavoro composto da provincia di Mantova, prefettura, comuni coinvolti, ASL e gestori del Servizio idrico integrato;
          dopo una serie di incontri con i sindaci dei comuni che hanno zone non servite da acquedotto, sono state definite una serie di strategie per affrontare il problema tra cui: allacciare i cittadini non ancora serviti alla rete idrica, attrezzare «punti d'acqua» comunali a disposizione dei cittadini, procedere al controllo del valore di arsenico proveniente dai pozzi privati utilizzati a scopo idropotabile e qualora, in almeno una delle analisi effettuate, il valore del parametro arsenico superi il limite di 10 microgrammi/litro si dovrà fare un utilizzo progressivamente limitato dell'acqua per usi domestici e di igiene al crescere della presenza dell'arsenico, utilizzando acqua minerale per bere, cuocere i cibi e lavare i denti;
          i costi a carico dei cittadini nelle zone non servite da acquedotto, per effettuare le analisi per il controllo del valore arsenico nell'acqua proveniente dai pozzi utilizzati a scopo idropotabile sono rilevanti;
          i costi a carico dei comuni per realizzare i «punti d'acqua» incidono in modo rilevante sulle già scarse risorse che tali comuni hanno a disposizione;
          per servire le aree sprovviste di acquedotto, ciascun gestore ha stimato il numero delle fontanelle che devono essere attrezzate in aree interessate all'inquinamento da arsenico. Questi sono i dati: Tea Acque indica 15 punti necessari, SICAM ne indica 8, Acque Potabili ne indica 2, per un totale di 25 con un costo di realizzazione stimato in 750.000 euro, al quale si deve aggiungere il costo annuo di gestione che è di altrettanti 750.000 euro;
          la soluzione sta nel garantire un approvvigionamento idrico adeguato, estendendo la rete degli acquedotti nelle zone non servite;
          per garantire alle migliaia di cittadini interessati un servizio di approvvigionamento idrico sicuro e impianti di depurazione efficienti occorrono notevoli risorse finanziarie di cui comuni non dispongono, stante i vincoli dettati dal patto di stabilità che blocca tali investimenti;
          sicuramente è impensabile che questi costi siano a carico dei cittadini attraverso l'aumento spropositato delle tariffe  –:
          quali azioni, per quanto di competenza, il Governo ritenga di attivare in sinergia con regione Lombardia, provincia di Mantova e comuni interessati, per trovare le risorse necessarie a realizzare gli investimenti necessari per gli acquedotti e gli impianti di depurazione della provincia di Mantova anche in considerazione della grave contaminazione da arsenico della acque di falda di 62 comuni su 70;
          quali iniziative, anche normative, intenda assumere per individuare forme di finanziamento pubblico, anche a tasso zero con capitale da restituire eventualmente negli anni, per permettere subito gli investimenti necessari per fronteggiare la situazione emergenziale. (4-04443)


      SEGONI, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Marsili è un vulcano localizzato nel Tirreno meridionale e appartenente all'arco insulare eoliano. Si trova a circa 140 chilometri a nord della Sicilia ed a circa 150 chilometri ad ovest della Calabria, con i suoi 70 chilometri di lunghezza e 30 chilometri di larghezza (pari a 1650 chilometri quadrati di superficie) è il più esteso vulcano d'Europa. Il monte si eleva per circa 3000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno;
          in uno studio dal titolo «First documented deep submarine explosive eruptions at the Marsili Seamount (Tyrrhenian Sea, Italy): A case of historical volcanism in the Mediterranean Sea», condotto da Gianluca Iezzi, Carlo Caso, Guido Ventura, Mattia Vallefuoco, Andrea Cavallo, Harald Behrens, Silvio Mollo, Diego Paltrinieri, Patrizio Signanini, Francesco Vetere del 2013 è stata confermata la natura potenzialmente esplosiva del più grande vulcano d'Europa e del Mediterraneo;
          nel febbraio 2010 la nave oceanografica Urania, del CNR, ha iniziato una campagna di studi sul vulcano sommerso. Sono stati rilevati rischi di crolli potenzialmente pericolosi che testimoniano una notevole instabilità. Una regione significativamente grande della sommità del Marsili risulta inoltre costituita da rocce di bassa densità, fortemente indebolite da fenomeni di alterazione idrotermale; cosa che farebbe prevedere un evento di collasso di grandi dimensioni;
          nel corso degli anni sono stati scritti numerosi articoli di giornale che riportavano la situazione del vulcano Marsili;
          nel bacino del Marsili, a circa 80 metri di profondità sono stati trovati grandi giacimenti di depositi di rame, ferro, piombo, zinco e manganese che in un prossimo futuro potrebbero essere sfruttati economicamente;
          in data 8 aprile 2014 è stato pubblicato un articolo nel quale un gruppo di ambientalisti hanno denunciato la loro preoccupazione per le trivellazioni geotermiche che potranno interessare il vulcano sottomarino Marsili;
          secondo la Ola (Organizzazione lucana ambientalista) l’iter del permesso di ricerca per fluidi geotermici, denominato «Tirreno Meridionale 1», della Eurobuilding spa, in collaborazione con l'Istituto geofisica e vulcanologia (Ingv), procede senza sosta;
          la Eurobuilding, società di Servigliano (Ascoli Piceno), è in attesa di ottenere dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare parere positivo di VIA (Valutazione d'impatto ambientale) per la perforazione del pozzo esplorativo Marsili 1;
          il progetto prevede la realizzazione, entro il 2015, di 4 piattaforme estrattive per una produzione totale di circa 1000 megawatt di energia geotermica sfruttando il vulcanismo dell'area;
          la Ola sottolinea che nello studio preliminare ambientale della Eurobuilding si fa riferimento al rischio di «sismicità indotta» e il progetto viene considerato come una sorta di banco di prova per valutare l'impatto ambientale provocato dallo sfruttamento del campo geotermico del Marsili. «In sostanza – rimarca la Ola – una vera e propria sperimentazione che metterebbe a rischio l'intero ecosistema del mar Tirreno e di quattro regioni costiere (Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia)». Del rischio di sismicità indotta connesso alle perforazioni se n’è occupato anche il professor Benedetto De Vivo, dell'università Federico II di Napoli, secondo il quale, riporta l'Ola, «le conseguenze sarebbero devastanti, senza escludere il pericolo tsunami»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza delle evidenze scientifiche e dei fatti esposti in premessa;
          se e con quali metodi sia stato valutato il rischio di sismicità indotta;
          se siano stati presi in considerazione anche eventuali rischi indotti quale quello delle possibili onde anomale e il loro impatto sulla navigazione e sulle coste;
          se non ritenga che l'autorizzazione del progetto possa costituire un significativo precedente per eventuali futuri progetti di realizzazione di impianti geotermici in corrispondenza di altri vulcani attivi presenti nel territorio nazionale. (4-04446)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          com’è a tutti noto, agli inizi del 2013, il sito archeologico di Sibari (CS), conosciuto in tutto il mondo, è stato ampiamente sommerso da imponenti quantità di acqua e fango, a seguito dell'esondazione del fiume Crati;
          il Parco Archeologico, a seguito di ciò, è stato completamente sommerso, con danni ingentissimi «all'intera area». L’ esondazione è stata causata dalla rottura degli argini, dalla mancata cura dell'alveo del fiume e dall'insabbiamento della foce;
          successivamente al disastroso evento, il commissario straordinario per il rischio idrogeologico e la Provincia di Cosenza, ha stanziato 5 milioni di euro per gli interventi urgenti al sistema idraulico, che risultano essere del tutto insufficienti;
          infatti, secondo il soprintendente regionale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono indispensabili altri interventi finanziari per almeno 5 milioni di euro, al fine di rimuovere il fango essiccato che ha coperto l'intero sito;
          è appena il caso di ricordare che l'antica Sibari, fondata da coloni greci nel 720 a.C. sulle coste dell'attuale Calabria, è stata per secoli un grande e conosciutissimo centro, fra i più importanti del Sud Italia, in grado di dominare un'area di 3.000 chilometri quadrati, che contava fino a 300 mila abitanti;
          attualmente, il sito archeologico si estende per circa 170 ettari, una piccolissima parte dei quali è stata oggetto di campagne di scavi. E da questa operazione si è potuto scoprire che nell'area interessata si sovrappongono tre diverse città: la Sybari magno greca, la Thurii di età classica (costruita sulle rovine di Sybari distrutta nel 510 a.C.) e Copia, colonia latina risalente al 194 a.C.
          inoltre, le operazioni di scavi hanno prodotto importantissimi ritrovamenti: dai resti del teatro romano alle strutture murarie risalenti all'antica Thurii, fino ad alcuni reperti della Sybari magno greca;
          è di vitale e straordinaria importanza che il Governo possa garantire al parco archeologico di Sibari di tornare al più presto alle condizioni precedenti all'alluvione, per poi puntare alla sua valorizzazione, alla sua messa in sicurezza, alle sue straordinarie potenzialità che faranno da volano economico-sociale-culturale dei territori della sibaritide;
          per ottenere questo, è indispensabile il potenziamento delle infrastrutture connesse al sito per consentire la facile accessibilità ad un turismo di qualità e ai tantissimi studiosi e appassionati che da tutto il mondo guardano con tanto interesse al sito archeologico di Sibari  –:
          in quali condizioni versa attualmente il sito archeologico di Sibari;
          quali interventi abbia in programma il Governo al fine di mettere in sicurezza l'area archeologica, per poi valorizzarla e renderla fruibile a tutti. (5-02612)

DIFESA

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
          a più di 10 anni dalla strage di Nassiriya, e senza alcun intento da parte degli interroganti di voler infangare la memoria dei 17 italiani che hanno perso la vita nel famigerato attentato, sono apparse gravi e inquietanti testimonianze su avvenimenti raccapriccianti che gettano un'ombra sulla presenza italiana in Iraq e potrebbero costringere a rivederne criticamente gli esiti;
          infatti, le due puntate del programma televisivo Le Iene, trasmesse il 2 e 9 aprile 2014, hanno riportato le testimonianze dirette di un ex militare a viso scoperto e di un altro invece a viso coperto e con voce contraffatta (un «esecutore» come abitualmente vengono chiamati nell'ambiente militare coloro che vengono selezionati per interrogare i prigionieri sospettati di terrorismo);
          le immagini trasmesse e i dettagli raccontati sono apparsi sconcertanti e eloquenti squarciando il velo di omertà sulla presenza dei militari italiani inviati in Iraq nel 2003, come era già accaduto in Somalia, ad esempio, nel corso della missione «Ibis», poiché, secondo il racconto di uno dei due militari, a Nassiriya ci sarebbe stata una vera e propria centrale per portare avanti brutali interrogatori, sistematiche torture e umiliazioni su detenuti iracheni (feci e urine sui prigionieri, mutilazioni, elettricità ai genitali, waterboarding - simulazione di annegamento), forse membri della resistenza all'occupazione delle truppe straniere;
          la sede della tortura, chiamata White House, sarebbe stata allestita in una zona periferica top secret di Nassiriya, a poca distanza dalla base fatta saltare in aria e dalla stessa sede dove si trovava il comando della «Sassari» in quell'area;
          a quanto pare, queste sarebbero le prassi che i militari italiani avrebbero portato avanti in Iraq (e non solo) durante le varie «missioni di pace»; per la cronaca, qualcosa era già venuto fuori già nel 2004. In un articolo apparso su La Repubblica (firmato da Carlo Bonini) si apprendeva che: «Nelle camere di sicurezza della galera di Nassiriya, la polizia irachena ha sistematicamente torturato e abusato dei prigionieri che in quei fetidi stanzoni venivano scaricati. Non era un segreto per nessuno. Non in Iraq, perché di quelle violenze erano stati più volte testimoni i carabinieri italiani del Msu (Multinational spedalised unit). Non a Roma, al Comando Operativo di vertice interforze (Coi) del ministero della Difesa, dove, dal giugno del 2002, siede il tenente generale Filiberto Cecchi. Almeno uno dei comandanti che si sono avvicendati al comando dell'unità del Msu dell'Arma, il colonnello Carmelo Burgio, di quelle violenze ripetute informò infatti nel tempo la sua catena gerarchica che al ministero della Difesa faceva riferimento. A Nassiriya, il comandante della task force italiana, generale Gian Marco Chiarini (e prima di lui il generale Bruno Stano). A Bassora, il comandante del nostro contingente, generale Francesco Paolo Spagnuolo» (...);
          come è noto, tutto è stato poi lasciato lentamente cadere nell'oblio malgrado le pur pesanti dichiarazioni del colonnello Burgio che, di ritorno dall'Iraq, a proposito delle camere di sicurezza di Nassiriya, aveva rilasciato un'intervista al Corriere della sera in cui affermava, riferendosi al maresciallo Massimiliano Bruno (deceduto nel famigerato attentato): «...Assisteva a scene disumane... Legnate sugli arrestati, bruciature di ferri da stiro sui corpi, uomini in fin di vita in spazi angusti infestati da topi»; quanto bastava perché il procuratore Intelisano si interessasse del caso per chiedere conto a Burgio di quelle circostanze alle quali lo stesso prontamente rispose affermando che informò per tempo i suoi superiori gerarchici nel teatro di operazioni consegnando alla procura militare documentazione definita di interesse –:
          quali informazioni intenda fornire a seguito delle interviste rilasciate dagli ex militari evidenziate in premessa soprattutto con riferimento alla eventuale partecipazione attiva dei militari nell'esecuzione delle torture e quali verifiche intenda condurre per acclarare le responsabilità di quanti hanno assistito alle torture della polizia locale senza impedirle e senza adottare o promuovere le conseguenti iniziative disciplinari.
(2-00503) «Di Battista, Rizzo, Nesci, Manlio Di Stefano, Spadoni, Basilio, Paolo Bernini, Artini, Scagliusi, Del Grosso, Grande, Frusone, Corda, Sibilia, Tofalo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          Il poligono di tiro di Capo Frasca è il terzo d'Europa per estensione territoriale, sorto nella metà degli anni 50, si estende in un'area di 14 kmq, sul territorio del Comune di Arbus, nella costa sud occidentale della Sardegna;
          La segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e soprattutto in mare e le esercitazioni militari fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni e i pescatori di Arbus, Guspini, Terralba, Arcidano, Marceddì, Cabras, Riola Sardo, Oristano;
          In base all'articolo 332 del codice dell'ordinamento militare del decreto 60/2010 al comma 1 e 5 che richiama il comma 15 dell'articolo 325 dello stesso ordinamento è previsto un indennizzo in favore delle attività che vedono leso il loro diritto di impresa;
          l'attività della pesca nei tratti di mare interdetti adiacenti al poligono di Capo Frasca è fortemente penalizzata dalle limitazioni dovute alle attività militari, ma i pescatori, in particolare dei Comuni di Arbus, Oristano, Terralba, Santa Giusta, Cabras, Arborea, Marrubiu non hanno ricevuto indennizzi come previsto dalla legge;
          In tutto sono coinvolti circa 700 professionisti e 300 imbarcazioni, che in queste settimane hanno dato vita ad incontri ed assemblee pubbliche relativamente alla loro grave situazione, denunciando tra l'altro la disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe venutesi a creare su altri territori su cui insistono servitù militari;
          nell'aprile del 2013 il Ministero della difesa e la regione Sardegna hanno assicurato alle cooperative di pescatori della zona immediata e positiva risoluzione del problema, ma a distanza di un anno non ci sono stati atti concreti conseguenti;
          l'importanza della questione in oggetto è elevata, considerata anche la grave situazione economica e sociale in cui versano i territori della costa sud occidentale della Sardegna  –:
          per quali motivazioni i pescatori delle zone interdette adiacenti al poligono di Capo Frasca non ricevano gli indennizzi come previsto dalla legge;
          se sia a conoscenza della situazione sopra citata e se non intenda intraprendere iniziative volte a garantire il giusto riconoscimento economico alle cooperative di pescatori coinvolte. (5-02608)


      TOFALO, D'UVA, CRISTIAN IANNUZZI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il decreto ministeriale «Mobilità sostenibile nelle aree urbane» del 27 marzo 1998 (Gazzetta Ufficiale n.  179 del 3 agosto 1998), all'articolo 3 ha introdotto la figura professionale del responsabile della mobilità. Gli enti pubblici con più di 300 dipendenti per unità locale e le imprese con complessivamente oltre 800 dipendenti devono individuare un responsabile della mobilità del personale;
          questo ha l'incarico di ottimizzare gli spostamenti sistematici dei dipendenti con l'obiettivo di ridurre l'uso dell'auto privata adottando, tra l'altro, strumenti come il piano spostamenti casa-lavoro (P.S.C.L.), con cui si favoriscono soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto ambientale (car pooling, car sharing, bike sharing, trasporto a chiamata, navette e altro) al fine di una generale riduzione del traffico veicolare e conseguente aumento della sicurezza stradale, del risparmio energetico e della contrazione delle emissioni inquinanti atmosferiche ed acustiche  –:
          se ci siano enti del Ministero della difesa che non abbiano istituito il mobility manager e in tal caso quale sia la ragione dato che l'istituzione dei mobility manager non è facoltativa ma obbligatoria;
          quali siano le azioni che si intendano intraprendere per dare efficacia alla prescrizione normativa in oggetto;
          se vi sia qualche limitazione all'applicazione della norma in oggetto per gli enti militari, caserme o comprensori militari;
          quanti siano, nella aree interessate dall'applicazione del decreto ministeriale, gli enti del Ministero della difesa con più di 300 dipendenti e quanti di questi abbiano istituito il mobility manager. (5-02609)

Interrogazione a risposta scritta:


      BUONANNO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere quanti Carabinieri in servizio ci siano in Italia, quanti nella Polizia e quanti nella Guardia di Finanza. (4-04450)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BONAFEDE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          cassa depositi e prestiti (CDP) è una società per azioni a controllo prevalentemente pubblico laddove il Ministero dell'economia e delle finanze ne detiene l'80,1 del capitale, che gestisce, secondo la mission istituzionale «finanziare la crescita del Paese», una parte consistente del risparmio nazionale consistente nel risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti, garantiti dallo Stato al pari di Bot, Cct e btp);
          SIMEST (Società italiana per le imprese all'estero) è una banca di investimenti pubblico/privata s.p.a. controllata dalla Cassa depositi e prestiti che possiede il 67 per cento delle azioni – acquisite nel novembre 2012 dal Ministero dello sviluppo economico – con un'ulteriore presenza azionaria privata che fa riferimento a istituti di credito, cooperative e Confindustria;
          la missione istituzionale di SIMEST – come recita il sito istituzionale – è quella di «supportare gli imprenditori italiani ad espandersi su nuovi mercati». Tale supporto si concretizza attraverso la partecipazione di SIMEST nelle imprese italiane o imprese controllate nell'Unione europea sia tramite investimento diretto – fino al 49 per cento del capitale sociale – che attraverso la gestione del Fondo partecipativo di Venture Capital per gli investimenti extra Unione europea, consentendo alle imprese italiane l'accesso alle agevolazioni per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione Europea;
          altre attività di SIMEST si esplicano attraverso il sostegno ai crediti all'esportazione di beni di investimento prodotti in Italia; il finanziamento di studi di fattibilità ed i programmi di assistenza tecnica collegati ad investimenti; il finanziamento di programmi di inserimento sui mercati esteri; il finanziamento di interventi a favore delle PMI esportatrici; l'assistenza finanziaria, legale e societaria relativa a progetti di investimento all'estero;
          da quanto si evince dalla consultazione degli allegati alle relazioni e bilanci pubblicati sul proprio sito istituzionale, SIMEST risulta possedere partecipazioni nel capitale di decine di società in paesi extra UE create in partnership con gruppi industriali italiani che in quei Paesi hanno deciso di spostare parte della propria attività economico-commerciale, facendo poi seguire in alcuni casi una delocalizzazione degli impianti produttivi anche grazie al concreto sostegno economico e di servizi garantito dalla stessa SIMEST;
          numerose tra le realtà industriali beneficiarie del supporto all'internazionalizzazione fornito da SIMEST appaiono tuttavia aver intrapreso conseguenti processi di dismissione e chiusura degli impianti in Italia generando negative ripercussioni economiche e sociali territoriali, gravando inoltre in termini generali allorquando le stesse imprese accedono agli ammortizzatori sociali per i dipendenti messi in mobilità;
          come evidenziato durante la trasmissione giornalistica di «La Gabbia» nel servizio «prendi i soldi e scappa» andato in onda su La7 il giorno 7 aprile 2014 quali casi emblematici di un simile incongruente processo in cui risorse di natura prevalentemente pubblica – fatti salvi i diretti benefici per le stesse imprese e gli indiretti benefici finanziari per SIMEST –, danno luogo ad effetti anti-economici per la collettività, possono citarsi le società dell'ex Presidente di Confindustria, che a 1 fronte di 134 dipendenti messi in mobilità avrebbero ricevuto un contributo di 32 milioni di euro per aprire stabilimenti in Russia, Brasile e Cina;
          taluni aspetti dell'attività di SIMEST, potrebbero porsi in contrasto le misure «anti-delocalizzazione» recentemente introdotte con la legge di stabilità 2014 laddove «per i contributi erogati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento, decadono dal beneficio stesso e hanno l'obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti»  –:
          nel corso degli ultimi dieci anni, quante e quali siano le aziende italiane partecipate o finanziate da SIMEST s.p.a. che abbiano, successivamente a tale intervento, posto in mobilità o licenziato dipendenti in Italia nel quadro di un processo di delocalizzazione dei propri impianti produttivi all'estero;
          se possano quantificare, per ciascuno dei casi sopra menzionati, gli specifici vantaggi economici per SIMEST in termini di interessi sui finanziamenti erogati, nonché di incremento di valore per i capitali immessi nelle società direttamente partecipate;
          se non ritengano che le attività di SIMEST in favore delle imprese che intendono internazionalizzare la propria attività nell'area extra Unione europea debbano essere armonizzate con le norme «anti-delocalizzazione» introdotte con la legge di Stabilità 2014 e, più in generale, inserite in un contesto nel quale aziende italiane che ricevono incentivi pubblici non li utilizzino per portare lavoro e ricchezza all'estero. (4-04453)


      D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto legislativo n.  23 del 14 marzo 2011, si consentiva ai proprietari di immobili dati in locazione, di poter optare per l'applicazione di una cedola secca, in sostituzione dell'aliquota irpef corrispondente, dell'imposta di registro e di bollo sul contratto di locazione. In mancanza di registrazione del contratto da parte del proprietario, poteva essere l'inquilino a mettersi in regola, denunciando all'Agenzia delle entrate il contratto, ottenendo così un contratto di 4+4 anni ad un canone annuale pari al triplo della rendita catastale;
          con sentenza della Corte Costituzionale n.  50 del 10 marzo 2014, è stata dichiarata l'illegittimità dell'articolo 3 del decreto legislativo n.  23 del 2011;
          la sentenza della Corte Costituzionale, ha quindi annullato, con effetto retroattivo, il decreto legislativo n.  23 del 14 marzo 2011, comportando che il contratto registrato sarà valido fin dal principio e i proprietari potranno chiedere il pagamento dei canoni previsti dal contratto medesimo e non pagati dagli inquilini;
          dopo la sentenza della Corte Costituzionale, non chiaro come si potrà procedere in relazione ai contratti non registrati;
          migliaia di persone che avevano denunciato il loro proprietario di casa, si trovano adesso in difficoltà per le richieste delle quote arretrate dovute, pervenute da parte dei proprietari –:
          quali iniziative si intendano porre in essere per rimediare alle problematiche, riportate in premessa, originatesi dall'articolo 3 del decreto legislativo n.  23 del 2011 dichiarato incostituzionale. (4-04456)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


      BINETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in caso di separazione dei genitori la pratica dell'affido condiviso dei minori è considerata quella di maggior tutela dei figli;
          secondo uno studio pubblicato da Children Society nel 2012 su 184.396 minori di 36 Paesi industrializzati (Italia inclusa), i minori (undicenni, tredicenni, quindicenni) che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto (suddivisione paritaria dei tempi) riportano un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata;
          la ricerca di Jablonska Lindbergh su 15.428 undicenni, tredicenni e quindicenni ha rilevato positive influenze dell'affido paritetico sull'eventuale uso di droghe, tabacco, alcool, sulla vittimizzazione (intesa come bullismo e violenza fisica subiti) e soprattutto sul distress mentale;
          benché la legislazione italiana stia andando decisamente nella direzione di favorire l'affido condiviso nonostante il numero crescente di teorici affidi condivisi, l'applicazione reale rimane grandemente inattuata e la condivisione tende a rimanere solo sulla carta;
          le statistiche indicano che l'attuale applicazione dell'affido condiviso nel nostro Paese genera una sperequazione temporale, per cui ad esempio, la media di pernottamenti mensili presso il genitore cosiddetto «non collocatario» (less involved) è oggi pari a circa sei (due se il minore ha meno di tre anni ma con tantissimi casi in cui non sono formalmente concesse che poche ore e senza pernotti) e il tempo teoricamente concesso è del 17 per cento (10 per cento versus 90 per cento per minori sotto i sei anni) ;
          l'Italia risulta il Paese più sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per non avere saputo tutelare i rapporti dei figli col genitore «less involved»;
          a fronte dell'inapplicazione reale dell'affido condiviso si devono inoltre registrare casi limite come quello di E. F., affidata congiuntamente ai genitori nel gennaio 2013 e bisognosa di terapie abilitative visive e motorie che sono state stabilite anche da perizie medico-legali e sentenze: a febbraio 2011 la corte d'appello di Torino ha disposto terapie sanitarie abilitative – visive, psicomotorie e logopediche – in favore della bambina, dopo l'accertamento medico-legale depositato a settembre 2010;
          nel mese di gennaio 2013 la corte d'appello di Torino ha concesso ai genitori l'affido condiviso di Elisa e ha confermato le terapie già prescritte due anni prima. Ciononostante ad oggi E. – che vive con la mamma e incontra saltuariamente il papà – non avrebbe ancora beneficiato di alcuna terapia visiva né motoria. Cure di cui il padre vorrebbe prendersi carico ma alle quali la bambina non è stata ancora sottoposta anche per probabili carenze amministrative  –:
          se non ritenga di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad agevolare la pratica dell'affido condiviso ai genitori, tenendo conto anche delle indicazioni a riguardo fornite dai tribunali;
          quali provvedimenti intenda porre in essere per risolvere casi come quello citato ad esempio, in cui anche a causa di inefficienze delle amministrazioni pubbliche scorre tempo prezioso senza che si affrontino problemi seri nonostante persino i pronunciamenti della magistratura. (3-00759)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TURCO, MICILLO, CURRÒ, AGOSTINELLI, RIZZETTO, CIPRINI, DALL'OSSO, LOREFICE, PAOLO BERNINI, BUSINAROLO, TOFALO, CRISTIAN IANNUZZI e TONINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il tema delle «carceri italiane» è un argomento complesso, che presenta svariate e mute voli sfumature, e che troppo spesso si conquista le prime pagine dei giornali, purtroppo, solo quando i numeri mettono nero su bianco una realtà difficile;
          un sonoro allarme, tra gli altri, è stato recentissimamente lanciato dalla Società italiana di psichiatria per bocca del suo presidente Claudio Mencacci, che scatta una fotografia raggelante: nei primi mesi del 2014 sono aumentati i casi di chi ha deciso di togliersi la vita mentre era in carcere: il 40 per cento dei decessi avvenuti dietro le sbarre è rappresentato da suicidi;
          rispetto all'anno precedente, quando avevano fatto registrare un calo del 10 per cento il dato attuale costituisce un'indubbia e triste inversione di tendenza;
          il rischio è quello di raggiungere il numero di decessi dell'anno 2009, annus horribilis nel corso del quale si registrarono 77 suicidi nei penitenziari italiani;
          «Nonostante un'aumentata umanizzazione nelle carceri – ha commentato il presidente della Società italiana di psichiatria, Claudio Mencacci, durante una conferenza stampa – resta ancora grave il problema dei suicidi»;
          un'altra priorità, proprio per prevenire il fenomeno dei suicidi tra i detenuti è quella di attuare «un percorso di screening suicidario di prevenzione su tutti coloro che entrano in carcere e non solo su chi presenta disturbi psichici» ciò anche al fine di attuare più efficacemente la rieducazione e riabilitazione sociale dei detenuti all'interno delle carceri;
          sono circa 10 mila i detenuti che soffrono di una patologia psichiatrica, su un totale di 64 mila (circa il 16 per cento), spiegano gli esperti; i disturbi psicotici hanno un'incidenza dall'1 al 9 per cento, la depressione grave dal 10 al 15 per cento e i disturbi della personalità dal 30 al 40 per cento;
          la popolazione carceraria, in ogni caso, deve fare i conti con le difficoltà di vivere in celle di pochi metri quadri che come ben sappiamo risultano essere sovraffollate, in condizioni igienico-sanitarie al limite della sopportazione, e talvolta le condizioni psicologiche non danno sufficiente stimolo al desiderio di sopravvivenza;
          l'elevatissimo numero di decessi che avvengono all'interno delle mura carcerarie è allucinante ed appare un fenomeno che stenta a diminuire;
          sono solo i detenuti arrivano a compiere il gesto estremo, ma anche chi ogni giorno vive nelle carceri, come gli agenti penitenziari. Anch'essi, infatti, a volte, arrivano a suicidarsi;
          negli ultimi tre anni i dati relativi ai detenuti morti negli istituti di pena, diffusi dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, insieme con Radicali italiani, le associazioni «Il detenuto ignoto», «Antigone», «Buon diritto», «Radiocarcere», «Ristretti orizzonti», disegnano una realtà sconcertante;
          in poco più di 36 mesi, infatti, si sono tolti la vita 26 agenti di polizia penitenziaria e 188 detenuti;
          per quanto riguarda le forze dell'ordine, l'età varia dai 32 fino a 54 anni, e i suicidi sono avvenuti da Torino ad Agrigento, da Napoli a Roma, da Trapani a Biella, da Aversa a Lecce, da Pordenone a Viterbo; ne sono morti due nel 2014, otto lo scorso anno, nove nel 2012 e otto nel 2011;
          i ruoli che ricoprivano andavano dall'assistente, all'assistente capo, dall'agente scelto all'ispettore. Suicidi che nella maggior parte dei casi si sono verificati proprio durante il proprio lavoro, in carcere. Un caso nel 2011 aveva coinvolto un assistente capo della Polizia Penitenziaria, Antonio Caputo, che, a 44 anni, si è sparato con la pistola di ordinanza nella sua auto il 20 dicembre;
          prendendo in considerazione invece le morti di detenuti, i numeri subiscono un'impennata e l'età minima scende fino ai 21 anni e arriva ai 73 anni;
          una fascia di età molto più ampia dovuta alle inumane condizioni che devono affrontare i detenuti in quasi tutte le galere italiane;
          tali gesti estremi sono avvenuti sia in celle con altri detenuti, sia in quelle d'isolamento presentando cause di morte anche differenti: la maggior parte delle persone sono decedute per impiccagione, poi per asfissia, per avvelenamento, dissanguamento, soffocamento e abbruciamento;
          in generale incrociando i dati del Ministero della giustizia con dossier «Morire di carcere» del Centro studi ristretti orizzonti si evince che vi sono stati quasi mille morti dal 2002 al 2012;
          il suicidio è la prima causa di morte (518, 56 per cento); seguono la malattia (183, 20 per cento) e una categoria «da accertare», che raccoglie i casi per cui è in corso un'indagine giudiziaria (177, 19 per cento). A questi si aggiungono 26 casi di overdose e 111 omicidi. In totale 915 decessi. Le cifre riportate escludono i casi di morte in questura. CIE e arresti domiciliari, pertanto il dato dei decessi potrebbe subire revisioni al rialzo;
          tra i dati si nascondono storie singolari, spesso trascurate dai mezzi di comunicazione e alcune riguardano le donne, fra le quali Manuela Contu e Franca Fiorini, rispettivamente 42 e 37 anni, che nel 2003 muoiono per overdose nel carcere di Civitavecchia; o Francesca Caponnetto, 40 anni, che nel 2004 si uccide nel carcere di Messina  –:
          se sia al corrente della situazione prospettata;
          se e quali elementi abbia attualmente a disposizione per poter quantificare e fornire dati aggiornati sull'effettivo numero di decessi per suicidio occorsi tra le persone che frequentano le carceri italiane, relativamente alle cause del decesso dei detenuti ed alle guardie di polizia penitenziaria in carcere, nel corso degli ultimi 10 anni;
          se e quali misure anche urgenti intenda adottare per migliorare le condizioni in cui versano i detenuti delle carceri italiane anche in relazione ai progetti di supporto psicologico e/o psichiatrico volto alla riduzione del fenomeno descritto;
          se e quali elementi abbia attualmente a disposizione, anche a seguito di verifiche effettuate dal DAP, per poter quantificare e fornire dati aggiornati sull'effettivo numero di agenti di polizia penitenziaria, psicologi, psichiatri ed educatori presenti negli istituti penitenziari quanti siano in pianta organica, quanti svolgano le proprie funzioni effettivamente all'interno degli istituti, quanti siano invece distaccati e presso quali istituzioni ovvero enti pubblici e di quali funzioni siano stati investiti all'esterno delle strutture carcerarie;
          se e quali provvedimenti intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva efficiente organizzazione delle attività rieducative all'interno degli istituti di pena, quali le attività formative, lavorative e/o professionali o di accompagnamento al lavoro, volte a favorire una proficua rieducazione e riabilitazione sociale del detenuto per il suo reinserimento nella vita civile. (5-02611)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di marzo 2014 a San Sistino di Livenza (Venezia), grazie ad una tempestiva azione dei carabinieri di Portogruaro, sono stati arrestati tre albanesi trovati in possesso di tre etti e mezzo di cocaina, oltre a circa due mila euro in contanti e 12 cartucce calibro 38 special, rinvenute nel corso della perquisizione dell'auto;
          i tre albanesi arrestati per traffico internazionale di cocaina, Ilir Qaliu, Deter Lazaj e Aleksander Dema, benché sottoposti a misura cautelare in carcere, dopo solo 15 giorni di detenzione nel carcere di Pordenone, sono stati già scarcerati pare, secondo notizie di stampa, per un vizio di notifica e dunque sono oggi liberi;
          tale decisione è stata adottata dal tribunale del riesame di Trieste dopo che l'avvocato dei tre albanesi arrestati aveva sollevato eccezione di nullità della notifica per il fatto che il codifensore non era stato assieme a lui citato;      
          i termini per il riesame dell'ordinanza di misura cautelare scadevano giovedì scorso e pertanto era impossibile rinnovare le notifiche e sanare così il vizio sollevato dall'avvocato difensore dei tre albanesi;
          oltre a ciò, secondo il tribunale del riesame di Trieste la sorte della misura cautelare era comunque «segnata e destinata a perdere efficacia», sempre stando a quanto riportato dai quotidiani locali e dunque non potendo comprendere la ragione di tale convinzione da parte del tribunale;
          il blitz dei militari è scattato poco dopo mezzanotte non lontano dall'agriturismo Casamia di via Triestina, dove due degli indagati avevano preso alloggio da una decina di giorni;
          i militari sono riusciti a individuare il terzo bandito seguendo per molto tempo le abitudini dei primi due, e pertanto si è potuto procedere all'arresto dei tre albanesi grazie all'impegno e lungo lavoro dei carabinieri, che si erano appunto insospettiti dalla presenza anomala nella struttura ricettiva dei due stranieri, senza un'attività fissa e già noti per traffico di droga;
          oltre alla cocaina i militari hanno anche sequestrato 12 proiettili di una pistola calibro 38 special, non ancora trovata ma logicamente nella disponibilità dei tre albanesi, da ieri non più in carcere ma liberi di andare in giro;
          la zona del nord-est veneto è particolarmente esposta per sua collocazione geografica al transito e permanenza di soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali dell'est Europa, in particolare albanesi, dediti al traffico di droga e sostanze stupefacenti destinate alle rotte internazionali;
          secondo gli ultimi dati disponibili, in particolare il rapporto annuale della direzione centrale servizi antidroga del 2012, fra i cittadini stranieri coinvolti nel traffico e spaccio di stupefacenti segnalati all'autorità giudiziaria, gli albanesi si pongono al terzo posto come percentuale numerica e tuttavia, a differenza dei primi due, nell'anno 2012 hanno registrato un aumento percentuale del 22,05 per cento rispetto al 2011;
          il vizio di notifica illustrato in premessa, le considerazioni del tribunale del riesame e da ultimo la scarcerazione dei tre albanesi rappresentano circostanze che mortificano e vanificano l'impegno profuso quotidianamente dalle forze dell'ordine impegnate nel contrasto alle organizzazioni criminali di narcotrafficanti e incoraggiano il prosperare di tali attività criminose  –:
          quali iniziative, anche normative, il Governo intenda adottare al fine evitare che si ripetano casi analoghi a quello indicato in premessa e quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare le regioni del nord ed in particolare il nord-est Veneto, crocevia delle organizzazioni criminali di narcotrafficanti provenienti dagli Stati europei confinanti. (4-04458)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      VALIANTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la forzata interruzione della strada provinciale 430 cosiddetta «Cilentana» e i gravissimi disagi che il territorio cilentano sta subendo sono tali da non poter essere più trascurati né rimandati:
              a) frana e interruzione forzata della viabilità da circa un anno sull'arteria viaria principale per i collegamenti stradali nel Cilento: SP 430 «Cilentana» all'altezza degli svincoli tra Agropoli Sud (SA) e Prignano Cilento (SA);
              b) principio di frana sul percorso alternativo alla SP 430 in località «Gorgo» tra Agropoli (SA) e Prignano (SA);
              c) cedimento viadotti sulla strada provinciale 430 e interruzione forzata della viabilità. Su questa grave problematica la procura della Repubblica presso il tribunale di Vallo della Lucania ha aperto un'indagine;
              d) viabilità ridotta a causa di cedimenti del manto stradale sulla strada provinciale 430 «Cilentana» tra lo svincolo di Vallo della Lucania (SA) e Ceraso (SA);
              e) rischio isolamento per numerosi comuni e impossibilità per i cittadini di raggiungere le strutture ospedaliere;
              f) strade cilentane chiuse a causa di frane o comunque con viabilità fortemente ridotta: SP 82 Policastro-Santa Marina; SR ex SS n.  447 nel Comune di San Mauro la Bruca; SP 93 nel Comune di Rofrano; SP 430 nel Comune di Agropoli; SP 269 nel Comune di Ascea; SP 430 nel Comune di Montano Altilia; SP 16 nei Comuni di Casaletto Spartano, Tortorella, Torraca e Vibonati; SP 210 nel Comune di Morigerati; SS 488 nel Comune di Roccadaspide; SP 342b Roscigno-Corleto Monforte; SP 12 e SP342a Sacco-Corleto Monforte; SP 84 Futani-San Mauro la Bruca; SR ex SS 447 Pisciotta-Palinuro; SP 430 Roccagloriosa; SP 54 Vibonati-Morigerati; SP 17 Celle di Bulgheria; SP 257 Pisciotta-Rodio-Ceraso; SP 269 Ascea-Ceraso; SP 365 Pattano-Metoio; SP 16 Torraca; SP 17b Acquavena-S. Giovanni a Piro; SP 18b Rofrano-Sanza;      SP 18a Rofrano-Laurito; SR ex SS 562 S. Giovanni a Piro; SP 48a Pollica-Pioppi; SP 15 Pollica-Acciaroli; SP 143 Montano Antilia-Abatemarco; SP 198 Montano Antilia; SP 346 Abatemarco-Massicelle;
          dall'esposizione sommaria dei disagi relativi, principalmente, alla strada provinciale 430 «Cilentana» e alle altre strade di collegamento del Cilento, si evince la grave difficoltà per i cittadini e non solo di potersi muovere all'interno del Cilento e verso Salerno. Questi gravi e perduranti disagi, oltre a rappresentare concreti pericoli per la sicurezza dei trasporti, comportano, specie in prossimità della stagione estiva, per il secondo anno consecutivo, anche un importante danno economico per tutti gli operatori turistici, già colpiti fortemente dalla crisi economica nazionale. Gravissima è la situazione della Città di Vallo della Lucania che allo stato, anche per quanto attiene all'ospedale, alle altre strutture sanitarie, al tribunale e alle altre strutture pubbliche e private connesse, è difficilmente raggiungibile, se non attraverso lunghi e difficili percorsi alternativi  –:
          se, alla luce di quanto premesso, non ritenga necessario e urgente assumere iniziative per quanto di competenza diretta a consentire il potenziamento della circolazione ferroviaria sulla tratta Salerno-Sapri;
          se intenda assumere, per quanto di competenza, iniziative dirette a predisporre un piano di intervento per le aree più esposte a concreti rischi idrogeologici;
          se sussistano i presupposti per la dichiarazione di stato di emergenza nei citati territori. (5-02614)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BUONANNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere se non ritenga utile aumentare il limite di velocità nelle autostrade a km/h 160 invece degli attuali 130. (4-04451)


      CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          durante un viaggio effettuato personalmente, l'interrogante ha verificato direttamente e de visu che – almeno in provincia di Trapani – gli operai dell'ANAS stanno irrorando massicciamente con diserbante i margini dell'autostrada e di alcune (o tutte le) strade provinciali;
          questa attività di «ordinaria manutenzione» compiuta nelle autostrade siciliane, già di per sé grave, sarebbe gravissima se riguardasse tutte le autostrade e strade italiane;
          fra le tante controindicazioni che una iniziativa del genere comporta, vi è il fatto che questi veleni raggiungono direttamente anche una porzione delle colture e dei pascoli che sono contigui alle strade, entrando così nel ciclo alimentare;
          la seconda gravissima conseguenza è che mentre le erbacce tagliate con metodi tradizionali si trasformano in polvere e si disperdono rapidamente, quelle sottoposte a trattamento diserbante restano attaccate al suolo e rinsecchiscono, diventando un'esca pericolosissima per gli incendi che funestano le campagne nei mesi estivi;
          infine, una conseguenza di carattere estetico; invece di essere contornate di verde, le strade ed autostrade si presentano con un aspetto giallastro e malaticcio, certamente non un belvedere anche per i turisti  –:
          quali iniziative intenda, adottare il Ministro interrogato nei confronti dell'Anas e dei concessionari autostradali per appurare se questa attività riguarda l'intera rete stradale ed autostradale nazionale ed, eventualmente, risolvere la problematica esposta in premessa. (4-04460)

INTERNO

Interpellanze:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          a oggi, non si è ancora provveduto all'assunzione delle 672 unità (160 vincitori in seconda aliquota e 512 idonei) immediatamente disponibili per l'invio alle scuole di formazione in qualità di allievi agenti della Polizia di Stato;
          i 160 vincitori, al momento, non hanno firmato alcun documento che li vincoli alle Forze Armate né sono stati avviati ai rispettivi corsi;
          da gennaio a oggi, sono state presentate 20 interrogazioni parlamentari, 2 interpellanze, 2 ordini del giorno e una mozione, ma solo 3 interrogazioni hanno ricevuto la risposta del Governo, da parte del sottosegretario Bocci, e nonostante tutto non è ancora chiaro se la non assunzione degli Allievi Agenti sia dovuta o meno a una precisa linea politica dell'Esecutivo;
          nel frattempo, è stato pubblicato un nuovo bando di concorso a 650 posti per allievi agenti della polizia di Stato, peraltro senza la divisione in doppia aliquota;
          avviare un nuovo iter concorsuale permetterà tuttavia ai nuovi agenti di essere operativi soltanto nell'autunno-inverno del 2015 quindi ad EXPO ultimato;
          assumere immediatamente le 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso di allievi agenti della polizia di Stato permetterebbe, vista la recentissima idoneità conseguita, l'immediato inserimento degli interessati senza la necessità di effettuare visite mediche di controllo per il mantenimento dell'idoneità psico-fisica, rispettando così i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa; la ratio di tale scelta sarebbe chiara: l'utilizzo delle graduatorie vigenti, in un'epoca in cui le risorse pubbliche risultano complessivamente ridotte, risponderebbe a esigenze sociali e di equità ed esonererebbe l'amministrazione dai costi e dai tempi di attesa connessi a un nuovo concorso;
          già nel dicembre 2013 era stata rettificata la graduatoria per un ampliamento di posti messi a concorso, da 964 a 1083; peraltro, nelle scorse settimane l'Arma dei carabinieri, mediante decreto dirigenziale, ha avviato una procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1.886 allievi carabinieri. In particolare, sono stati assunti i vincitori ma anche i 48 idonei non vincitori, ossia i restanti idonei presenti in graduatoria, comportando pertanto l'esaurimento della stessa; tale decreto cita testualmente: «Ravvisata l'esigenza di disporre, con immediatezza, di XXX Allievi Carabinieri, senza dover attendere i tempi tecnici richiesti per portare a termine una nuova procedura di reclutamento mediante il bando di un concorso pubblico. Tenuto conto dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione per la gestione delle procedure di reclutamento»;
          in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015», per far fronte a esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministero dell'interno, nelle scorse settimane, ha dichiarato come il blocco del turnover delle Forze dell'Ordine avrebbe subito una deroga del 55 per cento  –:
          se non intenda il Ministro, assumere urgenti iniziative dirette ad operare una rettifica della graduatoria finale del concorso per allievi agenti della polizia di Stato citato in premessa, e un ampliamento, in prima aliquota, di 672 posti, dei candidati risultati idonei alle prove di efficienza fisica e agli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale;
          quali ulteriori iniziative intenda assumere il Ministro per garantire la risoluzione della problematica descritta in premessa, con riguardo al rispetto dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di economicità, efficienza e speditezza dell'azione amministrativa, anche in vista dell'EXPO, evento di considerevoli dimensioni che richiede necessariamente un incremento delle forze dell'ordine presenti nella città protagonista della manifestazione, senza che questa concentrazione pregiudichi il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese.
(2-00501) «Zan».


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          il Decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2001, n.  398 «Regolamento recante l'organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'Interno» all'articolo 2 prevede che il Ministero dell'interno sia articolato, a livello centrale, in dipartimenti tra cui il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile;
          l'articolo 6 comma 3 di tale decreto del Presidente della Repubblica ha stabilito che il Dipartimento vigili del fuoco sia diretto da un capo dipartimento, al quale viene assegnato un vice capo dipartimento, dirigente generale proveniente dai ruoli tecnici (ingegnere) dei vigili del fuoco, che espleta le funzioni vicarie. Tale vice si identifica nella figura del capo del corpo nazionale dei vigili del fuoco;
          l'articolo 6, comma 3 ha altresì previsto la nomina di un altro vice capo dipartimento cui è affidata la responsabilità della direzione centrale per la difesa civile e le politiche di protezione civile;
          la riforma posta in essere con il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2001, n.  398 ha determinato una moltiplicazione delle figure di vertice dipartimentale, con 5 figure di prefetto e una cinquantina tra vice-prefetto e vice-prefetto aggiunto, che appesantiscono la gestione e l'organizzazione del Dipartimento dei vigili del fuoco, culminando con la creazione di una dicotomia nella responsabilità di governo del Dipartimento (Capo dipartimento e capo del corpo);
          la Commissione I della Camera nel corso della seduta del 16 febbraio 2012 chiamata ad esprimere il parere sullo «Schema di decreto del Presidente della Repubblica ... concernente l'individuazione degli uffici dirigenziali periferici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» atto n.  435 ha espresso l'auspicio che «il Governo adotti quanto prima iniziative legislative intese a risolvere il problema del “doppio vertice” del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, attribuendo piena autonomia al Corpo stesso»;
          il Governo pro tempore in sede di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 ha accolto con raccomandazione l'ordine del giorno n.  3396/45/5 del 30 luglio 2012 che impegna il Governo:
              «ad adottare in tempi brevi e non oltre il 31 dicembre 2012, iniziative legislative intese a risolvere il problema del doppio vertice del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, attribuendo piena autonomia al corpo stesso, nel senso di seguito indicato:
                  al vertice del Corpo nazionale è posto un dirigente generale del Corpo nazionale che assume la qualifica di dirigente generale - Capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Il Capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è preposto a Capo del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile e svolge le seguenti funzioni, di cui risponde direttamente al Ministro:
          a) coordina le direzioni centrali, ivi compresa quella delle risorse umane, secondo quanto indicato nel decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2001, n.  398, con le strutture periferiche del Corpo nazionale ed è responsabile dei risultati raggiunti in attuazione degli indirizzi dati dal Ministro dell'interno;
          b) presiede il comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi;
          c) è componente di diritto della commissione consultiva centrale controllo armi;
          d) è presidente del consiglio di amministrazione dell'Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale, nonché componente di diritto del consiglio di amministrazione del Ministero dell'interno per la trattazione degli affari concernenti il personale del Corpo nazionale;
          e) esprime parere sulle modalità di svolgimento dei servizi ispettivi sull'attività tecnica»;
          tutte le Forze di polizia (capitanerie di porto, forestale, carabinieri, guardia di finanza, ecc.) ad esclusione del solo Corpo nazionale dei vigili del fuoco, vedono nel vertice istituzionale un soggetto proveniente dalla carriera del Corpo stesso, a garanzia della conoscenza dell'Organizzazione, a difesa della sua stessa autonomia e a vantaggio della celerità della risposta decisionale, collegata alle delicate funzioni svolte;
          in un momento delicato per il sistema Paese, un segno evidente di riorganizzazione e di snellimento, di recupero dell'efficienza e della dinamicità, garantito dall'accorpamento funzionale delle competenze, consentirebbe anche il recupero di importanti risorse economiche  –:
          quali iniziative anche di natura legislativa il Ministro interpellato, cui competono le responsabilità politiche relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, abbia intenzione di assumere al fine di dare attuazione agli impegni espressi in premessa al fine anche di migliorare efficienza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco generando nel contempo un importante risparmio di risorse economiche per la finanza pubblica.
(2-00502) «Labriola».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TURCO, MICILLO, CURRÒ, FRACCARO, MASSIMILIANO BERNINI, AGOSTINELLI, RIZZETTO, ROSTELLATO, DALL'OSSO, LOREFICE e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è notizia di qualche giorno addietro che i tagli previsti dal commissario Carlo Cottarelli incaricato di indicare possibili strategie di spending review per la pubblicazione amministrazione dovrebbero interessare, su tutto il territorio nazionale, numerosi commissariati di pubblica sicurezza e svariati uffici di specialità della polizia di Stato;
          da vari organi di stampa si apprende l'intenzione del dipartimento per la pubblica sicurezza del Ministero di riprendere il progetto di razionalizzazione delle risorse e, tra gli uffici che potrebbero essere soppressi vi sarebbero le squadre nautiche di Peschiera del Garda (Verona) e di Riva del Garda (Trento), destinate al pattugliamento delle acque interne del più grande lago italiano;
          il Presidente Passionelli dell'ente territoriale interregionale – comunità del Garda, esprime il disappunto per tale proposta, alla luce della considerevole importanza che rivestono i predetti uffici di polizia, che nel corso degli anni hanno dato dimostrazione di efficienza e professionalità, in stretta sinergia con le istituzioni locali, assicurando una presenza effettiva sul territorio attraverso servizi di vigilanza e pattugliamento, di intervento in caso di incidenti e soccorsi, così da assicurare maggiore serenità sia per i cittadini ed, anche, per i 10 milioni di turisti che ogni anno scelgono le rive del lago di Garda come meta di vacanza;
          in caso di effettiva soppressione delle squadre nautiche sul lago di Garda, questo bacino risulterebbe quindi privo di forze di polizia, considerando che nel 2013 hanno cessato l'attività le motovedette dei carabinieri, e che anche la motovedetta dei vigili del fuoco di Bardolino (Verona) sarà rimossa e trasferita in altra sede;
          sull'intera area, per quanto riguarda la sicurezza del lago, rimarrebbe solamente il presidio della Guardia costiera e della Guardia di finanza di Salò (Brescia), entrambe quindi dislocate sul litorale bresciano del lago;
          in relazione alle peculiarità naturali ed alla considerevole vocazione turistica del lago di Garda, è risultata negli anni molto rilevante l'attività di vigilanza e controllo posta in essere dal personale delle squadre nautiche, nel settore del diporto nautico, nelle varie attività nautiche commerciali, in materia di demanio lacuale e soprattutto in materia di sicurezza, nel rispetto delle normative vigenti;
          anche ConfCommercio As.co Verona assume una posizione nettamente contraria all'ipotesi della soppressione delle squadre nautiche;
          «Giusto perseguire risparmi, ma qui si rischia di creare seri problemi nella gestione dell'ordine pubblico in territori ad altra concentrazione turistica dove, soprattutto d'estate, la sorveglianza deve essere massima», sottolineano il presidente di Confcommercio As.Co. Verona Paolo Arena ed il presidente del Consorzio «Lago di Garda è...» e di «Garda Unico» Paolo Artelio;
          «Come è stato giustamente fatto notare, il Comune di Peschiera del Garda – proseguono – ha una storia di collaborazione con la Polizia di Stato, tanto che negli anni ha speso e investito per assicurare la massima efficienza del servizio delle forze dell'ordine: i benefici per le casse della pubblica amministrazione sarebbero dunque esigui a fronte di un peggioramento della sicurezza e della qualità della vita che potrebbe avere pesanti ripercussioni sociali ed economiche nel veronese e in tutta l'area della Riviera degli Olivi» concludono Arena e Artelio;
          sul tema della sicurezza nei comuni rivieraschi del lago di Garda giova peraltro evidenziare come nel 2009, rinnovato da ultimo nel 2011, alla presenza del Ministro dell'interno, sia stato sottoscritto dai prefetti di Brescia e Verona, dal Commissario del Governo della provincia di Trento, dal comandante della capitaneria di porto di Venezia, dai presidenti delle province di Trento, Brescia e Verona, dai sindaci dei comuni rivieraschi, dai rappresentanti delle regioni di Lombardia e Veneto e da parte della comunità del Garda, un «Patto per la sicurezza dell'area del Lago di Garda»;
          tale accordo ha quale finalità quello di attuare una strategia condivisa di azioni concorrenti sul territorio nell'ottica di ottimizzare le iniziative per una gestione allargata del «bene sicurezza»;
          all'articolo 2, comma 1, punto 3) del citato patto si legge infetti espressamente che durante il periodo estivo verrà intensificata l'attività di vigilanza da parte delle forze di polizia, con l'impiego di natanti utilizzati in particolar modo sottocosta, al fine di contrastare eventuali forme di illegalità ovvero prevenire possibili situazioni di pericolo;
          se quindi l'intenzione di tutte le istituzioni presenti alla firma del sopra citato patto per la sicurezza erano quelle di incrementare i servizi di vigilanza e pattugliamento da parte delle forze di polizia presenti sul territorio, al fine di salvaguardare maggiormente la sicurezza dei cittadini e dei numerosissimi turisti, non si può oggi pensare che tale volontà e impegno vengano cancellati di netto, privando il territorio di personale specializzato della Polizia di Stato;
          le predette sinergie si rivelano fondamentali quindi, per garantire la sicurezza sulle spiagge e sul litorale, dove maggiormente si verificano trasgressioni delle ordinanze delle autorità, illeciti penali ed amministrativi, situazioni di pericolo, piccoli illeciti contro il patrimonio, condotte moleste, comportamenti collettivi di trasgressione. Nell'ambito della balneazione inoltre, la navigazione da diporto può avvenire in spregio alle vigenti disposizioni e creare pericoli per i bagnanti –:
          se sia al corrente della situazione descritta e quale sia l'orientamento del Ministro;
          se, anche in considerazione della situazione testé descritta, non ritenga di poter riconsiderare, in sede d'individuazione di necessari nuovi correttivi nell'applicazione del progetto di razionalizzazione delle risorse che interessa il dipartimento per la pubblica sicurezza del Ministero, la soppressione delle squadre nautiche di Peschiera del Garda (Verona) e di Riva del Garda (Trento), anche in ragione dell'estrema preoccupazione di tutti i cittadini ed enti anche territoriali, delle province rivierasche di Verona, Brescia e Trento che si affacciano sul Lago di Garda, al fine di mantenere ed assicurare una presenza effettiva delle squadre nautiche sulle acque e litorali del più grande lago italiano per offrire servizi di vigilanza e pattugliamento, di intervento in caso di incidenti e soccorsi, così da garantire un adeguato controllo a favore di tutti i cittadini e dei 10 milioni di turisti che ogni anno scelgono le rive del lago di Garda come meta delle proprie vacanze estive. (5-02607)


      COLLETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          risulta che il Ministro intenda ridurre il numero dei vigili del fuoco professionisti nella provincia di Pescara;
          risulta che il Ministro intenda introdurre una caserma di vigili del fuoco volontari nell'area Vestina, dove le percorrenze dalla sede centrale superano abbondantemente i 30 minuti e sono presenti numerosi insediamenti industriali e artigianali, nonché un significativo numero di abitanti (circa 30.000);
          i vigili del fuoco volontari sono personale non professionista, normalmente impiegato nelle aree a bassa densità abitativa;
          a margine dell'area Vestina è attivo un altro distaccamento volontario a Montesilvano, già inadatto alle esigenze operative della zona tenendo conto che Montesilvano è la quarta città d'Abruzzo con 52.000 abitanti;
          la vecchia pianta organica prevedeva la presenza in zone simili all'area Vestina di un distaccamento permanente dei vigili del fuoco operativo 24 ore su 24;
          la mancanza di personale professionale in simile contesto è seriamente in grado di mettere a repentaglio la sicurezza pubblica nelle zone menzionate;
          a mero esempio delle necessità della popolazione, nella notte del 30 marzo 2014 i vigili del fuoco del distaccamento volontario a Montesilvano sono arrivati al comune di Penne – luogo dell'incendio – dopo 30 minuti dalla chiamata e la tragedia è stata evitata per pura fortuna;
          i sindacati hanno già chiesto degli incontri al prefetto di Pescara ed ai sindaci del territorio vestino;
          il numero dei vigili del fuoco professionisti andrebbe aumentato, anziché diminuito  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
          se il Ministro, alla luce di un serio pregiudizio per il servizio di soccorso ai cittadini e la sicurezza degli stessi operatori, intenda rivalutare attentamente l'opportunità politica di riordino del personale nella provincia di Pescara, aumentando invece che diminuendo la pianta organica stabile nei territori di cui in premessa. (5-02610)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la direzione investigativa antimafia è un organo fortemente voluto dal magistrato Giovanni Falcone al fine di rendere più efficiente la lotta contro la criminalità organizzata di tipo mafioso, istituito, nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, tramite il decreto-legge 29 ottobre 1991, n.  345, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 1991, n.  410;
          l'utilità dell'attività svolta e i risultati ottenuti dalla direzione investigativa antimafia nella lotta alla mafia in questi anni sono indiscussi ed hanno consentito l'arresto di numerosi soggetti e la confisca di beni per svariati miliardi di euro;
          nel corso degli anni, nonostante la necessità riconosciuta da sempre dalla generalità delle forze politiche di perseguire in maniera decisa il contrasto alla criminalità organizzata, si è assistito alla sistematica riduzione dei fondi destinati alla direzione investigativa antimafia: in altre parole, ad avviso dell'interrogante, si può notare una distanza tra gli annunci politici fatti, anche a scopi elettorali, e i provvedimenti concreti adottati, a partire dallo stanziamento di fondi;
          si è passati, infatti, dai 28 milioni di euro stanziati per l'anno 2001, ai 13,5 milioni di euro stanziati per l'anno in corso, con una riduzione di oltre il 50 per cento, proprio nell'anno decisivo per il completamento delle opere che gravitano attorno a EXPO Milano 2015, tristemente famose per la contiguità con la criminalità organizzata di tipo mafioso, durante le delicate ricostruzioni post-terremoto in Emilia e in Abruzzo;
          questa distanza si rileva anche a livello regionale, come in Sicilia, dove la mafia è radicata nella società ma, al di là degli annunci politici, non vengono stanziati fondi significativi per attuare una reale politica di contrasto: infatti, i fondi stanziati dall'Assemblea regionale siciliana nella legge finanziaria per il 2014, allocati nei capitoli di bilancio appartenenti all'unità previsionale di base «lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata», ammontano a solo 154 mila euro, mentre nella legge finanziaria per l'anno 2013 ammontavano a circa 1,2 milioni di euro, registrando dunque una riduzione di quasi il 90 per cento;
          la cronica mancanza di fondi ha portato alla formazione di situazioni paradossali come, per esempio, l'impossibilità da parte del personale di seguire corsi di aggiornamento oppure partecipare a indagini internazionali, senza contare l'impossibilità di pagare gli straordinari o le spese relative all'utilizzo dei veicoli;
          tra le conseguenze di questi tagli vi è anche l'impossibilità di effettuare intercettazioni con risorse proprie e la necessità di utilizzare i servizi che alcune società private già forniscono ad alcune procure della Repubblica, le quali procedono poi al pagamento;
          ciò ha avuto effetti anche sul «trattamento economico accessorio», la cosiddetta indennità di cravatta, un trattamento economico aggiuntivo erogato ai membri della direzione investigativa antimafia in virtù dell'attività da questi svolta: fino al 2011 questa spesa era considerata obbligatoria, mentre successivamente è stata tramutata in non obbligatoria e sottoposta alla discrezionalità dell'esecutivo, il quale deve disporne il pagamento con proprio decreto; inoltre, servirebbero circa 6 milioni di euro all'anno per coprire interamente questa spesa quando, ad oggi, è disponibile solo poco più della metà di tale somma;
          la carenza di fondi si è riverberata anche sull'utilizzo delle banche dati, fondamentali per la lotta alla «Mafia S.p.A.», in particolar modo in questi mesi in cui si sta intensificando il contrasto delle infiltrazioni mafiose negli appalti legati a Expo Milano 2015: la riduzione degli accessi a queste banche dati è stata di circa il 50 per cento;
          un ulteriore problema riguarda la carenza di personale: per poter operare in maniera efficiente e completa la direzione investigativa antimafia dovrebbe poter contare su circa 3.000 agenti, mentre attualmente dispone solo di 1.300. Inoltre, visti i tagli agli stipendi, molti agenti stanno iniziando a chiedere il trasferimento ad altri uffici, privando la direzione investigativa antimafia di importanti risorse umane con una fondamentale esperienza e conoscenza dei metodi di contrasto alla criminalità organizzata;
          ciononostante, pare che la sede operativa della direzione investigativa antimafia a Roma, sia in un immobile per il quale viene corrisposto un canone di locazione di circa 800 mila euro, nonostante ci fosse la possibilità, quando fu siglato il contratto, così come riportato da alcuni organi di stampa, di optare per immobili meno onerosi o addirittura gratuiti, in quanto posseduti dalla Stato, mentre la stessa sede centrale ha un costo di 17 milioni di euro annui;
          il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha affermato la propria intenzione di perseguire la lotta alla mafia, ma, in questo stato, appare ovvio all'interrogante che il contrasto alla criminalità organizzata sarà ostacolato in maniera rilevante dalle difficoltà economiche e organizzative che evidenzia la direzione investigativa antimafia consentendo alla mafia di radicarsi ancor più sul territorio e di penetrare tanto nell'economia che nelle istituzioni  –:
          se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e non intenda attivarsi al fine di assicurare sufficienti risorse alla direzione investigativa antimafia;
          se non intenda attivarsi al fine di garantire un aumento del personale in misura pari a quella citata in premessa;
          se non intenda attivarsi, per le parti di sua competenza, al fine di garantire la completa corresponsione ai membri della direzione investigativa antimafia del trattamento economico accessorio, anche reperendo ulteriori fondi ove necessario;
          quali siano le società private che forniscono risorse umane e materiali alle procure della Repubblica, così come alla direzione investigativa antimafia, per lo svolgimento di intercettazioni, anche fornendo la relativa documentazione, e se non intenda vigilare sul loro operato e sui loro assetti proprietari;
          se non intenda attivarsi, per le parti di competenza, al fine di promuovere il trasferimento delle sedi romane della direzione investigativa antimafia, e delle altre sedi sparse sul resto del territorio nazionale, in immobili di proprietà dello Stato ovvero confiscati alla criminalità organizzata. (4-04461)


      PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel pomeriggio dell'8 aprile 2014 è stata notificato ai sindaci di Venezia e Mira l'arrivo ad horas di un gruppo di 40 migranti irregolari provenienti dalla Sicilia, probabilmente raccolti in mare dalle navi della Marina militare impegnate nell'operazione Mare Nostrum;
          i 40 migranti irregolari avrebbero dovuto essere ospitati in due appartamenti a Mestre e presso l'ostello mirese di Giare;
          invece, ben 27 di loro sono riusciti a forzare le portiere del pullman sul quale viaggiavano e con il quale erano giunti negli uffici della questura di Marghera per espletare le procedure di riconoscimento, facendo perdere rapidamente le proprie tracce;
          malgrado un vasto dispiegamento di mezzi delle forze dell'ordine, solo due dei fuggiaschi sono stati rintracciati e ricondotti in questura;
          il pullman era scortato da due soli agenti delle forze dell'ordine, che non sono stati in grado di far fronte all'imprevista emergenza;    
          l'esiguità della scorta assegnata al pullman con i 40 migranti, a giudizio dell'interrogante, chiama in causa quanto meno una sottovalutazione del rischio da parte delle competenti autorità del Ministero dell'interno  –:
          quali misure il Governo intenda adottare affinché episodi come quello generalizzato nella premessa non si ripetano e soprattutto per rimpatriare sollecitamente i migranti clandestini giunti nel nostro Paese, prima che questi si dileguino, eludendo i controlli di sicurezza, entrando in clandestinità e venendo infine a gravare sulla società. (4-04462)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


      GHIZZONI e PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 19, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n.  240, ha modificato l'articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n.  210, che regola il dottorato di ricerca nelle università stabilendo in particolare che le sedi e i corsi di dottorato di ricerca devono essere previamente accreditati da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, su parere conforme dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), e che le modalità di accreditamento sono disciplinate con decreto del Ministro, su proposta dell'ANVUR;
          la medesima norma stabilisce altresì che tale decreto ministeriale definisce i criteri e i parametri in base ai quali le università accreditate disciplinano, con proprio regolamento, l'istituzione dei corsi di dottorato di ricerca;
          il decreto in parola è stato emanato come decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n.  45;
          l'articolo 2, comma 1, del n.  45 del decreto ministeriale n. 45 del 2013 stabilisce che i corsi di dottorato sono attivati previo accreditamento concesso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, su conforme parere dell'ANVUR, in coerenza con le linee guida condivise a livello europeo, da soggetti che sviluppano una specifica, ampia, originale, qualificata e continuativa attività, sia didattica che di ricerca, adeguatamente riconosciuta a livello internazionale nei settori di interesse per il dottorato;
          l'articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale n.  45 del 2013 stabilisce i requisiti necessari per l'accreditamento dei corsi di dottorato, così riassumibili: a) la presenza di un collegio del dottorato formato da almeno sedici docenti appartenenti ai settori disciplinari di riferimento del corso; b) il possesso da parte dei membri del collegio di documentati risultati di ricerca di livello internazionale; c) la disponibilità di almeno sei borse di studio per ogni anno del corso di dottorato; d) la disponibilità di congrui e stabili finanziamenti per il funzionamento del corso di dottorato; e) la disponibilità di specifiche e qualificate strutture operative e scientifiche per l'attività dei dottorandi; f) la previsione di attività di formazione disciplinare e interdisciplinare, di perfezionamento linguistico e informatico, di valorizzazione dei risultati della ricerca;
          l'articolo 15, comma 2, del decreto ministeriale n.  45 del 2013 rinvia l'entrata in vigore della procedura di accreditamento all'anno accademico 2014/15 (XXX ciclo);
          l'ANVUR ha reso noto il 21 febbraio 2014 un proprio documento ufficiale, peraltro già modificato, intitolato «L'accreditamento dei corsi di dottorato» che illustra i criteri e gli indicatori approvati dal consiglio direttivo dell'ANVUR per l'accreditamento dei corsi di dottorato del XXX ciclo;
          in tale documento l'ANVUR specifica con precisione gli indicatori numerici che saranno utilizzati per stabilire il possesso dei requisiti per l'accreditamento sopra citati, sia per quanto riguarda l'accreditamento delle sedi (articolo 2, comma 1, del decreto ministeriale n.  45 del 2013), sia per quanto riguarda l'accreditamento dei corsi di dottorato (articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale n.  45 del 2013);
          tra questi indicatori numerici spiccano quelli, collegati con il criterio cosiddetto A4, relativi alla valutazione della qualità della ricerca (VQR) 2004-2010 appena portata a termine dall'ANVUR, le cui soglie fanno riferimento ai risultati personali della VQR di ciascun componente del collegio del dottorato anche se calcolati per i componenti del collegio nel suo complesso nonostante che la VQR fosse costruita esclusivamente per valutare le strutture universitarie e non i singoli docenti;
          del medesimo criterio A4 fanno parte anche ulteriori indicatori, le cui soglie fanno invece riferimento alle mediane da superare per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale di cui agli allegati del decreto ministeriale n.  76 del 7 giugno 2012, cioè anche in questo caso per tutt'altro obiettivo, comunque riferiti ai singoli membri del collegio del dottorato;
          per quanto riguarda il criterio cosiddetto A5, il documento ANVUR indica per la prima volta la condizione, sia pure non dirimente per l'accreditamento, che il 75 per cento dei posti di dottorato sia coperto da borsa di studio rispetto al tradizionale 50 per cento mentre il criterio cosiddetto A6 indica ulteriori necessità di finanziamento da parte dell'università per ciascun posto di dottorato oltre alla eventuale borsa di studio;
          il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con nota del 24 marzo 2014 indirizzata ai rettori delle università, ha sostanzialmente fatto proprio il documento dell'ANVUR riportandone i principali contenuti nelle linee guida per l'accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato allegate alla nota ministeriale;
          in tale nota il Ministro correttamente richiama l'esigenza di semplificare i processi, di focalizzare l'attenzione sugli aspetti qualificanti, di tener conto della fattibilità gestionale delle operazioni richieste, nel rispetto dell'autonomia universitaria e limitando la valutazione ex ante di natura autorizzativa a quanto strettamente indispensabile;
          il Ministro richiama altresì, positivamente, a una particolare cautela nell'impiego delle cosiddette «mediane» nella valutazione del collegio del dottorato e soprattutto ritiene essenziale che, qualora la mediana divenga un indicatore determinante, la proposta di accreditamento venga esaminata dettagliatamente in tutti i suoi aspetti;
          i tempi per la preparazione delle domande di accreditamento dei propri corsi di dottorato da parte delle università per il prossimo anno accademico 2014/15 si presentano comunque estremamente ristretti mentre il calcolo degli indicatori e il rispetto delle relative soglie si presentano come assai difficoltosi e soggetti a critiche di significatività e di esattezza da parte di molti esponenti delle comunità universitarie;
          sembra all'interrogante abbastanza certo che, per come stanno le cose, la procedura di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato sarà molto complicata e finirà con l'escludere molte università e molti docenti dalla possibilità di dare un contributo alla formazione dottorale, certamente cruciale nell'attività di ogni università e per lo sviluppo dei territori e del Paese;
          se non ritenga opportuno dare, per l'anno accademico 2014/15, un carattere di sperimentalità agli indicatori individuati dall'ANVUR per l'accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato, in modo che le università e i singoli corsi di dottorato possano esaminare con calma gli eventuali punti di criticità e abbiano il tempo di apportare correttivi alle proprie proposte senza vedersi immediatamente esclusi dalla possibilità di partecipare alla formazione dottorale per il mancato superamento di soglie alquanto discutibili, tenendo anche conto del grande lavoro di razionalizzazione compiuto dalle università con il passaggio generalizzato alla forma dipartimentale prevista dalla legge n.  240 del 2010 e con la forte riduzione del numero dei corsi di dottorato già operata nell'anno accademico 2013/14 per il XXIX ciclo;
          se non ritenga opportuno rivedere gli indicatori collegati agli stanziamenti necessari per le borse di studio e per ciascun posto di dottorato, anche senza borsa, in quanto l'aumento improvviso dei costi che ne consegue potrebbe portare ad una netta contrazione dell'intera offerta formativa italiana nel segmento strategico del dottorato di ricerca. (4-04442)


      PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          a seguito della cosiddetta riforma Gelmini, nella secondaria di II grado emerge una notevole frammentazione della geografia, sia come presenza nei curricula dei vari indirizzi di studi, sia come monte ore totale all'interno dell'unico corso nel quale è sopravvissuta;
          nell'istituto tecnico commerciale, da 8 ore settimanali, la geografia è stata ridotta a 6 ore, subendo l'ulteriore penalizzazione di passare da materia di indirizzo geografia economica, al triennio, a disciplina generale, geografia, al biennio;
          permane, invece, l'insegnamento della geografia turistica, con un monte ore totale di 6 ore settimanali, nel triennio dell'indirizzo turistico;
          la geografia scompare anche negli istituti tecnici nautici, dagli istituti professionali per commercio, nei quali era insegnata come geografia economica, mentre nei bienni dei licei viene accorpata alla storia, divenendo una nuova disciplina storia e geografia, il cui insegnamento è stato attribuito agli insegnanti di lettere;
          le circolari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica n.  21 del 14 marzo 2011 e la n.  679 del 4 maggio 2012 hanno considerato la geografia una disciplina «atipica», da poter essere insegnata prioritariamente dai docenti titolari della A039 e in via residuale da quelli della A060 – perdenti posto;
          la atipicità ha generato, però, una situazione anomala, tanto che alcune istituzioni scolastiche, nella formazione dell'organico di diritto, hanno accorpato spezzoni di geografia (A039) e spezzoni di scienze (A060), considerando il totale delle stesse unicamente come facenti parte della classe di concorso A060, tuttavia, generando un'ingiustizia a scapito dei docenti di geografia e una soluzione disperata per fronteggiare situazioni di esubero della classe A060;
          fino al 2010, primo anno del riordino della riforma Gelmini i docenti in possesso dell'abilitazione A060, scienze naturali, chimica, geografia e microbiologia, in base al decreto ministeriale 39 del 1998 insegnavano in tutti gli indirizzi della scuola secondaria superiore;
          con i cambiamenti dei quadri orari e delle classi di concorso, la A060 è diventata «A-46 scienze naturali chimiche biologiche» e i docenti possono continuare a insegnare chimica in tutti i corsi dei licei, ma non nel biennio dei tecnici e dei professionali, perché gli insegnamenti di chimica e di fisica (scienze integrate) non sono stati attribuiti alla classe di concorso A060 ma alle classi A013 e A038;
          a seguito della riforma suddetta e del riordino delle classi di concorso, i docenti appartenenti alla A060 sono diventati soprannumerari  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno, in questa fase di passaggio da vecchie abilitazioni a nuove, salvaguardare «ad esaurimento» i docenti in possesso delle vecchie abilitazioni, anche in considerazione che l'assunzione di supplenti o addirittura l'immissione in ruolo di nuovi docenti, non solo è lesivo della professionalità e dell'esperienza acquisita da tanti docenti, ma crea maggior aggravi all'erario dello Stato;
          se il Ministro possa considerare che ai docenti suddetti per poter insegnare in un determinato ambito viene richiesto e riconosciuto un titolo abilitante che non può successivamente essere revocato e non si possono ridurre le attività che sono state riconosciute in virtù di esso. (4-04445)


      MAZZOLI e TERROSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nella scuola secondaria di primo grado è presente l'insegnamento di «Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali», noto come «matematica» e individuato nella «classe di concorso» per i docenti con il codice alfa-numerico A059;
          ai sensi del decreto ministeriale n.  22 del 9 febbraio 2005, ha titolo ad insegnare nella classe di concorso A059, senza alcun condizionamento relativamente al percorso universitario sostenuto, chi è in possesso delle seguenti Lauree specialistiche (LS):
              Scienze geologiche, codice «LS 86»;
              Scienze e tecnologia per l'ambiente ed il territorio, codice «LS 82»;
              Biologia, codice «LS 6»;
              Scienze e tecnologie dei sistemi di navigazione, codice «LS 80»;
              Scienze e tecnologie agrozootecniche, codice «LS 79»;
              Scienze e tecnologie agrarie, codice «LS 77»;
              Scienze della natura, codice «LS 68»;
              Scienze dell'universo, codice «LS 66»;
              Scienze chimiche, codice «LS 62»;
              Scienza e ingegneria dei materiali, codice «LS 61»;
              Matematica, codice LS 45;
              Fisica, codice LS 20;
          il DDG n.  82 del 24 settembre 2012 riporta i requisiti di ammissione per concorsi a posti e cattedre finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
          le singole lauree specialistiche menzionate hanno una copertura parziale rispetto ai contenuti richiesti per l'insegnamento della matematica. In particolare si osserva che gli argomenti di matematica richiesti per la A059 sono gli stessi della classe di concorso A047;
          da un'analisi comparata si riscontra che la laurea specialistica in ingegneria ambientale e del territorio (classificata con il codice alfa-numerico LS 38 nel decreto ministeriale 22 del 9 febbraio 2005) possiede la maggior copertura dei programmi di studio della A059 ma, ingiustamente, non è ancora stata inserita in tale classe di concorso;
          si fa presente che la laurea specialistica 38/S ingegneria per l'ambiente ed il territorio ai sensi del D.I. 9 luglio 2009, viene denominata Laurea magistrale ingegneria per l'ambiente ed il territorio LM-35 e Laurea magistrale in ingegneria della sicurezza LM-26;
          appurata l'illogicità e l'innaturalezza della non presenza degli ingegneri di ambiente e territorio nella classe di concorso d'insegnamento A059, si rappresenta la necessità di provvedere concretamente a un problema reale già sollevato in varie sedi ma non ancora risolto;
          occorre dare l'opportunità ai discenti della scuola media di disporre di docenti con competenze più estese;
          quindi è doveroso riconoscere un diritto alla docenza ai laureati che hanno sostenuto esami significativi quali: «Analisi matematica 1», «Analisi matematica 2», «Geometria», «Calcolo numerico e programmazione», «Fisica generale 1»; «Fisica generale 2», «Fisica tecnica», «Chimica», «Meccanica razionale», «Geologia», «Geotecnica», «Elementi di microbiologia organica», «Biochimica», e altro  –:
          se il Ministro interrogato intenda includere, senza condizionamenti, la laurea specialistica in «Ingegneria per l'ambiente ed il territorio» tra le lauree che danno titolo all'insegnamento per la classe A059. (4-04449)


      FANUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la cooperativa Don Ferruccio Bianchi da circa quindici anni gestisce, nel comune di Agliana, istituto paritario Casa degli Angeli Custodi esistente dal 1929;
          a causa del mancato saldo dei contributi statali, relativi ancora all'anno scolastico 2012-2013, tale istituto verte in gravi condizioni economiche, a causa delle quali i lavoratori, dall'inizio dell'anno seguente non hanno percepito, nella giusta cadenza mensile, la propria retribuzione  –:
          se il Ministro interrogato non intenda verificare le motivazioni del mancato saldo dei contributi spettanti all'istituto paritario Casa degli Angeli Custodi di Agliana a garanzia degli studenti, delle famiglie e dei lavoratori. (4-04457)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          come è noto, il decreto legislativo n.  502 del 1992 (cosiddetto Riforma Amato) ha elevato a decorrere dal 1o gennaio 1993 il requisito contributivo minimo da 15 a 20 anni per il perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia;
          lo    stesso decreto legislativo n.  502/1993, all'articolo 2, comma 3, ha individuato particolari categorie di lavoratori dipendenti ed autonomi che possono accedere, in deroga all'elevazione del requisito minimo contributivo, alla pensione di vecchiaia in presenza di un'anzianità contributiva minima di 15 anni anziché 20 ed al perfezionamento dell'età pensionabile prevista per la generalità dei lavoratori;
          tali categorie, salvaguardate dalla Riforma Amato, hanno rischiato di essere colpite dalla Riforma Fornero, che ha alzato il minimo contributivo a 20 anni, impedendo la posteriorità dei contributi versati preventivamente all'avvento della riforma Amato;
          il Governo Letta in carica al momento dell'esplosione del caso dei contributi silenti, dopo quello degli esodati, ha cercato di rimediare anche a questo errore della Fornero, salvaguardando l'accesso pensionistico ai cosiddetti «quindicenni»;
          tale salvaguardia trova conferma nella circolare Inps n.  16 del 1o febbraio 2013, con la quale l'istituto chiarisce che: «in esito ad approfondimenti effettuati al riguardo di concerto con i Ministeri vigilanti, si è pervenuti alla considerazione che le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n.  503 del 1992 operano anche a seguito dell'entrata in vigore della legge n.  214 del 2011, in quanto dette norme non risultano espressamente abrogate dall'articolo 24 più volte citato»;
          nello specifico, a partire dal primo gennaio 2013, i contribuenti coinvolti nel campo individuato dalla circolare, potranno accedere al trattamento con 15 anni di contributi entro il    1992, quando avranno compiuto 62 anni e 3 mesi (lavoratrici dipendenti), 63 anni e 9 mesi (autonome), 66 anni e 3 mesi (lavoratori dipendenti, autonomi e pubblici);
          tali interventi, tuttavia, non risolvono la vera e propria problematica cosiddetta delle «donne silenti», cioè di quelle lavoratrici nate tra il 1940 e il 1955 che per motivi di maternità o cure familiari avevano lasciato il lavoro e pertanto alla data del 31 dicembre 1992 non avevano raggiunto il periodo minimo di contribuzione pari a 15 anni, ma che comunque vantavano almeno 10 anni di contribuzione al regime obbligatorio di appartenenza;
          si ritiene infatti che tali donne, qualora non siano titolari di altre prestazioni di natura previdenziale o assistenziale, abbiano comunque (diritto a vedersi riconosciuti i dieci anni di contribuzione versata  –:
          se non ritenga opportuno emanare provvedimenti di propria competenza atti al riconoscimento, in favore delle lavoratrici nate tra il 1940 ed il 1955 che alla data del 31 dicembre 1992 abbiano raggiunto il requisito contributivo minimo di dieci anni, della facoltà di richiedere all'ente previdenziale al quale risultano iscritte la restituzione dei contributi versati, rivalutati al tasso di inflazione, o comunque a prevedere una maggiorazione della pensione minima in proporzione al numero delle annualità contributive. (4-04441)


      LOMBARDI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio di Stato su un ricorso d'urgenza presentato da un inquilino il 15 gennaio 2014 è intervenuto con una ordinanza (n.  103 del 2014) che ha di fatto dichiarato illegittima la procedura di conferimento del patrimonio immobiliare della cassa nazionale previdenza ragionieri; il Consiglio di Stato ha statuito che il patrimonio immobiliare della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri è pubblico, indipendentemente dallo schema giuridico adottato per il conferimento ad un altro soggetto incaricato della dismissione degli immobili;
          in particolare il Consiglio di Stato così argomenta: «...sembra, altresì, convincente, in questo primo esame preliminare, l'argomentazione della parte appellata secondo cui la scelta di utilizzare una modalità di vendita non possa essere di per se in grado di mutare la natura giuridica dell'operazione di dismissione in una vendita tra privati, con inevitabili ripercussioni sul regime giuridico da applicare in materia di dismissione del patrimonio pubblico...»;
          l'alienazione del patrimonio di Cassa nazionale dei ragionieri, anche in base al disposto dell'ordinanza, doveva e deve avvenire nel rispetto delle disposizioni dettate in tema di dismissioni dal decreto legislativo n.  104 del 1996 e non seguendo la strada della vendita tra privati invece intentata dalle parti convenute. La procedura di vendita degli immobili della cassa ragionieri è stata, invece, intrapresa partendo da un presupposto completamente errato e contrario rispetto a quanto deliberato dal Consiglio di Stato. Cassa nazionale dei ragionieri, infatti, nell'atto di conferimento del 21 dicembre 2011, dichiara che: «...ai sensi del comma 38 dell'articolo della legge 243 del 2004, la disciplina afferente alla gestione dei beni, ....contenuta nel decreto legislativo n.  104 del 1996, non trova quindi applicazione, essendo la cassa un ente privatizzato ai sensi del decreto legislativo n.  509 del 1994...»;
          il grossolano errore in cui è caduta la cassa nazionale dei ragionieri in sede di stipula dell'atto di conferimento del 21 dicembre 2011 è stato ritenere che: «...la prospettata operazione di apporto non ha impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica e dunque non è ricompresa tra quelle per le quali l'articolo 8 comma 15 del citato decreto-legge 78 del 2010 convertito in legge n.  122 del 2010 prevede la verifica ministeriale da attuarsi con decreto; poiché la prospettata operazione di sottoscrizione di quote mediante apporto deve quindi intendersi ricompresa tra quelle di cui all'allegato A del decreto ministeriale del 10 novembre 2010, CNPR in data 6 ottobre 2011 ha nuovamente e più specificatamente comunicato ad entrambi i citati ministeri a mezzo di lettere raccomandate a/r anticipate via fax, la operazione di apporto ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale del 10 novembre 2010 comma 3 ultimo periodo; il Ministero dell'Economia e delle Finanze ed il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sempre ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale 10 novembre 2010 comma 3 ultimo periodo, non hanno formulato osservazioni nei trenta giorni successivi alla ultima citata comunicazione (...)»;
          come già largamente spiegato la cassa, per poter procedere ad una regolare dismissione del proprio patrimonio immobiliare, avrebbe dovuto attenersi alle linee guida dettate dal decreto-legge n.  78 del 2010 convertito con modificazioni dalla legge n.  122 del 2010. L'articolo 8, comma, 15 della legge n.  122 del 2010 prevede, infatti, che: «Le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali»;
          il conferimento patrimoniale effettuato con atto notarile del 21 dicembre 2011 avrebbe dovuto, pertanto, essere sottoposto all'autorizzazione del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali da autorizzarsi con decreto interministeriale così come prevede l'articolo 8, comma 15, del decreto-legge n.  78 del 2010 della legge n.  122 del 2010. Ciò non è avvenuto perché le parti convenute, in sede di stipula dell'atto di apporto, hanno dichiarato delle cose in modo da arginare la legge e trovare nel decreto ministeriale del 10 novembre 2010 con un escamotage che permettesse loro di non ricorrere all'autorizzazione dei due Ministeri poc'anzi nominati. L'articolo 2, comma 3, del decreto ministeriale del 10 novembre 2010 invero, statuisce che: «...L'efficacia dei singoli piani è subordinata alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, da effettuarsi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di cui all'articolo 8, comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122, da adottarsi entro trenta giorni dalla presentazione dei piani, salvo per le operazioni di cui all'allegato A che, non avendo impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica, potranno essere poste in essere trascorsi trenta giorni dalla comunicazione senza che i Ministeri vigilanti abbiano formulato osservazioni (...)»;
          nell'allegato A viene previsto che: «...Operazioni che non hanno impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica: sottoscrizione di titoli pubblici utilizzando somme rivenienti dalla vendita di immobili; sottoscrizione di quote di fondi immobiliari o costituzione di fondi immobiliari di natura privata utilizzando somme rivenienti dalla vendita di immobili o dalle quote di fondi immobiliari costituiti anche mediante apporto di immobili, in quanto trattasi di vendite immobiliari indirette...». Detto allegato A individua, pertanto, specifiche ipotesi di operazioni che, non avendo impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica, non necessitano della verifica da effettuarsi con decreto dei due ministeri;
          la cassa ragionieri non poteva avvalersi del decreto ministeriale in questione in primo luogo l'operazione di conferimento di cui si discute è stata effettuata con un controvalore di 436.250.000 euro rappresentato dall'emissione di quote emesse da Banca nazionale Paribas in favore dell'apportante. Questa importantissima somma di denaro è stata necessariamente inserita nel bilancio della cassa e ciò non può non aver influito sui saldi strutturali di finanza pubblica visto che la cassa è inserita nell'elenco ISTAT, così come contrariamente riportato da cassa ragionieri nell'atto pubblico di apporto del 21 dicembre 2011. Inoltre, la Cassa nazionale dei ragionieri ha tentato di sostenere del fatto che l'atto di apporto del 21 dicembre 2011 è valido ed efficace poiché «la costituzione di fondi immobiliari di natura privata utilizzando somme rivenienti dalla vendita di immobili o dalle quote di fondi immobiliari costituiti anche mediante apporto di immobili, in quanto trattasi di vendite immobiliari indirette» rientra tra le operazioni individuate nell'allegato A;
          se questo è vero, ciò che non hanno inteso Cassa nazionale dei ragionieri è che l'atto notarile contestato non era destinato alla costituzione del Fondo Scoiattolo, ma al trasferimento ad esso della piena proprietà degli immobili di cassa nazionale dei ragionieri e tale operazione non è contemplata tra quelle elencate nell'allegato A del decreto ministeriale del 10 novembre 2010. Inoltre, ad avallare la tesi è intervenuto il Consiglio di Stato con la recentissima ordinanza n.  00103/2014 emessa nell'ambito di un procedimento intentato proprio contro cassa nazionale dei ragionieri;
          il Consiglio di Stato ha statuito che il patrimonio immobiliare della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri è pubblico, indipendentemente dallo schema giuridico adottato per il conferimento ad un altro soggetto incaricato della dismissione degli immobili. Il Consiglio di Stato ha, altresì, deliberato che, in virtù della natura pubblica della cassa, le operazioni di vendita degli immobili della cassa nazionale dei ragionieri devono avvenire seguendo le normative vigenti, che consentono ai conduttori la possibilità di avvalersi del diritto di prelazione, nonché di un prezzo agevolato per l'acquisto della casa. Sostanzialmente i giudici hanno sancito che servirsi di uno strumento privatistico, quale il Fondo comune di investimento, non è di per sé idoneo e sufficiente a mutare la natura pubblica di una dismissione di immobili effettuate da un ente previdenziale inserito nel conto economico dello Stato;
          non da ultimo, si torna ad insistere sul fatto che, il decreto interministeriale in oggetto non può contrastare il contenuto del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78 con cui il legislatore ha introdotto il necessario intervento autorizzativo dei due Ministeri perché trattasi di norma successiva di grado inferiore;
          la Banca nazionale Paribas che aveva ricevuto l'apporto del patrimonio immobiliare dalla cassa ragionieri, nell'inviare le proposte di vendita, non aveva garantito agli inquilini il riconoscimento del diritto di prelazione e senza le agevolazioni del prezzo dell'immobile offerto dalla proprietà come avviene per gli enti pubblici. Quindi nel timore che le abitazioni potessero essere vendute a terzi senza questo vincolo, i giudici di Palazzo Spada hanno accolto la richiesta di sospensiva dell'inquilino in attesa di un nuovo pronunciamento del Tar del Lazio a suo tempo adito con altro ricorso d'urgenza;
          è bene ricordare che la Cassa nazionale previdenza ragionieri ha apportato alla Banca nazionale Paribas «Fondo Scoiattolo» tutto il proprio patrimonio immobiliare composto da 38 immobili sparsi per tutta Italia di cui 19 a Roma, con l'impegno che le abitazioni sarebbero state vendute agli inquilini considerando anche la vetustà. L'operazione di dismissione del patrimonio immobiliare è partita nel novembre 2012 con l'invio agli inquilini dei primi protocolli di vendita in contrasto con quanto affermato nella recente ordinanza del Consiglio di Stato. Inizialmente dalle notizie riportate dagli organi di stampa e dalle interviste rilasciate dal presidente della cassa ragionieri, ragionier Paolo Saltarelli, risultava che le dismissioni di questi immobili stavano avvenendo con successo e che molti inquilini avevano già aderito favorevolmente all'acquisto dell'immobile da loro occupato;
          dopo circa un anno e mezzo dall'inizio delle dismissioni si viene a scoprire sempre sul sito online della cassa, dallo stesso presidente, che «il processo di cessione degli appartamenti procede lentamente e con difficoltà generale soprattutto dal contesto economico-finanziario»;
          l'alienazione delle case di proprietà delle casse previdenziali privatizzate – come quella dei ragionieri – alla luce della posizione dei giudici del Consiglio di Stato deve avvenire alle medesime condizioni fissata per gli enti di previdenza pubblici. Se i prezzi proposti risultassero quelli stabiliti in base al decreto legislativo n.  104 del 1996, molti inquilini sarebbero in condizione di acquistare gli immobili occupati. Anche per questa ragione sono in corso decine di ricorsi presso tribunali per contestare l'illegittimità della procedura adottata nella vendita del patrimonio immobiliare di cassa ragionieri che potrebbero danneggiare gli iscritti delle casse  –:
              quanti appartamenti siano stati oggetto di atto di vendita dall'inizio delle dismissioni;
              quanti appartamenti del patrimonio di cassa ragionieri siano attualmente sfitti e privi di reddito;
              quali siano i criteri utilizzati dalla cassa per quantificare i prezzi dei singoli appartamenti proposti in vendita e se tali criteri siano in linea con i criteri affermati nell'ordinanza del Consiglio di Stato;
              quali iniziative intenda adottare il Ministro per assicurare la pensione agli oltre 30 mila iscritti della cassa ragionieri affinché trovi applicazione alla dismissione del patrimonio immobiliare la procedura così come delineata dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n.  8826/2014 onde evitare ripercussioni sulle pensioni degli iscritti della cassa. (4-04464)


      GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          già con atto di sindacato ispettivo n.  4-02621 l'interrogante richiamava l'attenzione del Governo sulla vicenda Micron, multinazionale americana leader nel settore della microelettronica che occupa in Italia 1.028 dipendenti;
          da mesi i lavoratori dei siti di Agrate Brianza, Vimercate, Arzano e Avezzano sono in stato di agitazione per i licenziamenti annunciati dalla multinazionale americana;
          con il predetto atto l'interrogante evidenziava come il settore della microelettronica è strategico per il Paese; pertanto le eventuali strategie di ridimensionamento della Micron in Italia avrebbero un forte impatto sull'economia, con particolare riferimento ai territori locali che verrebbero privati di un importante bacino di ricchezza e di occupazione;
          in sede di risposta, in data 7 aprile 2014, il sottosegretario allo sviluppo economico, De Vincenti, dichiarava che «l'obiettivo, promosso dal Ministero dello sviluppo economico, è quello di arrivare in tempi brevi a un accordo definitivo che possa salvaguardare al meglio l'importantissima realtà rappresentata da Micron per il Paese» ricordando che «durante l'ultimo incontro, tenutosi in data 7 marzo 2014, si sono registrati alcuni passi avanti in merito alle problematiche già esposte. I vertici aziendali hanno, infatti, assicurato la volontà della società di restare in Italia, si sono mostrati propensi a ricorrere agli ammortizzatori sociali e agli incentivi all'esodo, a ridiscutere il numero degli esuberi e a lavorare a un piano industriale che possa realmente garantire un futuro produttivo e occupazionale ai siti italiani»;
          purtroppo risulta all'interrogante che la società abbia intenzione di voler procedere con il suo piano di ristrutturazione, che prevede proposte di trasferimento prive di volontarietà dei lavoratori interessati, il che equivarrebbe, a giudizio degli interroganti, licenziamenti mascherati;
          in particolare sembrerebbe che l'ultima proposta dei dirigenti Micron contempli: 62 posizioni all'estero; 40 posizioni riallocati in Italia; 85 posizioni riallocati all'interno della stessa sede; 14 posizioni già trasferiti; 6 dimessi; Cassa integrazione per 12 mesi con integrazione dello stipendio senza rotazione; buonuscita di 24 mensilità, compreso preavviso, a scalare;
          ancora una volta si assiste ad una multinazionale che si appropria dei prodotti, brevetti e clienti italiani per gettare via il capitale umano e con esso le professionalità e le capacità dei nostri lavoratori  –:
          se il Governo non ritenga di intervenire urgentemente con tutti gli strumenti a disposizione, anche in termini di moral suasion, perché la trattativa possa addivenire ad una soluzione che salvaguardi i livelli occupazionali nei siti italiani e l'importante realtà industriale che l'azienda rappresenta nel nostro territorio, non essendo concepibile che un'azienda come la Micron, con un fatturato in attivo di quattro miliardi di dollari e che ha persino ricorso a finanziamenti statali, oggi intenda liberarsi dei lavoratori italiani. (4-04467)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MONGIELLO, OLIVERIO, ANTEZZA, COVELLO, COVA, ZANIN e VALIANTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi la Commissione europea ha pubblicato il regolamento (UE) n.  323/2014, del 28 marzo 2014, che modifica gli allegati I e II del regolamento (CE) n.  669/2009 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n.  882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al livello accresciuto di controlli ufficiali sulle importazioni di alcuni mangimi e alimenti di origine non animale;
          in particolare, il citato regolamento Ue n.  323/2014 introduce nuove misure per le partite di foglie di betel originarie dell'India e della Thailandia, per gli enzimi originari dell'India, per le arachidi e per i prodotti derivati originari del Sudan e per le foglie di vite originarie della Turchia; infatti, al riguardo le fonti d'informazione indicano l'emergere di nuovi rischi che richiedono opportuno inserire nell'elenco le voci relative a tali partite;
          nel medesimo regolamento, inoltre, figurano tutta una serie di matrici alimentari «a rischio» durante le importazioni, e che necessitano di un livello accresciuto di controlli; alcune di queste voci, relative ad alimenti «a rischio», sono: le fragole provenienti dalla Cina (contenenti tracce di norovirus ed epatite A), le arance e i peperoni provenienti dall'Egitto (contenenti residui di antiparassitari), i peperoncini, il curry e le noci moscate provenienti dall'India e le arachidi del Sudan (contenenti aflatossine), il coriandolo, il basilico e la menta provenienti dalla Thailandia (per tracce di salmonella);
          il regolamento di esecuzione (CE) n.  882/2004, di cui il regolamento 669/2009 ne costituisce l'applicazione, stabilisce un quadro armonizzato di regole generali per l'organizzazione di controlli ufficiali a livello comunitario, tra cui i controlli ufficiali sull'introduzione dei mangimi e degli alimenti provenienti da paesi terzi;
          i controlli ufficiali e gli strumenti legislativi per ottimizzarne l'efficacia sono elementi fondamentali per assicurare la sicurezza della catena alimentare dell'Unione europea. Essi consentono alle autorità competenti di fare controlli in base al rischio, di identificare le carenze e di affrontarle in modo tempestivo. Questi controlli forniscono inoltre alle autorità competenti una panoramica utile sulla situazione riguardante la sicurezza alimentare e la sanità;
          la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha iniziato l'esame della proposta di legge per la valorizzazione dei prodotti alimentari a chilometro zero che promuove l'agricoltura legata al territorio, alla stagionalità dei prodotti, alla sana alimentazione e ai mercati locali, rispettando l'ambiente e sostenendo la qualità italiana nei prodotti agricoli;
          il nostro Paese dal punto di vista della produzione agroalimentare si caratterizza per le sue eccellenze in termini di maggior valore aggiunto per ettaro in Europa, per un alto livello di sicurezza e per un efficace sistema dei controlli alimentari, La crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare del nostro Paese e del valore attribuito al marchio made in Italy quale leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
          sulla base dei dati dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare – Efsa – l'Italia è prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre un milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
          la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati, e di origine per lo più sconosciuta;
          negli ultimi anni sono cresciute le importazioni di prodotti agroalimentari provenienti da Paesi europei ed extracomunitari e l'attenzione posta dalla Commissione europea al tema dell'aggiornamento continuo dei controlli ufficiali sulle importazioni di alcuni mangimi e alimenti di origine non animale va nella direzione della tutela massima della salute dei consumatori e della difesa dei prodotti che offrono le massime garanzie;
          il codice del consumo di cui al decreto legislativo n.  206 del 2005, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti, ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera, all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà, all'educazione al consumo e alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
          la difesa del made in Italy passa attraverso un quadro legislativo chiaro, preciso e univoco; il Parlamento il 3 febbraio 2011 ha approvato la legge n.  4 recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», al fine di rendere immediatamente applicabile la normativa sull'indicazione obbligatoria della provenienza degli alimenti in etichetta, tuttavia a distanza di tre anni mancano ancora i decreti ministeriali di attuazione dell'articolo 4 della legge in commento, con il risultato che molti dei prodotti presenti sugli scaffali dei negozi siano fatti con ingredienti che non sono italiani;
          il comma 356 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n.  244, e successive modificazioni e integrazioni, ha previsto l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare a Foggia; tale norma prevedeva l'adozione di un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire l'organizzazione, il funzionamento e l'amministrazione dell'Agenzia medesima; tale provvedimento non è mai stato adottato, rendendo l'Agenzia in questione impossibilitata ad esercitare i propri indirizzi di vigilanza, di prevenzione e di valutazione del rischio sugli alimenti  –:
          quali iniziative intenda intraprendere per la promozione e la diffusione in Italia e all'estero dei prodotti agroalimentari italiani, alla luce dei dati dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare – Efsa che evidenzia come la qualità dei prodotti made in Italy risulti al primo posto nel mondo in termini di sicurezza alimentare;
          se non ritenga di attivarsi al fine di rendere immediatamente, operativa l'Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare con sede a Foggia, affidandogli il ruolo di coordinamento di tutti gli interventi che attualmente fanno capo a vario titolo ai Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute e alle regioni, al fine di offrire idonee garanzie ai consumatori e per tutelare l'industria agroalimentare italiana;
          se alla luce dell'intesa raggiunta nella seduta del 13 marzo 2014, dalla Conferenza Stato regioni sullo schema di decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di attuazione dell'articolo 2, comma 6, della legge 3 febbraio 2011, n.  4 recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», che disciplina il sistema di qualità nazionale di produzione integrata, i Ministri interrogati non intendano accelerare l'approvazione dei decreti ministeriali attuativi della legge in questione;
          quali iniziative intenda intraprendere affinché in Italia si possano fornire ai consumatori i dati e le informazioni relative ai prodotti agroalimentari ed alle materie prime alimentari importate, con particolare riferimento alla sicurezza alimentare, alla qualità e all'igiene degli alimenti, sul rispetto della sicurezza nelle fasi della produzione, al fine di garantire la sicurezza alimentare nel nostro Paese e la tutela della salute dei cittadini. (5-02615)

Interrogazione a risposta scritta:


      GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il 1o aprile 2014, la XIII Commissione agricoltura della Camera ha approvato una risoluzione unitaria (n.  8-00048 Gagnarli) riguardante iniziative per fronteggiare la crisi della filiera cunicola;
          l'impegno principale preso dal Governo attraverso questo importante atto parlamentare è quello di dare piena attuazione al piano di interventi per il settore cunicolo, previsto dall'accordo concluso il 29 aprile 2010 in sede di Conferenza Stato-regioni;
          la risoluzione prevede, tra l'altro il monitoraggio del settore, la ricerca di trasparenza delle informazioni e tutela del made in Italy, l'intervento nelle competenti sedi europee per procedere ad un sistema di etichettatura efficace, il rafforzamento dell'attività di repressione delle frodi sia all'interno del mercato nazionale che in fase di import/export;
          è evidente che per dare attuazione a qualsiasi iniziativa volta alla tutela di un settore è importante, quale base di partenza, conoscere i numeri e la portata di quel settore sul mercato;
          l'ultimo rapporto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali «Report statistico sulla coniglicoltura», elaborato da ISMEA, risale al 2008  –:
          se non intenda, anche per dare piena ed immediata attuazione agli impegni previsti alla risoluzione suddetta, assumere iniziative per l'aggiornamento di tutti i dati presenti nel «Report statistico sulla coniglicoltura» elaborato da ISMEA e risalente a sei anni fa. (4-04454)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          si apprende dagli organi di stampa nazionali ed internazionali che un'epidemia di Ebola sta interessando l'Africa e in particolare la Nuova Guinea;
          da gennaio la Guinea è vittima di una seria epidemia di febbre Ebola che ha già fatto 78 vittime su 122 casi sospetti, secondo la onlus Medici senza frontiere si tratta di una «epidemia senza precedenti» nell'Africa dell'ovest per il virus Ebola, molto contagioso e spesso mortale;
          diversi paesi africani, in primis, il Marocco ha deciso di rafforzare il controllo sanitario alle frontiere, in particolare all'aeroporto di Casablanca, principale piattaforma aeroportuale dell'Africa del Nord, per impedire l'ingresso del virus proveniente dalla Guinea;
          anche in Europa sono scattate misure d'emergenza. Il codice rosso è scattato negli aeroporti di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona, ovvero i principali scali dei voli provenienti dal continente africano. I controlli sono diventati obbligatori dopo il drammatico episodio parigino di qualche giorno fa. Un volo della Air France, proveniente dalla Guinea, è stato bloccato per due ore all'aeroporto Roissy Charles-de-Gaulle, nel timore che a bordo ci fosse un passeggero con il virus dell'Ebola. Fortunatamente, ciò non è avvenuto;
          non si ha conoscenza se l'Italia abbia attivato procedure di sicurezza in conformità a quanto già fatto dagli altri paesi europei;
          è essenziale attivarsi preventivamente al fine di evitare, qualora ve ne fosse anche solo la minima possibilità, la diffusione del virus nel nostro Paese  –:
          se in Italia vi siano rischi di contagio e quali provvedimenti siano stati presi per garantire la sicurezza sanitaria del Paese. (4-04444)


      GULLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
          in modo particolare le condotte dei giovani che possono incidere negativamente sulla salute psico-fisica, in quanto individui in formazione, devono essere oggetto di particolare attenzione;
          l'OMS raccomanda la totale astensione dal consumo di alcol al di sotto dei 16 anni di età, infatti, i risultati della ricerca scientifica ci dicono che chi inizia a bere prima dei 16 anni ha un rischio 4 volte maggiore di sviluppare la dipendenza da alcol in età adulta rispetto a chi inizia dopo i 21 anni;
          in modo specifico l'abuso di sostanze alcoliche determina gravi implicazioni di ambito non solo sanitario ma anche sociale;
          in particolare queste condotte, come individuato dalla relazione al Parlamento da parte del Ministero della salute sul alcol e problemi correlati si associano ad altri comportamenti a rischio: «assenze scolastiche, riduzione delle prestazioni scolastiche, aggressività e violenza, oltre alle possibili influenze negative sulle abilità sociali e sullo sviluppo cognitivo ed emotivo. Essi possono inoltre portare a condizioni patologiche estreme come l'intossicazione acuta alcolica o l'alcoldipendenza»;
          dall'indagine Espad fra i giovani studenti tra i 15 e i 19 anni si nota una riduzione dei comportamenti a rischio quali le ubriacature e il binge. Ma desta allarme l'abbassamento dell'età dei giovani che abusano di sostanze alcoliche –:
          quali misure urgenti si intendano assumere per:
              a) sensibilizzare i giovani, le famiglie e gli operatori del settore al fine di evitare l'uso di alcol tra i minori di anni 16 e gli abusi di sostanze alcoliche al di sopra dei 16 anni;
              b) predisporre controlli adeguati al fine della prevenzione e della repressione delle eventuali condotte illecite inerenti alla somministrazione e/o alla vendita di sostanze alcoliche ai minori. (4-04448)


      TOFALO e D'UVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto 49 del 2010 predisposto dal commissario straordinario Zuccatelli esclude l'ospedale Mauro Scarlato di Scafati dalla rete dell'emergenza nonostante sia posizionato al centro un importantissimo bacino di cittadini campani;
          nell'Agro Nocerino Sarnese e paesi vesuviani con la chiusura del presidio ospedaliero Mauro Scarlato sito in Scafati, il diritto alla salute risulta gravemente compromesso per quanto riguarda la tempestività di soccorso e l'assistenza sanitaria;
          con la chiusura del sopracitato presidio ospedaliero, i cittadini sono costretti a fare tanti chilometri prima di arrivare più vicino che possono essere fatali;
          con la chiusura del presidio ospedaliero Mauro Scarlato, a fronte dei suoi 40.000 accessi annui, si aggraveranno le realtà presenti a Nocera Inferiore, Castellammare di Stabia e Sarno;
          attraverso delle simulazioni del comando di polizia locale di Scafati (Prot. 9176/13/PM – Prot. 717/PV –11/12/2013), i tempi di percorrenza in autovettura per raggiungere i più vicini centri ospedalieri (Sarno e Nocera Inferiore – SA) sono molto più lunghi delle precedenti previsioni, tempi che possono variare dai 15 ai 45 minuti, in base all'intensità del traffico in determinati orari della giornata  –:
          quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire a tutti i cittadini campani un servizio sanitario pubblico adeguato e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-04452)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          secondo notizie riportate nell'edizione del giornale «Il Fatto Quotidiano» del 12 marzo 2014 il signor Patrick Landau sarebbe l'uomo che rappresenta le esigenze dell'ENI in Medio Oriente, Africa e Stati Uniti;
          lo stesso quotidiano assume che ENI ha attribuito a tale signor Patrick Landau una consulenza da 1,2 milioni di euro l'anno per la durata di quattro anni; Patrick Landau risulta essere azionista al 100 per cento di Maydex AG, società con capitale di un milione di franchi svizzeri con sede nel cuore del paradiso fiscale più ambito d'Europa;
          secondo le indiscrezioni fornite da «Il Fatto Quotidiano», lo stesso settore audit, avrebbe espresso perplessità in relazione all'utilizzo del detto «Consulente»;
          le criticità segnalate dal servizio audit sembrerebbero essere di particolare rilievo se si considera che di 1,5 milioni della Maydex AG, ben 1,2 milioni vengono versati nelle casse della società di Patrik Landau proprio da ENI  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto;
          se il Ministro interrogato intenda porre in essere iniziative volte a verificare la sussistenza di irregolarità sulla base di quanto denunciato nell'articolo de «Il Fatto Quotidiano» citato in premessa. (4-04459)


      TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, ZOLEZZI, MICILLO e SEGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nella provincia di Fermo la società EDISON Spa ha ottenuto una concessione di coltivazione denominata «Fiume Tenna» che si estende su di un'area di circa 22 chilometri quadrati insistenti nei comuni di Sant'Elpidio a Mare, Porto Sant'Elpidio e Porto San Giorgio;
          la stessa ditta ha presentando istanza per installare un primo impianto di stoccaggio gas naturale nel sottosuolo di Sant'Elpidio a Mare;
          tale tipo di impianto presenta aspetti di incertezza rispetto alle tecnologie utilizzate che vengono confermati anche da Stogit spa (gruppo ENI) nella propria relazione finanziaria annuale al bilancio 2010 nella quale si afferma che «la gestione di un sistema di stoccaggio implica una serie di rischi di malfunzionamento e di imprevista interruzione di servizio non dipendenti dalla volontà di Stogit, quali quelli determinati da incidenti, guasti e malfunzionamenti di apparecchiature e sistemi di controllo, minor resa di impianti ed eventi straordinari quali esplosioni, incendi o altri eventi simili che sfuggono al controllo di Stogit. In particolare, eventi straordinari nella realizzazione e/o gestione dei pozzi potrebbero essere causa di danni a persone eventualmente coinvolte, ovvero di danni rilevanti a cose o all'ambiente. Le eventuali interruzioni di servizio e gli obblighi di risarcimento causati da tali eventi potrebbero determinare riduzioni dei ricavi e/o incrementi dei costi. Benché Stogit abbia stipulato specifici contratti di assicurazione a copertura di alcuni rischi, le relative coperture assicurative potrebbero risultare insufficienti per far fronte a tutte le perdite subite, agli obblighi di risarcimento o gli incrementi di spesa»;
          non mancano anche forti perplessità e preoccupazioni rispetto alle possibili ricadute negative sulla salute e la sicurezza delle persone che risiedono nelle aree interessate dal progetto e per coloro che, numerosissimi, frequentano la riviera fermana nella stagione estiva;
          l'aspetto legato alla sicurezza riguarda soprattutto il rischio sismico, considerato che nessun tecnico può oggi affermarne con certezza l'assoluta assenza nell'area interessata dall'impianto e che tale area è localizzata al di sotto di un centro fortemente abitato;
          a tal proposito nella relazione redatta dal consulente incaricato dal comune di Sant'Elpidio a Mare si evince come le analisi eseguite non risultino in grado di fornire dati capaci di escludere rischi legati alla risalita del gas attraverso le fratture del suolo mentre permangono forti perplessità legate alla sismicità indotta dallo stoccaggio del gas in sotterraneo;
          sempre da questa relazione si deduce che il progetto preso in esame dagli interroganti prevede, pur essendo a disposizione dell'azienda proponente molti dati preziosi, di valutare durante la fase di perforazione dei nuovi pozzi la massima pressione che la copertura argillosa del sito possa tollerare al fine di prevedere ed eventualmente gestire le perdite verticali e orizzontali dal reservoir e le infiltrazioni di gas che inevitabilmente si riversa sulla superficie topografica;
          queste tecniche raccomandate in passato anche da ENI non risultano però sufficienti per eliminare il rischio concreto di fughe di gas dal serbatoio. A tal proposito si riporta quanto osservato in uno studio realizzato da Jones, V.T. & Drodz, R.J. 1983 e pubblicato da Bulletin American Association of Petroleum Geologists: «...considerando le problematiche incontrate nelle strutture negli Stati Uniti, il meccanismo principale di errore è da collegarsi alle perdite legate a problemi con la roccia di copertura. Nel 53 per cento dei casi il gas è migrato verso livelli meno profondi, poiché la roccia di copertura non si è rivelata a perfetta tenuta. Nel 18 per cento dei casi la fagliazione della roccia di copertura sembra abbia fornito un contributo decisivo nella migrazione del prodotto dal reservoir;
          significative sono le considerazioni che si possono leggere in un lavoro di Gurevich A.E., Endres B.L, Robertson J.O., Chilingar C.V., «Gas migration from gas and oil fields and associated hazards» pubblicato da Journal of Petroleum Science and Engineering: «l'esperienza ha dimostrato che gli impianti di stoccaggio sotterraneo del gas possono creare un serio rischio di esplosione e incendio, e non dovrebbero essere situati sotto i centri abitati. È virtualmente impossibile assicurare che il gas non migrerà verso la superficie». E ancora: «La vita operativa di un impianto di stoccaggio sotterraneo del gas non supera di norma i 50 anni: tuttavia anche se l'impianto non avesse perdite ad inizio attività, probabilmente le avrà con il tempo. La questione importante non è se l'impianto di stoccaggio avrà perdite, ma piuttosto quando le avrà»;
          sempre rispetto al rischio sismico va ricordato che dopo gli eventi avuti nel sisma dell'Emilia Romagna rispetto al progetto di stoccaggio di Rivera il Ministero ha decretato il rigetto dell'istanza già precedentemente approvata, stanti i rischi sismici rispetto all'impianto non ancora installato;
          anche il commissario europeo per l'azione sul clima, Connie Hedegaard, sottolinea la necessità di particolare attenzione al rischio sismico nel caso di rilascio di autorizzazioni allo stoccaggio di gas naturale;
          sul fronte del danno all'ambiente e quindi ai rischi per la salute umana, oltre a ribadire la caratteristica di alta densità abitativa dell'area oggetto del progetto, va sottolineato che questo insiste su un'area caratterizzata dalla presenza di pozzi adibiti all'attingimento di acqua potabile e quindi ad elevato rischio di inquinamento delle stesse. Inoltre, l'impianto produrrà quantità elevate di PM 10 in un'area già fortemente inquinata;
          a fronte di tutto questo i cittadini di Sant'Elpidio a Mare sono venuti a conoscenza del progetto solo casualmente ed alcuni si sono riuniti in un Comitato Civico, CSST – Comitato sicurezza, salute e territorio di Sant'Elpidio a Mare, con lo scopo di opporsi alla realizzazione dell'impianto, inviando lettera di diffida a tutti gli interessati, Ministero, regione, provincia e comune. Il comune di Sant'Elpidio a Mare ha recepito l'istanza del Comitato e ha presentato ricorso al Tar regionale per richiedere la sospensiva dell'impianto;
          tutto quanto sopra riportato è accaduto, a giudizio degli interroganti, in contrasto con quanto previsto nella convenzione di Aarhus, approvata con la decisione 2005/370/CE, che parte dall'idea che un maggiore coinvolgimento e una più forte sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dei problemi di tipo ambientale conduca ad un miglioramento della protezione dell'ambiente;
          il comune di Sant'Elpidio a Mare ha depositato nel tempo ben 5 impugnative con le quali ha contestato diversi aspetti delle procedure adottate. La stessa provincia di Fermo si è da sempre dichiarata contraria alla realizzazione di questo progetto;
          in occasione dell'ultimo incontro con il CTR (comitato tecnico regionale) tenutosi in data 23 gennaio 2014 che ha valutato tutte le caratteristiche tecniche del progetto e delle condotte in pressione relative all'impianto di stoccaggio di gas a Sant'Elpidio a Mare, oltre al comune, anche il genio civile della provincia di Fermo ha espresso parere negativo con le seguenti motivazioni: «Si ritiene di non poter esprimere parere favorevole sul rilascio del Nulla Osta di Fattibilità (NOF) in quanto dall'esame delle prescrizioni riportate nel pronunciamento sulla verifica d'impatto ambientale si rileva che alcuni aspetti della sicurezza del serbatoio di stoccaggio devono essere analizzati e confermati in fase di esercizio»  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno e urgente, alla luce di quanto evidenziato, acquisire elementi sulle vicende e operare gli interventi di propria competenza, anche al fine di verificare la correttezza e la trasparenza delle procedure seguite e le eventuali responsabilità degli attori coinvolti;
          se, considerato che tale situazione si sta verificando con dinamiche simili anche in altre aree del Paese, non ritengano necessario attivarsi anche mediante iniziative normative atte a inserire le attività di stoccaggio fra quelle di tipo «industriale» anziché «minerarie», come sono attualmente considerate, e prevedere limitazioni di tale tipo di attività nelle aree abitate, turistiche e di particolare pregio naturalistico e paesaggistico;
          se, in ogni caso, i Ministri interrogati non ritengano necessario, per quanto di competenza, assumere fin da subito tutti gli elementi utili a valutare l'opportunità di realizzare una centrale di stoccaggio in un territorio potenzialmente privo dei requisiti minimi di fattibilità. (4-04463)


      DONATI, GIANNI FARINA, FANUCCI, MARCO DI MAIO e D'INCECCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Organizzazione europea dei brevetti (OEB – European patent organization EPO) è una organizzazione intergovernativa composta da 38 Paesi, tra cui l'Italia. Al suo interno lavorano circa 7000 dipendenti, di cui circa 500 di nazionalità italiana. L'organizzazione è guidata da un Presidente che viene eletto ogni quattro anni: dal 2010 ricopre questo ruolo Benoît Battistelli, di nazionalità francese. Il Presidente viene eletto da un consiglio di amministrazione, che ha anche funzioni di supervisione sull'intera organizzazione. Nel Consiglio siedono i rappresentanti dei 38 Paesi, per l'Italia il dottor Mauro Masi e come supplente la dottoressa Loredana Giulino direttrice dell'ufficio italiano brevetti e marchi;
          l'Unione sindacale dell'organizzazione, compresi numerosi funzionari italiani, denunciano il clima sociale deteriorato che regna da alcuni mesi in seno all'Organizzazione, nelle sue sedi de L'Aia, Berlino, Monaco, Bruxelles e Vienna: l'esercizio del diritto di sciopero sarebbe ostacolato, minacce di sanzioni disciplinari verrebbero utilizzate abusivamente per limitare il diritto di espressione del personale;
          i dipendenti dell'Organizzazione non hanno accesso né ai tribunali del lavoro nazionali, né al sistema di tutela comunitario. La possibilità di ricorrere al tribunale amministrativo dell'Organizzazione internazionale del lavoro è stata fortemente limitata dalla riforma delle procedure, che ha reso i tempi di ottenimento di un pronunciamento assolutamente inadeguati a garantire una reale tutela dei diritti dei dipendenti;
          la situazione in essere può essere di nocumento, oltre che ai dipendenti, agli interessi italiani ed europei: l'OEB è universalmente riconosciuto come una organizzazione che rilascia brevetti di qualità e che quindi dà un contributo fondamentale all'innovazione tecnologica, senza peraltro costare un solo euro ai contribuenti. Il deterioramento dei rapporti tra dirigenza e lavoratori potrebbe portare anche ad un sensibile deterioramento di questa qualità, con conseguente grave danno alla competitività italiana ed europea;
          la questione dei diritti dei lavoratori dell'OEB è stata portata all'attenzione del Governo francese da Philip Cordery, deputato francese, attraverso una lettera pubblicata il 4 marzo scorso  –:
          se non ritenga opportuno acquisire elementi in merito alla conformità delle decisioni prese dalla dirigenza dell'OEB e dal consiglio di amministrazione in tema dei diritti dei lavoratori con i principi delle legislazione italiana ed europea in materia;
          se non ritenga opportuno dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di Amministrazione dell'OEB di richiedere espressamente la cancellazione di tutte le sanzioni disciplinari adottate contro i dipendenti e i rappresentanti sindacali, qualora si ravvisino violazioni dei diritti dei lavoratori;
          se non ritenga opportuno dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di amministrazione di relazionare sulla tutela dei diritti dei lavoratori dell'OEB. (4-04466)


      D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la società Poste Italiane ha espletato, nel maggio 2004, una gara avente ad oggetto i servizi di manutenzione e di assistenza tecnica degli impianti presenti presso i centri di meccanizzazione postale (CMP), che veniva aggiudicata al Consorzio RTI Elsag Spa – Finmek, stipulando, con detto Consorzio, un contratto di appalto della durata di quattro anni, successivamente prorogato fino al 31 luglio 2012;
          a partire dal 2007, con il coinvolgimento in sub appalto, principalmente delle imprese STAC Italia e Logos, veniva assicurato il servizio;
          sempre per gli stessi servizi, veniva indetta una nuova gara nel novembre 2011, poi annullata per causa della non conformità ai requisiti tecnici richiesti dell'unica offerta, presentata da RTI Selex ES – Stac Italia – Logos;
          a dicembre 2013, Poste Italiane avviava una procedura, con suddivisione in due lotti, per i servizi di manutenzione e di assistenza tecnica degli impianti presenti presso i CMP, alla quale partecipavano RTI Selex ES Spa – PH Facility Srl, risultata poi vincitrice per entrambi i lotti, e RTI Siemens Spa – STAC Italia S.r.l., mentre la società LOGOS non aderiva;
          la società STAC Italia, che concorreva in RTI con Siemens Spa presentava ricorso presso il TAR Lazio. A seguito di tale ricorso in pendenza, la società Poste Italiane non poteva stipulare il nuovo contratto, motivo per cui aveva prorogato fino al 30 settembre 2013 il precedente contratto stipulato con Selex ES Spa relative ditte subappaltatrici STAC e Logos, al fine di garantire la continuità del servizio;
          conclusosi con esito favorevole per Poste Italiane la parte cautelare del contenzioso anzidetto, si procedeva alla stipula del nuovo contratto con il RTI Selex ES Spa – PH Facility;
          il capitolato relativo alla gara vinta dal RTI Selex – PH Facility prevedeva, nell'ambito del meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'assegnazione di uno specifico punteggio tecnico alle imprese partecipanti che si impegnavano ad assumere e/o a mantenere in servizio quota parte del personale già operante;
          dopo il mese di affiancamento all'impresa uscente, contrattualmente previsto, a partire dal 1o novembre 2013 si è avuto l'avvicendamento nel contratto di manutenzione; con questo passaggio, i lavoratori, sino ad allora impiegati con qualifica di metalmeccanico, sono stati estromessi dal loro posto di lavoro per far subentrare personale, tra l'altro non avente qualifica specifica per il ruolo, appartenente alle ditte appaltatrici, in particolare della PH Facility, Società di pulizie e derattizzazioni;
          a detta vicenda è seguito l'avvio di una vertenza sindacale per il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (STAC Italia Srl e Logos Spa), caratterizzata da azioni di protesta, che hanno determinato riduzioni e ritardi degli interventi di assistenza programmata e manutenzione negli stabilimenti, nonché abbandono del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno negli impianti dei Centri di meccanizzazione postale;
          a febbraio 2013, è stato firmato un accordo tra il Ministero dello sviluppo economico, Poste Italiane e Selex, nel quale si prevede: l'assunzione immediata di 185 unità presso i centri di meccanizzazione, con la conferma del Ccnl metalmeccanico; l'apertura di una procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per circa 80 lavoratori (bacino) con l'impegno delle parti a una ricollocazione entro due anni dalla firma anche utilizzando le procedure di mobilità volontaria e l'anticipo dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria condiviso con tutte le aziende (Selex, Logos, Stac). L'accordo non è stato invece sottoscritto da PH Facility;
          ad oggi, pare che tutte le parti dello schema di accordo che vedevano impegnati sia il sindacato che i lavoratori sono state rispettate, compresi gli accordi di cassa integrazione guadagni straordinaria. Le parti che riguardavano invece le imprese Poste, Selex, Logos, Stac e PH non sono state né rispettate né accolte;
          a novembre 2013, nel corso della riunione tenutasi presso il Ministero dello sviluppo economico, la società Poste Italiane ha evidenziato che, a seguito dell'intesa riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emersi complessivamente circa 6.000 esuberi, dei quali circa 1400 presso i Centri di meccanizzazione postale e pertanto non trovano giustificazione le richieste di inserimento di personale altro nell'ambito di quelle realtà operative, seppur garantendo la massima attenzione nei confronti del personale in eccedenza, e ribadendo che la citata riorganizzazione non comporterà alcun licenziamento  –:
          come si intenda intervenire, per quanto di competenza, in detta complessa vicenda. (4-04468)


      SCOTTO, FERRARA e LACQUANITI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          lo    stabilimento della Birra Peroni a Napoli venne chiuso il 31 gennaio 2005, dopo che già nel 2004 era stata effettuata una trasformazione di destinazione d'uso dell'area;
          il 13 dicembre 2004 c'era stato un incontro presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in cui si erano demandate agli enti territoriali azioni a sostegno della crisi;
          furono progettate una serie di azioni di sostegno da parte della regione Campania e del comune di Napoli, ma il piano non decollò mai, nonostante fossero già stati stanziati dei fondi;
          nel 2006 è uscita di scena la Birra Peroni, con l'ingresso di Mi.no.ter. come acquirente;
          il 27 giugno 2006 si raggiunge un accordo in merito agli ex dipendenti di Birra Peroni da ricollocare, in cui venivano riportati anche mansioni e retribuzioni che dovevano essere di riferimento per le nuove ricollocazioni;
          tale accordo non è però mai stato rispettato: sarebbero infatti state formulate proposte di lavoro in contrasto con gli accordi raggiunti, spesso da parte di società anonime;
          queste proposte non sono state rifiutate, bensì bloccate dalle organizzazioni sindacali in attesa di un tavolo concertativo presso le istituzioni locali per la determinazione delle ricollocazioni;
          anche questo tavolo non è mai stato aperto;
          sono seguiti a ciò una serie di incontri presso il comune di Napoli (il 10 ottobre 2006, il 29 gennaio 2007 ed il 5 agosto 2010) ed un incontro in prefettura (il 27 gennaio 2010);
          a quel punto la gestione delle ricollocazioni veniva affidata al settore O.R. M.E.L., che non si è però mai realmente interessato alla ricollocazione degli ex dipendenti;
          tra il 2008 ed il 2009 sono arrivate le prime scadenze delle mobilità ordinarie, e prima di tali scadenze sono state prodotte richieste per la concessione della mobilità in deroga;
          nei succitati anni, nonostante i fondi già stanziati, non vi fu alcun intervento della regione Campania per tutelare le 17 unità coinvolte;
          solo successivamente, alla scadenza della mobilità ordinaria di altri 16 ex dipendenti nel 2010, fu emanato il decreto n.  50 della regione Campania, che riconosceva la deroga della mobilità alle 33 unità in questione;
          purtroppo l'I.N.P.S. ha a quel punto bloccato il pagamento delle prime 17 persone, affermando che non vi erano le condizioni ed i requisiti per beneficiare del trattamento (condizione della continuità retributiva e contributiva) e riconoscendo la mobilità in deroga solo agli ex dipendenti con scadenza mobilità ordinaria nel 2010;
          questi ultimi la percepiscono tuttora;
          negli anni sono stati presentati esposti e denunce;
          in questa vicenda era stato coinvolto un intermediario, già dalla chiusura, d'accordo con Birra Peroni e Mi.no.ter., il quale avrebbe messo in atto condotte poco trasparenti;
          nel febbraio del 2013 si è scoperto l'abbattimento anomalo di moltissimi alberi situati all'interno del parco verde dell'ex stabilimento;
          successivamente si è scoperto che tale parco era stato donato al comune di Napoli con una convenzione stilata con l'amministrazione comunale precedente;
          contestualmente sono state effettuate svariate segnalazioni alla municipalità competente ed al Comune di Napoli molto ben documentate in merito alla situazione vegetale del parco, risalente al periodo antecedente l'acquisto da parte del nuovo imprenditore;
          il tutto si è risolto in una bolla di sapone, perché il comune di Napoli ha verificato e giustificato l'abbattimento di decine di alberi come mero eccesso di potatura;
          esistono due convenzioni interessanti e interessate all'area, stilate rispettivamente una con la precedente amministrazione e la seconda con l'attuale amministrazione;
          nelle suddette convenzioni, a quanto consta agli interroganti, l'imprenditore concedeva al comune di Napoli il parco verde, un edificio polifunzionale gravato da servitù perpetua ed esentato dalle manutenzioni, sei milioni di euro di lavori per la riqualificazione urbanistica del territorio;
          in tutto questo gli ex dipendenti da ricollocare sparivano completamente dal quadro  –:
          quali iniziative di competenza abbia già preso in merito e quali intenda intraprendere al riguardo;
          se non ritenga opportuno agire immediatamente per garantire la piena tutela dei numerosi ex dipendenti Birra Peroni, il cui futuro è tragicamente appeso ad un filo. (4-04469)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta orale Sberna n.  3-00740, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Santerini, Cominelli, Berlinghieri, Lacquaniti.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta orale Paolo Nicolò Romano e altri n.  3-00757 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  208 del 9 aprile 2014.
      Alla pagina 12013, seconda colonna, alla riga trentaquattresima deve leggersi: «aprile 2014 si è tenuta una manifestazione» e non «aprile 2014 è prevista una manifestazione», come stampato.