XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 13 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              il 14 ottobre 2013, in seguito ai tragici fatti di Lampedusa avvenuti appena dieci giorni prima, il Governo ha deliberato l'avvio dell'operazione militare ed umanitaria Mare Nostrum, volta a combattere la tratta degli esseri umani attraverso il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare;
              Mare Nostrum vede l'utilizzo per la prima volta di una nave anfibia per il comando e il controllo delle operazioni con elicotteri a lungo raggio, la messa a disposizione di ampi spazi di ricovero e di capacità ospedaliera per i naufraghi, oltre all'impiego di quattro navi della Marina militare, due pattugliatori, due fregate e diversi velivoli;
              secondo le dichiarazioni rilasciate all'epoca dal Ministro dell'interno, l'operazione avrebbe dovuto sortire «un effetto deterrente molto significativo per chi pensa di fare impunemente traffico di esseri umani, effetto che sarà garantito dall'azione di pattugliamento, con la possibilità di intercettare i mercanti di morte e l'intervento delle procure»;
              l'effetto deterrente, tuttavia, non sembra essersi verificato, considerato che, dall'avvio dell'operazione, le persone soccorse in mare, secondo quanto riferito dal Ministro della difesa in risposta ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea il 7 maggio 2014, sono state quasi ventottomila;
              i costi dell'operazione sono incredibilmente elevati, posto che, sempre stando alle cifre fornite dal Ministro della difesa nella medesima risposta, «dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum ad oggi sono state mediamente sostenute spese pari a circa 9,3 milioni di euro al mese», per un totale di 65 milioni di euro;
              pur essendo finanziata a carico dei bilanci dei singoli Ministeri coinvolti, è evidente che gli stanziamenti in favore dell'operazione Mare Nostrum stanno sacrificando altre voci di bilancio, in un momento delicatissimo per la finanza pubblica;
              il Consiglio dei ministri dell'interno dell'Unione europea del 7 ottobre 2013 ha convenuto con la proposta avanzata dalla delegazione italiana di istituire una task force, insieme con la Commissione europea, volta ad individuare concrete azioni che assicurino un uso efficace delle politiche e degli strumenti esistenti in tale settore a disposizione dell'Unione europea e la questione è stata oggetto di discussione a Bruxelles nel Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre 2013;
              il 23 ottobre 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sui flussi migratori diretta a realizzare un approccio coordinato, basato sulla solidarietà e sulla responsabilità e sostenuto da strumenti comuni a livello di Unione europea, ribadendo, al contempo, la necessità che l'Unione europea e i suoi Stati membri si attivino maggiormente per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare;
              nella risoluzione, inoltre, i deputati hanno sottolineato che la ricollocazione dei richiedenti asilo «è una delle forme più concrete di solidarietà e di condivisione delle responsabilità»;
              come osservato dal Censis, con l'inizio delle rivolte nei Paesi del Nord Africa i flussi irregolari verso l'Italia sono cresciuti in maniera considerevole: nel 2011 erano giunte in Italia 62.692 persone, contro le 4.406 del 2010; mentre prima si salpava, soprattutto, dalla Tunisia, oggi è la Libia il porto franco sul quale si rovesciano i flussi migratori dall'Africa orientale e settentrionale, da quella subsahariana, dall'Asia per poi percorrere la rotta verso l'Italia;
              ad oggi tale situazione si è ulteriormente acuita a causa dell'instabilità politica ed istituzionale che la Libia sta attraversando e che facilita la vita per i mercanti di clandestini;
              dall'inizio del 2014 sarebbero, in totale, oltre 21.000 gli stranieri arrivati via mare, contro i 2.500 dello stesso periodo del 2013, con le ovvie, devastanti conseguenze sia sulla capienza dei centri di prima accoglienza sia sulla sicurezza dei territori interessati dagli sbarchi;
              nel corso dell'intero 2013 le domande di asilo presentate nel nostro Paese sono state circa 27.000 e nel primo trimestre del 2014 sono già state avanzate oltre 13.000 istanze, con un incremento di circa il 140 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013;
              nel corso dell'informativa urgente sull'immigrazione resa alla Camera dei deputati il 16 aprile 2014, il Ministro dell'interno ha affermato che «l'attuazione di Mare Nostrum comporta una spesa di oltre 9 milioni di euro al mese e nessun Paese – nessun Paese – può reggere una pressione migratoria così forte, se non è adeguatamente sostenuto dalla comunità internazionale»;
              in ambito europeo dal 2005 opera l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, nota come Frontex, il cui scopo è il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati dell'Unione europea e l'implementazione di accordi con i Paesi confinanti con l'Unione europea per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti lungo le frontiere;
              è assolutamente necessario ed improcrastinabile che l'Unione europea si faccia maggiormente carico della questione migratoria, anche attraverso l'opera di Frontex, e che si applichi un approccio coordinato e condiviso della questione dell'immigrazione;
              in ambito europeo, inoltre, risulta del tutto inadeguato il regolamento cosiddetto di Dublino III, fondato sul principio della competenza del Paese di primo ingresso e che, nella sua attuazione pratica, comporta una scarsissima collaborazione dei nostri partner europei nella gestione dell'afflusso di immigrati,

impegna il Governo:

          a sospendere con decorrenza immediata l'operazione Mare Nostrum;
          a valutare l'istituzione, in collaborazione con i Paesi membri dell'Unione europea, di appositi presidi nei Paesi dai quali partono i maggiori flussi migratori, che siano in grado di effettuare una valutazione preventiva delle possibilità dei soggetti migranti di ottenere lo status di rifugiato nell'ambito dell'Unione europea e che possano fornire informazioni circa i rischi connessi ai cosiddetti viaggi della speranza;
          a destinare la quota maggioritaria delle risorse annualmente stanziate in favore delle iniziative di cooperazione allo sviluppo promosse dall'Italia a progetti che creino possibilità di sviluppo sociale ed economico nei Paesi destinatari degli aiuti e che sostengano i processi di stabilizzazione nei Paesi delle zone di crisi, al fine di contrastare efficacemente la questione migratoria sotto il profilo della prevenzione;
          ad attivarsi in sede europea, e in particolar modo nell'ambito del semestre di Presidenza italiano dell'Unione europea, affinché sia ampliato e rafforzato il ruolo di Frontex nel contrasto all'immigrazione nel Mediterraneo e per la sicurezza dei confini, anche delegando all'Agenzia il coordinamento sia delle attività di pattugliamento sia delle attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi;
          nel medesimo ambito, ad avviare un processo di revisione del regolamento (UE) n.  604/2013 cosiddetto Dublino III, nonché a sollecitare gli Stati membri a proseguire ed intensificare l'attività di assistenza umanitaria, finanziaria e politica nelle aree di crisi del Nordafrica e del Medio Oriente, per affrontare la migrazione e la pressione umanitaria alla radice;
          in ambito internazionale, a sollecitare il rispetto dei trattati già stipulati al fine di contrastare l'immigrazione clandestina e a promuovere la sottoscrizione di nuovi accordi, con particolare riferimento alle procedure di rimpatrio nei Paesi di origine dei detenuti al fine di scontare la pena;
          ad assumere iniziative per destinare un adeguato stanziamento al «fondo rimpatri», di recente sostanzialmente azzerato con il decreto-legge n.  120 del 2013, affinché tale attività possa essere regolarmente proseguita come previsto dalle normative vigenti.
(1-00461) «Rampelli, Corsaro, Nastri, Giorgia Meloni, La Russa, Taglialatela, Cirielli, Maietta, Totaro».


      La Camera,
          premesso che:
              Teulada è un comune di 3.793 abitanti della provincia di Cagliari, situato in un'area limitrofa con il territorio Sulcis-Iglesiente;
              il comune di Teulada vive da diversi anni una drammatica condizione di crisi economica e sociale, attestata dall'elevato tasso di disoccupazione e dal progressivo ed inesorabile spopolamento dell'area che ha raggiunto il 45 per cento della popolazione residente dal 1957 ad oggi;
              tale situazione – oltre che da altri fenomeni particolarmente diffusi nell'isola – è in enorme parte causata dalle servitù militari che vincolano, da oltre cinquanta anni, 7.500 ettari di territorio, rappresentando il 21 per cento del totale isolano e il 17 per cento del totale nazionale;
              nello specifico le esercitazioni militari sull'area di Teulada si svolgono nel periodo compreso tra il mese di settembre ed il mese di maggio e comprendono azioni militari a terra, aeree e a mare. L'area è inoltre sottoposta alla sperimentazione di nuovi armamenti;
              il danno determinato da tale servitù militare non è rappresentato soltanto dall'esproprio dei terreni bensì, in maniera ancor più incisiva, dall'impossibilità di intraprendere alcuna iniziativa imprenditoriale, soprattutto di tipo turistico, stanti i soli tre mesi di interruzione dell'attività di addestramento sull'area;
              a ciò si aggiunge la pesante contaminazione dei territorio, causata dalle sperimentazioni, nel poligono, di ogni sorta di materiale bellico ad opera dell'industria delle armi, rappresentata da aziende quali Brada, Agusta Westland, Oto Melara, Piaggio, Helitec e Finmeccanica;
              il danno causato dall'industria bellica nel territorio di Teulada ammonta a 1,3 miliardi di euro: tanto è infatti il costo stimato per la bonifica della sola penisola di 400 ettari, definita interdetta. Tale industria, per giunta, non genera alcun ritorno in termini occupazionali per la popolazione residente, che si vede dirottare appalti e commesse verso altri comuni o verso imprese di altre regioni;
              si palesa dunque una situazione paradossale, dove la conclamata noncuranza da parte delle istituzioni centrali è aggravata da quella dei firmatari del presente atto di indirizzo appare una arrogante prevaricazione dei diritti della popolazione locale in favore di quelli dell'industria bellica, esercitata sotto l'egida dello Stato;
              la popolazione teuladina, infatti, a fronte dei molti reclami, negli anni, non ha visto alcuna risposta o cambiamento tangibile, restando al contempo all'oscuro riguardo al livello di pericolosità, in termini di salute, dei materiali rilasciati nel poligono;
              la sfiducia dei cittadini di Teulada verso le istituzioni dello Stato italiano è andata crescendo, tanto che l'affluenza alle urne registrata alle ultime elezioni regionali è stata la più bassa: 17,28 per cento;
              tale sfiducia pare confermata e giustificata dai fatti, da ultimo con la recente esclusione del comune e delle imprese operanti sul suo territorio dall'ambito di applicazione della zona franca urbana a fiscalità di vantaggio istituita per 23 comuni della provincia di Carbonia Iglesias;
              il comune di Teulada dunque, pur condividendo col territorio circostante il medesimo stato di crisi economica e sociale, non beneficerà di tali agevolazioni e le sue imprese saranno sfavorite nella concorrenza con quelle limitrofe beneficiarie, cosa che determinerà un inasprimento delle condizioni della già esile economia del comune;
              nel corso della XVI legislatura, la relazione conclusiva della Commissione d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, licenziò unanimemente la proposta di chiusura dei poligoni di Capo Teulada, Capo Frasca e la riperimetrazione e riconversione del PISQ;
              l'indagine conoscitiva in materia di servitù militari avviata presso la IV Commissione difesa della Camera ha registrato con esplicita evidenza la condizione di inaccettabile squilibrio nella ripartizione nazionale delle servitù militari a svantaggio della Sardegna, nel quale territorio sono localizzate il 61 per cento del totale;
              si prende atto con soddisfazione dell'impegno assunto dal Governo alla convocazione nel 2014 della II conferenza nazionale sulle servitù militari, a distanza di 30 anni dalla prima,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per includere il comune di Teulada all'interno della zona franca urbana di Carbonia Iglesias, allo scopo di scongiurare il definitivo declino di un'intera area, già gravata da una servitù militare che da oltre 50 anni occupa un terzo del suo territorio;
          a sostenere, anche attraverso la promozione di un'indagine amministrativa, iniziative che studino le conseguenze generate dalla pluriennale attività militare e di sperimentazione di materiale bellico sul poligono, in termini di impatto ambientale e di rischi che questa può aver determinato per la salute dei residenti e dei visitatori;      
          ad aprire un tavolo istituzionale con il governo regionale della Sardegna affinché si possa inaugurare un percorso condiviso che conduca alla ridefinizione della presenza militare nell'isola secondo un principio di dismissione di basi e poligoni militari che, da decenni, segnano non solo il comune di Teulada ma il territorio sardo tutto, mettendo a rischio la salute dei cittadini e sottraendo migliaia di ettari all'economia civile ed alle vocazioni produttive del territorio, facendo sì che tale percorso porti alla cessazione della servitù militare nel comune di Teulada o ad una forte limitazione della sua estensione;
          ad assumere iniziative per assicurare una dotazione adeguata di risorse – anche attraverso l'attivazione di un apposito fondo nazionale – per la bonifica integrale delle aree interessate dalle esercitazioni militari;
          a predisporre – di concerto con la regione autonoma della Sardegna ed attraverso la partecipazione democratica delle comunità locali – un piano per la riconversione dell'economia locale.
(1-00462) «Piras, Duranti, Migliore».


      La Camera,
          premesso che:
              il territorio della regione Marche nelle giornate del 2 e 3 maggio 2014 è stato interessato da una straordinaria condizione di maltempo (precipitazioni intensissime e localizzate, mareggiate e vento) che ha provocato esondazioni in parecchi corsi d'acqua, allagamenti in aree urbane ed extraurbane, franosità, interruzioni stradali e ferroviarie soprattutto nella porzione collinare e costiera del territorio. La zona maggiormente colpita è stata quella di Senigallia dove si sono registrate tre vittime;
              oltre a Senigallia gli eventi atmosferici hanno investito con particolare virulenza anche i comuni di Osimo, Ostra Vetere, Montemarciano, Corinaldo, Ostra e Chiaravalle, tutti nella provincia di Ancona ma anche diversi comuni del pesarese come Urbino e del Piceno come Arquata del Tronto dove una frana ha interrotto la strada statale Salaria;
              l'evento alluvionale ha provocato allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; gravissime sono state le conseguenze sulle abitazioni, ingenti i danni alle attività produttive, alle strutture ricettive, agli stabilimenti balneari, agli esercizi commerciali, alle infrastrutture, ai servizi e all'agricoltura; è risultata critica la situazione della rete elettrica e ancora peggiore quella dei collegamenti telefonici pressoché inesistenti per quasi due giorni; per allagamenti, frane e cedimenti la viabilità è stata interrotta in molti punti con evidenti disagi;
              particolarmente gravi sono i danni al settore alberghiero, alle attività industriali, artigiane e agricole e alle abitazioni civili;
              da una prima ricognizione, alla data dell'11 maggio, risultano essere ben 7736 i cittadini residenti nell'area colpita dall'esondazione; le abitazioni danneggiate sono 2670, cui si aggiungono 3319 rimesse, autorimesse e stalle, 494 magazzini, 56 alberghi, 335 negozi, 7 fabbricati industriali e 6 impianti sportivi;
              in Italia, come segnala Legambiente, in 6.633 comuni (l'82 per cento), sono presenti zone a elevato rischio idrogeologico; in questi comuni risiedono 5,8 milioni di italiani (il 9,6 per cento della popolazione nazionale) e in essi vi è un patrimonio storico e culturale inestimabile; vi sono localizzati 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie, produzioni agricole selezionate di particolare pregio;
              secondo le stime del Cresme e dell'Ance tra il 1944 e il 2012 frane, terremoti e alluvioni hanno provocato danni per oltre 240 miliardi di euro;
              il Parlamento anche con recenti atti di indirizzo ha posto attenzione con forza al tema della manutenzione del territorio, alla pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, alle politiche di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, all'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità. Con diversi atti il Parlamento ha impegnato il Governo a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale e a privilegiare la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure;
              il Governo è stato impegnato, tra l'altro: ad adottare iniziative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare modifiche al quadro normativo nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e delle risorse idriche, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dalla direttiva sulle acque;
              gli eventi climatici estremi, purtroppo sempre più ricorrenti, rendono necessarie nell'immediato congrue risorse per gli interventi per la messa in sicurezza del territorio con priorità per le zone più gravemente colpite;
              è urgente che il Governo e la regione Marche, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando le azioni necessarie;
              è altresì indispensabile un intervento straordinario per la riparazione dei danni e per consentire un regolare svolgimento della stagione turistica, volano dell'economia del senigalliese e uno dei motori di sviluppo di quella marchigiana, nonché il ripristino di condizioni che consentano il ritorno alla normalità per le famiglie e le imprese colpite dall'alluvione;
              il presidente della regione Marche, alla luce dello scenario che si è ormai definito e che sicuramente è quello di una situazione fronteggiabile solo con mezzi e poteri straordinari, ha chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 225 del 1992,

impegna il Governo:

          a dichiarare con urgenza lo stato di emergenza per l'intero territorio della regione Marche;
          ad assumere iniziative per disporre, in tempi rapidi, d'intesa con le amministrazioni territoriali competenti e con le associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo della regione Marche ed in particolare della città di Senigallia, in relazione ai danni effettivamente subiti dagli eventi alluvionali del 3 maggio 2014, in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi sia di quelli destinati ad uso commerciale, turistico, ricettivo, agricolo, di servizi e produttivo;
          ad assumere iniziative per:
              a) prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, turistiche, industriali, artigianali, di servizi, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili e agli impianti;
              b) sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per tali soggetti;
              c) stabilire che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
              d) prevedere,      anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
              e) attribuire anche alle imprese ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 2 maggio 2014, nei territori delle Marche colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano di contributi ai fini del risarcimento del danno ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali) un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di servizio o commerciale;
              f) destinare risorse aggiuntive per gli ammortizzatori in deroga per garantire coperture ai lavoratori dipendenti di imprese operanti nelle zone alluvionate;
              g) incentivare opere di difesa del suolo e di contrasto all'erosione e all'impermeabilizzazione;
              h) attribuire agli Enti locali colpiti dagli eventi alluvionali del 2 e 3 maggio 2014 contributi per far fronte alle emergenze sociali che coinvolgono migliaia di famiglie per i danni subiti ai beni immobili e mobili;
              i) assegnare contributi straordinari ai comuni colpiti dagli eventi atmosferici finalizzati ad interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio, escludendo tali spese dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
              l) prevedere un finanziamento straordinario per gli interventi edilizi nelle scuole di ogni ordine e grado, con priorità per quelle del comune di Senigallia, danneggiate dall'evento calamitoso del 2 e 3 maggio 2014;
              m) stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali a favore dei comuni della regione Marche, con priorità per quello di Senigallia, colpiti dagli eventi alluvionali;
              n) concordare – anche mediante protocollo d'intesa con l'associazione bancaria italiana – l'opportunità di disporre la sospensione del pagamento delle rate dei mutui in essere alla data del 2 e 3 maggio 2014 per i soggetti che abbiano avuto danni ingenti conseguenti agli eventi alluvionali del 3 maggio nelle Marche, senza applicazione di commissioni o spese di istruttoria e senza richiesta di garanzie aggiuntive; nel caso sia accordata la sospensione, prevedere – in accordo con l'ABI – che la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate sia prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione, e che, al termine della sospensione, il pagamento delle rate avvenga secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo.
(1-00463) «Carrescia, Lodolini, Manzi, Morani, Marchetti, Petrini, Mariastella Bianchi, Preziosi, Realacci, Borghi, Braga, Bonafè, Mariani, Tino Iannuzzi, Arlotti, Mazzoli, Giovanna Sanna, Cominelli, Carocci, Piccoli Nardelli, Manfredi, Matarrese, Pastorelli».

Risoluzioni in Commissione:


      La IV Commissione,
          premesso che:
              il poligono di tiro di Capo Frasca è il terzo d'Europa per estensione territoriale, sorto nella metà degli anni ’50, si estende in un'area di 14 chilometri quadrati, sul territorio del comune di Arbus, nella costa sud-occidentale della Sardegna;
              la segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e soprattutto in mare e le esercitazioni militari fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni, i pescatori, le cooperative e le marinerie di Arbus, Guspini, Terralba, Arcidano, Marceddì, Cabras, Riola Sardo, Oristano;
              in base all'articolo 332 del codice dell'ordinamento militare del decreto n.  60 del 2010, ai commi 1 e 5, che richiama il comma 15 dell'articolo 325 dello stesso ordinamento è previsto un indennizzo in favore delle attività che vedono leso il loro diritto di impresa;
              l'attività della pesca nei tratti di mare interdetti adiacenti al poligono di Capo Frasca è fortemente penalizzata dalle limitazioni dovute alle attività militari, ma i pescatori, in particolare dei comuni di Arbus, Oristano, Terralba, Santa Giusta, Cabras, Arborea, Marrubiu non sono inseriti tra i beneficiari degli indennizzi come previsto dalle leggi n.  898 del 1976 e n.  104 del 1990 e dal protocollo d'intesa siglato nel 1999 tra il Ministero della difesa e la regione autonoma della Sardegna;
              il protocollo d'intesa del 1999 tra il Ministero della difesa e la regione autonoma della Sardegna recante disposizioni in merito all'articolo 15 della legge n.  898 del 1976 riconosce che le marinerie interessate all'erogazione degli indennizzi siano quelle di Sant'Antioco, Calasetta, Sant'Anna Arresi, Teulada, Porto Scuso, Domusdemaria, Buggerru, Carloforte iscritte al Compartimento Marittimo di Sant'Antioco ed adiacenti alle aree interdette del poligono di Capo Teulada, e di Tortolì, Villaputzu, Tertenia, Lotzorai, Siniscola, Orosei, Posada, Dorgali, iscritte all'ufficio circondariale marittimo di Arbatax e agli uffici locali di Cala Gonone e Siniscola, adiacenti al poligono interforze del Salto di Quirra;
              sono pertanto escluse dagli indennizzi le cooperative di pescatori e le marinerie delle province del Medio Campidano e del Golfo di Oristano, ed in particolare dei comuni di Arbus, Terralba, Cabras, Riola Sardo, S. Vero Milis, S. Giusta, Marrubbiù, Arborea, Oristano, tutti adiacenti al poligono di tiro di Capo Frasca e fortemente penalizzate nell'attività della pesca dai tratti di mare interdetti per le esercitazioni militari;
              nell'aprile del 2013 il Ministero della difesa e la regione Sardegna hanno assicurato alle cooperative della zona, che vedono coinvolti circa 700 e 300 imbarcazioni, immediata e positiva risoluzione del problema, ma a distanza di un anno non ci sono stati atti concreti conseguenti,

impegna il Governo

ad inserire, in forza di una revisione del protocollo d'intesa del 9 agosto 1999 tra regione autonoma della Sardegna e Ministero della difesa, tra le marinerie interessate quelle dei comuni di Arbus, Terralba, Cabras, S. Vero Milis, S. Giusta, Marrubbiù, Arborea, Riola Sardo, Oristano, adiacenti al poligono di Capo Frasca, iscritte all'ufficio circondariale marittimo di Oristano e fortemente penalizzate dall'interdizione di tratti a mare dovute alle esercitazioni militari, in base alle norme previste dagli articoli 7 e 15 della legge n.  898 del 1976, dalla legge n.  104 del 1990 e dai protocolli d'intesa tra Stato-regione 9 agosto 1999 e 8 settembre 2005.
(7-00368) «Piras, Duranti».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              nel 2013 il sindacato MBF/SIFUS che rappresenta il movimento dei braccianti e dei forestali sul territorio nazionale e in particolar modo in Sicilia, ha posto all'attenzione dell'Inps di Catania la problematica relativa al blocco da parte dell'ente stesso dell'erogazione della indennità di disoccupazione per circa 1.000 braccianti agricoli, la maggior parte dei quali ricadono nei comuni di Adrano, Paterno e Biancavilla (Catania);
              tra fine 2013 e inizio 2014, ad almeno 4.000 braccianti agricoli della provincia di Catania (Palagonia, Mazzarrone, Grammichele, Adrano, Biancavilla, Paternò, Bronte), l'Inps ha inviato lettere attraverso le quali comunica sia la cancellazione delle giornate lavorative, sia la richiesta della restituzione delle indennità di disoccupazione agricola, che ritiene siano state percepita in maniera indebita;
              la motivazione adottata dall'INPS è che le aziende presso cui i braccianti agricoli hanno prestato lavoro sarebbero irregolari;
              i controlli effettuati dagli ispettori dell'INPS stanno producendo, di fatto, un enorme ridimensionamento del fenomeno cosiddetto delle «aziende fasulle produttrici di braccianti agricoli fantasma»;
              la funzione degli ispettori dell'INPS rischia di non tutelare e danneggiare quei lavoratori che hanno prestato regolarmente il proprio lavoro e che nulla potevano sapere del fatto che l'azienda fosse o meno in regola con le disposizioni di legge vigenti, specialmente quando i controlli ispettivi vengono effettuati parecchi mesi dopo che il rapporto di lavoro tra datore e bracciante agricolo si è concluso;
              la documentazione a supporto che l'INPS utilizza quale causale giustificativa del blocco nel pagamento delle indennità di disoccupazione, riguarda essenzialmente atti che le aziende forniscono su richiesta degli ispettori dell'ente;
              l'incongruenza dei fatturati di alcune aziende «fasulle», rispetto al numero degli assunti, non può essere l'elemento cardine su cui si basa il blocco del pagamento delle indennità di disoccupazione: vi è la necessità che i controlli da parte dell'Inps vengano effettuati mentre il rapporto di lavoro è in essere e non ex post;
              i braccianti agricoli non vengono ritenuti, il più delle volte, fonti attendibili dagli ispettori dell'INPS perché considerati come compartecipi della truffa per ottenere, illecitamente, l'indennità di disoccupazione in agricoltura;
              nonostante corrisponda al vero che in alcuni casi le aziende gonfino le dichiarazioni per frodare l'INPS e far percepire le indennità di disoccupazione anche a chi non ha prestato neanche una giornata di manodopera, il costo di questa frode non può essere pagato anche da quei braccianti che invece in buona fede hanno lavorato per conto di quelle aziende che hanno falsamente denunciato di aver occupato personale che non ha mai svolto lavoro per loro, all'unico fine di fargli ottenere l'indennità di disoccupazione;
              la situazione paradossale creata dall'INPS comporta che di fatto la totalità dei lavoratori percettori di indennità di disoccupazione sia considerata responsabile di aver frodato la legge, senza distinguere tra chi lo ha fatto veramente e chi non lo ha fatto. A tutti viene chiesto di restituire le somme relative alle indennità di disoccupazione già percepite a prescindere dal giudizio della magistratura, la quale è chiamata a verificare per ogni singolo caso se tali somme siano state ricevute compiendo degli illeciti o meno;
              per cercare di arginare e di prevenire il problema delle truffe nell'ambito delle indennità di disoccupazione in agricoltura, sarebbe necessaria la costituzione di un tavolo tecnico, che coinvolga i soggetti istituzionali interessati e le parti sociali, che individui le criticità e le debolezze del sistema e dell'impianto normativo e regolamentare oggi esistente e che proceda ad adottare gli opportuni correttivi,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative affinché l'Inps proceda alla sospensione:
              a) dei blocchi delle indennità di disoccupazione;
              b) della cancellazione delle giornate dagli elenchi anagrafici;
              c) delle sole richieste delle indennità di disoccupazione in agricoltura, che, secondo l'Inps medesima sono state indebitamente percepite nel corso degli anni;
          ad assumere iniziative affinché la predetta sospensione sia applicata dall'Inps fino a quando l'inesistenza del rapporto di lavoro subordinato non sia accertato con sentenza della magistratura;
          ad assumere iniziative affinché i controlli siano avviati dall'Inps ex ante per ridimensionare e, successivamente, azzerare il fenomeno conosciuto come «aziende fasulle produttrici di braccianti agricoli fantasma»;
          a costituire urgentemente un tavolo tecnico di concertazione tra l'INPS, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le competenti istituzioni regionali e le organizzazioni sindacali, al fine di adottare gli opportuni correttivi per arginare e prevenire le truffe in materia di disoccupazione in agricoltura.
(7-00369) «Placido, Palazzotto, Di Salvo, Airaudo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          nel saggio «Stress test», appena pubblicato, e i cui contenuti sono stati anticipati da La Stampa e dal Daily Beast, l'ex Ministro del tesoro degli Stati Uniti, Timothy Geithner, riporta fatti sconcertanti e di straordinaria gravità per il nostro Paese;
          Geithner, che ha ricoperto l'incarico di segretario al Tesoro dal 26 gennaio 2009 al 28 febbraio 2013 durante il primo Governo presieduto da Barack Obama, rivela infatti nuove e inquietanti informazioni in merito al complotto organizzato contro Silvio Berlusconi per favorire l'ingresso di Mario Monti a Palazzo Chigi, ovvero di un tecnico scelto ad hoc per agevolare le misure imposte da Bruxelles;
          nel ripercorrere la disastrosa situazione finanziaria che spinse a progettare il complotto, l'ex Ministro statunitense racconta di essere stato avvicinato da alcuni funzionari europei (nel testo scrive «officials», parola che indica alte burocrazie o personalità legate ai Governi) nell'autunno del 2011, proponendo un piano per far cadere il Premier italiano Berlusconi. Lui lo rifiutò, come scrive nel libro, puntando sull'asse col presidente della Bce Draghi per salvare l'Unione e l'economia globale;
          Geithner scrive: «Ad un certo punto, in quell'autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino a quando non se ne fosse andato»;
          il complotto iniziò ad essere tessuto nell'estate del 2010, quando «i mercati stavano scappando dall'Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L'ex segretario scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il default dei Paesi e dell'intero sistema bancario». Ma all'epoca Germania e Francia «rimproveravano ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di mobilitare più risorse per prevenire il crollo europeo;
          nell'estate del 2011 la situazione era peggiorata, però «la cancelliera Merkel, insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della Germania era chiuso», anche perché «non le piaceva come i ricettori dell'assistenza europea – Spagna, Italia e Grecia – stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse». A settembre Geithner fu invitato all'Ecofin in Polonia, e suggerì l'adozione di un piano come il Talf americano, cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire insieme il default dei Paesi e delle banche. Fu quasi insultato. Gli americani, però, ricevevano spesso richieste per «fare pressioni sulla Merkel affinché fosse meno tirchia, o sugli italiani e spagnoli affinché fossero più responsabili»;
          è proprio in questo quadro inquietante di supponenza tedesca e incompetenza europea che arrivano le prime pressioni per cambiare il Governo italiano. Al G20 di Cannes lo stesso governatore della Bce, Mario Draghi, gli promette «l'uso di una forza schiacciante». «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente – racconta Geithner – ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. “Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani”, io dissi». Nonostante il niet degli Stati Uniti, i «funzionari europei» riescono nell'intento: nel giro di poche settimane si dimette il Premier greco George Papandreou, Berlusconi viene sostituito con Monti («un economista che proiettava competenza tecnocratica») e in Spagna viene eletto Mariano Rajoy. A dicembre la Bce approva il piano per finanziare le banche. Piano che viene accolto con euforia da Bruxelles che si affretta a dichiarare che l'Europa è uscita dal tunnel della crisi. «Io non la pensavo così», sottolinea l'ex segretario del Tesoro. E, infatti, nel giugno del 2012 la minaccia del default tornerà a mettere in ginocchio i mercati del Vecchio Continente;
          i fatti riportati costituiscono un'ulteriore conferma del fatto che Silvio Berlusconi sarebbe stato costretto alle dimissioni a seguito di un vero e proprio complotto organizzato a Bruxelles per far cadere un Governo eletto democraticamente e piazzarne uno tecnico e asservito all'Unione europea; la testimonianza di Geithner è solo l'ultima di una lunga serie di dichiarazioni che mostrano esattamente il piano che, nell'autunno del 2011, ha portato alla fine del Governo Berlusconi;
          recentemente, Peter Spiegel nel Financial Times scrive che Berlino spingeva per il commissariamento dell'Italia. Obama la prese per un'impuntatura irrazionale, diede ragione alle resistenze italiane e alla fine si optò per un comunicato finale vago. Risultato: gli spread continuarono a salire e Silvio Berlusconi fu costretto alle dimissioni;
          qualche mese fa Alan Friedman, in «Ammazziamo il gattopardo» (2014), dichiara: «La torrida estate del 2011 è un momento molto importante e storico per l'Italia (...). La Germania della Merkel non ama il primo ministro in carica, Silvio Berlusconi. Tra giugno e settembre di quella drammatica estate accadono molte cose che finora non sono state rivelate. E questo riguarda soprattutto le conversazioni tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Mario Monti, che precedono di 4-5 mesi la nomina dell'allora presidente della Bocconi a Palazzo Chigi, il 13 novembre 2011 (...). Per gli annali della storia il presidente Napolitano accetta le dimissioni di Berlusconi il 12 novembre e avvia, come si conviene, le consultazioni con i gruppi parlamentari e politici. Poi, 24 ore dopo, Monti viene indicato come Premier al posto di Berlusconi. Ma, stando alle parole di Carlo De Benedetti e Romano Prodi, entrambi amici di Monti, e per ammissione dello stesso ex Premier, le cose sono andate diversamente. E quando Friedman insiste con Monti: «Con rispetto, e per la cronaca, lei non smentisce che, nel giugno-luglio 2011, il Presidente della Repubblica le ha fatto capire o le ha chiesto esplicitamente di essere disponibile se fosse stato necessario ?», «Monti ascolta con la faccia dei momenti solenni, e, con un'espressione contrita, e con la rassegnazione di uno che capisce che è davanti a una domanda che non lascia scampo al non detto, risponde: «Sì, mi ha, mi ha dato segnali in quel senso» Parole che cambiano il segno di quell'estate che per l'Italia si stava facendo sempre più drammatica. E che probabilmente porteranno a riscrivere la storia recente del nostro Paese»;
          Josè Luis Rodriguez Zapatero, nel libro «Il dilemma: 600 giorni di vertigini» (2013), scrive: «Ci fu una cena ristretta: solo 4 primi ministri europei con i loro ministri economici, i vertici dell'Unione europea, del Fmi e il presidente degli Stati Uniti, seduti attorno a un tavolo piccolo, rettangolare che ispirava confidenza. Una cena sull'Italia e il futuro dell'euro, quasi due ore nelle quali si mise il Governo italiano sotto un duro martellamento perché accettasse lì, a quello stesso tavolo il salvataggio del Fondo Monetario Internazionale e dell'Ue come già Grecia, Irlanda e Portogallo (...). Berlusconi e Tremonti si difesero con un catenaccio in piena regola. Tremonti ripeteva: «conosco modi migliori per suicidarsi». Berlusconi, più casereccio, evocava la forza dell'economia reale e del risparmio degli italiani. Alla fine si arrivò a un compromesso per il quale Fmi e Unione europea avrebbero costituito un gruppo di supervisione sulle riforme promesse. Il Cavaliere spiegò in pubblico che il ruolo del Fmi era di «certificare» le riforme, però il governo italiano risultò toccato profondamente. Solo pochi giorni dopo quel G20, il 12 novembre, Berlusconi si dimetteva. E Mario Monti era eletto primo ministro. Il lettore potrà trame le sue conclusioni»;
          anche l'interpellante ha ricostruito nel libro «Il grande imbroglio» (2012) le vicende del 2011, quando, alla vigilia del G20 di Cannes del 3 e 4 novembre 2011, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiuta di firmare il decreto «Sviluppo» che dava attuazione agli impegni presi dal governo italiano con la Commissione e il Consiglio europeo nella lettera del 26 ottobre 2011, costringendo il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, a recarsi al vertice «a mani vuote»; l'interpellante ricostruisce la vicenda qualche mese dopo con un articolo sul Giornale (6 febbraio 2012) e il giorno dopo il consigliere del Presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione, dottor Pasquale Cascella, con lettera al direttore del Giornale, completa il quadro rivelando che la decisione del Presidente della Repubblica di non firmare il «decreto sviluppo» era stata presa nel corso di un incontro con l'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti. Scrive Cascella: «Il Capo dello Stato ricevette il Ministro dell'economia (Giulio Tremonti) prima della riunione del Consiglio dei ministri» del 2 novembre 2011;
          tutto ciò premesso, pare evidente e quanto mai urgente chiarire quanto avvenuto nel corso del 2011, data la delicatezza della questione, che incide direttamente sulla democrazia (visto che l'obiettivo del complotto richiamato era un Governo democraticamente eletto dai cittadini italiani nella primavera del 2008), nonché sul sistema di sicurezza del nostro Paese  –:
          se il dipartimento delle informazioni per la sicurezza che risponde al Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti suddetti, e quali iniziative il Presidente del Consiglio intenda adottare al fine di chiarire le circostanze riportate in premessa, per spiegare innanzitutto chi erano i «funzionari» europei citati da Timothy Geithner, e da quale autorità erano stati inviati per veicolare un messaggio così pericoloso da costituire un vero e proprio attentato alla sicurezza e alla democrazia del nostro Paese, ferma restando la volontà dell'interpellante di richiedere la costituzione di una specifica Commissione di inchiesta parlamentare sul punto.
(2-00536) «Brunetta».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          l'Italia, lo scorso anno, in relazione alla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ha finalmente ratificato la Convenzione di Istanbul del 2011;
          sul tema, in seguito, è intervenuto il decreto-legge n.  93 del 2013, il cosiddetto «decreto contro il femminicidio», convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n.  119 che, in particolare, fra le misure urgenti, oltre ad un Piano nazionale contro la violenza, prevedeva un incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.  248, di 10 milioni di euro per l'anno 2013, 7 milioni di euro per l'anno 2014 e 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 per le attività dei centri anti violenza e le case rifugio;
          agli interpellanti, in contatto con le associazioni che si occupano della delicata questione, risulterebbe che le risorse stanziate non siano ancora state assegnate, con ciò lasciando soli i centri antiviolenza e le realtà coinvolte sul tema ad affrontare un fenomeno che, lungi dall'essere emergenziale, sembra aver assunto ormai, purtroppo, il carattere di un fenomeno strutturale;
          sul tema, Sinistra Ecologia Libertà aveva anche già presentato un'interrogazione a risposta scritta (4-04447), a prima firma dell'onorevole Di Salvo, cui ancora non è stata data risposta;
          il contrasto alla violenza maschile contro le donne è una questione prioritaria per il nostro Paese, rispetto alla quale sono indispensabili obiettivi condivisi, e soprattutto stanziamenti economici mirati sia alla prevenzione del fenomeno, sia al sostegno e all'accoglienza delle vittime;
          in tale contesto, non può non apparire gravissima, oltre che preoccupante, la mancata assegnazione di fondi già previsti da quasi un anno da una legge dello Stato  –:
          quale sia la situazione relativa alla predisposizione e all'avvio del Piano nazionale antiviolenza;
          se corrisponda al vero che le risorse già stanziate nel decreto-legge n.  93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  119 del 2013, non siano ancora state messe a disposizione per le attività dei centri antiviolenza e per le case rifugio;
          in caso affermativo, quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo, e in quali tempi, non solo per assegnare i finanziamenti stanziati dalla citata legge ma, più in generale, per rilanciare con determinazione politiche incisive sul tema della prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne.
(2-00538) «Pannarale, Migliore, Di Salvo, Fratoianni, Costantino, Nicchi, Duranti, Kronbichler, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Piras, Ricciatti, Zan».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          il 9 aprile 2014 Romilda Rizzo, Antonio Martone e Alessandro Natalini, rispettivamente ex presidente e componenti dell'Autorità nazionale anti corruzione e per la valutazione e la trasparenza delle Amministrazioni pubbliche, ex Civit, oggi ANAC, hanno trasmesso una serie di considerazioni, contenute nel documento «Problemi aperti in materia di prevenzione della corruzione, trasparenza e performance e proposte di semplificazione», all'indirizzo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
          in particolare il documento segnalava alcune problematiche in materia di corruzione e trasparenza che i tre alti funzionari hanno inteso sottoporre all'attenzione del Ministro affinché quest'ultimo si adoperasse per risolverli;
          in primo luogo si specifica come, con il decreto legislativo n.  39 del 2013 convertito dalla legge n.  98 del 2013 che trasferisce funzioni consultive dall'Autorità al Ministero stesso, quest'ultimo debba ancora fronteggiare e risolvere con direttive o circolari ministeriali le «numerose questioni sollevate da pubbliche amministrazioni ed enti in ordine all'applicazione dell'articolo 3 in tema di inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione»;
          segue la rilevazione, peraltro già presente nel «Rapporto sul primo anno di attuazione della legge n.  190 del 2012», della opportunità di intervenire legislativamente per risolvere «l'asimmetria tra le situazioni di inconferibilità e incompatibilità previste per i dirigenti statali e quelli di amministrazioni regionali e locali di società in controllo pubblico presenti del decreto legislativo n.  39 del 2013»;
          secondo i tre alti funzionari «in generale, vanno chiariti i profili di applicazione della legge n.  190 del 2012, stante la genericità delle previsioni normative al riguardo, e i continui tentativi, promossi da più parti, per rimanere al di fuori dell'ambito di applicazione» e si riporta il caso esemplare della SEA spa che in un ricorso avrebbe richiesto l'annullamento del piano nazionale anticorruzione;
          secondo quanto riportato nel documento in questione, l'Autorità avrebbe segnalato inoltre le preoccupazioni relative all'ambito di riferimento degli enti economici e delle società controllate e partecipate per il quale sussistono interpretazioni (come quelle riportate nella circolare ministeriale n.  1/2014) che limitano «l'ambito soggettivo di applicazione delle norme sulla trasparenza a un settore che, come testimoniato anche da recenti fatti di cronaca, dovrebbe essere, invece, oggetto di particolare attenzione nelle politiche di prevenzione»;
          la stessa Autorità avrebbe quindi deciso, di fronte a interpretazioni dello stesso Ministero, risultate essere difformi o limitative dell'applicazione della normativa, di sospendere i riscontri e i controlli in merito agli obblighi di trasparenza da parte delle società partecipate al fine di «non ingenerare ulteriori incertezze applicative»;
          circolare, quella succitata, che peraltro l'Autorità avrebbe conosciuto solo attraverso la pubblicazione on line sul sito del Ministero dimostrando quindi una evidente mancanza di quel necessario coordinamento che dovrebbe sussistere tra le attività dello stesso Ministero e quelle dell'ANAC. Coordinamento che dall'Autorità ritengono fondamentale non solo per «l'efficace attuazione della normativa anticorruzione» e per «evitare condizioni di incertezza» ma soprattutto per «facilitare i flussi informativi senza pregiudicare l'attività di vigilanza»;
          il nuovo presidente dell'Autorità, Raffaele Cantone, dichiarava in una intervista a La Repubblica, il 20 aprile 2014, che «l'obiettivo dell’Authority non è quello di combattere la corruzione già avvenuta, ma di provare a prevenirla. Questa è la grande scommessa della legge del 2012», corroborando quanto ritenuto di importanza fondamentale da chi lo ha preceduto e sostenendo quindi la necessità di risolvere le condizioni di debolezza e inefficacia insite nella normativa vigente e nel dna dell'ANAC;
          l'8 maggio un blitz della Guardia di finanza e della direzione investigativa antimafia ha scoperchiato quella che è stata definita dagli inquirenti una vera e propria «cupola degli appalti» che avrebbe gestito il sistema delle attività e degli affidamenti dei lavori relativi all'Expo 2015 di Milano. A seguito della notizia del coinvolgimento trasversale di alcune figure della politica locale e nazionale, attuale e della cosiddetta Prima Repubblica come Primo Greganti, ex Pci, Pds e Ds, già implicato nelle indagini di Tangentopoli; Gianstefano Frigerio e Angelo Paris, entrambi ex Forza Italia; Luigi Grillo, ex Dc; Sergio Cattozzo, ex Udc; il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha annunciato l'11 maggio la formazione di una non meglio definita task force anticorruzione ad hoc per l'Expo. A ventiquattrore di distanza, la stessa task force ad hoc sembra essere stata inglobata nella già esistente Authority guidata da Raffaele Cantone, affidata allo stesso presidente ANAC;
          oggi l'ANAC è costituita di fatto dal solo presidente, Raffaele Cantone, poiché a seguito delle dimissioni degli ultimi quattro componenti, non risulta alcun sostituto in carica; essa rappresenta di fatto al momento una Autorità monca sotto il profilo organizzativo;
          la decisione, apparentemente coerente, di riportare sotto la guida del presidente Cantone e dell'ANAC il controllo e la prevenzione di casi di corruzione nell'Expo avviene in una condizione quindi di estrema debolezza, per i motivi di cui sopra, in cui versa l'Autorità e, in generale, per il complesso normativo in cui la stessa Authority deve muoversi  –:
          se il Governo sia a conoscenza delle problematiche illustrate;
          se il Governo abbia cognizione della debolezza intrinseca dell'Anac, stante quanto riportato dagli stessi dirigenti della Authority e l'assenza dei componenti ad esclusione del presidente Cantone;
          se e come il Governo intenda affrontare le problematiche di ordine interpretativo, regolamentare e applicativo illustrate dai dirigenti dell'Autorità nazionale anti corruzione;
          se e come il Governo intenda rafforzare l'Autorità anticorruzione alla luce dell'incarico che dovrebbe esser conferito al Presidente Cantone dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri alla luce delle indagini e degli arresti relativi agli appalti per l'Expo 2015 di Milano.
(2-00539) «Dadone, Nuti, Fraccaro, Toninelli, Cozzolino, Dieni, Lombardi, D'Ambrosio, Busto, De Rosa, Terzoni, Daga, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FIORIO, BARGERO e GRIBAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il dissesto idrogeologico rappresenta una delle maggiori criticità del nostro Paese. Si tratta di un problema confermato dai dati: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico, 5 milioni e 700 mila i cittadini vivono in aree di potenziale pericolo e 1,2 milioni edifici insistono su queste aree;
          secondo dati recenti il costo complessivo dei danni provocati in Italia da calamità naturali è pari a circa 3,5 miliardi di euro all'anno e le risorse necessarie per fronteggiare gli effetti di questi eventi tendono ad aumentare di anno in anno;
          entrando nello specifico va sottolineato che il Piemonte è una delle regioni dove il rischio di dissesto idrogeologico è maggiore. In queste zone, negli ultimi 50 anni, frane e alluvioni hanno provocato 256 morti, 160 feriti e quasi 28 mila tra sfollati e senzatetto. In un territorio caratterizzato da un delicato equilibrio idrogeologico (le montagne occupano il 45 per cento della superficie regionale, e si registra in media un'alluvione ogni 18 mesi) si è cementificato più del dovuto: tra il 1960 e il 2009 il consumo del suolo è aumentato del 74 per cento, mentre la popolazione è cresciuta soltanto del 16 per cento. In questo contesto va poi evidenziato che la provincia di Torino è seconda solo a Napoli per popolazione residente in aree ad elevato rischio idrogeologico. Si tratta di un quadro critico che coinvolge l'87 per cento dei comuni e il 12,7 dei residenti: sono numeri che evidenziano l'urgenza di interventi immediati a difesa del territorio;
          risulta quindi evidente come la prevenzione rappresenti lo strumento irrinunciabile per salvaguardare la salute dei cittadini e l'ambiente e per limitare, anche in termini finanziari, le gravi conseguenze delle calamità naturali;
          il 17 novembre 2010 è stato siglato l'accordo di programma, integrato successivamente, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Piemonte, finalizzato alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico;
          tale accordo di programma era stato disposto dall'articolo 17 della legge n.  26 del 2010 che prevedeva la realizzazione di «Interventi urgenti nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e al fine di salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale» per l'utilizzo dei finanziamenti stanziati dalla legge n.  191 del 2009;
          nella legge n.  26 del 2010 era stata disciplinata la nomina di commissari straordinari, da parte del Governo, per l'attuazione degli interventi urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico;
          per quanto riguarda la regione Piemonte i fondi stanziati, dopo alcune rimodulazioni, aggiornamenti e quantificazioni, ammontano a 65.670.300 euro;
          con il decreto del Consiglio dei ministri del 19 aprile 2011 è stato nominato il commissario straordinario delegato per l'espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi per la regione Piemonte nella persona del professor Pietro Giovanni Bocca;
          conseguentemente, il 21 dicembre 2011 è stato emanato il decreto n.  003 del commissario straordinario della regione Piemonte che ha come oggetto «l'individuazione di amministrazioni pubbliche e soggetti aventi finalità pubbliche, in qualità di Stazioni Appaltanti, per la progettazione degli interventi di cui all'Accordo di Programma del 17 novembre 2010 e successivo Atto Integrativo; procedure tecnico-amministrative per la gestione degli interventi»;
          nell'allegato a tale decreto commissariale sono elencati gli interventi previsti che interessano tutte le province del Piemonte e numerosissimi comuni;
          con tale decreto commissariale sono state, in sintesi, autorizzate la progettazione preliminare e definitiva delle opere;
          in seguito a tale atto sono stati emanati successivamente, in base alle risorse disponibili nella contabilità speciale del commissario, specifici decreti che autorizzavano la progettazione esecutiva e l'esecuzione di alcune opere;
          ad inizio agosto 2013 il commissario straordinario ha rassegnato le sue dimissioni con decorrenza dal 1o ottobre dello stesso anno dopo che a fronte di 170 progetti approvati su 215, con le risorse disponibili (euro 12.230.000,00) sono stati avviati per la loro realizzazione 37 interventi;
          l'iter della realizzazione delle opere quindi subito gravi rallentamenti in seguito alle dimissioni del commissario professor Pietro Giovanni Bocca;
          la mancata nomina del nuovo commissario causa gravi problemi per l'avanzamento dei lavori: risulta infatti all'interrogante che (nella fase commissariale vacante) molte opere, già progettate, avviate e finanziate, non sono state completate, mentre altri interventi, già progettati, non hanno ancora avuto l'autorizzazione per l'inizio dei lavori;
          da quanto si apprende da una lettera inviata, nelle scorse settimane, dall'assessore regionale all'ambiente del Piemonte Roberto Ravello alle stazioni Appaltanti degli interventi previsti nella sezione attuativa dell'A. P. per la difesa del suolo tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Piemonte il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe provveduto a nominare «senza alcuna comunicazione e in totale disaccordo con la regione Piemonte, il nuovo commissario straordinario, che non si è mai messo in contatto con l'Amministrazione regionale»;
          al di là della nomina del nuovo commissario appare comunque chiaro che i ritardi relativi alla messa in sicurezza del territorio, soprattutto di natura burocratica, rischiano di mettere a repentaglio la vita di numerosi cittadini oltre a vanificare gli interventi già avviati ma non ancora terminati, soprattutto alla luce delle criticità di dissesto idrogeologico che gravano sul Piemonte  –:
          se il nuovo commissario straordinario del Piemonte sia stato nominato, quando e con quali criteri;
          se quanto espresso in premessa, sui gravi ritardi relativi al completamento degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico in Piemonte, corrisponda al vero e quali iniziative urgenti intendano conseguentemente assumere per accelerarne l’iter. (5-02779)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con il termine Datagate la stampa italiana fa riferimento allo scandalo legato alle rivelazioni dell'ex tecnico della National Security Agency (NSA), Edward Snowden, che ha svelato l'esistenza di sistemi di controllo delle comunicazioni ai danni di numerosi Paesi, alleati inclusi, messi in atto dagli Stati Uniti stessi e dalla Gran Bretagna;
          le rivelazioni hanno avuto inizio nel giugno del 2013, con la pubblicazione sulla stampa inglese di una serie di ordini segreti che la FISC (Foreign Intelligence Surveillance Court) americana avrebbe impartito a una divisione della Verizon Communication, fornitore di banda larga, per ottenere una dettagliata raccolta di «metadati» sulle telefonate che riguardassero gli USA, incluse telefonate locali e con l'estero;
          in un secondo momento Snowden ha reso noto l'esistenza di numerosi programmi elettronici clandestini di sorveglianza — tra i quali spiccano Upstream, PRISM, Boundless Informant e Tempora, quest'ultimo gestito dagli inglesi — a cui sarebbero stati soggetti anche Paesi alleati e diplomatici dell'Unione europea;
          il 29 giugno 2013 un ex militare statunitense, collaboratore della NSA, ha reso noto che Spagna, Germania, Francia, Danimarca, Paesi Bassi e anche l'Italia avrebbero collaborato con gli americani nel programma di controllo globale delle comunicazioni;
          l'8 maggio 2014 il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato un articolo che rivela come l'operazione di spionaggio delle comunicazioni compiuta dall'NSA avesse come obiettivo, tra gli altri, anche il Centro internazionale di fisica teorica (ICTP) di Trieste, prestigioso istituto scientifico dedicato al fisico pakistano e premio Nobel, Abdus Salam;
          l'ICTP triestino, fondato nel 1964, ha una forte connotazione internazionale ma oltre ad insistere sul territorio nazionale, in qualità di centro di ricerca italiano riceve finanziamenti dallo Stato;
          a quasi un anno dall'inizio del «Datagate» e a seguito delle ultime gravi rilevazioni in base alle quali sarebbe stato spiato anche il prestigioso istituto di ricerca giuliano, desta stupore il silenzio del Governo italiano;
          il 20 novembre 2013, infatti, il Presidente del Consiglio pro tempore Enrico Letta ha riferito alla Camera dei deputati sullo scandalo, affermando che «non risultano compromissioni della sicurezza delle comunicazioni dei vertici del Governo, né delle nostre ambasciate, né risulta violata la privacy dei cittadini italiani» e che «i nostri servizi non esercitano intercettazioni in modo difforme da quanto previsto da nostro ordinamento», circostanze che sembrerebbero essere smentite dai numerosi articoli della stampa nazionale e mondiale basati sulle continue rivelazioni;
          ad oggi non è stata fatta ancora chiarezza sulla spinosa questione del trattamento dei metadati e delle intercettazioni delle comunicazioni che gli USA avrebbero svolto anche e con la partecipazione di alcuni Paesi alleati, Italia inclusa  –:
          se il Governo sia a conoscenza dell'inclusione delle comunicazioni dell'ICTP di Trieste nell'ambito del programma di intercettazione Upstream;
          se risulti che le autorità italiane abbiano fattivamente collaborato con le autorità americane nella raccolta di informazioni sensibili, in violazione della normativa vigente nel nostro ordinamento in materia di intercettazioni;
          se s'intenda chiarire, una volta per tutte la partecipazione o meno di apparati dello Stato alle attività summenzionate svolte dalla NSA americana, evitando di ricorrere al segreto di Stato per gli elementi la cui conoscenza non metta a repentaglio la sicurezza nazionale.
(4-04805)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      GRECO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la bomba ecologica di Pasquasia potrebbe configurare una nuova terra dei fuochi;
          da più di venti anni la miniera di Pasquasia di Enna sembra un oggetto indecifrabile, numerose inchieste della magistratura e iniziative parlamentari tentano di stabilire cosa si nasconda nelle gallerie dove una volta venivano estratti sali potassici apprezzati sui mercati mondiali;
          la miniera gestita dalla società ITALKALI è rimasta attiva fino al 1992. Poi, improvvisamente, è stata chiusa con notevoli riflessi anche sull'occupazione;
          Pasquasia è diventato un sito di smaltimento di rifiuti tossici e di scorie di materiali radioattivi;
          ci si chiede se vi sono responsabilità nel disastro ambientale e se vi sono danni per la salute dei cittadini della provincia di Enna causati dalla mega discarica di rifiuti pericolosi e tossici accumulati nella miniera;
          di recente la direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha proceduto al sequestro preventivo del sito dismesso in cui bisognava smaltire amianto e rifiuti tossici;
          il sequestro della miniera riapre un antico problema. Si tratta di un sito che era una ricchezza nella Sicilia e che si è trasformata in discarica di scorie nucleari;
          la magistratura la descrive come la sede di un ingente smaltimento illegale di rifiuti tossici con l'ipotesi investigativa di un business tra mafia e camorra per trasformare la Sicilia in una succursale della terra dei fuochi;
          nel cuore della Sicilia, oltre alla miniera di Pasquasia, vi è la miniera di Boscopaolo Serradifalco;
          il dato è che nelle zone circostanti la miniera vi sono numerosi ammalati di tumore  –:
          se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per arrestare la presenza di emissioni radioattive superiori al normale;
          se e quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare al fine di costituire quanto prima una commissione scientifica ministeriale, con caratteri di indipendenza e imparzialità rispetto ai possibili interessi coinvolti, al fine di ottenere una relazione univoca e attendibile sui possibili rischi a breve, medio e lungo periodo che l'ex miniera di Pasquasia potrebbe arrecare alla salute degli abitanti della provincia di Enna e delle zone interessate. (4-04801)


      LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto-legge 23 maggio 2008, n.  90, convertito con modificazioni dalla legge 14 luglio 2008, n.  123, la cava detta «del poligono» sita in Chiaiano veniva prescelta come sito per la realizzazione di una discarica per rifiuti urbani indifferenziati codice CER 200301, pur essendo il sito ubicato in zona classificata come ad alto rischio sismico ed a rischio geologico, a poche centinaia di metri dalle abitazioni e a meno di 2 chilometri da 5 ospedali tra cui l'istituto dei tumori;
          essendo il sito stesso parte integrante del parco metropolitano delle colline di Napoli, costituito a difesa dell'ecosistema, tale scelta rappresentava ad avviso dell'interrogante una violazione della direttiva comunitaria 1999/31/CE, nella quale si stabilisce che per ogni sito di ubicazione di discariche debbano essere esaminate le condizioni locali di accettabilità in relazione a distanza dai centri abitati, collocazione in zona di produzione di prodotti agricoli di pregio;
          nel 2011 la procura di Napoli procede al sequestro di parte della discarica per effettuare analisi in relazione ad un'inchiesta relativa all'impermeabilizzazione del fondo della cava realizzata utilizzando materiale non idoneo allo scopo, quale argilla proveniente da cava non autorizzata o argilla mista a terreno. Si è rilevata, inoltre, la costante attivazione di traffici illeciti di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da terra e rocce provenienti da cantieri stradali e edilizi, utilizzati per i lavori di modellamento della discarica;
          nel 2013 la procura di Napoli procede all'arresto di 17 persone, tra le quali il progettista della discarica, il direttore tecnico della ditta gestrice e personale del commissariato, per associazione a delinquere di stampo camorristico, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, truffa, frode nelle pubbliche forniture, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, con l'aggravante della finalità agevolatrice del sodalizio dei Casalesi, fazione Zagaria;
          ad oggi la discarica non è stata oggetto di bonifica e tombatura con successiva ricomposizione ambientale, con esposizione dei cittadini residenti nelle vicinanze alle esalazioni unitamente all'acclarato problema della non corretta impermeabilizzazione con conseguente inquinamento della falda acquifera;
          al fine di rispondere alle richieste della Commissione ambiente del parlamento europeo relativamente alla possibilità di «togliere» le multe comminate all'Italia per la cosiddetta emergenza rifiuti campana, lo Stato, la regione Campania, la provincia di Napoli e il comune di Napoli indicano, nel 2011, 7 nuovi siti scelti per la realizzazione di discariche tra le cave dismesse, tra i quali «Cava Zara» a Chiaiano;
          nel maggio 2008, nell'ambito della realizzazione della discarica del poligono a Chiaiano veniva utilizzato come pozzo spia per la verifica della falda un pozzo ubicato presso cava Zara, con risultati che evidenziarono la presenza di alcuni elementi, come fluoruri, arsenico, idrocarburi nella falda acquifera molto oltre il limite consentito, un vero e proprio pericolo per le falde acquifere;
          nell'atlante geochimico-ambientale dei suoli dell'area urbana e della provincia di Napoli si evidenzia un'anomalia nella concentrazione di uranio nella zona della «Cava Zara» parzialmente colmata con materiali ignoti;
          l'esame del materiale aerofotografico evidenzia che nelle ultime decine di anni nella «Cava Zara» è stata effettuata sia l'estrazione del tufo che il ripetuto accumulo di ingenti quantitativi di materiali di natura sconosciuta  –:
          relativamente alla discarica cosiddetta «del poligono» che cosa intendano fare i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela della salute, affinché la discarica venga chiusa in via definitiva, e si proceda alla sua tombatura e alla ricomposizione ambientale della cava, come da normativa vigente e progetto definitivo approvato nel 2008 in sede di conferenza dei servizi;
          quale sia lo stato della falda acquifera, in relazione alla non corretta impermeabilizzazione acclarata dalla magistratura, e della qualità dell'aria, controlli peraltro già previsti all'interno del progetto definitivo del commissariato di Governo, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini residenti nelle vicinanze della discarica. (4-04804)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          la maestosa villa dei nobili Pisani, la più grandiosa villa della Riviera, la Villa Pisani di Strà (Venezia), detta anche la Nazionale, rappresenta certamente uno dei più celebri esempi di Villa veneta della Riviera del Brenta: sorge a Strà, in provincia di Venezia, ed occupa un'intera ansa del naviglio del Brenta, estendendosi su una superficie di 11 ettari ed un perimetro esterno di circa 1.500 metri; venne costruita a partire dal 1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica (cui si deve anche il progetto del Palazzo Pisani in campo Francesco Morosini o Santo Stefano a Venezia, attuale sede del conservatorio) e Francesco Maria Preti per la nobile famiglia veneziana dei Pisani di Santo Stefano; al suo interno sono conservate opere di Giambattista Tiepolo (l'Apoteosi della famiglia Pisani), Giambattista Crosato, Giuseppe Zais, Jacopo Guarana, Giovanni Carlo Bevilacqua, Francesco Simonini, Jacopo Amigoni e Andrea Urbani; all'epoca della costruzione la Villa contava 114 stanze (ora 168), in omaggio al 114o doge di Venezia Alvise Pisani;
          i Pisani di Santo Stefano, cui si deve la costruzione della villa, costituivano un importante ramo del casato Pisani, antica famiglia patrizia veneziana; arricchitisi nel corso del Trecento grazie ai traffici commerciali e alle rendite immobiliari, nel Quattrocento divennero proprietari di un ampio feudo nella bassa padovana e successivamente arrivarono a ricoprire le più alte cariche della Repubblica di Venezia: Alvise Pisani (1664 - 1741) fu ambasciatore alla corte del Re Sole, il quale fu padrino di uno dei suoi figli, e venne poi eletto doge nel 1735; il crollo della Repubblica (1797) costrinse i Pisani a vendere la villa a Napoleone Bonaparte che era diventato re d'Italia nel 1805, l'11 gennaio 1807, per 1.901.000 di lire venete; la villa venne donata dall'imperatore Bonaparte al figliastro Eugenio di Beauharnais, viceré d'Italia; Eugenio, raffinato mecenate, commissionò una serie di lavori di ammodernamento che cambiarono l'aspetto di molte sale della residenza e del parco. Nel 1814 le sorti dell'Europa, decise a Waterloo, portarono a villa Pisani la famiglia imperiale asburgica, ora divenuta signora del regno Lombardo-Veneto; la dimora divenne così luogo di villeggiatura prediletto dall'imperatrice d'Austria Marianna Carolina e ospitò l'intero gotha dell'aristocrazia europea, dal re di Spagna Carlo IV (1815) allo zar di Russia Alessandro I (1822), dal re di Napoli Ferdinando II (1837) al re di Grecia Ottone (1837) e molti altri; la brillante atmosfera di vita di corte ebbe termine nel 1866, quando il Veneto venne annesso al regno d'Italia; la villa non entrò a far parte dei beni della corona di casa Savoia ma divenne invece proprietà di Stato, perdendo così la sua funzione di rappresentanza; non più abitata, divenne museo nel 1884 e fu meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che vi ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934);
          a destra e a sinistra della villa due scenografiche cancellate in ferro battuto introducono al parco; non lontano dalla cancellata di destra, fra le siepi, si scorge la statua marmorea raffigurante «Apollo» eseguita intorno al 1718 da Giovanni Bonazza; nel parco, al centro di un monticello, si trova la «casa dei freschi» cioè la ghiacciaia studiata dal Frigimelica; il parco annesso è la realizzazione di un progetto basato sull'incrocio di assi ottici: in fondo le scuderie per i cavalli create come finta facciata, come palcoscenico di sfondo per una società teatrale del 1700 dove Carlo Goldoni inscenava le sue commedie; Villa Pisani è famosa inoltre per il suo labirinto di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravvissuti fino ad oggi in Italia; la presenza di una preziosa raccolta di agrumi, delle serre con piante e fiori, di alberi secolari e di alcune specie vegetali esotiche determina l'importanza del parco anche dal punto di vista botanico;
          il codice dei beni culturali (decreto legislativo n.  42 del 2004), all'articolo 101, comma 2, lettera f), individua tra gli istituti e i luoghi di cultura i «complessi monumentali» formati da una «pluralità di fabbricati anche di epoche diverse, che col tempo hanno acquisito, come insieme, un'autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica»: il complesso monumentale Villa Pisani museo nazionale, di proprietà demaniale, appartiene a tale categoria di beni ed è in consegna alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, che ne cura la gestione con il finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          nonostante il rilievo storico di tale bene, oggi lo stato manutentivo dei locali interni è estremamente lacunoso: stanze chiuse, scarse note didascaliche, pochi oggetti e mobilio esposto (nonostante risulti agli interpellanti che i magazzini ospitino molti oggetti che testimoniano la storia della Villa), guano di piccione nei davanzali, tendaggi strappati, spazi e stanze che risultano restaurate ma chiuse;
          gli spazi esterni poi risultano non gestiti in maniera ottimale o inagibili (parte del giardino, alcune torri di osservazione panoramiche, la coffee house, le mura perimetrali in alcuni tratti a pericolo di cedimento, l'illuminazione esterna e la segnalazione della villa assolutamente inadatte all'importanza storico-architettonica della struttura, e altro);
          nonostante un glorioso passato, poche sono ancora le occasioni importanti di richiamo turistico, e le mostre allestite accolgono un pubblico troppo di nicchia rispetto alle potenzialità di accoglienza della Villa;
          non esiste inoltre alcun incentivo alla fruizione della Villa per i residenti  –:
          quali siano gli elementi contabili del bilancio di tale poco attenta gestione della Villa, i costi di manutenzione, compreso il personale, e le entrate da biglietti e/o da trasferimenti pubblici;
           alla luce della pesante situazione suesposta, se la Soprintendenza competente abbia programmato urgenti interventi o, in caso negativo, se il Ministro non intenda intervenire per adottare i provvedimenti più urgenti, nonché per prevedere un progetto di specifica valorizzazione della Villa che coinvolga più opportunamente il comune di Strà (Venezia) e la regione Veneto.
(2-00540) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Marcolin».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          con interrogazione a risposta in Commissione n.  5-00234 presentata dalla prima firmataria del presente atto, annunciata il 4 giugno 2013, a seguito di crolli avvenuti nell'ala della Reggia di Caserta occupata dalla scuola ufficiali dell'Aeronautica, si chiedeva conto della posizione del Governo e segnatamente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in merito agli atti dei mettere in pratica per arginare la situazione di degrado generale del complesso monumentale;
          nel corpo della risposta del Governo, datata 4 luglio 2013, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo chiariva che «A seguito del crollo di parte del cornicione sommitale della facciata sud del palazzo reale e di parte di una mensola del timpano lapideo di una finestra del 2 piano (lato Aeronautica) della facciata, avvenuti il 24 settembre ed il 4 ottobre 2012, riferisco che sono stati prontamente eseguiti rilievi da parte dei Vigili del fuoco che hanno prescritto il transennamento delle facciate e dei cortili per la salvaguardia della pubblica incolumità dei visitatori e del personale che ogni giorno frequenta il Palazzo[...]. Il Ministero si è inoltre attivato immediatamente per reperire fondi dalla rimodulazione delle somme già stanziate sul programma FESR-POIn 2007-2013 e destinati alle Regioni Obiettivo Convergenza da utilizzare per il restauro delle facciate interessate dai crolli (1o stralcio di 9.300.000,00) e per un intervento di restauro generale di tutti i prospetti dell'edificio (per complessivi 22 milioni di euro). Il progetto di restauro di tali interventi, consegnato alla competente Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, è stato redatto dalla Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici artistici ed etnoantropologici di Caserta e Benevento con la consulenza dell'istituto superiore per la conservazione e il restauro ed il coordinamento del Soprintendente»;
          l'8 maggio 2014 è stata pubblicata da diversi quotidiani locali la notizia che – alcuni giorni prima – è avvenuto un altro crollo, sempre nell'ala occupata dall'Aeronautica militare, di una porzione del tetto che insiste proprio in mezzo a due comignoli oggetto di recenti lavori di somma urgenza;
          il cedimento di una trave ha determinato l'apertura di un grosso foro nella copertura di quella parte della Reggia; ciò mette a serio rischio di danneggiamento e infiltrazioni le camerate sottostanti e – ai piani inferiori – le aule e gli appartamenti storici;
          già un anno fa, come si evince dalla risposta su citata del Ministro pro tempore, è stato preso l'impegno teso al reperimento di un primo stralcio di 9,3 milioni di euro e alla spesa dei complessivi 22 milioni di euro destinati alla ristrutturazione del complesso monumentale;
          nonostante l'impegno formale, sono avvenuti nuovi crolli e lo stato di degrado della Reggia registra un peggioramento notevole  –:
          come il Ministro interpellato intenda intervenire per mettere in sicurezza la struttura, sia nelle parti precedentemente danneggiate che in quelle coinvolte dagli ultimi crolli;
          quali iniziative di competenza intenda assumere per accertare eventuali responsabilità e quali provvedimenti intenda adottare.
(2-00535) «Di Benedetto, Luigi Gallo, Brescia, D'Uva, Simone Valente, Battelli, Marzana, Vacca».

Interrogazione a risposta orale:


      TERZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del comune di Serra San Quirico in provincia di Ancona è attiva dal 1897 la Cava denominata «Cava Gola della Rossa»;
          nel 1997 è stato istituito il parco regionale della Gola della Rossa e di Frasassi il cui confine in corrispondenza della cava è stato tracciato lungo il limitare della zona di coltivazione della stessa;
          già nel 1990 dopo l'apposizione dei vincoli paesaggistici la prosecuzione dell'attività venne autorizzata dalla regione Marche solo come progetto di recupero ambientale;
          nel 2007 è stato infine approvato un piano che prevedeva il trasferimento dell'attività da cielo aperto in galleria, ma ad oggi al progetto, che corrisponde alle indicazioni del piano provinciale delle attività estrattive, non sono seguite azioni concrete da parte del gestore della cava;
          nel 2009 in seguito ad attività estrattive non conformi al piano e quindi non autorizzate, sono state elevate due sanzioni amministrative pari a 2.215.222,80 euro per la Cava Gola della Rossa e di 331.895.20 euro per la cava FATMA;
          nei primi giorni di maggio diverse associazioni sulla base di osservazioni e rilievi hanno denunciato un ampliamento delle aree di escavazione con conseguente invasione dell'area del parco;
          nel sito in oggetto insistono diversi vincoli:
              un vincolo paesaggistico in base alla legge n.  1497 del 1939 ed al codice dei beni culturali e del paesaggio;
              un vincolo regionale come area floristica protetta;
              un vincolo idrogeologico;
              un vincolo europeo in quanto l'area rientra nel sistema della Rete Natura 2000 sia come sito di interesse comunitario (SIC) che come zona a protezione speciale (ZPS)  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
          quali iniziative cautelative di competenza si intendano intraprendere al fine di tutelare il paesaggio e il territorio nel quale insiste la Cava Gola della Rossa. (3-00828)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      AGOSTINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel comune di San Quirico in provincia di Ancona vi è la cava detta «della Gola Rossa» da cui si estrae calcare;
          dopo le contestazioni dei primi anni ottanta, che hanno riguardato detta località e la successiva apposizione dei vincoli nel 1985, la regione Marche ha approvato la prosecuzione dei lavori al sol fine di ottenere un recupero ambientale. Tutto questo ha portato, anche, molto dopo (nel 2007), alla approvazione di un progetto di trasferimento dell'attività da «cielo aperto» in galleria, così come risulta dal piano provinciale delle attività estrattive, piano a cui, ad oggi, non è stata data attuazione. Inoltre, in base alla legge regionale 1o dicembre 1997, n.  71, il tipo di calcare estratto da detta cava dovrebbe essere utilizzato nei settori di mercato ad alto livello di valore aggiunto, laddove, invece anche per le autorizzazioni rilasciate dalla provincia di Ancona non sembrerebbe essere rispettato il disposto normativo;
          sulla Gola della Rossa insistono, ad oggi, un vincolo paesaggistico, in base alla legge n.  1497 del 1939 ed al codice dei beni culturali e del paesaggio, un vincolo regionale, come area floristica protetta, ed un vincolo idrogeologico, nonché due vincoli europei come area SIC e come zona di protezione speciale;
          ogni nuova escavazione, per il fatto stesso di rientrare in zona soggetta a vincolo, renderebbe necessario un intervento ulteriore anche della Soprintendenza che provveda con relativa autorizzazione;
          già nel 2009 sono state disposte due sanzioni amministrative per l'escavazione non autorizzata di 2 milioni di euro e di circa duecentoquindici euro per la cava Gola della Rossa e di circa trecentotrentuno euro per la cava della FATMA;
          da diverse testimonianze riportate da alcune associazioni locali, nonché da rilievi fotografici risulta, che sarebbe in corso un ampliamento delle aree in cui vengono effettuate estrazioni nella cava della Gola della Rossa, vicino ad Ancona attorno alla quale si estende il territorio protetto del Parco della Gola della Rossa e della Gola di Frasassi. Precisamente sembrerebbe che vi sia stato un ampliamento nella parte più alta della stessa cava tale da estendersi fino al parco della Gola Rossa (fonte: www.viverefabriano.it)  –:
          se il Governo sia a conoscenza del fatto che siano in corso tali escavazioni e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo. (5-02789)


      DA VILLA, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO, SPESSOTTO, D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la città di Venezia è caratterizzata complessivamente da vincoli storici, artistici, architettonici e paesaggistici in forza di una complessa e stratificata normativa nazionale e regionale. Lo stesso vale per l'intero ecosistema lagunare (laguna, isole e fasce di gronda). Si ricordino in particolare, la legislazione speciale per Venezia, il codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n.  42 del 2004), il decreto ministeriale del 1o agosto 1985 a cui è succeduto il PALAV, adottato con delibera della giunta regionale n.  7091 del 23 dicembre 1986;
          la città di Venezia è riconosciuta come patrimonio dell'UNESCO; va ricordato, a tal proposito, che alcuni anni fa il National Geographic ha affidato ad una commissione di studiosi l'analisi di tutti i siti protetti e tale ricerca ha fornito un risultato piuttosto grave: il capoluogo lagunare è una delle realtà peggio gestite;
          la sovrintendente per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e della laguna, l'architetto Renata Codello, ha reso numerosi pareri favorevoli in questi ultimi anni che hanno suscitato notevoli polemiche a causa della dubbia tutela di beni culturali e paesaggio;
          basti qui ricordare i seguenti casi:
              a) villette da costruire nell'oasi di Ca’ Roman (area SIC) al Lido;
              b) maxi-imbarcaderi per vaporetti, di colore grigio, al Lido e in Riva degli Schiavoni che ostruiscono la vista della laguna, criticati pesantemente dall'ex Soprintendente al Polo Museale, Vittorio Sgarbi, il quale ha detto a tal proposito: «...sono troppo grandi, una specie di transatlantico, evidentemente pensati da un architetto e non da una persona normale. E poi il disegno di un pontile deve essere fatto sul tema della bricola, in legno e non in metallo patinato»;
              c) progetto dell'architetto olandese Rem Koolhaas sul Fontego dei Tedeschi, parzialmente rivisto ma pur sempre impattante per le scale mobili che andranno a «bucare» i vari piani dell'edificio e per la terrazza che si ricaverà «tagliando» una parte del tetto. Nei confronti del parere della Soprintendenza e degli atti autorizzativi pende un ricorso al Tar del Veneto, proposto da ITALIA NOSTRA;
              d) raddoppio dell'hotel Santa Chiara, con struttura in vetro, acciaio e cemento, prospiciente il Canal Grande;
              e) progetto del nuovo Ponte dell'Accademia, proposto dall'impresa Schiavina, poi bloccato dal Ministero;
              f) progetto di una mega villetta in vetro e cemento (di proprietà, secondo la stampa locale, di un noto politico) nell'isola di Torcello, poi bloccata dal sindaco per le proteste a livello nazionale;
              g) approvazione del famoso «gabbiotto» in piazza San Marco, a ridosso del campanile, come pure di altre installazioni temporanee ma pur sempre impattanti per il paesaggio veneziano;
              h) progetti vari presentati dal dottor Spaziante nell'isola del Lido, in qualità di «commissario delegato per la realizzazione del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi di Venezia», ottenendo peraltro magrissimi risultati (l'estinzione della sanità al Lido, creazione del «buco» da 37 milioni di euro al posto della splendida pineta preesistente e dell'immaginato Nuovo Palazzo del Cinema, distruzione della gradinata del Palazzo dell'ex Casinò, la mancata tutela dei resti del Forte austriaco rinvenuto) e con l'espropriazione di fatto di tutte le funzioni urbanistiche del comune;
              i) approvazione di villette ed albergo nel Forte Malamocco (vincolo monumentale) al Lido;
              l) demolizione di alcuni padiglioni dell'ex Ospedale al Mare nonché realizzazione di parcheggi a raso e maxi-darsena al Lido;
              m) costruzione di villette e torri (bloccate da ENAC) sul parco della Favorita al Lido;
              n) nuove costruzioni con garage sotterraneo e distruzione del patrimonio arboreo esistente al Parco delle Rose al Lido;
              o) trasformazione parziale dell'hotel Des Bains al Lido da albergo ad alloggi;
              p) intervento di pulizia dei marmi delle balaustre del Ponte di Rialto con spazzole di ferro che, secondo alcuni restauratori, potrebbe anche aver determinato la perdita di materiali lapidei originali;
              q) intervento di ristrutturazione, con aumento di volumetria per piano casa, all'ex Standa di Mestre con deturpazione dei coni visuali dell'attigua Villa Erizzo-Bianchini a Mestre (risalente al 1770);
          la Soprintendente non ha invece, a quanto consta agli interroganti, proferito parola su alcuni macro-temi, particolarmente importanti per la città lagunare al punto da snaturarne l'essenza. Ci si riferisce, in particolare, alla questione del moto ondoso, a quella della trasformazione di palazzi storici in hotel e centri commerciali, con l'espulsione progressiva di abitanti dal centro storico, nonché del passaggio delle grandi navi da crociera attraverso il canale della Giudecca, e quindi a poche decine di metri da Piazza San Marco. Unica presa di posizione si è avuta con una video-intervista, rilasciata ad una emittente austriaca (su Youtube), in cui la stessa funzionaria minimizzava l'impatto del passaggio delle grandi navi, giungendo a dichiarare che «... nessuna nave entra nel canale della Giudecca con i motori accesi, al contrario viene semplicemente trascinata da dei rimorchiatori e quindi la sua mole non crea autonomamente una serie di fenomeni meccanici in profondità ... non hanno le eliche accese e non provocano grandi fenomeni di erosione...». Poi, a giudizio degli interroganti sfiorando il ridicolo, dichiarava che le navi sarebbero «trainate» anche se i rimorchiatori, come accade spesso, sono posizionati posteriormente ad esse (in realtà, i rimorchiatori frenano la nave che ha i motori accesi ma viaggia molto lentamente);
          quest'ultimo problema ha suscitato, in ragione anche dei recenti incidenti all'isola del Giglio e al Porto di Genova, notevole clamore mediatico. Di conseguenza, l'assoluta mancanza di incisività della Soprintendente, alla quale si aggiunge la sua infelice intervista, è stata bersaglio di accese critiche da parte di stampa e associazioni ambientaliste. Per tutta risposta, l'architetto Codello ha proposto, dinnanzi al giudice civile, una causa di risarcimento del danno per 200 mila euro, nei confronti del Corriere della Sera e del suo editorialista Gianantonio Stella, delle associazioni ambientaliste LIPU e ITALIA NOSTRA nonché, infine, di Luciano Mazzolin dell'associazione AMBIENTE VENEZIA. Tuttavia, i rilievi e le accuse mosse verso la soprintendente appaiono, agli interroganti, circostanziati ed attinenti a fatti realmente accaduti. Inoltre non si comprende come possa un alto funzionario dello Stato, quale l'architetto Codello, agitare l'arma del risarcimento danni per rendere silenti il diritto di cronaca e quello di critica, entrambi tutelati dall'articolo 21 della Costituzione;
          a seguito del rilievo formale, fatto dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto, n.  1722 del 18 marzo 2013, in merito ai vizi dell'attribuzione dell'incarico alla suddetta Soprintendenza (e di molte altre), il Ministero dei beni e delle attività culturali ha avviato il procedimento d'interpello per la riassegnazione della funzione con la circolare n.  179 del 13 maggio 2013. In tale bando si specifica che, nella valutazione comparativa dei curricula presentati, «si dovrà tenere conto ... delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione...» e ancora, nell'allegata «scheda di valutazione» si rinviene tra gli obbiettivi la «tutela del paesaggio con particolare riferimento all'attività di co-pianificazione paesaggistica». L'incarico è stato riassegnato da alcuni mesi all'architetto Codello ma ciò non esclude un eventuale riesame dell'intera questione «Venezia»  –:
          se il Ministero abbia autorizzato e/o avallato, in qualche modo, l'azione civile proposta dalla Soprintendente nei confronti di giornalisti e associazioni nazionali di tutela ambientale citate e se non si ritenga lesiva dell'immagine del Ministero nonché dei diritti di cronaca e critica politica la proposizione di detta causa;
          se, alla luce di tutti i fatti sopra descritti, non ritenga opportuno procedere ad una verifica ispettiva presso la Soprintendenza dei beni ambientali di Venezia nonché, se del caso, alla revoca/riesame del provvedimento di riassegnazione dell'incarico all'attuale Soprintendente.
(5-02790)


      DA VILLA, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO, SPESSOTTO, D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n.  42 del 22 gennaio 2004 «Codice dei beni culturali e del Paesaggio» stabilisce che «al fine di garantire l'esercizio unitario delle funzioni di tutela, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le funzioni stesse sono attribuite al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di seguito denominato «Ministero», che le esercita direttamente o ne può conferire l'esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento ai sensi dell'articolo 5, commi 3 e 4 (...)»;
          l'articolo 146, comma 6, dispone poi che «La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l'esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull'ordinamento degli enti locali, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico – scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico – edilizia»;
          lo stesso articolo 146 chiarisce i compiti attribuiti a tali organi per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. In particolare, al comma 3, si afferma che «La documentazione a corredo del progetto è preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato» e al comma 7: «...l'amministrazione verifica se l'istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso. Entro quaranta giorni dalla ricezione dell'istanza, l'amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell'intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall'interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché dando comunicazione all'interessato dell'inizio del procedimento...»;
          i successivi commi 8 e 9 illustrano i passaggi procedurali tra amministrazione competente (la regione o l'ente locale delegato) e la Soprintendenza stabilendo che quest'ultima «rende il parere limitatamente alla compatibilità paesaggistica... entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti» e poi, entro 20 giorni, l'amministrazione rilascia l'autorizzazione o il preavviso di rigetto dell'istanza. Se tuttavia la Soprintendenza non si esprime entro i 45 giorni allora l'amministrazione potrà indire una conferenza di servizi e «spingerla» a parteciparvi o a rendere comunque un parere scritto entro 15 giorni. In ogni caso, decorso il periodo di 60 giorni (45+15), l'amministrazione potrà rilasciare o meno l'autorizzazione sulla base della sua sola istruttoria;
          nella delibera della Giunta regionale Veneto n.  835 del 15 marzo 2010 sono dettati gli «Indirizzi in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnica/scientifica per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche articolo 146 comma 6 del decreto legislativo 42 del 2004». Per l'attuazione della delega occorre, in particolare, che – «la responsabilità del procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica sia posta in capo ad un soggetto diverso dal responsabile del procedimento urbanistico – edilizio, anche se appartenente alla medesima struttura organizzativa; – il/i soggetto/i che svolge/ono l'istruttoria sia/siano in possesso di appropriati requisiti di competenza ed esperienza»;
          con lettera del 6 luglio 2010, a firma del sindaco Giorgio Orsoni, il comune di Venezia ha comunicato alla regione una terna di nomi a cui è stato deciso di affidare i compiti relativi ad istruttoria e rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Tale designazione è stata ritenuta idonea al conferimento della delega in materia;
          i nomi espressi dal sindaco per la nuova struttura, competente per le istruttorie paesaggistiche e, soprattutto, per la stesura della relazione di accompagnamento dei documenti alla Soprintendenza, corrispondono a tre funzionari comunali che non sembrano corrispondere al profilo delineato dal codice Urbani all'articolo l46 comma 6 («adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche»), e dalla regione («appropriati requisiti di competenza ed esperienza»). Trattasi infatti di due geometri e di un perito industriale che si sono occupati, fino alla nomina, di edilizia privata e che risultano subordinati, gerarchicamente, al dirigente della direzione sviluppo del territorio e urbanistica rispetto al quale dovrebbero invece essere indipendenti;
          la città di Venezia è riconosciuta come patrimonio dell'UNESCO. Va ricordato, a tal proposito, che alcuni anni fa il National Geographic ha affidato ad una commissione di studiosi l'analisi di tutti i siti protetti e tale ricerca ha fornito un risultato piuttosto grave: il capoluogo lagunare è una delle realtà peggio gestite;
          l'università italiana offre alcuni corsi di laurea (architettura, storia, conservazione beni culturali, scienze ambientali) che potrebbero rivelarsi ben più utili, per lo studio e il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche, rispetto a un diploma di scuola media superiore;
          nell'ipotesi di carenza di personale o di eccessivo carico di lavoro presso la Soprintendenza di Venezia, sarà compito dei tre funzionari di cui sopra formulare le autorizzazioni paesaggistiche o comunque prepararne l'istruttoria che, in ogni caso, costituisce un elemento importante del procedimento e che se condotta male potrebbe inficiarne l'esito finale;
          la questione è stata posta anche in sede comunale (a mezzo d'interpellanza del consigliere GAVAGNIN n.  24 del 28 febbraio 2014) ma la risposta fornita dall'amministrazione ha confermato l'incompetenza dei soggetti indicati nonché la «confusione» dei ruoli tra tutela paesaggistica e funzioni urbanistico – edilizie: l'assessore ha infatti sostanzialmente ammesso che la valutazione paesaggistica viene attuata col parere reso in sede di commissione edilizia integrata, eludendo così la legge regionale. Inoltre tale organo è meramente consultivo articoli 29 e seguenti del regolamento edilizio), facoltativo e i relativi componenti non sembrano avere le necessarie competenze tecniche;
          inoltre, risulta lampante la subordinazione gerarchica dei funzionari e degli uffici incaricati: infatti la responsabilità dei procedimenti paesaggistici è attribuita agli uffici «atti autorizzativi terraferma», «atti autorizzativi centro storico 1» e «atti autorizzativi centro storico 2» incardinati rispettivamente nel «settore sportello per l'edilizia – terraferma» e nel «settore sportello per l'edilizia – centro storico ed isole», tutti interni alla «direzione sviluppo del territorio ed edilizia», come risulta dal relativo organigramma e dalla declaratoria delle funzioni pubblicati nel sito internet dell'amministrazione comunale. Infine, nel concreto, gli atti di autorizzazione paesaggistica risultano emessi dal dirigente del settore sportello per l'edilizia (terraferma, ovvero centro storico ed isole)  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, nel rispetto delle competenze degli enti locali interessati, il Governo intenda adottare al fine di garantire realmente la tutela dei beni culturali e del paesaggio in una città preziosissima ed unica come Venezia.
(5-02791)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:


      DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'attuale fase è caratterizzata dai profondi processi di riorganizzazione conseguenti alla approvazione dei decreti legislativi attuativi della legge n.  1244 del 2012, che dovrebbero necessitare del massimo confronto dialettico possibile tra l'Amministrazione e le rappresentanze del personale ai vari livelli di contrattazione;
          da qualche tempo, presso il Centro polifunzionale di sperimentazione di Montelibretti, ente di notevole rilievo per la specificità delle attività istituzionali nell'ambito dell'Esercito, è in atto un aspro conflitto tra la direzione e gran parte delle parti sociali e dei lavoratori. Tutto questo in seguito ad una lunga serie di direttive e provvedimenti adottati dalla direzione, a quanto consta all'interrogante senza alcun confronto ed in taluni casi senza la basilare informazione degli stessi;
          in particolare è da stigmatizzare il mancato del confronto in merito ai processi di riorganizzazione che investono l'ente e la rideterminazione degli organici dello stesso;
          le problematiche sopra esposte sono già state rappresentate, da alcune organizzazioni sindacali, sia nell'incontro avvenuto in data 27 febbraio 2014 con i rappresentanti di SME – RPGF e DIPE che nella riunione con il Capo di stato maggiore dell'Esercito avvenuta in data 18 marzo 2014  –:
          se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, per ripristinare le indispensabili, corrette e proficue relazioni sindacali presso il Centro polifunzionale di Montelibretti. (5-02786)


      MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito di un'intervista concessa ad un noto quotidiano nazionale il Ministro interrogato ha affermato, con riferimento alla crisi in atto in Ucraina: «la situazione è molto preoccupante e il Governo non la sottovaluta. Detto questo — e ne ho parlato anche con il Ministro degli affari esteri — non possiamo stare a guardare. Certo, senza agire da soli, ma attraverso l'Onu, la Nato e l'Unione europea»;
          il coinvolgimento di Onu, Nato ed Unione europea sostanzia in realtà almeno due ipotesi differenti, se non tre. Non è in particolare chiaro se il Governo ritenga o meno precondizione necessaria allo schieramento di unità militari in Ucraina la sussistenza di un mandato delle Nazioni Unite;
          né è evidente se il Governo italiano intenda o meno salvaguardare il diritto di tutti gli ucraini ad autodeterminare il proprio destino;
          il Ministro ha altresì aggiunto: «parlare dell'invio di peacekeepers è prematuro, ma dobbiamo essere pronti»;
          il Ministro non ha peraltro chiarito a cosa ci si debba preparare  –:
          se il Governo pensi effettivamente di mettere a disposizione truppe italiane per interporle tra le fazioni che si affrontano attualmente nell'Ucraina orientale e meridionale. (5-02787)


      CORDA e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in un comunicato diffuso l'8 maggio 2014 dal titolo «MISE e Marina Militare insieme per la salvaguardia delle risorse nazionali e degli impianti di estrazione di idrocarburi a mare» si apprende che è diventato operativo «l'Accordo di cooperazione siglato tra Ministero dello sviluppo economico e Marina Militare, per rafforzare la salvaguardia delle risorse nazionali e degli impianti di estrazione di idrocarburi a mare»;    
          la Marina militare metterà a disposizione risorse umane e mezzi per la vigilanza sugli impianti con particolare riguardo alle aree marine lontane dalla costa e alle acque profonde, per il supporto attività di controllo della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello sviluppo economico;
          la collaborazione prevede la condivisione delle informazioni e dei dati di rispettivo interesse, inclusi quelli disponibili presso l'istituto idrografico della Marina militare;
          l'Accordo a cui si fa riferimento a giudizio degli interroganti non è stato sufficientemente reso noto, così come sono ignote le aree d'intervento della Marina militare e se il dispiegamento dei suoi mezzi avvenga – come si desume – in acque internazionali o in acque territoriali eventualmente contese con altri Stati  –:
          quali siano i caratteri di tale Accordo di cooperazione con riferimento al costo dell'operazione, alla sua durata e ai mezzi ed uomini di cui avrà necessità. (5-02788)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          la delibera della giunta regionale del Lazio 1614/2001 recante «Disposizioni normative per i soggetti affetti da nefropatie in trattamento dialitico» prevede che le ASL, qualora l'assistito sia nell'impossibilità di raggiungere i centri di cura con mezzi di trasporto pubblico e/o privato, debbano provvedere con mezzi idonei: pulmini collettivi e autolettighe;
          non tutte le ASL sono tuttavia dotate di tali servizi, e in ogni caso, ove esistenti, spesso risultano insoddisfacenti a causa del numero esiguo di persone trasportabili definite dagli importi delle gare d'appalto;
          la regione Lazio prevede, per i residenti con la documentazione secondo la normativa, la possibilità di richiedere alla ASL di appartenenza i contributi per il viaggio con mezzo pubblico, il viaggio mediante auto privata, per il trasporto mediante autovettura con un accompagnatore familiare, per il trasporto mediante auto pubbliche (taxi), pulmino collettivo e autolettiga;
          tra le realtà impegnate su questa delicata problematica figurano l'Associazione Lazio Dializzati Onlus, organizzazione operante a Latina, che effettuano servizio di trasporto con pulmino e ambulanza da e per i centri dialisi pubblici (ospedale S. Maria Goretti), nonché pubblici/privati di Latina città e provincia, con passaggi su Roma;
          da notizie di stampa risulta che su un'ambulanza delle citate Onlus – come noto, in quanto organizzazione non lucrativa d'utilità sociale, anche destinataria del 5 per mille – sarebbe stato affisso materiale elettorale a sostegno di un candidato del «Nuovo Centro Destra» al Parlamento europeo;
          i pulmini e le ambulanze, come intuibile, entrano ed escono dagli ospedali e da strutture sanitarie private più volte al giorno, trasportando numerosi pazienti, soprattutto anziani con pluripatologie che, usufruendo per necessità del servizio di trasporto delle citate associazioni, di troverebbero, di fatto – e anche loro malgrado – a fare campagna elettorale per un candidato alle elezioni europee;
          il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n.  460, recante «Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale» prevede che le ONLUS debbano perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale o comunque finalità inerenti a quelle di solidarietà sociale;
          è del tutto evidente che la propaganda elettorale non rientra tra le attività, in ogni caso esulando dalle finalità di solidarietà sociale caratterizzanti le Onlus, peraltro espressamente indicate all'articolo 10 del decreto legislativo n.  460 del 1997  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto descritto in premessa e quali siano gli orientamenti in proposito;
          se non ritenga di dover intervenire con urgenza in relazione ad una situazione che appare in contrasto con quanto previsto dalla legge 460 del 1997 e che vede pazienti utenti del servizio di trasporto delle due Onlus citate effettuare, di fatto, campagna elettorale per un candidato alle elezioni europee, indipendentemente dalla loro volontà;
          in caso affermativo, quale tipo di iniziativa intenda intraprendere e con quali tempi.
(2-00542) «Costantino, Piazzoni, Migliore, Duranti, Pilozzi, Ricciatti».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


      GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN e OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 28 dicembre 2013, n.  149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n.  13, ha abolito il finanziamento diretto ai partiti e ha introdotto, invece, un sistema di contribuzione volontaria;
          l'articolo 12 ha previsto, in particolare, che ciascun contribuente possa destinare il due per mille della propria Irpef a favore di un partito politico, secondo un meccanismo che si basa esclusivamente sulla base delle scelte effettuate dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi ovvero, per i contribuenti esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione, mediante la compilazione di una scheda recante l'elenco dei soggetti aventi diritto;
          per il 2014 le scelte possono essere effettuate esclusivamente mediante l'utilizzo della scheda predisposta dall'Agenzia delle entrate, con presentazione cartacea, attraverso la spedizione al sostituto d'imposta che presta assistenza fiscale, ai soggetti incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.  322 (Caf e altri intermediari) o presso gli uffici postali secondo modalità specifiche di preparazione della busta, oppure con presentazione telematica, ma l'aggiornamento del software necessario per inserire la scelta della destinazione del due per mille dell'Irpef ancora non è operativo, per cui i contribuenti che già stanno facendo le dichiarazioni dei redditi presso i centri di assistenza fiscale o altri intermediari non possono effettuare la scelta;
          tale ritardo nell'aggiornamento del software utilizzato dai centri di assistenza fiscale e dagli altri intermediari abilitati alla trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate delle dichiarazioni fiscali, che rappresentano il metodo maggiormente utilizzato dai contribuenti per effettuare la dichiarazione dei redditi, rischia di rivelarsi notevolmente pregiudizievole per i partiti politici aventi diritto a ricevere il due per mille, che, come noto, non godono più di un sistema di finanziamento diretto e che devono ora trovare finanziamenti su base volontaria, vanificando così l'efficacia di uno degli strumenti individuati, quale quello dell'articolo 12 del decreto-legge n.  149 del 2013;
          l'invio cartaceo della scheda predisposta dall'Agenzia delle entrate, secondo le modalità stabilite, unica possibilità prevista allo stato attuale per consentire al contribuente di esprimere la propria volontà sul contributo volontario del due per mille dell'Irpef in favore dei partiti politici, finirà per risolversi in un nulla di fatto ad avviso degli interroganti  –:
          quando i soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.  322 (Caf e altri intermediari), saranno messi in condizione di lavorare con il software aggiornato per acquisire anche la scelta della destinazione volontaria del due per mille dell'Irpef in favore dei partiti politici e se ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere una proroga dei termini per la consegna, sia cartacea sia telematica, della relativa scheda, visto il notevole ritardo impiegato nell'aggiornamento del software. (5-02781)


      CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo il Bollettino delle entrate tributarie n.  145, pubblicato il 5 maggio 2014, dal Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze –, le entrate tributarie erariali, nel periodo gennaio-marzo 2014 accertate in base al criterio della competenza giuridica, ammontano a circa 89 miliardi di euro, registrando una crescita tendenziale dell'1,8 per cento (pari a 1,53 miliardi di euro), rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
          per quanto riguarda le imposte indirette si registra un gettito pari a 39,9 miliardi di euro, con un incremento del 6,5 per cento (pari a 2,45 miliardi di euro) rispetto al primo trimestre dello scorso anno;
          l'incremento delle imposte indirette è spiegato in parte dall'andamento del gettito IVA, che risulta in crescita del 4,4 per cento (pari a 894 milioni di euro);
          in particolare, continua l'aumento della componente relativa agli scambi interni pari al 7,3 per cento (pari a 1,23 miliardi di euro) che va avanti da alcuni mesi e che compensa la dinamica negativa che si osserva sulla componente delle importazioni pari a meno 9,7 per cento (equivalente a meno 333 milioni di euro);
          all'aumento della componente relativa agli scambi interni ha contribuito l'incremento dell'aliquota ordinaria dell'Iva dal 21 al 22 per cento, entrata in vigore dal 1o ottobre 2013, ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge 28 giugno 2013, n.  76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  99, come anche le disposizioni inizialmente introdotte dal decreto-legge 8 aprile 2013, n.  35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n.  64, per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, arricchite dal 29 novembre 2013 con le informazioni sull'attuazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n, 124, con il quale il Governo ha stanziato ulteriori 7,2 miliardi di euro per il 2013;
          secondo quanto riportato dai Ministero dell'economia e delle finanze nella pagina del sito internet dello stesso Ministero dedicata alle informazioni sul monitoraggio del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione ai soggetti creditori (persone fisiche e giuridiche), l'impatto del citato decreto-legge n, 35 del 2013 è quantificabile in circa 40 miliardi per il biennio 2013-2014, pari a quasi 2,5 punti percentuali di prodotto interno lordo. A questa prima fase il Governo ha fatto seguire una seconda fase, con il citato decreto-legge n.  102 del 31 agosto scorso, con il quale sono stati incrementati, come detto, i pagamenti previsti per il 2013 per 7,2 miliardi, senza ridurre quelli attesi per il 2014; complessivamente lo Stato ha quindi messo a disposizione per il pagamento di debiti arretrati al 31 dicembre 2012 l'importo di 47 miliardi da esaurire in 12 mesi;
          le risorse erogate agli enti debitori alla data del 28 marzo risultano pari complessivamente a 25 miliardi di euro (il 92 per cento delle risorse stanziate): le stime dei pagamenti effettuati dagli enti debitori ai soggetti creditori su queste risorse sono pari a 23,5 miliardi di euro (l'86 per cento del totale, il 94 per cento delle risorse erogate)  –:
          se l'aumento del gettito IVA dipenda unicamente dall'aumento dell'aliquota ordinaria, oppure se siano significative anche altre cause, fra cui lo sblocco dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione fin qui attuato. (5-02782)


      BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la legge di stabilità 2014 ha introdotto il tributo sui servizi comunali articolato in due componenti, ovvero la TASI, diretta alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti e la TASI, finalizzata alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
          il decreto-legge 6 marzo 2014, n, 16, recante disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche, ha rivisto alcune disposizioni, anche con riferimento alla TASI;
          tra le modifiche introdotte, si stabilisce che la TASI deve essere pagata in due rate, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre, in analogia a quanto previsto per l'IMU dall'articolo 9, comma 3, del decreto sul federalismo municipale (decreto legislativo n.  23 del 2011) e che il versamento della prima rata TASI è eseguito sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi precedenti, mentre il saldo deve tenere conto degli atti pubblicati dal comune entro il 28 ottobre; in questo senso spetta ai comuni inserire, nell'apposita sezione del portale del federalismo fiscale, gli elementi risultanti dalle delibere;
          per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014, il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota TASI minima (pari all'1 per mille), qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, e il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale;
          per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il primo anno di applicazione della TASI, il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni; a tal fine il comune deve inviare la predetta deliberazione, esclusivamente in via telematica, nell'apposita sezione del portale del federalismo fiscale, entro il 23 maggio 2014;
          quest'ultimo termine del 23 maggio pare difficilmente rispettabile, sia perché il termine per l'approvazione dei bilanci previsionali 2014 è fissato oggi a luglio, ovvero successivo di tre mesi alla scadenza di maggio, sia perché sono numerosi gli enti comunali che il 25 maggio 2014 vedranno rinnovarsi i propri consigli comunali; tali enti, che possono adottare solo atti urgenti e improrogabili, se dovessero adempiere a tale operazione, rispetterebbero sì un termine di legge ma nel contempo condizionerebbero la nuova amministrazione;
          il combinato disposto delle norme vigenti rischia di creare evidenti complicazioni, in particolare per gli immobili diversi dalle abitazioni principali, come per gli enti dove l'aliquota IMU è già fissata al massimo, e che non hanno pertanto possibilità di introdurre la Tasi sulle seconde case, così da dover presumibilmente aumentare l'aliquota sulle prime case, ovvero per gli enti che intendono azzerare l'aliquota per specifiche tipologie di immobili, con conseguenti problemi legati a richieste di rimborso;
          non pare sia stato inoltre adeguatamente considerato nella normativa vigente il fatto che la quota della Tasi che va pagata anche dall'occupante nella misura compresa tra il 10 e il 30 per cento, deve essere stabilita con regolamento comunale, in assenza del quale verranno a mancare le condizioni per effettuare il pagamento dell'acconto;
          dal momento che, infatti, gli immobili locati non possono essere considerati abitazioni principali, l'acconto è dovuto in ogni caso entro il 16 giugno, ad aliquota base o con la diversa aliquota decisa dal comune, ma se il comune non ha ancora deliberato, non è possibile conoscere la misura del tributo che resta a carico del proprietario e quella che, invece, è dovuta dal locatario  –:
          se il Governo non ritenga opportuno fornire gli opportuni chiarimenti viste le obiettive difficoltà per i comuni di adottare entro il termine del 23 maggio 2014 la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni della TASI alla luce di quanto premesso, e se non ritenga altresì di valutare la possibilità, in mancanza di una diversa decisione assunta a livello comunale, di adottare un'iniziativa normativa che estenda agli immobili locati lo stesso regime previsto per le prime case, consentendo, nei comuni che non deliberano in tempo, di pagare l'intero importo del tributo con il saldo di dicembre 2014. (5-02783)


      PAGLIA e LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi giorni gira insistentemente su alcuni organi di stampa la notizia secondo la quale il Governo Renzi, al fine di procacciarsi le risorse finanziarie per onorare gli impegni assunti con recenti provvedimenti, accarezzerebbe l'idea di riproporre un condono fiscale del tutto simile a quello che il Governo Berlusconi, mediante un accordo con la Svizzera, aveva messo a punto nel 2011 per ridurre il debito pubblico e rafforzare il sistema finanziario italiano;
          la proposta in questione, che, sempre secondo le stesse testate giornalistiche il Governo Renzi intenderebbe estendere anche a tutti gli altri paradisi fiscali, si inserisce in un indirizzo iniziato nel 2009 con gli accordi sottoscritti fra Germania e Regno Unito da una parte e Svizzera dall'altra, e che stabilivano che i detentori dei capitali depositati nelle banche elvetiche con operazioni irregolari, non avendoli dichiarati alle autorità fiscali competenti in patria, non sarebbero stati sanzionati con pene detentive o pecuniarie, ma avrebbero potuto sanare la propria posizione attraverso l'impegno a pagare annualmente una cedolare secca sulle somme in questione; più precisamente, il Governo svizzero si sarebbe impegnato a far rispettare alle proprie banche tale accordo, dietro il prelievo alla fonte a favore delle autorità fiscali dei Paesi d'origine, del 27 per cento su interessi, dividendi, plusvalenze di titoli e quote di fondi di investimento;
          nel 2011 un gruppo di economisti aveva calcolato che qualora la suddetta convenzione con la Svizzera l'avesse sottoscritta anche l'Italia, avrebbe potuto rendere all'erario oltre 25 miliardi di euro una tantum e 4 miliardi a regime;
          ad aggravare il quadro sembrerebbe farsi strada l'ipotesi secondo cui il Governo Renzi intenderebbe estendere l'operazione condonistica anche ai capitali nascosti da tempo in altri paradisi fiscali, non solo in Svizzera, beneficiando anche le società «esterovestite» proprietarie di immobili in Italia;
          il carattere «premiale» della legislazione di condono, finalizzata ad offrire al soggetto obbligato la scelta tra il mantenersi nella posizione di inadempienza, comunque determinata o motivata, ovvero di avvalersi della facoltà di estinguere la propria posizione debitoria mediante un pagamento agevolato ed in tempi definiti, crea un effetto sistemico idoneo ad aumentare il fenomeno dell'evasione, poiché genera, nel tempo, negli evasori la non infondata convinzione di una possibile futura impunità fiscale, con le disastrose conseguenze sul fronte del gettito erariale che tutti conoscono e come dimostrano anche gli effetti fallimentari dei passati condoni;
          qualsiasi atto di clemenza generalizzata, oltre ad offendere i contribuenti onesti, costituisce una esecrabile manifestazione di impotenza dello Stato, soprattutto se finalizzato a reperire risorse finanziarie, a ridurre il contenzioso con i contribuenti ed a contrastare efficacemente la dilagante piaga dell'evasione fiscale, pur se essenzialmente diretto a soddisfare l'interesse costituzionale all'acquisizione delle disponibilità finanziarie necessarie a sostenere le pubbliche spese, incentivando la definizione semplificata e spedita delle pendenze fiscali mediante il parziale pagamento del debito tributario;
          quali siano le reali intenzioni del Governo in merito all'adozione di una futura iniziativa che contempli una definizione agevolata in termini condonistici per quei contribuenti che hanno illecitamente costituito o detenuto attività finanziarie fuori dal territorio dello Stato e scelta che si pone così evidente contrasto con quanto sinora ipotizzato e concordato il Parlamento in termini di voluntary disclosure. (5-02784)


      CANCELLERI, VILLAROSA, RUOCCO, PESCO, ALBERTI, PISANO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n.  122, ha introdotto l'obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'IVA, di importo non inferiore a 3.000 euro (così detto «spesometro»);
          la funzione di tale previsione – come espressamente indicato nella relazione al decreto istitutivo – è quella di «rafforzare gli strumenti a disposizione dell'amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei comportamenti fraudolenti soprattutto in materia di IVA (frodi “carosello” e false fatturazioni) ma anche in ambito di imposizione sul reddito»; la relazione specifica, inoltre che: «la disponibilità dei dati agevolerà, infatti, una più puntuale ricostruzione della congruità dei volumi d'affari e dei costi dichiarati dai contribuenti»;
          con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2010, come modificato dal provvedimento del 14 aprile 2011, sono stati individuati i soggetti obbligati alla comunicazione, tra i quali rientrano anche gli enti non commerciali, limitatamente alle operazioni effettuate nell'esercizio di attività commerciali o agricole, ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633;
          nella più ampia categoria degli enti non commerciali sono annoverate anche le associazioni senza finalità di lucro di cui all'articolo 148 del testo unico del 22 dicembre 1986 n.  917; a queste ultime è concesso, previa opzione, di beneficiare del regime di favore previsto dalla legge 16 dicembre 1991, n.  398, con facoltà di determinare in maniera forfettaria il reddito imponibile e l'iva relative alle attività commerciali eventualmente svolte;
          nello specifico, l'adesione al summenzionato regime consente alle associazioni beneficiarie di calcolare l'iva a debito verso l'erario applicando all'imposta dovuta sulle operazioni attive l'abbattimento forfettario del 50 per cento (percentuale che scende al 10 per cento per le prestazioni di sponsorizzazione e al 33,33 per cento per le cessioni di diritti radio-televisivi); l'iva pagata sulle fatture di acquisto è indetraibile;
          anche il calcolo del reddito imponibile è determinato in modo forfettario, applicando al volume di affari commerciali il coefficiente fisso del 3 per cento, equivalente ad un abbattimento forfettario del 97 per cento, senza deduzione analitica dei costi;
          le fatture di acquisto, pertanto, non rilevano in alcun modo nella determinazione delle imposte dovute, non sono soggette ad alcuna forma di registrazione contabile ma solo alla numerazione progressiva per anno solare e all'obbligo di conservazione;
          inoltre le associazioni senza scopo di lucro che hanno optato per il regime forfettario di cui alla legge 16 dicembre 1991, n.  398, sono dispensate dagli obblighi di dichiarazione e comunicazione annuale iva e dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili; esse si limitano ad annotare con un'unica registrazione, entro il giorno 15 del mese successivo, l'ammontare dei soli corrispettivi e proventi commerciali conseguiti nel mese precedente, utilizzando, all'uopo, il prospetto semplificato di cui al decreto ministeriale 11 febbraio 1997, con le necessarie integrazioni;
          con nota AGE.AGEDC001.REGISTRO UFFICIALE.0009366 del 23 gennaio 2014 l'Agenzia delle entrate si è, testualmente, espressa nel senso che: «i soggetti che hanno esercitato l'opzione per il regime di favore previsto dalla legge 16 dicembre 1991, n.  398, anche se non sono tenuti alla registrazione analitica delle fatture passive ricevute, devono comunicare gli importi relativi agli acquisti di beni e servizi direttamente riferibili all'attività commerciale eventualmente svolta»;
          tale pretesa appare estranea alle precipue finalità dello spesometro, quali riportate in premessa, in quanto gli acquisti di beni e servizi delle associazioni in regime forfettario, ancorché riferiti all'attività commerciale, sono totalmente indeducibili ed indetraibili ai fini delle imposte dirette ed indirette; la relativa documentazione, pertanto, non può essere utilizzata per ridurre artificiosamente l'imponibile né per altre finalità di frode o evasione e i dati relativi agli acquisti non sono nemmeno utili per verificare la congruità delle dichiarazioni trasmesse dai contribuenti, in quanto non sorge l'obbligo di inserire tali dati nelle dichiarazioni e dunque nessun riscontro è possibile in merito;
          inoltre, il contenuto della menzionata nota appare in netto contrasto con la volontà del legislatore – desumibile dall'articolo 21 del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122 – di «limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti per la comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto» ossia «di circoscrivere gli adempimenti ad una ristretta platea dei titolari di partita IVA, escludendo in specie milioni di soggetti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all'adempimento dell'obbligo in questione appaiono non proporzionati alla pur importante finalità della disposizione», come esposto nella relazione illustrativa;
          invero, per fornire i dati richiesti dall'amministrazione finanziaria, le associazioni in regime forfettario debbono dotarsi di un impianto contabile che preveda anche la registrazione delle fatture di acquisto, quantunque la legge 16 dicembre 1991, n.  398 le esenti espressamente da tale incombenza: conseguentemente, esse debbono subire un aumento dei costi amministrativi e uno stravolgimento del regime di favore accordato dal legislatore; l'aggravio è palese e con esso anche la manifesta inutilità della pretesa;
          appare, infine, ad avviso degli interroganti censurabile nel metodo e nella forma, la modalità con cui l'Agenzia delle entrate ha reso nota la propria interpretazione alla platea dei soggetti interessati su una questione caratterizzata da complessità e incertezza giuridica: una risposta a una FAQ (frequently asked question) diramata il 23 gennaio 2014 ad appena 9 giorni dalla scadenza definitiva per la trasmissione telematica della comunicazione  –:
          se non ritenga necessario chiarire che gli enti associativi aderenti al regime forfettario di cui alla legge 16 dicembre 1991, n.  398, adempiono agli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122, trasmettendo esclusivamente i dati relativi alle operazioni attive di carattere commerciale, dal momento che solo queste rilevano ai fini della determinazione dell'imponibile e dell'IVA ed esonerandoli, pertanto, dalla trasmissione dei dati relativi agli acquisti di beni e servizi, in sintonia con il regime generale di esenzione da incombenze contabili e dichiarative accordato dal legislatore e con l'intento di limitare al massimo l'aggravio derivante dall'adempimento, ciò anche in considerazione dell'interpretazione che l'Agenzia delle entrate ha fornito con circolare n.  24/E del 2011 per il caso similare dei soggetti che si avvalgono del regime di cui all'articolo 1, commi da 96 a 116, della legge 24 dicembre 2007, n.  244 (così detti «contribuenti minimi»), i quali sono considerati «esonerati dall'obbligo di comunicazione in quanto l'adesione a detto regime comporta, sotto il profilo della semplificazione degli adempimenti IVA, l'esonero da qualunque obbligo, fatta salva la certificazione dei corrispettivi, anche tenuto conto che l'esclusione in parola risponde all'intento di limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all'adempimento dell'obbligo in questione appaiono non proporzionati alla finalità della disposizione». (5-02785)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MUCCI e CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la società Finmeccanica spa è il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia e tra i primi player mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza e ha come suo maggiore azionista il Ministero dell'economia e delle finanze;
          la holding ha comunicato di aver chiuso il primo trimestre con una perdita netta di 12 milioni di euro a fronte di un utile per 6 milioni nello stesso periodo del 2013 a causa di una maggiore incidenza degli oneri di ristrutturazione e di un calo del margine operativo sceso a 153 milioni dai 161 dello stesso periodo 2013 che sembrano vadano attribuiti principalmente alle acquisizioni nel settore degli elicotteri che hanno determinato un dato complessivo per l'aerospazio e difesa superiore al 2013, nonostante il previsto calo dell'aeronautica;
          in una nota diffusa dalla società si afferma che «il ministero dell'economia e delle finanze ha comunicato che il rappresentante dello stesso ministero proporrà e voterà in assemblea la seguente proposta di compensi per il consiglio d'amministrazione: presidente 90 mila euro lordi annui; per ciascun consigliere 80 mila euro lordi annui»;
          scorrendo la relazione sulla remunerazione di Finmeccanica emerge che nel precedente triennio, 2011-2013, i consiglieri percepivano 60 mila euro lordi l'anno: dunque l'aumento è pari a 20 mila euro lordi a testa, da moltiplicare per 5 quanti sono i consiglieri, escluso presidente e amministratore delegato, espressi dal Ministero dell'economia e delle finanze. Per quanto riguarda il presidente, invece, le novità rispetto al precedente esercizio sembrano in linea con la sobrietà richiesta alle presidenti di Eni, Enel e Poste;
          nulla viene dichiarato circa la remunerazione che verrà corrisposta al nuovo amministratore delegato, Mauro Moretti  –:
          se il Ministro interrogato, a fronte delle perdite registrate dalla società cennata, ritenga opportuno un aumento delle remunerazioni dei componenti del consiglio di amministrazione;
          quali iniziative, il Governo intenda assumere sul fronte della trasparenza affinché sia introdotto l'obbligo di indicare, nei bilanci delle società, le voci relative a stipendi, compensi ed emolumenti degli amministratori e dei ruoli apicali.
(5-02778)

Interrogazione a risposta scritta:


      CANCELLERI e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          della nuova programmazione 2014-2020 relativa alla politica di coesione europea, la regione siciliana gestirà direttamente cinque miliardi e 300 milioni di euro contro gli otto e mezzo del 2007-2013 e la dotazione potrebbe ancora diminuire se non si riusciranno a spendere i soldi della tranche precedente;
          questo deficit strategico potrebbe ripetersi puntualmente anche sui nuovi, e più modesti, fondi da spendere da qui al 2023;
          come dichiarato dal leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante: «Finora la spesa europea è stata legata a una politica clientelare, per accontentare questo o quel campanile. Mentre gli altri Paesi hanno costruito aeroporti e steso binari dell'alta velocità, dotato città e campagne di reti internet a banda larga e raddoppiato le corsie autostradali, rendendo attrattivo il territorio per investitori esteri, noi abbiamo ridotto in coriandoli i finanziamenti. Già da tempo le imprese hanno chiesto al governo regionale di iniziare un percorso condiviso in vista della nuova programmazione 2014-2020, ma al momento tutto è fermo»;
          c’è il rischio che anche questa nuova tornata di finanziamenti si trasformi in una occasione sprecata e non riesca a permettere alla Sicilia quelle trasformazioni strutturali a cui fondi europei sarebbero destinati;
          nella programmazione 2007-2013 non c'e’ più tempo per istruire nuove gare ma, da bando, ci sono 6 mesi di tempo per «ripescare» soggetti ammessi al finanziamento ma non finanziati per esiguità delle risorse  –:
          se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire un maggiore e più proficuo utilizzo dei fondi europei relativi alla politica di coesione;
          se non si ritenga necessario assumere iniziative per dare maggiore informazione in merito all'utilizzo dei fondi europei per il rilancio dei settori in difficoltà.
(4-04800)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


      SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni è giunta notizia che il pullman turistico che il 28 luglio 2013 precipitò dal cavalcavia dell'acquedotto Acqualonga, sulla A16, causando 40 morti su 48 passeggeri, possedeva una revisione falsa;
          la procura di Avellino ha indagato due dipendenti della Motorizzazione civile di Napoli per falso in atto pubblico;
          i due dipendenti in questione avrebbero violato il sistema informatico della Motorizzazione fabbricando un certificato falso che attestava una revisione del bus mai avvenuta;
          i fatti narrati sono riportati anche, tra gli altri, dall'articolo pubblicato dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano il 3 maggio 2014 dal titolo «Incidente Avellino, la revisione del pullman che cadde dal cavalcavia era falsa»;
          considerato inoltre che solo negli ultimi mesi sono state aperte inchieste su false revisioni dai tribunali di Teramo, Reggio Emilia, Firenze, Varese;
          allo stesso modo, analoghe indagini sono state aperte da varie procure in merito al rilascio di cosiddette «patenti facili» soprattutto a danno di cittadini stranieri;
          le accuse complessivamente contestate nelle inchieste sono, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all'abuso d'ufficio, al falso ed alla truffa ai danni dello Stato;
          i fatti sopracitati sono consultabili in tutte le rassegne stampa online dei maggiori quotidiani nazionali;
          sembra evidente come il fenomeno delle revisioni contraffate, delle patenti «facili» e dei continui disservizi nello svolgimento delle pratiche di routine, si sia consolidato nel tempo e si sia ormai diffuso a macchia d'olio in tutta Italia;
          la Motorizzazione civile costituisce un'articolazione periferica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti facente capo alla direzione generale per la motorizzazione che, tramite tali uffici periferici, si occupa della gestione di attività tecniche delle pratiche relative al trasporto civile;
          qualora non fosse avvenuta la tragedia (40 morti su 48 passeggeri), ad avviso dell'interrogante, forse gli illeciti di cui sopra non sarebbero stati mai scoperti  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati;
          come sia possibile che il sistema informatico della Motorizzazione possa essere violato in maniera apparentemente così facile;
          quali iniziative abbia già assunto in merito e quali intenda assumere alla luce anche del fatto che le revisioni, le patenti di guida, e tutti i servizi forniti in questo ambito sono operazioni fondamentali per la sicurezza stradale e delle persone;
          se non ritenga quindi opportuno che vengano intensificati i controlli e che sia avviata una profonda rivisitazione di tutto quanto il sistema che in questo momento a giudizio dell'interrogante ha perso di credibilità e non è più in grado di fornire certezze e garanzie ai cittadini. (4-04803)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          il bando di concorso del 26 marzo 2013 per 964 allievi agenti della polizia di Stato prevedeva che una parte dei vincitori sarebbe stata inviata direttamente ai concorsi di formazione in polizia, mentre un'altra sarebbe andata a comporre la cosiddetta seconda aliquota, cioè i vincitori di concorso destinati al servizio come volontari in ferma quadriennale nelle Forze armate, con successivo passaggio nella Polizia di Stato;
          il 29 novembre 2013 è stata pubblicata la graduatoria finale di merito di tale concorso e il 13 dicembre 2013 la suddetta graduatoria è stata incrementata di ulteriori 119 unità per un totale di 1.083 posizioni disponibili;
          attualmente esistono 672 unità (160 vincitori in seconda aliquota e 512 idonei non vincitori) potenzialmente disponibili ad un'assunzione immediata;
          la legge di stabilità 2014 (legge n.  147 del 2013) ha previsto una deroga del 55 per cento al blocco del turnover per il reclutamento di nuovi agenti al fine di integrare le forze dell'ordine in particolare al fine di rafforzare il presidio dell'Expo di Milano 2015;
          in data 8 aprile 2014 il Governo, in sede di approvazione di un provvedimento riguardante l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha accolto l'ordine del giorno presentato dal gruppo parlamentare di Forza Italia, che «impegna il Governo a valutare l'opportunità di procedere con l'assunzione dei candidati idonei non vincitori, delle seconde aliquote e dei VFP4 idonei all'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, per poter consentire l'impegno delle suddette Forze di polizia a tutela della sicurezza dell'esposizione universale Expo Milano 2015 e in altre zone a rischio sicurezza, considerato che l'arruolamento di questo personale permetterebbe di rispettare i tempi necessari e un sensibile risparmio per l'amministrazione;
          il tema della carenza di organici nella polizia di Stato è stato oggetto più volte anche di segnalazioni da parte dei sindacati del comparto sicurezza; in particolare, il sindacato di polizia SPiR-UIL di Roma ha denunciato come sia necessario addestrare al più presto il personale per fronteggiare le esigenze di sicurezza che interesseranno il nostro Paese nel 2015 a fronte dei grandi eventi internazionali previsti;
          la legge n.  125 del 2013, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  101 del 31 agosto 2013, ha previsto, tra le disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, l'assorbimento degli idonei delle graduatorie vigenti e quindi anche l'eventuale «scorrimento» delle stesse a copertura degli organici vacanti;
          tale obbligo è stato peraltro già applicato, nel comparto sicurezza, dal decreto del 2 gennaio 2014, con cui il comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha avviato una procedura per il reclutamento di 763 allievi carabinieri effettivi, individuandoli mediante lo «scorrimento» della graduatoria finale di merito del concorso del 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – 4a serie speciale, n.  15 del 24 febbraio 2012;
          la paventata indisponibilità di risorse economiche a copertura delle assunzioni di nuovi agenti di pubblica sicurezza è, nei fatti, contraddetta dall'indizione di un ulteriore concorso per 650 allievi agenti della polizia di Stato – Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, 4a serie speciale «Concorsi ed esami», 14 marzo 2014 – che non sarebbe comunque possibile impiegare in occasione dell'Esposizione universale di Milano nel 2015;
          tale nuovo concorso ad avviso dell'interpellante viola, inoltre, l'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101, recante «Disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, nonché di limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego». Il decreto, infatti, ha disciplinato con disposizioni inderogabili il reclutamento e l'utilizzo delle graduatorie degli idonei dei precedenti concorsi, ampliando il già stringente principio giurisprudenziale secondo cui lo scorrimento delle graduatorie ancora efficaci avrebbe dovuto rappresentare la regola, mentre l'indizione di un nuovo concorso l'eccezione (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza 28 luglio 2011, n.  14);
          la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – ha invitato le amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, a rilevare, entro il 23 maggio 2014, tutte le graduatorie concorsuali vigenti ed il numero dei vincitori e degli idonei, proprio in osservanza dell'articolo 4 del decreto-legge n.  101 del 2013;
          è necessario intraprendere ogni iniziativa utile a soddisfare le conclamate esigenze di rafforzamento della sicurezza, connesse con le aumentate situazioni di crisi a livello nazionale  –:
          se il Governo intenda, in ossequio ai principi di economicità, speditezza ed efficienza dell'azione amministrativa, sbloccare l'assunzione degli allievi agenti della polizia di Stato risultati idonei nel concorso pubblico bandito il 26 marzo 2013, procedendo all'individuazione degli stessi mediante «scorrimento» della graduatoria finale e destinando gli ultimi 160 idonei in graduatoria, ma non vincitori, a garantire la copertura dei volontari in ferma quadriennale nelle Forze armate;
          come il Governo intenda altrimenti garantire l'ordinato svolgimento di eventi internazionali, soprattutto a fronte del necessario incremento della presenza delle forze dell'ordine nelle città protagoniste di tali manifestazioni, senza che questo pregiudichi il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese.
(2-00537) «Brunetta».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          il 25 maggio 2014, in concomitanza con la giornata di voto per il rinnovo del Parlamento europeo, si terrà a Rovetta in provincia di Bergamo una manifestazione per ricordare l'eccidio di 43 militi della Legione Tagliamento trucidati il 28 aprile del 1945;
          l'evento organizzato da simpatizzanti «fascisti» prevede tra inni e slogan la celebrazione di una messa officiata da Don Giulio Tam, ex prete lefebvriano scomunicato, noto per la sua aperta adesione a ideologie di stampo fascista, nel ricordo di «tutti i caduti per l'onore», così si legge nella locandina che pubblicizza l'evento;
          per numero di partecipanti, provenienti da tutte le regioni del Paese e anche dall'estero, il raduno sopra citato è considerato la principale manifestazione nazifascista d'Italia;
          gli organizzatori in occasione del XXII raduno nazionale dell'Associazione Reduci 1a Legione CC.NN. «M» d'Assalto hanno previsto per il giorno precedente, il 24 maggio, una giornata di raduno che vedrà tra gli altri eventi, un incontro commemorativo in riva al Lago d'Iseo per la deposizione di una corona in memoria dei caduti e una visita al cimitero di Lovere, sempre in provincia di Bergamo, dove riposano alcuni di questi;
          un tragico episodio che ogni anno, nel piccolo paese orobico, genera quello che agli interpellanti appare un revival fascista in grande stile con insegne di aquile romane, divise da «camerata», bandiere, immagini del Duce e inni;      
          al di là del giusto ricordo di ogni vittima di guerre in tal caso è opportuno ricordare che diverse disposizioni del nostro ordinamento limitano ed in certi casi vietano la propaganda dell'ideologia fascista. Così la disposizione transitoria finale della Carta Costituzionale prevede al punto XII il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. La cosiddetta legge Scelba, legge 20 giugno 1952, n.  205, considera reato l'apologia del fascismo prevedendo all'articolo 1: «quando un'associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». Ancora, la legge della Repubblica italiana 25 giugno 1993, n.  205, sanziona e condanna gesti, azioni e slogan, legati all'ideologia nazifascista, e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. La legge punisce anche l'utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici;
          la manifestazione di cui sopra si svolgerà in concomitanza alle elezioni amministrative e alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo ed in tal senso si deve ricordare che la legge 4 aprile 1956, n.  212 «Norme per la disciplina della propaganda elettorale», prevede all'articolo 9 che: «Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda». Così anche il decreto legislativo n.  267 del 2000 all'articolo 5, comma 2, attribuisce al sindaco la facoltà di adottare provvedimenti urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana  –:
          se il Ministro interpellato sia a conoscenza del particolare raduno che si svolge, oramai da quasi vent'anni, nei comuni di Rovetta e Lovere;
          quali iniziative abbia intenzione di assumere al fine di verificare, per il tramite del rappresentante territorialmente competente del Governo, le modalità con le quali è stata organizzata la manifestazione vista la concomitanza dello svolgersi delle elezioni;
          quali iniziative, anche di carattere normativo, abbia intenzione di assumere al fine di prevenire lo svolgimento di simili manifestazioni che, a parere degli interpellanti, violano le norme contenute nel nostro ordinamento.
(2-00541) «Locatelli, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


      TULLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 dicembre 2012 veniva clamorosamente rapito a La Spezia l'imprenditore Calevo in circostanze che ne causavano una grande ribalta mediatica; lo stesso veniva dopo circa quindici giorni liberato dal luogo dove era stato detenuto grazie ad una brillante operazione di polizia, condotta, al termine di una serie di attività preparatorie, da operatori di polizia riferibili alle questure di Genova, La Spezia ed altre;
          tali operazioni, per la loro valenza e complessità, prevedono inevitabilmente un utilizzo del personale spesso esposto ad elevato rischio professionale oltre a prevedere l'utilizzo di strumenti ed apparecchiature di alto livello tecnologico;
          vicende come quella testé descritta, mentre la giustizia penale è già coerentemente giunta alle prime condanne per i responsabili del sequestro, hanno sempre avuto come logica conseguenza un riconoscimento premiale per il personale impiegato attraverso il lavoro di analisi dei dossier elaborati all'interno delle Commissioni centrali e territoriali per le ricompense del Ministero dell'interno — dipartimento della P.S.;
          tuttavia l'articolo 12, comma 20, del decreto-legge n.  95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135 (cosiddetto spending review) ha imposto la soppressione degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni in regime di proroga ex articolo 68, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto, n.  133, trasferendo le competenze degli organismi soppressi «ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano»;
          alla luce della sussistenza di dubbi sull'interpretazione della normativa in commento, il dipartimento della P.S. ha interpellato il Consiglio di Stato con particolare riferimento ai diversi aspetti relativi ai termini di decorrenza della soppressione e dell'effettiva applicabilità della disposizione di cui all'articolo 12, comma 20, del decreto-legge n.  95 del 2012;
          questa legislazione ha sostanzialmente causato la mancata convocazione della Commissione centrale e territoriale per le ricompense da gennaio 2014, ferma per il blocco delle risorse necessarie per sostenere le spese di convocazione delle stesse, con danno e beffa per tutti gli operatori di polizia coinvolti in attesa del dovuto riconoscimento per particolari meriti in servizio, che si aggiunge al blocco dei contratti e degli automatismi stipendiali per qualunque altro operatore del comparto sicurezza, innescando così un sempre più diffuso sentimento di demotivazione tra il personale;
          su questo specifico ed importante tema è intervenuto in maniera formale il Silp Cgil di Genova, sindacato di polizia, che per sostenere le legittime aspirazioni dei suoi iscritti interessati alla vicenda ha utilizzato le prerogative sindacali che hanno avuto anche eco mediatica, come da articoli di stampa pubblicati dal quotidiano La Nazione in data 5 aprile 2014, con titolo «la Spending Review congela i premi ai poliziotti-eroi. E il Silp protesta», oltre che da diversi siti web di informazione;
          è stata anche prodotta formale richiesta di soluzione della vicenda dalla stessa segreteria provinciale Silp, a firma del segretario generale Roberto Traverso, al Ministero dell'interno — ufficio relazioni sindacali — a quanto consta all'interrogante senza riscontro alcuno  –:
          quali iniziative intenda assumere il Governo, alla luce di quanto esposto, per risolvere la questione sollevata e per procedere all'immediata convocazione delle commissioni in argomento, anche al fine di rendere più efficace e meritevole di giusti riconoscimenti il lavoro delle forze dell'ordine a garanzia della sicurezza dei cittadini. (4-04802)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


      OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          Save the Children, l'organizzazione che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti, con il contributo di un comitato scientifico, ha recentemente pubblicato il suo primo rapporto «La Lampada di Aladino – L'Indice per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia»;
          con tale rapporto, Save the Children per la prima volta ha misurato la povertà educativa redigendo un indice. Una fotografia su base regionale che conferma una situazione grave, in cui i servizi e le agenzie educative risultano incapaci di offrire ai bambini – in particolare a quelli che provengono da contesti difficili – competenze ed esperienze indispensabili per la loro crescita. Ne consegue che lo svantaggio si trasmette di generazione in generazione e i problemi si amplificano, come attestano le percentuali estremamente elevate di dispersione scolastica soprattutto nelle regioni del Sud;
          da tale rapporto emerge infatti una situazione drammatica nelle regioni meridionali del Paese in cui è particolarmente «scarsa e inadeguata» l'offerta educativa e formativa per bambini e adolescenti. Sono pochissimi gli asili nido, solo per il 2,5 per cento dei bambini in Calabria, e altrettanto poche le scuole dove funziona il tempo pieno. Meno del 30 per cento dei minori fa sport. Mentre per i libri e l'arte la situazione è piuttosto preoccupante: solo il 16 per cento dei minori campani ha visitato un monumento nell'ultimo anno, e addirittura solo il 12 per cento dei ragazzi calabresi;
          la situazione diventa allarmante quando si tratta di dispersione scolastica: nelle regioni meridionali va dal 22 e 25,8 per cento mentre l'Unione europea ha posto obiettivo del 10 per cento al 2020. Un dato difficilmente raggiungibile senza un piano serio e concreto che abbatta la dispersione scolastica con misure efficaci e con il coinvolgimento di istituzioni e famiglie;
          la «povertà educativa» che colpisce i bambini del sud Italia in modo inaccettabile, si inserisce in un contesto economico e sociale che si va facendo allarmante. Basti pensare che oltre un milione di minori in Italia sono colpiti dalla povertà economica, gran parte dei quali proprio nelle regioni del Sud  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei dati relativi alla «povertà educativa e formativa» nelle regioni meridionali, con particolare riferimento alla Calabria;
          quali iniziative urgenti ed efficaci intenda adottare per contrastare la «povertà educativa e formativa», non solo per rafforzare le competenze dei bambini e garantire loro il diritto all'istruzione ma anche per sottrarli al rischio di coinvolgimento in circuiti illegali e per supportare le famiglie in situazione di povertà.
(4-04798)


      ROCCELLA, PAGANO, SALTAMARTINI e CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale (UNAR) ha emanato un documento che va sotto il nome di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di
genere (2013-2015), in esecuzione della raccomandazione CM/REC (2010) 5 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, volta a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere;
          al punto 4.1.2 (Obiettivi e misure), il citato documento dell'UNAR ha previsto, «in relazione all'ambito “Educazione e Istruzione”», una particolare misura costituita dall’«arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari» (punto 2 dei paragrafo «misure»);
          in attuazione della summenzionata direttiva, presso il liceo classico Giulio Cesare di Roma, nelle prime classi del ginnasio (frequentate quindi da studenti minori di sedici anni), gli allievi sono stati obbligati a leggere un romanzo, dal titolo «Sei come sei» della scrittrice Melania Mazzucco, nel quale sono descritte con crudezza di linguaggio scene esplicite di sesso;
          il predetto romanzo, edito nel 2013, non pare agli interroganti essere già considerato una pietra miliare della letteratura nazionale, né può essere annoverato tra i classici della stessa letteratura, fatti leggere nelle scuole italiane accanto ad opere del livello della Divina Commedia, del Promessi Sposi, dell'Iliade, dell'Eneide, dell'Odissea, o di opere contemporanee di indiscusso valore letterario;
          nel citato romanzo il tema dei rapporti sessuali tra ragazzi dello stesso sesso viene trattato con crudezza di immagini ed un linguaggio a giudizio degli interroganti particolarmente sguaiato;
          nello stesso romanzo il delicato tema della procreazione assistita per coppie omosessuali viene poi trattato in termini che appaiono agli interroganti grossolanamente brutali;
          in merito a tali fatti l'associazione Giuristi per la Vita e l'associazione Pro Vita Onlus hanno presentato denuncia alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma;
          da quanto si è saputo dalla stampa, nel caso di specie non sono stati coinvolti i genitori degli studenti minori, a giudizio degli interroganti in palese violazione, tra l'altro, del diritto fondamentale riconosciuto, garantito e tutelato dall'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nella parte in cui attribuisce ai genitori il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli, ed in palese violazione, peraltro, del diritto degli stessi genitori alla «corresponsabilità educativa», previsto dalle «linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 22 novembre 2012  –:
          se i genitori degli alunni del liceo classico Giulio Cesare, minori tra i 14 e i 16 anni, non avessero il diritto di essere a conoscenza del contenuto del romanzo fatto leggere ai propri figli adolescenti;
          se, nel caso di specie, si sia violato il principio di «corresponsabilità educativa» contemplato nelle citate «linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 22 novembre 2012;
          quali iniziative il Ministro intenda assumere perché non si violi la libertà e la
responsabilità educativa dei genitori, soprattutto in ambiti delicati come quello citato, e perché quindi fatti come quelli evidenziati nella presente interrogazione non accadano più in futuro nelle scuole pubbliche del nostro Paese. (4-04806)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
          in un mondo globalizzato e aperto ai flussi migratori si impone l'internazionalizzazione degli schemi di protezione sociale;
          la Commissione europea con la sua comunicazione del 30 marzo 2012 dedicata a «La dimensione esterna del coordinamento in materia di sicurezza sociale nell'Unione europea» ha richiamato l'attenzione degli Stati membri sull'importanza di una strategia comune dell'Unione europea in materia di coordinamento dei regimi di protezione sociale, anche con riguardo ai lavoratori provenienti da Paesi terzi;
          la cooperazione tra gli Stati in materia di protezione sociale si manifesta tradizionalmente mediante la stipula di apposite convenzioni bilaterali che consentono l'esportabilità delle prestazioni, la totalizzazione dei contributi e il godimento della pensione anche da parte del lavoratore straniero rimpatriato prima di aver raggiunto l'età pensionabile;
          la stipula degli accordi bilaterali in tema di diritti pensionistici mira a raggiungere una parità sostanziale tra lavoratori italiani e stranieri, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono ai danni degli stranieri nel godimento delle prestazioni previdenziali per le quali essi hanno nondimeno pagato regolarmente i contributi prevista dalla legge;
          si riscontra tuttavia una chiusura negli ultimi anni da parte dell'Italia alla stipula di ulteriori convenzioni bilaterali con i Paesi da cui maggiormente provengono i lavoratori extracomunitari;
          l'ultima di tali convenzioni, stipulata con la Tunisia, risale al 1987;
          con il Senegal, invece, si è giunti alla redazione di testi condivisi, senza tuttavia arrivare alla stipula definitiva;
          benché i lavoratori senegalesi abbiano alle spalle una storia di insediamento tra le più lunghe nel nostro Paese, essi sono dunque privi ancora oggi di strumenti di tutela dei diritti previdenziali acquisiti;
          l'11 e 12 dicembre 2013 si è tenuta a Dakar una tavola rotonda dal titolo «Costruire un ponte tra Italia e Senegal per la tutela del lavoratore migrante» a cui hanno partecipato rappresentati dei Ministeri del lavoro e degli esteri senegalesi, del Ministero dell'interno italiano, dell'ente di previdenza senegalese IPRES, dell'università «Roma Tre», dell'università di Dakar «Cheikh Anta Diop», delle associazioni italiane «Progetto Diritti onlus» e «Roma-Dakar» e dell'associazione senegalese «Doxandem»;
          all'esito della conferenza è stata fortemente e unanimemente ribadita da tutti i partecipanti l'importanza degli accordi bilaterali per la creazione di un contesto migratorio consapevole e sicuro;
          l'assenza di convenzioni bilaterali con i Paesi di nuova immigrazione equivale a condannare tante persone, che hanno lavorato regolarmente a pagato giustamente i contributi, a non poter riscuotere le prestazioni maturate;
          si tratta di una politica inaccettabile per un paese come l'Italia che è riuscito invece ad ottenere simili accordi con tutti gli Stati in cui i nostri connazionali sono emigrati;
          la situazione descritta appare ancora più paradossale se si osserva il regime molto più avanzato istituito dai regolamenti comunitari, secondo i quali i lavoratori di Paesi terzi che hanno circolato sul territorio dell'Unione europea possono beneficiare della totalizzazione dei contributi, anche se l'Italia non ha stipulato una convenzione in tal senso con i Paesi di origine;
          in questa situazione il diritto alla pensione rischia di rimanere un miraggio per i lavoratori stranieri (e senegalesi in particolare), per lo meno per coloro che sono orientati al rientro e che sono animati da un progetto migratorio di natura circolare;
          l'impossibilità di godere la pensione finisce per incentivare il lavoro nero e lascia inoltre il lavoratore migrante privo di qualsiasi supporto materiale nel momento in cui decide di intraprendere quel difficile cammino di ritorno nel Paese di origine, che spesso consiste in una vera e propria «migrazione all'incontrario»  –:
          quale sia lo stato dei rapporti tra la delegazione italiana e quella senegalese nella stipula di una convenzione in tema di sicurezza sociale e se sia intenzione del Governo, e, in caso di risposta affermativa, con quali tempi, modalità e contenuti, riprendere i contatti per l'adozione di un accordo bilaterale.
(2-00534) «Scotto, Raciti, Gribaudo, Di Salvo, Duranti, Palazzotto, Piazzoni, Nicchi, Paglia, Melilla, Pellegrino».

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


      VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          negli anni ’80 del XX secolo, le facoltà di medicina italiane sfornarono un'enorme quantità di professionisti laureati, successivamente abilitati, che portò il nostro Paese ad avere una concentrazione di medici tra le più alte d'Europa, generando il cosiddetto fenomeno della pletora medica, che tante ricadute negative ebbe anche sulla disponibilità di sbocchi occupazionali per la generazione di laureati in medicina in quegli anni;
          ai picchi di laureati in medicina e chirurgia degli anni ’80 consegue fisiologicamente un picco di pensionamenti attesi, che, nonostante i differimenti dell'età pensionabile introdotti dalla «riforma Fornero», è comunque previsto nei prossimi dieci anni;
          negli anni ’90, anche per ridurre gli effetti negativi correlati ad un numero crescente di medici senza sbocco professionale, è stato introdotto in Italia il numero programmato degli accessi a medicina e chirurgia;
          tale programmazione degli accessi non è stata collegata alla domanda di professioni sanitarie da parte del mercato, ma alla capacità strutturale formativa degli atenei italiani;
          per effetto di tale contingentamento degli accessi a medicina, il numero complessivo degli studenti si è notevolmente ridotto, così come si è significativamente abbassato il numero dei laureati;
          nonostante la drastica riduzione del numero degli accessi, la difficoltà per i medici italiani nel reperire un adeguato sbocco professionale è rimasta comunque elevata anche negli anni più recenti, sia per l'intervento di nuove norme comunitarie che hanno significativamente inciso sui percorsi di formazione post laurea, sia per la sostanziale occupazione da parte dei medici «prodotti dalla pletora» delle posizioni professionali nel settore pubblico, nella medicina convenzionata e in quella accreditata;
          la marcata riduzione del turn over dei medici ha comportato, da un lato, l'invecchiamento degli organici in attività e, dall'altro, il crescente ricorso a rapporti di lavoro precari con i professionisti più giovani, circostanze che rendono assai difficile la crescita professionale e che sono conseguentemente un freno al complessivo miglioramento qualitativo dell'offerta di salute garantita dal sistema;
          il progressivo invecchiamento anagrafico delle risorse umane disponibili nel settore dell'assistenza comporta, a sua volta, il rischio di scadimento della qualità delle prestazioni, ciò perché è causa di perdita di motivazione (sia di crescita professionale, che di carriera) da parte dei sanitari, ma anche perché affida compiti assai impegnativi sotto il profilo del carico di stress (guardie notturne, reperibilità notturne e festive) a sanitari che risentono dell'usura degli anni, spesso essi stessi portatori di handicap fisici e patologie che li rendono quanto meno inadatti alle attività di lavoro più stressanti;
          l'invecchiamento anagrafico delle professioni sanitarie all'interno dell'offerta pubblica, associato alle tutele di legge che scattano nei confronti degli stati di usura, allontanano molti sanitari dalle attività a più alto impegno psico-fisico, per cui, in alcune circostanze, hanno comportato situazioni paradossali, come la necessità di attivare contratti specifici con giovani medici esclusivamente indirizzati alla copertura dei turni di guardia notturna e festiva;
          tali situazioni appaiono sicuramente insostenibili sotto il profilo dei percorsi di professionalizzazione dei giovani medici, ma anche della garanzia della qualità dell'offerta sanitaria;
          gli attuali laureati in medicina si trovano davanti alla necessità di completare comunque la propria attività di training, attraverso l'accesso ad una scuola di specializzazione (o alla formazione di medicina generale), indispensabile per poter partecipare alla concorsualità pubblica;
          il numero dei contratti di formazione e di accessi ai corsi propedeutici alle attività di medicina generale a disposizione dei giovani medici neolaureati è oggi significativamente inferiore, come più volte rilevato dalle azioni di sindacato ispettivo e di proposta del Parlamento, rispetto al numero dei laureati;
          la maggior parte degli altri Paesi europei ha comunque istituito una vera e propria attività di formazione universitaria, anche per quanto attiene ai percorsi di accesso alla medicina generale, puntando alla massima qualificazione delle specifiche risorse professionali, ormai indispensabile per la sostenibilità qualitativa ed economica del sistema;
          tale discrepanza tra i laureati che escono dalla facoltà di medicina e la disponibilità di accessi alle scuole di specializzazione per medici è il segnale di un'incredibile carenza di programmazione, che costringe i medici italiani a cercare fuori dal nostro Paese un accettabile sbocco professionale, impoverendo in modo sostanziale il servizio sanitario nazionale italiano e certificando l'utilizzo non coerente delle risorse economiche destinate alla formazione universitaria di area medica;
          l'attuale programmazione dei contratti formativi per specialità è affidata ad un percorso concordato tra le regioni e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che dovrebbe sostanzialmente dare risposta alle esigenze di prospettiva della domanda sanitaria delle singole regioni italiane;
          tale programmazione degli accessi alle singole specialità è in realtà del tutto aleatoria e sostanzialmente correlata allo «storico consolidato», sia a causa dell'incapacità/impossibilità delle regioni di prevedere con lustri di anticipo le proprie esigenze in termini di professionalità sanitarie, sia per la libera circolazione delle professionalità stesse (nel territorio nazionale e non solo), che non consente certo una programmazione regionale delle necessità che risulti adeguata alla realtà;
          l'assenza di una programmazione adeguata inizia a farsi sentire, con particolare acuzie sia nelle specialità chirurgiche più raffinate e impegnative (anche per l'effetto dissuasivo legato alla crescita del relativo rischio professionale), sia in quelle dei servizi (radiologia, anestesiologia);
          tale carenza di specifiche specialità è ancora più sentita nei sistemi sanitari regionali più deboli (quelli del Meridione d'Italia e delle Isole), con situazioni di minor gratificazione dei contesti professionali e di minor prospettive di redditività economica per i singoli professionisti;
          è di pochi giorni fa la certificazione della drammaticità della situazione attraverso la clamorosa azione di reclutamento di professionalità mediche promossa dalla azienda sanitaria locale di Foggia, il cui direttore generale Attilio Manfrini ha scritto ai consolati di Spagna, Grecia e Albania per reperire gli undici anestesisti e gli undici medici di pronto soccorso che non riesce a trovare attraverso la concorsualità pubblica rivolta all'offerta locale;
          tale situazione di sofferenza appare estesa anche alle restanti professionalità sanitarie, con crescenti carenze nell'intero skill mix dell'offerta –:
          quali misure di propria competenza intenda adottare per garantire l'adeguata presenza di specifiche professionalità mediche nei contesti territoriali regionali a più alto rischio di desertificazione, assicurando un adeguato turn over anche nella medicina generale, rafforzando contemporaneamente i percorsi formativi, la cui qualità appare oggi davvero cruciale per il futuro del servizio sanitario nazionale italiano. (3-00820)


      FORMISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 11 settembre 2013, la componente Centro Democratico del Gruppo Misto ha presentato un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea al Ministro interrogato concernente la prevista riconversione del presidio ospedaliero «A. Maresca» di Torre del Greco;
          questa decisione rientrava nel piano di rientro del settore sanitario, deciso dal commissario ad acta con decreto n.  49 del 27 settembre 2010, nel quale veniva approvato il riassetto della rete ospedaliera territoriale, disponendo che i direttori generali ed i commissari straordinari delle aziende sanitarie locali procedessero alla presentazione di un piano attuativo aziendale di riorganizzazione, di riconversione, di riallocazione e/o di dismissione dei propri presidi, ovvero di concentrazione di funzione specifiche, come quelle relative alle attività di emergenza e di pronto soccorso;
          in quell'interrogazione si sottolineavano i gravi problemi che una simile scelta avrebbe comportato e si preannunciava che si sarebbe tornati sull'argomento qualora non vi fossero state soluzioni positive in tempi brevi, stante l'accertata scarsità di posti letto in Campania;
          in particolare, nell'atto di sindacato ispettivo presentato l'11 settembre 2013 si osservava che «la riconversione stessa del presidio ospedaliero Maresca era subordinata all'attivazione dell'emergenza ed urgenza all'Ospedale del mare di Ponticelli, struttura polifunzionale che tuttora è in costruzione e interessata da provvedimenti legali e contrattuali che ne inficiano il completamento e l'apertura»;
          nella sua risposta sempre l'11 settembre 2013, il Ministro interrogato ricordava che: «L'intervento che coinvolge l'ospedale Maresca e l'ospedale di Boscotrecase risulta (...) coerente con gli obiettivi del decreto n.  49 del 2010, che prevede l'individuazione del presidio ospedaliero di Boscotrecase quale spoke per la rete cardiologica e la riorganizzazione programmata dei punti nascita. Per il presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco il medesimo decreto prevede che il relativo punto nascita, con annessa la neonatologia, confluisca nel presidio di Boscotrecase, nelle more del completamento della nuova azienda ospedaliera «Ospedale del mare»;
          sempre nella sua risposta il Ministro interrogato affermava: «Tanto evidenziato, l'interrogazione pone comunque un tema che non intendo affatto ignorare. Riconosco che la disciplina della gestione sanitaria nelle regioni sottoposte a piano di rientro ad oggi privilegia gli obiettivi di equilibrio di bilancio e di stabilità finanziaria rispetto a quelli, altrettanto fondamentali ed ineludibili, degli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni erogate agli assistiti del servizio sanitario nazionale. Sul tema, è mia ferma intenzione, nell'ambito del nuovo patto della salute, proporre un lento cambiamento di rotta per garantire, nel rispetto degli equilibri di bilancio e tenuto anche conto dei risultati, più che confortanti, già raggiunti in tale ambito, maggiore adeguatezza a standard elevati delle prestazioni di assistenza sanitaria delle regioni sottoposte a piani di rientro»;
          otto mesi dopo del citato Ospedale del mare non si sa ancora nulla ed è prevedibile che nulla ancora accada e che si debba attendere almeno altri 2-3 anni perché il progettato Ospedale del Mare diventi realtà;
          i problemi sottolineati nell'atto di sindacato ispettivo del settembre 2013 non solo non sono stati risolti, ma anzi sono ancor più aggravati, tanto che il tribunale di Napoli sta esaminando una denuncia per omissione di soccorso, omissione di atti d'ufficio e per altri reati, dovuta al depauperamento delle attrezzature sanitarie del presidio ospedaliero «A. Maresca» –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra esposta e cosa intenda fare, nell'ambito delle sue competenze, per contribuire, possibilmente anche effettuando un sopralluogo, a risolvere una volta per tutte una grave questione che preoccupa molto i cittadini di un'area molto vasta (circa 350 mila abitanti), che vengono lasciati senza assistenza sanitaria pubblica, rafforzando strutture isolate e fatiscenti con conseguenti perdite in termini monetari e di diritto alla salute. (3-00821)


      DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia è il Paese europeo con una prevalenza di infezione da epatite C (HCV) tra le più elevate, con una media stimata del 2,6 per cento, con una prevalenza superiore al 5 per cento al Sud in pazienti con età superiore ai 65 anni (1-3). Ogni anno circa 8.000 decessi sono attribuibili all'epatite C (HCV); il carcinoma epatocellulare (HCC), di cui la cirrosi epatica da epatite C rappresenta una delle cause principali, è responsabile ogni anno di 3.000 decessi (1-4);
          l'evoluzione della malattia epatica da epatite C (HCV) comporta lo sviluppo di cirrosi nell'arco di due o tre decenni dall'inizio dell'infezione;
          è notizia di questi giorni che è stato registrato con autorizzazione centralizzata un nuovo medicinale a base del principio attivo «sofosbuvir» e che, rispetto alle terapie già approvate per tale patologia, sembra essere in grado di modificare significativamente l'evoluzione della malattia;
          studi clinici finora condotti sulla rispondenza del medicinale a base del richiamato principio attivo hanno fornito risultati incoraggianti nel trattamento del genotipo 1, che è quello a maggiore prevalenza in Italia –:
          come il Ministro interrogato intenda affrontare il trattamento della numerosa platea di pazienti colpiti dall'infezione da epatite C (HCV), garantendo al contempo equità ed omogeneità di accesso al medicinale a carico del servizio sanitario nazionale, e quali siano i tempi stimati per concludere la procedura autorizzativa del predetto medicinale in Italia. (3-00822)


      RONDINI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e PRATAVIERA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal mese di gennaio 2014 si sta manifestando in Guinea una seria epidemia di febbre ebola che ha già provocato numerose vittime tra anziani, adulti e bambini, oltre a centinaia di casi di contagio;
          secondo Medici senza frontiere si tratta di un'epidemia senza precedenti nell'Africa dell'ovest per il virus ebola, molto contagioso e spesso mortale; negli ultimi giorni l'allarme si è fatto sempre più preoccupante: l'associazione ha dichiarato che «in Africa si può parlare di epidemia». «Sembrava una malattia sconfitta negli anni ’90, ma solo nell'ultima settimana ha causato oltre cento morti nella regione centroafricana». Secondo le autorità sanitarie si è davanti ad una «epidemia senza precedenti», che dalla Guinea, dove dilaga, ha raggiunto il Mali e la Liberia e si teme possa continuare ad espandersi;
          il virus, che ha sempre interessato la regione centrafricana, non si era mai spinto tanto a nord come in questi giorni;
          diversi Paesi africani hanno deciso di rafforzare il controllo sanitario alle frontiere, in particolare all'aeroporto di Casablanca, in Marocco, principale piattaforma aeroportuale dell'Africa del Nord;
          l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l'allarme per gli aeroporti di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona. Sono questi, infatti, gli scali che collegano l'Europa alla Guinea;
          con una circolare emanata il 4 aprile 2014 il Ministero della salute «raccomanda di adottare ogni utile azione di vigilanza in riferimento ad arrivi indiretti» dalla Guinea e altri Paesi confinanti dell'Africa, qualora si riscontrino sintomi riconducibili alla malattia;
          benché nelle dichiarazioni ufficiali il Ministero della salute minimizzi il pericolo di diffusione e contagio della malattia, sono stati allertati il Ministero della difesa, le regioni, l'Enac, la Croce rossa e l'Istituto nazionale per le malattie infettive. Ad ognuna di queste, il dicastero ha indirizzato precise direttive per agire in contrasto alla possibile epidemia;
          sull'urgenza di predisporre misure di tutela sanitaria gli interroganti ravvedono una chiara connessione con l'arrivo, negli ultimi mesi, di ondate senza precedenti di migranti attraverso il Mediterraneo provenienti da tutto il continente africano, in coincidenza con l'avvio dell'operazione Mare Nostrum;
          ogni giorno sbarcano sulle coste italiane migliaia di immigrati provenienti anche dalle zone dove si sta sviluppando l'epidemia; è sufficiente che un singolo individuo sia infetto, anche nella fase di incubazione, quando i sintomi non sono ancora evidenti, per contagiare decine di persone;
          queste persone vengono ospitate dallo Stato in varie strutture su tutto il territorio nazionale, dove, qualora malati, potrebbero contagiare altre persone: i loro compagni ed il personale preposto al loro ricevimento;
          consiglieri comunali e regionali di tutte le regioni italiane, compresi esponenti del Partito democratico, stanno tentando di sensibilizzare il Governo e, in particolare, il Ministero della salute in relazione alla forte presenza di immigrati clandestini, lamentando che, pur in presenza di un allarme conclamato e dichiarato, non siano state predisposte misure di prevenzione e sorveglianza adeguate sui migranti e richiedenti asilo alloggiati in tutto il Paese;
          la mancanza di indicazioni ed informazioni chiare relativamente agli accertamenti sanitari sulle malattie infettive sta scatenando allarme sociale e paura diffusa circa la possibilità di contagi anche attraverso l'utilizzo di mezzi pubblici per gli spostamenti degli immigrati giunti attraverso il Mediterraneo; notizie di cronaca riportano, ad esempio, di richieste di annullamento di gite scolastiche da parte di genitori preoccupati per la salute dei propri bambini –:
          se il Ministro interrogato intenda adottare nuove e più stringenti misure sanitarie al fine di tutelare i cittadini e gli operatori che vengono a contatto con gli immigrati provenienti dal Mediterraneo, interrompendo lo smistamento senza controlli approfonditi degli stessi già presenti sul territorio, in coordinamento con il Ministero dell'interno al fine di predisporre un cordone sanitario per tutelare la popolazione anche rispetto agli sbarchi. (3-00823)


      ABRIGNANI, PALESE e BALDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          è notevole il numero degli italiani che si rivolgono agli osteopati e ai chiropratici per varie sindromi dolorose del sistema osteo-muscolare, richiedendo, a fronte di manipolazioni vertebrali complesse, competenze specifiche, che non è possibile accertare in queste figure che, pur muovendosi nell'area sanitaria, sono prive di una professionalità riconosciuta;
          si deve tener conto dell'assoluta diversità dei percorsi formativi seguiti dai chiropratici e dagli osteopati che frequentano corsi brevi (al massimo due anni) e non formalizzati nel sistema professionale poiché manca una normativa di settore; i corsi, oltretutto, possono essere rivolti a personale privo di diplomi che garantiscano conoscenze di natura sanitaria;
          la legge 24 dicembre 2007, n.  244 (legge finanziaria 2008), al comma 355 dell'articolo 2 ha istituito la professione sanitaria di chiropratico, affidando al Ministero della salute il compito di emanare un regolamento di attuazione. La citata norma non è stata, tuttavia, di facile attuazione poiché presentava alcune criticità, anche in relazione alla sua compatibilità con il sistema generale delle professioni sanitarie, dal momento che non ha delineato il profilo professionale del chiropratico e non ha indicato quali attività egli può porre in essere, domandando la questione ad un regolamento di attuazione da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge suddetta;
          la stessa normativa ha previsto l'istituzione presso il Ministero della salute di un registro dei chiropratici, la cui iscrizione è riservata ai possessori del diploma di laurea magistrale in chiropratica o titolo equivalente, previsione che attualmente risulta inapplicabile, in quanto allo stato attuale detto corso di laurea non risulta attivo presso nessuna università, né è stato elaborato il relativo ordinamento didattico in cui stabilire quale laurea straniera sia da considerarsi equipollente, perché non si dispone del parametro di riferimento nazionale, costituito appunto dall'ordinamento didattico;
          la legge 14 gennaio 2013, n.  4, recante «Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini e collegi», dava, invece, l'opportunità all'osteopatia di entrare a pieno titolo nelle professioni riconosciute secondo un modello di autoregolamentazione basata sul rispetto della norma UNI, assicurando, di fatto, una forma di garanzia per gli utenti per la scelta di operatori «accreditati» del settore;
          la suddetta legge prevedeva la possibilità di costituire delle associazioni a carattere professionale su base volontaria, volte, da un lato, a valorizzare le competenze degli associati, dall'altro a garantire il rispetto delle regole deontologiche e, dunque, la tutela degli utenti;
          recentemente, invece, il Sottosegretario di Stato per la salute Vito De Filippo ha risposto ad un'interrogazione proposta dall'onorevole Binetti in merito al profilo professionale degli osteopati che «le attività svolte dall'osteopata rientrano nel campo delle attività riservate alle professioni sanitarie»;
          tale interpretazione avrebbe l'effetto di portare ad un arretramento rispetto alla legge in materia di professioni non organizzate del 2013 e comporterebbe due gravi conseguenze: da un punto di vista più strettamente giuridico tutti gli osteopati operanti sul territorio italiano si renderebbero responsabili del delitto di cui all'articolo 348 del codice penale (esercizio abusivo della professione medica), mentre da un punto di vista economico-sociale si determinerebbe l'espulsione di circa 10 mila professionisti dal mercato, con conseguente perdita di lavoro di un indotto di circa 45.000 lavoratori –:
          se il Governo intenda attivarsi per un pieno riconoscimento della professionalità della categoria degli osteopati, anche alla luce del fatto che, oltre ad essere già stata approvata una legge che comprendeva gli osteopati nella categoria delle professioni riconosciute, sia la Commissione europea che il Parlamento europeo stanno chiedendo a gran voce la limitazione delle attività riservate secondo il principio della libera circolazione. (3-00824)


      ZOLEZZI, CECCONI, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, BARONI, MANTERO, LOREFICE, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI, SEGONI, TOFALO, COLONNESE, DI BENEDETTO e CRIPPA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          lo studio «Sentieri», condotto dall'Istituto superiore di sanità e finanziato dal Ministero della salute, ha consentito l'analisi della mortalità per 63 cause ascrivibili alla compromissione ambientale nelle aree inquinate del territorio italiano definite «siti di interesse nazionale» (SIN), ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n.  152 del 2006, «Norme in materia ambientale», in cui risiede circa il 10 per cento della popolazione italiana in 44 siti, nei periodi 1995-2002 ed estensione al periodo 2003-2009; un quinto della popolazione ivi residente è costituita da bambini e ragazzi al di sotto dei 20 anni di età, almeno un milione di persone;
          i dati relativi al periodo 1995-2002 hanno dimostrato l'incremento di mortalità per le aree rientranti nei siti di interesse nazionale rispetto alle aree nazionali non rientranti nei siti di interesse nazionale per un ammontare complessivo di circa 1.200 decessi all'anno aggiuntivi, in particolare per quanto riguarda la mortalità oncologica; da altri studi in specifiche realtà (come quella del sito di interesse nazionale «Laghi di Mantova») sono emersi dati preoccupanti relativamente all'incidenza di malformazioni congenite (400 ogni diecimila nascite, dati dell'azienda sanitaria locale di Mantova, il doppio rispetto ad altre realtà nazionali), alla natimortalità e alla mortalità infantile;
          i dati relativi al periodo 2003-2009 («Sentieri 3») sono stati parzialmente pubblicati sulla rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia; si rileva, fra l'altro, che i bimbi sotto l'anno di vita, se crescono vicino alle aree contaminate, hanno un rischio di morte per tutte le cause più alto del 4 per cento, mentre per cause tumorali l'incremento è decisamente maggiore: a Mantova, per esempio, l'incremento di mortalità oncologica nella fascia d'età 0-1 anni e 1-14 anni risulta addirittura del 64 e del 23 per cento; nei bambini il metabolismo accelerato rispetto agli adulti li espone più degli adulti all'inquinamento ambientale, inclusi i tumori; in contrasto si rileva il mancato finanziamento di un progetto di monitoraggio dei ricoveri e della mortalità infantile, che sarebbe costato solo 350 mila euro, briciole rispetto a quanto si spreca affidando bonifiche ai privati o non facendo prevenzione rispetto ai rischi sanitari e ai futuri costi di cura;
          gli epidemiologi suggeriscono il monitoraggio infantile non limitato alla mortalità ma esteso agli accessi in ospedale;
          per quanto concerne gli adulti i dati risultano ancor più sconcertanti rispetto al rapporto precedente; in particolare, per i tumori di tiroide, mammella, pleura si riscontra un ulteriore incremento dell'incidenza; lo stesso vale per le ospedalizzazioni, anche se i dati riguardano per ora solo 18 siti di interesse nazionale, quelli dove esiste un registro tumori, mentre entro la fine del 2014 dovrebbero essere disponibili i dati di tutti i 44 siti di interesse nazionale; ad oggi si comprende che l'inquinamento è impattante sulla salute e sull'ambiente non solo a Taranto e nella «Terra dei fuochi»;
          le conoscenze scientifiche ed epidemiologiche rendono ora possibile e indifferibile prevedere procedure di valutazione integrata dell'impatto ambientale e sanitario;
          esistono ormai sul territorio italiani affidabili database epidemiologici digitali che possono fornire indicazioni sullo stato di salute delle popolazioni e suggerire eventuali fattori ambientali impattanti; tali dati devono essere solo processati e certificati in quello che viene definito «referto epidemiologico», garantendo le opportune risorse per eseguire tali procedure –:
          quali azioni intenda mettere in atto il Ministro interrogato per proseguire ed implementare il monitoraggio epidemiologico delle aree del territorio nazionale inquinate e, in particolare, di quelle rientranti nei siti di interesse nazionale, con particolare riferimento alla popolazione pediatrica e, interfacciandosi con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per accelerare le procedure di bonifica dei siti di interesse nazionale. (3-00825)


      GIGLI e BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 2 della Costituzione della Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;
          all'articolo 1 della legge n.  194 del 1978 si afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, mentre l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite;
          la norma dispone, altresì, che lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovino e sviluppino i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite;
          i consultori familiari sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2 della stessa legge, a informare la donna in stato di gravidanza sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio, oltre che sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
          gli stessi consultori debbono anche contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza e possono avvalersi, per attuare i fini previsti dalla legge, della collaborazione di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita;
          ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge, il consultorio e le strutture socio-sanitarie hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all'interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto;
          per l'adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla legge n.  194 del 1978 ai consultori familiari è stata prevista l'assegnazione di specifiche risorse finanziarie;
          dall'esame delle annuali relazioni al Parlamento del Ministro della salute sullo stato di attuazione della legge n.  194 del 1978 non risultano dati riguardanti le attività sopra descritte previste dagli articoli 2, 3 e 5 e finanziate a norma dell'articolo 4;
          in data 29 maggio 2013, in risposta ad un'interrogazione dei deputati Gigli e Binetti, il Sottosegretario pro tempore Paolo Fadda dichiarava che i dati richiesti dagli interroganti sugli interventi di prevenzione dell'aborto non sono in possesso del Ministero della salute, anche per oggettive carenze dei flussi informativi;
          lo stesso Sottosegretario comunicava contestualmente l'impegno del Ministero della salute ad avviare presso le regioni un'adeguata iniziativa, anche con formale lettera, non solo per sensibilizzare le strutture sanitarie con particolare riguardo al mondo del volontariato per promuovere e sostenere importanti canali di collaborazione e supporto tra i consultori e le associazioni di volontariato, ma soprattutto per richiedere una specifica dei dati con maggiore livello di dettaglio in relazione ai singoli quesiti posti;
          più recentemente la XII Commissione permanente della Camera dei deputati, in riferimento alla relazione del Ministro della salute sullo stato di attuazione della legge n.  194 del 1978, ha approvato, in data 6 marzo 2014, una risoluzione nella quale, dopo aver confermato la necessità di una maggiore valutazione dei consultori familiari quali servizi primari di prevenzione del fenomeno abortivo, ha impegnato il Governo «a dare piena attuazione agli articoli 2 e 5 della legge n.  194 del 1978» per favorire la tutela sociale della maternità –:
          se, a seguito dell'impegno assunto dal Sottosegretario pro tempore Fadda e richiamato in premessa, sia stata predisposta l'implementazione di una scheda di raccolta dati sull'attuazione della legge n.  194 del 1978, tale da prevedere da parte delle regioni la comunicazione dei dati utili a calcolare il numero delle gestanti per le quali siano stati attivati i colloqui previsti dalla legge, a esaminare le cause che inducono all'interruzione volontaria della gravidanza, per tentarne la rimozione, a conoscere il numero delle gestanti per cui siano stati disposti interventi personalizzati a sostegno della maternità, a quantificare il numero di aborti evitati e l'ammontare degli impegni finanziari assunti a tale scopo, nonché a riferire il numero e la tipologia delle collaborazioni attivate con le associazioni di volontariato che hanno come finalità statutaria l'aiuto alle gestanti in difficoltà. (3-00826)


      LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BOSSA, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          le manovre finanziarie degli ultimi anni e la legge sulla spending review del 2012 hanno agito profondamente sul fabbisogno finanziario del servizio sanitario nazionale, violando gli impegni stabiliti dal precedente Patto per la salute 2010-2012 e generando indiscutibili effetti sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
          i tagli al servizio sanitario nazionale sono stati fortemente contestati dalle regioni la cui conseguenza è stata la mancata approvazione del nuovo Patto per la salute 2013-2015;
          il nuovo Patto per la salute dovrebbe definire:
              a) il fabbisogno del servizio sanitario nazionale e i costi standard, nonché l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;
              b) il sistema di monitoraggio e verifica degli adempimenti regionali e organismi di monitoraggio, la rivisitazione cosiddetti piani di rientro;
              c) il regolamento ai sensi dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, di definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
              d) la mobilità interregionale e transfrontaliera;
              e) l'edilizia sanitaria, fondi strutturali e politiche di coesione;
              f) attività intramoenia-professioni sanitarie. Accordi collettivi nazionali per la medicina generale, per la pediatria di libera scelta, per gli specialisti ambulatoriali, formazione specifica in medicina generale, personale del servizio sanitario nazionale, nonché assistenza primaria-continuità assistenziale;
              g) assistenza farmaceutica e dispositivi medici;
              h) piano nazionale di prevenzione, riordino istituti zooprofilattici sperimentali; ricerca sanitaria;
          il nuovo Patto per la salute potrebbe, quindi, contenere scelte significative per una vera e propria riforma del servizio sanitario nazionale, che dovrebbero, comunque, rafforzare il suo carattere pubblico ed universalistico, partendo dall'elemento imprescindibile che è la quantificazione e la certezza del budget complessivo del fondo sanitario nazionale per il prossimo triennio e la revisione dei livelli essenziali di assistenza, riformandoli e correlandoli con la dotazione finanziaria dello stesso fondo, senza che venga meno il principio della dignità sociale per i cittadini che ricorrono al servizio sanitario nazionale;
          nell'attesa della stipula del nuovo patto per la salute, in molte regioni vi è un forte allarme per ciò che riguarda la riorganizzazione della rete ospedaliera –:
          quali siano stati i motivi che hanno impedito, fino ad oggi, la conclusione e la sottoscrizione del nuovo Patto per la salute e quali termini e modalità siano previsti affinché, nel più breve tempo possibile, si possa arrivare alla sua sottoscrizione. (3-00827)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il fenomeno della moria delle api ha assunto proporzioni allarmanti in Europa e negli Stati Uniti a partire dal 2006, quando gli agricoltori statunitensi segnalarono per primi una drastica riduzione della presenza degli alveari;
          le api sono degli insetti fondamentali per la salute dell'ecosistema visto il loro ruolo svolto nel ciclo dell'impollinazione, essenziale per numerose attività agricole, cui si aggiunge la produzione del miele;
          riduzioni delle attività di impollinazione svolte da questi insetti mettono a repentaglio la riproduzione delle piante con un effetto moltiplicatore su tutto il comparto agricolo e alimentare;
          sullo spopolamento degli alveari sono state avanzate numerose ipotesi che includono, tra l'altro, i cambiamenti climatici, l'inquinamento e soprattutto l'utilizzo dei pesticidi neonicotinoidi utilizzati per la concia del mais;
          i neonicotinoidi sono prodotti chimici definiti «sistemici» in quanto agiscono e sono presenti in un'intera pianta – dalle radici al polline – e per questo motivo si è ipotizzato che questi prodotti intossichino le api agendo sul loro sistema nervoso causandone la morte;
          sono stati condotti numerosi studi che hanno ipotizzato il legame della moria delle api con i neonicotinoidi, tra gli ultimi figurano il rapporto di Greenpeace, pubblicato il 9 aprile 2013, intitolato «Api in declino – le minacce agli insetti impollinatori e all'agricoltura europea» e il documento di gennaio 2013 diffuso dall'EFSA – l'Autorità europea di sicurezza alimentare che ha sede a Parma – che ha confermato «i gravi rischi» legati all'uso di queste sostanze;
          l'Italia ha proibito dal 2008 l'uso dei neonicotinoidi per la sola concia del mais con decreti temporanei, successivamente prorogati, del Ministero della salute;
          l'iniziativa di monitoraggio avviata nel nostro Paese denominata Apenet, promossa e finanziata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ha evidenziato una rilevante riduzione della moria delle api – che aveva interessato il 50 per cento degli alveari – a seguito dei provvedimenti che hanno vietato l'utilizzo degli insetticidi summenzionati;
          il 7 maggio 2014 il quotidiano il Messaggero Veneto ha pubblicato l'articolo «Api, spopolamento di alveari in una trentina di comuni della provincia di Udine» in base al quale l'intero territorio della Provincia friulana sarebbe oggetto del preoccupante fenomeno della moria delle api registrata da una trentina gli apicoltori;
          segnalazioni provengono dall'area del Friuli centrale e collinare oltre che dai produttori di Gemona, Terzo d'Aquileia e Cividale;
          l'assessore provinciale all'agricoltura, Leonardo Barberio, ha acquisito il monitoraggio effettuato dal Consorzio Apicoltori di Udine, che riporta numerosi dati negativi, esprimendo forte preoccupazione;
          il principale responsabile della moria sembrerebbe essere un insetticida a base di neonicotinoide thiacloprid – autorizzato nel dicembre 2013 dal Ministero della salute – utilizzato per la concia del mais;
          il fenomeno è stato accertato a pochi giorni dalla semina del mais, avvenuta in vicinanza degli alveari, ed è localizzata maggiormente nelle zone caratterizzate da coltivazioni intensive di questo cereale  –:
          quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per vietare categoricamente l'uso di pesticidi potenzialmente nocivi per le api e dei neonicotinoidi utilizzati per la concia del mais;
          se s'intenda agire in sede comunitaria per chiedere una restrizione nell'utilizzo di tutte le sostanze utilizzate nei pesticidi, potenzialmente pericolose per le api, il cui uso è attualmente autorizzato nell'Unione europea. (4-04799)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


      AIRAUDO, LACQUANITI, MARCON, DURANTI, FRATOIANNI, DI SALVO, MELILLA, FRANCO BORDO, PANNARALE, PAGLIA, LAVAGNO, FERRARA, PALAZZOTTO, MIGLIORE e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in data 7 maggio 2014, davanti ad una folta platea di investitori e addetti ai lavori, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler group automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato l'ennesimo piano industriale per i prossimi cinque anni, promettendo di investire circa 55 miliardi di euro entro il 2018, con una media annua di 9,5 miliardi di euro ed un picco di 11 miliardi di euro nel 2016;
          detto piano ha, come al solito, sorpreso numerosi operatori economici. Sergio Marchionne ha, infatti, rassicurato i dipendenti italiani del Gruppo, sottolineando che «non verrà mandato a casa nessuno», che «sarà utilizzata tutta la manodopera» e, soprattutto, che «quando arriverà l'industrializzazione dei prodotti finirà tutto il periodo di cassa integrazione». Dalla componentistica, in particolare, il gruppo intende registrare ricavi al 2018 di circa 12 miliardi di euro, in aumento dagli 8 miliardi di euro del 2013, con un tasso di crescita annuale di circa il 9 per cento;
          la reazione dei mercati a tali esternazioni è stata, tuttavia, decisamente negativa. Il titolo Fiat-Chrysler ha, infatti, proseguito, in forte ribasso per tutta la giornata, con volumi elevati, perché l'annuncio del nuovo piano industriale da parte di Marchionne è stato giudicato generalmente troppo ambizioso da parte degli analisti, sia in termini di volumi, sia in termini di riduzione del debito. In particolare, secondo uno studio di Exane Bnp Paribas, i target al 2018 diffusi nella giornata del 7 maggio 2014 sono sembrati «eccessivamente ottimisti su volumi, margini e soprattutto sulla riduzione del debito, perché i risultati dell'ultimo trimestre sono stati del 24 per cento inferiori alle stime e rappresentano un segnale dei rischi al ribasso associati al piano»;
          in effetti, dall'ultima relazione finanziaria annuale di Fiat, datata 31 dicembre 2013, emerge chiaramente che il complesso dei debiti finanziari di Fiat corrisponde a 29.902 milioni di euro, in crescita, peraltro, rispetto al 2012, a fronte di una liquidità complessiva disponibile pari a 22.729 milioni di euro;
          il problema è che su tale liquidità la citata relazione finanziaria annuale di Fiat dice poco o nulla: in particolare, detta liquidità, oltre a non essere destinata ai fini dell'abbattimento del debito del gruppo, non si comprende ove risulti collocata, dove sia, in buona sostanza, in quale Paese, a quanto ammonti e in quali strumenti sia considerata;
          si deve pure segnalare che tale liquidità nel tempo è costantemente cresciuta e ad oggi risulterebbe altissima. Ciò, tuttavia, corrisponde al risultato di continui accumuli di liquidità, in parallelo ad una continua espansione del debito finanziario, ed è proprio tale dinamica di accumulo che, sotto il profilo dell'analisi finanziaria, preoccupa in particolar modo;
          nel corso dell'ultimo decennio, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler group automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato ben otto piani industriali per il rilancio della Fiat e del gruppo che, di fatto, non si sono mai conclusi, sono sempre stati sempre rinviati nei tempi e negli effetti, con contestuale riduzione degli investimenti, allungando in tutti i casi i tempi per il rientro operativo dei lavoratori (per Mirafiori era stato previsto un termine entro il 2014, che ora sembrerebbe slittare al 2018), facendo leva sul sistema della cassa integrazione: sistema che lo stesso amministratore delegato ha sempre criticato, eppure non abbandona;
          sotto tale ultimo profilo si segnala come in un articolo apparso il 15 giugno 2013 su Il Sole 24 Ore, a firma Andrea Malan, dal titolo «Fiat, dalla Cig risparmi per 1,7 miliardi. I minori oneri salariali hanno raggiunto con la crisi i 200 milioni annui per l'auto», si evidenzi chiaramente che uno dei fattori più importanti che rendono economicamente razionale la decisione di non chiudere gli stabilimenti in Italia è la presenza, nel nostro Paese, di un meccanismo come la cassa integrazione. In tale articolo si legge, in particolare: «Nei giorni di cassa integrazione (quella ordinaria, cig, e la straordinaria, cigs) l'azienda non paga stipendi e oneri sociali, ma anticipa ai dipendenti un'indennità che le viene poi rimborsata dall'Inps; in quei periodi, dunque, il costo del lavoro scende (quasi) a zero. Per una fabbrica come quella di Melfi o Mirafiori (oltre 5.000 dipendenti) il risparmio per ogni giorno di CIG si può stimare in 600-700.000 euro) Automotive news Europe ha stimato l'anno scorso che un giorno di CIG ai cosiddetti enti centrali di Mirafiori (circa 5000 impiegati) fa risparmiare a Fiat “circa 1 milione di euro”»;
          in realtà, ad avviso degli interroganti, quello che si sta compiendo corrisponde ad un disegno che la dirigenza Fiat persegue da tempo e che nessun altro Paese europeo avrebbe mai consentito, anche alla luce dei generosissimi finanziamenti pubblici di cui il gruppo ha sempre goduto sia in termini di ammortizzatori sociali, ma anche in termini di sostegno alla produttività: finanziamenti a fronte a dei quali lo Stato italiano, come contropartita, non ha ottenuto nulla, se non addirittura un danno per l'erario, il progressivo annichilimento dello sviluppo industriale del comparto automobilistico e di tutto l'indotto e della componentistica ad esso collegati, per finire con il dramma economico ed esistenziale di migliaia e migliaia di famiglie. Prima via le produzioni, poi il know-how tecnologico, poi gli investimenti, poi il cambio di sede, poi il mercato azionario, poi la tassazione più favorevole ed altro. Il 29 gennaio 2014 il consiglio di amministrazione di Fiat spa ha deliberato il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler group nella società Fiat Chrysler automobiles N.V. (FCA), stabilendone, contestualmente, la sede legale in Olanda e la residenza fiscale in Gran Bretagna, ma di questa cosa non ne parla più nessuno e a poco valgono le rassicurazioni fornite al riguardo dal Governo italiano e dall'Agenzia delle entrate per vigilare sul pieno rispetto, da parte della nuova società, della normativa fiscale italiana: l'obiettivo finale di questa operazione appare chiaro e sembra proprio essere quello di non pagare più un euro di tasse allo Stato italiano;
          del resto, anche l'attivismo frenetico che Sergio Marchionne dimostra nel presentare, anche a pochissimi mesi di distanza nell'arco di un anno, un nuovo piano industriale, sempre diverso dal precedente, sembra essere congegnato per distogliere l'attenzione da ciò che, realmente, ha fatto e continua a fare mentre si cancella inesorabilmente il tessuto industriale del nostro Paese;
          nel primo piano industriale (agosto 2004), dal titolo «The new Fiat group: A commitment to execution», l'amministratore delegato di Fiat aveva promesso il lancio di dieci modelli in tre anni. Dopo neanche un anno, Sergio Marchionne presenta il secondo piano industriale ove si prevede il lancio di 17 modelli nei successivi quattro anni, ma alla presentazione del terzo piano industriale (novembre del 2006) i modelli prima annunciati scendono a 15, a fronte, stranamente, di una mole di investimenti superiore a quella degli anni precedenti. Il quarto piano industriale (2009) riguarda, soprattutto, le attività americane della Chrysler; Sergio Marchionne presenta il «Piano per l'Italia», ove si prevedono addirittura trenta nuovi modelli in due anni e 8 miliardi di euro di investimenti nel settore auto. Passano quattro mesi e si arriva al quinto piano industriale, ovverosia «Fabbrica Italia»: un piano al limite dell'inverosimile, che prevede 20 miliardi di euro di investimenti per triplicare la produzione italiana di auto, per poi vendere, insieme a Chrysler, 6 milioni di vetture in tutto il mondo con 47 novità da lanciare sul mercato. Passa poco più di un anno ma il piano «Fabbrica Italia» viene ritirato, la dirigenza di Fiat ripiega sul suo settimo piano industriale, molto più modesto di quello precedente, e si arriva così all'ottavo piano (ottobre 2012), quando si scende da 6 milioni di auto stimate in termini di target di vendita a 4,6 milioni di autovetture; i modelli promossi sul mercato caleranno a trenta e sugli investimenti non si dirà praticamente nulla;
          al netto dell'energica attività di Marchionne volta a presentare i suoi piani, ivi compreso l'ultimo (il nono) del 7 maggio 2014, non si può non osservare come la recente deliberazione del consiglio di amministrazione di Fiat del 29 gennaio 2014, che comporta, come si è detto, il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler group nella società Fiat Chrysler automobiles N.V. (FCA), altro non rappresenti che l'epilogo finale di un disegno di conclusivo allontanamento del baricentro produttivo dall'Italia, già iniziato con la formalizzazione da parte di Fiat dell'accordo con il Governo americano e con quello canadese per la scalata in Chrysler (si confronti «Amended and restated limited liability company operating agreement of Chrysler group llc» del 10 giugno 2009);
          il contenuto di tale documento è stato portato all'attenzione del pubblico grazie ad un articolo apparso su Il Corriere della Sera del 7 gennaio 2011, a firma Massimo Mucchetti, «Ecco gli accordi di Torino per scalare Chrysler. Le clausole per salire al 6 per cento e raggiungere il controllo, le condizioni e il rimborso del prestito». Tuttavia, l'importanza del testo di tale documento, nonostante esso fosse stato pubblicato sul sito del Governo americano (http://www.treasury.gov), è stata, purtroppo, generalmente ignorata, nonostante vi fossero stabilite le regole della scalata alla allora moribonda società americana Chrysler per mezzo del concambio del travaso del know how tecnologico di Fiat in Chrysler (motore a basso consumo ed altro) e dello sviluppo produttivo di Chrysler e dei posti di lavoro americani;
          attraverso la lettura di quell'accordo è, infatti, possibile decifrare la strategia seguita da Fiat in questi anni e le conseguenze che si sono prodotte e che, ad avviso degli interroganti, potrebbero continuare a prodursi sugli stabilimenti, sull'indotto e sul lavoro in Italia, visto che il disegno esterofilo che ne discende poneva già, da tempo e di fatto, le condizioni di base per la disintermediazione dei siti produttivi italiani ed il conseguente trasferimento della ricerca e dei risultati della ricerca italiana a favore dei siti esteri;
          non appare più accettabile continuare a rimanere inermi di fronte alla strategia che la dirigenza di del gruppo Fiat Chrysler group automobiles ha adottato sino ad oggi, fatta solo di annunci di investimenti, progetti ed iniziative da intraprendere in Italia e per l'Italia, ma mai realizzati in concreto;
          il timore è che si tratti di una mera strategia di imbonimento, riempimento fumoso di notizie e di rimando, realizzata all'unico scopo di concretizzare il vero affare perseguito dalla dirigenza, ovverosia la scalata che la quotazione di Chrysler –:
          se il Ministro interrogato non intenda porre in essere ogni atto di competenza teso a convocare urgentemente la dirigenza di Fiat Chrysler group automobiles per verificare il nuovo piano industriale annunciato in data 7 maggio 2014, al fine di confermarne la credibilità, la sostenibilità finanziaria e la certezza dell'impegno, a fronte di talune opacità che emergono dagli ultimi dati di bilancio del gruppo Fiat in relazione all'ammontare complessivo dell'esposizione debitoria e, in particolare, della liquidità di cassa di cui non si comprende la precisa finalizzazione, il motivo per cui non sia stata destinata all'abbattimento del debito del gruppo, dove risulti collocata e in quali strumenti sia considerata, così da scongiurare il rischio del possibile trasferimento all'estero di ulteriori risorse «buone» di Fiat, ovvero la trasformazione di Fiat storica in una sorta di bad company, nonché verificare che dall'accordo con il Governo americano e con il Governo canadese per la «scalata» in Chrysler non discenda anche una strategia che porti ad un fortissimo ridimensionamento – sino ad un possibile definitivo smantellamento – degli stabilimenti Fiat in Italia a danno dell'erario, della dignità dei cittadini lavoratori e dello sviluppo industriale del Paese. (3-00818)


      CORSARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il settore delle rinnovabili in Italia è rappresentato da circa cinquecento gruppi aziendali con decine di migliaia di lavoratori e oltre undicimila megawatt di produzione installati – e almeno il doppio a livello globale – nel settore idroelettrico, solare, eolico, del biogas e delle biomasse oltre che nell'industria dei servizi, cui si aggiungono circa mezzo milione di produttori non professionali che, grazie agli incentivi, hanno installato un impianto sul tetto della propria casa o del proprio capannone;
          sembra che il Governo stia lavorando ad un decreto «spalma incentivi» che prevede tagli retroattivi agli incentivi corrisposti al settore delle energie rinnovabili, un provvedimento che danneggerebbe gravemente tutto il settore, già interessato, negli ultimi anni, da una lunga serie di modifiche regolatorie retroattive, quali l'eliminazione dei prezzi minimi garantiti, l'introduzione dell'imu, l'eliminazione dell'indicizzazione della tariffa incentivante del primo conto energia, l'inclusione delle stesse rinnovabili nella Robin Hood Tax, l'azzeramento del corrispettivo per il servizio di trasmissione (ctr), l'introduzione degli oneri di gestione in capo al Gestore servizi energetici ed altre ancora, che hanno impattato in misura sensibile sui conti delle singole imprese produttrici, riducendo fortemente la redditività dei progetti;
          l'introduzione di una simile misura lede, inoltre, l'affidamento degli operatori nella certezza e stabilità del regime incentivante, andando a colpire solamente le società che hanno investito, credendo nel Paese, in infrastrutture pluriennali, ed è in evidente contrasto, a giudizio dell'interrogante, sia con la disciplina europea sia con le norme costituzionali;
          si stima che la somma delle misure condurrà nel solo 2014 ad una «restituzione» di incentivi per oltre un miliardo di euro, circa ottocento milioni dei quali destinati, peraltro, in larga parte alla fiscalità generale e solo in misura limitata ad una riduzione della componente A3 a beneficio delle bollette elettriche e, quindi, dei consumatori;
          l'adozione di tale misura rischia di determinare il fallimento di buona parte degli operatori, con seri impatti occupazionali, compromettendo in modo irrimediabile la posizione del nostro Paese in questo settore a livello europeo e mondiale –:
          quali siano i contenuti effettivi del provvedimento allo studio del Governo e se non ritenga di introdurre dei criteri di garanzia per il settore delle energie rinnovabili, mantenendo un principio di affidamento per le aziende anche straniere che si sono impegnate in questo settore in Italia, nonché salvaguardando le aziende e i lavoratori. (3-00819)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda Sant'Andrea Novara spa, specializzata nella produzione di macchine tessili e trituratori per il settore ecologico, soffre da tempo la crisi che ha investito i settori di riferimento, inasprita soprattutto da scelte aziendali molto discutibili (riconducibili presumibilmente al gruppo francese di riferimento, la società offshore NSC con socio Sant'Andrea Novara);
          nel mese di settembre 2013 il tribunale di Novara ha ammesso l'azienda alla procedure previste dal concordato preventivo, divenuto poi definitivo;
          parallelamente alle procedure di concordato, l'azienda è stata inserita in regime di amministrazione controllata gestita dal commissario giudiziale Mario Leonardo Marta;
          a seguito del commissariamento di Sant'Andrea Novara spa, come riportato dall'articolo pubblicato sul sito «www.lastampa.it» in data 2 aprile 2014 a firma Marcello Giordani, la società «Tecnomeccanica Biellese Ploner S.r.l.» si era offerta di acquisire un ramo dell'azienda ridenominandola come «San Textile Machines S.R.L.»;
          considerando che tale offerta avrebbe garantito la continuità lavorativa a solo 20 dei 127 dipendenti dello stabilimento di Novara, l'assemblea dei lavoratori ha bocciato la proposta della società di Biella;
          in data 3 aprile 2014 la società NSC-Sant'Andrea Novara decide di presentare un nuovo piano concordatario che prevede la chiusura dello stabilimento di Novara e di mettere i 127 dipendenti in cassa integrazione a zero ore che durerà fino a settembre 2014;
          in data 14 aprile 2014 si arriva alla stipula dell'accordo con Ploner che avrebbe previsto il rilancio dell'azienda con la nuova denominazione «San Textile Machines S.R.L.», prevedendo l'utilizzo di 30 lavoratori a tempo indeterminato e 10 a tempo determinato, mentre i restanti 87 non troverebbero spazio nella riorganizzazione della forza lavoro;
          di questi ultimi, 45 raggiungerebbero, tramite gli ammortizzatori sociali previsti, la pensione;
          dichiarazioni del sindaco di Novara Ballarè, riportate anche da diverse testate giornalistiche come L'AZIONE dell'11 aprile 2014, accennerebbero alla possibilità di garantire ai lavoratori Sant'Andrea Novara la cassa integrazione straordinaria per 36 mesi;
          data la gravità della situazione, le organizzazioni sindacali e gli enti locali hanno più volte sollecitato chiarimenti sul ricollocamento del personale in esubero;
          al momento risultano esserci in sospeso commesse per un valore di circa 6 milioni di euro;
          non è ancora chiaro se tali commesse saranno terminate e consegnate dalla nuova «San Textile Machines S.R.L.» garantendo ai dipendenti condizioni allineate a stipendi contrattuali di base di categoria o se da una gestione aziendale speciale;
          nella giornata di lunedì 12 maggio 2014 è stata firmata e di fatto sbloccata la procedura di cassa integrazione straordinaria per i lavoratori della Sant'Andrea Novara spa che durerà fino a settembre 2014  –:
          se e quali urgenti iniziative di competenza intendano attivare i Ministri interrogati per istituire un tavolo di crisi al fine di valutare tutte le soluzioni percorribili per il rilancio dell'attività e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con il coinvolgimento degli enti locali e della regione Piemonte. (5-02780)

Apposizione di firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

      La mozione Catania e altri n.  1-00146, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Andrea Romano e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Catania, Andrea Romano, Dellai, Santerini, Schirò Planeta, Balduzzi, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, De Mita, Fauttilli, Galgano, Librandi, Matarrese, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Sberna, Sottanelli, Vargiu, Vitelli».

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Catania n.  1-00146, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  54 del 16 luglio 2013.

      La Camera,
          premesso che:
              in Italia il fenomeno della povertà ha assunto negli ultimi anni dimensioni sempre più preoccupanti. Dall'ultimo rapporto Istat emerge che il 12,7 per cento delle famiglie, pari a 9,6 milioni di individui, versa in condizioni di povertà relativa mentre il 6,8 per cento delle famiglie, per un totale di 4,8 milioni di individui, versa in condizioni di povertà assoluta, ovvero non è in grado di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile;
              da sempre l'aiuto alimentare è il primo intervento che si effettua in ogni percorso di reinserimento sociale;
              in Italia non ci sono mai state politiche sociali organiche per la distribuzione di alimenti agli indigenti e storicamente il sostegno più significativo è sempre pervenuto da organizzazioni non profit che operano in modo capillare sul territorio;
              le organizzazioni non profit utilizzano, per la distribuzione di alimenti agli indigenti, prodotti donati dalle imprese e, fino allo scorso anno, gli alimenti messi a disposizione dal programma di aiuto alimentare agli indigenti (PEAD) della Unione europea. Tali alimenti costituivano la parte quantitativamente prevalente degli aiuti alimentari complessivamente distribuiti dalle organizzazioni caritative;
              il programma di aiuto alimentare agli indigenti è stato il più importante aiuto pubblico per la distribuzione di alimenti ai poveri ed ha operato, da oltre 20 anni, nell'ambito della Politica agricola comune (PAC) dell'Unione europea. Esso è stato attuato in Italia attraverso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Nel 2013 il budget a disposizione dell'Italia è stato di circa 100 milioni di euro;
              a livello operativo in Italia il PEAD è stato gestito con successo da Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) in concorso con la rete nazionale di enti caritativi presenti sul territorio nazionale. Si tratta di un Programma efficiente, trasparente, incisivo e con bassissimi costi di gestione. Nel 2013 le spese amministrative e di stoccaggio hanno inciso per il 2 per cento del budget a disposizione, mentre i costi di trasporto hanno inciso per il 4,5 per cento. Negli scorsi anni il programma è arrivato a raggiungere circa 3,5 milioni di persone. I vantaggi di questo programma sono stati un elevato grado di conversione in aiuti alimentari dei fondi erogati, una diffusione capillare sul territorio, un elevato numero di persone raggiunte, un'elevata qualità degli aiuti alimentari erogati, una continuità durante tutto l'arco dell'anno (le campagne sono annuali e quindi vengono assicurate forniture che riescono a supportare il bisogno nell'arco dell'anno, senza inopportune pause o concentrazioni);
              a partire dal 2014 questo programma non ha avuto più luogo per l'indisponibilità di alcuni Stati membri dell'Unione europea a finanziare attraverso la nuova PAC l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali. A livello europeo è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD). Questo nuovo fondo non sarà più inserito nella Politica agricola comune ma nel fondo sociale europeo. Inoltre, il campo di applicazione della nuova misura prevede maggiori margini di manovra per gli Stati membri, che potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità;
              ove il Governo adottasse una decisione in tal senso, non dando seguito al precedente programma con le attuali modalità, si innescherebbe una situazione assai grave. Si avrebbe sicuramente una interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, con grandi sofferenze per le persone private di sostegno. Le organizzazioni caritative vedrebbero vanificata l'opera di fondamentale raccordo tra povertà e società costruita negli anni grazie a decine di migliaia di volontari. Di conseguenza le istituzioni locali verrebbero invase da richieste di sostegno alle quali non sarebbero in grado di rispondere col rischio di incorrere in crescenti tensioni sociali al momento non quantificabili, né per dimensione né per intensità;
              nella scorsa legislatura con il decreto-legge n.  83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  134 del 2012 era stato istituito un fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari agli indigenti, per integrare gli alimenti messi a disposizione dal programma europeo;
              tale fondo che ricade negli ambiti applicativi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, è stato rifinanziato con la legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014) con una quota pari a 10 milioni di euro, decisamente insufficiente per rispondere alle necessità di aiuto,

impegna il Governo:

          ad assumere tutte le opportune iniziative per ridurre l'ammontare degli sprechi alimentari attraverso un maggior recupero di alimenti da destinare agli indigenti;
          ad assumere iniziative per incrementare il fondo previsto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134;
          ad utilizzare i finanziamenti previsti dal fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), per la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del programma di distribuzione di alimenti agli indigenti finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative.
(1-00146)
«Catania, Andrea Romano, Dellai, Santerini, Schirò Planeta, Balduzzi, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, De Mita, Fauttilli, Galgano, Librandi, Matarrese, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Sberna, Sottanelli, Vargiu, Vitelli».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Vargiu n.  4-03823 del 5 marzo 2014;
          interrogazione a risposta scritta Abrignani n.  4-04393 del 7 aprile 2014;
          interrogazione a risposta scritta Guidesi n.  4-04520 del 16 aprile 2014;
          interrogazione a risposta scritta Prataviera n.  4-04734 del 7 maggio 2014;
          interrogazione a risposta scritta Busin n.  4-04762 dell'8 maggio 2014.