XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno adottato sanzioni nei confronti della Federazione russa, in risposta alle quali le autorità russe hanno disposto un embargo su diverse tipologie di beni e servizi provenienti da Unione europea, Stati Uniti d'America, Australia, Canada e Norvegia;
              il perdurare della crisi ucraina ha determinato ulteriori e più gravi misure sanzionatorie e restrizioni culminate con la decisione – unanime – dei ventotto Stati membri dell'Unione europea che, il 17 giugno 2015, attraverso i propri ambasciatori permanenti hanno consentito di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Federazione russa, ritenuta colpevole di aver destabilizzato l'Ucraina favorendo inoltre la guerra civile attraverso un intervento militare giudicato illegittimo. Tale decisione, poi, formalmente approvata in Lussemburgo il 22 giugno 2015 nel corso della riunione intercorsa fra i Ministri degli esteri dei rispettivi Paesi ha determinato, inevitabilmente, l'estensione delle contro-sanzioni adottate dalla stessa Federazione russa contro l'Unione europea, Stati Uniti d'America, Canada e Norvegia;
              questo tipo di politica estera segue con fermezza la linea adottata in sede europea, una linea che formalmente vuole mantenere una parvenza di risposta unitaria nei confronti della Federazione russa, ma che, al contempo, dimostra sempre più la fragilità della politica estera europea;
              l'Italia, in modo particolare, sta pagando un prezzo assai caro in termini politico-economici, vedendo giorno dopo giorno sempre più indebolita la propria rilevanza politica in un Paese che ha dimostrato di poter essere, soprattutto negli ultimi anni, per il nostro Paese, un partner fondamentale: l'esempio forse più rilevante è la cancellazione del contratto tra Gazprom e Saipem (gruppo Eni) che prevedeva la costruzione di un gasdotto lungo il Mar Nero con un danno stimato di circa 2,2 miliardi di dollari. Il calo delle esportazioni dell'11,6 per cento rispetto al 2014 è quantificabile, secondo stime della Coldiretti, in 1,25 miliardi di euro;
              la Federazione russa, tra l'altro, ha dovuto anche registrare l'esclusione dall'Assemblea parlamentare dell'OSCE. Non può sfuggire, in questo caso, il sorprendente paradosso per cui – pur avendo, sanzionato anche singoli esponenti politici russi – secondo l'Unione europea, il regime di sanzioni non si applica in casi inerenti alla partecipazione alle attività delle organizzazioni internazionali;
              di fatto, sono intervenuti importanti mutamenti nello scenario mondiale, anche e soprattutto a seguito dell'intensificarsi degli attentati di matrice terroristica riconducibili allo stato islamico (Daesh); sulla base di questi accadimenti risulta sempre più evidente la necessità di un approccio multilaterale alla minaccia terroristica nell'ottica di una cooperazione internazionale dalla quale una potenza come quella russa non può risultare esclusa;
              proprio la Federazione russa sta svolgendo un ruolo chiave nell'evoluzione dei rapporti tra occidente e Medioriente in Siria e in Turchia, portando avanti importanti e incisive iniziative in campo politico-diplomatico unitamente a un massiccio dispiegamento di forze militari proprio nel conflitto siriano. Nella lotta al terrorismo può e deve riaprirsi un dialogo istituzionale di vitale importanza per la cooperazione, la pacificazione e la diplomazia occidentale tanto per la risoluzione dei conflitti geograficamente più vicini al nostro continente quanto per altri e altrettanto gravi, certamente assai più lontani dal sentire comune ma comunque allarmanti in termini umanitari piuttosto che di conseguenze politiche più o meno dirette;
              questo tipo di cooperazione, tuttavia, può essere minata da decisioni interpretabili come provocatorie quali ad esempio la scelta di invitare lo Stato del Montenegro a entrare nell'Alleanza. Tutto ciò, da una prospettiva russa, non può non alimentare una già evidenziata «sindrome da accerchiamento» ed essere perciò interpretata come una gravissima e inaccettabile provocazione,

impegna il Governo:

          a promuovere e sostenere in sede europea iniziative finalizzate alla revoca del reiterato regime di sanzioni al fine di evitare che gli interessi nazionali vengano colpiti ancor più duramente di quanto avvenuto fino ad ora;
          ad attivarsi concretamente in sede europea perché venga adottato ogni intervento necessario affinché possano essere garantite maggiori risorse utili al risarcimento delle imprese e dei produttori europei danneggiati dall'embargo russo, prevedendo misure eccezionali per fronteggiare la situazione congiunturale venutasi a creare.
(1-01086) «Grande, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spadoni, Del Grosso, Di Battista, Scagliusi, Crippa».

Risoluzione in Commissione:


      L'VIII Commissione,
          premesso che:
              secondo lo studio A safe operating space for humanity, di Jonah Rockström, aggiornato nel 2015 da Will Steffen, fra i 9 limiti planetari, quelli a rischio di superamento sono il ciclo dell'azoto, il ciclo del fosforo e la riduzione della biodiversità. I cambiamenti climatici non sono ancora sul podio dell'insostenibilità anche se la tendenza attuale è verso gravi sovvertimenti climatici, integrati nell'alterazione dei precedenti cicli citati, in un circolo vizioso autoalimentante:;
          il suolo, i corpi idrici e le falde acquifere nel nostro Paese sono sempre più a rischio e la normativa attuale non consente la tutela dagli impatti sommatori dei vari agenti inquinanti; Steffen cita il nostro Paese in merito al sovvertimento del ciclo del fosforo in buona parte delle regioni, del ciclo dell'azoto in pianura Padana e del ciclo integrato delle acque (eccessiva captazione) in buona parte del territorio; è scarsa la cultura su questi temi che legano:
                  la produzione agroalimentare e la zootecnia;
                  le agro energie;
                  la cementificazione e l'impermeabilizzazione dei suoli;
                  la prevenzione della produzione di rifiuti solidi urbani e speciali, il riciclo, la gestione sostenibile della depurazione e dello spandimento dei reflui, l'esportazione transfrontaliera e interregionale a scopo meramente speculativo di rifiuti;
                  le trivellazioni, la proliferazione di impianti geotermici e gli stoccaggi di gas;
                  la necessità di una gestione del ciclo integrato delle acque intese come bacino idrico con la spinta alla riduzione dei fattori di pressione antropica che a valle determinano oltretutto incremento dei costi per la depurazione;
                  la mancata analisi degli utilizzi dell'acqua nei diversi territori;
                  l'informazione della popolazione con un coinvolgimento proattivo nelle scelte politiche e nella messa in opera e comunicazione virale delle buone pratiche;
                  la necessità di una pianificazione degli interventi impattanti sull'ambiente che tenga conto delle effettive necessità umane e non sia basata su logiche speculative (LR);
              il ciclo dell'azoto che fornisce nelle corrette concentrazioni e quantità questo elemento vitale per tutte le forme di vita sulla terra si sta sovvertendo:
                  per un eccessivo utilizzo di fertilizzanti chimici azotati e per un abuso dell'allevamento intensivo e relativo spandimento di reflui;
                  per un eccessivo utilizzo di erbicidi e pesticidi, che limitano la presenza e l'azione dei batteri azotofissatori che rendono disponibile l'azoto alle piante e per una limitazione delle buone pratiche quali la rotazione culturale che consente la fissazione naturale dell'azoto tramite la presenza di piante leguminose; l'agricoltura biologica, in naturale espansione anche se non sostenuta adeguatamente a livello normativo, potrà giocare un ruolo importante nella sostenibilità del settore;
                  per il diffondersi delle agroenergie che oltre a sottrarre superficie agricola alla nutrizione umana e animale, determinano gravi problemi in merito alla gestione dei reflui (digestato) ricchi di azoto (secondo il consorzio italiano compostatori - CIC - il rapporto fra C/N è 11 negli ammendanti compostati misti che comprendono digestato, rispetto a 15 nell'ammendante compostato verde che non contiene digestato) che viene disperso e intossica suoli, corpi idrici superficiali e falde acquifere, quando non crea morie di pesci e di tutta la fauna ittica in caso di sversamenti importanti; per l'estensione contra legem degli incentivi alla produzione energetica da digestione anaerobica da rifiuti speciali e sottoprodotti di origine animale (SOA), con una distorsione del mercato e una tendenza allo spandimento di reflui (definiti anch'essi rifiuti speciali dalla normativa attuale e dal Ministro dell'ambiente nel corso di numerose audizioni sul tema) contra legem in numerose regioni, che determinano accumuli di azoto e di ulteriori sostanze tossiche nei suoli e nelle falde;
                  per le eccessive emissioni del settore dei trasporti, in particolare quelli stradali urbani in aree eccessivamente cementificate che creano sovvertimenti locali ancora più marcati del ciclo stesso, con l'impossibilità di metabolizzare correttamente l'azoto nei suoli e arricchire l'ecosistema, permanendo invece per un tempo maggiore nell'aria determinando incremento delle polveri sottili e successiva lisciviazione nelle acque di scarico o nei corpi idrici, determinando oltretutto la riduzione della biodiversità favorendo specie vegetali e animali nitrofile a scapito delle altre, quali ortiche, Parietaria judaica, rovi fra i vegetali, zanzare (si veda l'interrogazione a risposta scritta 4/10884 - Zolezzi ), topi e nutrie fra gli animali, innescando un circolo vizioso che comporta per esempio l'incrementato utilizzo di erbicidi, insetticidi, pesticidi per eliminare specie favorite dallo stesso eccesso di azoto che tenderà a peggiorare a causa dell'utilizzo di queste sostanze di sintesi;
                  per una gestione contronatura dei rifiuti organici, che in Italia costa circa 4 miliardi di euro all'anno e pesa sui piani economici e finanziari dei comuni per il 30 per cento almeno; senza contare la gestione dei disastri ambientali provocati dal percolato, che possono essere gestiti in maniera sostenibile con il compostaggio domiciliare, di quartiere, di comunità (scolastico in particolare con ovvi effetti didattici pedagogici e successivamente andragogici), mentre risultano spinte sempre più speculative al turismo dei rifiuti umidi, dalla Campania e dalla Basilicata al Veneto e alla Lombardia, inseguendo gli incentivi al recupero energetico (165 milioni di euro nel 2014, dati GSE) che presenta un infimo indice di recupero energetico, ed eseguendo di routine un'attività che dovrebbe essere residuale, quando qualsiasi forma di recupero energetico (incenerimento, pirogassificazione, biogassificazione) disperde in partenza oltre l'80 per cento dell'energia contenuta nei rifiuti stessi e impedisce l'utilizzo della sostanza organica del rifiuto umido in ambito agricolo. I reflui (digestato per esempio) secondo i dati del consorzio italiano compostatori (CIC) hanno una composizione chimica decisamente tossica per i terreni e anche dopo numerosi passaggi aerobici e mescolamento con sfalci e potature (ottenendo l'ammendante compostato misto), il rapporto fra carbonio e azoto (C/N) è sempre troppo basso (10 circa), a causa della sottrazione di buona parte del carbonio nel processo energetico e l'ammendante realizzato dopo lo spandimento rilascia azoto in eccesso sui suoli, che in breve tempo raggiunge i corpi idrici superficiali e le falde senza svolgere una adeguata funzione fertilizzante. Lo spandimento di erbicidi e pesticidi, abbondante e frequente nell'ambito dell'agricoltura intensiva, come già detto, riduce la capacità dei suoli di metabolizzare l'azoto. Una gestione adeguata del rifiuto organico purifica anche le rimanenti frazioni di rifiuti raccolte in maniera differenziata ottenendo ulteriori miglioramenti ambientali e della gestione delle risorse. L'eliminazione della qualifica di rifiuto per sfalci e potature in determinate condizioni sta rischiando di ridurre ulteriormente la possibilità di recuperare materia e sostanza organica, per il progressivo avvio di tali materiali a recupero energetico a fini speculativi, quando in realtà sfalci e potature sono la ricetta più preziosa del compost, visto che devono essere presenti in circa il 50 per cento della materia prima (il restante 50 per cento può essere rifiuto organico solido urbano ben differenziato); il compost ben prodotto e su scala locale, con piccoli impianti elettromeccanici non industriali (impianti da 750 tonnellate al massimo) secondo i dati Ispra può avere come esito ammendante compostato verde di buona qualità che può arricchire i suoli e limitare l'utilizzo di fertilizzanti chimici;
                  per la scarsa educazione alla detersione sostenibile: semplici misure come l'utilizzo per la lavatrice di detersivi (liquidi o in polvere) adeguati alla tipologia dei capi lavati, evitare i fosfati, l'utilizzo di filtri anticalcare e di ammorbidenti naturali (acido citrico o aceto bianco), l'utilizzo di detersivi naturali e/o biologici tendono a ridurre l'inquinamento delle acque reflue e il volume e la qualità dei fanghi di depurazione prodotti, così come l'utilizzo di detergenti domestici meno complessi; lo stesso vale per i detergenti e cosmetici per la persona. Tali pratiche limiterebbero notevolmente i fenomeni di eutrofizzazione. L'esportazione interregionale dei fanghi di depurazione che determina una pressione inaccettabile, con incremento nelle aree di spandimento di farmaci che stanno fra l'altro determinando antibiotico resistenza nelle popolazioni esposte, incremento di azoto e di metalli pesanti, riduzione della biodiversità locale, riduzione della qualità di vita umana per le importanti emissioni odorigene;
              lo stesso vale per il ciclo del fosforo, il secondo limite planetario abbondantemente superato, e per la biodiversità, ridotta anche in conseguenza del sovvertimento dei primi due cicli;
              l'utilizzo di rifiuti speciali nei sottofondi stradali, anche a norma di legge (decreto legge, 1/2015 che ha totalmente deregolamentato il settore minando la sicurezza sanitaria delle popolazioni), sta determinando una pressione ambientale eccessiva nelle regioni che ospitano, a fini speculativi, tali materiali, e che spesso viaggiano per tutto lo stivale (2 milioni di tonnellate all'anno di scorie di fonderia dell'Ilva di Taranto che arrivano fino a Milano in treno e poi vengono disseminati in ogni cantiere stradale della regione Lombardia), determinando routinariamente incremento di vari metalli pesanti nei suoli limitrofi e in caso di illeciti, lisciviazione in falda e verso la superficie del manto stradale che tende a sfaldarsi precocemente o a essere fonte di avvelenamento per varie forme di vita dopo comuni eventi atmosferici (va ricordata la morte immediata di 5 cani che avevano sgambato sul terreno dell'autostrada Valdastico Sud). Sono tuttora oggetto di indagini della magistratura l'interramento di scorie di fonderia non trattate adeguatamente. La contaminazione diffusa da sostanze tossiche ma non normate di suoli e corpi idrici è sempre più diffusa così come la mancata preservazione dei suoli liberi da contaminazione e i mancati progetti di miglioramento ambientale nei comuni SIN;
              la qualità dei suoli e delle falde sta notevolmente peggiorando anche per attività antropiche anomale e distoniche per il territorio, come le trivellazioni mirate a ricerca di idrocarburi e gas, i grandi impianti geotermici e gli stoccaggi di gas, che oltre a incrementare il rischio sismico (si veda lo studio Ichese), stanno immettendo negli strati superficiali del suolo metalli pesanti e sostanze tossiche provenienti dagli strati più profondi che contribuiscono ad acidificare i suoli e a rendere non potabile l'acqua (si veda concentrazioni di arsenico e altri metalli anche radioattivi);
              analisi importanti su larga scala di suoli e falde, come lo studio Isonitrate (Ispra 2012) hanno documentato la presenza di «zone rosse» in buona parte della Pianura Padana, con potenziale rischio di falde acquifere inutilizzabili per il consumo umano fra pochi anni; tale studio andrebbe ripetuto per documentare l'andamento delle contaminazioni. Andrebbe eseguito un monitoraggio completo delle falde profonde e superficiali e dei suoli italiani;
              ad oggi è possibile, oltre che necessario, ottenere un referto epidemiologico nazionale integrando i dati dei registri di mortalità con quelli delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) e i dati di accesso ambulatoriale e a cure farmacologiche;
              la proposta di legge della deputata Daga, al numero 2367, «modifiche al decreto legislativo 2 febbraio 2001, numero 31, recante attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano», prevede l'incremento della consapevolezza e delle informazioni al cittadino e la contestualizzazione del problema dell'approvvigionamento idropotabile rispetto a grandi problematiche ambientali quali l'inquinamento diffuso del suolo e delle falde, l'aggiornamento dei valori di parametro e studio di potenziali effetti sinergici degli inquinanti e la valutazione della conformità tenendo conto anche delle sostanze non elencate negli allegati ma per i quali sono stati fissati valori di parametro da parte del Ministero della salute;
              esistono numerosi studi locali su inquinanti organici persistenti che non tengono conto della sommatoria dei diversi fattori di pressione (diossine in regione Veneto per esempio). Studi realizzati in provincia di Mantova (Arpa Lombardia, Plume), mostrano concentrazioni di nitrati molto superiori a 50 mg/litro nelle falde dell'Alto Mantovano, che corrispondono a nitrati superiori a 25 mg/litro nell'acquedotto locale (Ponti sul Mincio) gestito dalla società partecipata provinciale TEA. Tali valori secondo l'Organizzazione mondiale della sanità non sono compatibili con l'acqua potabile per categorie a rischio, quali donne in gravidanza e in fase di allattamento o prima infanzia, per il rischio di metaemoglobinemia e ipossia fetale e neonatale, per persone con deficit di G6PD e altro. I nitrati in eccesso nelle acque hanno un documentato ruolo cancerogeno. Esistono realtà nazionali dove sostanze normate nell'ambito della sicurezza e qualità idrica come l'arsenico sono elevate nelle falde anche in caso di utilizzo idropotabile senza alcuna regolamentazione delle fonti di contaminazione (si veda la fertilizzazione chimica) o sostanze non normate ma di documentata azione tossica e cancerogena come i perfluoroalchili in Veneto con la contaminazione dell'acqua potabile di 340mila persone, il Tallio in Toscana, i molteplici inquinanti nelle acque di captazione idrica del lago di Pertusillo in Basilicata e altro;
              le attività produttive mirate a esportazione di beni stanno conducendo a produrre preoccupanti distorsioni nell'ambiente e nella società, con scarso rispetto delle tradizioni agricole e manifatturiere dei territori, e il conseguente inquinamento e stress psicofisico dovuto ai trasporti su lunga distanza di beni che potrebbero essere prodotti localmente, con riduzione della biodiversità, per l'utilizzo sempre più diffuso di pochi elementi base alimentari (cereali, verdure e frutti) tali da ridurre: la ricerca e il mercato dei prodotti tipici del territorio e/o stagionali, le stimolazioni sensitive tra cui il gusto, l'attrattiva turistica, le attività manifatturiere quantitativamente e qualitativamente a causa della scomparsa di richiesta dei prodotti locali in funzione del mero costo del prodotto finito;
              tali elementi sono ulteriormente peggiorati a causa della diffusione della grande distribuzione organizzata (GDO), che tende a far scomparire i negozi di prossimità e a ridurre l'occupazione (ogni posto di lavoro nella grande distribuzione organizzata sottrae 2,5 posti di lavoro nei centri storici secondo i dati Confesercenti), senza considerare che la persistente e crescente produzione d'imballaggi favorisce il consumo di energia e materia;
              l'inquinamento atmosferico determina più decessi in Italia che in qualunque altro Paese d'Europa: lo dichiarano i dati dell'agenzia Europea dell'Ambiente, secondo qui nel nostro paese ci sono stati 84.400 decessi causati dallo smog. I danni maggiori derivano dalle micro polveri dal biossido di azoto e dall'azoto in cui lo studio conferisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti in Italia. Le zone che risultano maggiormente colpite sono nella Pianura Padana, come e spiegato, su un articolo del Corriere della Sera, del 1o dicembre 2015, dall'ingegnere ambientale e ricercatore dell'università di Modena e Reggio Emilia Alessandro Bigi: «nella Pianura Padana c’è un problema dovuto alla topografia: i gas inquinanti non riescono a disperdersi e invecchiano nell'atmosfera trasformandosi in polveri sottili»;
          la trasparenza e la condivisione dei dati, devono essere incrementata; l'accesso agli atti anche nei contesti pubblici è spesso difficoltosa e questo impedisce di creare una coscienza critica nella popolazione che possa condurre rapidamente al miglioramento degli stili di vita e di seguito a una maggiore tutela dell'ambiente e della salute. Nel settore degli appalti pubblici e delle autorizzazione alla gestione ambientale deve essere creata una rete costruttiva che coinvolga le imprese, i portatori di interesse, i comitati e i cittadini integrandoli nell'interfaccia con gli amministratori,

impegna il Governo:

          ad avviare un percorso di sostenibilità per le aree agricole e il consumo sostenibile, che preveda iniziative volte a garantire:
              a) approcci educazionali attraverso i mass media e le scuole in merito all'educazione alimentare: alimentazione stagionale a filiera corta, necessità della riduzione del consumo di proteine di origine animale, il ciclo dell'azoto e del fosforo;
              b) programmi di alimentazione stagionale a filiera corta e biologica nelle mense pubbliche a partire dalle mense scolastiche;
              c) incentivi fiscali agli esercizi commerciali che presentino in vendita una quota superiore all'80 per cento di prodotti a chilometri (max 50 chilometri di distanza), di prodotti alla spina (alimentari e detergenti) o con imballaggi compostabili;
              d) incentivazione all'impianto e all'esercizio di distributori alla spina di latte e pasta;
              e) promozione presso le istituzioni europee dei prodotti nazionali e sostenibili con stringenti piani di etichettatura e di tracciabilità;
              f) promozione, con le principali associazioni agricole, delle buone pratiche agricole di tutela del suolo: riduzione dell'utilizzo di fertilizzanti chimici, recupero di materia mediante compostaggio aerobico dei rifiuti organici e spandimento del compost sui terreni di pertinenza, rotazione delle colture e limitazione dell'utilizzo di erbicidi e altri agenti limitanti il metabolismo dell'azoto da parte del suolo, riduzione dei consumi idrici, informazione in merito agli studi in corso in merito alla cancerogenicità di alcuni pesticidi e utilità della limitazione degli spandimenti di reflui iperazotati in particolare nelle aree limitrofe ai centri abitati, informazione in merito alla qualità dei suoli utilizzati in particolare in merito all'acidità e all'eventuale inquinamento delle falde acquifere sottostanti, vendita dei prodotti alla rete dei gruppi di acquisto solidale o a realtà territoriali come negozi di prossimità e/o mense aziendali o scolastiche;
              g) incentivi al turismo sostenibile in agriturismi e aziende agricole didattiche anche con divulgazione di notizie in merito alle realtà certificate biologiche aderenti a una rete locale;
          h) realizzazione di comunicazione e programmi informativi in merito a ricette salutari e a basso contenuto di proteine animali;
              i) controllo del rispetto del divieto di spandimento di digestato da SOA, con incremento delle sanzioni;
              l) applicazione su tutto il territorio nazionale di linee guida per evitare la sovrapposizione di spandimenti di diversi rifiuti, reflui zootecnici o SOA sugli stessi terreni (letame, digestato, fanghi di depurazione civile o industriale, compost) e limitare la fertilizzazione azotata in aree a coltivazione intensiva dove si utilizzino pesticidi, fitofarmaci, erbicidi dove il potere metabolico in relazione all'azoto aggiunto sia in ogni caso ridotto;
              m) esclusione di incentivi per il recupero energetico da rifiuti solidi urbani, digestato da SOA o reflui zootecnici;
          ad assumere iniziative per indirizzare i centri urbani e le aree agricole circostanti per un raggio almeno identico a quello del centro urbano (regio massimo un miglio marino, 1843 metri) alla creazione di uno spazio, il «miglio blu», da «blue economy», dove la qualità di vita umana e animale sia particolarmente tutelata, prevedendo in questo spazio:
              a) blocco al consumo di suolo in caso di superamenti annui del PM10 in numero maggiore di 35 giorni all'anno o ad altri specifici criteri europei nei 12 mesi precedenti;
              b) nelle aree agricole esterne: divieto di spandimento di rifiuti speciali o reflui del loro trattamento per il raggio indicato nell'area concentrica al centro urbano, divieto di spandimento di fanghi di depurazione, divieto di spandimento di qualsiasi rifiuto solido urbano o speciale o loro rifiuti da trattamento di importazione;
              c) possibilità di spandimento nelle stesse aree o in aree parco urbane di compost da impianti elettromeccanici non industriali (trattamento di 750 tonnellate all'anno di materiale fra FORSU e sfalci/potature) o compostiere di comunità o domestiche che abbia le caratteristiche chimiche minime dell'ammendante compostato verde (ACV);
              d) divieto di utilizzo di erbicidi in città e nelle strade di campagna rientranti nel «miglio blu»;
              e) attuazione di contenimento di specie vegetali e animali (zanzare, nutrie, ratti) anche tramite analisi del contenuto in nitrati di suoli e corpi idrici superficiali e ulteriori misure limitanti l'incremento dei nitrati;
              f) divieto di spandimento di materiale azotato di qualsiasi genere nel raggio di un chilometro dalle abitazioni dei pazienti dopo il verificarsi di casi di Febbre del Nilo (West Nile virus) o altre infezioni trasmesse da vettori;
              g) coltivazione urbane biologiche o ulteriormente sostenibili nelle aree agricole del «miglio blu» e in orti urbani con prioritaria fornitura dei negozi biologici di città e delle strutture di ristorazione pubblica nell'ottica della resilienza e della sovranità alimentare locale;
              h) il rapido passaggio della mobilità su gomma a mobilità su ferro, sia in ambito delle persone che delle merci;
              i) il passaggio alla mobilità pubblica su gomma elettrica o a modalità ulteriormente sostenibile (in caso di superi delle polveri sottili PM2.5 superiore a 25 microgrammi/litro per più di 72 ore consecutive) la mobilità privata potrà avvenire su autoveicoli elettrici o ibridi elettrici o su ciclomotori);
              l) lo studio della mobilità locale e interurbana, mirando a rendere disponibili trasporti pubblici da e per le principali realtà lavorative e di aggregazione sociale, consentendo che in particolare la mobilità diretta ai luoghi di lavoro (quella più intensa, concentrata nel tempo e impattante sull'inquinamento) sia pubblica e/o condivisa, anche con forme di premialità fiscale;
              m) adozione di limiti di velocità di 30 KM/ora nei centri abitati ad esclusione di specifiche aree;
              n) implementazione del sistema delle ciclabili urbane in modo che da ciascuna frazione o centro periferico si possa raggiungere il centro città mediante piste ciclabili sicure; realizzazione in ogni città di almeno due linee ciclabili, in stile cardine e decumano, per raggiungere dalla stazione centrale le principali realtà produttive e attrattive turistiche in bicicletta; realizzazione di adeguati parcheggi per cicli presso le stazioni ferroviarie o degli autobus;
              o) il miglioramento della mobilità pubblica interurbana mediante valutazione di indici infrastrutturali, con priorità alle aree ad elevato pendolarismo, a elevata pressione ambientale (basandosi in primis sui superamenti del PM2.5), ai comuni SIN;
              p) incentivi alla mobilità privata sostenibile: auto e motoveicoli elettrici, car pooling, bonus per i circoli virtuosi: come per l'acquisto di autoveicoli e attrezzature elettriche per chi dispone di pannelli solari fotovoltaici anche come acquisto di gruppo solidale, software di condivisione generici per mobilità privata e software sito-specifici connessi, ad esempio, con le stazioni Taxi presso snodi del trasporto pubblico quali stazioni ferroviarie e aeroporti (ove dare avvio alla possibilità di condividere un viaggio per la medesima destinazione);
              q) misure per favorire l'insediamento nei centri storici di esercizi commerciali a filiera corta legati ai prodotti, alle manifatture e alla tradizione gastronomica e culturale del territorio;
              r) penalizzazione della grande distribuzione organizzata (GDO), con tassazione incrementata, in particolare in caso di importazioni transfrontaliere e interregionali di generi alimentari;
              s) esclusione dal patto di stabilità interno dei comuni le spese per interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici; previsione di forme di incentivazione del «negawatt» (ogni kilowatt risparmiato dopo gli interventi pubblici, rispetto alla media triennale dei consumi precedenti, deve essere utilizzato come bonus per escludere gli interventi sostenibili dal patto di stabilità);
              t) stabilizzazione dell’ecobonus al 65 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici privati e previsione di un bonus per i «negawatt», kilowatt risparmiati rispetto ai consumi pro-capite del triennio precedente, ad esempio defiscalizzazione per acquisto di beni e strumenti ecologici, riduzione tassazione locale;
              u) valutazione degli studi in merito alle esternalità sanitarie ambientali (come l'ECBA che stima in 48 miliardi di euro all'anno il costo ambientale sulla salute degli italiani o i dati dell'OMS che stimano in 98 miliardi di euro all'anno le esternalità) in modo da proporre ulteriori modifiche puntuali a bilancio attivo della mobilità e delle abitudini di vita;
              v) interfaccia con le istituzioni europee in merito alla fiscalità ambientale mirando a premialità e riduzione delle imposte (per esempio imposta sul valore aggiunto) per i beni ecosostenibili ad esempio veicoli e attrezzature elettriche, accumulatori energetici e impianti a FER solare o eolica per autoconsumo domestico o aziendale, compostiere domestiche e di comunità, trituratori di legname per compostaggio, prodotti ottenuti da riciclo, prodotti alimentari e per la detersione e cosmesi biologica, testi e materiali informativi del settore, per le attività ecosostenibili come le bonifiche;
          a promuovere la gestione sostenibile dei rifiuti umidi, mirando il più possibile al recupero di materia organica, preziosa per i campi e prevedendo iniziative per:
              a) il blocco degli incentivi per recupero energetico dei rifiuti e in particolare del recupero energetico della FORSU e di sfalci e potature;
              b) campagne informative, in primis nelle scuole, per spiegare l'importanza e le modalità di compostaggio domestico e di comunità;
              c) collocamento di compostiere in scuole e altri edifici pubblici dove si possa eseguire un'azione pedagogica e andragogica in merito al corretto compostaggio, gestendo rifiuti di cucine, mense e sfalci e potature facendo sì che tali buone pratiche di economia circolare siano premiate con tariffazione puntuale relativa al mancato conferimento di rifiuto umido e verde;
              d) esenzione dal patto di stabilità interno per i comuni che gestiscano il rifiuto organico nel perimetro comunale ottenendo compost di buona qualità sparso sui terreni comunali anche per limitare l'utilizzo di fertilizzazione chimica;
          a stimolare la detersione e cosmesi biologica e sostenibile assumendo iniziative volte a:
              a) realizzare campagne informative in merito a questo settore con particolare riferimento alle dosi dei detersivi, agli effetti ambientali dei diversi componenti, alle alternative naturali e biologiche, ai costi ridotti dei componenti naturali per autoproduzione dei detersivi stessi;
              b) monitorare le aree del territorio dedicate alle diverse forme di detersione pubblicando i dati dello stato differenziale dei diversi ecosistemi;
              c) impedire l'importazione di fanghi di depurazione da altre regioni e vietare comunque lo spandimento in aree ad elevata pressione ambientale (valutazione della qualità dei terreni, acidità ecc. monitoraggio delle falde) o nelle aree di elevato pregio agricolo;
              d) incentivare la produzione e la vendita di detersivi biologici senza imballaggi;
          ad assumere iniziative per regolamentare la gestione dei reflui di fonderia e di altri rifiuti speciali utilizzati come riempimento dei sottofondi stradali e ferroviari nel rispetto dei principi di sostenibilità:
              a) modificando la normativa in modo che venga limitata l'esportazione interregionale in particolare su lunghe distanze e senza una filiera produttiva a valle;
              b) riattivando la verifica della compatibilità ambientale mediante adeguati test di cessione;
              c) determinando le modalità di verifica dell'adeguato pretrattamento delle scorie in qualsiasi condizione post (conglomerati e altro);
              d) evitando lo spandimento in aree ad elevata pressione ambientale, in comuni SIN, o limitrofe entro 2 chilometri ad aree di ricarica degli acquiferi;
              e) verificando i costi definiti attraverso appositi prezziari di gestione onde evitare speculazioni o attività lecite causa di potenziali reati ambientali;
          ad assumere iniziative per regolamentare in maniera restrittiva il settore «dell'invasione del suolo profondo» (inferiore alla prima falda), che comprende trivellazioni per ricerca di idrocarburi, gas naturale, impianti geotermici speculativi non basati sull'autoconsumo domestico o aziendale, stoccaggi di gas energetici, CO2 e altro, adoperandosi per:
              a) impedire qualsiasi sfruttamento del suolo profondo nelle aree in «zona rossa» dello studio «Isonitrate ISPRA» per i vari fattori di rischio (indice Hi) e in altre aree nazionali analogamente impattate;
              b) seguire studi almeno triennali nazionali sulla qualità dei suoli e delle falde acquifere profonde e superficiali;
              c) impedire lo sfruttamento del suolo profondo in qualsiasi area risultata a rischio dopo specifici studi nazionali;
              d) impedire lo sfruttamento del suolo profondo in aree sismiche;
              e) impedire lo sfruttamento del suolo profondo in aree ad attuale elevata pressione ambientale (spandimento agrozootecnico importante), eutrofizzazione costiera;
              f) pubblicare i dati del referto epidemiologico di ogni territorio;
              g) impedire lo sfruttamento del suolo profondo in caso di referto epidemiologico territoriale anomalo;
          a monitorare e tutelare in generale le falde acquifere, assumendo iniziative per:
              a) in linea con la proposta di legge Daga, numero 2367, aumentare nel cittadino – che è anche, ma non solo, utente obbligato del gestore del servizio idrico di un dato territorio – la consapevolezza rispetto alla sicurezza sanitaria e alla gestione dei rischi connessi all'approvvigionamento e alla distribuzione dell'acqua a fini potabili, attraverso la diffusione immediata di tutte le informazioni concernenti procedure e monitoraggi connessi alla distribuzione dell'acqua potabile ai cittadini;
              b) come per qualsiasi alimento, garantire ai cittadini l'accesso in tempo reale ai referti relativi alla qualità dell'acqua in distribuzione;
              c) contestualizzare il problema dell'approvvigionamento idropotabile rispetto a grandi problematiche ambientali quali l'inquinamento diffuso del suolo e delle falde, la presenza di potenziali situazioni di rischio a monte e sopra i punti di captazione e l'impatto del cambiamento climatico in atto sulla qualità e sulla disponibilità della risorsa;
              d) aggiornamento dei valori di parametro (sono trascorsi tredici anni dall'entra in vigore del decreto legislativo n.  31 del 2001);
              e) miglioramento delle modalità di realizzazione delle campagne di monitoraggio delle acque presso i punti di captazione e distribuzione;
              f) studiare e informare in merito ai possibili effetti sinergici delle varie sostanze presenti;
              g) informare la popolazione in merito ai possibili effetti dell'incremento dei nitrati nelle falde e nell'acque idropotabili, sensibilizzando i gruppi a rischio;
              h) eseguire al più presto studi sugli effetti sulla salute (anche con studi retrospettivi nelle aree impattate) di sostanze non presenti negli allegati ma di cui la letteratura internazionale documenta potenziali effetti tossici e/o cancerogeni;
              i) attraverso valutazione della conformità, tener conto      anche delle sostanze non elencate negli allegati ma per le quali sono stati fissati valori di parametro da parte del Ministero della salute che deve adottare linee guida per la realizzazione di piani di monitoraggio supplementare, anche per la ricerca di sostanze non elencate negli allegati ma ugualmente pericolose per la salute umana;
          ad assumere iniziative per definire in tempi certi i criteri per il calcolo del cumulo degli impatti ambientali di molteplici progetti e/o fonti inquinanti, su un ambito territoriale ristretto di cui alla direttiva 2011/92/UE e successive modificazioni integrazioni;
          a monitorare l'effettiva applicazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico alle informazioni ambientali e della direttiva 2003/35/CE sulla partecipazione del pubblico nell'elaborazione dei piani e programmi in materia ambientale.
(7-00871) «Zolezzi, Daga, Mannino, Terzoni, Busto, De Rosa, Micillo, Vignaroli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          come riportato da alcune agenzie di stampa locali, in data 9 dicembre 2015, in piazza Cordusio a Milano, è stata organizzata una manifestazione di circa una cinquantina di rappresentanti del corpo dei vigili del fuoco di Milano e provincia, che hanno depositato a terra le loro giubbe piegate e i loro caschi, esposto striscioni e intonato cori di protesta;
          tale protesta è stata organizzata per denunciare le carenze d'organico, le sempre più sparse condizioni di sicurezza, la mancanza di mezzi ed attrezzature adeguate e l'insoddisfacente rinnovo del contratto;
          riguardo alle carenze d'organico, i manifestanti hanno denunciato, anche tramite la distribuzione di volantini ai passanti, che nella zona di Milano e provincia risultano essere operative solo 250 unità e, per la mancanza di organico con adeguate attrezzature, non sarebbero in condizione di fronteggiare un evento straordinario come gli atti terroristici di Parigi accaduti nel mese di novembre 2015;
          sempre riguardo agli organici, i rappresentanti dei vigili del fuoco hanno ricordato di essere 3.500 unità a livello nazionale e, nella zona del capoluogo lombardo solo 150, per un rapporto con la popolazione milanese di 1 pompiere ogni 20-30mila abitanti, quando la media delle grandi metropoli europee è di 1 ogni 1.000-1.500 abitanti;
          i vigili del fuoco hanno anche precisato di essere preoccupati non solo per la loro sicurezza ridotta al minimo, ma anche, come normale conseguenza, per quella dei cittadini da soccorrere;
          hanno specificato, inoltre, di avere a disposizione mezzi ed attrezzature inadeguate, precisando che diversi mezzi, immatricolati negli anni ‘80, risultano essere fermi per la carenza di fondi per le riparazioni;
           gli stessi vigili hanno denunciato di avere il contratto di lavoro scaduto da 6 anni e di aver ricevuto un aumento in busta paga di 8 euro mensili lorde ai sensi della legge 23 dicembre 2014, n.  190, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2014, n.  300 (cosiddetta legge di stabilità 2015), senza ricevere alcun arretrato dal 2009, data dell'ultimo rinnovo del contratto;
          la protesta dei vigili del fuoco si è ripetuta il giorno dopo, giovedì 10 dicembre, sempre con le stesse modalità, sotto il palazzo della regione Lombardia  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia previsto al fine di aumentare il carente numero dei vigili del fuoco attualmente in servizio;
          se il Governo abbia previsto, a bilancio, l'acquisto di nuove attrezzature ed automezzi, adatti anche ad affrontare possibili scenari di tipo terroristico;
          quali iniziative di competenza il Governo abbia previsto per favorire un rinnovo del contratto con relativo ulteriore aumento di stipendio, quantitativamente e qualitativamente migliore rispetto all'ultimo, ottenuto ai sensi della legge 190 del 2014. (5-07249)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          la Presidenza del Consiglio dei ministri sembrerebbe incline a utilizzare una «apposita procedura d'interpello» per assicurare la copertura dei posti di funzione di livello dirigenziale sia di I che di II fascia;
          le regole di pubblicità e trasparenza, nell'attribuzione degli incarichi presso la Presidenza del Consiglio, sembrerebbero in più casi essere non conformi al dettato normativo e, ancora prima, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione;
          a quanto consta all'interrogante, l'assegnazione degli incarichi avverrebbe al di fuori di adeguate procedure di valutazione obiettiva e perciò verificabili, dei meriti, dei titoli professionali e dei risultati conseguiti, con ciò di fatto azzerando ogni garanzia di imparzialità ed assoggettando il conferimento degli incarichi dirigenziali di maggior rilevanza al gradimento politico, o comunque, a criteri non conformi al principio meritocratico sancito dalle norme della Costituzione (articolo 97 e Corte costituzionale numeri 103 e 104 del 2007) e dalla legge ordinaria (articolo 19 del decreto legislativo n.  165 del 2001), con un'ampia facoltà di assegnare gli incarichi in maniera discrezionale;
          la stessa trasparenza e pubblicità richiederebbero la pubblicazione attraverso strumenti aperti a tutti ove rendere noti anche i curricula di coloro che partecipano alla selezione;
          a quanto risulta all'interrogante, le procedure seguite dalla Presidenza del Consiglio spesso esulerebbero da un'obiettiva e verificabile procedura comparativa tra gli aspiranti candidati; in assenza dei requisiti di pubblicità e trasparenza che dovrebbero connotarle, è conseguenziale un condizionamento, al di fuori dei reali criteri di meritocrazia, sulle carriere dei dirigenti di seconda fascia-referendari, in servizio presso l'amministrazione. A quanto è dato sapere, vi sarebbero casi di assegnazioni di incarichi dirigenziali generali a soggetti non in possesso dei requisiti professionali previsti, nonché a soggetti che non rivestono ruoli della pubblica amministrazione, così sottraendosi ai vincoli sostanziali e procedurali (in primis, all'obbligo di motivazione) di legge e disattendendo, di fatto, l'obbligo costituzionale del concorso per l'accesso agli impieghi pubblici;
          in particolare, sembrerebbe ricorrente la non corretta applicazione dell'articolo 19 del decreto legislativo n.  165 del 2001 e successive modificazioni, che testualmente recita: «Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico»;
          si ripeterebbero casi di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, cosa che appare in contrasto con l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001; questi ultimi verrebbero addirittura preferiti a dirigenti di ruolo privi di incarico, a soggetti idonei in attesa di scorrimento delle graduatorie interne, nonché, da ultimo, ai vincitori del VI corso concorso di formazione dirigenziale indetto dalla Scuola nazionale dell'amministrazione e conclusosi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2014, per i quali i quattro posti inizialmente previsti dal bando, a quanto ha appreso l'interrogante, sarebbero stati dichiarati indisponibili con una motivazione che appare inconsistente, pur a fronte di numerose vacanze in pianta organica;
          per quanto è a conoscenza dell'interrogante, sarebbero numerosi i contenziosi avviati da personale dirigenziale che ha visto frustrate le proprie aspettative e non adeguatamente valutata la propria professionalità nell'ambito di procedure di interpello per conferire l'incarico resosi disponibile;
          la «non virtuosa gestione» del personale dirigente di prima e seconda fascia è desumibile dal fatto che, pur registrando un numero di 220 dirigenti di ruolo, gli incarichi di vertice amministrativo come Capi Dipartimento e Capi Uffici Autonomi, sarebbero, sempre secondo quanto risulta all'interrogante, da oltre 15 anni rivestiti da circa 10/15 dirigenti;
          la Corte dei Conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato nell'ordinanza del 4 dicembre 2014, riporta che dalla Presidenza del Consiglio non sarebbero state riferite posizioni soprannumerarie, contenziosi in atto e nemmeno assunzioni dal 2011, benché, per quanto a conoscenza dell'interrogante, la Presidenza del Consiglio risulti resistente in più procedimenti avviati innanzi ai tribunali civili e amministrativi dai propri dipendenti, il cui esito vedrebbe spesso soccombente la Presidenza del Consiglio;
          attraverso il sistema predetto, ad avviso dell'interrogante, non si rispetta l'insieme di regole imposte dal piano nazionale anticorruzione e dal piano triennale di prevenzione della corruzione approvato dalla Presidenza del Consiglio, laddove si richiede l'attuazione di misure specifiche atte a prevenire il rischio di fenomeni di corruzione o di cattiva amministrazione nell'area di acquisizione del personale, inclusa l'osservanza delle regole procedurali a garanzia della trasparenza e dell'imparzialità della selezione;
          a sostegno di quanto predetto, il 7 settembre 2015 si è appreso della denuncia della Dirstat, la federazione che riunisce le associazioni e i sindacati dei dirigenti e dei funzionari della pubblica amministrazione, rispetto al conferimento di quattro incarichi dirigenziali da parte della Presidenza del Consiglio. La federazione ha impugnato, con una missiva indirizzata a Corte dei conti, procura di Roma e segreteria generale di Palazzo Chigi, il mancato rispetto da parte della Presidenza del Consiglio di alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n.  165 del 2001, recante «norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». Il conferimento degli incarichi in questione avrebbe secondo Dirstat, violato in particolare l'articolo 19 comma 1 e 1-bis, che disciplinano le modalità antecedenti il conferimento dell'incarico. Nello specifico, afferma Dirstat, tra l'inizio del 2014 e maggio 2015 la Presidenza del Consiglio «ha proceduto al conferimento di ben tre incarichi dirigenziali di prima fascia senza previo esperimento della procedura di interpello espressamente prevista dal disposto normativo». La procedura in questione riguarda in particolare l'obbligo da parte dell'amministrazione di rendere pubblico l'avviso relativo ai posti vacanti, indicandone le relative procedure di copertura. «L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta», recita il comma 1-bis dell'articolo 19 del decreto. Questo per consentire a tutti quei funzionari interessati di avanzare la propria candidatura che così può essere esaminata. Tuttavia, secondo Dirstat, nulla di tutto ciò sarebbe stato fatto, con la Presidenza del Consiglio che avrebbe affidato gli incarichi senza prima consentire ai funzionari interessati di manifestare la propria disponibilità, seguendo una procedura di fatto in contrasto con la norma. Gli incarichi finiti nel mirino di Dirstat riguardano in particolare il dipartimento per la gioventù e il servizio civile e quello per gli affari generali;
          alla luce di quanto sopra, si rende necessaria secondo l'interrogante una verifica sul conferimento degli incarichi nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri  –:
          quali siano gli orientamenti del Presidente del Consiglio sui fatti esposti in premessa;
          se il Presidente del Consiglio, in virtù di quanto evidenziato in premessa, intenda chiarire come siano stati conferiti gli incarichi dirigenziali che sono stati oggetto di segnalazione da parte della Dirstat e, più in generale, se intenda assumere iniziative volte a verificare la correttezza di tutte le procedure che hanno dato luogo all'attribuzione di incarichi dirigenziali di prima e seconda fascia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
          se trovi conferma il fatto che la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia soppresso i posti messi a bando nel VI corso-concorso, attesa la presenza in organico di posti di funzione disponibili e il ricorso a dirigenti esterni e, in caso affermativo, sulla base di quali presupposti giuridici ciò sia avvenuto;
          quale sia il numero dei ricorsi proposti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri dai dipendenti, quale sia il numero delle condanne e quale l'ammontare delle spese sostenute a seguito delle eventuali condanne nell'ambito dei giudizi avviati dal personale (dirigenziale e non dirigenziale) contro la stessa amministrazione negli anni dal 2010 al 2015;
          se intenda assumere iniziative affinché venga data piena attuazione a quanto disposto al comma 3 dell'articolo 97 della Costituzione, organizzando i pubblici uffici afferenti alla Presidenza del Consiglio e alle strutture ministeriali secondo le disposizioni di legge, in modo che, come recita l'articolo de quo, siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e quindi una classe dirigente capace professionalmente e adeguatamente impiegata e impegnata a perseguire e soddisfare l'interesse pubblico nel supportare gli organi di direzione politica;
          se intenda assumere iniziative per porre fine alle prassi esposte in premessa in modo da conferire gli incarichi meritocraticamente e da non generare aumenti delle voci del bilancio dello Stato relative alle spese per contenziosi. (4-11502)


      BASILIO, SPADONI, FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, RIZZO, DI BATTISTA, TOFALO, GRANDE, CORDA, SCAGLIUSI, PAOLO BERNINI, DEL GROSSO e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nella trasmissione «Porta a Porta» della prima rete della Rai del 15 dicembre 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha annunciato l'invio di 450 militari in Iraq a presidio della diga di Mosul e l'appalto per la sua ristrutturazione sarebbe stato vinto da una ditta italiana (la Trevi di Cesena);
          a parte l'irrituale modalità extraparlamentare con cui si annuncia al popolo italiano il ritorno in Iraq con una missione operativa, si assume una decisione difforme rispetto all'impegno a suo tempo assunto dal Governo Prodi (2006) di far rientrare in Italia il contingente militare italiano dall'occupazione dell'Iraq;
          solo il giorno seguente (16 dicembre) e in una sede irrituale – le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sulla riunione ordinaria del Consiglio europeo del 17 e 18 dicembre 2015 – informava il Parlamento della nuova missione in Iraq affermando tra l'altro: «Il ministro della difesa presenterà nelle prossime settimane alle Commissioni competenti, immagino insieme al ministro degli esteri, un'ipotesi molto avanzata di ulteriore impegno da parte dell'Italia e degli italiani, ma un impegno serio, non un impegno estemporaneo. In Iraq, nelle vicinanze di Mosul, c’è una diga che è lesionata, se quella diga crolla, Baghdad compresa, l'Iraq vedrà una situazione di disastro che coinvolgerà bambini, donne e anziani. È italiana l'azienda che può rimettere a posto quella diga, perché nel racconto costante del fatto che in Italia va tutto male ci dimentichiamo spesso di valorizzare il fatto che a livello di ingegneria siamo tra i migliori al mondo, che le nostre maestranze sono tra le più apprezzate e stimate. Ci è stato chiesto dalla comunità internazionale, in particolar modo in asse con gli Stati Uniti d'America – il rapporto di vicinanza con gli Stati Uniti non è mai stato così forte in questi due anni di Governo – di preoccuparsi di intervenire insieme perché quella diga sia riparata. Non è propriamente nella zona ovviamente dello Stato islamico, ma è in una zona irachena molto vicina al fronte. Lo faremo se il Parlamento sarà d'accordo in sede di Commissione. Perché ? Perché l'Italia non si tira indietro di fronte alle proprie responsabilità, non accetta di voltarsi dall'altra parte di fronte al dolore del mondo. È presente, forte, autorevole, solida e solidale, ma non annuncia gli interventi militari bombardando a destra e a manca semplicemente perché ha bisogno di apparire più forte di quello che pensano gli altri non abbiamo un problema di autostima, ma abbiamo un problema di andare a risolvere le questioni vere che riguardano le donne e gli uomini del nostro mondo (...);
          la diga in questione costruita nei primi anni ‘80 (chiamata a suo tempo «diga Saddam») controlla l'irrigazione di tutta la regione ed è cruciale per l'economia dell'Iraq. L'allarme «catastrofico» era già stato lanciato a suo tempo quando la diga stessa è stata oggetto di contesa tra l'esercito iracheno e Daesh, con iniziative militari che ne avrebbero danneggiato una parte della struttura. Si trova a 35 chilometri da Mosul – città controllata da Daesh – e assicura l'approvvigionamento idrico della popolazione;
          secondo una intervista rilasciata in seguito alle notizie provenienti dall'Italia da un alto funzionario del Governo iracheno, Mehdi Rashid, in una intervista al quotidiano di Stato «Al Sabah» non ci sarebbe il rischio di un imminente crollo della diga. «Il Ministero – afferma Mehdi Rashid – durante questi ultimi mesi, ha inviato sul posto una squadra di esperti internazionali per effettuare verifiche scrupolose e scientifiche sul corpo della diga» prima di concludere che «dai rapporti è emerso che la struttura è sana e non ci sono pericoli di crollo»;
          il problema della diga è stato affrontato in un convegno tenuto a Baghdad sei anni fa. In quella occasione è stata suggerita la costruzione di «un muro profondo oltre 200 metri proprio davanti alla diga». Una soluzione di gran lunga più economica della costruzione di una nuova diga da sostituire a quella attuale. E così, all'inizio del 2015 il Governo iracheno ha stanziato nove milioni di dollari proprio per realizzare il muro;
          in un comunicato ufficiale della Trevi (www.cesenatoday.it) l'impresa, che viene indicata come assegnataria dell'appalto per i lavori alla diga, ha smentito che la gara sia stata già assegnata anche se la stessa Trevi afferma che la possibilità che ciò avvenga sia elevata. In esso si legge: «I lavori alla diga sono urgenti, la presenza dell'Esercito è fondamentale». L'accordo per la diga di Mosul non è ancora definito, per essendo nelle fasi finali, e la promessa «della presenza del contingente italiano (a fianco dell'Esercito iracheno e di forze internazionali) è di fondamentale importanza per la sicurezza dell'intervento»;
          il tenente colonnello Gianfranco Paglia, consigliere del Ministro della difesa Roberta Pinotti, ospite di Uno Mattina, trasmissione del 17 dicembre, ha affermato: «Anche se la missione, come del resto le altre, è con un certo tasso di pericolosità, i nostri militari saranno in grado di affrontare qualsiasi tipo di situazione, sono dei professionisti addestrati a 360 gradi». «I nostri militari – ha continuato Paglia – dovranno fare azione di sicurezza per la ditta di Cesena che cercherà di riparare la diga la cui rottura provocherebbe non solo disastro ambientale ma perdita di vite umane»;
          non risulta agli interroganti che vi sia un invito del Governo iracheno a dispiegare i militari italiani a difesa della diga di Mosul, né tanto meno una risoluzione delle Nazioni Unite su tale questione. Secondo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, l'invito sarebbe arrivato direttamente dal Presidente Barack Obama ma non si comprende come il Presidente degli Usa possa sostituirsi agli organi di un altro Paese, sovrano, ossia al legittimo Governo iracheno;
          l'intervento militare, ad avviso degli interroganti, sembra riprodurre lo schema funzionale e organizzativo della penetrazione affaristico-militare del colonialismo britannico ben esemplificato dal modus operandi della Compagnia delle indie nel 1800;
          ad avviso degli interroganti con l'annuncio televisivo della disponibilità delle Forze armate italiane a questo compito si profila il rischio di una pesante ingerenza nei confronti delle autorità irachene con riferimento a una gara ancora in corsa  –:
          quali informazioni siano in possesso del Governo per affermare che i lavori alla diga di Mosul saranno assegnati alla Trevi di Cesena;
          quale sia il presupposto giuridico dell'invio dei militari in Iraq considerando che non risulta esserci né una richiesta del Governo iracheno né una risoluzione Onu in tal senso;
          quale sarebbe lo stato giuridico dei militari italiani in questa nuova missione Iraq tenendo conto che non esiste un SOFA (Status of Forces Agreement) neppure per i contingenti attualmente impegnati nell'addestramento delle forze irachene e considerato che un SOFA è tanto più necessario alla luce del fatto che i militari a Mosul opererebbero nel pieno della zona di conflitto;
          per quali ragioni non si stia lavorando – anche alla luce degli ingenti finanziamenti spesi dal contribuente italiano per l'addestramento dell'esercito iracheno e dei Peshmerga – per schierare a difesa della diga di Mosul, militari iracheni e curdi addestrati dall'Italia;
          quale sia la previsione dei costi e quali siano le coperture finanziarie e la durata temporale della nuova missione militare. (4-11504)


      RIZZO, FRUSONE, CORDA, PAOLO BERNINI, BASILIO e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il      Muos (mobile user objective system) è un sistema di comunicazione satellitare di proprietà del Governo degli Stati Uniti in fase di completamento, composto da 5 satelliti e 4 stazioni di terra, di cui una all'interno della riserva naturale «Sughereta di Niscemi», già oggetto di diverse iniziative di sindacato ispettivo da parte di deputati del Movimento5Stelle;
          il 13 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale (Tar) per la Sicilia, sezione di Palermo, con sentenza n.  461/2015, si è definitivamente pronunciato sui ricorsi riuniti, n.  1864/11, n.  808/13, n.  950/13, n.  1825/13 e n.  2397/13, presentati da Legambiente, del coordinamento regionale dei Comitati NOMUOS, dal Movimento «No Muos» Sicilia e dal comune di Niscemi. La sentenza, avente ad oggetto la realizzazione della stazione di comunicazione satellitare ad uso esclusivo della Marina militare statunitense, parte dall'esame di 2 provvedimenti con cui il 29 marzo 2013 l'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente revocava le autorizzazioni concesse nel 2011 per la realizzazione del Muos. Accogliendo quanto avanzato dagli opponenti, il Tar ha tenuto a precisare che tali provvedimenti siano da considerare non come revoche, ma come annullamenti d'ufficio. L'annullamento delle autorizzazioni, in forza delle quali è stata realizzata l'installazione del sistema, qualifica dunque di fatto come abusivi i lavori di installazione del Muos;
          in data 3 settembre 2015 il Consiglio di giustizia amministrativa (Cga) di Palermo ha depositato la sentenza n.  581/2015, con la quale accoglie parzialmente sia le istanze d'appello del Ministero della difesa, sia i motivi di appello incidentale del comune di Niscemi e di Legambiente. Pur riconoscendo l'invalidità della cosiddetta «revoca delle revoche» del governo Crocetta del luglio 2013, annulla le revoche (qualificate dallo stesso Cga come annullamenti d'ufficio) del marzo 2013, sulla scorta della considerazione che il governo regionale non avesse compiuto una sufficiente istruttoria sull'effettiva carenza degli studi sugli effetti del Muos su salute umana ed ambiente, tale da giustificare gli atti di annullamento;
          il Cga ha ritenuto non esauriente la verifica eseguita in primo grado e ha ritenuto dover disporre un approfondimento mediante la nomina di un collegio di 5 verificatori, di cui 2 nominati dal presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dal presidente del Consiglio universitario nazionale (CUN) ed altri 3 individuati dal Ministro della salute, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili attinenti alla navigazione aerea (in ragione dei pericoli per la sicurezza pubblica e, quindi, anche per la salute delle popolazioni, ipoteticamente riconducibili al pericolo di incidenti aerei), dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Ciò che colpisce della sentenza del Cga è che esisterebbero i presupposti di un conflitto d'interesse, a giudizio dell'interrogante, essendo stati nominati nel comitato di verificatori, tre delegati del Governo Renzi, contro cui insistono i ricorsi amministrativi da parte dei soggetti già citati, per risolvere la querelle «Muos»;
          in data 7 settembre 2015 l'associazione antimafie «Rita Atria», a tal proposito, ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Palermo nei confronti del presidente del collegio del Cga e del giudice estensore della sentenza, non definitiva, sul Muos, per verificare la sussistenza del reato di abuso in atti di ufficio, ex articolo 328 del codice penale;
          non da ultimo, ad occuparsi delle spese di queste nuove verifiche, come si legge esplicitamente nella sentenza, sarà direttamente il comune di Niscemi che dovrà anticipare i costi di vitto, alloggio, viaggi ed esami strumentali, di tutti i componenti del collegio di verifica, provocando gravi difficoltà nella gestione dei flussi finanziari del comune siciliano;
          il 17 novembre 2015, l'Avvocatura dello Stato ha inviato istanza al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana chiedendo di intervenire «affinché il Collegio dei verificatori provveda all'espletamento dei compiti assegnatigli da codesto C.G.A. con la massima urgenza», notizia che è stata richiamata anche dalla stampa riportando le dichiarazioni di diniego rilasciate dal Coordinamento regionale dei comitati «No Muos», che intravedono la volontà del Governo di influenzare la decisione non solo sui tempi, ma soprattutto, sul merito, facendo esplicito riferimento agli attentati terroristici di Parigi del 13 novembre, a giudizio degli interroganti come a voler intendere, di fatto, che il Muos è uno strumento di guerra necessario a difendersi;
          il 1o dicembre 2015, il collegio di verificazione dell'impianto Muos, ha chiesto al C.G.A. di Palermo una proroga di 90 giorni per la consegna della relazione finale di verificazione, adducendo la necessità di completare le attività di indagine, tenuto conto anche delle difficoltà nel procedere con i lavori visto il sequestro preventivo dell'impianto di Niscemi;
          il 7 dicembre 2015, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, alla luce della richiesta di proroga sopra citata, ha inviato una nota di protesta al Consiglio di giustizia amministrativa, dissentendo sull'ulteriore tempo domandato dal Collegio di verificazione e sollecitando, quindi, il completamento delle indagini entro 60 giorni a partire dal 1o dicembre 2015, così come stabilito dalla sentenza n.  581 del 2015, adducendo ragioni di tutela connesse, ad esempio, con lo svolgimento del Giubileo straordinario della Misericordia e con la presenza di obiettivi «sensibili», quali il Teatro alla Scala di Milano e il Colosseo di Roma, ribadendo, nuovamente e secondo gli interroganti forzatamente, il concetto che il Muos sia strumento di difesa e non di comunicazione come sinora è stato presentato all'opinione pubblica  –:
          se il Governo intenda procedere alla verifica di quanto sostenuto nelle difese formulate dall'Avvocatura in ordine all'uso a fini di polizia interna del Muos, e chiarire come si ritenga compatibile con il dettato costituzionale quello che agli interroganti appare un uso militare offensivo delle predette strutture, senza alcun controllo politico, giuridico e militare dello Stato Italiano;
          se non reputino che l'uso di tali strutture possa costituire di fatto una interferenza nei confronti del Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo nell'esercizio del compito a cui è chiamato;
          se il Governo non ritenga, qualora l'Avvocatura dello Stato abbia ragione nel rappresentare le istanze a difesa dello Stato, rendere noti eventuali documenti che attestino che il MUOS, di proprietà del Governo degli Stati Uniti, potrà essere utilizzato anche da parte delle Forze armate italiane. (4-11505)


      NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          come l'interrogante ha già denunciato, nell'interrogazione a risposta scritta n.  4-08074, nonostante la sentenza n.  2576 del Consiglio di Stato sezione terza, emessa il 20 maggio 2014, ancora non si provvede alla riapertura dell'ospedale di Praia a Mare (Cosenza);
          nel suddetto atto di sindacato ispettivo, la sottoscritta ricordava che, sebbene la struttura di Praia a Mare fosse punto di riferimento di oltre 15 comuni per un bacino di utenza di circa 60 mila abitanti, il Dpgr n.  34 del 6 maggio 2011 prima e, definitivamente, il Dpgr n.  90 del 18 giugno 2012 prevedeva la riconversione della struttura ospedaliera in centro di assistenza territoriale primaria e la conseguente «disattivazione del presidio ospedaliero di Praia a Mare dell'ASP di Cosenza»;
          con l'atto deliberativo n.  826 del 28 marzo 2012, rettificato parzialmente con atto n.  1064 del 16 aprile 2012, il direttore generale dell'Asp di Cosenza ha deliberato di riconvertire il presidio ospedaliero di Praia a Mare in C.A.P.T. con attivazione al suo interno della casa della salute a far data dal 1o aprile 2012;
          tuttavia, con la succitata sentenza amministrativa, il Consiglio di Stato «nel merito accoglie l'appello nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l'effetto, ai fini di una nova determinazione, annulla in parte qua il decreto del commissario SSR Calabria n.  18/2010, quanto alla trasformazione del P.O. di Praia a mare in ospedale distrettuale/CAPT, con il conseguente travolgimento delle ulteriori successive determinazioni legate da vincolo di presupposizione;
          nelle motivazioni della decisione si sottolineava che, «con riguardo alle Urgenze va rilevato che il Piano di riordino della Rete di Emergenza-Urgenza, pur riconvertendo il Presidio di Praia in Ospedale distrettuale, tuttavia, in corrispondenza al numero degli accessi, ha ritenuto necessario collocarvi un PPI (Punto di Primo Intervento, nda) operativo h. 24/24, non ritenendo sufficiente una postazione con operatività ridotta ad h. 12/24. Inoltre, quanto a distanze ed a tempi di percorrenza, al punto 2 della nota inviata dal Commissario SSR, il Collegio rileva che dei 15 Comuni inseriti nell'ambito territoriale dell'ex P.O. di Praia (nelle more del giudizio definito CAPT, Centro di Assistenza Primaria Territoriale) almeno 6 sono indicati ad una distanza dallo Spoke di Cetraro che va dai chilometri 49,2 a chilometri 64,3, mentre altri due Comuni sono comunque a distanza superiore a chilometri 40. Infine, al punto 3, il Commissario rappresenta che «Il Piano di riordino della rete emergenza urgenza non prevede le località nelle quali debbano essere collocate le superfici per l'elisoccorso. Le stesse dovranno, quindi, essere definite con atti di programmazione secondaria. Per quanto riguarda comunque il CAPT di Praia a mare i soccorsi urgenti vengono comunque assicurati da mezzi dell'elisoccorso, che atterrano su superfici di emergenza, come accade, peraltro, anche per altri ospedali della Calabria»;
          nonostante quanto specificato sin qui, preme in questa sede sottolineare che nella rete ospedaliera (Dca n.  9/2015), predisposta dal commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, Massimo Scura, per quanto riguarda la provincia di Cosenza, manca la riattivazione dell'ospedale di Praia a Mare e anche quella dell'ospedale di Trebisacce, nonostante un'altra sentenza del Consiglio di Stato (la n.  2151 del 27 aprile 2015) obblighi in questo senso;
          con un'ulteriore sentenza, il più alto grado di giudizio amministrativo, con sentenza n.  2968/2015, si pronunciava definitivamente sull'ospedale di Praia a Mare, obbligando il commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del SSR regione Calabria, con l'eventuale ausilio, ove necessario, anche delle altre amministrazioni coinvolte, «di dare esatta esecuzione al giudicato, tenendo conto delle argomentazioni esposte nei paragrafi 2.5 e 2.6 della sentenza n.  2576/2014»;
          nella succitata sentenza si precisava che il commissario aveva l'obbligo di pronunciarsi nel termine, stabilito dalla legge, di 120 giorni, sulla disposta trasformazione del presidio ospedaliero di Praia a Mare in ospedale Distrettuale/Capt;
          non essendo mai arrivata risposta, il Consiglio di Stato ha provveduto a nominare la dottoressa Fiori Degrassi (direttore della «Direzione salute e integrazione sociosanitaria» della Regione Lazio) quale commissario ad acta per l'ottemperanza della sentenza n.  2968/2015 del Consiglio di Stato, che prevedeva l'obbligo della riapertura degli ospedali di Praia a Mare e di Tortora (Cosenza) per «eseguire il giudicato in via sostituiva del commissario (Scura, nda) eventualmente inadempiente»;
          secondo quanto raccontano le cronache locali, la dottoressa Degrassi ha provveduto, in data 18 novembre 2015, a delegare l'esecuzione del giudicato al dottor Domenico Di Lallo, dirigente dell'Area «Rete ospedaliera e ricerca» della Regione Lazio;
          stando ancora alle cronache locali, tuttavia, «tanto la Degrassi quanto Di Lallo, prima il 10 novembre poi il 18 novembre, hanno provveduto ad inviare due solleciti al commissario e al sub commissario della sanità calabrese, Massimo Scura e Andrea Urbani, affinché trasmettessero la documentazione su quanto fatto finora presso il Capt di Praia a Mare. Solleciti cui [...] non hanno fatto seguito risposte. Un silenzio che avrebbe dovuto aprire subito un tavolo in Regione e con i sindaci di Praia a Mare e Tortora e che avrebbe dovuto dare il via all'effettiva esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato»;
          il colpo di scena arriva il 3 dicembre 2015, quando il dottor Di Lallo si dimette improvvisamente;
          formalmente le motivazioni addotte risiederebbero nel fatto che lo stesso sarebbe «impossibilitato a svolgere la funzione di Commissario ad Acta per improrogabili e imprevisti impegni istituzionali relativi all'attività di coordinamento della rete assistenziale della Regione Lazio»;
          alle prime dimissioni seguono, una settimana dopo (il 10 dicembre 2015), quelle della dottoressa Degrassi che ha rimesso la delega da commissario esecutore della sentenza del Consiglio di Stato perché, ha fatto sapere, «ricoprirò la posizione di Direttore della Direzione Salute ed Integrazione Socio-Sanitaria solo fino al 31 dicembre 2015»;
          secondo però quanto denunciato dal sindaco di Praia a Mare, Antonio Praticò, le ragioni per cui i due dirigenti avrebbero rimesso il mandato risiederebbero nel «muro di silenzio» cui si sono trovati di fronte;
          il primo cittadino, ancora, ha dichiarato: «avendo probabilmente compreso che su questa vicenda erano in corso «giochetti» non comprensibili, in data odierna (3 dicembre, nda) Di Lallo ha comunicato le sue dimissioni da Commissario ad Acta per l'ottemperanza della Sentenza n.  2968/2015 del Consiglio di Stato [...] È giunta anche l'ora che i rappresentanti istituzionali e politici calabresi dimostrino, non più solo a parole, ma con fatti ed azioni concrete, la reale volontà di impegnarsi per restituire al nostro territorio una struttura ospedaliera pienamente efficiente, a salvaguardia del bene della collettività, come lo è stato per il passato, in sintonia e nel pieno rispetto di quanto stabilito con la sentenza del Consiglio di Stato, dimostrando solo così di essere rispettosi della legge e dei cittadini. In tale situazione, sfiduciato anche dal comportamento della politica, chiamo la popolazione del mio territorio ad una forte mobilitazione al fine di far valere i nostri diritti fondamentali»;
          desta grave preoccupazione, a parere dell'interrogante, quanto descritto sin qui, in considerazione del fatto che sono passati mesi senza che nulla sia stato fatto per dar seguito a quanto imposto da una sentenza del più alto grado della magistratura amministrativa, senza dimenticare che ora i tempi potrebbero allungarsi ulteriormente perché lo stesso Consiglio di Stato dovrà provvedere a nominare un nuovo commissario per l'esecuzione del giudicato  –:
          quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano assumere per garantire il rispetto delle succitate sentenze del Consiglio di Stato che impongono l'immediata riapertura dell'ospedale di Praia a Mare e di Tortora e, come specificato, anche quella dell'ospedale di Trebisacce. (4-11506)


      NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal luglio 2010 la regione Calabria è sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, con la nomina di un commissario governativo che, per quanto già osservato nell'interrogazione n.  5-06827 del 30 ottobre 2015, presentata dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, risulta di dubbia legittimità a decorrere dal 1o gennaio 2013, non essendone ammessa la proroga e poiché, per legge, lo stesso può essere nominato, una volta scaduto il piano di rientro, solo a seguito di procedura di diffida dell'amministrazione regionale agli adempimenti specifici, che per la Calabria non risulta all'interrogante sia avvenuta;
          con lettera aperta del 17 giugno 2015, il commissario liquidatore della Fondazione Tommaso Campanella, dottor Andrea Bonifacio, ha rappresentato al Presidente del Consiglio, dottor Matteo Renzi, ed al Ministro della salute, onorevole Beatrice Lorenzin, «l'imbarazzante e incredibile situazione che si sta accertando nella gestione e conduzione della suddetta Fondazione, che per la natura dei soci fondatori (regione Calabria e Università degli Studi Magna Graecia) e per gli scopi e finalità per i quali è stata costituita, doveva essere oggetto di massima attenzione e considerazione da parte degli organi Istituzionali demandati al funzionamento e controllo della stessa, nonostante i vari avvicendamenti politici avvenuti nella regione Calabria dalla data di costituzione ad oggi»;
          nella lettera del commissario si legge che l'estinzione della Fondazione è dovuta, tra l'altro, «a una serie incredibili di ”stop and go” da parte della Regione, dall'erogazione a singhiozzo dei contributi dovuti, al gelatinoso e opaco rapporto intercorso con la Aou Mater Domini»;
          nella medesima lettera, il commissario liquidatore ha posto in risalto «il trasferimento a strutture terze (Ospedale Pugliese Ciaccio e AUO Mater Domini) dei pazienti oncologici in cura presso la stessa, il licenziamento in tronco di oltre 250 dipendenti, la sospensione dell'accredito sanitario», manifestando «sconcerto» per la «non conoscenza dei fatti e degli atti compiuti dai soci fondatori e dalla mancanza di qualsiasi valutazione e gestione dei rischi inerenti gli aspetti legali, ma soprattutto dalla mancanza di qualsiasi risposta, positiva o negativa che sia, alle richieste formali effettuate dallo scrivente, al fine di instaurare un tavolo di concertazione per cercare di risolvere lo stato di crisi, scongiurare problemi di sicurezza ed ordine pubblico ed accertare alcune ingenti partite contabili, sia nei confronti della Regione Calabria, per i contributi che questa si era obbligata a versare, e soprattutto per le partite dare/avere di significativo importo nei confronti della AUO Mater Domini»;
          lo stesso commissario ha rilevato, nella citata lettera, che «l'assenza di risposte formali sta impedendo, di fatto, allo scrivente di poter espletare le attività proprie d'ufficio e quindi di poter accertare ed acquisire documentazione ai fini dell'accertamento dell'attivo e del passivo o di avere risposte e/o delucidazioni dai diretti interessati»;
          di più, il commissario liquidatore ha «denunciato» che gli «Organi Istituzionali non danno nessun tipo di risposta, poiché secondo una loro concezione alquanto particolare e degna di nota, asseriscono che gli eventi accaduti e che hanno determinato l'estinzione della Fondazione e il contenzioso instaurato, non dipendono direttamente dai loro Uffici ma dall'eredità politica precedente alla loro gestione»;
          il dottor Bonifacio ha inoltre esplicitato che «la mancanza di qualsiasi risposta da parte dei soggetti istituzionali sopra individuati, determina un imbarazzante situazione di ”empasse” e di stallo totale, con consequenziali richieste di intervento da parte dell'Autorità Giudiziaria, a cui mio malgrado ci si è rivolti al fine di poter espletare il mandato ricevuto»;
          secondo il commissario liquidatore, «la responsabilità nella gestione della Fondazione, che è stata volutamente portata al collasso, è avvenuta applicando lo stesso ”modus operandi” che il sottoscritto ha potuto accertare di persona, ed ha riguardato e coinvolto diverse Giunte succedutesi nel controllo politico della Regione, di cui è diretta espressione il Management, la Governance e l'organo deputato al controllo»;
          «la situazione – ha riferito il commissario nella sua lettera – è di estrema tensione e criticità, soprattutto per quanto concerne la condizione degli ex lavoratori dipendenti della Fondazione, pari a circa n.  250 unità, che, stante il licenziamento subito, devono ancora percepire le retribuzioni dal mese di gennaio 2015 ad oggi, oltre indennità, ferie e TFR»;
          il dottor Bonifacio ha finanche rimarcato che «il persistere di una situazione di stallo, la mancanza di risposte istituzionali, ha, di fatto, portato ad esasperare ulteriormente gli animi soprattutto di quei dipendenti monoreddito, con figli a carico e gravati da impegni di mutuo e pertanto al limite della sussistenza»;
          nella lettera si legge che «nonostante le diverse soluzioni proposte dallo scrivente alla Regione Calabria, nelle more di definire gli importi comunque dovuti per i contributi relativi agli anni 2012, 2013, 2014 e sino al 10 marzo 2015, non oggetto di contestazione o di contenzioso legale, nessuna risposta è pervenuta»;
          secondo il commissario liquidatore della Fondazione Tommaso Campanella, l'eventuale accettazione della richiesta effettuata dallo scrivente, da parte della regione, di mettere a disposizione l'importo di circa euro 1,7 Mio direttamente a favore dei dipendenti, avrebbe consentito di poter pagare le retribuzioni nette maturate sino alla data di marzo 2015, ed evitare problemi di ordine pubblico»;
          per scongiurare problemi di sicurezza ed ordine pubblico, dunque, il commissario liquidatore ha rivolto ai destinatari della sua nota «un forte e pressante invito» per «un intervento immediato e risolutivo al fine di poter ottenere la collaborazione richiesta e dovuta dagli Organi Istituzionali e soprattutto risposte, positive o negative, alle richieste effettuate, fermo restando che, per i fatti sino ad oggi dal sottoscritto accertati nella conduzione e gestione della Fondazione, è in corso di definizione una dettagliata relazione che verrà consegnata a stretto giro alla Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica di Catanzaro»;
          con propria nota del 7 dicembre 2015 di risposta a una lettera della prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo      inviatagli il 1o dicembre 2015, lo stesso commissario liquidatore ha informato la stessa di una serie di questioni di rilievo;
          in particolare, in merito al quadro dei conti della Fondazione, da una prima ricostruzione è stata accertata una «situazione debitoria che ammonta a complessivi euro 88,4 Milioni oltre ad euro 23,5 Mio per accantonamenti di ”Fondi” per rischi potenziali»;
          in data 9 novembre 2015, a seguito della complessa situazione economica e finanziaria dell'ente in argomento, al fine di preservare gli interessi dei vari creditori ed evitare il fallimento, il commissario liquidatore ha presentato presso la sezione fallimentare del tribunale di Catanzaro, domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo (articolo 161, 6o comma, legge fallimentare), domanda accolta e registrata con n.  11/2015;
          attualmente, risultano in corso ulteriori accertamenti e verifiche presso gli uffici competenti e presso i fornitori, per accertare con esattezza la determinazione complessiva dei debiti, compresa la quantificazione di spese, oneri, interessi e sanzioni, nonché la verifica circa la legittimità dei contratti passivi e dei debiti maturati;
          nella predetta nota, il commissario liquidatore ha anticipato che «alcune partite contabili relative ai ”debiti contestati” pari a circa euro 37 mio, iscritte nei confronti dell'Azienda Ospedaliera Universitaria ”Mater Domini”, e i ”debiti vs. parti correlati” nei confronti dell'Università Magna Graecia dovranno essere oggetto di approfondite valutazioni», con particolare attenzione per la «quantificazione dei ”rischi” inerenti le potenziali cause da parte dei lavoratori dipendenti, a seguito del licenziamento effettuato dalla Fondazione»;
          in merito al quadro sulla allocazione e gestione dei beni della Fondazione, per il commissario liquidatore essa «presenta, alla data del 31 dicembre 2014, “Immobilizzazioni Materiali”, iscritte in contabilità e evidenziate nella situazione di bilancio, per euro 7,307 Milioni, e ”Fondi di Ammortamento” per euro 4,664 Milioni con un valore contabile residuo pari a circa euro 2,643 Milioni»;
          nel corso dei mesi di giugno e luglio 2015 è stato effettuato un inventario analitico di tutti i beni, in quanto, ha scritto il commissario liquidatore, «dal registro degli inventari e dei beni ammortizzabili della Fondazione non è stato possibile estrapolare la reale consistenza degli stessi alla data più prossima»;
          «dalla redazione dell'inventario – ha precisato nella sua nota il commissario Bonifacio – non sono stati reperiti immobilizzazioni materiali (tra cui work station, ecografi portatili, stazioni diagnostiche, computer portatili, monitor e attrezzatura varia) per un controvalore complessivo di circa euro 644 mila», a fonte dei quali lo stesso commissario ha «provveduto ad inviare in data 3 agosto 2015, a mezzo raccomandata AR, richiesta di notizie ai Responsabili delle UU.OO.» su dove fossero allocati i suddetti beni»;
          il commissario ha scritto che «su n.  16 raccomandate inviate n.  14 sono tornate indietro per compiuta giacenza e solo n.  2 soggetti hanno risposto», tutti «i destinatari delle raccomandate impiegati presso la AUOMD (Mater Domini)»;
          il commissario ha significato che «solo verso fine settembre, primi di ottobre (scorso, nda)» tutti i destinatari delle «suddette raccomandate si sono presentati presso gli uffici amministrativi della Fondazione al fine di avere copia della missiva inviata, in quanto avevano appreso da fonti esterne che tutte le raccomandate a loro indirizzate erano tornate indietro», cioè da un articolo giornalistico del 29 settembre 2015 uscito sulla Gazzetta del Sud a pag. 23 dell'edizione catanzarese;
          «successivamente – ha precisato il commissario Bonifacio – sembra siano state depositate, presso gli uffici della Fondazione, le risposte da parte dei suddetti responsabili, nonostante l'invito a rispondere a mezzo raccomandata AR e pec certificata», per cui il citato commissario «ad oggi non è in grado di poter riferire formalmente circa i beni non reperiti»;
          in merito al quadro sulle prestazioni sanitarie della Fondazione, distinguendo quelle oncologiche da quelle non oncologiche, nel corso del suo mandato, il commissario liquidatore ha «accertato che la Fondazione aveva sostenuto costi per le UU.OO. non oncologiche, nonostante queste fossero di esclusiva pertinenza di soggetti non riferibili alla Fondazione»;
          il commissario liquidatore ha precisato che, non avendo ricevuto nessun riscontro all'atto formale di diffida inviato in data 5 agosto 2015», ha «provveduto, tramite i legali, a notificare in data 30 ottobre 2015 atto di citazione alla Regione Calabria, alla AUO Mater Domini e all'Università Magna Graecia, per i costi sostenuti per la gestione delle unità operative a direzione universitaria estranee, all'ambito oncologico nel periodo dal 1o gennaio 2012 sino al 1o agosto 2014, per l'importo complessivo di euro 38.950.490,3;
          in relazione all'acquisizione di beni e servizi effettuata dalla Fondazione, alla luce della normativa di settore e di quelle relative ai controlli atti a contrastare fenomeni di corruzione, il commissario liquidatore ha comunicato d'aver analizzato «1618 decreti di assegnazione per l'acquisto di beni e servizi effettuati dalla Fondazione per gli anni 2010-2014», mettendo in risalto «il debole sistema di controllo interno (con la mancanza di ruoli e responsabilità scritte all'interno di un mansionario e di procedure interne scritte), unitamente al non sempre puntuale supporto dei consulenti esterni e delle risorse interne»;
          nella sua nota, lo stesso commissario ha sottolineato «la totale inadeguatezza dell'ufficio gare e dell'ufficio acquisti (uffici demandati a gestire milioni di euro di acquisti di beni e servizi e all'affidamento di gare), che a partire da settembre 2010 è stato incentrato su un'unica risorsa, tra l'altro senza ruolo e senza mansione, e quindi del tutto inidonea a supportare le numerose attività della Fondazione»;
          in alle procedure di gara, con riferimento al decreto legislativo 163 del 2006, nonché alla legge 136 del 2010, il commissario liquidatore ha segnalato che «dall'analisi dei decreti di assegnazione risulta che la stragrande maggioranza degli stessi sono stati effettuati tutti sotto soglia, anche in maniera sistematica, ripetitiva e consistente, in alcuni casi i contratti vengono prorogati di volta in volta, inoltre per alcune assegnazioni non risulta il CIG (Codice identificativo di Gara)»;
          il commissario liquidatore ha specificato che, di tale situazione, «è stata data notizia alla A. G. competente ed è in corso di redazione relazione alla Corte dei Conti»;
          in ordine ai rapporti economici intercorrenti tra la Fondazione e la azienda ospedaliera universitaria Mater Domini, il commissario liquidatore ha messo in risalto che «i rapporti tra i due enti riguardano i costi e i rimborsi per prestazioni rese per le unità operative in comune, comprendenti costo del personale e acquisto di beni e servizi»;
          lo stesso dottor Bonifacio ha riferito che «i rapporti tra i due enti non sono mai stati regolamentati da una convenzione, nonostante questa fosse prevista dai tempi della costituzione e nonostante più volte sollecitata», con «mancanza di regole nella misura della ripartizione dei costi e nella verifica delle stesse (una sostanziale indeterminatezza a monte)»;
          «la Fondazione – ha scritto il commissario liquidatore – ha registrato al 50 per cento i costi comuni fino al 31 dicembre 2010, effettuando nel contempo pagamenti a favore della AUOMD per complessivi euro 44.903 Mio»;
          inoltre la Fondazione – ha aggiunto il commissario liquidatore – «a partire dall'esercizio 2011 ha provveduto a registrare gli addebiti in contestazione tra i fondi rischi e, a partire dal 2013, a registrare tra i debiti i soli riaddebiti riconosciuti»;
          «tali politiche – ha precisato il liquidatore – hanno comportato, nel corso degli esercizi, delle discontinuità nei principi contabili applicati»;
          «alla data del 30 settembre 2015, nei confronti della AOUMD – ha scritto il dottor Bonifacio – residuano iscritti nel bilancio della Fondazione «crediti» per circa euro 28.856 Mio, «debiti» per circa Euro 27.232 Mio e «Fondi per oneri» per Euro 9.932 Mio»;
          ciononostante, ha evidenziato il dottor Bonifacio, «al 29 settembre 2015, come evidenziato dalla missiva inviata dai consulenti della AUOMD dott. Bonura e Avv. Passi (allegato n.4), non risultano debiti intrattenuti dalla AUOMD nei confronti della Fondazione Tommaso Campanella»;
          pertanto, ha precisato il commissario, «non risultano contabilizzate nel bilancio della AUOMD prestazioni passive per complessivi euro 28.856 Mio, di cui circa euro 2.38 Mio per Ticket inerenti prestazioni rese dalla Fondazione ma incassate direttamente per gli anni dal 2006 al marzo 2014»;
          la situazione generale della Fondazione Tommaso Campanella è, dunque, secondo gli interroganti, di una gravità inaudita, ed è perfino incredibile la mancanza di risposte istituzionali rappresentata dal commissario Bonifacio nella citata lettera aperta;
          come rappresentato in un esposto promosso dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo del 10 settembre 2015, trasmesso alla Procura di competenza e alla Corte dei conti, nonché sintetizzato in una lettera del 28 settembre 2015, inviata per richiedere di provvedere al commissario per il rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, ingegner Massimo Scura, in un articolo del 28 agosto del giornalista Pietro Bellantoni, apparso sul portale della testata «Il Corriere della Calabria», è scritto che «l'amico e braccio destro del Subcommissario Urbani (...), avvocato Massimiliano Passi, è stato di recente nominato consulente del Policlinico Mater Domini, per un compenso totale di 38.500 euro (cifra che per soli 1.500 euro esclude l'obbligo della pubblica selezione, nda), da erogare in tre tranche: 30 agosto, 30 ottobre e 30 dicembre»;
          Passi, informa Bellantoni nel suo articolo, «è stato al fianco del sub-commissario alla Sanità Andrea Urbani (anche lui romano) per più di un anno, esattamente dalla fine del 2013 agli inizi del 2015. I due operavano gomito a gomito, sempre insieme. Passi altro non era che il consulente personale del numero 2 della sanità calabrese, assegnatogli direttamente da Agenas (l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari), dalla quale veniva retribuito. Esaurito quel contratto, il legale di fiducia di Urbani ha ora trovato una nuova collocazione in una delle strutture soggette all'influenza del suo amico personale»;
          «Il fidato Passi – ha scritto Bellantoni – è stato nominato lo scorso 1o luglio dal commissario straordinario della Mater Domini, Antonio Belcastro. Avrà un compito delicato: affiancare il nuovo revisore contabile dell'Azienda universitaria, il commercialista – anche lui romano – Alessandro Bonura (stessa retribuzione complessiva: 38.500 euro). Il ticket di esperti è stato selezionato per ottenere il riconoscimento dei crediti da parte della Fondazione Campanella, il centro oncologico catanzarese ora in fase di liquidazione»;
          la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, ha, con un esposto alla procura di Catanzaro, alla Corte dei conti e all'Anac, evidenziato l'illegittimità della nomina del dottor Antonio Belcastro a commissario dell'AOU Mater Domini di Catanzaro, per manifesta violazione dell'articolo 9 della legge regionale n.  22 del 2010, che stabilisce l'impossibilità di assegnare incarichi regionali a qualsivoglia dirigente abbia come il Belcastro concorso, nell'esercizio del proprio mandato, a determinare perdite di bilancio, contestualmente rappresentando l'inutile tentativo, già esperito, di richiederne la revoca al medesimo esecutivo;
          nel menzionato esposto, trasmesso anche al citato commissario ad acta Scura la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo ha chiesto allo stesso commissario l'esercizio del potere di revoca previsto al punto n.  13 dell'atto governativo di nomina, recante la data del 12 marzo 2015  –:
          quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per favorire la risoluzione delle gravissime criticità evidenziate in premessa, soprattutto in considerazione del fatto che la regione Calabria è sottoposta a piano di rientro e in ragione della pesante sofferenza, intanto economica, degli ex lavoratori della Fondazione Campanella, a parere degli interroganti rimasti vittime uniche di un intero sistema;
          quali verifiche in tale quadro intendano attivare in relazione agli elementi forniti dai citati consulenti dell'azienda ospedaliera universitaria Mater Domini, che appaiono agli interroganti, discordanti con gli accertamenti effettuati dal commissario liquidatore della Fondazione Campanella. (4-11507)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


      SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo i dati forniti dalla Fondazione Migrantes: «Continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1.600 a oltre 3.200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall'inizio dell'anno»;
          da anni si sta consumando «nel Mediterraneo una strage silenziosa»;
          è di pochi giorni fa la notizia dell'ennesima tragedia nel Mar Egeo, davanti alle coste della Turchia: un barcone carico di migranti è affondato vicino all'isola greca di Farmakonissi provocando la morte di almeno 11 persone, tra cui 5 bambini. I dispersi sarebbero 13. A bordo dell'imbarcazione, ha detto la Guardia Costiera, c'erano circa 50 persone, 26 delle quali sono state salvate;
          pochi giorni prima, sei bambini afghani che tentavano di raggiungere l'isola greca di Chio, più a nord, sono annegati al largo della costa della provincia turca di Smirne, perché la loro imbarcazione è affondata. In quel caso la guardia costiera turca ha recuperato i corpi dei bambini, tra i quali un neonato, ma stanno ancora cercando due dispersi;
          secondo i dati dell'Oim, l'Organizzazione dell'Onu per le migrazioni, dall'inizio dell'anno, più di 650 mila migranti, soprattutto rifugiati siriani, hanno preso il mare dalla coste turche nel tentativo di raggiungere le isole greche, punto di passaggio verso l'Europa. Ma nello stesso periodo, oltre 500 di loro, la gran parte bambini, hanno trovato la morte in mare;
          questa gravissima situazione non è accettabile in un Paese che si dichiara civile e necessita dunque di un intervento urgente ed efficace da parte del Governo, con il dovuto coinvolgimento dell'Europa  –:
          quali siano gli orientamenti del Governo in merito al trend in crescita delle morti di immigrati che sta avvenendo nel nostro mare e, in particolar modo, alle centinaia di minori che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l'Europa;
          quali    iniziative urgenti il Governo intenda assumere per garantire la tutela, la protezione e l'assistenza dovuta ai minori che giungono nel nostro Paese, nel pieno rispetto dei loro diritti;
          se il Governo non consideri opportuno intervenire, per quanto di competenza, affinché l'Europa sia maggiormente coinvolta e la gestione del problema non sia lasciata al solo territorio nazionale con tutte le ricadute che ben si conoscono, e si possa giungere a progettare un sistema volto alla soluzione di tale problema condiviso con gli altri Paesi europei, che assicuri alle persone che giungono nel nostro Paese il pieno rispetto dei loro diritti, con particolare riguardo per i minori. (4-11489)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la provincia di Arezzo, con deliberazioni di giunta n.  437, 438, 439, 440, 441 e 442 del 18 agosto 2009 ha autorizzato le società Bi.Bi srl, B. Energia srl, Futurgreen srl, New Energy sas, Silfer energia e T. Power srl alla costruzione ed all'esercizio di sei impianti di produzione di energia elettrica da biomasse, ciascuno per la potenza di 0,256 MWe da realizzarsi all'interno di un preesistente capannone industriale posto in località La Renaria, nel comune di Cortona (Arezzo);
          a seguito della pubblicazione dei provvedimenti autorizzatori sono, tuttavia, emerse numerose perplessità connesse alla legittimità di tali titoli, sia da parte della popolazione locale sia delle amministrazioni (in particolare, del comune di Cortona) che avevano partecipato al procedimento autorizzativo in conferenza di servizi;
          tra le questioni sollevate contro i provvedimenti autorizzatori ci sono quelle relative alla decadenza del requisito di disponibilità dell'immobile, alla presenza sul capannone di Coperture in cemento amianto, alla natura e all'entità delle emissioni in atmosfera, all'impatto odorigeno, alla natura delle materie prime utilizzate, l'impatto sulla salute e sulla qualità degli alimenti prodotti nell'area di vicinanza all'impianto;
          la provincia, pertanto, decideva di riaprire la conferenza di servizi in data 25 marzo 2010 allo scopo di riesaminare congiuntamente tutte le questioni in merito agli impianti autorizzati;
          a fronte di tali evidenze, le società proponenti, con capofila la new Energy srl, il 29 gennaio 2010 stipulavano nuovi contratto di locazione con la Renana srl proprietaria dell'immobile (dopo che sul precedente contratto era intervenuto il giudice decretando uno sfratto) ed inserivano nel progetto l'installazione di sei distinti impianti per l'abbattimento degli NOx sotto il livello dei 330-350mg/Nmc;
          la provincia, pertanto, dichiarava concluso il procedimento di riesame a seguito della chiusura della conferenza di servizi e confermava il rilascio delle autorizzazioni alle società proponenti;
          avverso le precedenti e le successive delibere di concessione, la signora Lazzeri la società Frantoio Cortonese e la società Centro Essiccazione Tabacco, proponevano ricorso al TAR Toscana, con richiesta di sospensiva, poi respinta, adducendo 4 motivazioni: che l'olio di palma (combustibile delle centrali) non fosse conforme con gli obiettivi della legge regionale 2015 e con il piano d'indirizzo energetico regionale approvato dalla regione Toscana, che la decisione di rilasciare ugualmente le concessioni senza la valutazione dell'idoneità degli impianti di abbattimento degli NOx fatta dalla conferenza di servizi non fosse conforme, che ci fosse un difetto di istruttoria sull'utilizzo del combustibile, che non si fosse verificata l'effettiva rimozione della copertura in cemento amianto e la mancata presentazione della documentazione sull'impatto acustico;
          in seguito, da una verifica dei vigili del fuoco, emergeva che i sei impianti realizzati non erano conformi per il rilascio del certificato di prevenzione incendi, e un impianto per l'abbattimento degli NOx non era a norma;
          a seguito del verbale dei vigili del fuoco le società presentavano delle varianti sostanziali al progetto precedentemente approvato, proponendo un nuovo vano separato per ogni impianto, in modo da separare l'abbattimento degli NOx dal deposito di olio e superare la contestazione dei vigili del fuoco;
          la provincia di Arezzo approvava agevolmente anche queste modifiche sostanziali con ulteriori sei deliberazioni di giunta, nonostante in un primo momento, secondo il comune la realizzazione del nuovo vano andava in contrasto con le previsioni del regolamento urbanistico per eccessivo aumento di superficie utile coperta;
          i ricorrenti, tuttavia, proponevano ulteriori motivi aggiuntivi al ricorso avverso le nuove delibere della giunta provinciale chiedendo l'annullamento dei titoli abilitativi per le motivazioni assolutamente generiche secondo le quali le nuove costruzioni non dovevano considerarsi aumento di SUC e per la estrema superficialità dell'istruttoria che aveva comportato per ben 3 volte la riapertura della conferenza di servizi;
          le società proponenti, in seguito, mancavano l'appuntamento del 19 gennaio 2012 quale giorno per la messa in esercizio degli impianti e, nonostante le autorizzazioni fossero pronte, da ritirare, facevano decadere i termini, salvo richiedere poi la riammissione nei termini, giustificando i ritardi per causa di altri interventi richiesti dai vigili del fuoco, per la cessione dell'impianto della New Energy ad un'altra società subentrante, la Elcal e per problemi intercorsi con i contratti dei fornitori dell'olio di colza, nel frattempo divenuto nuovo combustibile delle centrali;
          l'amministrazione provinciale, ad avviso dell'interrogante ancora accomodante, con determina dirigenziale n.  62/EC2 del 24 settembre 2014 riammetteva nei termini le società proponenti per gli aspetti riguardanti le emissioni in atmosfera, concedendo alle stesse un termine di 150 giorni per procedere all'avvio dell'esercizio degli impianti, senza modificare quant'altro stabilito con le precedenti delibere;
          in data 24 novembre 2014 i ricorrenti presentavano, per la quarta volta, motivi aggiuntivi al ricorso contro la realizzazione delle centrali, e in particolare avverso l'ultima deliberazione pubblicata senza una adeguata istruttoria circa il cambio di combustibile, la riammissione nei termini dopo la scadenza degli stessi, la mancata istruttoria circa la congruità degli impianti al mutato contesto normativo e l'approssimazione con la quale l'amministrazione provinciale aveva sempre esaminato le istanze delle contro-interessate;
          la provincia, nonostante gli ulteriori motivi aggiunti dai ricorrenti, rilasciava ulteriore delibera n.  29 EC del 19 febbraio 2015 di approvazione delle modifiche richieste dalle società interessate, di utilizzo di olio di colza in luogo dell'olio di palma, stabilendo ulteriori prescrizioni alle società proponenti;
          in data 12 agosto 2015, l'ARPAT comunicava alla provincia di Arezzo che, a seguito dei controlli effettuati dalla PM e fatta salva la verifica del GSE, non risultava eseguita correttamente la messa in esercizio entro i 120 giorni dal rilascio dei provvedimenti, proponendo di effettuare le procedure per la revoca che, ad oggi, la provincia ha ritenuto di non effettuare;
          tutte le violazioni segnalate dai ricorrenti in ben quattro interventi al TAR, come si legge in un articolo de L'Etruria si sono rivelate reali, così come le mancate scadenze sono state confermate da tutti gli enti interpellati (Arpat, GSE);
          questa tipologia di progetti, pensati a solo scopo speculativo, senza un reale autoconsumo e recupero di calore (basti pensare che ad ogni megawatt elettrico verranno dispersi in atmosfera oltre 2 megawatt termici) è ormai ampiamente contestata in Italia, oltre che non più concessa visto che, nel frattempo, la normativa ha subito importanti modifiche con l'imposizione di regole più stringenti per la tutela della salute pubblica e la diminuzione dell'entità degli incentivi;
          attualmente non si ha conferma circa la messa in funzione dell'impianto, che dopo l'ultima concessione provinciale, era slittata al 9 dicembre 2015; pertanto i sei motori, salvo qualche breve prova, rimangono pressoché fermi da sei anni e sottoposti, insieme a tutte le strutture, ad inevitabile deterioramento;
          senza entrare nel merito giudiziario di una vicenda lunga e articolata, l'interrogante evidenzia una eccessiva approssimazione nel procedimento di istruttoria degli uffici provinciali competenti  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e non ritenga opportuno, in previsione del trasferimento delle competenze dalle province alle regioni dettato dalla legge n.  56 del 2014, assumere iniziative normative affinché sia operata e sta una rivalutazione della fattibilità e congruità dei progetti, come quello citato in premessa, autorizzati ma non ancora messi in esercizio, nell'ottica di un loro riadattamento all'attuale normativa che pone maggior cautela quando trattasi di impianti che incidono sulla tutela della salute e dell'ambiente.
(4-11490)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


      ALBERTI, BASILIO, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'Automobile club d'Italia «ACI» è una federazione di 106 Automobile Club provinciali, un ente pubblico, preposto a servizi di pubblico interesse a favore dei cittadini e delle amministrazioni, tra cui la gestione del pubblico registro automobilistico, la gestione dell'imposta provinciale di trascrizione, la gestione delle tasse automobilistiche regionali;
          i Ministeri dell'interno, dell'economia e delle finanze, della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti, con un loro delegato fanno parte dell'assemblea ACI;
          nel corso del 2015 l'assemblea dei soci dell'ACI Brescia, ha espresso voto contrario all'approvazione del bilancio d'esercizio, anche a seguito di difetti di informazione, contestato da taluni soci, circa la corretta e prudente gestione dell'Ente, con particolare riguardo al perseguimento dei fini istituzionali attraverso una società di capitali interamente partecipata;
          in caso di mancata approvazione del bilancio di esercizio da parte dell'assemblea dei soci, è previsto lo scioglimento ed il commissariamento degli organi dell'Automobil club, da parte del Ministro vigilante;
          in totale assenza di bilancio approvato, l'Automobil club di Brescia avrebbe proseguito nella gestione ordinaria e straordinaria, nominando amministratori della società controllata 1000 Miglia srl;
          il nuovo presidente di 1000 Miglia Srl, Aldo Bonomi e il consigliere, Roberto Gaburri, sono entrambi rinviati a giudizio nel processo penale nel quale Automobile Club Brescia si è costituita parte civile;
          nel 2010, l'allora presidente dell'Automobil Club di Brescia Aldo Bonomi, benché sprovvisto di delega, ha sottoscritto un accordo con una società privata (gruppo Chopard), a cui veniva concesso in uso senza gara ad evidenza pubblica, il marchio «1000 miglia» di proprietà di AC Brescia;
          recentemente il TAR Lombardia-Sezione di Brescia ha ordinato al consiglio direttivo di Automobil Club di Brescia di fornire ai soci copia del contratto sottoscritto sin dal 2010 tra Automobil Club di Brescia e la sua controllata Automobil Club di Brescia Service S.r.l. e il gruppo Chopard in forza del quale il soggetto privato, ha ottenuto la concessione dell'uso del marchio;
          il consiglio direttivo ha fornito una copia del contratto priva di tutte le informazioni economiche rilevanti, così disattendendo lo scopo del provvedimento dell'autorità giudiziaria;
          sempre nel 2010 viene costituita la società controllata da Automobil Club di Brescia denominata «1000 Miglia S.r.l.,» che a giudizio degli interroganti costituisce un'inutile struttura che di fatto genera una duplicazione di incarichi e costi per l'ente;
          a causa del dissesto economico finanziario provocato dal direttivo presieduto da Aldo Bonomi, l'Automobil Club di Brescia viene commissariato nel 2012 dal Ministero vigilante  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          se il Governo non ritenga necessario intervenire e quali iniziative abbia assunto o intenda intraprendere in conseguenza della mancata approvazione del bilancio di esercizio da parte dell'assemblea dei soci dell'Automobil Club di Brescia;
          se il Governo non ritenga necessario intervenire, per quanto di competenza, al fine di controllare e verificare l'utilità e la legittimità dell'istituzione di una società controllata come «1000 miglia s.r.l.» ed il possibile danno dipendente dalla sua costituzione e da quella che agli interroganti appare una opaca gestione;
          se il Governo non ritenga quantomeno inopportuna la nomina, nell'amministrazione della società controllata 1000 miglia Srl, di persone rinviate a giudizio nel processo penale nel quale l'Automobil Club Brescia si è costituito parte civile. (4-11500)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DE LORENZIS. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) è un'associazione sorta a fini militari e di assistenza sanitaria sin dal XIV secolo. La storia del Sovrano Militare Ordine di Malta è legata alle crociate ed alle lotte contro i turchi. Inizialmente dotata di una vera e propria sovranità territoriale su Rodi e Malta – che venne successivamente persa alla fine del XVIII secolo –, essa ha proseguito la sua attività nei settore dell'assistenza sanitaria, trasferendo la sua sede a Roma e mantenendo rapporti diplomatici con molti Stati (l'Ordine di Malta ha anche ottenuto la qualifica di osservatore alle Nazioni unite). L'esigenza di preservare la soggettività giuridica internazionale di tale ente, anche dopo la perdita della sovranità territoriale, è stata giustificata dall'esigenza di garantire il perseguimento dei suoi fini istituzionali (secondo caratteristiche e privilegi in linea di principio assimilabili a quelli riconosciuti agli Stati), in quanto considerati essenziali dalla comunità internazionale, sia pure nei limiti delle sue più circoscritte esigenze funzionali;
          dal sito internet http://www.targheitaliane.it si apprende che la targa SMOM è riservata ai veicoli dell'Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare ordine di Malta (ACISMOM). I veicoli dei vertici del Sovrano militare ordine di Malta circolano invece con targa diplomatica italiana, con sigla diplomatica «XA», essendo il sovrano militare ordine di Malta un soggetto di diritto internazionale. Le targhe riportano la sigla «SMOM» in rosso seguita da una numerazione a due cifre attualmente in nero, ma precedentemente in rosso, e sono emesse dal Ministero della difesa italiano;
          da fonti stampa reperibili direttamente dal sito web dell'Ordine di Malta http://www.orderofmalta.int si apprende che nel 2005 è stata concessa da parte dello Stato italiano l'autorizzazione alla circolazione per le speciali targhe automobilistiche gratuite riservate alle ambulanze dell'Ordine  –:
          quali siano i motivi per cui l'Italia rilascia targhe SMOM all'Associazione dei cavalieri italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta e quali siano i criteri, le caratteristiche e le prerogative che ne determinano il rilascio da parte del Ministero della difesa invece che dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
          quali siano le condizioni economiche alle quali l'Italia rilascia targhe per lo SMOM;
          quanti siano i veicoli con targhe SMOM attualmente circolanti sul suolo italiano e a quale tipologia di trasporto siano adibiti e se tra essi vi siano anche veicoli non impiegati per scopo diplomatico, militare o sanitario;
          se tali veicoli godano di qualche privilegio o condizione di riguardo. (5-07253)

Interrogazioni a risposta scritta:


      LUIGI DI MAIO e RIZZO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Gianluca Danise, 43 anni, è un primo maresciallo dell'Aeronautica militare cui è stata riconosciuta la causa di servizio con invalidità del 100 per cento, poiché dal 2005 sta combattendo, come altri centinaia di colleghi, con un cancro causato dall'esposizione all'uranio impoverito e, nonostante la sua collocazione in congedo da e per causa di servizio, non riceveva alcun tipo di trattamento pensionistico;
          solo dopo un deciso intervento sui vertici dell'INPS, a novembre 2015 veniva corrisposto un assegno pensionistico che però risultava essere errato nel calcolo ed insufficiente anche a sopportare le enormi spese che il maresciallo, padre di una bambina di un anno, è costretto a sostenere per potersi curare nelle strutture ospedaliere di Verona, dove ha iniziato la sua battaglia;
          il maresciallo Danise, oltre ad essere stato impiegato in numerosi teatri operativi, è stato anche parte attiva della squadra composta da sole 2 persone che riuscirono a ricomporre ed inviare alle rispettive famiglie tutte le vittime di Nassirja;
          all'inizio dell'estate del 2014, l'attuale Ministro della difesa, Roberta Pinotti, sensibilizzata dal tremendo racconto pubblicato sulla stampa, interviene personalmente telefonando al militare e rassicurandolo sull'assistenza che, da quel momento, avrebbe avuto dal dicastero per poter affrontare senza problemi la malattia;
          in effetti non risulta esservi stato alcun seguito alla telefonata ma, proprio qualche giorno fa, il TAR del Lazio si è visto ignorare la seconda richiesta di documentazione fatta al Ministero della difesa per poter aggiornare la posizione del militare cui è stato negato ogni tipo di beneficio previsto per le vittime del dovere, nonostante il riconoscimento della causa di servizio;
          il procedimento, vista l'inadempienza del Ministero della difesa è nuovamente slittato al gennaio 2016 nonostante il TAR stesso abbia più volte sollecitato il Ministero alla luce della gravità della situazione;
          secondo quanto segnalato agli interroganti, l'INPS, da quando ha preso in carico la gestione delle pensioni militari dall'INPDAP, non adempie nei tempi previsti alla corresponsione delle pensioni corrette ai militari, almeno con riferimento a quelli di medio/basso grado;
          attualmente, risultano essere migliaia i procedimenti di calcolo della pensione corretta ai militari posti in congedo per causa di servizio e non solo;
          l'INPS, nel caso del maresciallo Gianluca Danise, non solo non ha saputo calcolare correttamente l'assegno pensionistico negando al maresciallo stesso la pensione privilegiata ordinaria e i benefici stipendiali di cui agli articoli 117 e 120 del regio decreto 31 dicembre 1928, n.  3458 previsti per i militari invalidi di guerra ed estesi al personale invalido per servizio, ai sensi della legge 15 luglio 1950, n.  539, non ha liquidato il secondo bonifico del TFR – secondo quanto il maresciallo riferisce di aver appreso telefonicamente dal call center – «per mancanza di fondi» e non ha corrisposto l'interdipendenza della causa di servizio (che giace ancora presso la commissione di via Casilina che risulta essere in arretrato di 2 anni rispetto alle pratiche da esaminare), ma non ha neanche erogato gli assegni famigliari, ossia l'assegno da corrispondere per la bambina che ha un anno. È, invece, corrisposto un assegno per un figlio di circa 3 anni: a tal proposito, l'INPS avrebbe dichiarato di non ritenere valido il certifica o di nascita della bambina inviato dal maresciallo;
          di fatto l'assegno che percepisce attualmente il maresciallo Danise è circa il 50 per cento rispetto a quanto avrebbe diritto a percepire;
          nonostante l'errato calcolo da parte dell'INPS della pensione del maresciallo, che ha determinato la necessità da parte dello stesso di ricorrere ad amici e parenti per poter far fronte alle spese relative alle terapie cui è sottoposto, (alcune delle quali totalmente a suo carico), è di qualche giorno fa la richiesta da parte dell'INPS della restituzione di una parte di somme ricevute perché il Ministero della difesa non ha provveduto a fornire parte della documentazione necessaria;
          per questa restituzione, incurante dell'attuale posizione sanitaria del maresciallo, l'INPS ha dato allo stesso termine perentorio di 45 giorni per restituire il tutto  –:
          se il Ministro della difesa sia a conoscenza della situazione del maresciallo Danise e, visto che aveva forno mandato ai suoi collaborati di seguire la vicenda, se sia al corrente che nulla è stato fatto per il maresciallo;
          se il Ministro della difesa sia al corrente del fatto che il Ministero della difesa, oltre ad essere inadempiente nei confronti del TAR, non sia in grado di fornire, almeno per i militari fino al grado di tenente colonnello, tutta la documentazione necessaria all'INPS per determinare in modo esatto il calcolo della pensione;
          se il Ministro della difesa intenda intervenire presso i suoi uffici al fine di fornire tutta la documentazione richiesta dal TAR in merito alla posizione del maresciallo Danise e verificare le responsabilità di tale inaccettabile condotta del dicastero nell'ignorare richieste degli organi di giustizia;
          se i Ministri interrogati non intendano intervenire presso l'INPS e: per una verifica della gestione delle pensioni per i militari posti in congedo per limiti di età o per motivi di servizio;
          se il Ministro della difesa sia a conoscenza del fatto che un militare posto in congedo per motivi di servizio sia costretto ad aspettare dai 5 ai 10 anni per avere la sua pensione correttamente calcolata;
          come il Governo intenda comportarsi in relazione ai militari affetti da patologie riconducibili all'uranio impoverito visto che, ad oggi, tutte le controversie amministrative condotte dall'Osservatorio militare si sono concluse con condanne pesantissime a carico del Ministero della difesa ormai passate in giudicato;
          quanti siano i militari posti in congedo in attesa del calcolo corretto dell'assegno pensionistico e quanti di questi, affetti da patologie simili a quelle del maresciallo Danise, siano deceduti senza conoscere l'assegno pensionistico corretto lasciato ai propri eredi. (4-11495)


      RIZZO, FRUSONE, BASILIO, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          i lavoratori italiani delle basi militari degli USA nel territorio nazionale operano per il settore difesa del Governo italiano in virtù di accordi bilaterali Italia-USA (ancora in parte secretati) chiamati SOFA Agreement (o SHELL Agreement) e sono assunti direttamente dalle Forze armate degli USA. A differenza di altri Paesi europei come me la Spagna, Grecia e Germania, dove i lavoratori locali sono assunti dal Governo di quel Paese e prestati all'amministrazione USA, in Italia ogni installazione militare degli USA opera con una propria figura giuridica;
          questi lavoratori che svolgono una funzione pubblica a contratto privato (con tanto di contratto collettivo nazionale di lavoro dedicato) si trovano a lavorare in un contesto che appare agli interroganti in contrasto con i diritti stabiliti l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge n.  300, 1970). Ad esempio, il loro datore di lavoro non è pignorabile, non godono degli sgravi sui premi produzione e non hanno la libertà di scegliere il sindacato al quale affiliarsi;
          questi lavoratori (circa 5000) operano per un ente che viene rappresentato nelle tematiche contrattuali da una commissione americana denominata JCPC (Joint Civilian Personnel Committee) avente come controparte solo due sigle sindacali (leggasi l'articolo 2 del testo «normative per il personale civile non statunitense delle Forze armate U.S.A. in Italia del 1o novembre 2013);
          tali problematiche erano già state evidenziate in uno studio dell'istituto degli affari internazionali (IAI) (Le Basi Americane in Italia – Problemi Aperti; n.  70, giugno 2007); nella relazione si evidenzia: «...occorrerebbe una disamina delle fattispecie disciplinate, specialmente in relazione al reparto della giurisdizione penale sulle forze armate dei Paesi NATO presenti in Italia, alla esenzione dalla giurisdizione civile e alla disciplina dei rapporti di lavoro instaurati con la manodopera locale..»;
          un lavoratore di 50 anni, Carmelo Cocuzza, nel lontano agosto del 2000 dopo 13 anni di servizio è stato licenziato ingiustamente, così come sancito dalla sentenza 4983/14 della Corte di cassazione, sezione lavoro, dal posto che occupava presso il Navy Exchange di Sigonella come lavoratore civile;
          nel 2004 ottenne la prima sentenza di reintegra dal tribunale del lavoro di Catania che, però, non trovò mai applicazione (a partire dai sindacati e poi il prefetto di Catania, portandolo al punto di doversi incatenare per 2 settimane davanti alla base di Sigonella). Con molta pazienza e lottando con la vita per poter vivere durante questi 14 anni finalmente la Corte d'appello sancì il reintegro retroattivo applicando la tutela reale al lavoratore (Sentenza n.  812 del 07 ottobre 2010), poi confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza già citata;
          i lavoratori civili della US NAVY presso Sigonella sono costretti a confrontarsi con un datore di lavoro atipico, in quanto, a distanza di un anno e mezzo dalla sentenza definitiva, non risulterebbe agli interroganti accolta la sentenza sancita dalla Corte di cassazione con il reintegro del lavoratore, ingiustamente licenziato;
          tale situazione creatasi per la mancanza di apertura di un dialogo da parte dell'amministrazione americana ha indotto uno sciopero di protesta da parte del personale civile della US NAVY di Sigonella in data 27 novembre 2015, che, quantomeno, ha permesso di portare all'attenzione del viceprefetto di Catania, dottoressa Libertino, la cosiddetta vicenda «vertenza Sigonella»;
          il primo firmatario del presente atto portò già all'attenzione del Ministero le problematiche legate alla situazione del personale civile della US Navy con atto di sindacato ispettivo n.  4-05335 del 1o luglio 2014, sollecitato l'11 settembre e 12 novembre 2015, a cui non è mai stata data risposta  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intenda avviare affinché anche l'autorità americana presente a Sigonella applichi quanto sancito con sentenza della Corte di cassazione n.  4983/14;
          quali iniziative siano state assunte dal Governo nei confronti delle autorità militari delle basi degli Usa in Italia affinché siano rispettati i diritti sindacali dei lavoratori italiani ivi impiegati e solennemente sanciti dalla Costituzione italiana e dalla legge n.  300 del 1970 (statuto dei lavoratori). (4-11496)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BUSINAROLO, ALBERTI, VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della puntata della trasmissione televisiva «Report», in onda il 22 novembre 2015 su Rai Tre, è stato mandato in onda un servizio riguardante il caso della cooperativa GSG, acronimo di Gold Sweet Gold, con sede a Verona che, da qualche anno, organizza alcuni incontri, presso diversi alberghi sparsi sul territorio nazionale, con potenziali clienti per informarli sulla convenienza di investire i risparmi in lingottini d'oro di Auvesta, società con sede in Germania, precisamente a Monaco di Baviera, di cui la GSG è partner, per tenerli al sicuro, come recita una locandina pubblicitaria esposta nello specifico durante un incontro svoltosi in un albergo nel Padovano: «... Vuoi mettere i tuoi risparmi al sicuro dalle crisi finanziarie, dalle tasse, dal traballamento delle banche ? Trasformali in lingottini d'oro e noi li metteremo in un caveau non aggredibile da Equitalia. Sala conferenze ore 19»;
          per accedere alla cooperativa è necessario aderire al suo piano di risparmio: in pratica, a seconda delle proprie disponibilità, il risparmiatore investe dai 5 mila ai 60 mila euro all'anno, versandoli sul conto della Banca di Trento e Bolzano del Gruppo Intesa, da cui poi la società Auvesta preleva il denaro e provvede a trasferirlo in Germania per trasformarlo in lingottini d'oro, custoditi presso un caveau, al riparo dalla tassazione italiana e dalla guardia di finanza;
          secondo l'inchiesta di «Report», la società Auvesta, ad oggi, avrebbe già accumulato decine di milioni tra i risparmiatori provenienti da tutta Italia, che effettuano le operazioni di investimento esclusivamente in via telematica;
          al fine di accertare la situazione l'inviato di «Report» si è poi recato in Svizzera, nel deposito doganale di Embrach, dove dovrebbero essere custoditi i lingotti di Auvesta, ma, in base ad alcuni riscontri, è risultato che il caveau di Auvesta non è mai esistito;
          l'inviato ha poi contattato, per chiedere spiegazioni in merito, l'ideatore dell'intero sistema di investimento, signor Richard Schoepf, il quale ha evidenziato come dal mese di aprile 2015, sia stato fatto tutto uno stoccaggio ed un cambiamento del sistema;
          è stato rintracciato anche il signor Andrea Filipponi, amministratore unico della cooperativa, che è risultato essere impiegato in una carpenteria e che ha fornito risposte abbastanza vaghe sull'argomento  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, di propria competenza, intenda porre in essere al fine di accertare, anche sul piano fiscale, la conformità alla normativa e la trasparenza del sistema di investimenti sopra citato, nonché di tutelare tutti quei risparmiatori che hanno investito i propri risparmi secondo il piano di investimenti della cooperativa GSG e della società tedesca Auvesta.
(5-07259)

Interrogazione a risposta scritta:


      D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 22 luglio 2004 è nato a Roma il Fondo di garanzia dei portatori di titoli obbligazionari emessi da banche appartenenti al Credito cooperativo;
          il Fondo – costituito su base consortile volontaria tra le banche di credito cooperativo e casse rurali italiane – è operativo dal 1o gennaio 2005 ed ha l'obiettivo di tutelare il diritto di credito degli obbligazionisti delle stesse aziende;
          l'acquisto di «Obbligazioni Garantite» (che sono contrassegnate da un apposito marchio e dalla codifica ISIN) consente ai risparmiatori clienti delle banche di credito cooperativo – senza alcun aggravio di costo – di ottenere garanzia del loro rimborso in caso di insolvenza della banca emittente;
          a partire dall'adesione di ciascuna banca di credito cooperativo al Fondo, nei regolamenti dei prestiti obbligazionari «garantiti», è difatti inserita una clausola contenente, a favore degli obbligazionisti, il diritto al pagamento, da parte del consorzio e, in caso di insolvenza dell'emittente, dell'ammontare sottoscritto entro il limite massimo previsto di 103.291,38 euro;
          analogamente a quanto previsto dal Fondo di garanzia dei depositanti, la tutela assume un carattere soggettivo, e quindi riguarda il portatore dei titoli, entro il limite massimo di 103.291,38, euro calcolato sull'intero ammontare dei titoli posseduti, indipendentemente dalle emissioni dalle quali singolarmente derivano e sempre che risulti soddisfatto il requisito del possesso ininterrotto per un periodo di almeno tre mesi;
          del tutto irrilevante è la circostanza che i titoli siano stati sottoscritti all'atto dell'emissione del prestito o siano stati acquistati successivamente, potendo questa circostanza rilevare soltanto per la determinazione del periodo di possesso utile ai fini del godimento della garanzia;
          tecnicamente, alle banche aderenti al consorzio non viene chiesto di versare somme, ma di tenerle a disposizione in caso di necessità;
          tali problematiche hanno interessato diversi istituti bancarie e sono ricadute maggiormente sui piccoli correntisti sottoscrittori di obbligazioni dei medesimi istituti  –:
          se si intenda valutare l'eventualità di assumere iniziative normative volte a introdurre obbligatoriamente tale sistema di tutela per gli obbligazionisti delle banche di credito cooperativo anche agli altri istituti di credito. (4-11501)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      NIZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 17 dicembre 2015 un aereo di linea della Compagnia Meridiana partito alle ore 9,28 dall'aeroporto Fontanarossa di Catania e diretto a Milano Linate, ha dovuto compiere un atterraggio di emergenza dopo aver perso una delle ruote dei carrelli durante la fase di decollo;
          la ruota in questione è caduta sulla spiaggia della Plaia di Catania senza aver procurato danni a persone e cose, anche se molta è stata la paura tra i novanta passeggeri a bordo del velivolo;
          a causa di questo incidente l'aeroporto di Fontanarossa è rimasto chiuso per mezz'ora e due voli, uno della Ryanair proveniente da Roma e l'altro della Blu Air proveniente da Torino, sono stati dirottati nello scalo palermitano;
          l'Ente nazionale per l'aviazione civile ha disposto un'ispezione per capire le cause che hanno provocato il guasto tecnico che ha generato il distacco della ruota posteriore esterna dell'aeromobile della Meridiana;
          dopo l'incidente la Compagnia Meridiana ha dovuto disporre le riprotezioni su altri voli: 78 passeggeri sono partiti per Milano Linate con il primo volo disponibile di un altro vettore alle 12,15, mentre gli altri alle ore 15  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere affinché siano chiarite in tempi brevi le cause e le responsabilità che hanno determinato l'incidente avvenuto all'aeroporto di Catania, allo scopo di scongiurare che possano verificarsi incidenti similari, soprattutto tenendo conto che solo per un caso fortuito la ruota è caduta su una spiaggia deserta, evitando il coinvolgimento di persone o danni a strutture e cose. (5-07251)


      DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del 27 marzo 1998 del Ministero dell'ambiente, in tema di «mobilità sostenibile nelle aree urbane», si disponeva, all'articolo 3, che le imprese e gli enti pubblici con singole unità locali con più di 300 dipendenti e le imprese con complessivamente più di 800 addetti ubicate nei comuni individuati ai sensi dell'articolo 2, primo comma, dello stesso decreto, adottassero un piano degli spostamenti casa-lavoro del proprio personale dipendente. A tal fine, si istituiva la figura del «responsabile della mobilità aziendale» per attuare la riduzione dell'uso del mezzo di trasporto privato individuale ed una migliore organizzazione degli orari per limitare la congestione del traffico;
          in ossequio al citato dettato normativo ed in ottemperanza ai previsti obiettivi di prevenzione e riduzione delle emissioni inquinanti, il competente responsabile della mobilità aziendale, cosiddetto mobility manager, ha nel tempo potuto provvedere alla stipula di convenzioni con le società di trasporto con lo scopo di supportare e incoraggiare il cambiamento negli atteggiamenti e nel comportamento riguardo alle modalità di trasporto alternative. Sovente dette convenzioni consentono di acquistare con agevolazioni abbonamenti – bus, metro, Metrebus – per i dipendenti dell'azienda di appartenenza;
          l'articolo 1, comma 629, della legge di stabilità 2015, n.  190 del 23 dicembre 2014, ha introdotto il cosiddetto meccanismo di split payment che rende obbligatorio per l'azienda il pagamento dell'imposta direttamente all'erario. Invero, a seguito di tali modifiche, l'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n.  633, recante la disciplina delle operazioni effettuate nei confronti di enti pubblici, prevede che per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell'articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d'imposta ai sensi delle disposizioni in materia d'imposta sul valore aggiunto, «l'imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze»;
          si sta verificando, tuttavia, che numerose convenzioni, stipulate nei termini di cui sopra, risultino difformi dall'attuale prescrizione normativa avendo fissato un differente meccanismo che non prevede il pagamento diretto dell'imposta dall'azienda all'erario. Di qui la necessità di un doveroso adeguamento delle convenzioni stesse alle prescrizioni normative;
          a titolo esemplificativo, queste criticità stanno coinvolgendo una azienda sanitaria locale di Roma e l'ATAC che dal 2011 hanno stipulato una convenzione che permette di acquistare con agevolazioni gli abbonamenti Metrebus annuali per i dipendenti che, tuttavia, dopo la previsione dello split payment, risulta non più conforme al dettato normativo. Emerge, pertanto, con evidenza la molteplicità dei casi interessati dalle descritte criticità;
          si delinea, in tal modo, una situazione che rischia di porre in contrasto gli obiettivi di cui al citato decreto ministeriale e quelli di cui alla citata legge di stabilità, provocando un pregiudizio sia agli interessi pubblici di prevenzione e riduzione delle emissioni inquinanti da raggiungere mediante modalità di trasporto alternative, sia alla lotta all'evasione  –:
          se il Governo sia a conoscenza delle problematiche descritte in premessa e se intenda adottare iniziative normative al fine di evitare dette criticità per il migliore contemperamento fra tutela del diritto alla mobilità, anche mediante modalità di trasporto alternative, e concreta ed efficace lotta all'evasione. (5-07252)


      DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da fonti stampa si apprende che nell'ultimo anno vi sono stati dieci incidenti sulla strada statale 379 in prossimità della masseria «La Macina» a Fasano in provincia di Brindisi;
          l'ultimo terribile incidente avvenuto in data 12 dicembre 2015 ha causato il decesso di 5 persone coinvolte in un sinistro stradale provocato dall'invasione di carreggiata di un tir che proveniva in direzione opposta;
          la strada statale in questione, funzionale al collegamento tra due città come Bari e Brindisi lungo la linea adriatica, è trafficata da un notevole numero vetture tra cui vi sono molti tir che spesso vengono coinvolti o sono causa dei sinistri stradali  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative utili intenda adottare al fine di rendere sicura la strada, ovvero limitare la percorrenza dei Tir e ridurre il traffico dei mezzi pesanti a favore del trasporto merci su ferrovia, nell'area in questione;
          quali iniziative, in generale, il Ministro intenda adottare volte a migliorare la sicurezza stradale nelle arterie di competenza statale in tutta la regione Puglia e su tutto il territorio nazionale. (5-07254)


      DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 23 febbraio 2006 il Ministro delle attività produttive, di concerto con quello dell'ambiente e su istanza di una società privata, ha concesso per decreto l'autorizzazione a realizzare un impianto industriale offshore galleggiante di rigassificazione di GNL (gas naturale liquefatto), permanentemente, ancorato al fondo marino e collegato tramite gasdotto alla rete di distribuzione in terraferma, localizzato in un «sito» al largo della costa toscana, tra Livorno e Pisa, al confine delle acque territoriali italiane;
          il terminale galleggiante FSRU (floating storage and regasification unit) «Toscana» è un'opera di una tipologia unica, mai realizzata prima anche per la nota pericolosità delle operazioni di trasbordo in mare di combustibili infiammabili di questo tipo;
          nell'area del rigassificatore, posto a circa 14,5 miglia di distanza dal porto di Livorno, in conformità a quanto stabilito dall'ordinanza n.  137/2013 della Capitaneria di porto di Livorno, per motivi di sicurezza, sono stati posti vincoli di vario grado per la navigazione, con l'istituzione di tre aree – la zona di interdizione totale, di limitazione e di preavviso – in cui la navigazione, la sosta, l'ancoraggio, la pesca nonché qualunque altra attività di superficie o subacquea sono vietate, con conseguente danno per l'attività del porto, del turismo e dell'attività di pesca locale;
          il funzionamento del rigassificatore è notevolmente limitato dalla natura di quel tratto del mar Tirreno, peraltro soggetto a frequenti e forti mareggiate e il numero dei giorni in cui il rigassificatore potrebbe non essere in grado di operare sono inevitabilmente destinate ad aumentare, anche a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici;
          il terminale in questione non è ancora oggetto di un contratto definito e a lungo termine per la fornitura di gas, anche perché è piuttosto evidente per l'interrogante che nel Paese c’è una cospicua sovraccapacità di importazione di gas rispetto alla domanda, grazie anche alla crescita delle energie rinnovabili, che sempre di più allontana il Paese dalla dipendenza dalle forniture di combustibili fossili;
          premessa necessaria alla permanenza del rigassificatore offshore OLT risulta essere, in forza del parere favorevole alla compatibilità ambientale reso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, la presenza e la disponibilità di un «bacino di carenaggio di grandi dimensioni adatto per eseguire eventuali lavori da eseguire sullo scafo del terminale». Nella specie, si tratta del bacino di carenaggio del porto di Livorno le cui dimensioni e caratteristiche lo collocano fra i più grandi del Mediterraneo dal lontano 1975;
          a fondamento della citata previsione prescrittiva si pongono esigenze di sicurezza per il caso, a titolo esemplificativo, dell'apertura di una falla da collisione che potrebbe rivelarsi fatale se non vi fosse o non fosse funzionante un bacino di carenaggio delle dimensioni necessarie per effettuare gli eventuali lavori. Esigenze di sicurezza che non potrebbero essere neanche soddisfatte altrimenti, considerata la mancanza di un diverso bacino di carenaggio in grado di ospitare il terminale a largo delle coste livornesi-pisane;
          la disponibilità di un bacino di grandi dimensioni è altresì richiesto, ai fini della presenza del rigassificatore, dallo Studio di impatto ambientale, nella sintesi non tecnica, del 15 febbraio 2013, predisposto dalla stessa OLT;
          allo stato, tuttavia, risulta una grave dismissione del bacino di carenaggio livornese. Fino al 2007 si è infatti registrata un'elevata operatività del porto fino all'accordo di programma per lo sviluppo e la trasformazione urbanistica dell'ex cantiere navale Orlando e delle aree portuali limitrofe cui è seguito un sistematico comportamento omissivo di ciascun soggetto coinvolto, mancando dei necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni. Ne sono derivati la dismissione e il sostanziale abbandono del bacino di carenaggio che pertanto non risulta affatto funzionante;
          in una relazione peritale del 2008, resa nel corso di un procedimento penale sulla vicenda, relativa allo stato di conservazione ed efficienza del bacino grande di carenaggio di Livorno, il consulente tecnico del pubblico ministero ha avuto cura di rilevare che la manutenzione sia stata trascurata per lunghissimi anni, peraltro il degrado estremo a cui sono arrivati le strutture e gli impianti del Bacino appare imputabile soprattutto alla carente, se non del tutto cessata, opera di manutenzione maturata negli ultimi anni, che hanno portato il bacino da funzionante, sia pure con pecche dovute alla vetustà, alla completa inagibilità funzionale. Detto stato di dismissione per omessa manutenzione è confermato altresì dalla relazione della capitaneria di porto di Livorno del 2009, resa alla procura di Livorno;
          ne deriva che, con la conclamata dismissione del grande bacino in muratura, vengono ad essere minate secondo l'interrogante le previsioni di cui al decreto n.  01256 del 15 dicembre 2004 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni in merito al progetto per la realizzazione e l'esercizio del terminale galleggiante per la rigassificazione di gas naturale liquido;
          si aggiunga che a giugno 2015 è scaduto il termine ultimo per il ricevimento delle richieste di invito per la gestione del grande bacino e, nel valutare le offerte pervenute ed i successivi piani di impresa, l'autorità portuale di Livorno è chiamata ad affrontare le condizioni attuali del bacino grande, anche al fine del mantenimento del rigassificatore, di cui – come detto – il grande bacino è condizione necessaria, valorizzando all'uopo le capacità tecniche, imprenditoriali e finanziarie che gli aspiranti concessionari dovranno possedere per riattivare il grande bacino e per restituirgli la necessaria conformità, con ripercussioni favorevoli sui posti di lavoro per la ripresa delle riparazioni navali  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto indicato in premessa e quali iniziative intendano promuovere, nell'ambito delle rispettive competenze, per affrontare questa perdurante situazione di ambigua equivocità dovuta alla compresenza del grande bacino di carenaggio dismesso e non funzionante e del terminale offshore, anche al fine di riportare quest'ultimo nelle condizioni di sicurezza imposte per autorizzare il suo funzionamento;
          se i Ministri interrogati nei limiti delle rispettive competenze, intendano considerare l'ipotesi, acclarata la particolare fragilità e delicatezza ambientale del sito in questione e l'assenza delle garanzie di sicurezza, di sospendere l'efficacia dell'autorizzazione all'esercizio del terminale rigassificatore galleggiante FSRU Toscana e procedere ad un riesame dell'autorizzazione concessa. (5-07255)


      TULLO, ARLOTTI, PAGANI, GIACOBBE e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          i lavoratori marittimi possono svolgere la propria attività lavorativa sulle navi solo se in possesso del cosiddetto certificato di competenza disciplinato dalla convenzione internazionale STCW, recepita dalla direttiva 2008/106/CE, che indica nello specifico le competenze (coperta o macchina) cui sono abilitati e che in Italia vengono rilasciati e rinnovati dalle capitanerie di porto e hanno durata 5 anni;
          ai fini del rinnovo dei suddetti certificati, è necessario, tra le altre cose, che il marittimo dimostri una continuità nella competenza professionale attraverso il compimento di un periodo di navigazione per un lasso di tempo determinato ex lege;
          il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in maniera a giudizio degli interroganti del tutto arbitraria, ha manifestato per iscritto l'intenzione di non più riconoscere quale navigazione utile ai fini del rinnovo anche quella effettuata su navi da diporto per uso non commerciale (pleasure yacht);
          il Ministero, in particolare, fonda tale impostazione sulla circostanza che la Convenzione STCW escluda dal proprio ambito di applicazione gli yacht non destinati ad uso commerciale. Tale assunto a giudizio degli interroganti è errato in quanto ciò riguarda esclusivamente il rilascio dei certificati e non anche il rinnovo degli stessi;
          ciò è pacifico ed era stato precedentemente confermato anche dallo stesso Ministero con circolare n.  17 del 17 dicembre 2008, prot. n.  20963 che ha espressamente sancito che «il riconoscimento della navigazione da diporto è utile solo ai fini del rinnovo del certificato»;
          la stessa circolare sullo specifico tema della navigazione utile ai fini del rinnovo ha disposto, al punto D.2.2, che «è valida la navigazione effettuata su unità da diporto adibite a noleggio, sulle navi destinate a noleggio per finalità turistiche e del personale che svolge attività lavorativa su unità da diporto purché dimostrata con le apposite crew list timbrate dalle Autorità Marittime nazionali o estere nei vari luoghi d'approdo delle unità»;
          il decreto legislativo n.  136 del 2011, di recepimento della direttiva 2008/106/CE, al punto 2 dell'allegato IV, considera navigazione utile ai fini del rinnovo anche quella effettuata su pleasure yacht;
          gli emendamenti apportati alla Convenzione STCW dalla conferenza di Manila non hanno introdotto alcuna modifica alla questione de qua e, pertanto, anche gli emanandi provvedimenti di attuazione delle modifiche introdotte (di cui all'articolo 13.5 decreto legislativo n.  71 del 2015), non potranno che essere formulati considerando a tutti gli effetti valida, ai fini dei rinnovo, la navigazione effettuata su qualsiasi tipo di yacht, anche se non destinato a uso commerciale;
          soprattutto, la maggior parte degli altri ordinamenti giuridici (europei ed extra-europei) ha recepito le disposizioni inerenti la convenzione STCW, considerando a tutti gli effetti valida, ai fini del rinnovo, la navigazione effettuata su qualsiasi tipo di yacht;
          ulteriore aggravante del sistema italiano è che l'ordinamento italiano, ad oggi, non riconosce i corsi professionali che un marittimo italiano abbia seguito e completato all'estero, ed accetta unicamente quelli seguiti in Italia ai fini dell'aggiornamento dei suddetti certificati;
          le autorità marittime straniere, invece, riconoscono tutti i corsi (purché in ambito IMO – International maritime organization), seguiti dai propri marittimi, anche all'estero. E, poiché tali corsi si affiancano e in parte possono sostituire i mesi di imbarco ai fini del rinnovo dei certificati, ancora una volta i lavoratori italiani si trovano penalizzati rispetto ai colleghi di altre nazionalità;
          per tutti i sopra elencati motivi è in corso un'emorragia di marittimi italiani, costretti, a fronte di gravi sacrifici economici, a recarsi all'estero e sottoporsi a una certificazione di altra nazione  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere al fine di assicurare che anche ai marittimi italiani venga considerata utile qualsiasi tipo di navigazione, compresa quella effettuata su navi da diporto per uso non commerciale (pleasure yacht), ai fini del rinnovo dei propri certificati IMO STCW;
          se non ritenga il Ministro che i decreti attuativi del decreto legislativo n.  71 del 2015, di recepimento degli aggiornamenti di Manila della Convenzione STCW, non debbano prevedere espressamente che i corsi di aggiornamento, ovunque seguiti e completati (anche all'estero), siano ritenuti validi ai fini del rinnovo dei certificati STCW;
          se non ritenga il Ministro che la stesura dei suddetti decreti attuativi del decreto legislativo n.  71 del 2015 debba avvenire previa formale consultazione delle categorie interessate, avocando questo compito presso il suo gabinetto;
          se non ritenga, infine, opportuno verificare come mai, da anni, presso la direzione competente del Ministero prevalga quella che gli interroganti giudicano una politica di interpretazione unilaterale e restrittiva della normativa europea e internazionale, che penalizza i lavoratori italiani del mare. (5-07256)


      ARLOTTI, TULLO, PAGANI e GIACOBBE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          i lavoratori marittimi possono svolgere la propria attività lavorativa sulle navi solo se in possesso del cosiddetto certificato di competenza IMO STCW (anche solo CdC), che indica nello specifico le competenze (coperta o macchina) cui sono abilitati e che in Italia vengono rilasciati e rinnovati dalle capitanerie di porto e hanno durata 5 anni;
          i certificati trovano regolamentazione, a livello internazionale, nella convenzione STCW (Standard of training, certification and watchkeeping for seafarers), adottata a Londra il 7 luglio 1978;
          la convenzione STCW è stata da ultimo emendata in seno alla Conferenza diplomatica di Manila nel 2010 e che tali emendamenti sono entrati in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2012;
          la regola I/15, numero 2, della convenzione STCW stabilisce che fino al 1o gennaio 2017 uno Stato può continuare a rinnovare e prorogare certificati e convalide in conformità con le disposizioni della convenzione stessa che si applicavano immediatamente prima del 1o gennaio 2012 (« Until January 2017, a Party may continue to renew and revalidate certificates and endorsements in accordance with the provisions of the Convention which applied immediately prior to 1st January 2012»), data quest'ultima di entrata in vigore degli emendamenti di «Manila 2010»;
          a livello europeo gli emendamenti «Manila 2010» alla STCW sono stati recepiti dalla Direttiva 2012/35/UE;
          nel nostro ordinamento, in recepimento e attuazione della direttiva 2012/35/UE, è stato emanato il decreto legislativo 71 del 2015 che ha stabilito, all'articolo 28 commi 2 e 5, che «2. Fino al 1o gennaio 2017, le autorità competenti possono continuare a rinnovare e prorogare certificati di competenza e convalide conformemente ai requisiti previsti dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n.  136» e che «5. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 13, comma 5» – decreto attuativo – «continuano ad applicarsi le disposizioni dell'allegato IV al decreto legislativo 7 luglio 2011, n.  136...», disposizioni – vigenti – che prevedono la rinnovabilità dei certificati IMO STCW per 5 anni dalla loro scadenza. Il parere favorevole della IX Commissione della Camera dei deputati contiene già le osservazioni in questione;
          a oggi, le amministrazioni competenti non hanno ancora provveduto a emanare i decreti attuativi del decreto legislativo 71 del 2015 e, quindi, a recepire nell'ordinamento gli emendamenti «Manila 2010» alla Convenzione STCW e nelle more, alcune capitanerie di porto rinnovano i certificati solo fino al 1o gennaio 2017, senza peraltro precisare cosa accadrà una volta arrivati a quella scadenza, mentre altre non provvedono ai rinnovi;
          nelle risposte riguardanti il personale navigante interessato la struttura ministeriale sostiene infatti che fino all'adozione dei decreti di attuazione del decreto legislativo 71/2015, quindi di recepimento degli emendamenti «Manila 2010», il rinnovo dei titoli non possa andare oltre il termine del 1o gennaio 2017;
          tale assunto, estremamente punitivo per i marittimi italiani, si basa sull'interpretazione restrittiva dello stesso decreto legislativo 71 del 2015, in particolare dell'articolo 28, comma 2, dove il richiamo ai «requisiti» previgenti viene, a giudizio degli interroganti irragionevolmente inteso come «requisiti» tecnici tout-court, nel senso che non vi sarebbe un rinvio all'applicazione dell'intera normativa, che prevede, fra l'altro, la durata di 5 anni del rinnovo dei certificati;
          se il legislatore avesse voluto far riferimento ai soli requisiti tecnici stricto sensu, non avendo ancora espressamente e compiutamente normato sulla durata dell'efficacia del rinnovo, lo avrebbe dovuto fare espressamente, non potendo rimettersi la definizione di un elemento di tale importanza all'attività interpretativa delle autorità chiamate ad applicare la normativa;
          nel silenzio della legge, dunque, deve continuare ad applicarsi il decreto legislativo 136 del 2011 e, in particolare, il rinnovo di 5 anni dalla scadenza come previsto dall'articolo 7, comma 8 di detto decreto legislativo;
          questa situazione non consente ai marittimi italiani di lavorare e di avere certezze sul proprio futuro, spingendoli a lasciare il Paese per andare a conseguire analoghi certificati professionali STCW presso altri Stati, segnatamente in Gran Bretagna  –:
          quali iniziative il Ministro intenda promuovere al fine di assicurare anche ai marittimi italiani il rinnovo dei propri certificati per tutti i 5 anni di regolare durata e, più in generale, per riallineare la posizione dei lavoratori del mare italiani a quella dei colleghi europei, in particolare per quanto riguarda l'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo 71 del 2015, affinché non accada, come in passato, che l'Italia si trovi ad adottare una normativa di recepimento meno favorevole ai propri cittadini, secondo indirizzi non dettati dal legislatore, ma frutto di interpretazioni di un'amministrazione poco attenta alle esigenze del lavoro;
          se non ritenga il Ministro che la stesura dei suddetti decreti attuativi del decreto legislativo 71 del 2015 debba avvenire previa formale consultazione delle categorie interessate, avocando questo compito presso il suo gabinetto;
          se non ritenga, infine, opportuno verificare come mai, da anni, presso la direzione competente del Ministero prevalga quella che gli interroganti giudicano una politica di interpretazione unilaterale e restrittiva della normativa europea e internazionale, che penalizza i lavoratori italiani del mare. (5-07257)


      DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'ENAC istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell'aeroporto di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento 12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
          da osservazioni (così protocollate DVA-2015-0029021 del 19 novembre 2015) presentate nell'ambito di detta procedura emergerebbero omissioni e incompletezze in merito alla valutazione dell'impatto da volatili relativo alla realizzazione di detto aeroporto nella misura in cui l'estratto ENAC BRI 2 del 2014 attesterebbe che il rischio bird strike sarebbe rimasto similare all'anno precedente per la conformazione aeroportuale 05/23, indicando nelle motivazioni possibili cause, ma omettendo, secondo quanto previsto dall'Annex XIV ICAO, il riferimento agli inceneritori e alle discariche fonte di attrazione per i volatili, che, nel caso di specie, insistono a poche centinaia di metri dalla nuova pista; vi sarebbero inoltre la previsione a poche decine di metri dalla pista 12 di una vasca di laminazione di ben 600.000 metri cubi, oltre a 2 ulteriori canali con ristagno di acqua quale maggiore fonte di attrazione per l'avifauna, rispetto alla conformazione attuale, e la vicinanza del Parco Peri-Urbano rifugio per l'avifauna;
          anche sotto il profilo dei rumori, da dette osservazioni emergerebbe la necessità di procedere ad una valutazione di prelievi e di valorizzazioni puntuali inclusi picchi per un'analisi degli impatti cumulativi e non già solo delle medie giornaliere;
          la normativa ICAO impone di evitare l'amplificazione del danno da impatto per cui diviene fondamentale eseguire delle specifiche rilevazioni isofoniche in partenza ed arrivo per escludere la verificazione di danni aggiuntivi, posto che già talune misurazioni eseguite registrano picchi di rumore assai elevati;
          sempre dalla citate osservazioni, emergerebbero criticità per l'eventuale ricorso all'uso di semafori per regolamentare il traffico durante le partenze e gli arrivi, posto che le partenze e gli atterraggi avverranno ad una quota di 15/20 metri dalla sede stradale, perché vi sarebbe un'interruzione della circolazione urbana/extraurbana con le necessarie autorizzazioni e il rischio di incrementi di PM10 e NOx;
          in successive osservazioni del 21 dicembre 2015 si da conto di una relazione tecnica fatta eseguire dal Coordinamento dei comitati per la salute della piana di Prato e Pistoia che attesterebbe che le misurazioni compiute dal proponente non sarebbero conformi, e dunque contestabili, all'obbligo di valutazione degli effetti cumulativi imposto dal Ministero;
          dette osservazioni affermerebbero anche che per le valutazioni isofoniche non sarebbero stati coinvolti i soggetti interessati da interferenze del rumore;
          emergerebbero anche le preoccupazioni dell'UNESCO per le vibrazioni dovute agli scavi e transito di Tranvia/TAV in relazione al rischio di possibili danni al patrimonio dell'Unesco classificato come EVU – patrimonio di eccezionale valore universale –, oltre che per la mancanza di documentazione tecnico-scientifica per certificare percentuali di sorvolo della città, che si rileva anche nei pareri del nucleo unificato regionale di valutazione regionale toscano che esprimono parere negativo  –:
          se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per quanto di competenza, alla luce delle osservazioni di cui in premessa, possa fornire informazioni per garantire la sussistenza delle condizioni di sicurezza del volo per i cittadini trasportati e per quelli sorvolati;
          se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito della procedura in corso, intenda porre in essere specifiche iniziative, per quanto di competenza a tutela dell'ambiente anche dando seguito alle integrazioni e alle specifiche richieste formulate nelle osservazioni richiamate in premessa in merito all'analisi dell'impatto da volatili, a quella degli impatti cumulativi per le rilevazioni isofoniche e alla valutazione delle criticità derivanti dal ricorso all'uso di semafori per regolamentare il traffico. (5-07261)

Interrogazioni a risposta scritta:


      D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          tramite gli organi di informazione si è appreso che il presidente delle Ferrovie Sud-est ha inviato una relazione al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nella quale ha evidenziato la disastrosa situazione in cui versa l'azienda che gestisce la più importante rete ferroviaria privata d'Italia  –:
          quali iniziative si intendano porre in essere alla luce di quanto appreso tramite la citata relazione. (4-11493)


      PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 78 del codice della strada dispone che il montaggio e lo smontaggio del gancio traino prevede un aggiornamento della carta di circolazione, dopo aver superato visita e prova di collaudo gancio traino presso la motorizzazione civile;
          secondo le procedure in essere sono previsti seguenti passaggi burocratici:
              domanda redatta sul modello TT2119 disponibile presso lo sportello informazioni compilato dal proprietario del veicolo;
              dichiarazione di montaggio a regola d'arte e secondo le prescrizioni del costruttore rilasciata dall'installatore;
              documentazione tecnica del dispositivo installato completa di tutti dati tecnici utili per la verifica che viene rilasciata dal costruttore;
              fotocopia della carta di circolazione;
              versamento di euro 25,00 sul bollettino di conto corrente n.  9001, tariffa motorizzazione;
              versamento di euro 14,62 sul bollettino di conto corrente n.  4028 imposta bollo;
          la motorizzazione civile di Cagliari ha prenotato un collaudo per una data di tre mesi successiva alla data di prenotazione;
          in tutti i manuali organizzativi e gestionali tali adempimenti sono possibili in una giornata;
          la motorizzazione di Cagliari, a quanto consta all'interrogante, risulta tra quelle dove occorre il tempo più lungo per questo adempimento;
          i tempi di attesa risultano essere lunghi anche per le revisioni dei mezzi pesanti (oltre 3,5T)  –:
          se il Ministro intenda accertare le cause di questi tempi così lunghi e decisamente inaccettabili;
          se intenda intervenire urgentemente per rimuovere le cause di questi tempi e accertarne motivazioni ed eventuali responsabilità;
          se non intenda assumere iniziative per uniformare i tempi delle procedure tra motorizzazioni e soprattutto per prevedere un collaudo in giornata tale da rendere il servizio realmente efficiente. (4-11498)


      PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 14 dicembre 2015 in Sardegna, nel comune di Bolotana, si è rischiata l'ennesima tragedia legata all'incuria e all'abbandono delle ferrovie sarde;
          intorno alle 13, a due chilometri da Bolotana, sulla strada provinciale 17, attraversata dalla ferrovia che collega la statale 129 con il paese, le sbarre del passaggio a livello non si sono abbassate e il treno ha rischiato di travolgere un'auto con due viaggiatori a bordo;
          la tragedia è stata evitata dalla prontezza di riflessi del macchinista che si è accorto dell'auto sui binari e ha frenato prima dell'impatto;
          sulla Mercedes, condotta da Mario Bussa, consigliere comunale di Bolotana, viaggiava anche suo figlio;
          questo il racconto del conducente dell'auto: «Stavo rientrando a casa dal lavoro – ha raccontato Bussa all'ANSA – e mi accingevo ad attraversare i binari perché la sbarra del passaggio a livello era sollevata e non c'era nessun segnale luminoso o acustico che annunciasse l'arrivo di un treno. Tutto è successo nel giro di qualche secondo: mentre il muso della macchina era già sul binario, si è azionato il segnale luminoso, stavo per tornare indietro ma il treno era già lì a qualche metro dalla mia macchina. Per fortuna macchinista ha avuto prontezza di riflessi ed è riuscito a fermarsi. Tutto si è concluso con un grande spavento per me e mio figlio ma poteva andare molto peggio: se siamo vivi lo dobbiamo esclusivamente alla prontezza del macchinista»;
          ciò che è accaduto sulla linea ferroviaria vicino a Bolotana è un fatto gravissimo e due persone hanno rischiato di essere travolte dal treno in corsa per un guasto nell'impianto elettrico che ha impedito che si abbassassero le sbarre del passaggio a livello;
          tale gestione delle ferrovie in Sardegna sta determinando pericoli per la sicurezza pubblica ed è indispensabile un pronto intervento per accertare responsabilità e provvedere alla messa in sicurezza delle stesse;
          le linee ferroviarie del centro Sardegna sono al disastro, insieme a tutte le altre dell'isola;
          sul fatto indagano i carabinieri avvisati subito dal conducente dell'auto  –:
          se il Ministro interrogato non intenda assumere tutte le iniziative di competenza, anche in collaborazione con l'agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria in merito a quanto evidenziato in premessa;
          se non intenda valutare per quanto di propria competenza se le condizioni della rete ferroviaria sarda sono tali, da rendere sicura la loro percorrenza;
          se non intenda assumere iniziative volte a prevedere azioni e stanziamenti necessari per recuperare il gap infrastrutturale della Sardegna, considerato il grave divario con il resto d'Italia. (4-11499)


      MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          relativamente al tema «Via le grandi Navi dal Bacino di San Marco» il sindaco di Mira ha espressamente dichiarato in sede di assemblea pubblica che l'architetto Luciano Claut assessore presso lo stesso comune, «ha donato» al comune di Mira il progetto denominato «Porto Novissimo di Lido — Venezia»;
          il suddetto progetto è stato presentato ai Ministeri competenti ed alla capitaneria di porto proprio dall'architetto Luciano Claut Assessore all'urbanistica del Comune di Mira e delegato del sindaco al comitato portuale di Venezia;
          l'elaborato oltre ad indicare sinteticamente i curricula degli estensori del progetto tra cui l'assessore Claut e le collaborazioni per contributi specialistici evidenzia che si tratta di una proposta del comune di Mira per un nuovo scalo passeggeri nel porto di Lido, tant’è che i contatti riportati nell'elaborato progettuale appartengono al comune di Mira, PEC compresa;
          in consiglio comunale è stata depositata una apposita interrogazione dai consiglieri di minoranza con la quale sono stati richiesti gli estremi e la copia della determina dirigenziale e/o delibera di Giunta comunale relativa all'incarico affidato ai succitati soggetti in qualità di progettisti, nonché gli estremi dell'atto di programmazione (bilancio reazione previsionale e altro) votato da consiglio comunale ed è stato chiesto se tale progetto fosse presente nella sezione del sito web del comune di Mira alla voce amministrazione trasparente;
          a seguito della richiesta di accesso agli atti prot. n.  43265 del 21 novembre 2014 e della successiva integrazione alla originaria richiesta di accesso agli atti presentata in data 24 novembre 2014 prot. n.  45007 con nota del 4 dicembre 2014 prot. n.  45514 a firma del Dirigente settore gestione del territorio del comune di Mira è stata trasmessa la documentazione: concernente la copia della delibera di giunta comunale n.  70 dell'8 maggio 2014 con oggetto: intese sul piano regolatore portuale: articolo 5 della legge n.  84 del 1994. Determinazioni; con allegata la proposta per il nuovo scalo passeggeri in bocca di porto di Lido denominata «Porto Novissimo di Lido»;
          all'interno della delibera si evidenziava che l'assessore all'urbanistica del comune di Mira, architetto Luciano Claut, è il progettista, assieme ad altri specialistici e che l'elaborato è stato presentato ai Ministeri competenti ed alla capitaneria di porto il 3 ottobre 2013 e il 19 marzo 2014 in attuazione del decreto ministeriale n.  79 del 2012 architetto Luciano Claut Assessore all'urbanistica del Comune di Mira;
          in data 15 dicembre 2014 con prot. n.  47543 a Firma del dirigente ai lavori pubblici e infrastrutture – del comune di Mira perveniva ai richiedenti la copia di una e-mail datata 9 dicembre 2014, nella quale l'assessore architetto Luciano Claut dichiara testualmente quanto segue: «... (...)... La proposta del Comune di Mira è stata redatta dal sottoscritto in qualità di assessore competente. Si tratta di una e di alcuni schemi grafici in formato A4. La relazione raccoglie alcuni testi forniti da tecnici al sottoscritto assessore in forma di contributo gratuito alla discussione in corso sull'argomento della crocieristica. Quindi la proposta è elaborata nell'ambito delle competenze istituzionali e quindi immagino si tratti di un elaborato dell'assessore e cioè del Comune di Mira. Non credo che ogni atto di un assessore debba essere oggetto di donazione all'amministrazione. Comunque se può servire e rassicurare, nulla osta alla donazione Se si tratta di donazione il bene è di esclusiva proprietà del donante ...(...)...»;
          suddette affermazioni evidenziano a giudizio dell'interrogante una evidente nebulosità circa il ruolo dell'assessore Claut in merito al citato progetto, in quanto non si comprende se si tratta di un elaborato redatto in virtù del suo ruolo istituzionale o in qualità di libero professionista;
          inoltre, dalla lettura del verbale di riunione tenutasi il 5 marzo 2014 (poi proseguita il 19 marzo) presso la capitaneria di porto di Venezia avente per oggetto «Ipotesi alternative di applicazione del decreto interministeriale n.  79 del 2012 del 2 marzo 2012 per la realizzazione della via navigabile alternativa al passaggio davanti a San Marco delle navi di stazza superiore a 40.000 GT» l'architetto Claut sembrerebbe esserne il presentatore in veste di privato progettista proponente e non di amministratore locale;
          è solo successivamente, come già detto in premessa, e precisamente l'8 maggio 2014, che viene adottata dall'amministrazione comunale la deliberazione di giunta n.  70 avente per oggetto «intese sul piano regolatore portuale: articolo 5 della legge n.  84 del 1994. Determinazioni»;
          è solo con questa delibera che viene approvato e allegato alla stessa delibera, il progetto, redatto su carta intestata dell'architetto Claut, progetto che secondo le parole del sindaco sarebbe stato donato all'amministrazione comunale;
          si fa presente che tale delibera riceve il voto favorevole anche dello stesso assessore Claut elemento ad avviso dell'interrogante di dubbio garbo istituzionale;
          ciò che manca, infatti, è la delibera di donazione del suddetto progetto tant’è che il sindaco di Mira in risposta ai quesiti posti dai consiglieri di minoranza è costretto a correggere tale versione non usando più il termine «donazione»;
          si tratta di un aspetto assai singolare, in considerazione del fatto che la stessa giunta comunale per l'accettazione della donazione di un defibrillatore, atto importante ma di una entità economica sicuramente non così rilevante come può essere invece un progetto quale quello, ha approvato una apposita delibera di giunta  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non si ravvisino profili di conflitto di interesse in relazione alla partecipazione dell'assessore all'urbanistica del Comune di Mira all'autorità Portuale di Venezia, nonché alla Commissione per la salvaguardia di Venezia, posto che il medesimo risulta architetto/progettista dell'elaborato succitato e denominato «Porto Novissimo di Lido». (4-11503)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il presidio di polizia ferroviaria di Sulmona, rappresenta, dopo Pescara, il secondo snodo ferroviario più importante d'Abruzzo – da cui si diramano le linee ferroviarie per Roma, Pescara, L'Aquila, Terni e Isernia-Napoli — e costituisce l'unico polo manutentivo presente nella regione;
          inoltre, estende la sua competenza alle stazioni di Pettorano sul Gizio, Giove, Palena, Rivisondoli-Pescocostanzo, Roccaraso, Castel di Sangro, Sessano al Molise, giungendo fino a Carpinone; con la linea Pescara-Roma, è competente per le stazioni di Bugnara, Anversa degli Abruzzi, Prezza, Goriano Sicoli, Cocullo, Pescina, Collarmele e Carrito-Ortona;
          la stazione ferroviaria di Sulmona, oltre a costituire un presidio fondamentale nell'ambito della rete dei trasporti su rotaia nella regione, rappresenta lo scalo di accesso al carcere di massima sicurezza di Sulmona che ospita attualmente 500 detenuti e, nell'immediato futuro, vedrà un ulteriore ampliamento della popolazione carceraria;
          l'annunciata cancellazione di detto presidio, a parere dell'interrogante, appare del tutto incomprensibile, infatti, la riorganizzazione posta in essere dal Ministero, dal punto di vista del risparmio economico, ha scarsissima rilevanza in quanto tutte le spese di gestione del presidio — riscaldamento, energia elettrica, servizio di pulizia, manutenzione ordinaria e straordinaria — sono a carico di Ferrovie dello Stato italiane  –:
          se non ritenga di dover intervenire per evitare la cancellazione del presidio di polizia ferroviaria di Sulmona che costituirebbe per Sulmona e per l'intero Centro Abruzzo l'ennesima spoliazione, con ricadute negative sui cittadini in termini di erogazione dei servizi e di sicurezza pubblica. (4-11485)


      MINNUCCI, CARELLA, CHAOUKI, FASSINA, FERRO, GREGORI, MARCHI, MELILLA, TERROSI, TIDEI e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha presentato l'interrogazione n.  4-07647, relativa alla richiesta di scioglimento del consiglio comunale di Sacrofano (RM) per fenomeni di tipo mafioso emersi dall'inchiesta denominata «Mondo di mezzo»; a tale interrogazione, ad oggi non è stata data, a giudizio del primo firmatario del presente atto una risposta soddisfacente;
          infatti, nonostante la risposta del Ministero dell'interno, nella figura del Sottosegretario di Stato Bocci, nella quale si affermava che, entro il 22 agosto 2015, il Prefetto avrebbe dovuto presentare le proprie valutazioni al Ministero, per il seguito di competenza, ad oggi, non risulta agli interroganti che sia stato emesso alcun decreto di conclusione del procedimento ex articolo 143 comma 7, del decreto legislativo n.  267 del 2000;
          il comune di Sacrofano, attualmente, e per la predetta situazione, sta vivendo un momento di grande incertezza, che sta alimentando un forte senso di sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, della classe politica e dei lavoratori comunali, con grave danno dell'immagine stessa del comune;
          per questi motivi appare necessaria una soluzione rapida della questione relativa allo scioglimento del consiglio comunale di Sacrofano (RM), soprattutto perché strettamente connessa ad un fatto grave come quello dell'inchiesta «Mondo di Mezzo»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione del comune di Sacrofano (RM), quali siano i suoi orientamenti in merito alla richiesta di scioglimento del consiglio comunale dello stesso comune per fenomeni di infiltrazioni e condizionamento di tipo mafioso;
          quali iniziative urgenti nello specifico, intenda assumere, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'orientamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, al fine di procedere, ove ne ricorrano i presupposti, allo scioglimento dell'ente.
(4-11487)


      SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo recenti fonti di stampa si renderebbe necessario l'abbassamento dei limiti di velocità in tangenziale sud di Brescia da 110 Km/h a 90 Km/h, come azione volta al contrasto dell'inquinamento atmosferico, ma la misura non sarebbe stata ancora presa a causa di un contenzioso per l'individuazione della competenza per l'adozione del provvedimento;
          sembra che non si riesca a chiarire a chi competa istituire la limitazione della velocità sull'unica strada extraurbana principale del Bresciano: secondo la prefettura la decisione spetterebbe alla provincia in quanto proprietaria del tratto di strada, e dunque il prefetto Valenti avrebbe emesso un'ordinanza che riguarda la tangenziale sud, ma solo per vietare la circolazione degli euro 3 diesel dalle 8 alle 18; secondo il dirigente del settore strade della provincia la competenza per l'adozione del provvedimento sarebbe invece prefettizia, poiché ha una finalità non viabilistica, ma di salute pubblica;
          la situazione dell'inquinamento atmosferico della zona è grave visto che l'11 dicembre 2015 è stato il dodicesimo giorno consecutivo in cui le polveri sottili registrate dalle centrali dell'Arpa hanno superato i limiti di legge;
          secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente, l'Italia sarebbe il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell'inquinamento dell'aria;
          le polveri sottili, il biossido di azoto e l'ozono nei bassi strati dell'atmosfera avrebbero causato 84.400 decessi nel nostro Paese nel corso del 2012;
          in Italia il problema delle micro polveri investe principalmente la Pianura Padana, con città come Brescia, Monza, Milano e Torino che oltrepasserebbero il limite della concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, fissato a livello dell'Unione europea  –:
          se il Governo non ritenga necessario nonché urgente fare chiarezza sul contenzioso riguardante la tangenziale sud di Brescia di cui in premessa per appurare a chi spetti la competenza sull'abbassamento del limite di velocità, necessario come misura contro l'inquinamento atmosferico, al fine di sbloccare al più presto l’impasse burocratico-amministrativa che si è creata e che mette a rischio la salute dei cittadini coinvolti;
          se il Governo, qualora fosse appurata la competenza in capo al prefetto per l'abbassamento del limite di velocità cui sopra, non consideri necessario attivarsi affinché questa misura venga attuata al più presto, per la salvaguardia della salute dei cittadini della zona interessata;
          se il Governo, qualora la competenza non fosse di semplice attribuzione, non intenda promuovere un incontro di coordinamento e concertazione tra la provincia e la prefettura in modo da trovare la modalità più corretta per superare questo ostacolo e, trovata la soluzione, non intenda poi assumere iniziative, se del caso anche attraverso una circolare in proposito, al fine di evitare future situazioni di stallo di questo genere;
          quali altre iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto o stia attuando per combattere l'inquinamento atmosferico di Brescia e provincia e salvaguardare la salute degli abitanti della zona. (4-11488)


      NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la polizia stradale di Verona ha svolto un'accurata indagine che ha portato alla fine del mese di novembre 2015 alla scoperta di numerose discariche abusive;
          le discariche sono situate in provincia di Verona, nei comuni di Ronco dell'Adige, Sommacampagna, Vigasio, Castelnuovo del Garda, Villafranca, Arcole, Povegliano e Sona;
          l'operazione ha determinato per ora: il sequestro di 8 aziende, 2 capannoni, 4 depositi, 5 camion e 35 mila tonnellate di rifiuti;
          nel corso delle indagini sono state denunciate 19 persone;
          tra il materiale stoccato illecitamente sono stati ritrovati rifiuti ferrosi sminuzzati per rendere impossibile la determinazione della provenienza, amianto e alcuni sacchi derivanti da inumazioni;
          l'importante operazione della polizia stradale di Verona segue un'altra indagine per traffico e smaltimento illeciti di rifiuti che nel mese di ottobre del 2014 ha consentito di scoprire l'inquinamento della falda di un'oasi naturalistica nel comune di Ronco dell'Adige;
          in quell'occasione furono sequestrati circa 300.000 metri quadri di terreni che circondano la fornace del gruppo Stabilimenti Italiani Laterizi (Stabila), con sede legale a Isola vicentina (VI);
          nei terreni sono stati rinvenuti materiali provenienti dalla lavorazione di laterizi arrivati dalle province di Vicenza, Verona, Rovigo, Padova, Ferrara e Reggio Emilia;
          le analisi dei terreni hanno fatto rilevare la presenza di sostanze velenose e tossiche altamente inquinanti;
          tra le aziende coinvolte nell'indagine ci sono la Guerra autotrasporti di Legnago (Vr), la Aversa de Fazio autotrasporti e la Euro Inerti, entrambe con sede legale a Crotone;
          le indagini hanno fatto emergere la presenza di traffici di rifiuti tossico nocivi che interessano varie regioni italiane;
          diverse indagini hanno dimostrato che tali reati costituiscono un punto di contatto tra aziende delle regioni settentrionali e gruppi mafiosi che organizzano il trasporto e lo smaltimento illegali di rifiuti tossici;
          le indagini, come hanno dimostrato altre numerose inchieste, indicano che in Veneto sono diffusi reati contro l'ambiente e che molte imprese smaltiscono i rifiuti tossici in modo illegale  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
          quali iniziative, per quanto di competenza, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per chiarire eventuali collegamenti tra le aziende oggetto di sequestro e la criminalità organizzata e per prevenire e contrastare analoghi fenomeni in Veneto.
(4-11491)


      NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Corriere del Veneto ha pubblicato la notizia secondo cui nell'indagine disposta dalla Procura della Repubblica di Palermo, che ha portato al fermo di alcuni presunti esponenti di spicco del mandamento mafioso di Corleone, appare frequentemente il nome di Giuseppe Salvatore Riina, per presunti finanziamenti ricevuti direttamente dagli esponenti delle cosche;
          si tratta, della stessa inchiesta che portò a ipotizzare un presunto attentato al Ministro dell'interno, ritenuto colpevole di avere aggravato il regime di carcere duro previsto dall'articolo 41-bis;
          Riina, dall'aprile del 2012, vive a Padova in regime di sorveglianza;
          in una conversazione telefonica, intercettata dagli investigatori il 22 settembre dello scorso anno, uno degli arrestati, il palermitano Vincenzo Pellitteri, avrebbe suggerito al capofamiglia, Paolo Masaracchia, di riferire al boss Gaspare Geraci detto «Don Aspano» di aver consegnato, attraverso una terza persona, quattromila euro per il figlio di, Salvatore Riina più un'altra tranche di denaro non meglio quantificata a distanza di 15 giorni;
          secondo gli inquirenti, quindi, vi sarebbe stata da parte di alcuni indagati una elargizione di aiuti economici al figlio di Totò Riina;
          inoltre, a quanto riferisce il quotidiano, negli atti delle indagini si può leggere che uno dei soggetti coinvolti avrebbe indicato proprio Giuseppe Salvatore Riina come unica figura al momento in grado di fare da garante ai patti stipulati, anni prima, tra i Riina e la famiglia Di Marco;
          questa notizia ha destato forti preoccupazioni nelle comunità locali, già da tempo costrette a fare i conti con una massiccia presenza della criminalità organizzata che ha penetrato il tessuto economico e sociale veneto e che utilizza le imprese locali per il riciclaggio dei proventi delle attività illecite  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
          di quali elementi disponga il Governo circa eventuali rapporti tra Giuseppe Salvatore Riina e le cosche mafiose citate;
          quali iniziative di competenza, anche attraverso gli uffici territoriali di governo, il Ministro intenda adottare per contrastare interessi e relazioni in Veneto delle organizzazioni criminali. (4-11492)


      CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          si starebbe facendo sempre più concreta la possibilità di un ritiro da parte dell'Europarlamento dei fondi da impiegare per la realizzazione di importanti opere pubbliche di cui il comune di Cava de’ Tirreni è destinatario;
          in particolare, tale eventualità potrebbe verificarsi all'indomani dell'ennesimo blocco dei cantieri di cui è oggetto il complesso di Villa Rende, in località Pianesi;
          nei giorni scorsi, infatti, a Palazzo di Città è stata notificata dalla Prefettura di Salerno una comunicazione in merito ad una interdittiva antimafia nei confronti dell'associazione temporanea di imprese (ATI) aggiudicataria dell'appalto del secondo lotto dei lavori inerenti lo storico complesso che sorge a ridosso tra il centro storico metelliano ed il borgo dei Pianesi;
          l'appalto, che riguarda il restauro e recupero dell'immobile di notevole interesse storico-architettonico, e che un tempo ospitava anche alcuni reparti dell'ospedale Santa Maria dell'Olmo, fu vinto dall'impresa, ora finita nel mirino della prefettura, per l'importo complessivo di 1.043.378,78 euro (più Iva), offrendo un ribasso del 33,250 per cento sull'importo stabilito come base d'asta;
          la problematica, che ha riguardato in passato ed in maniera analoga anche altri comuni limitrofi, sarebbe già stata segnalata alla regione sulla base del fatto che i lavori di riqualificazione del complesso storico sono finanziati da fondi europei che rientrano nel programma «Più Europa», in modo tale da poter agire in tempo utile affinché non si rischi la perdita dei finanziamenti;
          il rischio è che, dato il preoccupante ritardo nell'avanzamento di alcune opere, non ci sarà nessuna proroga con la conseguenza che i lavori che non saranno terminati e contabilizzati entro dicembre 2015 comporteranno la restituzione del finanziamento all'Unione europea;
          l'amministrazione comunale di Cava de’ Tirreni, guidata, da Marco Galdi, era già stata interessata nel 2012 da una indagine della direzione distrettuale antimafia di Salerno su appalti pubblici e concessioni edilizie in cambio di voti e consensi elettorali e anche in quella occasione era finito al vaglio degli investigatori un elenco di ditte vincitrici di appalti;
          anche nel 2010 un lungo elenco di appalti e di lavori effettuati dall'impresa di Carmine Diana, ritenuto vicino al clan dei Casalesi, era finito nel mirino della magistratura per un'inchiesta che ha portato in carcere quattordici persone: da alcune ristrutturazioni Museo campano di Capua, a quelle nel chiostro di Sant'Agostino a largo San Sebastiano a Caserta, così come la riqualificazione per il recupero funzionale della villa Rende a Cava de’ Tirreni;
          è proprio quello che appare all'interrogante un groviglio di lavori, incarichi e contiguità a far capire quanto sia complicata, e non più trascurabile, la situazione economica e politica del territorio salernitano  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, se il Governo intenda valutare la sussistenza dei presupposti per assumere le iniziative di competenza ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-11494)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la procedura di infrazione (CE) 2010/2124 contro l'abuso di reiterazione dei contratti a termine risulta chiusa il 9 novembre 2015, ma tuttora migliaia di docenti precari, anche con molti anni di insegnamento, continuano a ricoprire incarichi di supplenza annuale o temporanea, essendo questi ultimi iscritti nelle graduatorie d'istituto e quindi non inclusi nel piano straordinario di cui all'articolo 1, commi 95 e seguenti, della legge 107 del 2015;
          agli abilitati sopra citati è stata preclusa qualsiasi possibilità di stabilizzazione poiché nella legge 107 del 2015 è prevista la soppressione del canale da graduatoria ad esaurimento e l'assunzione in ruolo esclusivamente da canale concorsuale per titoli ed esami, il cui bando avrebbe dovuto essere pubblicato entro il 1o dicembre 2015, termine temporale ampiamente scaduto;
          in merito al citato concorso per docenti, il comma 114 dell'articolo 1 della legge 107 del 2015 prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ferma restando la procedura autorizzatoria, bandisca entro il 1o dicembre 2015 un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali ai sensi dell'articolo 400 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, come modificato dal comma 113 del presente articolo, per la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio;
          l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.  27 come modificato dal comma 14 del citato articolo 1, afferma che nel piano triennale dell'offerta formativa siano indicati: a) il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell'organico dell'autonomia, sulla base del monte orario degli insegnamenti, con riferimento anche alla quota di autonomia dei curricoli e agli spazi di flessibilità, nonché del numero di alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente; b) il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa;
          il comma 12 del medesimo articolo 1 prevede, altresì, che le istituzioni scolastiche predispongano, entro il mese di ottobre dell'anno scolastico precedente al triennio di riferimento, il piano triennale dell'offerta formativa (PTOF);
          dal combinato disposto dei commi 12, 14 e 114 dell'articolo 1 della legge n.  107 emerge che l'emanazione dei PTOF da parte delle istituzioni scolastiche, che comprende la definizione del fabbisogno di posti e la tipologia, costituisce un atto propedeutico al bando di concorso;
          con nota n.  2157 del 5 ottobre 2015, il, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha procrastinato la scadenza della definizione del PTOF al 15 gennaio 2016 con la seguente motivazione: «considerata la recente approvazione della legge e tenuto conto che la scadenza del dimensionamento scolastico da parte delle regioni avverrà entro il 31/12/2015»;
          occorre evitare quanto già accaduto nel concorso per docenti del 2012 (cosiddetto concorso Profumo) in riferimento alla errata programmazione del numero di vincitori e quindi il successivo necessario scorrimento della graduatoria, oltre i posti messi a bando;
          in attesa della definizione del PTOF l'eventuale emanazione del bando di concorso incompleto del numero e tipo di posti, renderebbe, a giudizio dell'interrogante, lo stesso bando già viziato da illegittimità  –:
          se il Ministro non intenda emanare il bando dopo il 15 gennaio 2016, attendendo così la conclusione della redazione dei PTOF da parte delle istituzioni scolastiche e quindi la definizione puntuale dei fabbisogni;
          quale metodo di calcolo del fabbisogno di docenti il Ministero stia utilizzando per la definizione dei posti da mettere a concorso, tenendo anche conto dei pensionamenti massicci a partire dall'entrata a regime della cosiddetta riforma Fornero. (4-11486)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in data 15 dicembre 2015 presso la regione Basilicata si è svolto un incontro concernente il futuro dell'impianto «Cotto Coperture» di Salandra di proprietà del gruppo multinazionale Monier;
          a seguito del suddetto incontro è stata confermata la volontà da parte del gruppo Monier di procedere alla chiusura dell'impianto;
          le organizzazioni sindacali e anche la regione Basilicata hanno contestato la volontà dell'azienda di procedere in maniera unilaterale non lasciando alcun margine di trattativa;
          nonostante la ottima qualità del prodotto pluripremiato a livello internazionale e la professionalità delle maestranze che vengono chiamate spesso anche in trasferta presso altre realtà del gruppo per il proprio know how le strategie del gruppo preferiscono in maniera incomprensibile privilegiare altri investimenti, come ad esempio l'acquisto di un impianto in provincia di Frosinone, e non consolidare la realtà di Salandra;
          si fa presente come già evidenziato con altro atto di sindacato ispettivo che il suddetto gruppo per quanto concerne la realizzazione dell'impianto di Salandra ha beneficiato di risorse pubbliche e con la presenza di cave per l'argilla lavorata ha avuto anche un evidente impatto ambientale sul territorio;
          si è in presenza di un nuovo atto di penalizzazione nei confronti della Valbasento nonostante la disponibilità di organizzazioni sindacali ed istituzioni a realizzare le condizioni più favorevoli per il permanere della multinazionale anche per quello che concerne la variabile energetica e il relativo costo;
          il 22 dicembre 2015 è previsto un nuovo incontro tra le parti;
          è inaccettabile che non si affronti il nodo industriale e non si verifichi la possibilità di valutare l'eventuale interesse di altri soggetto industriali per l'impianto di Salandra;
          tutto ciò è ancora più grave se si considera la volontà delle politiche pubbliche di rilanciare il Mezzogiorno e consolidare soprattutto il settore manifatturiero  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tale situazione e se non ritengano opportuno convocare un apposito tavolo di confronto in sede ministeriale per verificare la possibilità di scongiurare la cessazione di attività dell'impianto di Salandra e l'eventuale interesse industriale di altri soggetti e di assicurare un futuro produttivo all'impianto e la conseguente salvaguardia di posti di lavoro in un comprensorio, già fortemente colpito dà un processo di deindustrializzazione.
(5-07247)


      BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Inps ha comunicato che a seguito di accertamenti ispettivi la classificazione aziendale di Almaviva non è industriale, ma relativa al settore terziario, in quanto «corrispondente alla effettiva natura dell'attività svolta nell'ambito dei servizi»;
          questo cambio di classificazione pone a rischio 5.000 lavoratori tra Palermo e Catania, in quanto non possono più accedere ai contratti di solidarietà misura usata per scongiurare i licenziamenti;
          la conseguenza di questa revisione è che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha annullato la concessione del trattamento di integrazione salariale conseguente alla stipula del contratto di solidarietà per il periodo dal 1o dicembre 2015 al prossimo 31 maggio 2016;
          si tratta di una notizia grave che può rappresentare il «via» al licenziamento per questi 5.000 addetti;
          si è in presenza di una situazione socialmente esplosiva in un contesto già complicato;
          nel settore dei call center non è il primo caso di ricorso allo strumento della «solidarietà» per evitare procedure di licenziamento  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di evitare il licenziamento di 5.000 addetti per quanto concerne il gruppo Almaviva in Sicilia e per consentire anche ai call center di poter accedere allo strumento dei contratti di solidarietà. (5-07248)


      VICO, ANTEZZA e BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          alcuni giorni fa, la società di call center «Datacontact» con sede a Matera, a seguito della comunicazione da parte di Telecom Italia, in qualità di committente, di non voler proseguire le attività di contact center appaltate alla medesima, ha formalizzato una richiesta di apertura di un tavolo urgente alla presidenza della regione Basilicata per affrontare la emergenza occupazionale;
          la scadenza del contratto è prevista per il 31 dicembre 2015;
          presso la regione Basilicata si è svolto, già, un primo incontro del tutto interlocutorio anche per l'assenza del committente;
          a rischio di licenziamento sono circa 400 posti di lavoro costituiti da giovani e donne con una età media non superiore ai 35 anni;
          la interruzione e/o conclusione della commessa mette a rischio la sostenibilità complessiva delle attività svolte dalla Datacontact;
          mancano pochi giorni alla fine dell'anno e comunque alla scadenza del contratto di cui sopra  –:
          se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e se intenda assumere l'iniziativa di convocare in sede ministeriale la parte datoriale e le organizzazioni sindacali al fine scongiurare la perdita di 400 posti di lavoro. (5-07250)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI e ALBERTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 29 novembre 2015 e nei giorni a seguire, sui quotidiani e siti di informazione locali della regione Toscana, è apparsa la notizia che Valentino Mercati, fondatore e titolare di Aboca, con sede a Sansepolcro (Arezzo), nota azienda di prodotti basati su principi naturali per la salute, nel corso di un convegno tenutosi a Città di Castello (Perugia) dal titolo «Tabacco e territori biologici tra sviluppo rurale e diritti: la conversione si può e conviene a tutti», ha annunciato che per via dei pesticidi usati nelle coltivazioni confinanti, la sua azienda è pronta a trasferire le sue coltivazioni in Marocco, dove l'Ogm è bandito;
          l'azienda, leader nel settore, pratica agricoltura biologica dal 1978 e produce integratori alimentari, farmaceutica naturale, dispositivi medici e cosmetici;
          la Aboca impiega 830 dipendenti con un età media di poco superiore ai 40 anni, di cui 230 assunti tra il 2014 e il 2015, ed ha previsto, per l'anno corrente, un fatturato di 120 milioni di euro e di 180 milioni per il 2016;
          l'azienda aveva sino ad ora concentrato la gran parte delle sue coltivazioni in Valtiberina, su una superficie di 700 ettari e in Valdichiana su una superficie di 400 ettari, dove la presenza di 60 operatori agricoli crescono 70 specie diverse di piante officinali che si traducono in oltre 2 mila tonnellate all'anno di prodotto fresco;
          l'azienda precisa che gli oltre 1.000 ettari a loro disposizione, vengono coltivati seguendo il regolamento europeo sull'agricoltura biologica che comporta il preservare la struttura e gli equilibri micro organici del terreno, l'utilizzo di varietà vegetali adatte all'ambiente specifico, l'esclusione di fertilizzanti e antiparassitari chimici e il divieto di utilizzo di Ogm;
          il patron Mercati, nell'estate del 2015 aveva diffidato legalmente 40 agricoltori proprietari di terreni confinanti con quelli dell'azienda di sua proprietà, nei campi tra la Valtiberina toscana ed umbra, rei di aver utilizzato pesticidi e di aver alterato, di conseguenza, lo stato biologico delle vicine coltivazioni della Aboca;
          il decreto legislativo n.  150 del 2012, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi con norme molto restrittive nei confronti dell'utilizzo degli stessi, all'articolo 21 indica che «il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ciascuno per le proprie competenze, promuovono ed incentivano l'applicazione delle tecniche di agricoltura biologica, disciplinata dal regolamento (CE) n.  834/2007, secondo gli orientamenti specifici del Piano»;
          successivamente alle dichiarazioni di Mercati nel convegno sopraindicato, la giunta della regione Toscana si è impegnata per intervenire tempestivamente sul caso Aboca, sulla spinta di due mozioni approvate dal consiglio e presentate rispettivamente dal M5S con approvazione a maggioranza ed astensione della sola Lega Nord che a sua volta ne ha presentata una propria votata all'unanimità, dopo aver recepito un emendamento del PD presentato dalla vicepresidente del Consiglio regionale, Lucia De Robertis;
          nell'illustrare la mozione del M5S che impegna la giunta ad attivarsi rapidamente nei confronti di Asl e Arpat e a stabilire immediatamente un tavolo di confronto tra l'azienda e le amministrazioni locali interessate, la consigliera regionale Irene Galletti ha ricordato le posizioni assunte dal suo gruppo politico anche a livello nazionale ed europeo riguardo l'uso di pesticidi. Nelle parole della Galletti c’è anche un richiamo ai presenti ad intervenire per difendere i posti di lavoro dei dipendenti della Aboca ed un monito al mancato intervento delle istituzioni nella vicenda, ricordando che l'azienda aveva da tempo segnalato la problematica e le difficoltà espresse a ben 22 sindaci del territorio, non ricevendo risposta da neanche uno di essi  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
          in concerto con la regione Toscana, se e quali iniziative i Ministri interrogati abbiano assunto per garantire la permanenza delle coltivazioni dell'azienda Aboca sopraindicata, negli attuali luoghi occupati;
          se e quali iniziative normative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di tutelare le coltivazioni che praticano agricoltura biologica confinanti con coltivazioni che utilizzano pesticidi.
(5-07246)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, COLONNESE, GALLINELLA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, PARENTELA, GAGNARLI, NESCI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro della salute Lorenzin ha firmato l'11 novembre 2015 un decreto che affida al Comitato percorso nascita nazionale (un comitato composto da tecnici) il compito di esprimere un parere sulle richieste di deroghe avanzate dalle regioni o dalle province di Trento e Bolzano; il citato Comitato avrà novanta giorni per esprimersi;
          con questa modalità si potrebbero mantenere attivi i punti nascita inferiori a 500 parti annui, in deroga a quanto previsto dall'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» (Rep. Atti 137/CU), a condizione che vengano mantenuti gli standard di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa;
          del citato decreto in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il testo sui social network che richiama:
              a) l'Accordo sancito in sede di Conferenza unificata nella seduta del 16 dicembre 2010 sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» (Rep. Atti 137/CU) e in particolare il punto 10, che, al fine di dare completa attuazione a quanto previsto dal medesimo accordo, prevede l'istituzione di un Comitato percorso nascita, interistituzionale, con funzione di coordinamento e verifica delle attività, nonché l'allegato 1a, che fissa i parametri standard per il mantenimento/attivazione dei punti nascita»;
              b) il decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 2 aprile 2015, n.  70, «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera», in attuazione dell'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  15, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n.  127 del 4 giugno 2015;
              c) la ravvisata necessità di attribuire al Comitato percorso nascita nazionale (CPNn) il compito di esprimere un parere su richieste di deroga relativamente a punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui avanzate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, per il tramite del Comitato percorso nascite regionali CPNr;
          in riferimento all'articolato si prevede che:
              il Comitato percorso nascita nazionale, di cui al decreto ministeriale 19 dicembre 2014, su richiesta del tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2015, esprime un motivato parere su eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori a 500 parti annui in deroga a quanto previsto dell'accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010, e che le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, sentito il Comitato percorso nascita regionale (CPNR), trasmettono le richieste di cui al comma 1 al tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 20 luglio 2015;
          dal sito del Ministero della salute alla sezione dedicata all’«Attuazione delle linee prioritarie per il raggiungimento degli obiettivi di salute» al punto 11.1 «Attuazione dell'Accordo 2010 sul percorso di nascita» si evince che «L'Accordo prevede, inoltre, l'istituzione di una funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita anche a livello regionale (Comitato percorso nascita regionale – CPNr). Ad oggi, quasi tutte le regioni hanno recepito formalmente e solo 7 delle 21 Regioni (Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Molise, Puglia, Sicilia e Umbria) hanno costituito il – CPNr» –:
          se trovi conferma che solo 7 regioni su 21 (Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Molise, Puglia, Sicilia e Umbria) abbiano costituito il CPNr;
          se le regioni che non hanno ancora costituito il CPNr possano comunque inoltrare richiesta di deroga al CPNn e se il CPNn le valuterà a prescindere dalla costituzione o meno del CPNr;
          se il Ministro non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché tutte le regioni istituiscano il Comitato stesso dato che il CPN interistituzionale è stato istituito fin dal 2010 all'interno dell'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 recante «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo;
          quali siano gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, necessari e sufficienti per poter usufruire della deroga all'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010. (5-07260)

Interrogazione a risposta scritta:


      RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il comitato «tutti uniti per l'ospedale di Osimo» composto da padri, padri e nonni che si oppongono alla scelta politica di chiudere i punti nascita senza tenere in debito conto le esigenze delle persone che vivono in territori dove gli spostamenti risultano più difficili;
          l'accordo Stato-regione dichiara che vengano chiusi i reparti sotto i 500 parti;
          Osimo ne conta una media di 650. L'accordo Stato-regione indica la riduzione al ricorso dei cesarei di cui Osimo è al primo posto nelle Marche col 29 per cento dei casi, su una media nazionale del 38 per cento, e rispetto ad altri ospedali marchigiani, ad esempio, il Salesi con il 51 per cento. Quindi, di conseguenza, il punto nascita di Osimo è primo anche per parti fisiologici con il 71 per cento dei casi;
          l'accordo Stato-regione impegna le regioni a migliorare, sostenere e proteggere l'allattamento materno alla nascita e nel puerperio, al fine di incrementare i centri delle nascite classificati «amico del bambino» secondo i criteri Unicef e Oms e Osimo è ospedale amico del bambine; con certificazione Unicef e Oms;
          nel punto nascita di Osimo vengono mamme dall'Umbria, dall'Abruzzo, dal Molise proprio in quanto eccellenza Unicef;
          Osimo ha gli stessi parti di strutture come Jesi, Fermo e Senigallia. Al Salesi già ci sono madri appoggiate in altri reparti, in quanto non riescono a soddisfare tutti, quindi è facile immaginare cosa succederebbe se chiudesse il punto nascita di Osimo, visto che il punto nascita più vicino è quello di Jesi a più di un'ora di strada;
          pochi giorni fa una ragazza ha partorito in ambulanza perché non è riuscita a raggiungere l'ospedale;
          la Val Musone conta 100.000 abitanti, ed è spontaneo chiedersi quante mamme partoriranno in ambulanza per raggiungere Jesi, e quali conseguenze si potrebbero verificare in presenza di problemi correlati al parto come un'emorragia  –:
          se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore. (4-11497)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 1o dicembre 2015, la Snam spa ha annunciato di aver sottoscritto un accordo in esclusiva per subentrare alla società norvegese Statoil nella joint venture Tap (Trans Adriatic Pipeline), il consorzio nato per la realizzazione del gasdotto che attraverserà Grecia, Albania e Italia;
          il Trans Adriatic Pipeline, lungo 871 chilometri, connesso al gasdotto Tanap (Turchia e Giorgia) e al SCP (Azerbaigian), porterà in Italia il gas naturale dal sito di Shah Deniz sul Mar Caspio;
          secondo quanto annunciato, la Snam rileverà la partecipazione azionaria di Stat (il 20 per cento del totale), per un ammontare di circa 130 milioni di euro, e subentrerà nella titolarità dei diritti e degli impegni assunti dalla società norvegese nel progetto, compreso un prestito societario, per un ammontare nominale di 78 milioni di euro;
          la chiusura dell'operazione sarebbe prevista per la fine del mese, quando cesseranno i termini di prelazione e co-vendita da parte dei soci di Trans Adriatic Pipeline e dovrebbe giungere il via libera del consiglio di amministrazione del consorzio;
          l'amministratore delegato di Snam spa Carlo Malacarne, avrebbe dichiarato che il primo gas azero potrebbe giungere nei mercati europei dal 2020. Secondo quanto riferito dall'amministratore delegato di Snam, infatti, il tratto dall'Azerbaigian alla Turchia sarebbe stato già realizzato, in Albania sarebbero già iniziati i lavori, mentre in Italia dovrebbero iniziare a partire dal 2017;
          secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato di Snam, «Tap è decisivo per la diversificazione delle forniture di gas in Europa attraverso lo sviluppo del Corridoio Sud come nuova importante direttrice dei flussi di gas dall'Azerbaigian e potenzialmente da altri Paesi produttori. L'ingresso nel progetto consentirà di consolidare il ruolo primario di Snam e delle infrastrutture italiane nel facilitare maggiore competitività tra le fonti e rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti per il sistema gas europea»;
          tra le partecipazioni rilevanti in Snam spa, risultano CDP Reti, che possiede il 30 per centro delle quote, e l'Eni, per l'8,54 per cento;
          CDP Reti è partecipata per il 59,1 per cento da Cassa depositi e prestiti, per il 35 per cento da State Grid Europe Limited, mentre il restante 5,9 per cento è in capo a investitori istituzionali italiani;
          è il caso di sottolineare che Snam spa è una società a forte partecipazione pubblica con rilevante incidenza di risorse della collettività rappresentate dai risparmi dei cittadini custoditi da Cassa depositi e prestiti;
          da quanto esposto sopra, l'ingresso di Snam spa nel progetto Trans Adriatic Pipeline, dovrebbe essere preceduto e sostenuto da un'attenta analisi degli scenari futuri sugli approvvigionamenti energetici, su una previsione dei costi dei benefici, nonché dei rischi, anche in virtù della fonte pubblica delle risorse investite;
          il piano decennale di investimento di Snam spa sembrerebbe attribuire al gas una crescita impetuosa nei consumi nazionali (la maggior parte dei quali attribuiti al settore termoelettrico da anni in crisi), nonostante il forte calo nei consumi registrato dal 2010 e che vede il nostro Paese attestarsi su consumi pari a quelli degli anni ‘90;
          numerosi analisti e osservatori del settore, confortati dai dati reali sulla variazione del consumo delle diverse fonti energetiche, sosterrebbero che gli scenari attuali sono profondamente diversi rispetto alle previsioni formulate appena quattro anni fa dai principali gruppi energetici, secondo i quali il consumo del gas avrebbe registrato un aumento significativo e la domanda nel decennio si sarebbe attestata attorno ai 100 miliardi di metri cubi (Gmc);
          secondo il Ministero dello sviluppo economico, nel 2013, il consumo interno lordo di gas sarebbe stato di circa 70,1 Gmc, un valore analogo a quello registrato nel 2000;
          in particolare sarebbe stato registrato un forte calo della domanda di gas per la produzione di energia elettrica, appena 21,2 Gmc nel 2013, pari a – 15 per cento rispetto al 2012, con un consumo che si è assestato al di sotto dei valori dei primi anni 2000;
          il calo dei consumi verrebbe attribuito sia alla crisi economica sia alla diffusione delle rinnovabili;
          questo stato di cose dovrebbe sollecitare una profonda riflessione sul valore e l'attendibilità delle previsioni, dei piani industriali e delle strategie d'investimento di lungo periodo in un settore che si caratterizza sempre più per il forte e repentino sviluppo tecnologico, per il peso delle variabili geo-politiche, per la crescente diffusione di reti intelligenti e delle fonti rinnovabili;
          secondo autorevoli osservatori, l'ingresso di Snam, spa in Tap avrebbe, tra le diverse motivazioni formulate, un significato non secondario nella realizzazione di un ramo, peraltro importante, del cosiddetto corridoio sud, che contribuirebbe a diversificare le forniture di gas metano in Europa, in un contesto in cui sembra dominare il colosso russo Gazprom, anche a seguito del crollo delle forniture dall'Algeria;
          alle valutazioni di natura economica, e formulate sulla base dell'andamento del mercato del gas naturale negli ultimi anni, si aggiungono diverse perplessità connesse agli alti costi del progetto, pari a un investimento di 40 miliardi di euro, e all'instabilità politica dell'area caucasica, tutti elementi che aumentano considerevolmente i rischi del progetto;
          a tale proposito è il caso di riferire quanto ha rivelato il giornale Il fatto quotidiano, nell'edizione online del 20 novembre 2015, secondo il quale, nelle note ai rendiconti finanziari del 2013 e del 2014, la Trans Adriatic Pipeline avrebbe sottolineato che «“il progetto è soggetto ad un serie di rischi che possono variare nel corso del tempo”, inclusi i rischi “connessi ai permessi, a motivi politici o tecnici che possono comportare ritardi nella tabella di marcia del progetto o eccedenze di spesa che potrebbero indurre gli azionisti a concludere che il progetto non sia realizzabile”. Un'eventualità che potrebbe portare i soci a “decidere di liquidare la società”»  –:
          quali siano gli studi, le analisi, le strategie di Snam spa che sottendono l'ingresso nel progetto Trans Adriatic Pipeline;
          quale sia la previsione sull'investimento complessivo di Snam spa nel progetto Trans Adriatic Pipeline e quali siano le principali fonti di finanziamento;
          quali siano le previsioni sugli esiti dell'investimento, nonché gli scenari previsti in termini di rafforzamento della rete di approvvigionamento di gas, redditività, benefici, costi e rischi;
          se l'investimento previsto possa essere ancora giustificato a fronte del crollo dei consumi registrato negli ultimi anni in Italia. (5-07258)

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n.  5-07152, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  534 del 2 dicembre 2015.

      DE LORENZIS, LIUZZI, DELL'ORCO, CARINELLI, LUIGI DI MAIO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'ENAC istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze - Master Plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento «12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
          tale opera sarebbe stata garantita con fondi pubblici pari a 150 milioni di euro in forme diverse e con provvedimenti ad oggi non meglio precisati a giudizio degli interroganti in contrasto con le regole comunitarie di cui al regolamento 1315/2013 e gli orientamenti prescrittivi menzionati nella GU UE 99/3 C del 4 aprile 2014, che pongono il divieto di aiuti di Stato, palesando il rischio che, in forza dell'articolo 107 del TFUE, si provveda al successivo recupero coatto delle somme impropriamente concesse;
          da fonti di stampa – Articolo de ilFattoQuotidiano.it del 22 luglio 2015 intitolato «Lobby del tabacco e holding degli aeroporti: ecco chi guadagna finanziando la fondazione di Renzi», a firma di Carlo Di Foggia e Davide Vecchi – si apprende che tra le holding che hanno lanciato due offerte pubbliche di acquisto totalitarie sugli scali di Pisa e Firenze, poi riuniti, c’è Corporacion America che ha finanziato la Fondazione Open del Presidente del Consiglio Matteo Renzi per la somma di 25 mila euro. Anche la Alha Airlines, che parimenti avrebbe interessi sugli scali toscani, gestendo i servizi cargo in diversi aeroporti fra cui anche Pisa e Firenze, ha versato alla stessa Fondazione Open la somma di 25 mila euro»;
          per la realizzazione della pista si dovrebbero porre in essere opere di intervento che si presentano complicate e assai costose: si tratterebbe, invero, di un'opera implicante investimenti superiori a 50 milioni di euro;
          la stima dell'ammontare dei costi non risulta ben definita, in quanto si registra un continuo mutamento delle indicazioni in merito anche con evidenti contraddizioni fra ENAC e ENAV anche sulle volumetrie delle terre, e dei relativi costi, nonché quelli di bonifica bellica non menzionati nel testo ENAC. Si parla di 86 milioni di euro ma senza menzionare i costi aggiuntivi, palesando, secondo gli interroganti, la mera volontà di ottenere una compatibilità formale dei costi;
          risulta che il 16 luglio 2014 il consiglio regionale della Toscana abbia approvato il piano di indirizzo territoriale che prevede una nuova pista per l'aeroporto di Firenze e il Governo, come riportato da fonti stampa, abbia stanziato 50 milioni di euro con il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» come cofinanziamento per la nuova pista di Peretola che risulta tra le opere finanziate «con condizione che siano cantierabili entro il 31 agosto 2015» e con procedure semplificate;
          da fonti stampa, risulta che, con una lettera ad Adf, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia altresì assicurato ogni azione utile per sostenere l'attuazione degli interventi infrastrutturali relativi agli scali aeroportuali di Pisa e di Firenze, in modo da consentire la natura strategica del sistema aeroportuale toscano;
          il piano nazionale degli aeroporti menziona, fra i requisiti per l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale strategico, la regola di un solo aeroporto strategico per ciascun bacino, rispetto alla quale costituisce unica eccezione quella relativa al bacino del Centro-nord, per il quale gli aeroporti strategici individuati sono due «Bologna e Pisa/Firenze» in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio e della dimensione degli scali e a condizione, relativamente ai soli scali di Pisa e Firenze, che tra gli stessi si realizzi la piena integrazione societaria e industriale;
          la comunicazione della Commissione-orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03) prescrive che le valutazioni devono essere fatte per singolo aeroporto anche se parte di aggregazione e, tra i criteri individuati dal regolamento europeo n.  1315/2013 sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, TEN-T, non è in alcun modo individuata l'eccezione contenuta nel piano nazionale aeroporti che, pertanto, secondo gli interroganti, si configura in maniera inequivocabile in contrasto con le indicazioni europee;
          risulta che proprio il commissario ai trasporti dell'UE, su precisa richiesta della Corte dei conti dell'Unione europea, abbia chiarito che i nuovi aeroporti, proprio per il loro impatto sui territori, devono essere performanti (da qui la regola dei bacini di utenza) e che in diverse Nazioni del sud Europa, incluso l'Italia, si dissipano risorse ambientali parcellizzando invece di razionalizzare le infrastrutture aeroportuali;
          la comunicazione della Commissione relativa agli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03) definisce le caratteristiche di bacino di utenza, indicando in 100 chilometri la distanza minima fra aeroporti o un tempo di percorrenza di 60 minuti in automobile, autobus, treno o treno ad alta velocità. Al riguardo, occorre considerare che l'aeroporto di Firenze dista in linea d'aria 70 chilometri da Pisa e 85 chilometri da Bologna, rientrando pertanto nelle ipotesi di obbligo di notifica di «aiuti a favore degli aeroporti» ovvero di «aiuti agli investimenti a favore di aeroporti»;
          sul punto, il paragrafo 5.1, «Aiuti agli aeroporti», e in particolare il sottoparagrafo 5.1.1, «Aiuti agli investimenti a favore di aeroporti», prescrivono che gli aiuti agli investimenti concessi agli aeroporti, sia a titolo individuale, sia nell'ambito di un regime di aiuti, sono considerati compatibili con il mercato interno ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del Trattato, purché siano soddisfatte le condizioni cumulative previste. È altresì necessario che un aiuto agli investimenti negli aeroporti contribuisca al conseguimento di un obiettivo di interesse comune, dovendosi verificare almeno una delle seguenti condizioni: a) incremento della mobilità dei cittadini dell'Unione e della connettività delle regioni mediante la creazione di punti di accesso a voli intraunionali; oppure b) lotta alla congestione del traffico aereo nei principali hub aeroportuali unionali; oppure c) facilitazione allo sviluppo regionale;
          sempre secondo le indicazioni comunitarie citate, il moltiplicarsi di aeroporti non redditizi o la creazione di ulteriore capacità inutilizzata non contribuisce a un obiettivo di interesse comune. Se un progetto d'investimento è destinato principalmente a creare nuova capacità aeroportuale, la nuova infrastruttura deve, a medio termine, soddisfare la domanda attesa delle compagnie aeree, dei passeggeri e degli spedizionieri nel bacino di utenza dell'aeroporto. Ogni investimento che non abbia soddisfacenti prospettive di utilizzo a medio termine o che riduca le prospettive a medio termine di utilizzo dell'infrastruttura esistente nel bacino d'utenza non può essere considerato utile ai fini di un obiettivo di interesse comune. Di conseguenza, si nutrono dubbi circa le prospettive di utilizzo a medio termine di infrastrutture aeroportuali in un aeroporto situato nel bacino di utenza di un altro già esistente che già non funziona a piena capacità o quasi. Le prospettive di utilizzo a medio termine devono essere dimostrate sulla base di corrette previsioni del traffico di passeggeri e di merci inserite in un piano industriale ex ante e devono individuare i probabili effetti dell'investimento sull'utilizzo di infrastrutture esistenti, come un altro aeroporto o altri modi di trasporto, in particolare collegamenti ferroviari ad alta velocità;
          in ragione di ciò si pone un obbligo di notifica, a causa del rischio più elevato di distorsione di concorrenza che esse comportano, per le misure di aiuto agli investimenti per la creazione o lo sviluppo di un aeroporto situato entro una distanza di 100 chilometri o 60 minuti di percorrenza in auto, bus, treno o treno ad alta velocità da un aeroporto esistente e si individua un obbligo di notifica, a causa del rischio più elevato di distorsione di concorrenza che esse comportano, per le misure di aiuto al funzionamento di un aeroporto, se altri aeroporti si trovano in un raggio di 100 chilometri o 60 minuti di percorrenza in auto, bus, treno o treno ad alta velocità;
          allo stato, tuttavia, non si hanno notizie di eventuali notifiche alla Commissione europea relative al finanziamento;
          recentemente anche il presidente dell'ENAC ed il presidente Toscana Aeroporti in una conferenza stampa a Firenze hanno confermato che i fondi stanziati sono dovuti perché Firenze ha una capacità inferiore ai 3 milioni di passeggeri/anno. Per cui sembra che i 50 milioni di euro di finanziamento si avvalorino in quanto necessari per le nuove opere di salvaguardia idraulica del Fosso Reale per esigenze ambientali, che tuttavia non sussisterebbero senza la costruzione dell'aeroporto stesso: in tal modo, secondo gli interroganti, si tratterebbe di aiuti di Stato in quanto correlati ed ascrivibili al nuovo aeroporto  –:
          se il Ministro interrogato intenda intervenire in merito alla realizzazione dell'aeroporto di Firenze per conformare la propria attività alle prescrizioni della normativa comunitaria in materia, escludendo forme di aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree;
          se il Ministro interrogato possa dar conto di eventuali notifiche, previste dalla normativa europea, effettuate alla Commissione europea relative al finanziamento per la realizzazione dell'aeroporto di Firenze, e riferire circa il rischio che, in forza dell'articolo 107 del TFUE, sussistano i presupposti per un successivo recupero coatto delle somme concesse, con l'eventualità di incorrere in ipotesi di responsabilità erariale;
          se il Ministro possa indicare il preciso ammontare dei finanziamenti disposti per la realizzazione dell'aeroporto di Firenze. (5-07152)

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta in Commissione Rizzo e altri n.  5-07208 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n.  537 del 16 dicembre 2015. Alla pagina 31902, seconda colonna, alla riga ventesima deve leggersi: «se il Ministro sia a conoscenza dei fatti» e non come stampato.