XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 2 marzo 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 2 marzo 2016.

      Angelino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Greco, La Russa, Leva, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Molea, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

      Angelino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Greco, Guerra, La Russa, Leva, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Molea, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 1o marzo 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
          PASTORELLI: «Introduzione dell'articolo 71.1 della legge 22 aprile 1941, n.  633, in materia di esenzione dal pagamento dei diritti d'autore per la riproduzione o l'esecuzione di opere musicali, nelle manifestazioni promosse da associazioni di promozione sociale e organizzazioni non lucrative di utilità sociale» (3646).

      Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

      La proposta di legge REALACCI ed altri: «Disposizioni per la promozione e la disciplina del commercio equo e solidale» (75) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Baradello.

Assegnazione di progetti di legge a Commissione in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:
          XII Commissione (Affari sociali):
      FUCCI ed altri: «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» (3586) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
      BRIGNONE ed altri: «Modifiche al codice civile in materia di consenso informato, di dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari e di testamento biologico, nonché istituzione della banca di dati telematica nazionale dei testamenti biologici» (3599) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

      La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
      sentenza n.  32 del 27 gennaio – 17 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  584),
          con la quale:
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.  10, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Milano:
          alla II Commissione (Giustizia);
      sentenza n.  39 del 26 gennaio – 25 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  588),
          con la quale:
              dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale promossa, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, degli articoli 11 e 17, comma 1, della legge della regione Marche 17 novembre 2014, n.  29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n.  27 «Testo unico in materia di commercio», alla legge regionale 11 luglio 2006, n.  9 «Testo unico delle norme regionali in materia di turismo» e alla legge regionale 29 aprile 2008, n.  8 «Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale»), e dell'articolo 7, commi 2 e 3, della legge della regione Marche 13 aprile 2015, n.  16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n.  36 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015» e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n.  37 «Bilancio di previsione per l'anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017»);
          dichiara la cessazione della materia del contendere della questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13, della legge della regione Marche n.  29 del 2014, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
          alla X Commissione (Attività produttive);
      Sentenza n.  40 del 10 – 25 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  589),
          con la quale:
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 46, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.  89, promosse, in riferimento all'articolo 36 del regio decreto legislativo 5 maggio 1946, n.  455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e all'articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n.  1074 (Norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché in riferimento agli articoli 81, ultimo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione siciliana;
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 47, commi da 1 a 3 e da 5 a 7, del decreto-legge n.  66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all'articolo 36 del regio decreto legislativo n.  455 del 1946 e all'articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n.  1074 del 1965, dalla Regione siciliana;
              dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 46, commi 1 e 2, del decreto-legge n.  66 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all'articolo 43 del regio decreto legislativo n.  455 del 1946, dalla Regione siciliana;
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 46, comma 3, del decreto-legge n.  66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo n.  455 del 1946 e all'articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n.  1074 del 1965, nonché in riferimento agli articoli 81, ultimo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione siciliana;
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 47, comma 4, del decreto-legge n.  66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all'articolo 36 del regio decreto legislativo n.  455 del 1946 e all'articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n.  1074 del 1965, dalla Regione siciliana:
          alla V Commissione (Bilancio).

      La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
      con lettera in data 17 febbraio 2016, Sentenza n.  30 del 27 gennaio – 17 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  582),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 3, della legge della regione Piemonte 26 giugno 2006, n.  22 (Norme in materia di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente):
          alla IX Commissione (Trasporti);
      con lettera in data 17 febbraio 2016, Sentenza n.  31 del 27 gennaio – 17 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  583),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.  89, nella parte in cui si applica alla Regione siciliana;
              dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, limitatamente all'articolo 7, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge n.  66 del 2014;
              dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento, limitatamente all'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n.  66 del 2014, come convertito:
          alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze);
      con lettera in data 19 febbraio 2016, Sentenza n.  36 del 13 gennaio – 19 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  585),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n.  89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n.  89 del 2001;
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-bis, della legge n.  89 del 2001, nella parte in cui si applica alla durata del giudizio di legittimità previsto dalla legge n.  89 del 2001, sollevate, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Firenze, seconda sezione civile;
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-ter, della legge n.  89 del 2001, sollevate, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Firenze, seconda sezione civile;
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-bis, della legge n.  89 del 2001, nella parte in cui si applica alla durata del giudizio di legittimità previsto dalla legge n.  89 del 2001, sollevate, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Firenze, seconda sezione civile:
          alla II Commissione (Giustizia);
      con lettera in data 25 febbraio 2016, Sentenza n.  37 del 26 gennaio – 25 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  586),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 della legge della regione Puglia 14 novembre 2014, n.  47 (Norme in materia di organizzazione, riduzione della dotazione organica e della spesa del personale e attuazione del comma 529 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n.  147);
              dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2 della medesima legge della regione Puglia n.  47 del 2014, promossa, in riferimento agli articoli 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
          alla XI Commissione (Lavoro);
      con lettera in data 25 febbraio 2016, Sentenza n.  38 del 10 – 25 febbraio 2016 (Doc. VII, n.  587),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge della regione Puglia 5 dicembre 2014, n.  48, recante «Modifiche all'articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n.  4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica»:
          alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissioni dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

      Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 29 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 114, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n.  388, la relazione sullo stato di avanzamento delle attività di risanamento dei siti industriali dell'area di Bagnoli, aggiornata al 31 dicembre 2015 (Doc. CXXIX, n.  2).

      Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

      Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 29 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 180, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, la relazione recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, aggiornata al 31 dicembre 2015 (Doc. CCXXIV, n.  2).

      Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 1o marzo 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
          Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Quarta relazione sull'attuazione da parte della Georgia del piano d'azione sulla liberalizzazione dei visti (COM(2015) 684 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
          Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n.  994/2010 del Consiglio (COM(2016) 52 final), corredata dai relativi allegati (COM(2016) 52 final – Annexes 1 to 8) e documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2016) 26 final), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive). Tale proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 2 marzo 2016.

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

      Il Ministero dell'interno, con lettere in data 25 e 26 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Ariccia (Roma), Arienzo (Caserta), Borgia (Catanzaro), Boscotrecase (Napoli), Brescello (Reggio Emilia), Brindisi, Calice Ligure (Savona), Cassinetta di Lugagnano (Milano), Castel Giorgio (Terni), Cosenza, Dormelletto (Novara), Gragnano (Napoli), Lago (Cosenza), Laino Borgo (Cosenza), Montaldo Roero (Cuneo), Nucetto (Cuneo), Otricoli (Terni), Piode (Vercelli), Quagliuzzo (Torino), Rondanina (Genova), Rotondi (Avellino), San Giovanni in Persiceto (Bologna), San Pietro in Lama (Lecce), San Pietro Mosezzo (Novara), Sulmona (L'Aquila), Teggiano (Salerno), Viggianello (Potenza), Villa di Tirano (Sondrio), Zambrone (Vibo Valentia) e Zapponeta (Foggia).

      Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE: COSCIA ED ALTRI; PANNARALE ED ALTRI: ISTITUZIONE DEL FONDO PER IL PLURALISMO E L'INNOVAZIONE DELL'INFORMAZIONE E DELEGHE AL GOVERNO PER LA RIDEFINIZIONE DELLA DISCIPLINA DEL SOSTEGNO PUBBLICO PER IL SETTORE DELL'EDITORIA, DELLA DISCIPLINA DI PROFILI PENSIONISTICI DEI GIORNALISTI E DELLA COMPOSIZIONE E DELLE COMPETENZE DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI (A.C. 3317-3345-A)

A.C. 3317-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.
(Deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti).

      1. Per garantire maggiori coerenza, trasparenza ed efficacia al sostegno pubblico all'editoria, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, la previsione di misure per il sostegno agli investimenti delle imprese editrici, l'innovazione del sistema distributivo, il finanziamento di progetti innovativi nel campo dell'editoria presentati da imprese di nuova costituzione, nonché la previsione di misure a sostegno di processi di ristrutturazione e di riorganizzazione delle imprese editrici già costituite.
      2. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
              a) con riferimento ai destinatari dei contributi, parziale ridefinizione della platea dei beneficiari, ammettendo al finanziamento le imprese editrici che esercitano unicamente un'attività informativa autonoma e indipendente, di carattere generale, costituite:
              1) come cooperative giornalistiche, individuando per le stesse criteri in ordine alla compagine societaria e alla concentrazione delle quote in capo a ciascun socio;
              2) come enti senza fini di lucro;
              3) per un periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, come imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale sia detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti non aventi fini di lucro;
          b) mantenimento del finanziamento, con la possibilità di definire criteri specifici inerenti sia ai requisiti di accesso, sia ai meccanismi di calcolo dei contributi:
              1) per le imprese editrici di quotidiani e periodici espressione delle minoranze linguistiche;
              2) per le imprese e gli enti che editano periodici per non vedenti e per ipovedenti, prodotti con caratteri tipografici normali o braille, su nastro magnetico o su supporti informatici, in misura proporzionale alla diffusione e al numero delle uscite delle relative testate;
              3) per le associazioni dei consumatori, a condizione che risultino iscritte nell'elenco istituito dall'articolo 137 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206;
              4) per le imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani in lingua italiana editi e diffusi all'estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all'estero;
          c) esclusione dal finanziamento:
              1) degli organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali, dei periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico;
              2) di tutte le imprese editrici di quotidiani e periodici facenti capo a gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate in borsa;
          d) con riferimento ai requisiti per accedere ai contributi:
              1) riduzione a due anni dell'anzianità di costituzione dell'impresa editrice e di edizione della testata;
              2) regolare adempimento degli obblighi derivanti dal rispetto e dall'applicazione del contratto collettivo di lavoro, nazionale o territoriale, stipulato tra le organizzazioni o le associazioni sindacali dei lavoratori dell'informazione e delle telecomunicazioni e le associazioni dei relativi datori di lavoro, comparativamente più rappresentative;
              3) edizione in formato digitale dinamico e multimediale della testata per la quale si richiede il contributo, anche eventualmente in parallelo con l'edizione in formato cartaceo;
              4) obbligo per l'impresa di dare evidenza nell'edizione del contributo ottenuto nonché di tutti gli ulteriori finanziamenti ricevuti a qualunque titolo;
          e) con riferimento ai criteri di calcolo del contributo:
              1) superamento della distinzione tra testata nazionale e testata locale;
              2) graduazione del contributo in funzione del numero di copie annue vendute, prevedendo più scaglioni cui corrispondono quote diversificate di rimborso dei costi di produzione della testata e per copia venduta e, per le testate on line, in funzione dell'aggiornamento dei contenuti e del numero effettivo di utenti unici raggiunti;
              3) valorizzazione delle voci di costo legate alla trasformazione digitale dell'offerta e del modello imprenditoriale, anche mediante la previsione di un aumento delle relative quote di rimborso;
              4) previsione di criteri premiali per l'assunzione a tempo indeterminato di lavoratori di età inferiore ai 35 anni e per azioni di formazione e aggiornamento del personale;
              5) previsione di limiti massimi al contributo erogabile, in relazione all'incidenza percentuale del contributo sul totale dei ricavi dell'impresa e comunque nella misura massima del 50 per cento di tali ricavi;
          f) previsione di requisiti di accesso e di regole di erogazione dei contributi diretti quanto più possibile omogenei e uniformi per le diverse tipologie di imprese destinatarie;
          g) revisione e semplificazione del procedimento amministrativo per l'erogazione dei contributi a sostegno dell'editoria, anche con riferimento agli apporti istruttori demandati ad autorità ed enti esterni alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai fini dello snellimento dell'istruttoria e della possibilità di erogare i contributi con una tempistica più efficace per le imprese;
          h) introduzione di incentivi agli investimenti in innovazione digitale dinamica e multimediale, anche attraverso la previsione di modalità volte a favorire investimenti strutturali in piattaforme digitali avanzate, comuni a più imprese editrici, autonome e indipendenti;
          i) assegnazione di finanziamenti a progetti innovativi presentati da imprese editrici di nuova costituzione, mediante bandi indetti annualmente;
          l) con riferimento alla rete di vendita:
              1) accompagnamento del processo di progressiva liberalizzazione della vendita di prodotti editoriali, favorendo l'adeguamento della rete alle mutate condizioni, mitigando gli effetti negativi di breve termine, assicurando agli operatori parità di condizioni, ferma restando l'applicazione dell'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n.  192, anche al fine di migliorare la reale possibilità di fornitura adeguata alle esigenze dell'utenza del territorio e con divieto di sospensioni arbitrarie delle consegne, e garantendo in tutti i punti di vendita il pluralismo delle testate presenti;
              2) promozione, di concerto con le regioni, di un regime di piena liberalizzazione degli orari di apertura dei punti di vendita e rimozione degli ostacoli che limitano la possibilità di ampliare l'assortimento e l'intermediazione di altri beni e servizi, con lo scopo di accrescerne le fonti di ricavo potenziale;
              3) promozione di sinergie strategiche tra i punti di vendita, al fine di creare le condizioni per lo sviluppo di nuove formule imprenditoriali e commerciali;
              4) completamento in maniera condivisa e unitaria dell'informatizzazione delle strutture, al fine di connettere i punti di vendita e di costituire una nuova rete integrata capillare nel territorio;
          m) incentivazione fiscale degli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici, riconoscendo un particolare beneficio agli inserzionisti di micro, piccola o media dimensione e alle start up innovative.

      3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, nel rispetto della procedura di cui all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n.  400.
      4. Al fine di rendere l'accesso ai prepensionamenti per i giornalisti progressivamente conforme alla normativa generale sulle pensioni, nonché di razionalizzare la composizione e le attribuzioni del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ridefinizione della disciplina dei requisiti e dei criteri per il ricorso ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata di cui all'articolo 37, comma 1, lettera b), della legge 5 agosto 1981, n.  416, e la revisione della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.
      5. Nell'esercizio della delega di cui al comma 4, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
          a) ridefinizione, nella direzione di un allineamento con la disciplina generale sulle pensioni, dei requisiti di anzianità anagrafica e contributiva per l'accesso ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata previsti dall'articolo 37, comma 1, lettera b), della legge 5 agosto 1981, n.  416, prevedendo, in ogni caso, il divieto di mantenere un rapporto lavorativo con il giornalista che abbia ottenuto il trattamento pensionistico, e revisione della procedura per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editrici ai fini dell'accesso agli ammortizzatori sociali e ai prepensionamenti;
          b) riordino e razionalizzazione delle norme concernenti il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti nei seguenti ambiti:
              1) competenze in materia di formazione;
              2) procedimento disciplinare, prevedendo, in particolare, l'eliminazione della facoltà di cumulo delle impugnative dei provvedimenti in sede disciplinare con quelle giurisdizionali, stabilendo la loro natura alternativa, ferma restando la possibilità di proporre ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nel caso di impugnativa in sede disciplinare al Consiglio nazionale dell'Ordine;
              3) numero dei componenti, da stabilire nel numero massimo di 36 consiglieri, di cui due terzi giornalisti professionisti e un terzo pubblicisti, purché questi ultimi siano come tali titolari di una posizione previdenziale attiva presso l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani;
              4) adeguamento del sistema elettorale, garantendo la massima rappresentatività territoriale.

      6. I decreti legislativi di cui al comma 4 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, nonché, per l'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 5, di concerto con il Ministro della giustizia e sentito il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, nel rispetto della procedura di cui all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n.  400.
      7. Gli schemi dei decreti legislativi di cui ai commi 1 e 4, corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi siano espressi, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere adottati anche in mancanza dei pareri. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e di motivazione. Le Commissioni parlamentari esprimono il proprio parere entro venti giorni dalla trasmissione, decorsi i quali i decreti sono adottati.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 2.
(Deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti).

      Al comma 2, lettera e), numero 2) dopo le parole: copie annue vendute aggiungere le seguenti: comunque non inferiore al 25 per cento delle copie distribuite per la vendita.
2. 185. Brescia, Vacca, Simone Valente, Marzana, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 2, lettera e), numero 2) dopo le parole: copie annue vendute aggiungere le seguenti: comunque non inferiore al 30 per cento delle copie distribuite per la vendita.
2. 185.(Testo modificato nel corso della seduta) Brescia, Vacca, Simone Valente, Marzana, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.
(Approvato)

      Al comma 2, lettera e), numero 2) dopo le parole: copie annue vendute aggiungere le seguenti: comunque non inferiore al 25 per cento delle copie distribuite escluse quelle cedute a titolo gratuito.
2. 184. Brescia, Vacca, Simone Valente, Marzana, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 2, lettera e), numero 2) dopo le parole: copie annue vendute aggiungere le seguenti: comunque non inferiore al 25 per cento delle copie distribuite.
2. 186. Brescia, Vacca, Simone Valente, Marzana, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 2, lettera e), numero 2), sostituire le parole da: prevedendo più scaglioni fino alla fine del numero con le seguenti: se riferito a testata cartacea, e dell'aggiornamento dei contenuti e del numero effettivo di utenti registrati e verificati, se riferito a testata multimediale;
2. 156. Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli.

Subemendamento all'emendamento 2. 401 della Commissione.

      All'emendamento 2. 401 della Commissione, sostituire le parole da: che producano fino a: dei contenuti e con le seguenti:, regolarmente registrate presso la cancelleria di un tribunale che producano almeno cinque articoli originali al giorno, di cui almeno il 70 per cento d'informazione, garantiscano un aggiornamento quotidiano, pubblichino i propri contenuti esclusivamente on line, abbiano una redazione composta da almeno tre elementi e tenendo altresì conto.
0. 2. 401. 1. Brescia, Luigi Gallo, Vacca, Simone Valente, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Del Grosso.

      Al comma 2, lettera e), numero 2), sopprimere le parole da: e, per le testate on line fino alla fine del numero.

      Conseguentemente, alla medesima lettera, numero 3), aggiungere, in fine, le parole: e previsione di criteri di calcolo specifici per le testate on line che producano contenuti informativi originali, tenendo conto del numero dei giornalisti, dell'aggiornamento dei contenuti e del numero effettivo di utenti unici raggiunti.
2. 401. La Commissione.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 2, aggiungere il seguente:
      Art. 2-bis. – 1. All'articolo 16, della legge 3 febbraio 1963, n.  69, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al terzo comma, la parola: «500» è sostituita, ovunque ricorra, dalla seguente: «1.000».
          b) al quarto comma, la parola: «1.000» è sostituita, ovunque ricorra, dalla seguente: «2.000».
2. 0150. Vignali.

A.C. 3317-A – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.
(Nuove disposizioni per il riordino dei contributi alle imprese editrici).

      1. All'articolo 2 del decreto-legge 18 maggio 2012, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n.  103, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al comma 2, alinea, le parole: «il contributo, che non può comunque superare quello riferito all'anno 2010,» sono sostituite dalle seguenti: «il contributo, che non può comunque superare il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei ricavi dell'impresa editrice, riferiti alla testata per cui si chiede il contributo, al netto del contributo medesimo,»;
          b) al comma 4, il secondo periodo è soppresso;
          c) dopo il comma 7 è inserito il seguente:
              «7-bis. Il contributo è erogato in due rate annuali. La prima rata è versata entro il 30 maggio mediante anticipo di una somma pari al 30 per cento del contributo erogato all'impresa nell'anno precedente a quello per il quale si richiede il contributo. La seconda rata, a saldo, è versata entro il termine di conclusione del procedimento. All'atto dei pagamenti, l'impresa deve essere in regola con le attestazioni rilasciate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e con i versamenti dei contributi previdenziali e non deve risultare inadempiente in esito alla verifica di cui all'articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602».

      2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dai contributi relativi all'anno 2016.
      3. A decorrere dai contributi relativi all'anno 2016, le domande per l'ammissione al sostegno pubblico all'editoria, sottoscritte dal legale rappresentante dell'impresa editrice, sono presentate, per via telematica, dal 1o al 31 gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento del contributo, secondo le modalità pubblicate nel sito internet istituzionale del Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri. Le domande devono essere corredate dei documenti istruttori o delle dichiarazioni sostitutive attestanti: l'assetto societario, il numero dei giornalisti dipendenti associati, la mutualità prevalente, il divieto di distribuzione degli utili, l'anzianità di costituzione e di edizione della testata, la periodicità e il numero delle uscite, l'insussistenza di situazioni di collegamento o di controllo previste dall'articolo 3, comma 11-ter, della legge 7 agosto 1990, n.  250, e dall'articolo 1, comma 574, della legge 23 dicembre 2005, n.  266, l'iscrizione al registro delle imprese, gli estremi delle posizioni contributive presso istituti previdenziali, la proprietà o la gestione della testata. Le imprese editrici devono inoltre far pervenire nel medesimo termine un campione di numeri della testata edita. Entro il 30 settembre dell'anno successivo a quello di riferimento del contributo, le imprese editrici richiedenti devono produrre il bilancio di esercizio, corredato della nota integrativa e degli annessi verbali, e i prospetti dei costi e delle vendite; tale documentazione deve essere certificata da soggetti iscritti nel registro dei revisori legali, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.  39.
      4. A decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge:
          a) il comma 7-bis dell'articolo 1 del decreto-legge 18 maggio 2012, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n.  103, è abrogato;
          b) all'articolo 1, comma 3, della legge 7 marzo 2001, n.  62, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Il prodotto editoriale è identificato dalla testata intesa come il titolo del giornale, della rivista o di altra pubblicazione periodica, avente una funzione e una capacità distintiva nella misura in cui individua una pubblicazione».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 3 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 3.
(Nuove disposizioni per il riordino dei contributi alle imprese editrici)

Al comma 1, lettera a), sostituire la parola: 50 per cento con la seguente: 20 per cento.
3. 156. Brescia, Marzana, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

Al comma 1, lettera a), sostituire la parola: 50 per cento con la seguente: 25 per cento.
3. 155. Brescia, Marzana, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: 50 per cento con le seguenti: 70 per cento.
3. 158. De Girolamo.

      Al comma 1, lettera a), sostituire la parola: 50 per cento con la seguente: 30 per cento.
3. 2. Brescia, Marzana, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 1, lettera a), sostituire la parola: ricavi con la seguente: proventi.
3. 153. Alfreider, Catalano, Quintarelli, Galgano.
(Approvato)

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, secondo periodo, sostituire le parole da: 30 per cento del contributo erogato fino alla fine del periodo, con le seguenti: 70 per cento del contributo dovuto all'impresa nell'anno precedente a quello per il quale si richiede il contributo stesso, calcolato ai sensi del presente decreto.
3. 159. De Girolamo, Lainati, Palmieri, Occhiuto, Gullo.

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, quarto periodo, dopo le parole: contributi previdenziali aggiungere le seguenti: dei quali deve documentare l'avvenuto pagamento delle relative competenze,.
3. 150. Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli.

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, quarto periodo, dopo le parole: contributi previdenziali aggiungere le seguenti:, deve documentare l'avvenuto pagamento delle competenze dei giornalisti.
*3. 5. Lainati, Palmieri, Occhiuto, Gullo.

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, quarto periodo, dopo le parole: contributi previdenziali aggiungere le seguenti:, deve documentare l'avvenuto pagamento delle competenze dei giornalisti.
*3. 8. Molea, Monchiero.

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, quarto periodo, dopo le parole: contributi previdenziali aggiungere le seguenti:, deve documentare l'avvenuto pagamento delle competenze dei giornalisti.
*3. 151. Altieri, Latronico, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Ciracì, Distaso, Marti, Fucci.

      Al comma 1, lettera c), capoverso comma 7-bis, aggiungere, in fine, le parole:, inoltre deve documentare l'avvenuto pagamento delle competenze dei giornalisti.
3. 9. Simonetti, Borghesi, Caparini.

      Al comma 3, sopprimere il secondo periodo.
3. 157. Catalano.

      Al comma 4, lettera b), aggiungere, in fine, le parole:. Per quotidiano on line si intende quella testata giornalistica:
          a) regolarmente registrata presso una cancelleria di Tribunale;
          b) con una redazione composta da almeno 3 elementi di cui almeno 2 regolarmente iscritti all'Ordine dei Giornalisti, nell'elenco dei pubblicisti ovvero dei professionisti;
          c) che pubblica i propri contenuti giornalistici esclusivamente on line;
          d) che non sia un supplemento o versione telematica di una testata cartacea;
          e) che produce principalmente informazione, con un minimo quantificabile in almeno il 70 per cento dei contenuti pubblicati nel sito;
          f) che abbia una frequenza di aggiornamento quotidiano (tutti e 7 i giorni);
          g) con una produttività minima di almeno 5 articoli originali al giorno;
          h) che produca materiale informativo originale e non si configuri quindi come aggregatore di notizie ovvero ripubblicando totalmente o in prevalenza, in maniera automatica o manuale, i contenuti di altri siti, siano essi a loro volta quotidiani o meno. Lo stesso dicasi per comunicati stampa o lanci di agenzie che devono essere rielaborati al fine di essere considerati esclusivi.
3. 10. Brescia, Marzana, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Dopo l'articolo 3, aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.
      2. Chiunque agisca nel mondo dell'informazione, personalmente o tramite società, è obbligato ad iscriversi al registro di cui al comma 1.
      3. I soggetti di cui al comma 2 sono obbligati a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      4. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
3. 0157. Lainati, Palmieri, Occhiuto, Gullo.

      Dopo l'articolo 3, aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.
      2. Chiunque agisca, personalmente o tramite società, nel settore dell'informazione, è obbligato a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      3. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
*3. 01. Simonetti, Borghesi, Caparini.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.
      2. Chiunque agisca, personalmente o tramite società, nel settore dell'informazione, è obbligato a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      3. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
*3. 070. Molea, Monchiero.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.
      2. Chiunque agisca, personalmente o tramite società, nel settore dell'informazione, è obbligato a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      3. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
*3. 077. Altieri, Latronico, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Ciracì, Distaso, Marti, Fucci.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.      2. Chiunque agisca, personalmente o tramite società, nel settore dell'informazione, è obbligato a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      3. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
*3. 0152. Fava, Giancarlo Giordano, Pannarale, Carlo Galli.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Istituzione del registro degli editori).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituto il registro delle imprese operanti nel settore dell'editoria.
      2. Chiunque agisca, personalmente o tramite società, nel settore dell'informazione, è obbligato a segnalare tutte le partecipazioni societarie, dirette o indirette, delle quali è titolare.
      3. Il registro e gli aggiornamenti del medesimo sono pubblicati nel sito della Presidenza del Consiglio dei ministri.
*3. 0154. Vignali.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 094. Lainati, Palmieri, Occhiuto, Gullo.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 0150. Vignali.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 0155. Altieri, Latronico, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Ciracì, Distaso, Marti, Fucci.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 0158. Bueno.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 0160. Simonetti, Borghesi, Caparini.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga dei termini per l'equo compenso).

      1. Il comma 4 dell'articolo 2 della legge 31 dicembre 2012, n.  233, è sostituito dal seguente:
      «4. La Commissione dura in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso e al completamento di tutti gli altri adempimenti previsti dal comma 3».
**3. 0200. Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 074. Molea, Monchiero.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 076. Lainati, Palmieri, Occhiuto, Gullo.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 0151. Vignali.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 0153. Fava, Giancarlo Giordano, Pannarale, Carlo Galli.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 0156. Altieri, Latronico, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Ciracì, Distaso, Marti, Fucci.

      Dopo l'articolo 3 aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Equiparazione delle tutele per giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti).

      1. All'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, è aggiunto in fine il seguente comma:
      «4. Nella valutazione giudiziaria del trattamento giuridico ed economico delle prestazioni di lavoro giornalistico degli iscritti non si tiene conto dell'appartenenza all'elenco professionisti o pubblicisti.»
*3. 0161. Simonetti, Borghesi, Caparini.

      Dopo l'articolo 3, aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Esercizio della professione di giornalista).

      1. L'articolo 45 della legge 3 febbraio 1963, n.  69 è sostituito dal seguente:
      «Art. 45. – Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti, ovvero in quello dei pubblicisti, dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave.»
3. 0400. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 3317-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.
(Nuove disposizioni per la vendita dei giornali).

      1. A decorrere dal 1o gennaio 2017, i punti di vendita esclusivi assicurano la parità di trattamento nella vendita delle pubblicazioni regolari in occasione della loro prima immissione nel mercato. Per pubblicazioni regolari si intendono quelle che hanno già effettuato la registrazione presso il tribunale, che sono diffuse al pubblico con periodicità regolare, che rispettano tutti gli obblighi previsti dalla legge 8 febbraio 1948, n.  47, e che recano stampati sul prodotto e in posizione visibile la data e la periodicità effettiva, il codice a barre e la data di prima immissione nel mercato.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 4.
(Nuove disposizioni per la vendita dei giornali)

      Al comma 1, primo periodo, sopprimere la parola: esclusivi.
4. 1. Brescia, Marzana, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo.

      Al comma 1, dopo il primo periodo, aggiungere il seguente: Di conseguenza, anche l'obbligo da parte dei distributori è così rimodulato.
4. 150. Tidei, Casati.

      Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
      2. Le imprese di distribuzione nell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 16, primo comma, della legge 5 agosto 1981, n. 416, si adeguano alle disposizioni di cui al comma 1, primo periodo.
4. 150.(Testo modificato nel corso della seduta) Tidei, Casati.
(Approvato)

A.C. 3317-A – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 5
(Norme di coordinamento).

      1. All'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n.  208, sono abrogati la lettera b) del comma 160 e il comma 162.
      2. All'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n.  208, le parole: «del Fondo di cui alla lettera b) del comma 160» sono sostituite dalle seguenti: «del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione istituito nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri».
      3. All'articolo 51 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n.  177, il comma 10 è sostituito dal seguente:
      «10. Le somme versate a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni previste dal presente articolo sono versate nel Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione istituito nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri».

      4. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinate le modalità di versamento del contributo di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e).

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 5 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 5.
(Norme di coordinamento)

      Dopo il comma 2, aggiungere i seguenti:
      3. All'articolo 16, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n.  69, la parola: «500» è sostituita dalla seguente: «1.000».
      4. All'articolo 16, quarto comma, della legge 3 febbraio 1963, n.  69, la parola: «1.000» è sostituita dalla seguente: «2.000».
5. 1. Simonetti, Borghesi, Caparini.

      Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
      3. All'articolo 26 del decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89, il comma 1-bis è abrogato.
5. 3. Brunetta, Lainati, Palmieri, Gullo.

      Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
      3. All'articolo 2, comma 2, lettera b), del decreto-legislativo 15 giugno 2015, n.  81, sono aggiunte, in fine, le parole: «ad eccezione dei giornalisti per i quali, sulla base delle disposizioni normative che ne disciplinano l'esercizio professionale, le attività possano essere svolte nell'ambito di rapporti di lavoro subordinato e alle quali, pertanto, si applica il disposto di cui comma 1.».
5. 2. Martelli, Andrea Maestri, Brignone, Locatelli, Pastorelli.

      Dopo il comma 4, aggiungere il seguente:
      5. In sede di prima applicazione, per l'esercizio finanziario 2016, le risorse di cui all'articolo 1, comma 2, lettere a) e b), sono mantenute negli stati di previsione rispettivamente della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico ai fini dell'esecuzione degli interventi già programmati a valere su di esse.
5. 401. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 3317-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento appena approvato, al fine di assicurare l'attuazione dei principi costituzionali di libertà e di pluralismo dell'informazione a livello nazionale e locale, nonché di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita, la capacità delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo, e lo sviluppo di nuove imprese editoriali anche nel campo dell'informazione digitale, ha istituito nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione;
          il Fondo è annualmente ripartito tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dello sviluppo economico, per gli interventi di rispettiva competenza, sulla base dei criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione dello schema di decreto, decorsi i quali esso è comunque adottato;
          con l'istituzione del fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, di durata quinquennale, si delega al Governo alla ridefinizione della disciplina dei contributi;
          esso giunge dopo la chiusura di numerose testate di informazione che hanno determinato una riduzione del pluralismo;
          i destinatari dei contributi pubblici sono le imprese editrici di quotidiani e periodici che esercitano un'attività informativa autonoma e indipendente, di carattere generale, che concorre a garantire il diritto dei cittadini a essere informati da una pluralità di fonti al fine di esercitare in modo libero e consapevole i diritti civili e politici sanciti dalla Costituzione e le imprese editrici costituite come cooperative giornalistiche, gli enti senza fini di lucro e, per un periodo di tre anni dall'entrata in vigore della legge, le imprese editrici di quotidiani la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali senza fini di lucro,

impegna il Governo

ad adottare, con i primi provvedimenti ritenuti utili al raggiungimento dello scopo, ovvero la maggiore garanzia del pluralismo e l'innovazione dell'informazione, interventi che amplino tale diritto, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al fine di promuovere la funzione sociale dell'informazione plurale, locale e nazionale, di genere e su specifici aspetti della vita politica, economica e sociale.
9/3317-A/1. Matarrelli.


      La Camera,
          premesso che:
              secondo consolidata dottrina e giurisprudenza, la libertà di essere informati è un valore costituzionale «idoneo a giustificare norme positive volte a garantire la pluralità delle fonti di informazione e la partecipazione dei cittadini all'elaborazione e al controllo delle informazioni» (Barile, Grassi, 1983; cfr. Valastro, Commento art. 21 Cost.);
              la dottrina ha da tempo individuato nei commi 1 e due dell'articolo 33 Cost. la fonte di un obbligo per i poteri pubblici di promuovere la formazione e la cultura del rispetto del pluralismo;
              l'articolo 117 Cost. attribuisce alle Regioni, a titolo di competenza concorrente, la materia dell’«istruzione» e riserva allo Stato «le norme generali sull'istruzione» nonché «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
              dal combinato disposto delle norme costituzionali sopra citate discende la responsabilità dei pubblici poteri in ordine alla promozione di un approccio pluralistico all'informazione nelle scuole, nel rispetto delle competenze delle Regioni e dell'autonomia scolastica;
              il testo originario del disegno di legge n.  3317, all'articolo 3 comma 2 lettera m), nell'ambito della delega di cui al comma 1 del medesimo articolo, prevedeva quale criterio direttivo la promozione di iniziative per la lettura dei quotidiani on line nelle scuole di ogni ordine e grado, prevedendo agevolazioni e accordi con gli editori;
              l'attuale testo unificato non prevede la disposizione di cui al punto precedente,

impegna il Governo

a prendere in considerazione l'opportunità di fare quanto di propria competenza, nel rispetto delle prerogative delle Regioni e dell'autonomia scolastica, per promuovere o incentivare la lettura dei quotidiani on line nelle scuole di ogni ordine e grado, nel rispetto del pluralismo culturale e informativo.
9/3317-A/2. Gregorio Fontana.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo unificato all'esame dell'Aula, attraverso una delega al Governo, è volto a rivedere la disciplina del sostegno pubblico all'editoria, nonché quella relativa ai prepensionamenti dei giornalisti e al Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, oltre ad istituire un apposito Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione;
              il testo unificato interviene, altresì, recando nuove disposizioni per la vendita dei giornali (articolo 4), con particolare riguardo ai periodici di nuova immissione nel mercato;
              sussiste tuttavia un ulteriore problema sulla vendita porta a porta e la vendita ambulante dei giornali, soprattutto perché Poste Italiane sta riducendo il servizio sempre di più e, per il futuro, in determinate zone prevede la consegna a giorni alterni;
              in diversi Paesi europei, gli editori di giornali hanno la possibilità di avvalersi di lavoratori autonomi, nonché di studenti e pensionati, per la consegna dei giornali, soprattutto dei quotidiani, e sarebbe ragionevole prevedere almeno l'utilizzo di voucher di lavoro occasionale, magari prevedendo un tetto massimo fruibile per ciascun editore ed edicolante, fissato per esempio in 15 mila euro lorde annue per prestatore occasionale;
              tale ipotesi rappresenta una soluzione ragionevole e facilmente praticabile per riuscire a mantenere il servizio di consegna giornaliero, anche per sopperire ai problemi di consegna che si stanno determinando a seguito della riorganizzazione di Poste Italiane;

impegna il Governo

a prevedere, nei decreti attuativi previsti dalle deleghe contenute nel presente testo unificato, la possibilità che gli editori e gli edicolanti possano continuare a garantire la quotidiana distribuzione dei giornali anche attraverso il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale, anche con l'utilizzo dei voucher, stabilendo un tetto massimo fruibile per ciascun prestatore occasionale, come indicato in premessa.
9/3317-A/3. Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo unificato all'esame dell'Aula, attraverso una delega al Governo, è volto a rivedere la disciplina del sostegno pubblico all'editoria, nonché quella relativa ai prepensionamenti dei giornalisti e al Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, oltre ad istituire un apposito Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione;
              il testo unificato interviene, altresì, recando nuove disposizioni per la vendita dei giornali (articolo 4), con particolare riguardo ai periodici di nuova immissione nel mercato;
              sussiste tuttavia un ulteriore problema sulla vendita porta a porta e la vendita ambulante dei giornali, soprattutto perché Poste Italiane sta riducendo il servizio sempre di più e, per il futuro, in determinate zone prevede la consegna a giorni alterni;
              in diversi Paesi europei, gli editori di giornali hanno la possibilità di avvalersi di lavoratori autonomi, nonché di studenti e pensionati, per la consegna dei giornali, soprattutto dei quotidiani, e sarebbe ragionevole prevedere almeno l'utilizzo di voucher di lavoro occasionale, magari prevedendo un tetto massimo fruibile per ciascun editore ed edicolante, fissato per esempio in 15 mila euro lorde annue per prestatore occasionale;
              tale ipotesi rappresenta una soluzione ragionevole e facilmente praticabile per riuscire a mantenere il servizio di consegna giornaliero, anche per sopperire ai problemi di consegna che si stanno determinando a seguito della riorganizzazione di Poste Italiane;

impegna il Governo

a valutare la possibilità che, nei decreti attuativi previsti dalle deleghe contenute nel presente testo unificato, gli editori e gli edicolanti possano continuare a garantire la quotidiana distribuzione dei giornali anche attraverso il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale, anche con l'utilizzo dei voucher, stabilendo un tetto massimo fruibile per ciascun prestatore occasionale, come indicato in premessa.
9/3317-A/3.    (Testo modificato nel corso della seduta) Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1 del provvedimento in esame istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione finalizzato ad assicurare la piena attuazione dei principi di cui all'articolo 21 della Costituzione in materia di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell'informazione a livello nazionale e locale, e ad incentivare l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e vendita, la capacità delle imprese editoriali di investire e di acquistare posizioni di mercato sostenibili nel tempo, nonché lo sviluppo di nuove imprese editoriali anche nel settore dell'informazione digitale;
              l'articolo 2, commi 1 e 2 del provvedimento in esame delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati, in particolare, a ridefinire la disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici e a incentivare gli investimenti per l'innovazione dell'offerta informativa;
              sebbene alcuni mercati dell'editoria europea stiano vivendo operazioni di concentrazione della proprietà volte ad avviare una comprensibile esigenza di razionalizzazione dei costi, è forte nel nostro Paese il rischio derivante dalla creazione di posizioni dominanti che, per loro caratura, risultano inusuali per lo stesso mercato dell'Unione europea;
              la concentrazione di tali posizioni dominanti rischierebbe di creare situazioni di quasi monopolio, tanto più inaccettabili in un settore sensibile come l'editoria per la rilevanza che questo comparto riveste nel pluralismo dell'informazione, della stessa libertà di pensiero e della libera circolazione delle idee, indispensabili per quel confronto tra le diversità che garantisce la crescita civile e culturale di qualsiasi moderna democrazia occidentale;
              le posizioni di egemonia avrebbero inevitabilmente effetti regressivi in un settore già in profonda crisi, con esiziali ricadute sulla situazione occupazionale derivante dall'accorpamento delle reti di gestione e di vendita;
              la differenziazione dell'offerta e la piena concorrenza nel settore dell'informazione risulta fondamentale anche per incentivare gli investimenti delle imprese editoriali di nuova costituzione finalizzati all'innovazione digitale dinamica e multimediale e all'ingresso di giovani professionisti;
              la tutela della libertà e del pluralismo del mercato dell'editoria italiana rappresentano un asset nevralgico per la cultura del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nell'ambito dei decreti legislativi di cui sopra, misure volte a dissuadere, ovvero a sanzionare l'eventuale configurazione di concentrazioni della proprietà nel mercato dell'editoria.
9/3317-A/4. Vargiu, Matarrese, Molea.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge «Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti» all'articolo 2 delega il Governo anche alla ridefinizione della composizione e delle attribuzioni del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti;
              in particolare si prevede una riduzione del numero dei componenti fino ad un massimo di 36, di cui due terzi professionisti e un terzo pubblicisti;
              attualmente gli iscritti all'Albo risultano essere 28.972 professionisti e 75.498 pubblicisti;
          considerato che:
              il sistema elettorale vigente garantisce la rappresentanza di tutte le singole regioni, cosa che sarebbe impossibile assicurare con un numero di 36 consiglieri, 12 dei quali andrebbero infatti a costituire dopo l'elezione il Consiglio nazionale di disciplina, impedendo al Consiglio dell'Ordine di onorare gli impegni che derivano da leggi e regolamenti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a ridurre la composizione del Consiglio dell'ordine dei giornalisti fino ad un massimo di 60 consiglieri, di cui tre quinti giornalisti professionisti e due quinti pubblicisti.
9/3317-A/5. Molea, Monchiero.


      La Camera,
          premesso che:
              l'editoria ed in particolare il settore dell'informazione ha fatto registrare nel Mezzogiorno una crisi nella crisi;
              si legge poco e si legge meno, e si comprano sempre meno giornali;
              nel Mezzogiorno meno di una persona su tre ha letto almeno un libro determinando una diminuzione sistematica del fatturato delle case editrici, che, soprattutto al Sud, trovano difficoltà a sopravvivere in un mercato sempre più accentrato in poche mani;
              lo stesso discorso vale per la lettura dei quotidiani e per il sistema radiotelevisivo locale;
              nel corso degli ultimi anni hanno chiuso giornali, redazioni locali e sempre più ci si affida a service con contratti capestro ai limiti dello sfruttamento;
              la qualità della stampa è indice della qualità della democrazia;
              le Regioni spesso intervengono in modo frammentato e disorganico trattando in maniera diversa situazioni omogenee determinando un aggravarsi delle differenze da territorio a territorio con una evidente penalizzazione dei contesti più fragili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere misure di sostegno a tutela del pluralismo dell'informazione nel Mezzogiorno in considerazione della drammaticità della situazione in cui versano molte testate per la debolezza del tessuto economico e la pervasività di interessi non sempre legali nonché a prevedere annualmente uno specifico rapporto sulla condizione dell'informazione nel Mezzogiorno da presentare al Parlamento.
9/3317-A/6. Burtone, Cardinale.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, tra i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega di cui all'articolo 2, riguardante il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, prevede la riduzione del numero dei componenti fino ad un massimo di 36, di cui due terzi professionisti e un terzo pubblicisti, purché questi ultimi abbiano, come tali, una posizione previdenziale attiva presso l'istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani;
              in base all'estensione territoriale risultano al Consiglio nazionale dell'Ordine più o meno iscritti, tale ridimensionamento del consiglio porterebbe possibili discriminazioni tra le varie regioni,

impegna il Governo:

          nell'esercizio della delega di cui all'articolo 2, ad intervenire affinché vengano trovate le misure giuridiche congrue a garantire in Consiglio la presenza dei rappresentanti di tutte le regioni;
          a garantire – altresì – i diritti dei pubblicisti che subiscono contratti che prevedono versamenti di contributi ad altri istituti di previdenza e non all'Inpgi.
9/3317-A/7. Zoggia.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, tra i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega di cui all'articolo 2, riguardante il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, prevede la riduzione del numero dei componenti fino ad un massimo di 36, di cui due terzi professionisti e un terzo pubblicisti, purché questi ultimi abbiano, come tali, una posizione previdenziale attiva presso l'istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani;
              in base all'estensione territoriale risultano al Consiglio nazionale dell'Ordine più o meno iscritti, tale ridimensionamento del consiglio porterebbe possibili discriminazioni tra le varie regioni,

impegna il Governo:

          nell'esercizio della delega di cui all'articolo 2, ad intervenire affinché vengano trovate le misure giuridiche congrue a garantire in Consiglio la presenza di rappresentanti di tutte le regioni.
9/3317-A/7.    (Testo modificato nel corso della seduta) Zoggia.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge «Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all'editoria» prevede all'articolo 2 criteri direttivi per la revisione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici e a incentivare gli investimenti per l'innovazione dell'offerta formativa;
          considerato che:
              lo Sport ha una dimensione multi fattoriale. Fenomeno di alta spettacolarità, su cui si muovono investimenti ingenti in strutture, tecniche e tecnologie. Fenomeno che investe in modo crescente la vita del territorio e delle persone, determinandone il livello di salute, di socialità, di sostenibilità e perché no, di sviluppo economico;
              la legge 107/2015 prevede l'introduzione dell'attività motoria fin dalle classi elementari e promuove un'educazione alimentare abbinata all'attività fisica per combattere l'obesità infantile e rispondere all'esigenza della riduzione della spesa sanitaria;
              lo sport favorisce l'integrazione, è una valida risposta alla dispersione scolastica e, nelle periferie degradate è un efficace mezzo per impedire ai giovani di cedere alle lusinghe della criminalità;
              i giovani hanno bisogno di modelli positivi da emulare, di regole e di attività fisica e per questo, la promozione dello sport va incoraggiata con ogni mezzo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere contributi diretti anche a quelle imprese editrici di testate che promuovono l'attività sportiva.
9/3317-A/8. Vezzali, Molea.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge «Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all'editoria» prevede all'articolo 2 criteri direttivi per la revisione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici e a incentivare gli investimenti per l'innovazione dell'offerta formativa;
          considerato che:
              lo Sport ha una dimensione multi fattoriale. Fenomeno di alta spettacolarità, su cui si muovono investimenti ingenti in strutture, tecniche e tecnologie. Fenomeno che investe in modo crescente la vita del territorio e delle persone, determinandone il livello di salute, di socialità, di sostenibilità e perché no, di sviluppo economico;
              la legge 107/2015 prevede l'introduzione dell'attività motoria fin dalle classi elementari e promuove un'educazione alimentare abbinata all'attività fisica per combattere l'obesità infantile e rispondere all'esigenza della riduzione della spesa sanitaria;
              lo sport favorisce l'integrazione, è una valida risposta alla dispersione scolastica e, nelle periferie degradate è un efficace mezzo per impedire ai giovani di cedere alle lusinghe della criminalità;
              i giovani hanno bisogno di modelli positivi da emulare, di regole e di attività fisica e per questo, la promozione dello sport va incoraggiata con ogni mezzo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere sostegni anche a quelle imprese editrici di testate che promuovono l'attività sportiva.
9/3317-A/8.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vezzali, Molea.


      La Camera,
          premesso che:
              in una società civile, evoluta e democratica il sistema dei mezzi di comunicazione diventa fondamentale;
              comunicazione e informazione sono due concetti che viaggiano di pari passo e hanno un'importanza fondamentale nella crescita di un paese;
              quando si parla di emittenza o editoria si è portati a pensare ai grossi gruppi televisivi, radiofonici o della carta stampata, non meno importante, seppure con una visibilità e una conoscenza più limitata è il sistema di comunicazione e informazione locale;
              ossia quel mondo fatto di piccole pubblicazioni, di radio e televisioni che hanno un bacino d'utenza circoscritto al territorio regionale e spesso al solo territorio provinciale. È il cosiddetto sistema locale che si sposa con quello globale e che molto spesso deve fare i conti con la crisi, che non riguarda solo questo settore ma spesso l'intera economia;
              ebbene, in tanti però sottovalutano la vera importanza che il sistema di editoria locale, quella delle piccole emittenti, radiofoniche e televisive rivestono nei territori. Sui grandi media non sempre si trovano gli spazi per far sì che le informazioni, anche di pubblica utilità ma troppo locali, possano trovare spazio. Nasce quindi un vuoto informativo che viene ricoperto dalle emittenti e dalle testate multimediali locali;
              proprio qui assume valore notevole l'emittenza e l'editoria locale offrendo un servizio ai cittadini. Basti pensare alle numerose informazioni che i radiogiornali locali offrono agli ascoltatori, o le notizie cittadine che vengono date dal tg di un emittente cittadina o locale. Una miriade di informazioni che altrimenti non avrebbero spazio. Purtroppo, ma è chiaro a tutti e abbastanza evidente, nonostante l'aspetto positivo e l'importanza del valore svolto le piccole emittenti, devono fare i conti con la crisi e con gli introiti pubblicitari che si riducono in maniera vertiginosa, con la conseguenza che spesso si trovano costrette a chiudere;
              e molto spesso, non basta neppure il sacrificio e la volontà degli addetti ai lavori a superare le difficoltà che si presentano quotidianamente. Diventa fondamentale, quindi, che alle realtà, soprattutto locali, venga garantito un sostegno che non deve essere visto come un contributo assistenziale ma come un riconoscimento del lavoro sociale che viene svolto;
              ogni emittente che spegne il suo segnale, ogni giornale che cessa le sue pubblicazioni, on line o cartacee è una sconfitta per la democrazia e per i cittadini,

impegna il Governo

a monitorare costantemente il settore nonché a valutare l'opportunità di prevedere misure congrue di sostegno economico e di regole a tutela di un settore così importante per il nostro paese quale quello appunto delle piccole emittenti televisive e radiofoniche locali, nonché delle piccole testate giornalistiche.
9/3317-A/9. Cani, Pes.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame prevede tra le diverse tipologie di organi di stampa che accederanno al finanziamento pubblico anche quelli espressione delle minoranze linguistiche;
              Per tali quotidiani e periodici si prevede la possibilità di definire nella delega al Governo di cui all'articolo 2, specifici criteri sia per quanto riguarda l'accesso, sia per quanto riguarda i meccanismi di calcolo dei contributi;
              Considerato che gli organi di stampa delle minoranze linguistiche, per loro stessa natura si rivolgono ad un target di lettori più ridotto e perciò non in grado di sottostare agli stessi parametri previsti per la generalità dell'editoria;
              per le minoranze linguistiche la stampa pubblicata nelle lingue di riferimento svolge un ruolo insostituibile per la valorizzazione delle stesse – talvolta addirittura la sopravvivenza – e inerisce ad uno dei diritti fondamentali delle minoranze, riconosciuti e tutelati dalla normativa vigente e da diversi documenti e convenzioni internazionali;
              i tagli apportati al Fondo per l'editoria negli ultimi anni hanno messo in grande difficoltà alcune delle testate di cui sopra, che hanno dovuto dichiarare lo stato di crisi o hanno addirittura annunciato la loro cessazione,

impegna il Governo:

          a prevedere per gli organi di stampa delle minoranze linguistiche un congruo finanziamento in grado di garantire la necessaria qualità e l'attuale dimensionamento degli stessi;
          a prevedere nella stesura delle deleghe di cui all'articolo 2 criteri che – tenendo conto delle specificità, che caratterizzano questi organi di stampa – non li penalizzi rispetto ai seguenti aspetti: la conformazione societaria delle case editrici, il riferimento del contributo alla diffusione, ai ricavi e alla raccolta pubblicitaria.

9/3317-A/10. Blazina, Alfreider.


      La Camera,
          premesso che:
              l'attività di «rassegna stampa», secondo quanto prescritto dalla convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie del 1886 che ne riconosce la liceità, è «un insieme di citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo»;
              la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale conferma che la libertà di informazione di cui all'articolo 21 contempla anche un profilo passivo, che va identificato nel diritto a ricevere notizie e quindi ad essere informati, e le rassegne stampa concorrono con la loro attività a rendere possibile l'esercizio di tale diritto;
              nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare svolta dalla Commissione Cultura, l'Unione Stampa Periodica Italiana ha sollecitato una regolamentazione del tema delle rassegne stampa, o attraverso una disposizione di legge, o attraverso accordi tra privati che avvengano alla presenza del Governo, invitando la Commissione a valutare l'inserimento di una specifica norma di indirizzo nei provvedimenti in esame;
              nello stesso contesto, anche la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha sottolineato l'urgenza di un intervento legislativo che preveda l'obbligo per i soggetti che esercitano attività di rassegna stampa di corrispondere un compenso agli autori e agli editori, che venga definito e ripartito sulla base di un confronto tra i soggetti rappresentativi del settore, sia di parte editoriale che giornalistica;
              il comparto delle società che offrono servizi di rassegna stampa rappresenta un'importante risorsa per una pluralità di soggetti, occupando oltre 600 dipendenti in Italia con circa euro 40 milioni di fatturato totale;
              il tema della corresponsione di un compenso equo in relazione alle rassegne stampa è stato posto all'attenzione del Parlamento con iniziative legislative da parte di tre diversi Governi (Prodi I, D'Alema, Prodi II) nell'arco degli ultimi 20 anni, senza però concretizzarsi in nessuna novella normativa;
              nel maggio 2015 in occasione della convocazione delle associazioni della filiera dell'Editoria da parte del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Lotti, anche il settore delle rassegne stampa aveva ribadito la disponibilità a riconoscere, con un accordo istituzionale davanti a un «garante pubblico», un compenso per l'inserimento nelle rassegne stampa di contenuti tratti dai media;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, anche in via normativa, per favorire il raggiungimento di un accordo tra le parti, di fronte ad un garante pubblico, che identifichi un ente unico collettore dell'equo compenso, capace di assicurare terzietà ed unificare la raccolta dei compensi e la copertura di tutti i soggetti interessati.
9/3317-A/11. Rubinato.


      La Camera,
          premesso che:
              gli articoli 66 e 122 del decreto legislativo n.  163 del 2006, Codice degli appalti, e l'articolo 32 della legge 69 del 2009 disciplinano le modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi relativi a tutti i contratti nei settori ordinari di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria (cd. appalti sopra soglia) e ai contratti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria (cd. appalti sotto soglia), nel senso di prevedere la pubblicazione soltanto in versione telematica;
              la legge n.  69 del 2009, articolo 32, opera una distinzione tra gli effetti legali delle modalità di pubblicazione e gli obblighi di pubblicazione che rimangono sanciti dall'articolo 66 del Codice degli appalti, riducendo la pubblicazione sui quotidiani a mera facoltà e introducendo l'imputazione dell'effetto di pubblicità legale in carico ai siti informatici;
              a partire dal 1o gennaio 2013 le amministrazioni pubbliche avrebbero quindi potuto, in via integrativa, prevedere la pubblicazione sui quotidiani solo ai fini di una maggiore diffusione delle informazioni;
              sono stati numerosi gli interventi normativi in materia di pubblicità di avvisi e bandi per l'affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che hanno prorogato di anno in anno queste norme, prevedendo l'obbligo di pubblicazione sui quotidiani dei bandi in contrasto con la politica di spending review;
              l'ultima proroga è contenuta nel decreto-legge milleproroghe recentemente approvato (decreto-legge n.  210 del 2015),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire in direzione di una reale modernizzazione della gestione della Pubblica amministrazione, nel senso della digitalizzazione delle procedure e quindi di attuare nel più breve tempo possibile le norme in materia di pubblicazione digitale dei bandi e di non contemplare ulteriormente l'obbligo di pubblicazione su quotidiani nazionali cartacei.
9/3317-A/12. Brunetta.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo in esame istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, a cui affluiscono le risorse statali destinate al sostegno dell'editoria quotidiana e periodica, anche digitale, comprese quelle del Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria, istituito, per il triennio 2014-2016, nonché le risorse statali destinate all'emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale, comprese quelle iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;
              la destinazione delle risorse del Fondo assegnate alla Presidenza del Consiglio dei ministri per gli interventi di competenza è stabilita annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del sottosegretario appositamente delegato. I criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo destinate alle emittenti radiofoniche e televisive locali continuano, invece, ad essere disciplinati con un atto distinto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ossia con regolamento di delegificazione,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa volta al mantenimento delle risorse già stanziate a favore delle emittenti televisive locali, finché non vi sia alcuna riduzione rispetto a quanto già assegnato prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame.
9/3317-A/13. Occhiuto.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di legge all'esame delega il Governo all'esercizio della funzione legislativa in materia di ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici;
              in particolare l'articolo 2, al comma 2, lettera a), reca i principi e i criteri direttivi relativi alla definizione della platea dei beneficiari,

impegna il Governo

a introdurre, nell'esercizio della funzione legislativa delegata, misure idonee ad impedire che possa accedere al contributo un'impresa che risulti collegata, controllata o controllante di altra impresa già beneficiaria ovvero che risulti controllata dallo stesso soggetto o dalla stessa impresa che eserciti il controllo sulla beneficiaria.
9/3317-A/14. Luigi Gallo.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di legge all'esame delega il Governo all'esercizio della funzione legislativa in materia di ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici;
              in particolare l'articolo 2, al comma 2, lettera a), reca i principi e i criteri direttivi relativi alla definizione della platea dei beneficiari,

impegna il Governo

a verificare, nell'esercizio della funzione legislativa delegata, l'osservanza delle misure idonee ad impedire che possa accedere al contributo un'impresa che risulti collegata, controllata o controllante di altra impresa già beneficiaria ovvero che risulti controllata dallo stesso soggetto o dalla stessa impresa che eserciti il controllo sulla beneficiaria.
9/3317-A/14.    (Testo modificato nel corso della seduta) Luigi Gallo.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 2 della Legge in discussione «Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti», si delega al Governo «la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria»;
              che al comma 2 nell'esercizio della delega la lettera a) prevede criteri in riferimento ai destinatari dei contributi e una parziale ridefinizione della platea dei beneficiari;
              che alla lettera e) dello stesso comma al punto 2) è prevista una graduazione del contributo in funzione del numero di copie annue vendute, prevedendo più scaglioni cui corrispondono quote diversificate di rimborso dei costi di produzione della testata e per copia venduta e, per le testate on line, in funzione dell'aggiornamento dei contenuti e del numero effettivo di utenti unici raggiunti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire criteri particolari per piccole testate periodiche, con significative concentrazioni territoriali di vendita e distribuzione, in particolari situazioni di dispersione territoriale e con bassa densità abitativa, nelle quali queste svolgano una funzione di legame comunitario.
9/3317-A/15. Taricco.


      La Camera,
          in sede di esame del disegno di legge recante Istituzione del Fondo per il Pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti,
          premesso che:
              il pluralismo dell'informazione si fonda sul principio costituzionale della libera manifestazione del pensiero e sul diritto dei cittadini di informare e di essere informati per concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese;
              la Repubblica, in tutte le sue articolazioni, ne riconosce l'importanza come strumento formativo della collettività e pertanto tutela, valorizza e sostiene la produzione e la diffusione di programmi radiotelevisivi di interesse generale;
              le tv locali, considerata la copertura capillare su tutto il territorio nazionale, sono a pieno titolo soggetto di servizio pubblico, in grado di garantire il pluralismo dell'informazione, in molti casi meglio della concessionaria pubblica;
              una parte fissa del canone rai dovrebbe essere riversata annualmente alle tv locali per questa loro peculiarità di compartecipazione ad un servizio pubblico,

impegna il Governo

ad intervenire, in sede di predisposizione del decreto attuativo in merito al pagamento del canone, con misure idonee a garantire che una parte del canone sia riversato alle emittenti locali sulla base di graduatorie elaborate dai Corecom.
9/3317-A/16. Simonetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame ha la finalità di assicurare la piena attuazione dei principi di cui all'articolo 21 della Costituzione, in materia di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell'informazione nonché di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa;
              se da un lato si affronta la problematica del finanziamento dei mezzi di informazione, anche per favorire la loro innovazione, dall'altra i cittadini italiani continuano a pagare il canone di abbonamento alla Rai, istituito con il Regio decreto n.  246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive;
              l'emittente pubblica si avvale dei proventi derivanti dal canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro l'anno, per coprire i costi derivanti dall'esecuzione degli obblighi ad essa imposti per legge, ai quali va aggiunto un ulteriore miliardo di euro derivante dalla pubblicità, i cui proventi, per legge, assumono il valore di fonte accessoria e, dopo la recente riforma, una percentuale delle eventuali risorse aggiuntive derivate dalla nuova riscossione del canone,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di abolire il canone di abbonamento alla televisione nonché la relativa tassa di concessione governativa definendo che la concessionaria pubblica radiotelevisiva sia finanziata attraverso il Fondo istituito in questo provvedimento, secondo criteri di ripartizione che garantiscano risorse eque, efficaci ed appropriate a tutti i soggetti che concorrono al servizio pubblico radiotelevisivo ed al pluralismo in tutte le sue modalità.
9/3317-A/17. Borghesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              il pagamento del canone di abbonamento, istituito con il Regio decreto n.  246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002 che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
              l'emittente pubblica si avvale dei proventi derivanti dal canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro l'anno, per coprire i costi derivanti dall'esecuzione degli obblighi ad essa imposti per legge, ai quali va aggiunto un ulteriore miliardo di euro derivante dalla pubblicità, i cui proventi, per legge, assumono il valore di fonte accessoria e, dopo la recente riforma, una percentuale delle eventuali risorse aggiuntive derivate dalla nuova riscossione del canone,

impegna il Governo

ad una adeguata quantificazione dei proventi derivanti dal versamento del canone radiotelevisivo in rapporto alle effettive necessità del comparto radiotelevisivo da fare affluire annualmente nel Fondo istituito dal presente provvedimento e ripartiti, in base al regolamento che sarà emanato dal Ministro dello sviluppo economico entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
9/3317-A/18. Invernizzi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              al Fondo istituito dall'articolo 1 del presente provvedimento, confluisce una quota, fino ad un importo massimo di 100 milioni di euro in ragione di anno, delle eventuali maggiori entrate versate a titolo di canone di abbonamento alla televisione;
              se le stime del Governo hanno previsto, a fronte della nuova riscossione del canone, maggiori entrate per 500 milioni di euro, sarebbe logico che questo importo fosse utilizzato comunque per garantire la qualità dell'informazione destinando le risorse alle emittenti locali che davvero svolgono un servizio sull'intero territorio nazionale, dopo aver debitamente ampliato la fascia degli utenti esenti per età e per reddito;
              invece, delle maggiori entrate previste, solo il 33 per cento per il 2016, verrà riversato all'Erario e di questo 33, solo un massimo di 50 milioni potrà essere destinato alle emittenti locali. Tradotto in cifre, vuol dire che su 500 milioni di entrate superiori a quelle già iscritte a bilancio, 165 sono riservate a fini di pubblica utilità (esenzioni, Fondo per emittenti locali e Fondo per la riduzione della pressione fiscale) e 335 milioni sono ancora destinati alla Rai che svolge servizio pubblico insufficiente, oltre a tutti quelli già incassati regolarmente col canone,

impegna il Governo

in sede di predisposizione del decreto attuativo per la riscossione del canone Rai, a valutare l'opportunità di destinare parte delle maggiori risorse riscosse a titolo di canone di abbonamento a favore degli utenti, ampliando in primo luogo la platea degli esenti per condizioni di reddito e di età.
9/3317-A/19. Rondini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'incertezza dei finanziamenti, i ritardi nell'erogazione e la scarsità delle risorse destinate all'informazione degli ultimi anni, hanno generato una situazione di grave crisi dell'intero settore, decretando la chiusura di molte imprese impegnate, con il loro lavoro, ad assicurare una informazione libera ed indipendente;
              il provvedimento in esame nasce dall'esigenza di scongiurare questa grave la crisi attraverso la costituzione di un Fondo unico per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, alimentato con una molteplicità di risorse a sostegno di imprese che operano nella produzione di contenuti informativi, che siano cartacei, radiotelevisivi o multimediali;
              le emittenti televisive locali sono un presidio fondamentale per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale ed impiegano oltre 20.000 addetti,

impegna il Governo

ad intervenire, con proprie misure, per prevedere un contributo, riconosciuto nella forma di credito di imposta, in favore delle imprese che investono in campagne pubblicitarie, su emittenti radiotelevisive operanti in ambito locale con rilevanti ascolti.
9/3317-A/20. Allasia, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'incertezza dei finanziamenti, i ritardi nell'erogazione e la scarsità delle risorse destinate all'informazione degli ultimi anni, hanno generato una situazione di grave crisi dell'intero settore, decretando la chiusura di molte imprese impegnate, con il loro lavoro, ad assicurare una informazione libera ed indipendente;
              il provvedimento in esame nasce dall'esigenza di scongiurare questa grave la crisi attraverso la costituzione di un Fondo unico per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, alimentato con una molteplicità di risorse a sostegno di imprese che operano nella produzione di contenuti informativi, che siano cartacei, radiotelevisivi o multimediali;
              le emittenti televisive locali sono un presidio fondamentale per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale ed impiegano oltre 20.000 addetti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, con proprie misure, per prevedere un contributo, riconosciuto nella forma di credito di imposta, in favore delle imprese che investono in campagne pubblicitarie, su emittenti radiotelevisive operanti in ambito locale con rilevanti ascolti.
9/3317-A/20.    (Testo modificato nel corso della seduta) Allasia, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, comma 2, lettera b), dell'A.C. 3317 include tra le categorie da ammettere al finanziamento gli organi di stampa espressione delle minoranze linguistiche, secondo la disciplina vigente, mentre l'articolo 2, comma 1, lettera c), dell'atto Camera 3345 fa esplicito riferimento alle imprese editrici di quotidiani espressione delle medesime minoranze;
              in base alla normativa vigente, le imprese editrici che editano quotidiani in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono destinatarie dei contributi ai sensi dell'articolo 3, comma 2-ter, primo periodo, della legge 250/1990, e dell'articolo 3 della legge 278/1998;
              il sardo è una lingua romanza (il che significa che nasce per evoluzione dal latino) del gruppo occidentale parlata in Sardegna, la seconda isola più grande del Mediterraneo dopo la Sicilia;
              le prime risultanze certe di insediamenti umani nell'isola risalgono al Neolitico, periodo al termine del quale si diffuse la civiltà dei Nuraghes, enormi costruzioni probabilmente destinate alla difesa e al culto. Ancora oggi lo splendore della civiltà nuragica è un simbolo forte dell'identità etno-politica-nazionale dei Sardi sempre oggetto di polemiche culturali come, del resto, la questione linguistica. Basti pensare alla recente polemica intorno alla mancata valorizzazione, da parte degli uffici periferici dello Stato italiano, delle statue dei «Gigantis de Mont'e Prama», elementi di statuaria antica che cambierebbero l'attuale ricostruzione delle vicende storico-artistiche del Mediterraneo;
              l’iter per il riconoscimento della lingua sarda è iniziato già nel 1948 con (l‘articolo 6 della Costituzione italiana secondo cui: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Tale norma ha dovuto, però, aspettare fino al 15 dicembre del 1999 per trovare un'attuazione legislativa nella legge n.  482, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», in base alla quale, dopo cinquant'anni, si ratifica che l'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica e il sardo è riconosciuto come una delle lingue minoritarie dello Stato italiano;
              in precedenza c'era stata la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e nel 1997 la Regione Sardegna ha promulgato la legge numero 26 per la Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna grazie alla quale il sardo può utilizzarsi in situazioni formali e ufficiali, ma non, ancora in condizioni di parità, con l'italiano;
              la stessa Corte costituzionale scrive nella sentenza n.  159 del 2009 che: «(...) Questa Corte ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (sentenze n.  15 del 1996, n.  261 del 1995 e n.  768 del 1988). Più precisamente, «tale principio, che rappresenta un superamento delle concezioni dello Stato nazionale chiuso dell‘Ottocento e un rovesciamento di grande portata politica e culturale, rispetto all'atteggiamento nazionalistico manifestato dal fascismo, è stato numerose volte valorizzato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche perché esso si situa al punto di incontro con altri principi, talora definiti «supremi», che qualificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vigente (sentenze n.  62 del 1992, n.  768 del 1988, n.  289 del 1987 e n.  312 del 1983): il principio pluralistico riconosciuto dall'articolo 2 – essendo la lingua un elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare – e il principio di eguaglianza riconosciuto dall'articolo 3 della Costituzione, il quale, nel primo comma, stabilisce la pari dignità sociale e l'eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel secondo comma, prescrive l'adozione di norme che valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze discriminatorie» (sentenza n.  15 del 1996) (...)»;
              nella dichiarazione di Helsinki del 1975 si affermava che «[...] gli Stati partecipanti nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano il diritto delle persone appartenenti a tali minoranze all'uguaglianza di fronte alla legge, offrono loro la piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, in tal modo, proteggono i loro legittimi interessi in questo campo, orientamento confermato anche dalla Convenzione CEI redatta a Torino nel 1994 dove si sostiene all'articolo 4 che» (...) ... gli Stati garantiscono alle persone appartenenti a una minoranza nazionale il diritto di esprimere, preservare e sviluppare la loro identità etnica, culturale, linguistica o religiosa e conservare e sviluppare la loro cultura in tutte le sue forme (...)».
              l'Italia è tra i pochi stati europei occidentali (in compagnia di Francia e Grecia) che tarda a ratificare la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, questo importante documento comunitario che ancora aspetta di avere piena attuazione nell'isola e in tutto il territorio peninsulare;
              ancora nel 2015 ci sarebbe bisogno di un voto parlamentare che non c’è stato per cui le disposizioni della Carta europea, all'interno dello Stato italiano, non sono applicate;
              per inquadrare meglio il problema all'interno della cornice interpretativa della giurisprudenza italiana, particolarmente significativa si rivela l'affermazione contenuta nell'articolo 1 della Sezione I della suddetta Convenzione-quadro, a mente della quale «la protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a queste minoranze è parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell'uomo e in quanto tale rientra nella portata della cooperazione internazionale». La stessa non solo impegna le Parti contraenti a garantire pienamente l'esercizio delle libertà civili agli appartenenti alle minoranze nazionali, ma contiene – tra l'altro – disposizioni sulla libera utilizzazione della lingua minoritaria in privato e in pubblico, sul suo uso in caso di procedure penali; sulla sua utilizzazione per i nomi personali e le insegne private, sul suo insegnamento nel sistema della pubblica istruzione;
              essa prevede, altresì, nella Sezione II, che «nelle zone geografiche dove persone appartenenti a minoranze nazionali sono insediate per tradizione o in numero sostanziale, qualora tali persone ne facciano richiesta e sempre [che] la richiesta corrisponda ad una effettiva esigenza, le Parti faranno in modo di realizzare per quanto possibile le condizioni che consentano di utilizzare la lingua minoritaria nelle relazioni tra queste persone e le autorità amministrative» (articolo 10, comma 2) e che, sempre in tali zone, le Parti contraenti «nell'ambito del loro sistema legislativo [...] in considerazione delle loro specifiche condizioni, faranno ogni sforzo per affiggere anche nella lingua minoritaria le denominazioni tradizionali locali, i nomi delle strade e le altre indicazioni topografiche destinate al pubblico qualora vi sia una domanda sufficiente per tali indicazioni (...)» (articolo 11, comma 3);
              è la stessa Corte costituzionale che, nel 2009, denuncia il fatto che lo Stato italiano non ha provveduto a ratificare la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992, diversamente da quanto avvenuto con la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali – alla quale fa riferimento la legge 28 agosto 1997, n.  302 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 10 febbraio 1995) – e la Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali – alla quale fa riferimento la legge 19 febbraio 2007, n.  19 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità dette espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005);
              oggi il sardo è riconosciuto come lingua «di identità storica» da una legge della Repubblica italiana, la già citata n.  482 del 1999, e da una legge della Regione Autonoma della Sardegna, la n.  26 del 1997;
              secondo quanto ha ribadito la stessa Corte costituzionale, la legge n.  482 del 1999 si autoqualifica come legislazione «di attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali». Fra i suoi molteplici contenuti, di particolare rilevanza è, innanzitutto, l'individuazione dei soggetti che possono attivare le azioni, mediante le quali si procede alla delimitazione dell'ambito territoriale in cui «si applicano le disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche». Secondo i dati diffusi nel 2005 dal Ministero dell'interno in merito alla popolazione racchiusa entro i confini della delimitazione territoriale prevista dall'articolo 3 della legge n.  482 del 1999, la minoranza più numerosa è quella sarda. Il dato riferito dal Ministero è di circa 1.200.000 residenti nel territorio che si autodefinisce «di lingua di minoranza»;
              al fine di dare compiuta attuazione alle norme attuative costituzionali e agli stessi trattati internazionali a tutela delle minoranze linguistiche la lingua sarda deve entrare a pieno titolo nella valorizzazione e tutela e sostegno pubblico dell'editoria e nella programmazione della stessa tv pubblica;
              la lingua sarda subisce una vera e propria discriminazione considerato che tutte le altre lingue minoritarie disciplinate dalla legge costituzionale 482/99 sono tutelate e valorizzate nel settore editoriale e anche in ambito Rai;
              solo la lingua sarda viene esclusa da questa tutela e valorizzazione;
              un arbitrio al quale occorre porre rimedio con veri e propri atti stringenti e vincolanti;
              è semplicemente scandaloso che in Italia si tutelino solo quelle lingue minoritarie che hanno alle spalle nazioni come la Francia e la Germania;
              questa discriminazione deve cessare,

impegna il Governo:

          ad estendere, nell'attuazione delle norme oggetto dei provvedimento, il riferimento alle imprese editrici di quotidiani espressione delle minoranze linguistiche anche ai quotidiani e organi di informazione in lingua sarda così come previsto dalla legge n.  482 del 1999;
          a valutare l'estensione dei contribuiti per le imprese editoriali espressione di minoranze linguistiche anche alle trasmissioni via Satellite o web quando sia certificata la presenza oltre l'Europa di almeno 100.000 cittadini appartenenti alla medesima minoranza linguistica.
9/3317-A/21. Pili, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione di cui all'articolo 1, assicura la piena attuazione dei principi di cui all'articolo 21 della Costituzione, in materia di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell'informazione a livello nazionale e locale, nonché di incentivare l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita, la capacità delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo, nonché lo sviluppo di nuove imprese editrici anche nel campo dell'informazione digitale;
              la Repubblica sostiene lo sviluppo del sistema di informazione locale valorizzando l'informazione, la cultura e le tradizioni locali nonché la produzione di trasmissioni sulla realtà sociale, economica, ambientale e culturale dei singoli territori che compongono la realtà nazionale;
              la Repubblica, in conformità ai principi della concorrenza e del pluralismo, sostiene, altresì, l'innovazione e l'occupazione nel settore giornalistico nonché la razionalizzazione e la trasparenza delle modalità di erogazione delle relative provvidenze pubbliche;
              al Fondo, come definito dalla legge, fra le altre, affluiscono ogni anno le risorse statali destinate all'emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale, comprese quelle iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;
              il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, la previsione di misure per il sostegno agli investimenti delle imprese editrici, l'innovazione del sistema distributivo, il finanziamento di progetti innovativi nel campo dell'editoria presentati da imprese di nuova costituzione, nonché la previsione di misure a sostegno di processi di ristrutturazione e di riorganizzazione delle imprese editrici già costituite,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di intervenire oltre che sul sistema editoriale riguardante quotidiani e periodici, anche sul sistema dell'emittenza locale italiano, sostenendo in particolare tutti quegli interventi destinati:
          all'innovazione, la qualità e il pluralismo dell'informazione e la tutela del lavoro giornalistico;
          alla produzione, la realizzazione e la messa in onda o in rete di programmi o di testate giornalistiche di informazione, divulgative e di approfondimento su supporti audio-televisivi e telematici, destinati a essere trasmessi da emittenti radiotelevisive o diffusi via web o app;
          all'incentivazione e al sostegno di nuove imprese giornalistiche, che operano nel settore dell'emittenza televisiva o radiofonica locale, costituite in misura prevalente da giornalisti disoccupati o collocati in cassa integrazione guadagni o in mobilità, ovvero che risultano precari sulla base dei versamenti contributivi.
9/3317-A/22. Mura, Pes, Giovanna Sanna.


      La Camera,
          premesso che:
              al Fondo istituito dall'articolo 1 del presente provvedimento, confluisce una quota, fino ad un importo massimo di 100 milioni di euro in ragione di anno, delle eventuali maggiori entrate versate a titolo di canone di abbonamento alla televisione;
              la legge di stabilità 2016 ha introdotto una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo legata alla presenza di un contratto di fornitura di energia elettrica nel luogo in cui il soggetto ha la sua residenza anagrafica e che il canone si sarebbe dovuto versare in rate mensili che, per il corrente anno, sarebbero state riscosse a partire da luglio;
              la medesima legge ha previsto che, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ovvero il 14 febbraio, si adottasse un decreto ministeriale per definire i termini e le modalità per la nuova riscossione del canone di abbonamento Rai contestualmente alla fatturazione della bolletta elettrica;
              il termine ultimo per il decreto attuativo è scaduto ormai da diversi giorni e i chiarimenti del pagamento per i contribuenti e della riscossione le società elettriche non sono ancora arrivati e sembra che esistano ancora dubbi nel tavolo preposto a discutere della questione tra Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia, autorità per l'energia elettrica e il gas, associazioni di rappresentanza delle aziende elettriche;
              l'illegittimità della norma che addebita automaticamente il canone anche a chi non ha una televisione per il solo fatto di essere intestatario di un'utenza elettrica è palese e i problemi che gravano sulle società elettriche nella gestione di questa nuova previsione di legge sono moltissimi;
              ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione, «l'esercizio della funzione legislativa può essere delegato (...) solo per tempo limitato» e, a tal proposito, la legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che «l'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione». Essendo scaduti i termini, si deve quindi necessariamente procedere ad un intervento normativo che proroghi l'emanazione del decreto attuativo;
              questo ritardo nell'emanazione del decreto attuativo crea incertezze anche sulle risorse che potrebbero essere destinate al Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione di cui al presente provvedimento,

impegna il Governo

considerato il ritardo nell'emanazione del decreto attuativo oltre i termini fissati dalla legge ad esplicitare le modalità per la dichiarazione di non possesso dell'apparecchio televisivo e per l'esenzione dall'imposta.
9/3317-A/23. Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              le emittenti televisive locali sono afflitte da gravi problematiche connesse alla conversione al digitale terrestre e al nuovo piano nazionale delle frequenze digitali che ha loro riservato le frequenze meno appetibili e soprattutto non compatibili con gli Stati esteri confinanti;
              le emittenti televisive locali sono un presidio fondamentale per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale incentivando e diffondendo le iniziative territoriali, oltre a fungere da volano d'occupazione considerato che impiegano oltre 20.000 addetti;
              le tv locali rendono un servizio essenziale per combattere il digital divide che può essere risolto grazie all'utilizzo delle loro frequenze, considerata la copertura capillare su tutto il territorio nazionale e si affiancano alla Rai nello svolgere il servizio pubblico di informazione senza ricevere, al contrario dell'emittente pubblica nazionale, alcun canone pagato dagli utenti;
              le emittenti televisive locali svolgono un ruolo fondamentale nella garanzia del pluralismo informativo, incentivando e diffondendo le iniziative territoriali, oltre a fungere da volano d'occupazione;
              il provvedimento in esame seppure sfiora la problematica relativa all'aleatorietà degli attuali finanziamenti alle emittenti locali, non riconosce palesemente il ruolo di pubblico interesse svolto dalle emittenti locali, e non interviene quindi in maniera precisa per assicurare risorse sufficienti a coprire l'intero fabbisogno del settore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tempestivamente un atto regolamentare da sottoporre al parere dell'AGCOM e delle competenti Commissioni parlamentari, per la definizione di un piano di interventi e di incentivi a sostegno dell'emittenza televisiva locale e dell'emittenza radiofonica locale e nazionale.

9/3317-A/24. Molteni, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo all'esame dell'Aula, attraverso una delega al Governo, è volto a sostenere il pluralismo e l'innovazione dell'informazione anche attraverso interventi di rafforzamento della rete di distribuzione e vendita;
              il sistema di suddivisione dei punti di vendita in esclusivi e non esclusivi ha mostrato in questi anni molti limiti anche in relazione alle differenze tra le diverse aree del Paese e alle diverse funzioni tra i diversi punti vendita;
              il provvedimento vede diverse innovazioni per i diversi punti di vendita e per l'intera rete,

impegna il Governo

a prevedere, nell'attuazione della delega e di concerto con le parti, una progressiva definizione delle caratteristiche e delle funzioni dei punti di vendita professionali e non professionali, differenziando anche gli obblighi, le garanzie, e i doveri tra questi e verso questi.

9/3317-A/25. Tidei, Casati, Coscia, Baruffi.


      La Camera,
          premesso che:
              come evidenziato in una recente relazione della Commissione antimafia, il fenomeno delle intimidazioni mafiose a danno dei giornalisti ha conosciuto un preoccupante incremento nel corso degli ultimi anni. Sulla base dei dati forniti da Ossigeno – l'Osservatorio appositamente costituito dall'Ordine nazionale dei giornalisti – risulta che dal 2006 ad oggi sono stati registrati a danno di giornalisti oltre 2000 atti di intimidazione, di cui ben 500 nel solo 2014, con un incremento di oltre il 20% rispetto all'anno precedente;
              in vaste porzioni del nostro Paese, largamente concentrate nella parte Sud ma non solo, l'attività delle testate giornalistiche locali, detenute in genere da Cooperative di settore, risulta fortemente condizionata dalla presenza di un tessuto malavitoso che punta a limitare la libertà di espressione e di indagine giornalistica;
              l'ingerenza delle organizzazioni malavitose sull'attività giornalistica delle piccole testate locali, non viene esercitata solo ed esclusivamente tramite atti di violenza o di intimidazione, ma anche attraverso lo strumento economico poiché, molto spesso, la sopravvivenza stessa delle testate è legata a forme di sponsorizzazione e di supporto economico che le imprese criminali possono convogliare o non convogliare a seconda della loro volontà;
              l'indipendenza delle piccole testate giornalistiche dunque, passa anche attraverso la capacità delle stesse di reperire le risorse necessarie a continuare la propria attività senza condizionamenti e ciò, in un periodo di forte crisi dell'editoria, rende ancora più necessario un concreto supporto delle istituzioni pubbliche;
              la normativa nazionale in materia di gestione dei beni confiscati alle organizzazioni malavitose, pur se tra molte difficoltà e necessità di miglioramento, ha consentito negli ultimi anni di infliggere colpi molto duri a tali organizzazioni, private di quel patrimonio diretta conseguenza delle attività criminali. Al contempo, l'attribuzione dei beni confiscati ad associazioni e organizzazioni di varia natura, ha consentito la valorizzazione economica degli stessi e ha permesso alle strutture assegnatarie di disporre di beni fondamentali per poter svolgere la loro attività;
              nel novero dei soggetti giuridici cui poter assegnare i beni confiscati alla criminalità organizzata, non sono oggi ricompresi quei soggetti titolari di testate giornalistiche e operanti in contesti ad alta penetrazione criminale che, come dimostrano i dati sopra descritti, sono invece fortemente colpiti dalla presenza e dalle attività criminali;
              l'inserimento delle cooperative giornalistiche nel novero dei soggetti potenzialmente assegnatari di beni confiscati alla criminalità organizzata, consentirebbe a quelle stesse strutture di operare con maggiore libertà e autonomia, con un conseguente rafforzamento del fondamentale diritto ad una libera informazione,

impegna il Governo

a intraprendere le opportune iniziative legislative al fine di inserire nell'elenco dei soggetti potenzialmente assegnatari dei beni confiscati alla criminalità organizzata, le cooperative titolari di testate giornalistiche operanti nei territori ad alta incidenza criminale.
9/3317-A/26. Pilozzi.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di legge 3317-3345/A prevede, all'articolo 2, deleghe al Governo per la disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti;
              lo stato di crisi del settore dell'editoria ha portato ad una consistente riduzione dei rapporti di lavoro e al sempre più massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali con ripercussioni sulle condizioni di equilibrio e di sostenibilità finanziarie della gestione previdenziale che attraversa una fase di grave sofferenza;
              la regolarità della posizione contributiva in materia di versamenti all'Inpgi gestione separata costituisce presupposto fondamentale per l'accesso alle prestazioni obbligatorie dovute dall'Istituto,

impegna il Governo

nell'ambito della attuazione dei decreti legislativi attuativi della delega in materia di disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti ad adottare interventi volti ad assicurare la sostenibilità finanziaria della gestione separata dell'Inpgi al fine di garantire, per i giornalisti pubblicisti in regola con i versamenti dei contributi previdenziali alla stessa gestione previdenziale separata, l'effettivo accesso ai trattamenti previsti dalla normativa attualmente vigente in materia.
9/3317-A/27. Baldelli.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di legge 3317-3345/A prevede, all'articolo 2, deleghe al Governo per la disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti;
              lo stato di crisi del settore dell'editoria ha portato ad una consistente riduzione dei rapporti di lavoro e al sempre più massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali con ripercussioni sulle condizioni di equilibrio e di sostenibilità finanziarie della gestione previdenziale che attraversa una fase di grave sofferenza;
              la regolarità della posizione contributiva in materia di versamenti all'Inpgi gestione separata costituisce presupposto fondamentale per l'accesso alle prestazioni obbligatorie dovute dall'Istituto,

impegna il Governo

nell'ambito della attuazione dei decreti legislativi attuativi della delega in materia di disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti ad adottare, nel rispetto dei principi di delega, interventi volti ad assicurare la sostenibilità finanziaria della gestione separata dell'Inpgi al fine di garantire, per i giornalisti pubblicisti in regola con i versamenti dei contributi previdenziali alla stessa gestione previdenziale separata, l'effettivo accesso ai trattamenti previsti dalla normativa attualmente vigente in materia.
9/3317-A/27.    (Testo modificato nel corso della seduta) Baldelli.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative di competenza in ordine al passaggio del personale soprannumerario delle province nei ruoli amministrativi, tecnici e ausiliari degli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche – 3-02066

      MALPEZZI, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BONACCORSI, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RAMPI, ROCCHI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          con il passaggio del personale soprannumerario delle province nei ruoli ata degli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche, il taglio di 2.020 posti – per effetto della conferma ad opera della legge 28 dicembre 2015, n.  208, di quanto già previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n.  190 – è destinato ad aumentare;
          infatti, la trasformazione delle province in «città metropolitane» ha condotto ad un ridimensionamento del personale impiegato, sulla base dei finanziamenti decurtati dal 30 al 50 per cento, e ciò ha causato la determinazione di personale soprannumerario che è da ricollocare nella pubblica amministrazione, uffici di segreteria inclusi;
          laddove non sia stato possibile effettuare il prepensionamento per il personale in esubero, infatti, si è ricorso al passaggio in altra amministrazione: il comma 425 della legge di stabilità per il 2015 ha previsto una ricognizione in tutta la pubblica amministrazione (con esclusione del personale non amministrativo dei comparti sicurezza, difesa e Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del comparto scuola, Afam ed enti di ricerca) dei posti da destinare alla ricollocazione del personale soprannumerario delle province;
          alla luce dei dati pubblicati dal dipartimento funzione pubblica del 16 novembre 2015 si evince che il personale da ricollocare e che dovrebbe transitare negli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche è in numero di circa 500;
          sono state le stesse amministrazioni a comunicare il numero di posti disponibili;
          il personale ata ha visto, di conseguenza, attualmente bloccate le procedure di assunzione a tempo indeterminato sul turn over, in una fase in cui, invece, la stabilizzazione di personale ata sarebbe indispensabile per l'efficiente ed efficace gestione degli istituti scolastici in un momento delicato quale quello che stiamo oggi vivendo, legato all'attuazione della legge n.  107 del 2015, «La buona scuola»;
          a fronte di un incremento complessivo, tra il 2012 e il 2014, di quasi 90 mila alunni, alle scuole sono oggi assegnati circa 50 mila amministrativi, tecnici e ausiliari, a tempo indeterminato, in meno rispetto a soli quattro anni fa;
          appare evidente, con i numeri alla mano, la necessità di sbloccare le assunzioni del personale ata per garantire il turn over e almeno per le province in cui si è completata l'applicazione delle norme previste. Tutto ciò non impedirebbe di fatto il transito del personale soprannumerario dalle province verso gli uffici di segreteria in quanto numericamente inferiore rispetto ai posti di turn over del personale ata disponibili  –:
          se non intenda intervenire, per quanto di competenza, per consentire al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di procedere all'assunzione del personale ata necessario nelle province in cui è stata completata l'applicazione delle norme suddette. (3-02066)


Iniziative di competenza volte a garantire un'adeguata assistenza ai pazienti siciliani affetti da patologie congenite cardiache, anche attraverso la valorizzazione dell'ISMETT di Palermo – 3-02067

      GIAMMANCO e OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          le scellerate ed inadeguate decisioni intraprese dalla Regione siciliana incentivano ancora oggi la mobilità passiva dei pazienti siciliani troppo spesso costretti a rivolgersi alle strutture ospedaliere del nord del Paese;
          la maggior parte di essi necessitano di cure legate a delicatissime patologie congenite cardiache, sia in età pediatrica che in età adulta dopo i 18 anni, questi ultimi meglio conosciuti con la sigla internazionale «Guch»;
          grazie ad uno studio Eurocat, effettuato nel quinquennio 2000-2005, si sa che in Sicilia nascono circa 6,3 bambini su mille affetti da cardiopatie congenite non cromosomiche, un numero che posiziona la Sicilia all'ottavo posto per diffusione del disturbo fra tutte le regioni e i Paesi censiti in tutta Europa;
          in Sicilia ogni anno nascono circa 500 bambini con cardiopatie congenite di diversa entità, dalla più lieve alla più grave;
          in Sicilia da sempre si lamenta l'assenza di una struttura adeguata per i cardiopatici congeniti, in particolare si fa riferimento al fatto che non venga garantita la cosiddetta assistenza di terzo livello ovvero quella rivolta agli adulti dai 18 anni in poi;
          a partire dal 2010 sono stati pubblicati una serie di atti ufficiali utili alla riorganizzazione dell'assistenza cardiologica pediatrica siciliana, nello specifico in essi è stata prevista la realizzazione del centro di III livello a Palermo presso la costruenda struttura di assistenza pediatrica ora riconosciuta con il nome IS.M.E.P. (Istituto mediterraneo di eccellenza pediatrica);
          nel frattempo la cardiochirurgia pediatrica è stata localizzata temporaneamente presso il presidio ospedaliero San Vincenzo di Taormina, affidando la gestione delle attività cliniche in convenzione all'ospedale pediatrico «Bambino Gesù» di Roma, in attesa che le attività venissero appunto poi ritrasferite presso l'IS.M.E.P. dove i lavori di ristrutturazione e adeguamento sono bloccati a causa del fallimento della ditta appaltatrice;
          la convenzione tra il Bambino Gesù di Roma e il centro di cardiochirurgia pediatrica di Taormina era stata stipulata per limitare la mobilità extraregionale di pazienti siciliani presso le strutture nazionali;
          i risparmi derivanti da tale convenzione sono risultati essere esigui, considerando che la Sicilia ha speso oltre 220 milioni di euro all'anno per i rimborsi alle aziende sanitarie di altre regioni dove vanno a farsi curare i siciliani;
          la convenzione tra il Bambino Gesù di Roma e il centro di cardiochirurgia pediatrica di Taormina ha registrato un costo pari a circa 50 milioni di euro;
          il presidio ospedaliero San Vincenzo di Taormina è un ospedale territoriale privo di assistenza pediatrica specialistica; infatti, in poco tempo ha registrato tanti episodi di assistenza inadeguata o con problematiche di tipo organizzativo e gestionale;
          il comune di Taormina è difficilmente raggiungibile da molte altre zone della Sicilia, basti pensare all'esempio di Mazara del Vallo, città dalla quale per raggiungere Taormina si è costretti ad affrontare un viaggio di circa 800 chilometri (andata e ritorno);
          la pista di elisoccorso di Taormina non è abilitata all'atterraggio notturno, costringendo ad una deviazione su Catania o Messina per poi trasportare il paziente in ambulanza fino a Taormina con una significativa dilatazione delle tempistiche di soccorso;
          si sono registrati insufficienti relazioni tra la nuova gestione del centro cardio-chirurgico di Taormina e le altre realtà assistenziali cardiologiche pediatriche siciliane;
          la chiusura del reparto di Palermo e l'indisponibilità del reparto di Taormina, che solo negli ultimi mesi ha iniziato ad occuparsi degli adulti, hanno di fatto azzerato l'assistenza ai pazienti di III livello, ovvero gli adulti con cardiopatia congenita (i cosiddetti pazienti «Guch»), costringendo la maggior parte a recarsi fuori dalla Sicilia, soprattutto nei casi d'interventi di cateterismo cardiaco o di intervento cardiochirurgico;
          allo stato dei fatti è più opportuno spostare a Palermo l'attività cardiochirurgica pediatrica, in quanto l'area metropolitana di Palermo è la zona della Sicilia dove, statisticamente, si registra il maggior numero di parti all'anno (circa 14.000);
          considerando i dati epidemiologici, l'organizzazione sanitaria dei vari centri siciliani e le linee programmatiche, la sede più adatta per la realizzazione di un'assistenza di terzo livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica è la città di Palermo;
          sarebbe opportuno affidare all'I.S.M.E.T.T. (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione di Palermo) le importanti attività di cardiochirurgia pediatrica e l'assistenza di III livello agli adulti con cardiopatia congenita;
          l'ISMETT, per caratteristiche organizzative e per i numerosi risultati, comprovati ed apprezzati dalle più importanti organizzazioni scientifiche mondiali, può garantire un rapido inizio delle attività ed una programmazione che non resti solo sulla carta;
          l'ISMETT, costruito e reso operativo nel tempo record di poco più di tre anni, è già sede di un dipartimento di cardiochirurgia e vedrà ampliati i suoi spazi, in partnership con l'ospedale civico di Palermo, a partire dai prossimi mesi in funzione del progetto «Centro Cuore»;
          l'ISMETT anche nell'edizione 2015 del programma nazionale esiti (pne), realizzato da Agenas fin dal 2010 per conto del Ministero della salute, ha ottenuto un risultato di eccellenza, risultando ai vertici delle valutazioni fatte dall'Agenzia nazionale per quanto riguarda l'indicatore che valuta la mortalità per le principali procedure chirurgiche, in particolari quelle di tipo cardiochirurgico;
          l'ISMETT nel caso di sostituzione di valvole cardiache registra una mortalità a 30 giorni pari allo 0,93 per cento contro una media nazionale del 2,84 per cento;
          presso l'ISMETT potrebbero anche essere eseguiti trapianti cardiaci in età pediatrica attualmente non eseguibili in nessun ospedale siciliano, con conseguente investimento in Sicilia delle risorse attualmente spese in altre regioni italiane;
          dopo 6 anni si può constatare che la scelta di trasferire la cardiochirurgia pediatrica, seppur temporaneamente presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo» di Taormina, la convenzione stipulata con l'ospedale «Bambino Gesù» ed il futuro trasferimento dell'attività all'IS.M.E.P non hanno soddisfatto le aspettative dei pazienti siciliani, che continuano ad optare per una mobilità presso altre strutture ospedaliere italiane e estere  –:
          se, nell'ambito dell'attività di monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, sia stata esaminata la situazione della rete ospedaliera deputata alla cura delle patologie cardiache e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di garantire, a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, un'adeguata assistenza alle migliaia di pazienti siciliani afflitti da patologie congenite cardiache, anche attraverso il sostegno ad una nuova organizzazione sanitaria dei diversi centri siciliani, che, in particolare, affidi all'ISMETT di Palermo la realizzazione di un'assistenza di terzo livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica. (3-02067)


Iniziative per rendere pienamente efficace il divieto del ricorso all'utero in affitto e per sostenere la maternità nei nuclei familiari di persone stabilmente sposate – 3-02068

      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la riduzione delle nascite in Italia sta diventando un dato preoccupante anche nella prospettiva dello sviluppo del Paese. I dati recenti mostrando un trend negativo che richiederebbe un urgente cambio di rotta nelle gestione delle politiche per a natalità e contestualmente di politiche per la famiglia;
          nel 2014 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008. Ancora più marcata la diminuzione delle nascite da entrambi i genitori italiani (-70 mila nell'ultimo quinquennio). I nati all'interno del matrimonio scendono per la prima volta sotto quota 400 mila: nel 2013 sono appena 380.863, quasi 83 mila in meno in 5 anni. I nati da genitori non coniugatisi mantengono intorno a 133 mila; tuttavia, a causa della forte diminuzione dei nati da coppie coniugate il loro peso relativo sale al 25,9 per cento;
          in lieve diminuzione per la prima volta anche i nati con almeno un genitore straniero (3.239 in meno rispetto al 2012), che ammontano a poco più di 104 mila nel 2013, pari al 20,2 per cento del totale dei nati a livello medio nazionale (il 28 per cento nel Nord e solo l'8 per cento nel Mezzogiorno). Diminuiscono in particolare i nati con entrambi i genitori stranieri, scesi a 77.705 unità nel 2013, 2.189 in meno rispetto al 2012. In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite, pari al 15 per cento nel 2013;
          abbastanza complesso anche il panorama sul piano delle adozioni: trentamila famiglie in attesa e 35 mila minori senza famiglia. Questi sono i dati italiani, per non parlare dell’iter adottivo. Nel nostro Paese non è facile: la burocrazia è complessa e manca un vero e proprio coordinamento generale;
          per contro, nonostante la legge n.  40 del 2004 escluda esplicitamente il ricorso alla pratica dell'utero in affitto, questo si sta diffondendo in modo evidente sia tra le coppie omosessuali che tra le coppie eterosessuali e a parere dell'interrogante pone problemi di rilevante interesse almeno sotto tre profili:
              a) è attualmente illegale, a norma della legge n.  40 del 2004, proprio per le sue implicazioni di strumentalizzazione del corpo femminile e dell'allontanamento precoce del bambino dalla madre;
              b) aggira le leggi sull'adozione che prevedono una valutazione molto attenta della coppia adottante e del nucleo familiare in cui il bambino sarà inserito;
              c) crea, nel caso delle coppie omosessuali, situazioni in cui l'omogenitorialità priva il bambino dell'esperienza naturale di avere un padre e una madre; cosa tanto più discutibile se si immagina una coppia omosessuale maschile, in cui tutto l'accudimento iniziale del bambino andrà delegato all'esterno della vita di coppia  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per rendere operativo il divieto del ricorso all'utero in affitto, in rispetto della legge n.  40 del 2004, e nello stesso tempo sostenere la maternità nei nuclei familiari di persone stabilmente sposate con incentivi concreti come previsto dal piano nazionale fertilità. (3-02068)


Iniziative normative volte a prevedere che il divieto del ricorso all'utero in affitto possa essere perseguito anche nel caso di maternità surrogata realizzata all'estero – 3-02069

      GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nella maternità surrogata si chiede a una donna di portare in grembo un bambino, per poi darlo via appena nato. Le si chiede anche di mutare il suo comportamento e di rischiare di diventare poi sterile; di accettare le eventuali patologie legate allo stato di gravidanza, potenzialmente anche molto pericolose e talora mortali. La donna deve mettere a disposizione il suo metabolismo per il desiderio di genitorialità di altre persone, dalle quali è usata come un contenitore e un'incubatrice;
          a tutto questo si aggiungono una serie di scandali che hanno segnato la storia della maternità surrogata fin dai primi anni del suo impiego commerciale alla fine degli anni ’70, trovando larga eco sugli organi di stampa;
          il primo risale addirittura al 1986, quando dopo la nascita di «Baby M», la madre surrogata cambiò idea e fece di tutto per tenersi la sua bambina, fino a che, in lacrime, essa non le fu tolta dall'autorità giudiziaria;
          nel 2014 è venuto alla luce il caso di un miliardario giapponese che, per ragioni ancora sconosciute, ha comprato la disponibilità di numerose donne delle bidonville thailandesi, mettendo al mondo grazie ad esse ben 16 bambini;
          di recente si è registrato il caso della madre surrogata americana morta per complicazioni legate alla gravidanza;
          grande scalpore ha fatto il caso del bambino venuto alla luce in Thailandia su commissione di una coppia statunitense che lo rifiutò dopo aver constatato che era affetto da sindrome di Down.  Il bambino fu accolto nonostante tutto dalla poverissima madre, incapace di sopprimere la creatura che aveva portato in grembo, malgrado non ne fosse la madre biologica;
          sono state oggetto di inchieste giornalistiche anche alcune vere e proprie industrie asiatiche per la produzione di bambini, all'interno delle quali le donne, che per povertà avevano sottoscritto i contratti per affittare il loro utero, vivevano in un regime di tipo quasi reclusorio, giustificato dalla necessità di controlli sanitari, che includevano anche la soluzione abortiva in house in caso di prodotto difettoso;
          nell'insieme ne esce un quadro terrificante di sfruttamento e abuso;
          non stupisce che il settimanale satirico Charlie Hebdo, in una vignetta di successo, abbia descritto graficamente la maternità surrogata con l'immagine di due genitori che tenevano al laccio una schiava in evidente stato di gravidanza;
          nella vignetta sopra citata i due genitori erano evidentemente dello stesso sesso, ma la maternità surrogata è largamente diffusa purtroppo anche tra le coppie eterosessuali;
          nella maternità surrogata la vita umana è ridotta a oggetto di consumo;
          i sostenitori della pratica ne rivendicano peraltro il possibile uso altruistico: almeno nei casi in cui non vi è transazione di denaro non vi sarebbe sfruttamento, ma piuttosto generosità per un amico o un congiunto;
          purtroppo, come rilevato da una recente inchiesta ufficiale del Parlamento svedese, non vi sono prove che la legalizzazione della maternità surrogata «altruistica» legalising porterebbe a una chiara separazione da quella commerciale;
          piuttosto, l'esperienza internazionale dimostra il contrario. Sono proprio i cittadini di Stati in cui la maternità surrogata è ammessa e diffusa, per esempio, a costituire i maggiori acquirenti stranieri in India e Nepal, per evidenti ragioni di convenienza economica. L'inchiesta svedese, peraltro, mostra come forme di pagamento in nero si verifichino anche nello stesso Regno Unito;
          del resto ci si chiede, perché mai, se non per denaro, una donna dovrebbe sottoporsi a tutto lo stress e i rischi che necessariamente comporta la gravidanza;
          in realtà, nella cosiddetta gestazione altruistica, la donna va incontro alle stesse cose della maternità surrogata a fini commerciali, ricevendone in cambio solo un'aura di benemerenza morale, un compenso troppo basso e che può risultare attrattivo solo in quelle società in cui le donne sono apprezzate esclusivamente per la loro capacità di sacrificio e non già per i loro successi;
          in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge n.  40 del 2004 (articolo 12), tale divieto è rimasto in piedi malgrado tutte le modifiche apportate al testo originario della legge da interventi a giudizio dell'interrogante demolitivi della magistratura ordinaria e costituzionale;
          fortunatamente l'opposizione alla maternità surrogata sta crescendo in tutta Europa. Di recente il Parlamento europeo ne ha chiesto la messa al bando e due settimane fa la commissione d'inchiesta governativa svedese ha chiesto al Parlamento non solo di bandire la pratica dell'utero in affitto in patria, ma anche di adottare misure che impediscano ai cittadini svedesi di servirsi di essa in altri Paesi;
          anche dal punto di vista culturale l'opposizione a questa pratica di sfruttamento del corpo femminile sta crescendo;
          inizialmente diviso su questo tema, il movimento femminista lo sta ora mettendo in cima alla sua agenda;
          all'inizio di febbraio 2016 femministe e attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo si sono riuniti a Parigi, firmando solennemente una carta in cui si chiede la messa al bando internazionale della maternità surrogata;
          anche nell'ambito della cultura marxista stanno levandosi voci significative contro l'affitto dell'utero femminile, tra esse quelle di Mario Tronti, Giuseppe Vacca, Marco Rizzo, Diego Fusaro;
          malgrado ogni tentativo di far passare un messaggio da famiglia felice, nel quale si sono distinti personaggio come Elton John, resta giustamente nell'opinione pubblica l'idea odiosa di un'industria in cui sia possibile vendere e comprare bambini, di una società in cui i bambini siano prodotti dalle donne in difficoltà, soprattutto dei Paesi poveri, per soddisfare i desideri delle società più agiate;
          in un mondo occidentale in cui, anche per le difficoltà economiche che gravano sulle famiglie, è sempre più difficile fare figli, la madre perde il diritto anche ad essere chiamata mamma, costretta a sottoporsi totalmente alle esigenze del mercato, mentre, per chi può permetterselo, la «produzione» dei figli è appaltata in outsourcing, secondo criteri di convenienza industriale;
          resta tuttavia la sorpresa ed il disgusto nel constatare con quale facilità sia ignorata la Convenzione Onu sui diritti del bambino: ufficialmente nessun Paese permette la vendita di esseri umani, ma sembra che a nessuno importi della vendita di bambini, ammantata anzi di un alone di modernità e bellezza grazie al fatto che a servirsene sono soprattutto personaggi famosi, immortalati sui rotocalchi e nei telegiornali insieme ai neonati sottratti alle loro madri;
          è questo il caso anche di parlamentari italiani e di noti leader di formazioni politiche;
          India e Thailandia stanno portando avanti importanti azioni di contenimento di questo turpe commercio e non vogliono più che le loro donne vengano messe a lavorare in condizioni di sfruttamento nell'industria dei bambini;
          è tempo dunque che anche i Paesi occidentali, dai quali partono i ricchi compratori, si assumano le loro responsabilità ponendo in atto iniziative e leggi per scoraggiare la domanda;
          anche l'Italia è chiamata a fare la sua parte, essendo moralmente inaccettabile che il divieto di questa pratica possa essere aggirato grazie all'impossibilità di sanzionarlo se la maternità surrogata è eseguita all'estero;
          sta accadendo in questo campo quanto accade già per la vendita di gameti per la fecondazione eterologa – un'altra modalità di commercializzazione del corpo umano e di sfruttamento del corpo delle donne – per la quale il divieto previsto dalla legge italiana è aggirato da alcune regioni con l'acquisto da altri Paesi, nei quali stranamente – a differenza dell'Italia – le donatrici sembrano abbondare  –:
          quale iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda porre in atto con urgenza per far sì che il divieto previsto dalla legge n.  40 del 2004 possa essere perseguito anche se la maternità surrogata sia realizzata all'estero. (3-02069)


Iniziative di competenza in relazione a recenti episodi corruttivi in ambito sanitario, con particolare attenzione a vicende che hanno interessato la regione Lombardia – 3-02070

      BARONI, GRILLO, DI VITA, LOREFICE, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, TONINELLI, MANLIO DI STEFANO, COMINARDI, PESCO, SORIAL, CARINELLI, DE ROSA, TRIPIEDI, CASO e PETRAROLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di ottobre 2015 veniva arrestato Mario Mantovani, vicepresidente ed ex assessore alla salute della regione Lombardia;
          a distanza di quattro mesi viene arrestato Fabio Rizzi, medico, consigliere regionale lombardo della Lega Nord, presidente della III Commissione permanente – Sanità e politiche sociali – della regione Lombardia ed estensore della recente legge di riforma della sanità regionale;
          Fabio Rizzi, con altre ventuno persone indagate per reati gravissimi, è arrestato per associazione a delinquere, turbativa d'asta ed altre imputazioni; sono coinvolte società private accreditate con il sistema sanitario nazionale, con il coinvolgimento di ramificazioni estere, tra le quali Svizzera, Panama e Dubai;
          l'indagine riguarda un diffuso sistema di corruzione per la gestione di servizi odontoiatrici e vede al centro del sodalizio incriminato il gruppo imprenditoriale Odonto Quality, l'imprenditrice Paola Canegrati, il Rizzi e l'odontoiatra Mario Valentino Longo, da cui il nome «Smile»;
          un sistema corruttivo, che con il passare dei giorni, disvela anche intrecci internazionali. Il 26 febbraio 2016 è stato arrestato a Miami Stefano Lorusso, un agente immobiliare residente negli Stati Uniti, che risulta essere socio di Rizzi e Longo dell'americana More Than Lux Corp e sembrerebbe coinvolta finanche la gestione di un ospedale pediatrico in Brasile;
           ad avviso degli interroganti, il sistema della sanità lombarda, una regione non soggetta a piani di rientro, rivela la sua vera essenza: un sistema corrotto; sembrerebbe, altresì, doversi rimettere in discussione il «modello Lombardia»: «sono state complessivamente 141 le denunce arrivate sul tavolo della Corte dei conti della Lombardia per casi di malasanità. Un numero relativo all'esercizio finanziario 2014, che risulta quintuplicato rispetto a cinque anni fa»; così ha sottolineato il procuratore regionale della Corte dei conti, Antonio Caruso, nel corso della requisitoria pronunciata in occasione dell'udienza pubblica di parificazione del bilancio regionale 2014. Malpratices che secondo il magistrato contabile «inducono a ritenere prioritaria una sempre più penetrante azione di controllo, principalmente rivolta, oltre che all'efficienza delle strutture e all'efficacia degli interventi, anche alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa in ambito sanitario»;
          la spesa sanitaria, ha evidenziato tra l'altro Caruso, ha «assorbito» nel 2014 circa l'80,4 per cento delle spese correnti del bilancio regionale. È Finlombarda, società interamente controllata dalla regione Lombardia, a pagare i fornitori del sistema sanitario regionale per conto delle aziende ospedaliere lombarde. «Nel corso dell'esercizio 2014 – ha detto a questo proposito il magistrato – regione Lombardia ha provveduto ad alimentare il fondo gestito da Finlombarda per un importo pari a 3 miliardi e 120 milioni di euro. I pagamenti ai fornitori effettuati tramite il fondo sono stati pari a 3 miliardi e 131 milioni di euro, in costante aumento rispetto agli anni precedenti»;
          d'altronde, si legge su Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2016, che «La commercialista Giovanna Ceribelli nel 2013 segnala all'autorità giudiziaria le “anomalie” sugli appalti all'ospedale di Desio-Vimercate dando avvio all'inchiesta sulla tangentopoli sanitaria. Insieme a un altro membro del collegio di vigilanza indagò anche dall'interno dell'azienda sanitaria, chiedendo poi al collegio di approvare una relazione-denuncia da trasmettere a Procura e Corte dei Conti. A gennaio del 2015 il presidente, indicato dal Ministero dell'economia e delle finanze, trasmette le relazioni senza sottoscriverle ma come verbali individuali. E così quello indicato dal Ministero della salute (...) ha scoperchiato con le sue mani il pentolone delle mazzette di “lady sorriso” ai politici di regione Lombardia. È un dato di cronaca, ormai, che fu una sua segnalazione a dare impulso alla “comunicazione di notizia di reato” del 17 dicembre 2013 che – dopo due anni di indagini – consentirà alla procura di Monza di arrestare 21 persone stroncando la “tangentopoli sanitaria”»;
          d'altro canto, qualche mese fa era stato annunciato un protocollo d'intesa tra Anac, Agenas e Ministero della salute, finalizzato all'implementazione di «modelli integrati di controllo interno per la gestione dei rischi collegati al governo delle aziende sanitarie, per garantire l'adozione di misure idonee a realizzare processi aziendali corretti, efficaci ed efficienti, anche con specifico riferimento al raggiungimento degli obiettivi di trasparenza e legalità e attraverso il recupero dei valori di integrità e di etica professionale ed aziendale»; a quanto pare, si è ben lungi dalla realizzazione degli intenti;
          la rete corruttiva emersa con l'indagine «Smile» nella sanità lombarda, dalle risultanze investigative, risulta intenzionata ad un'espansione di business malavitoso anche in altre regioni italiane, tra cui il Lazio  –:
          se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza in relazione ai fatti richiamati in premessa e quali strumenti di controllo abbia attivato al fine di arginare il fenomeno e scongiurarne la ripetizione a livello nazionale. (3-02070)


Elementi ed iniziative in ordine alla situazione esistente nell'area industriale della piana del Casone di Scarlino, in provincia di Grosseto – 3-02071

      FAENZI, ABRIGNANI, BORGHESE, D'ALESSANDRO, GALATI, MERLO, MOTTOLA, PARISI e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          per sette anni, dal 2007 al 2014, la Nuova Solmine (azienda chimica situata nella piana del Casone a Scarlino, in provincia di Grosseto) ha emesso in atmosfera valori di anidride carbonica solforosa e ossidi di azoto in quantità doppia rispetto alla soglia consentita, senza adeguare gli impianti di produzione, come più volte richiesto dalle autorità competenti;
          al riguardo, l'indagine avviata dalla procura di Grosseto (a seguito delle segnalazioni degli ispettori dell'Ispra e delle associazioni ambientaliste locali), conclusasi la scorsa settimana con un avviso di garanzia nei riguardi di un dirigente della citata azienda, ha confermato il mancato rispetto dei parametri di legge in relazione alle emissioni nell'aria, i cui effetti all'integrità dell'ambiente e alla salute della comunità locale di Scarlino e di Follonica, secondo quanto sostengono le autorità sanitarie locali e i comitati ambientalisti, risultano essere di particolare gravità;
          tenuto conto del periodo considerevole con il quale la Nuova Solmine ha operato al di fuori del quadro regolatorio in tema di gestione delle procedure di autorizzazione, di controllo ambientale e del conseguente rilascio in atmosfera di sostanze inquinanti in quantità elevata, altamente pericolose per la salute delle popolazioni residenti, occorre conoscere, a giudizio degli interroganti, quali siano le reali condizioni dell'area interessata alla luce delle recenti decisioni della magistratura di Grosseto  –:
          se sia a conoscenza della situazione esistente nell'area industriale della piana del Casone di Scarlino in cui si trova l'azienda chimica citata in premessa e se, a tal fine, disponga di informazioni in merito alle conseguenze epidemiologiche sulla salute della popolazione residente e sugli effetti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini di Scarlino e di Follonica, derivanti dai livelli di emissione di sostanze inquinanti nell'aria circostante e quali iniziative urgenti e necessarie, di conseguenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di tutelare la comunità locale interessata, in relazione alla situazione ambientale e sanitaria in precedenza descritta. (3-02071)


Intendimenti del Governo in merito allo smaltimento dei rifiuti nell'ambito del territorio regionale, con particolare riferimento alla situazione della Campania – 3-02072

      GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 4 febbraio 2016 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ha espresso parere favorevole, con osservazioni e con l'avviso contrario delle regioni Lombardia e Campania, allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili» predisposto ai fini dell'attuazione dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n.  133 del 2014 (cosiddetto decreto sblocca Italia) convertito, con modificazioni, dalla legge n.  164 del 2014;
          ai sensi del decreto-legge n.  133 del 2014, gli impianti individuati da tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, sono riclassificati da inceneritori ad impianti di recupero energia con funzionamento fino a saturazione del carico termico e possono accogliere rifiuti provenienti anche da fuori regione, a discapito di qualsiasi programmazione regionale;
          in questo modo decadono i principi di autosufficienza e di prossimità tra il luogo di produzione e lo smaltimento dei rifiuti e aumentano pesantemente gli impatti e i rischi ambientali derivanti dal trasporto dei rifiuti da e verso gli stessi impianti di incenerimento, confermando una direzione opposta ai principi delle direttive comunitarie che mirano a conseguire la minimizzazione degli effetti ambientali negativi derivanti dalla gestione dei rifiuti;
          la strategia del Governo addirittura disincentiva e deresponsabilizza soprattutto quelle regioni che in tema di autosufficienza sono inadempienti, incidendo pesantemente su regioni che sono già «virtuose» e autosufficienti nella gestione dei propri rifiuti;
          la regione Lombardia è la regione più «virtuosa» e più colpita dalle nuove norme, poiché, secondo lo stesso schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, a fronte di un fabbisogno di incenerimento pari a 1.771.269 tonnellate all'anno, presenta una capacità di incenerimento complessiva pari a 2.350.200 tonnellate all'anno con una sovracapacità di incenerimento per 578.931 tonnellate all'anno, garantita da una sostanziale saturazione impiantistica che conta 13 inceneritori;
          secondo la strategia del Governo, gli impianti con capacità inutilizzata, tra cui quello di Brescia, quello di Cremona e altri impianti lombardi, dovranno smaltire i rifiuti in eccesso sul territorio nazionale fino a quanto non verranno costruite le nuove strutture che dovranno garantire il progressivo riequilibrio socioeconomico fra le macroaree del territorio nazionale, Nord, Centro e Sud, come definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
          tale linea politica del Governo è confermata dal decreto-legge n.  185 del 2015, recante «Misure urgenti per interventi nel territorio», convertito, con modificazioni, dalla legge n.  9 del 2016, che, all'articolo 2, nell'ambito degli interventi straordinari per la regione Campania disposti per dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea del 4 marzo 2010 e del 16 luglio 2015, prevede lo smaltimento dei rifiuti regionali secondo un piano finanziato con 150 milioni di euro da parte dello Stato, per l'anno 2015, non escludendone lo smaltimento anche in regioni diverse;
          inoltre, la legge n.  208 del 2015, legge di stabilità per il 2016, finanzia con 150 milioni per ciascuno degli anni 2016 e 1017, interventi per la «Terra dei fuochi» della regione Campania, da individuare con successivo decreto ministeriale;
          il Ministro interrogato in un comunicato Ansa del 15 ottobre 2015, ha annunciato lo stanziamento di 150 milioni di euro l'anno per tre anni per intervenire proprio sulla problematica dei rifiuti, in particolare della «Terra dei fuochi»; secondo il Ministro interrogato si è trattato di un segnale importante che il Governo ha dato alla regione Campania; il comunicato riporta, inoltre, che con i fondi verrà avviato, tra l'altro, il piano di rimozione dei 5 milioni di ecoballe ancora stoccati sul territorio;
          infatti, in merito alla gestione dei rifiuti campani, il quotidiano online Cremona oggi del 28 febbraio 2016, considera la settimana in corso decisiva per conoscere i vincitori del primo bando di gara internazionale, suddivisa in 8 lotti, bandita dalla regione Campania per lo smaltimento di quasi 800 mila tonnellate di ecoballe in deposito nei diversi siti della regione Campania;
          il primo bando, scaduto il 18 febbraio 2016, prevede un importo di 118 milioni di euro, come prima tranche dei 450 milioni messi a disposizione dal Governo per la rimozione, trasporto, smaltimento e recupero energetico dei rifiuti imballati e accatastati nell'area della regione Campania, parte dei quali provenienti dalla «Terra dei fuochi»;
          la partecipazione al bando dell'A2A, in particolare per lo smaltimento del lotto 2, a Giugliano (Napoli), sito Masseria del Re, per lo smaltimento di 100 mila tonnellate di rifiuti e per un valore di appalto di 15 milioni di euro, in concomitanza all'annunciata firma dei contratti per l'acquisto da parte di A2A del 51 per cento della Lgh, proprietaria dell'inceneritore di San Rocco di Cremona, ha creato lo sconcerto tra i cittadini lombardi; il timore è quello dello smaltimento dei rifiuti campani negli impianti della regione Lombardia, in particolare in quello di Brescia, o come ecoballe, o trasformati in combustibile solido secondario (css), al fine di facilitarne lo smaltimento fuori regione nell'ambito del territorio italiano, qualora si verificasse l'indisponibilità dei Paesi esteri ad accogliere i rifiuti; in questo modo verrebbe scavalcato l'obbligo dello smaltimento dei rifiuti urbani nell'ambito del territorio regionale e disatteso il principio di prossimità nello smaltimento dei rifiuti;
          la pianura padana, a causa della concentrazione degli insediamenti industriali e dell'esteso inurbamento del territorio, ma anche per ragioni climatiche e di morfologia territoriale e soprattutto per la palese insufficienza della rete stradale che crea gravi congestionamenti del traffico, rappresenta la parte del territorio italiano più esposto all'inquinamento da particolato primario e secondario; gli ultimi provvedimenti normativi del Governo sopra citati non vanno nella direzione giusta, verso una riduzione delle emissioni ma, anzi, inevitabilmente, comporteranno l'incremento delle fonti di emissione di ossidi di azoto e polveri sottili e ultra sottili proprio nelle regioni del Nord che sono le più fornite di impianti di incenerimento di rifiuti  –:
          se rientri nei programmi del Governo la limitazione dello smaltimento dei rifiuti campani, e soprattutto di quelli solidi urbani, nell'ambito del territorio regionale, anche in considerazione dell'ammontare delle risorse statali autorizzate dagli ultimi provvedimenti normativi, e se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a rivedere l'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 2014 e ritirare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione in corso di emanazione, rispettando la pianificazione regionale ed evitando di far pagare alle regioni virtuose, prima di tutte alla Lombardia, le annose e disastrose situazioni creatisi in altre regioni in materia di rifiuti. (3-02072)


Elementi ed iniziative in ordine alla problematica delle discariche abusive ancora attive in Italia, con particolare riferimento a quelle presenti nella regione Puglia – 3-02073

      MATARRESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          secondo i dati pubblicati dal sito del dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri e in particolare dalla banca dati EUR-Infra, sull'elenco generale delle 89 procedure di infrazione alla normativa dell'Unione europea riguardanti l'Italia, 18 riguardano materia ambientale;
          relativamente alla procedura d'infrazione ambientale 2003/2077, a seguito della sentenza ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea pronunciata dalla Corte di giustizia il 2 dicembre 2014, nella causa C-196/13, l'Italia è stata condannata al pagamento di ingenti sanzioni pecuniarie per non aver dato esecuzione alla pronuncia della Corte del 2007 (causa C-135/05) con la quale era stata accertata la violazione, generale e persistente, degli obblighi previsti dalle direttive europee in materia di gestione dei rifiuti con riferimento alle discariche funzionanti illegalmente e senza controllo sul territorio italiano (alcune contenenti anche rifiuti pericolosi);
          secondo quanto si evince dai dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, resi noti a dicembre 2014 nel corso dell'audizione in sede di Commissioni congiunte politiche dell'Unione europea e ambiente in materia di «Stato delle bonifiche delle discariche illegali chiuse e relative procedure di infrazione», nello specifico sono state imposte una sanzione forfettaria una tantum che ammonta a 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42 milioni e 800 mila euro, fino all'esecuzione completa della sentenza. La Corte di giustizia ha, inoltre, riconosciuto all'Italia la possibilità di applicare la penalità in forma decrescente ovvero in maniera proporzionale alla risoluzione delle problematicità riscontrate nei siti oggetto di contestazione. La sentenza precisa anche che tale determinazione nasce dall'esigenza, fissata dalla Corte, che la Commissione europea possa valutare lo stato di avanzamento dei provvedimenti di esecuzione della sentenza;
          recenti fonti di stampa riferiscono quanto segue: «Considerato che il 2 giugno 2015, alla scadenza del primo semestre, erano state messe a norma solo 15 discariche irregolari su un totale di 198 sparse su tutto il territorio nazionale, il nostro Paese ha dovuto sborsare altri 39 milioni e 800 mila euro. Adesso che anche il secondo semestre è scaduto, il 2 dicembre 2015, si attende di sapere quale sia l'ammontare della nuova sanzione comminata che, plausibilmente, dovrebbe aggirarsi intorno a un importo simile a quella di luglio 2015, visto che sul fronte delle bonifiche poco o nulla di nuovo è stato fatto (...)»;
          secondo quanto si evince dal documento pubblicato sul sito della Commissione europea, denominato «Sentenza del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13 – Discariche coperte dalla sentenza – Situazione allo scadere del secondo semestre successivo alla sentenza (3 giugno 2015-2 dicembre 2015)», pare che le discariche attualmente attive sul territorio italiano siano pari a 155;
          secondo quanto si evince dagli organi di informazione, pare che «la Ragioneria generale dello Stato abbia mandato una segnalazione di danno erariale alla procura della Corte dei conti del Lazio per le centinaia di milioni di euro che lo Stato è costretto a sborsare per non essersi adeguato alle regole dell'Unione europea in materia di rifiuti (...)»;
          le somme delle sanzioni pagate dallo Stato italiano sono oggetto del diritto di rivalsa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti delle regioni, secondo gli importi a ciascuno spettanti computando le discariche di pertinenza secondo quanto disposto dall'articolo 43 della legge n.  234 del 2012;
          in particolare, e secondo quanto si evince da fonti di stampa, la situazione relativa alle discariche abusive, sommata al problema della gestione dei rifiuti, sarebbe rilevante anche e soprattutto in Puglia, tanto che gli organi di informazione paventano il rischio di «commissariamento di tutto il sistema regionale dei rifiuti e la possibile richiesta dello stato di emergenza»;
          secondo fonti di stampa si sarebbe tenuto di recente, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un tavolo tecnico tra la regione Puglia e la direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento, nel corso del quale si sarebbe discusso del complesso delle 12 discariche abusive pugliesi ancora attive e rilevanti ai fini della predetta procedura di infrazione comunitaria 2003/2077, che costringerebbero la regione a pagare una sanzione pari a diverse centinaia di migliaia di euro al mese fino alla soluzione delle problematiche  –:
          quale sia il numero delle discariche abusive ad oggi ancora attive in Italia e per quali di esse siano previsti interventi di bonifica programmati ed adeguatamente finanziati, quale sia lo stato di avanzamento relativo al piano straordinario di bonifica e quali iniziative di carattere strutturale il Ministro interrogato intenda adottare al fine di limitare le inadempienze delle regioni in merito alle procedure di bonifica e di accelerare le procedure stesse, con particolare riferimento a quelle relative alle discariche abusive della regione Puglia. (3-02073)


Problematiche relative alla gestione delle passività del comune di Roma, anche in considerazione della relazione predisposta dal commissario straordinario per il piano di rientro del debito pregresso di Roma Capitale – 3-02074

      FASSINA, ZARATTI, ZACCAGNINI, MARCON, MELILLA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI e SANNICANDRO. Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, recante «disposizioni urgenti per Roma capitale», ha previsto il subentro dello Stato, per il tramite di un commissario straordinario – quale organo di governo – nella gestione delle passività del comune di Roma, risalenti fino alla data del 28 aprile 2008, con l'impegno a ripianarle senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato;
          tali passività risalenti fino alla data del 28 aprile 2008 sono state quantificate in 16,97 miliardi di euro quale debito accertato e 5,49 miliardi di euro quale debito in attesa di accertamento definitivo a fronte di un credito accertato, ma largamente inesigibile, di 5,62 miliardi di euro e un credito in attesa di accertamento definitivo di 0,08 miliardi di euro;
          l'ultima «Relazione concernente la rendicontazione delle attività svolte dalla gestione commissariale per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale», di cui all'articolo 14, comma 13-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, introdotto dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2012, n.  61, presentata dall'ex commissario straordinario Varazzani, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 7 maggio 2015, alla tabella 6, «Riepilogo contratti di servizio (rectius finanziamento) a valere sul contributo statale ex legge 122/2010 e contributi residui», pagina 41, indica alla data del 2 dicembre 2014 l'aggiudicazione della gara per il secondo contratto di servizio – tranche attualizzazione;
          tale contratto di servizio stima il finanziamento complessivo in 5,02 miliardi di euro per il 2016 a fronte di un contributo assorbito stimato in 7,68 miliardi euro, finanziamento ottenuto da Cassa depositi e prestiti ad un tasso pari a euribor 6 mesi + 200bp;
          non si rinvengono le condizioni di convenienza di tale contratto di servizio dato che l'anticipazione dovrebbe essere «tirata» interamente nel 2016, quando il flusso dei pagamenti previsto non supera i 900 milioni di euro, ampiamente coperti dalla disponibilità già in cassa della gestione commissariale in oggetto o dovuta dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          le caratteristiche e la data di attivazione del finanziamento in oggetto implicano extra costi per le finanze pubbliche in circa 500 milioni di euro rispetto ad un finanziamento strettamente calibrato sui flussi di pagamento;
          tra il 13 giugno 2007 e il 22 febbraio 2008 il comune di Roma ha sottoscritto 9 contratti derivati per i quali non vi è una valutazione disponibile sulle caratteristiche della stipula e della chiusura, né vi sono notizie sull'ammontare sottostante al derivato sottoscritto;
          parte dei contratti derivati sottoscritti sono stati chiusi anticipatamente dal commissario straordinario Varazzani a un costo di circa 220 milioni di euro a fronte di un mark to market per l'intero insieme di derivati stimato in 147 milioni di euro;
          secondo accurate notizie riportate dalla stampa e non smentite, l'attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale, dottoressa Silvia Scozzese, ha presentato al Governo una relazione dai contenuti estremamente preoccupanti, in riferimento in particolare a un debito residuo di circa 13,4 miliardi di euro a carico della suddetta gestione commissariale;
          la conoscenza di tale relazione è strettamente necessaria, ad avviso degli interroganti, anche affinché il Parlamento possa valutare, nell'ambito delle sue attribuzioni costituzionali, l'opportunità di istituire una commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione delle passività del comune di Roma risalenti fino alla data del 28 aprile 2008  –:
          se il Governo non consideri necessario verificare l'effettivo «tiraggio» della seconda tranche di attualizzazione dei contratti di finanziamento relativi al debito di Roma capitale e, qualora il tiraggio non fosse ancora avvenuto, intervenire in autotutela per bloccarlo al fine di evitare eventuali rischi di danno erariale, ponendo altresì in essere ogni atto di competenza finalizzato a trasmettere urgentemente copia al Parlamento della relazione predisposta dal commissario governativo dottoressa Silvia Scozzese. (3-02074)


MOZIONI LUPI ED ALTRI N.  1-01124, SBERNA ED ALTRI N.  1-01146, NICCHI ED ALTRI N.  1-01170, PALESE ED ALTRI N.  1-01171, VEZZALI ED ALTRI N.  1-01172, OCCHIUTO ED ALTRI N.  1-01173, SBROLLINI ED ALTRI N.  1-01174, RONDINI ED ALTRI N.  1-01175, BECHIS ED ALTRI N.  1-01176 E GIORGIA MELONI ED ALTRI N. 1-01180 CONCERNENTI POLITICHE A SOSTEGNO DELLA FAMIGLIA

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
              in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
              secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
              tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
              la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio questa sostituzione di popolazione è possibile e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
              la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i firmatari del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
          i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
              tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
              a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità;
              ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
              ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
              indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
              è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebé», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
              queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
              ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
              un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
              le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
              l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti;
              confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale, nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
              le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
              avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
              parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
              ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

          a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
          a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
          ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124)
(Nuova formulazione) «Lupi, Buttiglione, Alli, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo, Calabrò».


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione italiana dedica alla famiglia una serie di importanti disposizioni comprese negli articoli 29-31 e 37, che evidenziano chiaramente la rilevanza di questa struttura sociale, vera istituzione cardine dell'assetto istituzionale sottolineandone la specifica rilevanza valoriale;
              la famiglia è una realtà originaria e antecedente lo stesso Stato, il quale, come recita l'articolo 31 della Costituzione, «agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
              possono definirsi autentiche politiche familiari conformi ai ricordati articoli della Costituzione dedicati alla famiglia, solo quelle politiche pensate e organizzate sul territorio a partire dall'esperienza delle famiglie, tenendo conto dei loro tempi, ritmi di vita e bisogni specifici, nell'ambito di un progetto organico di interventi specifici a sostegno dell'istituto familiare;
              solo in questo modo, infatti, dette politiche risulterebbero conformi a quella peculiare attenzione, al tempo stesso rispettosa della sua autonomia e garante della sua tutela, riservata dalla Costituzione a questo fondamentale nucleo sociale;
              la situazione attuale del nostro Paese è tuttavia caratterizzata da una troppo timida attenzione alle famiglie e alle criticità che esse oggi si trovano ad attraversare;
              risulta dal rapporto Istat che l'Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8 per cento della spesa, sotto forma di benefici finalizzati al sostegno del reddito a tutela della maternità e della paternità, di assegni familiari e di altri trasferimenti erogati a supporto di alcune tipologie familiari, asili nido, strutture residenziali per le famiglie con minori e assistenza domiciliare per famiglie numerose;
              si osserva, inoltre, che: il rapporto tra prestazioni fornite dall'INPS per quel che riguarda gli assegni familiari e l'ammontare del prodotto interno lordo italiano, dopo essere cresciuto dal 15,03 per cento del 1975 al 3 per cento del 1994, è precipitato nel 2012 allo 0,3 per cento;
              l'Italia è il Paese dell'Unione europea con gli assegni familiari più bassi, mentre la somma dei contributi incassati dalla Cassa unica assegni familiari è superiore del 40 per cento in media rispetto a quella effettivamente erogata;
              la situazione della famiglia è oggi aggravata dalla compressione del welfare e dalla mancanza di lavoro, mentre le criticità da affrontare sono molteplici e relative al reddito della famiglia, al costo dei figli, ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, alla difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e vita affettiva e familiare, al costo e alla reperibilità delle abitazioni, ai carichi delle responsabilità che gravano sulla famiglia – in particolare sulla donna – che deve occuparsi «autonomamente» e senza ausili della cura e dell'assistenza dei propri componenti più deboli;
              inoltre, il sistema fiscale italiano tiene conto solo dell'equità verticale, ma non di quella orizzontale, come dimostra il fatto che, in qualunque provvedimento in materia fiscale o sanitaria, si valuta quasi sempre il reddito familiare tout court, senza tenere in debito conto il numero dei componenti del nucleo stesso;
              nel nostro Paese le reti di aiuto informale hanno svolto e svolgono un ruolo molto importante nel sostenere le persone nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità: i giovani che non hanno un lavoro, le madri lavoratrici con figli piccoli, gli anziani non autosufficienti, le persone disabili;
              però, per un malinteso senso della sussidiarietà le famiglie si sono trovate – in modo particolare negli ultimi anni segnati da una profonda crisi economica – a rappresentare un vero e proprio ammortizzatore sociale;
              la forte prevalenza dei cosiddetti aiuti informali, quale quello della famiglia sopra ricordato, sarà messa sempre più a dura prova a causa delle trasformazioni demografiche e sociali caratterizzate dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione, dalla modificazione delle reti relazionali e dai mutamenti della struttura delle famiglie;
              i dati relativi al tasso di occupazione femminile, alle nascite, alle dimissioni delle madri nel primo anno di vita del figlio, alla copertura di servizi per l'infanzia e alle spese investite dallo Stato per il sistema sociale suggeriscono che non bastano soluzioni volontaristiche;
              diritti fondamentali quali quello al lavoro e alla famiglia, alla maternità e alla paternità non possono essere affidati alla sensibilità o alla volontà di amministrazioni locali, aziende, associazioni;
              già nel breve periodo, infatti, le dinamiche demografiche condizionano un sistema economico: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effetti dell'assenza di figli sull'economia nazionale;
              gli studi di Amlan Roy, responsabile delle ricerche demografiche per il Crédit Suisse, dimostrano che l'invecchiamento demografico rallenta il prodotto interno lordo, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti e indebolisce l'efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali;
              questo quadro si sta già evidenziando ora nel nostro Paese rivelando così che la questione va affrontata rapidamente per evitare che il Paese muoia di vecchiaia e di povertà;
              si tratta di uno scenario drammatico prospettato dagli studi demografici e che mette in luce un malessere profondo, una crisi dove la rinuncia endemica alla maternità di moltissime coppie giovani, che ripiegano, spesso tardivamente, sul figlio unico, si somma a una nuova dinamica dei flussi migratori;
              da una parte ci sono i mancati arrivi degli immigrati, che arricchivano il nostro tasso di fecondità. Dall'altro la fuga degli italiani stessi. Si calcola che ogni anno oltre 130 mila abitanti si cancellino dalle anagrafi italiane per fissare la propria residenza altrove;
              dati recenti – rapporto Istat 2015 – evidenziano che in Italia il tasso di fecondità è pari a 1,37 contrariamente a quanto accade nel Nord Europa, dove oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, in particolare nel Mezzogiorno nonostante il desiderio del 60 per cento delle italiane di avere almeno due figli senza rinunciare a lavorare;
              gli anni di crisi economica che il Paese ha attraversato – e attraversa – hanno evidenziato come la famiglia rappresenti ancora il pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione di reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Eppure ancora se ne sottovaluta l'importanza e non se ne considera sufficientemente il valore;
              è necessario, allora, mettere in campo nuovi strumenti a sostegno delle responsabilità della famiglia e soprattutto misure che ne definiscano in modo coerente il carattere di soggetto attivo, titolare di diritti e di doveri, garantendo il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare. Deve, inoltre, essere sostenuto il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscendone la fondamentale rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità. È anche necessario sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovendo e valorizzando la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
              è necessario, inoltre, individuare misure che possano favorire la crescita della natalità nel nostro Paese. Molti studi mettono in luce, infatti, che uno dei principali fattori deterrenti per la costituzione di una nuova famiglia e per la genitorialità è la mancanza di risorse economiche;
              sempre secondo l'Istat, infatti, la nascita di un primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà, mentre la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il citato rischio, che si triplica all'eventuale nascita di un terzo figlio. Inoltre, gli stessi dati rilevano che avere figli raddoppia il rischio di contrarre debiti per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli;
              occorre allora riconsiderare il sistema di welfare perché sia maggiormente orientato al sostegno della famiglia, perché investire nelle politiche familiari significa investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
              non sono sufficienti interventi puntuali neanche quando hanno natura di sostegno economico, anche se sono sicuramente segnali positivi l'istituzione della Carta famiglia, l'attribuzione del «bonus bebé», le previsioni per favorire la conciliazione lavoro-famiglia. Ma non è sufficiente. Si potrebbe e si dovrebbe dare vita ad un sistema organico che valorizzi il ruolo di soggetto attivo della famiglia mettendola nelle condizioni di poter scegliere di essere generativa e di armonizzare i diversi compiti e funzioni che è chiamata a svolgere,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a rispondere alla crisi demografica in atto, anche attraverso l'individuazione di misure concrete di sostegno alla genitorialità e alla formazione di nuove famiglie;
          a riconoscere come priorità la valorizzazione dell'istituto familiare, anche promuovendo una revisione del sistema fiscale che tenga maggiormente conto della famiglia come soggetto e che riordini le obbligazioni tributarie a carico dei membri della famiglia;
          ad assumere iniziative per prevedere l'introduzione di forme di detassazione dei costi destinati obbligatoriamente per legge all'acquisto di beni e servizi a favore dei membri della famiglia, applicando anche dei coefficienti familiari per la determinazione del carico fiscale complessivo;
          a promuovere una politica alloggiativa che sostenga le giovani famiglie favorendone l'accesso alla casa in affitto o in proprietà;
          a valutare l'opportunità di intraprendere iniziative di tipo normativo in materia previdenziale, volte a superare la discriminazione tra le donne che hanno messo al mondo e allevato figli e donne che non lo hanno fatto, anche attraverso la previsione dell'attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio anche adottato, in linea con quanto disposto al riguardo in diversi ordinamenti europei;
          a istituire un tavolo di consultazione con la società civile e, in particolare, con le associazioni familiari per l'individuazione di misure idonee a sostenere la famiglia;
          a dare vita a nuove e strutturate politiche per la famiglia, considerando anche l'impatto sulle stesse famiglie delle leggi in via di approvazione;
          ad assumere le iniziative di competenza per prevedere che il 15 maggio 2016 sia celebrata anche in Italia la Giornata internazionale della famiglia stabilita dalle Nazioni Unite già del 1995.
(1-01146) «Sberna, Gigli, Dellai, Capelli, Fauttilli».


      La Camera,
          premesso che:
              un dibattito serio e costruttivo sulle misure di sostegno alle famiglie, sul contrasto al calo demografico e sulle politiche per la natalità, non può prescindere, in quanto strettamente interdipendenti, dalle politiche e dalle risorse finanziarie che un Paese decide di mettere in campo a sostegno del reddito, per il contrasto alla povertà e all'emarginazione socio-economica, per il rafforzamento del welfare, per il sostegno alle politiche per l'infanzia, per il diritto alla casa, nonché per le politiche del lavoro. Sono questi gli aspetti decisivi e il logico presupposto che, inevitabilmente, condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
              va, peraltro, evidenziato che, nella nostra società, sono presenti molteplici forme di nuclei familiari alle quali va riconosciuta la stessa dignità e le medesime garanzie da parte dello Stato. È da molti anni che il legislatore e la giurisprudenza si sono avviati su un percorso di riconoscimento della rilevanza giuridica dei nuclei familiari non fondati sul vincolo coniugale, nel rispetto delle scelte fatte dalle persone. Allo stesso modo i nuclei familiari formati da persone dello stesso sesso, anche con figli, chiedono il necessario e dovuto riconoscimento da parte dello Stato;
              la Corte costituzionale nella sentenza n.  138 del 2010 ha espressamente affermato che famiglia e matrimonio hanno la duttilità propria dei principi costituzionali, che evolvono con i cambiamenti sociali e culturali. Risulterebbe pertanto artificioso continuare a sostenere che lo Stato deve garantire un unico modello familiare, quale quello fondato sul matrimonio, perché non rispondente più alla realtà sociale e alle richieste che provengono dai cittadini;
              è, inoltre, assolutamente contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione e della nostra tradizione, sostenere che famiglia sia soltanto quella basata sulla genitorialità, essendo valido il matrimonio anche se contratto da persone che neppure potenzialmente possono procreare o che scelgano liberamente di non farlo. Pur dovendo sostenere i figli comunque nati, le famiglie vanno tutte sostenute come società naturale nella quale ogni individuo realizza il proprio progetto di vita e costruisce una comunità solidale e di affetti;
              di questa evoluzione culturale e giuridica, il nostro sistema di welfare e le politiche a sostegno alle famiglie non potranno non tenere conto;
              uno dei principali problemi del nostro Paese, e che contribuisce fortemente al costante calo demografico risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie e di politiche volte a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;
              è proprio di questi giorni la pubblicazione da parte dell'Istat del report sugli indicatori demografici per il 2015, dove emerge che la popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Al 1o gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3 per cento della popolazione totale (+39 mila unità);
              i dati Istat dicono che, nel 2015, le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall'unità d'Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L'età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. Il ricambio generazionale non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare;
              nell'aprile 2015, la seconda indagine del Censis sulla fertilità, ha evidenziato come, alla base della scarsa propensione ad avere figli, vi siano motivazioni principalmente economiche. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente e a incidere su questo spostamento in avanti è soprattutto il mercato del lavoro precario. Non è un caso che, nei Paesi del nord Europa, le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro;
              nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro, l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
              l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile e questo condiziona fortemente la stessa possibilità di determinare il proprio progetto di vita;
              vale la pena sottolineare come il basso tasso di occupazione femminile sia una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia. È, infatti, indubitabile che le famiglie monoreddito con figli presentino rischi di povertà elevati e che avere due redditi in famiglia è la via migliore di uscita dalla povertà o dalla minaccia di povertà. Da qui la necessità di incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
              conciliare lavoro e famiglia è un impegno quotidiano che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno delle famiglie, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli. Esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari;
              i recenti dati del «Rapporto Italia 2015» dell'Eurispes hanno evidenziato, ancora una volta, il perdurare delle difficoltà economiche e l'incertezza per il futuro. Cresce il numero di chi non si sente in grado di dare garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro. Deve ricorrere all'aiuto della propria famiglia (genitori, parenti) il 28 per cento di chi lavora. Pur avendo un'occupazione, il 55,6 per cento dei lavoratori ammette di avere difficoltà ad arrivare a fine mese;
              sempre l'Eurispes ricorda come l'erosione del proprio potere d'acquisto è ormai un dato di fatto per 7 italiani su 10; persone che hanno visto nell'ultimo anno diminuire nettamente o in parte la capacità di affrontare le spese con le proprie entrate. Inoltre, un cittadino su tre taglia sulle spese mediche e contestualmente aumenta il ricorso alle rateizzazioni per coprire i costi per curarsi;
              in questi anni le risorse assegnate ai principali fondi che incidono direttamente sul sistema del welfare, e che vengono rifinanziati annualmente dalla legge di stabilità, hanno visto una loro riduzione o, nel migliore dei casi, una loro conferma negli stanziamenti: vale per il fondo per le politiche sociali, come per il fondo per l'infanzia e l'adolescenza, o il fondo per le politiche della famiglia;
              riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare, è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese di questi anni abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita delle persone e delle famiglie;
              la campagna della rete «Miseria Ladra», promossa da Libera e dal Gruppo Abele e la campagna Sbilanciamoci, l'Arci e la Rete della Conoscenza, hanno recentemente ricordato alcuni numeri: nel nostro Paese la povertà assoluta è triplicata arrivando a colpire oltre 4,5 milioni di persone, distribuite in poco meno di 1,5 milioni di famiglie. Stessa tendenza per la dispersione scolastica, la povertà minorile e la disoccupazione giovanile. Da qui, una loro richiesta: escludere dal rispetto del patto di stabilità le spese relative ai servizi sociali;
              la legge di stabilità 2016 ha istituito un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», con una dotazione di 600 milioni di euro per il 2016, e 1 miliardo di euro a decorrere dall'anno 2017, per il finanziamento di un piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
              è evidente che, se l'obiettivo del suddetto piano nazionale è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente insufficienti. Dai dati Istat si evince che sarebbero necessari circa 5-6 miliardi di euro;
              le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità saranno forse sufficienti a coprire solo 280 mila famiglie, ossia poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
              non è solo il reddito delle famiglie a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità;
              per quanto riguarda le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido;
              le politiche per l'infanzia e la carenza cronica di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi strutturali del nostro Paese. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento, che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati;
              i pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali, attuati in questi ultimi anni, non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio, che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
              il sindacato Fp-Cgil, nel novembre 2015, in occasione della campagna «ChiedoAsilo», ha elaborato una ricerca condotta sui dati Istat, sull'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi. La mappa nazionale dei servizi presenta enormi sperequazioni regionali. Se, infatti, la copertura dei servizi per l'infanzia è al 24,8 per cento in Emilia Romagna, in Campania è al 2 per cento;
              per raggiungere lo standard europeo, fissato dalla strategia di Lisbona, che prevedeva una copertura pari al 33 per cento entro il 2010, il nostro Paese dovrebbe creare ulteriori 1.700 nidi e scuole dell'infanzia;
              come riporta la citata ricerca, nel 2010 sono nati circa 562 mila bambini, nel 2011, 546 mila. Nei primi due mesi del 2012, 89,6 mila. Il totale preciso è di 1 milione e 198.116 bambini nati, ai quali vanno sottratti i 289.851 che sono riusciti a trovare un posto al nido. I «senza asilo» sono quindi oltre 900 mila. Per loro non si prevede, a breve, un posto nelle strutture pubbliche. A meno che le rispettive famiglie non facciano uno sforzo, pagando;
              la legge finanziaria per il 2007 (legge n.  296 del 2006), aveva varato un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati. Un piano pensato per incrementare i servizi esistenti, indirizzato ad avviare un processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, per la concreta attuazione dei diritti delle bambine e dei bambini. Obiettivo non ultimo di questo intervento era anche quello di attenuare il forte squilibrio tra il nord e il sud del Paese ed una complessiva crescita del sistema nazionale verso standard europei;
              detto piano per lo sviluppo dei servizi socio-educativi non prevede risorse per il 2016 e per i prossimi anni, e questo nonostante che le risorse, a legislazione vigente, a disposizione dei servizi per l'infanzia, siano del tutto insufficienti;
              in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che coinvolge un numero elevato di nuclei familiari, e questo ancora di più nelle grandi aree urbane;
              la situazione del mercato immobiliare contribuisce fortemente alla precarietà abitativa, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, troppo spesso inaccessibili per le famiglie e le giovani coppie – sovrasta nettamente l'offerta edilizia pubblica;
              come riporta la recente indagine realizzata da Nomisma, in collaborazione con Federcasa, solo 700 mila famiglie italiane, cioè circa un terzo di quelle che si trovano in condizione di disagio abitativo, ha accesso a una casa popolare;
              i Governi di questi anni non sono stati in grado di promuovere politiche per la casa, che permettessero di favorire il recupero urbano e rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mettendo seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione,

impegna il Governo:

          ad assumere le opportune iniziative normative volte a prevedere per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
          ad assumere iniziative per estendere, in via sperimentale, le disposizioni di cui al decreto legislativo n.  80 del 2015, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità;
          a sostenere politiche attive ed a promuovere efficaci misure di sostegno per sperimentare nuovi rapporti tra tempi di lavoro e cura delle relazioni;
          a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
          a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e superando le attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi;
          ad assumere iniziative per incrementare le risorse attualmente assegnate al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e al fondo per le politiche sociali;
          ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, attualmente azzerato, quale strumento importante a favore degli enti locali per sostenere le famiglie più svantaggiate e per contrastare il disagio abitativo;
          ad assumere iniziative per dare priorità e rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica, stanziando a tal fine ulteriori risorse per il programma di recupero e manutenzione di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, e incentivare il co-housing;
          ad assumere iniziative per prevedere maggiori risorse per gli interventi volti al contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, anche alla luce del fatto che le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità risultano insufficienti e in grado di coprire solo poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
          ad assumere le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, volte a prevedere l'esclusione dal rispetto del patto di stabilità delle spese relative ai servizi sociali e al welfare;
(1-01170) «Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti, Martelli».


      La Camera,

impegna il Governo:

          a valutare, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, le opportune iniziative anche normative finalizzate a prevedere per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
          a valutare le opportune iniziative anche normative volte ad estendere, in via sperimentale, le disposizioni di cui al decreto legislativo n.  80 del 2015, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità;
          a sostenere politiche attive ed a promuovere efficaci misure di sostegno per sperimentare nuovi rapporti tra tempi di lavoro e cura delle relazioni;
          a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e superando le attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per incrementare le risorse attualmente assegnate al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e al fondo per le politiche sociali;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per rifinanziare il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, attualmente azzerato, quale strumento importante a favore degli enti locali per sostenere le famiglie più svantaggiate e per contrastare il disagio abitativo;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per favorire interventi in materia di edilizia residenziale pubblica, stanziando a tal fine ulteriori risorse per il programma di recupero e manutenzione di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, e incentivare il co-housing;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per prevedere maggiori risorse per gli interventi volti al contrasto alla povertà e all'esclusione sociale;
          a valutare le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, volte a prevedere l'esclusione dal rispetto del patto di stabilità delle spese relative ai servizi sociali e al welfare;
(1-01170)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)     «Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti, Martelli».


      La Camera,
          premesso che:
              il 19 febbraio 2016 l'Istat ha reso noto il report degli indicatori demografici relativi alle stime per l'anno 2015. Lo studio purtroppo ha confermato la tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
              dai dati pubblicati emerge una forte diminuzione del tasso di natalità;
              nel 2015 le nascite sono stimate in 488 mila unità, ben quindicimila in meno rispetto all'anno precedente. Si tocca, pertanto, un nuovo record di minimo storico dall'unità di Italia, dopo quello del 2014 (503 mila). Poiché i morti sono stati 653 mila, ne deriva una dinamica naturale della popolazione negativa per 165 mila unità;
              il ricambio generazionale, peraltro, non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare (da meno 7 mila unità nel 2007 a meno 25 mila nel 2010, fino a meno 96 mila nel 2014);
              al di là delle ragioni di fondo che stanno ostacolando, dopo il 2010, una significativa ripresa della natalità nel Paese, è opportuno ricordare che il recente calo delle nascite è in parte riconducibile alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda (15-49 anni). Le donne in questa fascia di età sono oggi meno numerose e mediamente più anziane;
              il tasso di natalità scende dall'8,3 per mille nel 2014 all'8 per mille nel 2015, a fronte di una riduzione uniformemente distribuita sul territorio;
              non si riscontrano incrementi di natalità in alcuna regione del Paese e soltanto Molise, Campania e Calabria mantengono il medesimo tasso del 2014;
              in assoluto, con un tasso pari al 9,7 per mille, il Trentino Alto Adige si conferma l'area a più intensa natalità del Paese, davanti alla Campania con l'8,7 per mille. Le regioni a più bassa natalità sono Liguria (6,5) e la Sardegna (6,7). Oltre alla più bassa natalità, alla Liguria compete anche il più alto tasso di mortalità (14,4 per mille) e quindi anche il tasso di incremento naturale più sfavorevole (- 7,9 per mille), a fronte di una media nazionale pari a – 2,7 per mille. La provincia di Bolzano, invece, rappresenta l'unica realtà del territorio nazionale nella quale la natalità si mantiene ancora superiore alla mortalità ( + 1,9 per mille);
              nel contesto di un'immigrazione sempre crescente nel nostro Paese, risulta sempre più complicato discernere i comportamenti demografici dei cittadini di origine straniera da quelli italiani, in particolar modo per quel che riguarda la natalità. Le cifre sulla composizione delle nascite per cittadinanza della madre (italiana/straniera) mostrano che si va riducendo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. I nati da madre straniera, infatti, scendono a 93 mila ossia oltre 5 mila in meno ( –5,4 per cento) del 2014. Quelli da madre italiana scendono a 394 mila riducendosi di oltre 9 mila ( – 2,4 per cento);
              per il quinto anno consecutivo nel 2015 si registra una riduzione del numero medio di figli per donna (tasso di fecondità totale), sceso a 1,35. Alla bassa propensione di fecondità continua ad accompagnarsi la scelta di rinviare sempre più in là il momento di avere figli. L'età media delle madri al parto, infatti, sale ulteriormente portandosi a 31,6 anni contro i 31,5 del 2014 (31,3 nel 2010);
              in particolare, si evidenzia che negli ultimi cinque anni il protrarsi degli effetti sociali della crisi economica ha innescato una diminuzione della fecondità di periodo poiché le difficoltà, soprattutto lavorative ed abitative, oggi incontrate dalle giovani coppie rallentano la progettualità genitoriale. Tali difficoltà, cui si accompagna un generale senso di precarietà in molti strati della società, stanno agendo nel verso di un'accentuazione della posticipazione delle nascite e, quando ciò avviene, il numero medio di figli per donna tende ad abbassarsi;
              da anni si assiste ad analisi e proposte tra le più disparate riguardanti la crisi economica e sociale del nostro Paese sottovalutando il tema demografico;
              è acclarato che l'invecchiamento della popolazione rappresenta un freno alla crescita, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica che diventa sempre più incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sul bilancio pubblico;
              alla luce di questi trend sociali appaiono sempre più sconcertanti la disinformazione ed il ritardo culturale nel sottovalutare l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità;
              rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata è di primaria importanza il ruolo del Governo: in quest'ultimo periodo sono stati adottati pochi e modesti provvedimenti che vanno nella giusta direzione. Fa ancora fatica a prendere corpo un'azione politica e legislativa ad ampio raggio per l'aggiornamento dell'intero welfare verso la famiglia e per un'incisiva iniziativa per la trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
              è indispensabile adottare, nel breve periodo, un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia ed alla natalità;
              il rifinanziamento per il 2016 del «bonus bebé», le disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neo papà, l'istituzione della carta della famiglia sono importanti ma del tutto insufficienti ad affrontare la gravissima difficoltà economica di una larga parte della popolazione che di fatto non consente alle coppie di avere figli;
              le famiglie e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale, una risposta credibile del Governo alle sempre crescenti difficoltà economiche e non solo, risposte che sono attese da chi intraprende la strada della formazione di una famiglia e della genitorialità,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obbiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative affinché la parte del reddito necessaria a mantenere i figli non sia tassata, riconoscendo una «no tax area» che copra il reddito di sussistenza della famiglia;
          a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica, di assumere iniziative per una deduzione ai fini dell'Irpef delle spese sostenute per le rette degli asili nido;
          a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere misure agevolative per la casa e per l'affitto per le giovani coppie;
          a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative per prevedere misure agevolative e di sostegno per le mamme lavoratrici;
          a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età per le famiglie che versano in particolare disagio economico.
(1-01171) «Palese, Pisicchio, Latronico».


      La Camera,
          premesso che:
              gli indici demografici diffusi nelle ultime settimane dall'Istat hanno evidenziato un calo delle nascite al minimo storico in Italia. Nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014. Il numero dei figli medi per donna è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
              per contro desta preoccupazione l'aumento del numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1 per cento). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni);
              dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza;
              una speranza di vita consolidatasi da anni e la contrazione progressiva delle nascite consegnano un Paese in «debito demografico» con dinamiche sociali che gravano su previdenza, spesa sanitaria e assistenza più che nel passato;
              le sfide della globalizzazione e le conseguenti crisi finanziarie provocheranno – in un Paese con un rapporto negativo fra popolazione attiva e non – un effetto che fra una ventina d'anni, esaurito l'effetto «baby boom» degli anni Sessanta e Settanta, sarà ancora più economicamente insostenibile;
              il contesto socio economico diventa ancora più grave se a ciò si aggiunge il fatto che il numero dei nuovi nati attribuiti ai cittadini stranieri non è così elevato da garantire una reale inversione di tendenza, a meno di nuove politiche in grado di rispondere a trasformazioni sociali così complesse;
              l'incidenza della popolazione anziana pur essendo diffusa su tutto il territorio nazionale ha una rilevanza maggiore nelle regioni del Sud, nelle quali si evidenzia una costante migrazione di giovani verso le regioni del Centro-nord più industrializzato;
              il numero delle famiglie è cresciuto di quasi un milione, ma diminuisce la loro dimensione (nel 1951 era in media di 4 persone, oggi è formata in maggioranza di soli 2 componenti);
              un fenomeno piuttosto diffuso è quello della «compattazione»: i giovani restano nel nucleo di origine più a lungo, i figli tornano dai genitori dopo separazione o divorzio, o dopo una emancipazione non riuscita o a seguito di una convivenza finita male;
              sono in aumento le persone celibi e nubili (famiglie uniparentali) che hanno superato i 7,5 milioni e rappresentano il 30,2 per cento delle famiglie italiane. La maggior parte delle persone sole è ascrivibile alla fascia di popolazione anziana (l'11 per cento ha più di 85 anni, ed è donna);
              fra i nuovi poveri ci sono i pensionati al minimo, gli anziani soli e non autosufficienti, le madri lavoratrici con figli piccoli, i disabili;
              se un anziano è attivo costituisce una risorsa economica e un aiuto nell'organizzazione familiare; per risparmiare sui costi del nido, ai nonni vengono spesso affidati i figli non in età scolare;
              la popolazione invecchiata, quella che non avrà figli a cui appoggiarsi per ricevere assistenza e cure, che non avrà la possibilità di beneficiare dell'aiuto vicendevole tra generazioni, graverà completamente sul sistema socio – sanitario nazionale;
              con l'invecchiamento della popolazione aumentano le disabilità (menomazioni fisiche e ridotta mobilità o sensoriali, perdita della vista, dell'udito, della parola) e di conseguenza si espongono gli anziani al rischio di marginalità sociale a meno di adeguate strategie di aiuto e assistenza che permettano loro di continuare a vivere in modo autonomo e partecipativo alla vita sociale;
              la crisi economica prolungata e l'indebolimento dei sistemi di protezione sociale hanno reso più ampia l'area della deprivazione materiale; il rischio di povertà in Italia è più alto della media dei Paesi dell'Unione europea e coinvolge quasi il 20 per cento delle famiglie;
              con questa situazione economica la spesa per consumi è in calo; molte famiglie hanno utilizzato i loro risparmi o hanno risparmiato meno per cercare di mantenere gli standard di vita a cui erano abituate, in alcuni casi indebitandosi;
              nel 2012 quasi il 38 per cento delle famiglie ha ricevuto trasferimenti sociali; al netto dei quali il rischio povertà sarebbe di cinque punti superiore. Quasi il 20 per cento della popolazione ha dichiarato di arrivare a stento alla fine del mese e fra il 13 e il 14 per cento di aver rinunciato, addirittura, alle cure mediche;
              l'Italia si colloca al settimo posto fra i 28 Paesi dell'Unione europea per la spesa per la protezione sociale; è uno dei Paesi che destinano la quota più elevata alla previdenza; è fra gli ultimi per le spese destinate alla salute; occupa con il 4,8 per cento della spesa, la penultima posizione per le risorse destinate alle famiglie (soprattutto sostegno al reddito, tutela della maternità, assegni familiari, asili nido, strutture residenziali per famiglie con minori, assistenza domiciliare e altro); è uno degli ultimi Paesi per l'assistenza ai disabili;
              la vera risorsa è il settore del no profit che svolge un ruolo crescente e determinante sul piano del welfare anche se ha una presenza eterogenea a livello nazionale (con evidenti carenze nel Mezzogiorno) e dipende fortemente dal finanziamento pubblico che, ovviamente, in tempi di contrazione della spesa, subisce la crisi;
              il processo di modernizzazione dei comportamenti familiari è caratterizzato da un calo delle nascite e la scarsa propensione al matrimonio tradizionale; si osserva invece un aumento dei matrimoni civili delle unioni libere e del numero dei figli nati fuori dal matrimonio;
              dal 2012 un nato su 4 ha genitori non coniugati per una percentuale nelle regioni del centro-nord del Paese vicina la 30 per cento;
              nel 2012 il 52 per cento dei maschi e il 35 per cento delle ragazze di età compresa fra 25 e 34 anni viveva in famiglia; sono molteplici le ragioni: aumento della scolarizzazione, le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro e la precarietà dello stesso, l'impossibilità di competere con un mercato immobiliare troppo costoso;
              dal punto di vista ambientale e urbanistico va registrato uno spopolamento delle aree rurali e montane in direzione delle aree metropolitane che però presentano periferie affollate e degradate dove le famiglie vivono in edilizia poco qualificata con infrastrutture e servizi insufficienti;
              nel 2012 i poveri assoluti hanno raggiunto l'8 per cento delle famiglie e il rischio povertà in Italia è il più alto d'Europa;
              quasi il 46 per cento della spesa per le famiglie con figli è assorbita da asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, mentre il 18 per cento è destinato all'accoglienza in strutture residenziali per minori privi di tutela o genitori in difficoltà con bambini;
              nel corso delle ultime manovre economiche nazionali sono stati circoscritti i vari stanziamenti sui fondi per le politiche sociali. Per i principali fondi è stata definita una situazione, pressoché di stabilità per il prossimo triennio: il fondo indistinto (Fondo nazionale per le politiche sociali) è stato rifinanziato sui livelli del 2015, mentre quello per la non autosufficienza è stato confermato su 400 milioni; la cifra è stata raggiunta grazie all'integrazione di 150 milioni prevista nella legge di stabilità, da destinarsi, anche agli interventi per la Sla;
              la legge di stabilità per il 2016 ha portato invece alcune rilevanti novità per quanto riguarda alcuni fondi sociali «minori». Dopo il finanziamento nel 2015 del fondo nazionale per le politiche per la Famiglia di 100 milioni di euro per rilanciare il piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, nel 2016 non è stata data continuità a questi interventi. La dotazione del fondo per il 2016 (5 milioni su base nazionale), è stata caratterizzata da un dirottamento delle somme stanziate dalle precedenti manovre su un nuovo fondo per le adozioni internazionali. Inoltre, a causa dello slittamento temporale dell'assegnazione, nel 2016 gli enti territoriali avranno a disposizione le risorse del riparto del fondo nazionale per la famiglia 2015 da destinare al potenziamento dei servizi socio-educativi (aumento dei posti, delle fasce di apertura, sostegno ai costi di gestione nella prospettiva di riduzione delle rette), secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015;
              è stata ampliata, inoltre, la gamma dei fondi sociali attraverso l'istituzione di una nuova linea di finanziamento diretta agli interventi per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare: 90 milioni di euro su base nazionale per i cosiddetti interventi «dopo di noi». Ciò significa risorse aggiuntive che saranno gestite in forma separata rispetto al resto dei fondi per le politiche sociali, rinunciando a una programmazione integrata del complesso degli interventi del welfare locale per la disabilità e la non autosufficienza. Analogamente, un altro nuovo fondo viene istituito per l'attuazione della legge n.  134 del 2015 in materia di cura dei soggetti con disturbi dello spettro autistico che tuttavia ha caratteristiche regolamentate dal Ministero della salute;
              dal «IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva» emerge che nel nostro Paese le risorse finanziarie destinate al sociale sono prevalentemente assorbite dalla spesa pensionistica. Anche se in questo ambito i dati di riferimento del Piano non sono aggiornati e si fermano al 2012, si rileva, rispetto al 2007, un aumento delle quote di spesa destinate alle funzioni «disoccupazione» (+ 1,9 punti percentuali) e «vecchiaia» (+ 1,0 per cento); mentre registrano una diminuzione le quote per «famiglia», «superstiti» e «invalidità» (-0,2 per cento), e in particolare per «malattia-salute» (-2,3 per cento). Stanti questi dati, la spesa sociale per l'area minorenni e famiglie si attesta, nel 2012, all'1,3 per cento del prodotto interno lordo. La quota di spesa sociale riservata a famiglie e minorenni è la più bassa fra i maggiori Paesi europei: infatti la Germania spende per minorenni e famiglie l'11,2 per cento della spesa sociale, la Francia il 7,9 per cento, il Regno Unito 6,6 per cento e la Spagna il 5,4 per cento;
              oggi gli enti locali trovano oggettive difficoltà per la redazione dei bilanci e per garantire la qualità e la quantità dei servizi per l'infanzia a causa di un'evidente condizione d'incertezza derivante dalla riduzione dei finanziamenti statali e dalle modalità di erogazione annuale, con una tendenza al ribasso delle risorse, non proporzionali all'andamento del numero delle scuole e delle sezioni riconosciute come paritarie;
              gli asili nido comunali rivestono un grande interesse pubblico, sono servizi per l'infanzia accessibili e di qualità che non solo contribuiscono a conciliare in modo rilevante vita familiare e lavorativa favorendo una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, ma sono esperienze educative decisive nello sviluppo cognitivo e relazionale infantile. In base ai dati rilevati dall'Anci, tra il 2010 e il 2013, vi è stato un aumento del 9 per cento di risorse impegnate da parte dei comuni destinato ai nidi a gestione diretta ed un 16 per cento per quelli a gestione convenzionata, in particolare nei comuni metropolitani dal 2010 al 2013 si è registrato un incremento pari al 20 per cento di risorse per i nidi a gestione diretta ed un 22 per cento per quelli a gestione convenzionata;
              dal piano nazionale per l'infanzia emerge, inoltre, l'urgenza di un sostegno sempre più accurato e settoriale alle politiche per la famiglia, a causa soprattutto delle rilevanti trasformazioni di quest'ultima all'interno di una società in evoluzione; in tal senso l'indicazione del Piano è di privilegiare due macro aree: il sostegno alla genitorialità e il sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine;
              in questa chiave è di rilievo valutare l'impatto fortemente positivo che sulle famiglie hanno le pratiche di welfare aziendale e corporate social responsibility (rilevato anche dal rapporto Istat per il 2015). Tra i benefit e servizi che le imprese offrono ai dipendenti rientrano le iniziative di welfare aziendale, che – recando vantaggi non solo ai dipendenti e alle loro famiglie ma più in generale al territorio dove opera l'azienda – affiancano il welfare locale;
              si tratta di misure che rappresentano veri e propri meccanismi di incentivazione del lavoratore in quanto riguardano le modalità di erogazione della prestazione lavorativa, lo sviluppo del capitale umano, il clima organizzativo e, in definitiva, la qualità del lavoro. Inoltre, l'offerta di servizi aggiuntivi per i dipendenti e le loro famiglie (asili nido, servizi di trasporto e altro) tende a rafforzare il legame tra impresa e collaboratori,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per dare piena attuazione ai principi di solidarietà politica, economica e sociale secondo quanto previsto all'articolo 2 della Costituzione;
          a promuovere misure per la revisione complessiva del regime fiscale della famiglia, in modo da dare concreto sostegno all'istituzione del nucleo familiare e alla piena assunzione degli impegni connessi alla genitorialità;
          ad incentivare azioni a sostegno della genitorialità e del sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine, così come definito dal IV piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, riorganizzando il sistema locale dei servizi di prossimità e degli interventi di sostegno per garantire risorse uniformi, stabili e complementari a tutte le famiglie secondo il principio delle pari opportunità;
          a promuovere concrete politiche sociali («bonus» fiscali, servizi socio educativi e socio assistenziali gratuiti) che rispondendo a precise esigenze delle famiglie siano tali da riuscire a incoraggiare una natalità sufficiente a contrastare il processo di invecchiamento della popolazione;
          ad assumere iniziative per definire misure correttive del sistema attuale di ripartizione delle risorse assegnate al welfare, che produce evidenti iniquità e non risponde all'esigenza di garantire, in materia di politiche sociali, le categorie più deboli quali minori, anziani, disabili, famiglie in difficoltà;
          ad assumere iniziative per mettere tutti i cittadini in una condizione di dignità e di giustizia, a partire dalle fasce di popolazione più debole, perché una società è «civile» se in essa nessuno si sente escluso o ultimo.
(1-01172) «Vezzali, Monchiero, Vargiu, Molea, Matarrese, Librandi, D'Agostino, Dambruoso, Rabino, Mazziotti Di Celso, Bombassei».


      La Camera,
          premesso che:
              gli indici demografici diffusi nelle ultime settimane dall'Istat hanno evidenziato un calo delle nascite al minimo storico in Italia. Nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014. Il numero dei figli medi per donna è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
              per contro desta preoccupazione l'aumento del numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1 per cento). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni);
              dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza;
              una speranza di vita consolidatasi da anni e la contrazione progressiva delle nascite consegnano un Paese in «debito demografico» con dinamiche sociali che gravano su previdenza, spesa sanitaria e assistenza più che nel passato;
              le sfide della globalizzazione e le conseguenti crisi finanziarie provocheranno – in un Paese con un rapporto negativo fra popolazione attiva e non – un effetto che fra una ventina d'anni, esaurito l'effetto «baby boom» degli anni Sessanta e Settanta, sarà ancora più economicamente insostenibile;
              il contesto socio economico diventa ancora più grave se a ciò si aggiunge il fatto che il numero dei nuovi nati attribuiti ai cittadini stranieri non è così elevato da garantire una reale inversione di tendenza, a meno di nuove politiche in grado di rispondere a trasformazioni sociali così complesse;
              l'incidenza della popolazione anziana pur essendo diffusa su tutto il territorio nazionale ha una rilevanza maggiore nelle regioni del Sud, nelle quali si evidenzia una costante migrazione di giovani verso le regioni del Centro-nord più industrializzato;
              il numero delle famiglie è cresciuto di quasi un milione, ma diminuisce la loro dimensione (nel 1951 era in media di 4 persone, oggi è formata in maggioranza di soli 2 componenti);
              un fenomeno piuttosto diffuso è quello della «compattazione»: i giovani restano nel nucleo di origine più a lungo, i figli tornano dai genitori dopo separazione o divorzio, o dopo una emancipazione non riuscita o a seguito di una convivenza finita male;
              sono in aumento le persone celibi e nubili (famiglie uniparentali) che hanno superato i 7,5 milioni e rappresentano il 30,2 per cento delle famiglie italiane. La maggior parte delle persone sole è ascrivibile alla fascia di popolazione anziana (l'11 per cento ha più di 85 anni, ed è donna);
              fra i nuovi poveri ci sono i pensionati al minimo, gli anziani soli e non autosufficienti, le madri lavoratrici con figli piccoli, i disabili;
              se un anziano è attivo costituisce una risorsa economica e un aiuto nell'organizzazione familiare; per risparmiare sui costi del nido, ai nonni vengono spesso affidati i figli non in età scolare;
              la popolazione invecchiata, quella che non avrà figli a cui appoggiarsi per ricevere assistenza e cure, che non avrà la possibilità di beneficiare dell'aiuto vicendevole tra generazioni, graverà completamente sul sistema socio – sanitario nazionale;
              con l'invecchiamento della popolazione aumentano le disabilità (menomazioni fisiche e ridotta mobilità o sensoriali, perdita della vista, dell'udito, della parola) e di conseguenza si espongono gli anziani al rischio di marginalità sociale a meno di adeguate strategie di aiuto e assistenza che permettano loro di continuare a vivere in modo autonomo e partecipativo alla vita sociale;
              la crisi economica prolungata e l'indebolimento dei sistemi di protezione sociale hanno reso più ampia l'area della deprivazione materiale; il rischio di povertà in Italia è più alto della media dei Paesi dell'Unione europea e coinvolge quasi il 20 per cento delle famiglie;
              con questa situazione economica la spesa per consumi è in calo; molte famiglie hanno utilizzato i loro risparmi o hanno risparmiato meno per cercare di mantenere gli standard di vita a cui erano abituate, in alcuni casi indebitandosi;
              nel 2012 quasi il 38 per cento delle famiglie ha ricevuto trasferimenti sociali; al netto dei quali il rischio povertà sarebbe di cinque punti superiore. Quasi il 20 per cento della popolazione ha dichiarato di arrivare a stento alla fine del mese e fra il 13 e il 14 per cento di aver rinunciato, addirittura, alle cure mediche;
              l'Italia si colloca al settimo posto fra i 28 Paesi dell'Unione europea per la spesa per la protezione sociale; è uno dei Paesi che destinano la quota più elevata alla previdenza; è fra gli ultimi per le spese destinate alla salute; occupa con il 4,8 per cento della spesa, la penultima posizione per le risorse destinate alle famiglie (soprattutto sostegno al reddito, tutela della maternità, assegni familiari, asili nido, strutture residenziali per famiglie con minori, assistenza domiciliare e altro); è uno degli ultimi Paesi per l'assistenza ai disabili;
              la vera risorsa è il settore del no profit che svolge un ruolo crescente e determinante sul piano del welfare anche se ha una presenza eterogenea a livello nazionale (con evidenti carenze nel Mezzogiorno) e dipende fortemente dal finanziamento pubblico che, ovviamente, in tempi di contrazione della spesa, subisce la crisi;
              il processo di modernizzazione dei comportamenti familiari è caratterizzato da un calo delle nascite e la scarsa propensione al matrimonio tradizionale; si osserva invece un aumento dei matrimoni civili delle unioni libere e del numero dei figli nati fuori dal matrimonio;
              dal 2012 un nato su 4 ha genitori non coniugati per una percentuale nelle regioni del centro-nord del Paese vicina la 30 per cento;
              nel 2012 il 52 per cento dei maschi e il 35 per cento delle ragazze di età compresa fra 25 e 34 anni viveva in famiglia; sono molteplici le ragioni: aumento della scolarizzazione, le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro e la precarietà dello stesso, l'impossibilità di competere con un mercato immobiliare troppo costoso;
              dal punto di vista ambientale e urbanistico va registrato uno spopolamento delle aree rurali e montane in direzione delle aree metropolitane che però presentano periferie affollate e degradate dove le famiglie vivono in edilizia poco qualificata con infrastrutture e servizi insufficienti;
              nel 2012 i poveri assoluti hanno raggiunto l'8 per cento delle famiglie e il rischio povertà in Italia è il più alto d'Europa;
              quasi il 46 per cento della spesa per le famiglie con figli è assorbita da asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, mentre il 18 per cento è destinato all'accoglienza in strutture residenziali per minori privi di tutela o genitori in difficoltà con bambini;
              nel corso delle ultime manovre economiche nazionali sono stati circoscritti i vari stanziamenti sui fondi per le politiche sociali. Per i principali fondi è stata definita una situazione, pressoché di stabilità per il prossimo triennio: il fondo indistinto (Fondo nazionale per le politiche sociali) è stato rifinanziato sui livelli del 2015, mentre quello per la non autosufficienza è stato confermato su 400 milioni; la cifra è stata raggiunta grazie all'integrazione di 150 milioni prevista nella legge di stabilità, da destinarsi, anche agli interventi per la Sla;
              la legge di stabilità per il 2016 ha portato invece alcune rilevanti novità per quanto riguarda alcuni fondi sociali «minori». Dopo il finanziamento nel 2015 del fondo nazionale per le politiche per la Famiglia di 100 milioni di euro per rilanciare il piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, nel 2016 non è stata data continuità a questi interventi. La dotazione del fondo per il 2016 (5 milioni su base nazionale), è stata caratterizzata da un dirottamento delle somme stanziate dalle precedenti manovre su un nuovo fondo per le adozioni internazionali. Inoltre, a causa dello slittamento temporale dell'assegnazione, nel 2016 gli enti territoriali avranno a disposizione le risorse del riparto del fondo nazionale per la famiglia 2015 da destinare al potenziamento dei servizi socio-educativi (aumento dei posti, delle fasce di apertura, sostegno ai costi di gestione nella prospettiva di riduzione delle rette), secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015;
              è stata ampliata, inoltre, la gamma dei fondi sociali attraverso l'istituzione di una nuova linea di finanziamento diretta agli interventi per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare: 90 milioni di euro su base nazionale per i cosiddetti interventi «dopo di noi». Ciò significa risorse aggiuntive che saranno gestite in forma separata rispetto al resto dei fondi per le politiche sociali, rinunciando a una programmazione integrata del complesso degli interventi del welfare locale per la disabilità e la non autosufficienza. Analogamente, un altro nuovo fondo viene istituito per l'attuazione della legge n.  134 del 2015 in materia di cura dei soggetti con disturbi dello spettro autistico che tuttavia ha caratteristiche regolamentate dal Ministero della salute;
              dal «IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva» emerge che nel nostro Paese le risorse finanziarie destinate al sociale sono prevalentemente assorbite dalla spesa pensionistica. Anche se in questo ambito i dati di riferimento del Piano non sono aggiornati e si fermano al 2012, si rileva, rispetto al 2007, un aumento delle quote di spesa destinate alle funzioni «disoccupazione» (+ 1,9 punti percentuali) e «vecchiaia» (+ 1,0 per cento); mentre registrano una diminuzione le quote per «famiglia», «superstiti» e «invalidità» (-0,2 per cento), e in particolare per «malattia-salute» (-2,3 per cento). Stanti questi dati, la spesa sociale per l'area minorenni e famiglie si attesta, nel 2012, all'1,3 per cento del prodotto interno lordo. La quota di spesa sociale riservata a famiglie e minorenni è la più bassa fra i maggiori Paesi europei: infatti la Germania spende per minorenni e famiglie l'11,2 per cento della spesa sociale, la Francia il 7,9 per cento, il Regno Unito 6,6 per cento e la Spagna il 5,4 per cento;
              oggi gli enti locali trovano oggettive difficoltà per la redazione dei bilanci e per garantire la qualità e la quantità dei servizi per l'infanzia a causa di un'evidente condizione d'incertezza derivante dalla riduzione dei finanziamenti statali e dalle modalità di erogazione annuale, con una tendenza al ribasso delle risorse, non proporzionali all'andamento del numero delle scuole e delle sezioni riconosciute come paritarie;
              gli asili nido comunali rivestono un grande interesse pubblico, sono servizi per l'infanzia accessibili e di qualità che non solo contribuiscono a conciliare in modo rilevante vita familiare e lavorativa favorendo una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, ma sono esperienze educative decisive nello sviluppo cognitivo e relazionale infantile. In base ai dati rilevati dall'Anci, tra il 2010 e il 2013, vi è stato un aumento del 9 per cento di risorse impegnate da parte dei comuni destinato ai nidi a gestione diretta ed un 16 per cento per quelli a gestione convenzionata, in particolare nei comuni metropolitani dal 2010 al 2013 si è registrato un incremento pari al 20 per cento di risorse per i nidi a gestione diretta ed un 22 per cento per quelli a gestione convenzionata;
              dal piano nazionale per l'infanzia emerge, inoltre, l'urgenza di un sostegno sempre più accurato e settoriale alle politiche per la famiglia, a causa soprattutto delle rilevanti trasformazioni di quest'ultima all'interno di una società in evoluzione; in tal senso l'indicazione del Piano è di privilegiare due macro aree: il sostegno alla genitorialità e il sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine;
              in questa chiave è di rilievo valutare l'impatto fortemente positivo che sulle famiglie hanno le pratiche di welfare aziendale e corporate social responsibility (rilevato anche dal rapporto Istat per il 2015). Tra i benefit e servizi che le imprese offrono ai dipendenti rientrano le iniziative di welfare aziendale, che – recando vantaggi non solo ai dipendenti e alle loro famiglie ma più in generale al territorio dove opera l'azienda – affiancano il welfare locale;
              si tratta di misure che rappresentano veri e propri meccanismi di incentivazione del lavoratore in quanto riguardano le modalità di erogazione della prestazione lavorativa, lo sviluppo del capitale umano, il clima organizzativo e, in definitiva, la qualità del lavoro. Inoltre, l'offerta di servizi aggiuntivi per i dipendenti e le loro famiglie (asili nido, servizi di trasporto e altro) tende a rafforzare il legame tra impresa e collaboratori,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per dare piena attuazione ai principi di solidarietà politica, economica e sociale secondo quanto previsto all'articolo 2 della Costituzione;
          a promuovere misure per la revisione complessiva del regime fiscale della famiglia, in modo da dare concreto sostegno all'istituzione del nucleo familiare e alla piena assunzione degli impegni connessi alla genitorialità;
          ad incentivare azioni a sostegno della genitorialità e del sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine, così come definito dal IV piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, riorganizzando il sistema locale dei servizi di prossimità e degli interventi di sostegno per garantire risorse uniformi, stabili e complementari a tutte le famiglie secondo il principio delle pari opportunità;
          a promuovere concrete politiche sociali («bonus» fiscali, servizi socio educativi e socio assistenziali gratuiti) che rispondendo a precise esigenze delle famiglie siano tali da riuscire a incoraggiare una natalità sufficiente a contrastare il processo di invecchiamento della popolazione;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per definire misure correttive del sistema attuale di ripartizione delle risorse assegnate al welfare, che produce evidenti iniquità e non risponde all'esigenza di garantire, in materia di politiche sociali, le categorie più deboli quali minori, anziani, disabili, famiglie in difficoltà;
          ad assumere iniziative per mettere tutti i cittadini in una condizione di dignità e di giustizia, a partire dalle fasce di popolazione più debole, perché una società è «civile» se in essa nessuno si sente escluso o ultimo.
(1-01172)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Vezzali, Monchiero, Vargiu, Molea, Matarrese, Librandi, D'Agostino, Dambruoso, Rabino, Mazziotti Di Celso, Bombassei».


      La Camera,
          premesso che:
              in tema di politiche familiari, negli ultimi venti anni si sono prodotti profondi mutamenti politici, economici e sociali che, nell'ultimo decennio, hanno attraversato l'Italia e i Paesi dell'Unione europea, coinvolgendo le identità dei soggetti e delle organizzazioni, e determinando profonde ripercussioni sulle condizioni di vita delle famiglie, dei bambini e dei giovani;
              ci sono state trasformazioni strutturali che hanno investito l'organizzazione della produzione e del lavoro e trasformazioni in campo sociale e demografico che hanno riguardato, invece, i soggetti che si muovono all'interno della società e, in particolare, del mercato del lavoro. Tra queste, di grande rilievo è la diminuzione della natalità che ha riguardato soprattutto i Paesi europei della fascia mediterranea, tra cui l'Italia, la Spagna e il Portogallo, e i Paesi di nuova adesione, tra cui Polonia, Slovenia, Lituania;
              si è contestualmente assistito all'aumento dei divorzi e di unioni non istituzionalizzate, unitamente a famiglie monoparentali in cui è specialmente la donna a gestire la cura, la crescita e l'educazione dei figli;
              il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
              in particolare, emerge dai dati una forte flessione del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
              secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
              nel report sugli indicatori demografici reso noto dall'Istat il 19 febbraio 2016, risulta che le nascite in Italia sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014, la percentuale più bassa dall'Unità d'Italia. Si tratta di un saldo negativo tra nati e deceduti di 165 mila unità. Risulta in calo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. A questi dati si aggiunge la continua riduzione del numero medio di figli per donna sceso a 1,35 (1,28 se si considerano solo le cittadine italiane) e il continuo innalzamento dell'età media delle madri al parto, che si porta a 31,6 anni (32,2 delle cittadine italiane) contro i 31,5 del 2014;
              gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente preoccupanti. Ciò risulta tanto più grave se si considera che, negli ultimi 10 anni, le donne hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere un figlio. Le mamme ultraquarantenni sono infatti aumentate del 100 per cento (l'età media alla nascita del primo figlio, che spesso rimane l'unico, è infatti di 30,8 anni), mentre sono diminuite del 18 per cento quelle minorenni. Solo l'11 per cento dei nati ha una madre con un'età inferiore ai 25 anni, mentre oltre il 24 per cento ha una madre di 35 anni e più;
              tutto ciò si è tradotto in famiglie sempre più piccole e sempre più fragili, dipendenti dal sistema dei servizi e dai meccanismi redistributivi del sistema di welfare per poter far fronte ai bisogni di base come a quelli di cura;
              in Italia, la spesa pubblica per servizi alla famiglia, comprensiva dei trasferimenti in denaro, della spesa per fornitura di servizi e di agevolazioni fiscali, è l'1,3 per cento del prodotto interno lordo. In Francia è circa il 3,02 per cento. Nell'Unione europea solo Spagna e Grecia spendono meno dell'Italia. Analizzando le componenti di questa spesa, l'Italia destina solo lo 0,15 per cento del prodotto interno lordo a interventi diretti alla primissima infanzia. Di conseguenza, solo il 12,7 per cento circa dei bambini da 0 a 3 anni frequenta un asilo nido; le differenze tra regioni sono molto ampie: si passa dal 24 per cento dell'Emilia Romagna a valori attorno al 2 per cento in Calabria e Campania;
              in Italia, la spesa per la famiglia è dunque la voce del welfare meno generosa, sia se confrontata con la spesa nelle altre componenti del welfare, sia rispetto al resto d'Europa;
              la carenza del welfare per la famiglia non è priva di conseguenze. Bambini e donne in particolare restano ai margini dell'attenzione dello stato sociale. La gestione dei bambini piccoli è responsabilità quasi esclusiva della famiglia, in particolare delle mamme, sulle quali ricade la maggior parte dell'attività domestica e del lavoro di cura, in misura molto sbilanciata anche rispetto ai padri. I nonni, in particolare le nonne, contribuiscono in misura preponderante alla cura dei bambini, supplendo spesso alla carenza dello stato sociale;
              un esempio virtuoso – sotto questo profilo – viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
              la famiglia rappresenta un grande «capitale sociale» che, in tempo di crisi, costituisce l'unico sostegno in un mondo «senza reti» e deve essere per questo tutelata; l'articolo 29 della Costituzione individua infatti la famiglia come società naturale e all'articolo 31 la Costituzione stabilisce che: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
              nel corso dell'esame parlamentare della legge di stabilità 2016, Forza Italia ha depositato numerose proposte emendative, contenenti misure a sostegno delle famiglie, delle quali il Governo ha scelto di non tenere conto, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari e di sostenere quelli esistenti, senza penalizzare l'accesso nel mercato del lavoro delle donne, ma valorizzando il ruolo della famiglia come nucleo fondante della società,

impegna il Governo:

          ad adottare politiche di sostegno alle famiglie che siano adeguate a fronteggiare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e in particolar modo, di quelle con figli, specie se minori, valutando la possibilità di assumere iniziative per incrementare la quota di investimento pubblico in protezione sociale destinato alle famiglie, rispettando, in tal modo il dettato costituzionale;
          ad assumere iniziative normative volte a prevedere misure rivolte in modo specifico alle giovani coppie, per sostenere le necessità legate all'acquisto o all'affitto della casa, stabilendo interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia;
          ad adottare tutte le opportune iniziative di contrasto alla disoccupazione giovanile, promuovendo la qualità dell'occupazione e delle relazioni industriali al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese;
          a intraprendere opportune iniziative al fine di prevedere specifiche agevolazioni fiscali per le famiglie, che siano da impulso per la formazione di nuovi nuclei familiari e per la genitorialità, assumendo iniziative per rivedere, al contempo, al rialzo, l'importo degli assegni familiari per i nuclei più numerosi;
          a valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre l'istituto del quoziente familiare, che considera il nucleo familiare e non il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti benefici per le famiglie più numerose.
(1-01173) «Occhiuto, Crimi, Palmieri».


      La Camera,
          premesso che:
              secondo gli ultimi dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia pubblicato il 27 novembre 2015, aggiornato al 19 febbraio 2016, nel 2015 le nascite sono state 488 mila (8 per mille dei residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014 (nuovo minimo storico dall'Unità di Italia), quasi 12 mila in meno rispetto al 2013, 74 mila in meno sul 2008;
              sempre secondo il documento Istat, la diminuzione delle nascite riguarda soprattutto le coppie di genitori entrambi italiani: 398.540, quasi 82 mila in meno negli ultimi sei anni perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa mentre si mantiene stabile il livello dei nati con almeno un genitore straniero (20,7 per cento per cento dei nati, 29 per cento nel Nord e 8 per cento nel Mezzogiorno), mentre diminuiscono i nati con entrambi i genitori stranieri (14,9 per cento del totale delle nascite) ed anche i nati all'interno del matrimonio: nel 2014 sono appena 363.916, ben 100 mila in meno rispetto al 2008. Al contrario, aumentano i nati da genitori non coniugati: oltre 138 mila nel 2014, quasi 26 mila in più sul 2008, con un peso relativo rispetto ai nati da coppie coniugate pari al 27,6 per cento del totale delle nascite; quasi l'8 per cento dei nati nel 2014 ha una madre di almeno 40 anni mentre in un caso su dieci (10,7 per cento) la madre è sotto i 25 anni; il numero medio di figli per donna scende a 1,35 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,28 figli, le cittadine straniere residenti 1,93; in quest'ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli;
              la popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti), il movimento naturale della popolazione ha fatto registrare nel 2015 un saldo negativo di 165 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale);
              inoltre, continua l'invecchiamento della popolazione italiana: l'età media è 44,6 anni, in costante aumento di due decimi all'anno nel periodo 2011-2015; la popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 22 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. In particolare, i cosiddetti «grandi vecchi» (80 anni e più) crescono ogni anno di un punto decimale, arrivando nel 2014 al 6,5 per cento della popolazione. Le persone ultracentenarie in vita al 31 dicembre 2014 sono 19 mila (3 mila uomini e 16 mila donne). Le persone con almeno 105 anni sono più di 800, di cui solo un centinaio sono uomini. Infine le persone con 110 anni e oltre sono 18, tutte donne;
              l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo (rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni) pari a 157,7 anziani ogni 100 giovani nel 2015;
              tutti questi dati rappresentano il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica hanno determinato un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta dunque con una struttura per età fortemente squilibrata;
              la concomitanza tra la fase di crisi economica, la precarietà del lavoro e la diminuzione delle nascite (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
              nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica si sommano a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda perché, con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato a metà degli anni Settanta, con effetti che si prevedono ancora più rilevanti per il futuro;
              una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che si frappongono alla serena e libera scelta delle donne di diventare madri per i risvolti negativi nella loro vita legati alla maternità. A partire dalla discriminazione nell'accesso al lavoro e nella prestazione di lavoro che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli (il 22,4 per cento delle madri dopo la gravidanza perde il lavoro, numero che sale in presenza di un secondo figlio, di un livello di istruzione basso e in presenza di lavori non stabili (Istat 2014). Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani senza che poi questo venga riconosciuto almeno dal punto di vista previdenziale come avviene in altri Paesi attraverso l'accredito di contribuzione figurativa;
              l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia senza gradualità, in particolare per le donne, ha fatto mancare anche l'aiuto storicamente consolidato delle nonne;
              le politiche per la famiglia non sono separate dalle politiche per la crescita e per il lavoro, ma ne fanno parte orientando l'azione dell'Esecutivo al sostegno delle famiglie;
              alla luce di questo quadro, assumono un significato rilevante le molteplici iniziative intraprese da questo Governo di sostegno alle famiglie in difficoltà economica, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia; alla condivisione delle responsabilità genitoriali; al contrasto della povertà estrema, in particolare di quella infantile;
              in particolare, le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano di vivere al meglio i molteplici ruoli che ciascuno gioca all'interno di società complesse;
              esse interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all'interno della coppia, sull'organizzazione del lavoro e dei tempi delle città, nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico;
              a innovare tale materia è intervenuto il decreto legislativo 15 giugno 2015 n.  80, attuativo dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n.  183 (il cosiddetto jobs act e i relativi decreti attuativi), che ha rivisto e esteso le misure per i congedi parentali e per rendere l'indennità di maternità un diritto garantito a tutte le lavoratrici, dipendenti e autonome, anche in assenza del versamento dei contributi. In particolare, con esso si prevede: la concessione del part-time obbligatorio al rientro dal periodo di maternità, la possibilità di rendere il congedo per maternità flessibile, la cancellazione definitiva dell'abuso delle cosiddette «dimissioni in bianco» che colpiva soprattutto le giovani donne madri. Nella legge di stabilità poi è stato ampliato il congedo di paternità obbligatorio, è stato introdotto l'obbligo per le imprese di riconoscere il congedo di maternità ai fini dell'ottenimento del premio di produttività, è stato potenziato il welfare aziendale, con l'ampliamento della gamma dei servizi di cura possibili, è stato rifinanziato e esteso alle lavoratrici autonome il voucher per baby sitting. Sotto questo profilo, un ulteriore contributo potrà derivare dall'auspicata approvazione, entro tempi ravvicinati, delle disposizioni volte ad introdurre nel nostro ordinamento l'istituto dello smart working;
              uno specifico rilievo merita l'intervento del Governo che ha promosso l'istituzione del fondo destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare nella legge di stabilità 2016, che ammonta a 90 milioni di euro; è attualmente all'esame del Senato della Repubblica il disegno di legge recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», con cui è stabilita la dotazione del suddetto fondo;
              altre misure come la carta famiglia, il fondo di solidarietà sospensione mutuo, il fondo mutui per le giovani coppie, il sostegno all'affitto, i bonus bebé, il bonus gas e il bonus elettricità, Il Fondo per la non autosufficienza, il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile così come il piano nazionale contro la povertà riguardano le persone e le tante famiglie più fragili costrette a domandare aiuti pubblici per far fronte alle spese quotidiane dal mutuo, all'affitto, dalle spese per i bambini alle bollette secondo l'Istat, infatti, nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, 4,2 per cento al Nord, 4,8 per cento al Centro e 8,6 per cento nel Mezzogiorno, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente), mentre sempre nel 2014 il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone, è in povertà relativa;
              il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause della fragilità economica delle famiglie e su questo fronte i dati dimostrano che c’è ancora molto da fare; infatti, il divario occupazionale tra uomini e donne, dopo una riduzione nel periodo della crisi, ha ripreso a salire, anche se in misura modesta, a causa di un tasso di occupazione femminile sostanzialmente costante e uno maschile leggermente in crescita; fenomeno che si accentua in alcuni settori come i servizi, in cui l'occupazione maschile sale dell'1,6 per cento, mentre quella femminile scende del 3,4 per cento o l'industria, in cui l'occupazione maschile sale dello 0,2 per cento, mentre quella femminile si riduce del 2,7 per cento. Andamenti che confermano un tasso di occupazione femminile oscillante attorno al 47 per cento, come nel 2000;
              le nuove configurazioni familiari, la complessità sociale ed i nuovi rischi ai quali la famiglia va incontro, inducono a dedicare una particolare attenzione alle politiche per la famiglia, ponendo in atto politiche di lungo termine e non solo dettate da necessità ed emergenza, poiché lo sviluppo demografico è’ un fattore decisivo di sviluppo economico e sociale,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative normative per incrementare la quota di bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alle famiglie;
          ad assumere ulteriori iniziative normative per incrementare l'occupazione femminile, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, nonché incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;
          ad assumere iniziative volte a prevedere, come negli altri Paesi europei, la contribuzione figurativa e il riconoscimento previdenziale per i lavori di cura, con particolare attenzione alla cura di figli e all'assistenza di familiari disabili;
          a rafforzare le politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
          ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» che va inserito in misure strutturali di sostegno alla natalità, cui assegnare carattere prioritario per lo sviluppo del Paese superando l'episodicità che ha caratterizzato la politica di trasferimenti monetari degli anni scorsi;
          a sviluppare iniziative per promuovere la genitorialità, anche attraverso interventi di sostegno alla quotidianità, di promozione delle competenze genitoriali, per riconoscere e implementare le risorse, accogliere e prevenire le fragilità, rafforzando servizi di preparazione al ruolo genitoriale, assistenza post partum, orientamento delle neo mamme;
          ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per continuare e rafforzare la lotta alla povertà educativa;
          a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e degli anziani e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro;
          ad assumere iniziative per rafforzare la condivisione delle responsabilità genitoriali ed in particolare il coinvolgimento nella vita familiare dei padri, attraverso l'estensione del congedo di paternità obbligatorio, come obiettivo primario;
          ad assumere iniziative per interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie più disagiate (in particolare, per le spese di cura).
(1-01174) «Sbrollini, Di Salvo, Lenzi, Gebhard, Roberta Agostini, Gnecchi, Gribaudo, Iori, Miotto, Pollastrini, Zampa, Albanella, Amato, Carnevali, Casati, D'Incecco, Giacobbe, Patrizia Maestri, Piazzoni, Cinzia Maria Fontana, Damiano, Patriarca, Capone, Fabbri, Vico, Piccione, Antezza, Amoddio, Mura».


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata in sede Onu il 10 dicembre 1948, definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta;
              il combinato disposto degli articoli della Costituzione; l'articolo 29 (che dispone il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), l'articolo 30 (con cui è stabilito che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio e che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale), l'articolo 31 (con cui è disposto che la Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia, con particolare riguardo alle famiglie numerose) – enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
              secondo i lavori preparatori dell'Assemblea costituente, l'aggettivo «naturale», ex articolo 29 della Costituzione, sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
              la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Ogni società civile che si rispetti deve salvaguardare i nuclei familiari che, consci dell'importanza del ruolo pubblico oltre che privato della loro unione, s'impegnano e si vincolano davanti allo Stato a adempiere ai doveri legati alla loro decisione;
              Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto». Chesterton con queste parole intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un'affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci dovevamo preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso;
              stando all'ultimo rapporto Istat che ha diffuso gli indici demografici, le nascite in Italia continuano a calare: nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Il numero dei figli medi per donna, è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
              le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali, hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il Pil mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse e indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
              la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
              affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria come l'Irlanda e la Grecia;
              sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
              questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro, con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
              la denatalità in Europa è ormai una emergenza. Entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
              il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da una idiozia ideologica che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
              i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
              è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità, attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
              in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese, il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai, per un tempo sempre maggiore, a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
              il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza, sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; primo tra tutti la Francia che, in pochi anni, è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato, ponendola al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
              è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
              gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, la pensano come i francesi, gli svedesi e i tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
              è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
              anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio, la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata secondo i presentatori del presente atto di indirizzo da un approccio errato al problema; è infatti stata estesa tale misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo, la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata per i presentatori del presente atto di indirizzo ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler, attraverso un processo di integrazione, progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
              ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia, prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia, il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma, in Europa, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
              considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
              sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n.  405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la nostra società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n.  833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che, all'interno del consultorio, si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
              si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, e fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che, nel 1975, aveva approvato la legge n.  405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n.  194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
              il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
              l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
              per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
              le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia, dando finalmente piena attuazione al disposto costituzionale;
              gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
              stando ai dati pubblicati da un'analisi del servizio politiche territoriali della Uil sui costi della scuola per l'infanzia, nelle 21 città capoluogo di regione, per l'anno scolastico 2015-2016, in tale anno scolastico, le mamme e i papà italiani pagheranno mediamente 329 euro mensili (3.290 euro annui) per pagare le rette degli asili nido e delle mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, con un aumento del 3,1 per cento rispetto all'anno scolastico 2012-2013. Queste spese incidono per il 9,2 per cento sul budget familiare. Per la frequenza di un asilo nido comunale si spendono in media 252 euro mensili, che incidono per il 7 per cento sul reddito familiare, con un aumento del 2,4 per cento rispetto a 3 anni fa;
              per le mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, invece, la retta mensile costa mediamente 77 euro, con un aumento del 5,5 per cento rispetto a 3 anni fa, che incidono per il 2,1 per cento sul reddito familiare disponibile. Nelle città campione della ricerca si evince che, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta di questo importante servizio sociale, la quota di domanda soddisfatta è ancora molto bassa: soltanto 13 bambini 0/3 anni su 100 frequentano un asilo nido comunale o convenzionato;
              nelle città capoluogo di regione gli asili nido pubblici o convenzionati sono 717, per 43 mila posti, su una popolazione di bambini 0/3 anni di oltre 334 mila;
              è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi, l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n.  1044, che istituì i nidi comunali, con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
              gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
              si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, (si evidenzia che presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge presentata dal gruppo parlamentare Lega Nord e autonomie – A.C. 2163 recante «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
              l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio deve essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
              per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
              si ricorda, inoltre che il gruppo parlamentare della Lega Nord e delle Autonomie ha presentato alla Camera un'altra proposta di legge sul tema – l'A.C. 426 –, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta, a differenza della prima, non va a delineare il quadro entro il quale far sì che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di conferenza unificata tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate in media a quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese, attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
              è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
              il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

          a promuovere una politica a sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
          ad assumere iniziative per prevedere idonee misure di sostegno alle famiglie in attesa di bambini;
          a non farsi promotore di iniziative volte a diffondere posizioni ideologiche che scardinano i riferimenti valoriali che appartengono, da sempre, alla tradizione culturale, sociale e religiosa del nostro Paese;
          ad assumere iniziative per realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
          a riconoscere quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico-programmatiche la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio, secondo un sistema articolato, sistema cui concorrano il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
              a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
              b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
              c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
          a promuovere iniziative per l'incremento delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
          ad assumere iniziative normative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
          ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare, nei fatti, una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito;
          a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nelle future iniziative normative a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari delle misure di sostegno tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n.  286 del 1998, testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
(1-01175) «Rondini, Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              le funzioni proprie della famiglia e la sua naturale universalità fanno assumere alla famiglia, nei diversi contesti sociali e culturali, una straordinaria varietà di forme;
              la crisi economica ancora in atto produce effetti funesti che coinvolgono l'intera società, rischiando di stravolgere gli equilibri della comunità e, soprattutto, delle famiglie;
              anche a causa di ciò, negli ultimi dieci anni, la famiglia italiana è cambiata molto. Dalla lettura dei dati Istat, si ravvisa una vera e propria tendenza alla frammentazione. Pur rappresentando la quota maggioritaria, la tipologia familiare «coppia con figli» negli ultimi anni si è ridotta, passando da un'incidenza percentuale sul totale delle famiglie pari a 42,5 per cento (anno 2004), al 37 per cento (anno 2012);
              si rileva la significativa crescita del numero dei monogenitori (circa 2 milioni) pari a + 8 per cento. Si è dunque dinanzi all'insorgenza di una sensibile trasformazione del ciclo di vita individuale che si ripercuote sugli assetti familiari, determinando una ricomposizione dei nuclei;
              come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone;
              i livelli di spesa più bassi, tenuto conto anche dell'ampiezza familiare, si osservano per le coppie giovani (con persona di riferimento under 35), che, per la prima volta, hanno una spesa inferiore a quella delle coppie con persona di riferimento di 65 anni e oltre (di circa 100 euro);
              restano le tradizionali differenze territoriali nelle spese medie delle famiglie tra Centro-Nord e Mezzogiorno, con valori massimi osservati in Trentino-Alto Adige (3.073,54 euro) e in Emilia-Romagna (2.883,27 euro) e valori minimi per la Calabria (1.757,82 euro) e la Sicilia (1.778,86 euro). Si tratta di una differenza tra i valori medi che assume un massimo pari a 74,8 per cento;
              si consideri attentamente il fatto che la struttura familiare italiana è caratterizzata da una marcata propensione dei giovani a costituire un nuovo nucleo familiare solo se in grado di poter sostenere i costi per il mantenimento dei figli;
              sono proprio le famiglie dei giovani che hanno intrapreso un percorso autonomo quelle che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi e che oggi fronteggiano i livelli di incertezza più elevati. Infatti il rapporto Istat «Natalità e fecondità della popolazione residente» evidenzia che ne 2013 sono stati iscritti in anagrafe, per nascita, 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dai 2008. Conseguentemente, nel 2013, il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010);
              in tema di famiglia è naturale preoccuparsi soprattutto dei bambini e degli adolescenti in base agli ultimi dati Istat, in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6 per cento di tutti i bambini e gli adolescenti;
              il 7 per cento dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età; la quota è del 10,9 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7 per cento nel Centro e nel Nord del Paese. Il dato che più di altri aiuta a individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale;
              sul punto si rinvia anche all’«Atlante dell'infanzia a rischio» ove si stima che in Italia il 25 per cento dei minori è a rischio povertà: sono circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale e spesso anche culturale, sociale e relazionale. Sono pari a un milione i bambini che vivono in povertà assoluta;
              un dato recente, drammatico e allarmante, è rappresentato dall'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare d'origine per questioni di indigenza;
              ai convenzionali indicatori della crescita economica, considerando la situazione dei bambini e degli adolescenti, è però necessario affiancare statistiche più direttamente correlate allo sviluppo umano, in termini di istruzione, salute, democrazia, equità sociale, tessuto relazionale. Infatti, le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile, sono pesantissime e si ripercuotono nelle fasi successive della vita di un bambino. In tal senso, le politiche che poco investono sull'infanzia e sull'adolescenza non tengono nella dovuta considerazione gli effetti sfavorevoli, sull'Italia del presente e soprattutto del futuro, causati da tale mancanza;
              la legge n.  285 del 1997 contiene «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», che dovrebbe garantire le condizioni operative per dare attuazione concreta ai principi della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. La legge n.  285 è importante anche perché avrebbe dovuto aprire un nuovo approccio nelle politiche socio-educative in Italia, superando la tradizionale ottica assistenzialistica e riparatoria nei confronti dei minori, non più visti semplicemente come destinatari degli interventi, ma anche come cittadini promozione dei proprio benessere;
              uno degli aspetti più apprezzabili della legge n.  285 consisteva nella sua concretezza, dal momento che prevedeva l'istituzione di uno specifico Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla promozione di servizi e interventi di prevenzione e contrasto del disagio e di miglioramento della qualità della vita;
              la legge si propone di migliorare la vita dei bambini, passando dal riconoscimento dei diritti alla promozione di programmi concreti in ogni comune;
              essa tende a prevenire il disagio e contrastare la povertà anche tramite l'ascolto dei bambini-cittadini che hanno diritto a essere aiutati e valorizzati mediante un cambiamento culturale, cioè un modo nuovo di affrontare i temi del vivere da bambini, riconosce alle periferie un ruolo strategico con la promozione di progettazione partecipata per la costruzione di un sistema di valorizzazione delle buone pratiche, di raccolta di documentazione e di prassi progettuali virtuose;
              la legge individua nella protezione della famiglia la migliore prevenzione per bambini e adolescenti attribuendo diritti di cittadinanza a bambini, famiglie e comunità rendendoli partecipi e protagonisti, in questo ambito dell'attività delle comunità locali e delle istituzioni;
              la normativa vigente attribuisce al Presidente dei Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse;
              sono, inoltre, affidate alla Presidenza dei Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza;
              per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n.  285 del 1997 per la «promozione di ritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» sopra descritta, e ne predispone la relazione azione annuale al Parlamento;
              proprio la legge n.  285 del 1997 ha subìto una lenta e progressiva erosione nella capacità di garantire diritti effettivi, a causa della costante diminuzione dei fondi assegnati;
              il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n.  285, così come specificato dal comma 2 dell'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n.  468, è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo è riservata alle grandi città metropolitane per il finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di: Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari;
              la ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
                  a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
                  b) numero di minori presenti in presidi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
                  c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
                  d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
              originariamente, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza era finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza. Una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo era riservata alle 15 città cosiddette «riservatarie». Si prevedeva che l'allora Ministro per la solidarietà sociale convocasse periodicamente, e comunque almeno ogni tre anni, la Conferenza nazionale sull'infanzia e l'adolescenza organizzata con il supporto tecnico e organizzativo del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. A distanza di circa venti anni dall'approvazione della legge occorre prender atto che quel sistema organico di politiche per l'infanzia non è mai andato compiutamente a regime, nonostante l'approccio innovativo e olistico introdotto dalla legge n.  285 del 1997, che ha fatto parzialmente emergere la concessione fra servizi sociali ed educativi, e diritti. Anzi, l'evoluzione normativa e la prassi hanno progressivamente svuotato tale impianto di contenuti e finanziamenti, senza che fosse ripensato un nuovo assetto per le politiche per l'infanzia;
              si avverte a livello nazionale una regia insufficiente, poiché essa non appare in grado di coordinare al meglio e mettere a sistema i vari interventi posti in essere dai singoli dicasteri, sia in merito alle competenze per le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, sia in merito a quelle ad esse collegate (come, ad esempio, famiglia e protezione dei gruppi vulnerabili). Occorre dunque ripensare alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza con una visione che superi le misure solo emergenziali, legate al disagio conclamato, attuate oggi secondo una visione che è addirittura antecedente alla legge n.  285;
              desta grande preoccupazione il fatto che, a causa della rimozione del vincolo di destinazione dei fondi originariamente previsto dalla legge, le politiche a sostegno dell'infanzia e l'adolescenza siano governate mediante il ricorso inefficiente e inefficace a misure dettate dell'emergenza e caratterizzate dalla residualità dell'intervento sociale;
              la confluenza delle risorse per l'infanzia e per l'adolescenza nel fondo unico e indistinto per le politiche sociali ha causato una discontinuità nei tempi dei finanziamenti o maggiori ritardi nell'accreditamento dei fondi; inoltre le regioni hanno ridotto le risorse destinate a questa fascia di età e, in particolar modo, le risorse destinate alla promozione e alla prevenzione;
              si ricorda che il 19 dicembre 2015 è stato accolto favorevolmente l'ordine del giorno 9/3444-A/132 a firma Bechis, con cui il Governo si è impegnato: «a valutare l'opportunità di presentare una relazione comparata che attesti i risultati dei tondo previsto dalla legge 285/1997 e sugli eventuali miglioramenti conseguiti dal fondo successivamente previsto dalla legge 328 del 2000 e, in assenza di migliorie apprezzabili, a valutare l'opportunità di prevedere per il Fondo di cui in premessa, il rifinanziamento anche della quota da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano oltre alla quota già rifinanziata e riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.»,

impegna il Governo:

          a rispettare in tempi rapidi e certi l'impegno assunto con l'approvazione dell'ordine del giorno di cui in premessa;
          fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, ad assumere iniziative per destinare specificamente una quota degli stanziamenti di cui sono dotati il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia al fine di mettere in atto delle azioni finalizzate esclusivamente alla tutela dei bambini e adolescenti, ricalcando, ove possibile, le finalità del fondo previsto dalla legge n.  285 del 1997;
          a individuare un metodo più omogeneo di distribuzione dei fondi, fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al fine di non concentrarne la parte maggiore nei 15 comuni riservatari ed intervenire maggiormente anche nelle località più socialmente ed economicamente disagiate, eventualmente reperendo i fondi necessari al raggiungimento dello scopo all'interno degli stanziamenti di cui è dotato il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia;
          ad assumere iniziative al fine di dare maggiore efficacia alla missione contenuta nella legge n.  285 del 1997 e assicurare una migliore tutela e protezione alla componente fondamentale della famiglia, i figli, soprattutto nei casi in cui essi facciano parte di famiglie a rischio di indigenza e assicurare a tutti loro la massima promozione dei diritti e delle opportunità garantite dalla legge.
(1-01176) «Bechis, Artini, Baldassarre, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              le funzioni proprie della famiglia e la sua naturale universalità fanno assumere alla famiglia, nei diversi contesti sociali e culturali, una straordinaria varietà di forme;
              la crisi economica ancora in atto produce effetti funesti che coinvolgono l'intera società, rischiando di stravolgere gli equilibri della comunità e, soprattutto, delle famiglie;
              anche a causa di ciò, negli ultimi dieci anni, la famiglia italiana è cambiata molto. Dalla lettura dei dati Istat, si ravvisa una vera e propria tendenza alla frammentazione. Pur rappresentando la quota maggioritaria, la tipologia familiare «coppia con figli» negli ultimi anni si è ridotta, passando da un'incidenza percentuale sul totale delle famiglie pari a 42,5 per cento (anno 2004), al 37 per cento (anno 2012);
              si rileva la significativa crescita del numero dei monogenitori (circa 2 milioni) pari a + 8 per cento. Si è dunque dinanzi all'insorgenza di una sensibile trasformazione del ciclo di vita individuale che si ripercuote sugli assetti familiari, determinando una ricomposizione dei nuclei;
              come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone;
              i livelli di spesa più bassi, tenuto conto anche dell'ampiezza familiare, si osservano per le coppie giovani (con persona di riferimento under 35), che, per la prima volta, hanno una spesa inferiore a quella delle coppie con persona di riferimento di 65 anni e oltre (di circa 100 euro);
              restano le tradizionali differenze territoriali nelle spese medie delle famiglie tra Centro-Nord e Mezzogiorno, con valori massimi osservati in Trentino-Alto Adige (3.073,54 euro) e in Emilia-Romagna (2.883,27 euro) e valori minimi per la Calabria (1.757,82 euro) e la Sicilia (1.778,86 euro). Si tratta di una differenza tra i valori medi che assume un massimo pari a 74,8 per cento;
              si consideri attentamente il fatto che la struttura familiare italiana è caratterizzata da una marcata propensione dei giovani a costituire un nuovo nucleo familiare solo se in grado di poter sostenere i costi per il mantenimento dei figli;
              sono proprio le famiglie dei giovani che hanno intrapreso un percorso autonomo quelle che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi e che oggi fronteggiano i livelli di incertezza più elevati. Infatti il rapporto Istat «Natalità e fecondità della popolazione residente» evidenzia che ne 2013 sono stati iscritti in anagrafe, per nascita, 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dai 2008. Conseguentemente, nel 2013, il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010);
              in tema di famiglia è naturale preoccuparsi soprattutto dei bambini e degli adolescenti in base agli ultimi dati Istat, in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6 per cento di tutti i bambini e gli adolescenti;
              il 7 per cento dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età; la quota è del 10,9 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7 per cento nel Centro e nel Nord del Paese. Il dato che più di altri aiuta a individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale;
              sul punto si rinvia anche all’«Atlante dell'infanzia a rischio» ove si stima che in Italia il 25 per cento dei minori è a rischio povertà: sono circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale e spesso anche culturale, sociale e relazionale. Sono pari a un milione i bambini che vivono in povertà assoluta;
              un dato recente, drammatico e allarmante, è rappresentato dall'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare d'origine per questioni di indigenza;
              ai convenzionali indicatori della crescita economica, considerando la situazione dei bambini e degli adolescenti, è però necessario affiancare statistiche più direttamente correlate allo sviluppo umano, in termini di istruzione, salute, democrazia, equità sociale, tessuto relazionale. Infatti, le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile, sono pesantissime e si ripercuotono nelle fasi successive della vita di un bambino. In tal senso, le politiche che poco investono sull'infanzia e sull'adolescenza non tengono nella dovuta considerazione gli effetti sfavorevoli, sull'Italia del presente e soprattutto del futuro, causati da tale mancanza;
              la legge n.  285 del 1997 contiene «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», che dovrebbe garantire le condizioni operative per dare attuazione concreta ai principi della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. La legge n.  285 è importante anche perché avrebbe dovuto aprire un nuovo approccio nelle politiche socio-educative in Italia, superando la tradizionale ottica assistenzialistica e riparatoria nei confronti dei minori, non più visti semplicemente come destinatari degli interventi, ma anche come cittadini promozione dei proprio benessere;
              uno degli aspetti più apprezzabili della legge n.  285 consisteva nella sua concretezza, dal momento che prevedeva l'istituzione di uno specifico Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla promozione di servizi e interventi di prevenzione e contrasto del disagio e di miglioramento della qualità della vita;
              la legge si propone di migliorare la vita dei bambini, passando dal riconoscimento dei diritti alla promozione di programmi concreti in ogni comune;
              essa tende a prevenire il disagio e contrastare la povertà anche tramite l'ascolto dei bambini-cittadini che hanno diritto a essere aiutati e valorizzati mediante un cambiamento culturale, cioè un modo nuovo di affrontare i temi del vivere da bambini, riconosce alle periferie un ruolo strategico con la promozione di progettazione partecipata per la costruzione di un sistema di valorizzazione delle buone pratiche, di raccolta di documentazione e di prassi progettuali virtuose;
              la legge individua nella protezione della famiglia la migliore prevenzione per bambini e adolescenti attribuendo diritti di cittadinanza a bambini, famiglie e comunità rendendoli partecipi e protagonisti, in questo ambito dell'attività delle comunità locali e delle istituzioni;
              la normativa vigente attribuisce al Presidente dei Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse;
              sono, inoltre, affidate alla Presidenza dei Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza;
              per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n.  285 del 1997 per la «promozione di ritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» sopra descritta, e ne predispone la relazione azione annuale al Parlamento;
              proprio la legge n.  285 del 1997 ha subìto una lenta e progressiva erosione nella capacità di garantire diritti effettivi, a causa della costante diminuzione dei fondi assegnati;
              il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n.  285, così come specificato dal comma 2 dell'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n.  468, è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo è riservata alle grandi città metropolitane per il finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di: Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari;
              la ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
                  a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
                  b) numero di minori presenti in presidi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
                  c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
                  d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
              originariamente, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza era finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza. Una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo era riservata alle 15 città cosiddette «riservatarie». Si prevedeva che l'allora Ministro per la solidarietà sociale convocasse periodicamente, e comunque almeno ogni tre anni, la Conferenza nazionale sull'infanzia e l'adolescenza organizzata con il supporto tecnico e organizzativo del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. A distanza di circa venti anni dall'approvazione della legge occorre prender atto che quel sistema organico di politiche per l'infanzia non è mai andato compiutamente a regime, nonostante l'approccio innovativo e olistico introdotto dalla legge n.  285 del 1997, che ha fatto parzialmente emergere la concessione fra servizi sociali ed educativi, e diritti. Anzi, l'evoluzione normativa e la prassi hanno progressivamente svuotato tale impianto di contenuti e finanziamenti, senza che fosse ripensato un nuovo assetto per le politiche per l'infanzia;
              si avverte a livello nazionale una regia insufficiente, poiché essa non appare in grado di coordinare al meglio e mettere a sistema i vari interventi posti in essere dai singoli dicasteri, sia in merito alle competenze per le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, sia in merito a quelle ad esse collegate (come, ad esempio, famiglia e protezione dei gruppi vulnerabili). Occorre dunque ripensare alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza con una visione che superi le misure solo emergenziali, legate al disagio conclamato, attuate oggi secondo una visione che è addirittura antecedente alla legge n.  285;
              desta grande preoccupazione il fatto che, a causa della rimozione del vincolo di destinazione dei fondi originariamente previsto dalla legge, le politiche a sostegno dell'infanzia e l'adolescenza siano governate mediante il ricorso inefficiente e inefficace a misure dettate dell'emergenza e caratterizzate dalla residualità dell'intervento sociale;
              la confluenza delle risorse per l'infanzia e per l'adolescenza nel fondo unico e indistinto per le politiche sociali ha causato una discontinuità nei tempi dei finanziamenti o maggiori ritardi nell'accreditamento dei fondi; inoltre le regioni hanno ridotto le risorse destinate a questa fascia di età e, in particolar modo, le risorse destinate alla promozione e alla prevenzione;
              si ricorda che il 19 dicembre 2015 è stato accolto favorevolmente l'ordine del giorno 9/3444-A/132 a firma Bechis, con cui il Governo si è impegnato: «a valutare l'opportunità di presentare una relazione comparata che attesti i risultati dei tondo previsto dalla legge 285/1997 e sugli eventuali miglioramenti conseguiti dal fondo successivamente previsto dalla legge 328 del 2000 e, in assenza di migliorie apprezzabili, a valutare l'opportunità di prevedere per il Fondo di cui in premessa, il rifinanziamento anche della quota da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano oltre alla quota già rifinanziata e riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.»,

impegna il Governo:

          a rispettare in tempi rapidi e certi l'impegno assunto con l'approvazione dell'ordine del giorno di cui in premessa;
          a valutare le opportune iniziative, fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, volte a destinare specificamente una quota degli stanziamenti di cui sono dotati il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia al fine di mettere in atto delle azioni finalizzate esclusivamente alla tutela dei bambini e adolescenti, ricalcando, ove possibile, le finalità del fondo previsto dalla legge n.  285 del 1997;
          a valutare le opportune iniziative, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, per individuare un metodo più omogeneo di distribuzione dei fondi, fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al fine di non concentrarne la parte maggiore nei 15 comuni riservatari ed intervenire maggiormente anche nelle località più socialmente ed economicamente disagiate, eventualmente reperendo i fondi necessari al raggiungimento dello scopo all'interno degli stanziamenti di cui è dotato il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia;
          ad assumere iniziative al fine di dare maggiore efficacia alla missione contenuta nella legge n.  285 del 1997 e assicurare una migliore tutela e protezione alla componente fondamentale della famiglia, i figli, soprattutto nei casi in cui essi facciano parte di famiglie a rischio di indigenza e assicurare a tutti loro la massima promozione dei diritti e delle opportunità garantite dalla legge.
(1-01176)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Bechis, Artini, Baldassarre, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              gli articoli 29, 30 e 31 della nostra Costituzione sono dedicati alla famiglia e al ruolo che ad essa è riservato nel nostro ordinamento, con particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi, ai doveri e ai diritti rispetto ai figli, e ai compiti dello Stato nel sostegno da accordare alla formazione della famiglia e alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù;
              la definizione di «società naturale», contenuta proprio nell'articolo 29, come è stato osservato da autorevoli costituzionalisti «è diretta a sottolineare che l'istituto familiare è pregiuridico, sussiste cioè prima e indipendentemente da interventi legislativi», ne deriva che il compito del legislatore è quello di garantirne la formazione e tutelarne i singoli aspetti;
              il report dell'Istat sugli indicatori demografici pubblicato nei primi giorni di gennaio 2016 ha evidenziato un ulteriore calo delle nascite rispetto all'anno precedente, con un dato che realizza il nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia;
              nel 2015 sono nati quindicimila bambini in meno rispetto al 2014, e il dato complessivo si è fermato a 488 mila nascite, sancendo il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità;
              inoltre, risultano in diminuzione sia la popolazione in «età attiva», vale a dire quella composta da soggetti di età compresa tra 15 e 64 anni, sia i minori di quattordici anni, mentre non si arresta il processo di invecchiamento, assoluto e relativo, della popolazione, composta per oltre un quinto da persone ultrasessantacinquenni;
              i fattori che maggiormente deprimono i tassi di natalità sono la disoccupazione e la precarietà nel lavoro, che generano nei giovani un'incertezza che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita; tali fattori sono uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità, della maternità e della famiglia;
              a questo si aggiungono la scarsezza delle risorse finanziare destinate al sostegno dei nuclei familiari, anche sotto il profilo degli sgravi contributivi previsti, e l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con la scarsa tutela accordate a molte donne lavoratrici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
              i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro del quale la genitorialità è una componente essenziale;
              il piano nazionale per la famiglia, varato per la prima volta nel 2012, prendeva le mosse proprio dalla constatazione che, sino ad allora, avevano «largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario. In particolare, sono state largamente sottovalutate le esigenze delle famiglie con figli»;
              inoltre, nel nostro Paese si riscontrano gravissime lacune sia sotto il profilo dell'istruzione, che si sostanzia nelle altissime percentuali di abbandono scolastico, sia sotto il profilo del sistema di welfare, incapace di offrire una tutela e un sostegno adeguati e affidabili alle famiglie, con particolare riferimento a quelle che abbiano a carico minori, anziani o soggetti portatori di handicap;
              in merito, un rapporto stilato da Save the children ha definito «il default del sistema di welfare» come il fatto che gli effetti degli interventi adottati non siano «in alcun caso riconducibili ad un sistema di politiche, ma la risultante di processi diversi, non interagenti (o male interagenti), di norme che variano senza un orizzonte comune e con tempistiche diverse, tali da rendere incoerenti o inefficaci e/o senza risorse i singoli passaggi»;
              in questo ambito, è necessario segnalare come i criteri introdotti con la recente riforma dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) stiano penalizzando proprio i nuclei familiari che si prendono cura di persone affette da disabilità, per i quali ora si considerano come reddito anche le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, e i giovani, che in molti si sono visti negare il rinnovo delle borse di studio e, quindi, la possibilità di proseguire negli studi;
              una questione centrale nella programmazione di efficaci politiche in favore delle famiglie consiste nell'individuazione, e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale, delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche; ma, invece, il succedersi delle normative in materia ha causato un processo di progressiva erosione dei fondi;
              il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un iniziale graduale aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011, ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nello scorso biennio;
              la relazione sul fondo per le politiche della famiglia, approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti, ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello della gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e a una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
              secondo la Corte «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
              la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale sia per il benessere e lo sviluppo dei bambini, sia per il sostegno al ruolo educativo dei genitori nell'ambito della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia;
              in Italia, si continuano a registrare considerevoli ritardi nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia e, da anni, l'Europa raccomanda all'Italia di moltiplicare gli strumenti che facilitano l'ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, per poter puntare all'equilibrio dei conti pubblici e a tornare a crescere dopo anni di debolezza;
              l'obiettivo fissato in sede europea che prevedeva una copertura territoriale dei servizi per l'infanzia almeno al trentatré per cento entro il 2010, è, ad oggi, largamente disatteso in Italia dove tale copertura arriva in media ad appena il venti per cento; con riferimento a questa copertura, come segnalato anche dalla commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali, ferme ad appena il tredici per cento delle strutture presenti sul territorio nazionale;
              a questo si aggiunge la scarsa diffusione di modelli di accoglimento alternativi agli asili nido, sul modello, ad esempio, delle Tagesmutter tedesche;
              sulla realizzazione di nuovi asili nido per garantirne una capillare diffusione sul territorio pesa il fatto che rispetto a settori quali, tra gli altri, la pubblica istruzione e l'offerta di asili nido, si continua a prendere come parametro la spesa storica, prevedendo di continuare ad assegnare agli enti locali esattamente quello che già spendevano;
              questo si traduce nel fatto che proprio i comuni che finora non hanno avuto un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di malagestione del denaro pubblico da parte degli amministratori locali, continueranno a non ricevere risorse e sarà impossibile per loro sia aumentare le strutture, sia implementare i servizi esistenti;
              un efficace sostegno alle famiglie non può prescindere da un insieme di politiche abitative che possano garantire un alloggio ai nuclei che non possiedono sufficienti risorse proprie per acquistarne o locarne uno, al fine di realizzare pienamente il diritto alla casa;
              nel 2010 era diventato operativo il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112;
              il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo, con la legge di stabilità per il 2014, ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando uno stop nell'erogazione delle garanzie, a causa della necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
              secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per la famiglia quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

          a ideare e realizzare, dotandolo degli strumenti finanziari adeguati, un Piano a tutela delle famiglie e della natalità che passi attraverso l'assunzione di iniziative di competenza per l'implementazione delle strutture sul territorio, il miglioramento dell'integrazione tra servizi pubblici e privati, l'adozione di misure economiche di sostegno al reddito e di agevolazioni fiscali;
          in tale ambito, ad assumere iniziative normative volte a introdurre il meccanismo del quoziente familiare, disporre l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'Iva al quattro per cento sui prodotti per l'infanzia, disciplinare specifiche forme di sgravi contributivi in favore delle famiglie numerose, tra le quali la detraibilità integrale di ogni spesa sostenuta per i figli a partire dal terzo nato;
          a realizzare una politica di sostegno alla natalità che rimuova le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro, promuovendo il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, l'incentivazione dell'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle Tagesmutter, nonché adottando    iniziative per favorire l'accesso alle abitazioni;
          con specifico riferimento alla necessità di una equilibrata e sufficiente diffusione sul territorio degli asili nido, a promuovere il rapido superamento del criterio della spesa storica nei trasferimenti alle regioni destinati a tale finalità;
          ad attuare una efficace politica abitativa per le giovani coppie, ripristinando il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal Sistema nazionale di garanzia, nonché aumentando i fondi destinati al sostegno all'accesso alle locazioni;
          ad adottare le opportune iniziative di carattere normativo volte a garantire la impignorabilità totale della prima casa dei nuclei familiari;
          ad assumere iniziative volte a garantire il tempestivo recepimento di ogni misura a sostegno delle famiglie e della natalità adottata in ambito europeo;
          ad adottare le opportune iniziative, anche normative, al fine di rivedere i parametri per il calcolo dell'Isee;
          ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, elaborando procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati, ai fini della ottimizzazione delle politiche.
(1-01180) «Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


      La Camera,
          premesso che:
              gli articoli 29, 30 e 31 della nostra Costituzione sono dedicati alla famiglia e al ruolo che ad essa è riservato nel nostro ordinamento, con particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi, ai doveri e ai diritti rispetto ai figli, e ai compiti dello Stato nel sostegno da accordare alla formazione della famiglia e alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù;
              la definizione di «società naturale», contenuta proprio nell'articolo 29, come è stato osservato da autorevoli costituzionalisti «è diretta a sottolineare che l'istituto familiare è pregiuridico, sussiste cioè prima e indipendentemente da interventi legislativi», ne deriva che il compito del legislatore è quello di garantirne la formazione e tutelarne i singoli aspetti;
              il report dell'Istat sugli indicatori demografici pubblicato nei primi giorni di gennaio 2016 ha evidenziato un ulteriore calo delle nascite rispetto all'anno precedente, con un dato che realizza il nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia;
              nel 2015 sono nati quindicimila bambini in meno rispetto al 2014, e il dato complessivo si è fermato a 488 mila nascite, sancendo il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità;
              inoltre, risultano in diminuzione sia la popolazione in «età attiva», vale a dire quella composta da soggetti di età compresa tra 15 e 64 anni, sia i minori di quattordici anni, mentre non si arresta il processo di invecchiamento, assoluto e relativo, della popolazione, composta per oltre un quinto da persone ultrasessantacinquenni;
              i fattori che maggiormente deprimono i tassi di natalità sono la disoccupazione e la precarietà nel lavoro, che generano nei giovani un'incertezza che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita; tali fattori sono uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità, della maternità e della famiglia;
              a questo si aggiungono la scarsezza delle risorse finanziare destinate al sostegno dei nuclei familiari, anche sotto il profilo degli sgravi contributivi previsti, e l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con la scarsa tutela accordate a molte donne lavoratrici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
              i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro del quale la genitorialità è una componente essenziale;
              il piano nazionale per la famiglia, varato per la prima volta nel 2012, prendeva le mosse proprio dalla constatazione che, sino ad allora, avevano «largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario. In particolare, sono state largamente sottovalutate le esigenze delle famiglie con figli»;
              inoltre, nel nostro Paese si riscontrano gravissime lacune sia sotto il profilo dell'istruzione, che si sostanzia nelle altissime percentuali di abbandono scolastico, sia sotto il profilo del sistema di welfare, incapace di offrire una tutela e un sostegno adeguati e affidabili alle famiglie, con particolare riferimento a quelle che abbiano a carico minori, anziani o soggetti portatori di handicap;
              in merito, un rapporto stilato da Save the children ha definito «il default del sistema di welfare» come il fatto che gli effetti degli interventi adottati non siano «in alcun caso riconducibili ad un sistema di politiche, ma la risultante di processi diversi, non interagenti (o male interagenti), di norme che variano senza un orizzonte comune e con tempistiche diverse, tali da rendere incoerenti o inefficaci e/o senza risorse i singoli passaggi»;
              in questo ambito, è necessario segnalare come i criteri introdotti con la recente riforma dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) stiano penalizzando proprio i nuclei familiari che si prendono cura di persone affette da disabilità, per i quali ora si considerano come reddito anche le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, e i giovani, che in molti si sono visti negare il rinnovo delle borse di studio e, quindi, la possibilità di proseguire negli studi;
              una questione centrale nella programmazione di efficaci politiche in favore delle famiglie consiste nell'individuazione, e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale, delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche; ma, invece, il succedersi delle normative in materia ha causato un processo di progressiva erosione dei fondi;
              il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un iniziale graduale aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011, ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nello scorso biennio;
              la relazione sul fondo per le politiche della famiglia, approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti, ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello della gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e a una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
              secondo la Corte «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
              la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale sia per il benessere e lo sviluppo dei bambini, sia per il sostegno al ruolo educativo dei genitori nell'ambito della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia;
              in Italia, si continuano a registrare considerevoli ritardi nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia e, da anni, l'Europa raccomanda all'Italia di moltiplicare gli strumenti che facilitano l'ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, per poter puntare all'equilibrio dei conti pubblici e a tornare a crescere dopo anni di debolezza;
              l'obiettivo fissato in sede europea che prevedeva una copertura territoriale dei servizi per l'infanzia almeno al trentatré per cento entro il 2010, è, ad oggi, largamente disatteso in Italia dove tale copertura arriva in media ad appena il venti per cento; con riferimento a questa copertura, come segnalato anche dalla commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali, ferme ad appena il tredici per cento delle strutture presenti sul territorio nazionale;
              a questo si aggiunge la scarsa diffusione di modelli di accoglimento alternativi agli asili nido, sul modello, ad esempio, delle Tagesmutter tedesche;
              sulla realizzazione di nuovi asili nido per garantirne una capillare diffusione sul territorio pesa il fatto che rispetto a settori quali, tra gli altri, la pubblica istruzione e l'offerta di asili nido, si continua a prendere come parametro la spesa storica, prevedendo di continuare ad assegnare agli enti locali esattamente quello che già spendevano;
              questo si traduce nel fatto che proprio i comuni che finora non hanno avuto un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di malagestione del denaro pubblico da parte degli amministratori locali, continueranno a non ricevere risorse e sarà impossibile per loro sia aumentare le strutture, sia implementare i servizi esistenti;
              un efficace sostegno alle famiglie non può prescindere da un insieme di politiche abitative che possano garantire un alloggio ai nuclei che non possiedono sufficienti risorse proprie per acquistarne o locarne uno, al fine di realizzare pienamente il diritto alla casa;
              nel 2010 era diventato operativo il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112;
              il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo, con la legge di stabilità per il 2014, ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando uno stop nell'erogazione delle garanzie, a causa della necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
              secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per la famiglia quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

          a valutare le opportune iniziative anche normative per ideare e realizzare, dotandolo degli strumenti finanziari adeguati, un Piano a tutela delle famiglie e della natalità che passi attraverso l'assunzione di iniziative di competenza per l'implementazione delle strutture sul territorio, il miglioramento dell'integrazione tra servizi pubblici e privati, l'adozione di misure economiche di sostegno al reddito e di agevolazioni fiscali;
          in tale ambito, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, a valutare le opportune iniziative anche normative per introdurre il meccanismo del quoziente familiare, disporre l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'Iva al quattro per cento sui prodotti per l'infanzia, disciplinare specifiche forme di sgravi contributivi in favore delle famiglie numerose, tra le quali la detraibilità integrale di ogni spesa sostenuta per i figli a partire dal terzo nato;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per realizzare una politica di sostegno alla natalità che rimuova le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro, promuovendo il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, l'incentivazione dell'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle Tagesmutter, nonché adottando    iniziative per favorire l'accesso alle abitazioni;
          con specifico riferimento alla necessità di una equilibrata e sufficiente diffusione sul territorio degli asili nido, a valutare le opportune iniziative anche normative per il rapido superamento del criterio della spesa storica nei trasferimenti alle regioni destinati a tale finalità;
          a valutare le opportune iniziative anche normative per una efficace politica abitativa per le giovani coppie, ripristinando il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal Sistema nazionale di garanzia, nonché aumentando i fondi destinati al sostegno all'accesso alle locazioni;
          a valutare le opportune iniziative di carattere normativo volte a garantire la impignorabilità totale della prima casa dei nuclei familiari;
          ad assumere iniziative volte a garantire il tempestivo recepimento di ogni misura a sostegno delle famiglie e della natalità adottata in ambito europeo;
          a valutare le opportune iniziative, anche normative, al fine di rivedere i parametri per il calcolo dell'Isee;
          ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, elaborando procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati, ai fini della ottimizzazione delle politiche.
(1-01180)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


Proposte emendative riferite alla mozione Lupi ed altri n.  1-01124 (Nuova formulazione)

(Emendamenti riferiti alla mozione Lupi ed altri n.  1-01124 – (nuova formulazione))

      Alla premessa, dopo l'ottavo capoverso, aggiungere il seguente: è necessario restituire alle persone gravemente non autosufficienti la possibilità di essere assistite adeguatamente presso la propria abitazione con un adeguato supporto economico e di servizi al nucleo familiare di riferimento. Ogni cittadino, anche con gravissima disabilità, dovrebbe avere diritto di vivere nel proprio nucleo familiare e nella comunità cui naturalmente appartiene, sostenuto da servizi a sostegno della sua autonomia e integrazione. I caregiver familiari hanno un ruolo sociale importante che deve essere riconosciuto. Sono persone che spesso subiscono un isolamento sociale e familiare, un impoverimento economico e una difficoltà a entrare o rientrare nel mercato del lavoro. Assistere una persona non autosufficiente può essere infatti faticoso e totalizzante, con profonde ripercussioni sulla vita privata;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso:
          ad avviare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'istituzione e al riconoscimento della figura dei caregiver familiari e allo sviluppo di politiche loro dedicate, in particolare di sostegno al reddito e di tutela del diritto al lavoro e alla salute.
1-01124/1. Mantero, Cozzolino, Di Vita, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Baroni, Lorefice, Dall'Osso.

      Alla premessa, sopprimere il nono capoverso.
1-01124/2.(Nuova formulazione) Di Vita, Cozzolino, Crippa, Grillo, Mantero, Lorefice, Colonnese, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso.

      Alla premessa, dopo il dodicesimo capoverso, aggiungere il seguente: come sostenuto da diversi economisti e studiosi, la famiglia non può più essere considerata come solo soggetto consumatore, ma, anzi, deve essere pensata come «il primo generatore di esternalità sociali positive», configurandosi, in tale visione come ammortizzatore sociale, generatore di capitale umano e soggetto economico. In tale contesto quindi le politiche di sostegno alle famiglie devono essere sviluppate non in maniera unicamente assistenziale, ma in seno alla collettività. Le suddette considerazioni mostrano come sia opportuno offrire misure di sostegno della maternità e della famiglia da parte dello Stato, che contribuiscano a rendere più facile la nascita di un figlio;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, i seguenti capoversi:
          a porre in essere tutti gli strumenti per aumentare il sostegno finanziario a favore delle famiglie a basso reddito, al fine di promuovere la natalità;
          a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un «fondo statale» di garanzia sui prestiti concessi alle neo-mamme in condizioni di disagio, con reddito ISEE del nucleo familiare medio-basso;
          nell'ambito dei servizi integrativi e innovativi, ad assumere iniziative per prevedere «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
          ad assumere iniziative per omogeneizzare la disciplina relativa alla tutela della maternità per le libere professioniste iscritte alla gestione separata a quanto previsto per le altre lavoratrici autonome.
1-01124/3. Ciprini, Cozzolino, Lombardi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Tripiedi.

      Alla premessa, dopo il dodicesimo capoverso, aggiungere il seguente: in relazione al welfare territoriale: la bassa partecipazione al lavoro delle donne appare direttamente correlata al minimo accesso delle famiglie italiane ai cosiddetti «aiuti formali», quali asili e servizi di assistenza, a fronte di una prevalenza degli «aiuti informali», a conferma del fatto che le esperienze lavorative delle donne sono caratterizzate dalla difficoltà di conciliare l'attività lavorativa con l'impegno familiare. In Italia è destinato solo l'1,4 per cento del prodotto interno lordo a contributi, servizi e detrazioni fiscali per le famiglie, dato ben più basso rispetto alla misura dell'1,8 per cento destinato in ambito Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nei Paesi a bassa fertilità. Una delle conseguenze dell'assenza di servizi di supporto nelle attività di cura in Italia è – secondo l'Istat – l'interruzione del lavoro per motivi familiari da parte del 30 per cento delle madri a fronte del 3 per cento dei padri. Oggi i nidi sono offerti in misura limitata e a costi molto elevati. La riduzione della domanda è causata in parte dalla crisi economica, che ha diminuito il reddito reale e potenziale delle famiglie. In queste condizioni l'accesso al nido rischia di diventare beneficio esclusivo di chi vive in grandi città del Nord, ha redditi ed istruzione più elevati;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, i seguenti capoversi:
          ad assumere iniziative per prevedere lo stanziamento di maggiori risorse, atte a cofinanziare gli investimenti promossi dalle amministrazioni territoriali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, anche al fine di conseguire l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale di almeno il 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenda di Lisbona, da individuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
          a valutare l'opportunità di implementare la costruzione di un sistema integrato dei servizi, caratterizzato dall'apporto delle famiglie e dei cittadini alla sua realizzazione, costituito da reciproche relazioni e da risorse reali, basati sulla co-progettazione dei piani di zona previsti all'articolo 19 della legge 8 novembre 2000, n.  328, includendo tra gli attori del welfare territoriale le aziende medio-grandi, non soltanto in veste di erogatori di servizi, ma anche e soprattutto nei termini di una loro compartecipazione, in chiave sussidiaria, alla definizione degli obiettivi, della struttura e degli standard del welfare stesso;
          ad adoperarsi per istituire nuovi nidi aziendali, presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali, singole o tra loro consorziate.
1-01124/4. Ciprini, Cozzolino, Lombardi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Tripiedi.

      Alla premessa, dopo il dodicesimo capoverso, aggiungere il seguente: in relazione al binomio maternità/occupazione femminile: il valore del tasso di occupazione femminile, in Italia è circa il 47 per cento, continuando a conservare valori molto al di sotto della media europea, seguito solo da quello della Grecia (negli ultimi anni) e di Malta, storicamente all'ultimo posto. È un valore rimasto fermo a quello del 2007, prima della crisi, dopo decenni di costante sia pur lentissima crescita. Gli ultimi dati pubblicati dall'Istat su occupati e disoccupati di febbraio 2016 sono allarmanti per l'occupazione femminile: sono circa 10,5 milioni le donne disoccupate (1,5 milioni) o inattive (quasi 9 milioni). Da dichiarazioni rese dalla direttrice del Fondo monetario internazionale l'occupazione femminile potrebbe addirittura incrementare del 15 per cento il prodotto interno lordo dei Paesi dell'Unione europea;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, i seguenti capoversi:
          a considerare quale priorità l'innalzamento del tasso di occupazione femminile, al fine di elevare il potenziale di crescita e garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche, anche in funzione della sostenibilità futura del sistema previdenziale e di protezione sociale, considerato che la stessa direttrice del Fondo monetario internazionale ritiene che l'occupazione femminile potrebbe incrementare del 15 per cento il prodotto interno lordo dei Paesi dell'Unione europea;
          a prevedere, attraverso iniziative normative, l'introduzione di un credito d'imposta (inteso ad incentivare il lavoro femminile) per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o figli disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, nonché l'armonizzazione del regime delle detrazioni (dall'imposta sui redditi) per il coniuge a carico;
          al fine di valorizzare il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, incentivando l'autoimprenditorialità e favorendo al contempo il sostegno alla maternità e alla conciliazione familiare, ad assumere iniziative per stabilire, di concerto con la Conferenza Stato-regioni, le modalità e i criteri per percorsi professionali, volti all'istituzione della nuova figura professionale «tagesmutter» o «assistente materna».
1-01124/5. Ciprini, Cozzolino, Lombardi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Tripiedi.

      Alla premessa, dopo il dodicesimo capoverso, aggiungere il seguente: lo studio di una forma di sgravio fiscale per i servizi di babysitting, quale la deducibilità delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assistenziali, corrisposti ai collaboratori familiari, determinerebbe un incremento automatico del gettito fiscale conseguente alla dichiarazione del reddito di lavoro dipendente. La stragrande maggioranza dei rapporti di collaborazione familiare, anche quando non risultano in nero, in quanto definitivamente denunciati all'Inps, non sono infatti fiscalmente rilevanti per via della totale evasione dall'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi. Il datore di lavoro domestico, al contrario degli altri datori di lavoro, non è sostituto d'imposta, quindi non trattiene alla fonte le somme dovute al fisco. La deducibilità dei contributi consentirebbe un controllo incrociato, con benefici effetti sul gettito fiscale per lo Stato, in quanto innescherebbe un circolo virtuoso che obbligherebbe lavoratori regolari a presentare la dichiarazione dei redditi;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, i seguenti capoversi:
          a prevedere, nell'ambito di future iniziative normative, disposizioni che consentano l'utilizzo di servizi di babysitting, attraverso la deduzione, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, e successive modificazioni, delle retribuzioni eventualmente corrisposte ad addetti ai predetti servizi, compresi i contributi previdenziali e assistenziali per l'adempimento dell'obbligo delle assicurazioni sociali nei confronti dei collaboratori in parola;
          in alternativa al congedo parentale, a valutare l'opportunità di assumere iniziative per concedere un contributo finanziario mensile per i servizi di babysitting e asili nido pubblici o privati in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice, anche al fine di promuovere, nel mercato del lavoro la parità tra uomo e donna.
1-01124/6. Ciprini, Cozzolino, Lombardi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Tripiedi.

      Alla premessa, dopo il quattordicesimo capoverso, aggiungere il seguente: Le misure contro la povertà varate dal Governo con l'ultima legge di stabilità appaiono largamente insufficienti a coprire tutti quelli che oggi vivono in una condizione di povertà assoluta e non si pongono l'obiettivo di trovare strumenti strutturali e universali di lotta alla povertà nel medio e lungo periodo. L'impressione è che queste costituiscano solo una rimodulazione di strumenti già esistenti, non un welfare più inclusivo ma solo uno spostamento di risorse da una platea all'altra. Appare del tutto evidente l'impossibilità di configurarla come una misura di reddito minimo, essendo gli stanziamenti assolutamente insufficienti persino a coprire l'intera platea di persone in condizione di povertà assoluta, e certamente non quelle in povertà relativa, compresi disoccupati, inoccupati, neet e working poors. Rispetto a questo tema l'Italia continua a rimanere drammaticamente indietro rispetto al resto d'Europa, continuando ad essere l'unico Paese insieme alla Grecia a non aver mai previsto delle forme di sostegno del reddito. In altri termini, il Governo non considera ancora la lotta alla povertà all'interno di un ragionamento più ampio sulle politiche di redistribuzione, avendo proceduto ancora una volta in un'ottica in cui il welfare sembra sempre più spostato sul terreno della beneficenza e sempre meno su quello dei diritti sociali. Il reddito di cittadinanza è una misura che tutela e restituisce dignità ai cittadini più deboli: è destinato ai disoccupati e a coloro che percepiscono un reddito di lavoro o una pensione inferiori alla soglia di povertà. Si tratta di uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà. È necessario pertanto rilanciare con forza l'ormai irrimandabile necessità dell'inserimento di un reddito minimo per una lotta alle diseguaglianze, evitando che si utilizzi il tema della lotta alla povertà in maniera propagandistica, utilizzando altre misure diverse nei contenuti e nelle finalità, perdendo di efficacia e favorendo invece fondazioni bancarie o istituti simili;.

      Conseguentemente, al dispositivo, dopo il primo capoverso, aggiungere il seguente: ad assumere iniziative per introdurre il reddito di cittadinanza, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà.
1-01124/7. Grillo, Cozzolino, Di Vita, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Baroni, Lorefice, Dall'Osso.

      Alla premessa, dopo il diciassettesimo capoverso, aggiungere il seguente: l'attuale crisi economica e politica ha generato un aggravio insostenibile per il Paese andando a ledere nel profondo i diritti sanciti dalla nostra Costituzione per tutti i cittadini. Condizioni di vita, opportunità lavorative, integrazione, salute, rete di protezione, sostegno, cura, rispetto, ogni giorno, troppo spesso, vengono lesi. Le difficoltà delle famiglie italiane rischiano di diventare insormontabili a causa delle condizioni di crisi economica, sociale e dell'attuale immobilismo politico. Troppo spesso mancano concreti ed efficienti punti di riferimento, programmi di sostegno e assistenza. Queste lacune sono direttamente proporzionali al rischio dell'aumento di fenomeni quali emarginazione, abbandono, solitudine. Le cronache di tutti i giorni inducono a ritenere che quelli della famiglia e delle pari opportunità siano settori che necessitano di un impegno governativo costante al fine di prevenire le situazioni di degrado che nei casi peggiori sfociano addirittura in casi drammatici. Le deleghe alla famiglia e alle pari opportunità riguardano competenze e argomenti importantissimi e centrali nel welfare e nella difesa dei diritti, in particolare delle donne, e pertanto dovrebbero essere oggetto di una specifica delega ministeriale;.

      Conseguentemente, al dispositivo, dopo il primo capoverso, aggiungere il seguente: a proporre nel più breve tempo possibile la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare le deleghe relative alle politiche della famiglia e alle pari opportunità, anche al fine di riunire questioni tra loro intimamente collegate e centrali nella vita dei cittadini e individuando così un nuovo membro del Governo, che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali.
1-01124/8. Lorefice, Cozzolino, Di Vita, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Baroni, Dall'Osso.

      Alla premessa, dopo il ventesimo capoverso, aggiungere il seguente: l'articolo 5 della legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha introdotto modifiche all'Isee per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali e sono state riviste le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Le modifiche al citato articolo 5 della legge 22 dicembre 2011, n.  214, sono state finalizzate all'adozione di una definizione di reddito disponibile che includesse le somme anche se esenti da imposizione fiscale. Nel calcolo dell'Isee sono quindi sono state incluse le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura anche, per esempio, gli assegni di accompagnamento e le borse di studio universitarie che non sono reddito ma rimborsi per servizi non prestati da soggetti pubblici. In questo modo non si è proceduto ad una razionalizzazione o migliore efficacia nel determinare i redditi ma si è prodotta l'esclusione da servizi sociali di famiglie a basso reddito, anziani e disabili che si sono ritrovati ad essere riconosciuti come ricchi e quindi non aventi diritto a servizi. Di recente il tribunale amministrativo regionale del Lazio è intervenuto più volte per affermare che tale disposizione è da rivedere procedendo all'esclusione delle provvidenze assistenziali nella determinazione del reddito, rimediando ad un'evidente stortura;.

      Conseguentemente, al dispositivo, dopo il primo capoverso, aggiungere il seguente: a procedere anche con un'apposita iniziativa normativa all'esclusione, dalla determinazione dei redditi Isee, delle provvidenze assistenziali di qualsiasi natura;
1-01124/11. Di Vita, Cozzolino, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Baroni, Lorefice, Dall'Osso.

      Alla premessa, dopo il ventunesimo capoverso, aggiungere il seguente: gli alimenti per la prima infanzia, in particolare fino al terzo anno di età incidono fino al 22 per cento del bilancio famigliare. Ogni anno nascono circa 500.000 bambini e per l'acquisto di beni di prima necessità per ogni bambino si versa mediamente un Iva di circa 1000 euro l'anno. Per gli alimenti e i prodotti sanitari per la prima infanzia si paga attualmente la stessa IVA applicata a beni di lusso come l'oro. In alcuni Paesi europei già si applica un'imposta sul valore aggiunto agevolata e in alcuni casi vige l'azzeramento dell'imposta sui prodotti per la prima infanzia. Nel nostro Paese, sui beni alimentari di prima necessità degli adulti, quali pane e latte, viene applicata l'IVA agevolata del 4 per cento mentre sugli identici beni destinati ai bambini, quali omogenizzati e latte in polvere o vegetale, viene applicata incredibilmente l'aliquota maggiorata del 10 o del 21 per cento. La struttura delle aliquote IVA, vigente nell'Unione europea, prevede un'aliquota normale del 15 per cento, e due aliquote ridotte, da applicarsi a determinate categorie. La stessa Commissione europea ha riconosciuto che il ricorso ad aliquote ridotte può produrre vantaggi in settori accuratamente selezionati. Il Parlamento europeo ha chiesto un maggior coordinamento tra le politiche macroeconomiche e le politiche sociali, affinché la crescita, la competitività e la produttività del sistema economico rispondano al meglio alle sfide dell'invecchiamento demografico in atto in Europa, indicando agli Stati membri una serie di priorità tra le quali: prestare maggiore attenzione alla necessità di una spesa pubblica dedicata all'infanzia e alle famiglie, promuovere misure fiscali volte ad aumentare il tasso di natalità, adottare azioni positive a favore della genitorialità. È dovere del legislatore adottare misure idonee per ridurre la pressione fiscale delle famiglie con bambini, le quali devono affrontare ogni giorno spese sia in termini di costi che in termini di energie per crescere al meglio i propri figli che, occorre ricordare, sono i figli di tutta la nazione e che di essa costituiscono il futuro;.

      Conseguentemente, al dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: ad assumere iniziative per procedere, in particolare, all'abbassamento dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) al 4 per cento su tutti i prodotti destinati alla prima infanzia quali latte in polvere o liquido, latte speciale o vegetale per bambini allergici o intolleranti, pannolini, omogenizzati o altri alimenti, strumenti per l'allattamento, passeggini, carrozzine, culle, lettini, seggioloni, seggiolini per automobili.
1-01124/12. Colonnese, Cozzolino, Di Vita, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, Lorefice, Dall'Osso.

      Al dispositivo, aggiungere, in fine, il seguente capoverso: ad assumere iniziative volte a introdurre, nell'ambito delle procedure alternative alle esecuzioni giudiziarie, una sospensione dell'esecuzione delle medesime procedure al verificarsi di gravi esigenze familiari o di salute ovvero nell'ipotesi di temporanee cessazioni o contrazioni dell'attività lavorativa.
1-01124/13. Pesco, Cozzolino, Crippa, Alberti, Villarosa, Pisano, Ruocco.