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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 19 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 8 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 8 ,
Marchi Maino (PD)  ... 9 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 11 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 12 ,
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 13 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 13 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 14 ,
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 15 ,
Tonini Giorgio  ... 15 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 16 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 16 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 19 

Audizione di rappresentanti della Corte dei Conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 19 ,
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 20 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 33 ,
Zanoni Magda Angela  ... 33 ,
D'Alì Antonio  ... 33 ,
Guerra Mauro (PD)  ... 33 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 34 ,
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 34 ,
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 34 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 35 

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 35 ,
Napoleone Delio , vice presidente del CNEL e presidente della Commissione istruttoria unica del Consiglio ... 35 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 39 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 39 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 40 ,
Napoleone Delio , vice presidente del CNEL e presidente della Commissione istruttoria unica del Consiglio ... 40 ,
Biasioli Stefano , consigliere del CNEL ... 41 ,
Napoleone Delio , vice presidente del CNEL e presidente della commissione istruttoria unica del Consiglio ... 41 ,
Pennisi Giuseppe , consigliere del CNEL ... 41 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 42 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 42 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 42 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 48 ,
D'Alì Antonio  ... 48 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 48 ,
Zanoni Magda Angela  ... 49 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 49 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 50 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 50 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 50 ,
Monducci Roberto , responsabile del Dipartimento per la produzione statistica ... 53 ,
Bacchini Fabio , dirigente presso il Dipartimento per la produzione statistica ... 54 

Audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Tonini Giorgio , Presidente ... 54 ,
Zanardi Alberto , consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 54 ,
Goretti Chiara , consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 58 ,
Tonini Giorgio , Presidente ... 63 

ALLEGATO: Documentazione depositata dall'Ufficio parlamentare di bilancio ... 64

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, cui lascio subito la parola.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie presidente, buongiorno a tutti. Nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l'economia italiana è tornata a crescere e nel 2016 la ripresa continuerà e si consoliderà. L'occupazione aumenta e il tasso di disoccupazione scende, i conti pubblici migliorano, la pressione fiscale diminuisce. Il Governo mantiene una politica fiscale rigorosa, accompagnata da misure espansive e riforme per far ripartire il Paese.
  Ciò accade anche se negli ultimi mesi il quadro internazionale ha mostrato evidenti segni di peggioramento, dovuti al rallentamento delle economie emergenti, all'affievolirsi della ripresa europea e all'accumularsi di rischi geopolitici.
  Il Documento di economia e finanza del 2016 è il terzo predisposto da questo Governo e si iscrive in una strategia di programmazione economica di natura pluriennale, che abbiamo iniziato ad attuare nel 2014.
  Il principale obiettivo di questa strategia è ben noto: il rilancio della crescita e dell'occupazione. Gli strumenti si possono riassumere in quattro punti: una costante azione di riforma strutturale del Paese e di stimolo agli investimenti privati e pubblici, una impostazione della politica di bilancio al tempo stesso favorevole alla crescita e volta ad assicurare un graduale ma robusto consolidamento delle finanze pubbliche, tale da ridurre il rapporto fra debito e PIL, la riduzione del carico fiscale, che si associa a una maggiore efficienza della spesa e dell'azione della pubblica amministrazione, e il miglioramento del clima di investimento e della capacità competitiva del sistema.
  Le stime dell'ISTAT confermano che nel 2015 l'economia italiana è tornata a crescere dopo tre anni di contrazione, registrando un tasso di crescita dello 0,8 per cento in termini reali e dell'1,5 per cento in termini nominali. Secondo la nuova previsione del Governo, quest'anno il PIL crescerà dell'1,2 per cento in termini reali e del 2,2 per cento in termini nominali.
  Nello scenario tendenziale, nei prossimi anni il tasso di crescita reale rimarrebbe intorno al livello del 2016, mentre quello nominale accelererebbe con il crescere dell'utilizzo delle risorse produttive. Nello scenario programmatico, dopo un incremento dell'1,2 per cento nel 2016, la crescita del PIL reale nel triennio 2017-2019 risulterebbe più elevata che nel tendenziale, anche a motivo di una politica di bilancio sempre rigorosa, ma anche concentrata sul sostegno dell'attività economica e dell'occupazione. Il PIL reale crescerebbe dell'1,4 per cento nel 2017, dell'1,5 per cento nel 2018 e dell'1,4 per cento nel 2019.
  Nella seconda parte del periodo di previsione, il biennio 2018-2019, il PIL nominale crescerebbe di più nello scenario programmatico che in quello tendenziale, grazie a un migliore andamento complessivo dell'economia.
  Il nuovo scenario tiene conto del peggioramento del quadro macroeconomico internazionale: la caduta del prezzo del petrolio sostiene la domanda interna dei Paesi consumatori quali l'Italia, ma riduce consumi e importazioni nei Paesi produttori, verso cui le esportazioni italiane erano cresciute molto fino al 2014. Il tasso di cambio dell'euro si è recentemente apprezzato su base ponderata, portandosi al livello più elevato da inizio 2015.
  In questo quadro di maggiori difficoltà internazionali la crescita del PIL in Italia ha decelerato dalla seconda metà del 2015. D'altro canto, nel primo trimestre del 2016 la crescita sembra aver ripreso slancio, con la produzione industriale in netta ripresa rispetto al quarto trimestre del 2015. Le aspettative di produzione delle imprese sono moderatamente positive.
  Dal lato della domanda, gli andamenti recenti sembrano coerenti con un andamento espansivo dei consumi in generale e assai dinamico in alcune componenti dei consumi durevoli, quali gli acquisti di autovetture. Le indagini presso le imprese indicano che gli investimenti fissi lordi cresceranno nel 2016 non solo nella componente dei mezzi di trasporto, ma anche in quelle quantitativamente più rilevanti delle costruzioni e dei macchinari, delle attrezzature e dei prodotti della proprietà intellettuale.
  L'obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche per il 2015, pari al 2,6 per cento del PIL, è stato raggiunto. La discesa dei pagamenti per interessi osservata nel 2015 si è accompagnata alla stabilità del saldo primario su un'incidenza sul PIL pari all'1,6 per cento, lievemente inferiore all'1,7 per cento previsto in settembre.
  Per quanto riguarda il 2016, il Governo prevede un indebitamento netto intorno al 2,3 per cento del PIL, a fronte dell'obiettivo del 2,2 per cento formulato in settembre. Tale obiettivo era stato elevato al 2,4 per cento, in coerenza con i limiti massimi autorizzati dalle Camere ed esposti nella relazione al Parlamento del 18 settembre 2015 nel corso dell’iter di approvazione della legge di stabilità 2016, con apposita comunicazione del Governo, in connessione con gli interventi per la sicurezza e la cultura disposti a seguito dei gravi fatti di terrorismo avvenuti in Francia.
  L'attuale previsione tiene conto della chiusura dei conti delle amministrazioni pubbliche nel 2015, del nuovo quadro macroeconomico e dell'aggiornamento della spesa per interessi, in relazione all'evoluzione dei tassi all'emissione.
  In particolare, nel confronto con le valutazioni riportate nella nota tecnico-illustrativa alla legge di stabilità 2016, che indicava l'indebitamento netto al 2,4 per cento, la previsione aggiornata per il 2016 sconta 0,4 punti percentuali di PIL di minori entrate anche in relazione al mutato quadro macroeconomico, 0,4 punti percentuali di PIL di minori spese per interessi e 0,2 punti percentuali di PIL di minori spese primarie.
  La previsione tiene conto dell'effettiva spendibilità delle autorizzazioni di spesa, di un forte impegno amministrativo nell'attività di riscossione delle entrate e di azioni volte ad accrescere moderatamente l'entità delle dismissioni immobiliari.
  Nel 2016 l'avanzo primario torna a migliorare, attestandosi all'1,7 per cento del PIL, anche se risulta lievemente inferiore rispetto a quanto indicato nella predetta nota tecnico-illustrativa alla legge di stabilità 2016. Il saldo strutturale corrispondente all'indebitamento netto del 2,3 per cento del PIL nel 2016 sarebbe pari all'1,2 per cento del PIL, in peggioramento di circa 0,7 punti percentuali rispetto al 2015.
  Come è noto, in coerenza con la Comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità nel Patto di stabilità e crescita del gennaio 2015 l'Italia ha richiesto 0,5 punti di flessibilità per le riforme strutturali e 0,3 per gli investimenti pubblici. Nel luglio 2015, accogliendo la richiesta iniziale di flessibilità da parte dell'Italia pari a 0,4 punti percentuali, il Consiglio ECOFIN adottava una raccomandazione al nostro Paese che richiedeva di migliorare il saldo strutturale nel 2016 in misura pari a 0,1 punti.
  Tale indicazione va riconsiderata, tenendo conto delle richieste di ulteriore flessibilità da parte dell'Italia avanzate a novembre scorso, relative a ulteriori riforme e investimenti, e del limite massimo alla flessibilità accumulata che può essere consentita secondo l'accordo raggiunto tra i Paesi e sancito dal Consiglio ECOFIN di febbraio 2016. Quest'ultimo stabilisce un tetto pari a 0,75 punti percentuali di flessibilità cumulata tra riforme e investimenti.
  In considerazione di questi nuovi elementi, in caso di piena adesione da parte della Commissione europea alla richiesta di flessibilità per riforme e investimenti da parte dell'Italia, la raccomandazione originaria del Consiglio si tradurrebbe in una variazione massima del saldo strutturale nel 2016 pari a meno 0,25 punti. In rapporto a questo obiettivo, la variazione di meno 0,7 punti ora prevista costituisce una deviazione, non tale però da essere formalmente definita una deviazione significativa. Essa è quindi compatibile con il braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita.
  Il nuovo scenario programmatico qui presentato prevede di ridurre l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche all'1,8 per cento del PIL nel 2017 e allo 0,9 nel 2018, portando quindi il saldo in lieve surplus nel 2019 (0,1 per cento del PIL).
  Su base strutturale, secondo le stime del Governo basate sulla metodologia concordata in sede europea, il saldo in percentuale del PIL migliorerebbe dall'1,2 per cento del 2016 all'1,1 del 2017 e quindi allo 0,8 del 2018 e allo 0,2 per cento del 2019. Quest'ultimo livello assicurerebbe sostanzialmente il conseguimento dell'obiettivo di medio termine da parte dell'Italia.
  Il percorso di rientro verso l'obiettivo di medio termine previsto in condizioni normali per i Paesi nel braccio preventivo del Patto e con un debito superiore al 60 per cento del PIL richiederebbe che il saldo strutturale nel 2017 migliorasse di almeno 0,5 punti percentuali di PIL. Il Governo ritiene inopportuno e controproducente operare una tale stretta, in considerazione dei seguenti fattori:

   I. Rischi di deflazione e stagnazione. Come già argomentato, il quadro globale è caratterizzato da pressioni deflazionistiche e da rischi economici e geopolitici. La crescita europea rimane debole, le pressioni al ribasso sui prezzi si propagano dal settore energetico e industriale a tutto il sistema dei prezzi e rischiano di alimentare aspettative di ulteriori ribassi, con possibili effetti depressivi sulla crescita.

   II. Insufficiente coordinamento delle politiche di bilancio nell'area dell'euro. La Commissione europea ha raccomandato per l'area dell'euro una politica di bilancio quantomeno neutrale, in cui i Paesi in posizione più solida utilizzino i margini di espansione fiscale soprattutto a favore degli investimenti. Tuttavia l'intonazione della politica di bilancio appare restrittiva, a fronte di una evidente carenza di domanda aggregata, elevata disoccupazione e sottoutilizzazione della capacità produttiva. Sono altresì insoddisfacenti in molti Paesi i progressi nelle riforme strutturali, in cui invece l'Italia risulta in miglioramento con riferimento a quasi tutte le raccomandazioni del Consiglio.

   III. Ci sono effetti indesiderati di eccessive strette fiscali. Come argomentato nel DEF, i moltiplicatori fiscali sono aumentati nei Paesi che, come l'Italia, hanno subìto lunghe e profonde recessioni. Ciò significa che una marcata stretta fiscale potrebbe causare ulteriori ripercussioni recessive e peggiorare le prospettive di crescita del PIL e la sostenibilità delle finanze pubbliche nel medio termine.

   IV. Costi delle riforme strutturali. Come discusso nel Programma nazionale di riforma, le riforme che il Governo ha intrapreso nel biennio 2014-2015, la loro attuazione e le ulteriori riforme programmate per gli anni a venire avranno effetti benefici sul clima di investimento e il potenziale di crescita dell'Italia. Le riforme necessitano tuttavia di tempo per produrre in pieno gli effetti positivi attesi e possono in taluni casi comportare costi iniziali in termini di crescita e/o di bilancio pubblico. Per questo politiche di stampo fortemente restrittivo potrebbero risultare contraddittorie in un quadro di sostegno alla ripresa.

   V. Sottostima dell’output gap. La valutazione della crescita potenziale dell’output gap, ovvero della differenza fra crescita effettiva e potenziale stimata, è alla base del calcolo del saldo strutturale di finanza pubblica. Il Governo adotta la metodologia stabilita a livello europeo nel calcolo di tali variabili, ma è tuttavia evidente che tale procedura sottostima l’output gap, il che può essere fonte di politiche di bilancio procicliche e quindi potenzialmente recessive.

  Vengo ora alla politica di bilancio per il triennio 2017-2019. Le clausole di salvaguardia che diventerebbero operative nel 2017 rappresentano circa lo 0,9 per cento del PIL. L'intendimento del Governo nell'impostazione della prossima legge di stabilità è di sterilizzare tali clausole attuando una manovra alternativa.
  Essa verrà definita nei prossimi mesi e garantirà un indebitamento netto pari all'1,8 per cento del PIL nel 2017, attraverso misure di revisione della spesa pubblica, comprese le spese fiscali, e interventi che accrescano l'adempimento, riducendo i margini di evasione e di elusione delle tasse. Ciò si realizzerà compatibilmente con gli equilibri di bilancio e con il processo di riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese.
  La riduzione dello stock di debito delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL rimane un obiettivo prioritario del Governo ed è fondamentale per mantenere la fiducia dei mercati. Per quest'anno si prevede una discesa del rapporto debito/PIL al 132,4 per cento, le privatizzazioni e dismissioni darebbero un contributo dello 0,5 per cento.
  Il processo di riduzione del rapporto si accentuerà nei prossimi anni per l'effetto congiunto della progressiva riduzione dell'indebitamento netto e dell'aumento della dinamica nominale del PIL. Nel 2019 il debito scenderebbe al 123,8 per cento del PIL.
  Per quanto riguarda le riforme strutturali ricordo che lo sforzo di riforma dell'Italia negli ultimi due anni è stato ambizioso, ampio e profondo, i risultati conseguiti sono assai significativi, come riconosciuto anche dalla Commissione europea nel Country report 2016. Resta tuttavia ancora molto da fare anche per via dell'ampiezza dello sforzo intrapreso. Il Programma nazionale di riforma 2016 rivisita ed amplia l'approccio e gli obiettivi del 2015 e li allinea con la più recente Annual Growth Survey della Commissione europea e le raccomandazioni del Consiglio europeo sia all'Eurozona che all'Italia.
  Nell'ambito delle azioni strutturali vanno menzionate le misure relative al sostegno degli investimenti. Gli investimenti fissi lordi nel 2015 sono cresciuti dello 0,8 per cento in termini reali. Si tratta di un importante segnale di inversione di tendenza dopo anni di contrazione, tuttavia per ritornare ad una crescita economica più sostenuta è necessario che il rapporto fra investimenti e PIL, che ha raggiunto un minimo di 16,5 per cento nel 2015, torni ai valori pre-crisi, pari al 20 per cento.
  Per stimolare un'accelerazione degli investimenti privati e pubblici, la legge di stabilità 2016 ha messo in campo risorse e misure significative, cui si associa la richiesta di utilizzo delle clausole per investimenti pubblici prevista dalla regola di bilancio dell'Unione europea.
  Particolare rilevanza hanno l'intervento sugli ammortamenti a fronte di investimenti effettuati nel 2016 e il credito di imposta per gli investimenti effettuati nel Mezzogiorno nel quadriennio 2016-2019. Queste misure devono essere sostenute da riforme che migliorino ulteriormente il clima di investimento.
  Gli ultimi aggiornamenti degli indicatori internazionali di clima di investimento, pur in miglioramento, evidenziano che i maggiori ostacoli si concentrano, oltre che nella debolezza delle aspettative di domanda, nella lentezza della giustizia, nelle procedure burocratiche, nell'accesso al credito e nella tassazione. È in queste aree che continuano a concentrarsi gli sforzi di riforma del Governo.
  A fronte delle difficoltà di finanziamento delle piccole e medie imprese e delle start-up, il Governo ha messo in campo una molteplicità di strumenti a supporto dell'innovazione tecnologica, della spesa in ricerca e sviluppo e della crescita dimensionale delle aziende. Nuove misure semplificano l'accesso al credito, incoraggiano la capitalizzazione e la quotazione in Borsa delle imprese e valorizzano brevetti e altre opere di ingegno.
  Per sostenere la produttività nel medio e lungo termine è inoltre necessario continuare a sviluppare il capitale umano, che significa riqualificare i lavoratori disoccupati, migliorare l'istruzione e la preparazione professionale dei giovani, sviluppare la ricerca tecnologica, promuovere la scienza e la cultura e farne vere priorità della politica nazionale.
  Numerosi interventi normativi in fase di attuazione stanno rendendo l'assetto del sistema bancario italiano più moderno e competitivo. Essi includono la riforma delle banche popolari, del credito cooperativo e delle fondazioni bancarie, la riforma delle procedure di insolvenza e di recupero dei crediti, l'introduzione di un sistema di garanzie pubbliche per la dismissione e cartolarizzazione dei crediti in sofferenza delle banche insieme all'accelerazione dei tempi di deducibilità fiscale delle perdite su crediti.
  Il Governo ritiene che la strategia di rafforzamento del sistema creditizio debba basarsi anche su ulteriori interventi in materia di giustizia civile, che favoriscano la dismissione dei crediti in sofferenza da parte delle banche.
  Per agevolare le decisioni di investimento delle imprese la giustizia italiana deve diventare più equa ed efficiente, uniformandosi agli standard europei. A tal fine, negli ultimi due anni sono stati introdotti il processo telematico, gli incentivi fiscali alla negoziazione assistita e all'arbitrato, la ridefinizione e la razionalizzazione della geografia dei tribunali, ed è stata allargata la sfera di applicazione degli accordi extragiudiziali.
  Per migliorare il clima di investimento è necessaria anche una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, che deve rendere servizi di qualità a cittadini e imprese.
  Con l'obiettivo di contribuire alla riduzione degli squilibri territoriali, il Masterplan per il Mezzogiorno mira a sviluppare filiere produttive presso i centri di maggiore vitalità del tessuto economico meridionale, accrescendone capacità imprenditoriali e competenze professionali.
  Al rilancio degli investimenti privati sta contribuendo significativamente la realizzazione dei progetti promossi dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, al cuore del cosiddetto Piano Juncker. Gli ultimi dati relativi a questo Fondo mostrano per l'Italia 29 iniziative tra accordi di finanziamento e progetti infrastrutturali per 1,7 miliardi di risorse, che potrebbero attivare fino a 12 miliardi di investimenti. L'Italia risulta il Paese dell'Unione che sinora ha fatto maggior ricorso al Piano Juncker.
  In conclusione, l'Italia ha accumulato negli ultimi anni un debito elevato, la cui gestione è divenuta più difficile per la perdita di prodotto causata dalla recessione e per via delle spinte deflazionistiche. La crescita, a sua volta, è stata ostacolata da impedimenti strutturali, la cui rimozione è al centro della strategia del Governo.
  Pur in un contesto difficile, la politica di bilancio può favorire la crescita, ancorando le aspettative di imprese e famiglie a una prospettiva credibile di riduzione del debito e del carico fiscale e migliorando la composizione dell'intervento pubblico.
  Nel corso dell'ultimo biennio gli obiettivi indicati per l'indebitamento netto sono stati conseguiti senza interventi correttivi in corso d'anno e senza aumenti del prelievo sul lavoro, sulle imprese e sui consumi. È stata inoltre conseguita una diminuzione della pressione fiscale, al netto del bonus di 80 euro classificato tra i trasferimenti correnti alle famiglie, di 0,7 punti percentuali.
  In merito al miglioramento della composizione dell'intervento pubblico, il processo di revisione della spesa, che ha già visto significativi risultati in termini di riduzione del numero dei centri di spesa e di adozione dell’e-procurement, verrà reso più efficace dalla riforma del processo di formazione del bilancio dello Stato. Tale innovazione contribuirà al superamento della logica emergenziale e accrescerà la responsabilizzazione dei titolari delle decisioni di spesa, agevolando un esame dell'intera struttura di bilancio.
  Le riforme istituzionali che il Parlamento ha approvato sono funzionali a una politica economica orientata al medio e lungo termine. La riforma della legge elettorale, il superamento del bicameralismo e la revisione dell'allocazione delle competenze fra centro e periferia assicureranno una governance politica più stabile ed efficace. Queste riforme rafforzeranno la capacità dell'Italia di competere e confrontarsi con le principali economie, ma anche di contribuire alla stabilità dell'economia europea in cui il Paese è fortemente integrato.
  I nostri sforzi rimarranno concentrati sulla introduzione e sulla corretta attuazione delle riforme e sull'approntamento di ulteriori misure che migliorino il clima di investimento e le opportunità di occupazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Ministro Padoan. Lascio quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro per la sua illustrazione. Non concordo con la sua visione troppo ottimistica, anche se essere ottimisti è sempre un bene, soprattutto per chi ricopre ruoli determinanti come quello di ministro. Tuttavia, se la Banca d'Italia ieri ci ha parlato di conti a rischio, se l'Ufficio parlamentare di bilancio a breve arriverà e già sappiamo, non solo da notizie di stampa, quali siano state le divergenze nel riferimento alle troppo ottimistiche previsioni del Ministero che ha predisposto il DEF, auspichiamo che questo ottimismo continui a crescere, ma ciò sembra abbastanza difficile.
  Il debito pubblico aumenta, in presenza anche di una situazione endogena ma soprattutto internazionale che non consente altrimenti – ed è giusto riconoscerlo, sono situazioni che non dipendono esclusivamente dalle nostre decisioni. Il problema delle tasse rimane anch'esso invariato, perché non mi sembra che ci sia un barlume di diminuzione anche in riferimento alla situazione locale, in cui c'è l'abolizione della tassazione sulla prima casa ma è stato aumentato altro, e basti considerare cosa sta succedendo a livello di ciò che è rimasto delle province, dove le addizionali sulle assicurazioni per la responsabilità civile degli autoveicoli sono state aumentate al massimo.
  Sul problema della crescita e dell'occupazione svolgo solo due considerazioni. Per quanto concerne le riforme istituzionali non ci illudiamo, perché esse non producono effetti finanziari di sistema. Non cito la situazione della riforma delle province, perché, dal punto di vista della finanza pubblica, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, ma mi soffermo sulla situazione del Senato. Anche qui si è fatta una cosa a metà in merito al conflitto, che per nostra grande fortuna in questi vent'anni dalla modifica del Titolo V della Costituzione è stato risolto dalla Corte Costituzionale.
  Per quanto riguarda la finanza pubblica sono fortemente pessimista sul fatto che, se la riforma dovesse essere confermata, il nuovo Senato in cui confluirà il conflitto possa veramente determinare dei benefici. Mi auguro di sbagliarmi, ma sono fortemente convinto che, soprattutto quando si tratterà di provvedimenti che riguardano le risorse finanziarie, sarà forse abolito il bicameralismo perfetto, ma si instaurerà quello del baratto o del ricatto in riferimento alle situazioni di finanza pubblica. Immagino cosa succederà alle regioni di qualsiasi colore o agli enti locali quando ci sarà da fare qualche taglio o qualche aggiustamento.
  Esprimo inoltre delusione sul tema dell'occupazione. Noi dovremmo fare crescita, occupazione, investimenti, ma che fine ha fatto il cosiddetto piano «Garanzia giovani»? Non riusciamo neanche a pagare, a dare le poche briciole che dovevano essere date, ed abbiamo dovuto presentare interrogazioni parlamentari anche con autorevoli interventi da parte della maggioranza.
  Le esprimo tutto il mio disappunto – mi auguro che sia una disattenzione dovuta ai tanti impegni – perché sia nel Documento che nella sua illustrazione non si dedica neanche un cenno alla situazione – drammatica dal punto di vista delle condizioni socio-economiche e, soprattutto, di prospettiva – del Mezzogiorno.
  Lo scorso anno l'Unione europea tra le sei raccomandazioni ci aveva invitato a fare attenzione a 22 milioni di persone, perché il Mezzogiorno costituisce un bacino importante, le cui condizioni sono sotto gli occhi di tutti. Siccome ci sono aspetti di cui il Parlamento vorrebbe sapere qualcosa di più, al di là del fatto che non ci sia una politica e sia sparito dall'agenda, si sa almeno qualcosa della rendicontazione 2007-2013?
  Come Paese, come sistema, con regioni, come quelle dell'Obiettivo 1, sul tavolo di responsabilità gravissime, abbiamo perso risorse? E quante eventualmente? Avremmo dovuto chiudere completamente, la data ultima era fissata al 31 marzo 2016 e al 31 dicembre 2015 per le certificazioni.
  Rispetto al 2007-2013 sulla situazione della rendicontazione, nella legge di stabilità – e mi avvio alla conclusione, presidente – si era partiti da credito di imposta e decontribuzione ed avevamo fatto la richiesta più opportuna di legare tutto in maniera triennale al Piano. Per quanto riguarda il credito d'imposta, anche se con ritardo, alla fine le indicazioni della circolare dell'Agenzia delle entrate sono uscite fuori; per quanto riguarda invece il problema della decontribuzione si doveva fare una rendicontazione e probabilmente avrebbe dovuto già predisporla la fantomatica Agenzia per la coesione, del cui ruolo miracoloso non c'è traccia dopo più di tre anni.
  In base a quella rendicontazione, quel monitoraggio, che il Parlamento ha a disposizione, se effettivamente è quello che il Parlamento ha deciso, a partire dal 1° gennaio 2017 sulla decontribuzione può avere valore.
  L'altra emergenza è il Piano 2014-2020, quindi non si tratta di un «problema Mezzogiorno» per rivendicare piani straordinari di assistenzialismo, ma esattamente il contrario: noi vorremmo un Governo in campo che dia un segno tangibile per poter spendere bene queste risorse. Dal 2014, ossia 28 mesi, non c'è un euro speso. A fine anno rischiamo di avere definanziate risorse importanti sui piani di sviluppo rurale di alcune regioni.
  È fin troppo evidente che – sulle regioni non commento per amor di patria – il Governo, che utilizza interventi straordinari e poteri sostitutivi in tanti altri campi, potrebbe dedicarsi di più alla situazione del Mezzogiorno.

  MAINO MARCHI. Grazie, presidente. Grazie, Ministro. Ritengo del tutto condivisibili l'impostazione del Governo e le proposte che ha avanzato, in continuità con le politiche degli ultimi anni.
  Non sono ottimistiche, credo, ma sono realistiche e comunque hanno già permesso di ottenere risultati significativi, raggiungendo gli obiettivi che ci si era prefissi per il 2015: la riduzione del deficit, l'aumento del PIL e quindi tornare a crescere, la crescita del debito che si è fermata e ci sono le condizioni perché il debito inizi a calare nel 2016 in rapporto al PIL, una ripresa dell'occupazione.
  Alcuni degli obiettivi più significativi nel 2015 sono stati conseguiti in un quadro di incertezza internazionale già evidenziato alla fine dell'anno scorso, per cui si era già detto di dover puntare soprattutto su consumi e investimenti, e credo che il quadro che ci è stato presentato vada in questa direzione, come anche la proposta di aggiornamento del piano di rientro verso l'obiettivo di medio termine.
  Credo che l'Italia stia dando il contributo maggiore per utilizzare la flessibilità nella misura massima per cambiare le politiche europee. La questione del debito è fondamentale sia per essere credibili nei confronti dei mercati sia per avere più elementi per portare avanti una politica di cambiamento delle politiche europee, che penso debba arrivare anche a cambiare le regole.
  Siamo però più forti in quella direzione se cominciamo ad avere anche una discesa del rapporto tra debito e PIL e si sono create le condizioni perché questo possa avvenire.
  Vengo ora ad alcune questioni specifiche. Molti hanno sollevato la questione del Mezzogiorno, che non credo sia assente dal piano del Governo, dal Masterplan al credito d'imposta sugli investimenti, al fatto che nel DEF si vede chiaramente che c'è stata un'accelerazione fortissima nell'utilizzo dei fondi europei per il 2007-2013 e c'è l'impostazione, con tutti i piani già approvati, per quanto riguarda il periodo 2014-2020. Nello stesso tempo, calano anche le procedure di infrazione.
  C'è un punto sul quale anch'io vorrei soffermarmi, che si raccorda al tema dell'occupazione, in particolare femminile, così rilevante al Sud. Si tratta di una misura prevista nella legge di stabilità 2016, ossia quella di prevedere anche per il 2017 la decontribuzione, mirata al Sud, maggiore per l'occupazione femminile, per nuove assunzioni di donne e con la previsione che entro il 30 aprile – non è scaduto quindi alcun termine –, attraverso l'Agenzia per la coesione, si possa avere il quadro delle risorse utilizzabili nel 2017. Credo che questo impegno debba essere mantenuto e trovare riscontro anche nel DEF o nella relativa risoluzione parlamentare di approvazione.
  Sulla ricerca c'è uno sforzo rilevante, mi chiedo però se non sia opportuno rivedere obiettivi che abbiamo definito diversi anni fa, quando c'era ancora il Governo Berlusconi, perché prevediamo che al 2020 l'obiettivo di spesa sul PIL per la ricerca sia sostanzialmente l'1,53 per cento per l'Italia, quindi la metà dell'obiettivo europeo che è il 3 per cento.
  Poiché la ricerca è un elemento fondamentale per l'innovazione e l'innovazione lo è per la crescita, se abbiamo un intervento con un obiettivo pari alla metà di quello europeo, credo che questo contribuisca, così come l'abbandono scolastico e il minor numero di laureati rispetto ad altri Paesi europei, a rendere difficile una crescita che recuperi posizioni rispetto al fatto di essere quasi sempre in fondo alla lista in Europa.
  Ho qualche interrogativo sul fatto che si prevede che la spesa per l'istruzione cali rispetto al PIL. Nel lungo periodo posso capirlo rispetto al calo degli studenti, ma si prevede un calo della spesa per l'istruzione anche nell'immediato, nonostante il piano per le assunzioni e gli interventi della legge delega che adesso dovrebbero essere attuati. Penso ad esempio all'infanzia, dove difficilmente ciò si potrà fare a risorse invariate.
  Vorrei sapere se sulla flessibilità per le pensioni si stia pensando anche a un coinvolgimento di soggetti bancari o assicurativi per affrontare il tema dell'impatto che può avere nei primi anni, che è la difficoltà con cui ci stiamo misurando per raggiungere questo obiettivo.
  Ancora alcune brevi considerazioni. La criminalità organizzata non è più un problema solo del Sud, è un problema anche del Nord e soprattutto dell'economia, dell'infiltrazione nell'economia. Più che di sicurezza è un problema economico. Molti interventi che abbiamo attuato in questi anni – non voglio elencarli – vanno nella direzione di contrastarla, però credo che tale problema dovrebbe essere segnalato ed evidenziato, perché questa è una delle cause dell'arretratezza, del fatto che l'Italia cresce meno di altri, perché abbiamo visto cosa ha significato al Sud, dove la criminalità è stata una delle cause del gap rispetto al resto del Paese.
  Infine, per gli enti locali è da valutare positivamente il superamento del patto di stabilità interno e la proposta di modificare la legge n. 243 del 2012, ma occorrerebbe prevedere, come abbiamo fatto l'anno scorso, un intervento per quanto riguarda le sanzioni rispetto al vecchio patto di stabilità, che, soprattutto per le province, ma anche per i comuni, dovrebbero essere attenuate in considerazione del mutato quadro normativo previsto per gli enti locali.

  GIULIO MARCON. Grazie, presidente. Grazie, Ministro, per la sua illustrazione. Cercherò di essere il più breve possibile.
  Prima domanda secca – spero non si dimentichi poi di fornire la risposta –: ci sarà nel 2017 una digital tax? Non ho trovato un riferimento nel DEF e, poiché il Presidente del Consiglio Renzi, in un talk show, aveva affermato perentoriamente che sarà legge in Italia dal 1° gennaio 2017, le chiedo se state preparando una proposta, come Governo, e se è previsto all'orizzonte un intervento in questa direzione.
  Questo argomento sta a cuore a molti di noi, a partire dal presidente della Commissione bilancio della Camera. Abbiamo lavorato molto sull'ipotesi di una web tax, quindi vorremmo sapere se il Governo abbia in mente un intervento legislativo in questa direzione.
  La seconda questione che intendo affrontare riguarda i conti. Ne abbiamo discusso anche ieri e da parte mia esprimo un giudizio un po’ critico sull'ottimismo che questi conti presentati nel DEF trasmettono. Il Fondo monetario internazionale dà delle stime diverse e di questo dobbiamo tener conto anche perché vorrei ricordare che in passato le stime del Fondo monetario internazionale, più prudenti o più pessimistiche, sono sempre state più vicine alla realtà di quelle riportate dal nostro Governo nel DEF.
  In base alle stime del Fondo monetario internazionale, non c'è un'inversione di tendenza relativamente alla riduzione dello stock di debito, ma anzi lo stock di debito rispetto al PIL tornerebbe a crescere. Questo è un elemento che ci preoccupa rispetto alle stime che vengono fatte.
  Inoltre, c'è un altro aspetto che la Banca d'Italia ha ricordato non ieri, ma nel primo Bollettino di gennaio, ossia che in realtà i fattori esogeni nella crescita del PIL sono molto consistenti, molto importanti. Mi riferisco ovviamente al calo del prezzo del petrolio e agli interventi della BCE.
  Siamo tutti contenti che aumenti il PIL ma, se aumenta di poco e semplicemente per i fattori esogeni o in modo preponderante per questi ultimi, c'è da interrogarsi sull'efficacia delle politiche di questo Governo per far aumentare il prodotto interno lordo, la crescita e gli interventi che servono a stimolarli.
  Questa riflessione mi conduce al terzo e ultimo punto, che è quello delle strategie che il Governo sta seguendo e che si leggono nel DEF.
  Ne hanno parlato i sindacati, ma anche Confindustria, che ha affermato che il Sud è il grande assente. È previsto il Masterplan per il Mezzogiorno, però gli interventi per il Mezzogiorno sono a nostro giudizio modesti e non rilevanti. Al riguardo, è stato espresso un giudizio negativo da parte delle forze sociali, in particolare dei rappresentanti dei lavoratori e delle imprese.
  C'è una questione che lei ha posto, sulla quale concludo. Lei ha detto verso la fine dell'intervento – spero di aver trascritto bene – che la riduzione del debito e del carico fiscale può migliorare la crescita. A mio giudizio, è proprio questa strategia seguita in questi anni che non ha dato risultati.
  Non ha dato risultati perché si è scelto, a mio avviso con un po’ di preclusione ideologica, la strada di una riduzione del debito sic et simpliciter e quella degli sgravi fiscali come le strade maestre per far ripartire il Paese. Tuttavia, questa strada non ha funzionato in Italia, come non ha funzionato in molti Paesi europei.
  Lei ha citato il dato degli investimenti lordi. Se non ricordo male, siamo al 16 per cento, con un aumento quest'anno dello 0,8 per cento dopo tanti anni di crisi. Noi pensiamo che su questo bisognerebbe puntare di più. Occorrerebbe riequilibrare gli interventi del Governo e dell'Italia nella direzione degli investimenti, in particolare, a nostro avviso, sugli investimenti pubblici, che sono quelli che possono contribuire a far ripartire la crescita.
  Mariana Mazzucato ha parlato di «capitali pazienti». Noi abbiamo bisogno di capitali pazienti, cioè di investimenti che sul medio periodo producano gli stimoli per una crescita duratura.
  Ministro, la politica degli sgravi fiscali per le imprese sicuramente è una boccata d'ossigeno per queste ultime, però, non solo non funziona oggi, ma non ha funzionato neanche nel passato. Noi abbiamo avuto la Tremonti, la Tremonti-bis, la Tremonti-ter e la Tremonti-quater, e adesso abbiamo altri interventi che vanno in quella direzione. Si tratta di interventi che non funzionano: non hanno funzionato negli anni scorsi e non stanno funzionando oggi.
  Di conseguenza, noi inviteremo il Governo a rilanciare gli interventi a favore degli investimenti, in particolare degli investimenti pubblici, capaci di far ripartire il Paese. Come è stato dimostrato in altri Paesi, questi interventi hanno un'efficacia sulla crescita maggiore delle politiche di sgravi fiscali. Il cosiddetto moltiplicatore, come è noto a tutti, nel caso degli investimenti pubblici produce un maggiore impatto sulla crescita.
  Questo, secondo noi, dovrebbe essere il punto sul quale l'azione del Governo dovrebbe concentrarsi.

  FRANCESCO CARIELLO. Grazie, presidente. Mi rivolgo al Ministro con le stesse valutazioni e con le stesse considerazioni che abbiamo espresso un anno fa.
  Noi, in qualità di opposizione in questo Parlamento, abbiamo l'obbligo e il compito di controllare il Governo sull'obiettivo strategico dichiarato. L'obiettivo strategico primario per questo Governo è la riduzione dell'incidenza sul PIL del nostro debito.
  Io non dico quale sia in proposito la nostra posizione, però vi faccio notare i dati dichiarati dal Governo stesso. A fronte di questo obiettivo, il Governo afferma che in quest'anno si invertirà la tendenza.
  Questa inversione di tendenza è basata fondamentalmente su un dato che il Ministro, però, non ha citato oggi. Il dato più importante è l'aumento dell'avanzo primario.
  Come al solito, in tutti i DEF che da tre anni a questa parte ci troviamo ad analizzare, non viene illustrato chiaramente ai cittadini un aspetto principale: l'avanzo primario di questo Governo è sempre visto in aumento nell'ottica del prossimo triennio ed è la determinante più importante su cui si basa questa ipotesi di variazione di tendenza del rapporto debito/PIL.
  Che cos'è l'avanzo primario? Parliamo di soldi dei cittadini. Il saldo primario è la semplice differenza tra entrate e uscite. È il primo saldo di questo Paese.
  Il Ministro ha evitato di citare la determinante più importante. Si è fatto riferimento alle dismissioni, a un ipotetico aumento del PIL, a proposito del quale ora dovremo citare un'altra questione, e alla riduzione dell'indebitamento netto, ma l'avanzo primario resta la determinante più importante.
  Tutto ciò è preoccupante, perché ci saranno ulteriori tasse a carico dei cittadini o contemporaneamente tagli ai servizi. Infatti, voi non state facendo spending review, voi fate solo tagli ai servizi per i cittadini facendo credere che si tratti di spending review, che in inglese significa revisione della spesa, non certo tagli.
  Veniamo all'aumento ipotetico del PIL. Qui dimentichiamo tutti che forse questo Governo, come tutti i Paesi europei, deve ringraziare un metodo statistico nuovo nel calcolo del PIL, che è il Sistema dei conti nazionali (SEC) 2010, grazie al quale, secondo dati della Banca d'Italia, questo Governo può vantare un aumento del PIL pari all'1,1 per cento, determinato dall'inclusione dell'economia illecita all'interno del calcolo del PIL.
  Nell'introduzione del suo intervento il Ministro ha sostenuto che nel 2015 questo Governo può affermare che l'Italia è tornata a crescere. A nostro avviso, se mettiamo da parte la nuova metodologia di calcolo introdotta dal SEC 2010, questo Paese non sta crescendo ma siamo praticamente ai livelli di piena crisi. Infatti, se togliamo l'1,1 per cento che la Banca d'Italia dichiara essere il valore dell'economia illecita, introdotta nel nuovo ricalcolo del PIL, praticamente questo Paese non sta crescendo, come non lo sta facendo gran parte dei Paesi europei.
  Di conseguenza, dire che si è invertita la tendenza è ancora una volta una riformulazione della realtà secondo dei calcoli ragionieristici.
  Infine, voglio citare un dato che, a nostro avviso, è eclatante, ossia il tasso di interesse implicito sul debito. È un dato che praticamente si aggira intorno al 3 per cento per i prossimi tre anni ed è stato anche più alto negli ultimi due anni.
  Affermare che il costo del debito in media è pari al 3 per cento significa dire che l'effetto snowball, che è molto ben citato nei documenti che ci avete fornito, è sempre positivo, il che rappresenta un fatto negativo. Infatti, il suo effetto sull'aumento del debito è sempre positivo nei prossimi tre anni. Ciò significa che da un punto di vista pragmatico non si riesce a determinare una crescita maggiore di quanto noi paghiamo come interessi sul debito.
  Finché questo effetto non sarà realmente positivo, nel senso di una riduzione dei suoi impatti sul debito, non si parlerà di uscita dalla crisi. Questa è la considerazione realistica che noi vogliamo sentire dal Governo.
  Il collega Marchi ha affermato che il Governo è stato fin troppo realista. A nostro avviso, come ribadiscono anche diverse audizioni che abbiamo svolto, si sta ancora facendo leva su uno pseudo ottimismo, perché così non si spinge il Paese a riemergere, ma si prendono ancora in giro i cittadini e non si dice realmente come sta la finanza pubblica.
  Il nostro ruolo è pertanto quello di affermare che questo DEF è ancora una volta da bocciare.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Vorrei fare i miei complimenti al Governo per la stabilità politica che riusciamo, tramite voi, a trasmettere all'estero. Questa stabilità politica ci permette di avere finalmente una posizione di serietà e di concretezza sui tavoli di trattativa con i nostri interlocutori esteri. Lo dico da politico imprenditore.
  Vi rivolgo i complimenti anche per le semplificazioni fiscali, le deduzioni IRAP e l'accesso al credito, che hanno tanto giovato alle nostre aziende.
  Tuttavia, penso che i cittadini italiani stiano ancora molto soffrendo, soprattutto per la mancanza di case popolari e per il problema del lavoro, che è ancora da risolvere.
  Come imprenditore, mi chiedo come possiamo aiutare il Governo. I mercati arabi, come ha detto lei, sono chiusi a causa del costo del petrolio molto basso, i mercati dell'Africa sono molto acerbi per poter lavorare insieme e altri mercati, tipo quello dell'Italia, sono in recessione. Come imprenditori, stiamo cercando di inventarci di tutto per crescere.
  Io credo che a questo punto l'unica cosa su cui il Governo potrebbe concentrarsi per aiutare gli imprenditori è togliere le sanzioni alla Russia. Quando le toglieremo, ci accorgeremo che riusciremo a vendere solo la metà di quello che vendevamo prima, perché ormai hanno trovato altri sbocchi e sono riusciti a prodursi qualcosa da soli.
  Supportiamo quindi il Governo in questo sforzo importante e positivo, però cerchiamo di aiutare in qualche modo il nostro PIL aprendo i mercati, perché a furia di chiuderli non sappiamo più a chi vendere.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Innanzitutto ringrazio il Ministro per aver delineato questo quadro delle linee strategiche di politica economica del Governo. Vorrei porre due domande.
  Ovviamente il tema della crescita è fondamentale. Nella sua premessa lei ha sottolineato come il contesto internazionale europeo sia peggiorato in questi ultimi mesi e quindi anche la difficoltà per l'Italia di garantire e accelerare la dinamica di crescita.
  Il contesto internazionale ci interessa, ma ci interessa ancor più quello europeo. Il Governo, fin dal suo insediamento, già nel DEF di due anni fa, ha impostato una politica economica in Europa in cui si è posto al centro l'obiettivo della crescita, mentre il debito e la finanza pubblica sono diventati un vincolo. Io lo considero un cambiamento rispetto all'impostazione che era stata seguita negli anni precedenti. Questo significa che la discesa del famoso rapporto debito/PIL viene ovviamente indicata come prioritaria, ma la crescita viene posta come obiettivo da perseguire da parte del Governo.
  Da questo punto di vista le regole europee, che conosciamo benissimo, sono relativamente stringenti. È sempre più difficile trovare spazi per una politica economica che voglia perseguire la crescita.
  Anche nella discussione di ieri, parlando del fatto che la Commissione europea potrebbe sanzionarci, c'era chi risolveva il problema affermando che le regole europee si possono non rispettare e, quindi, evocava uno scenario in cui l'Italia persegue una sua politica economica indipendente.
  Io credo che questa sia un'impostazione del tutto sbagliata, perché non sarebbe solo la Commissione, ma sarebbero i mercati internazionali che a questo punto porrebbero problemi all'Italia in termini di costi aggiuntivi sul piano dei tassi di interesse. Pertanto, quello che guadagneremmo in termini di spazi di espansione sarà perso in termini di costi.
  Le vorrei rivolgere soprattutto una domanda. Le regole europee non sono tanto stringenti, ma sono aumentate di numero e sono diventate troppo complesse, tanto che un rapporto del Fondo monetario internazionale ci dice che sempre meno Paesi le rispettano. Non le violano, ma c'è una forma di rispetto relativamente poco stringente.
  L'azione del Governo è anche quella di cercare di modificare queste regole ai fini della crescita. Il problema è come poter attuare una strategia che sia efficace. Noi sappiamo che c'è in agenda il tema dell'inclusione del Fiscal compact nell'ambito della legislazione comunitaria.
  Vorrei sapere se lei ritiene che in questo ambito si potrebbero finalizzare una serie di obiettivi, che il Governo ha già posto, di revisione di queste regole. Come sappiamo, non è stata posta solo l'inclusione del Fiscal compact, bensì la sua revisione e inclusione, che è uno spazio importante.
  Lei crede che questo potrebbe essere un appuntamento da utilizzare, per il Governo italiano come per altri Governi che vogliono rispettare le regole europee e le considerano necessarie, ma ritengono che siano necessarie regole innanzitutto più semplici?
  È ormai difficile per i Parlamenti nazionali seguire una legislazione che, per quanto riguarda certe regole, è diventata complicata. Vogliono regole più semplici, ma soprattutto molto più compatibili con gli obiettivi di crescita. Potrebbe essere questo l'appuntamento?
  Ho una seconda domanda molto breve. Come è stato già detto, è fondamentale la crescita degli investimenti. Questo è un fatto importante per l'Italia, ma anche, come abbiamo visto nell'ultimo rapporto del Fondo monetario, per tutti i Paesi avanzati. Gli investimenti, pubblici e privati, languono dappertutto. Le cause naturalmente sono molteplici. Tornare a investire è fondamentale, sia nel settore privato sia nel pubblico.
  A questo proposito, dobbiamo sottolineare un dato. Noi abbiamo una carenza di investimenti, come altri Paesi, ma c'è soprattutto una distinzione, che sta diventando sempre più importante, tra gli investimenti cosiddetti «materiali» e quelli cosiddetti «immateriali», vale a dire tra gli investimenti classici in capacità produttiva, stock e impianti e gli investimenti che stanno diventando sempre più fondamentali e che in molti Paesi superano in importanza quelli materiali, che sono gli investimenti in innovazione.
  Darsi un obiettivo di aumento degli investimenti è importante, ma in realtà per l'Italia è fondamentale darsi un obiettivo che persegua, in questo contesto, gli investimenti immateriali.
  Le chiedo se questa distinzione sia al centro dell'attenzione del Governo e che cosa è ipotizzabile e realizzabile in questi mesi a proposito di questo nesso tra investimenti e innovazione, in vista anche della prossima legge di stabilità.

  CARLO DELL'ARINGA. Grazie, signor Ministro, per l'illustrazione del documento, che è stata molto efficace e sintetica.
  Faccio un'osservazione di carattere generale e una domanda specifica. L'osservazione di carattere generale fa riferimento a quello che lei giustamente ha detto: una combinazione di riforme e di politica fiscale restrittiva è uno scenario che va assolutamente evitato.
  Infatti, non c'è dubbio che le riforme aumentano l'efficienza del sistema e che ne abbiamo bisogno, perché la produttività è ferma da vent'anni. Tuttavia, una politica di offerta aggressiva, come il Governo giustamente ha intenzione di fare, con una politica fiscale restrittiva, significa accentuare il problema della deflazione, che è proprio il peggio del peggio.
  Pertanto, sforzarsi nella misura massima per evitare questo scenario è senz'altro doveroso, a rischio di creare quello 0,4 per cento in più di deficit strutturale sul quale, giustamente, verranno accesi i riflettori da parte dei guardiani dei conti pubblici europei, cosa a cui il Governo vuole resistere.
  Giustamente avete messo nel documento gli esercizi sulla misura dell’output gap. È veramente strabiliante come le politiche fiscali dei vari Paesi dipendano da un unico modello di separazione di trend, di ciclo delle serie storiche della produttività e del tasso di disoccupazione strutturale. È veramente una cosa incredibile, quando esiste una letteratura vastissima da cui si può prendere spunto per avere risultati anche completamente diversi. Voi in parte li avete illustrati. Tanti altri modelli potrebbero essere applicati, soprattutto modelli strutturali di determinazione della disoccupazione di equilibrio.
  Non si capisce come da questi esercizi, che da un certo punto di vista nella letteratura non possono essere che giudicati degli esercizi, validi come altri, si possano far dipendere le politiche fiscali dei vari Paesi.
  È giusto quello che ha affermato Guerrieri Paleotti: è chiaro che ci sono i mercati che giudicano. Tuttavia, di fronte al fatto che le regole europee sono impiccate a questo, mi chiedo come gli altri Paesi non reagiscano allo stesso modo e se voi avete la possibilità di creare un consenso per cambiare queste regole o per renderle più flessibili. In effetti, si gioca su quello 0,4 per cento; se è legato a questi calcoli dell'obiettivo di medio termine, non saprei veramente come definirlo, se non assurdo.
  Arrivo al punto specifico. Si esaurisce la decontribuzione per le nuove assunzioni. Si era detto che bisognava trasformarla in una riduzione strutturale del cuneo fiscale. Io penso che sia assolutamente necessario. Il salto sarebbe drammatico e limiterebbe quel piccolo circolo virtuoso che abbiamo avviato quest'anno fra aumento dell'occupazione, aumento del reddito disponibile, aumento dei consumi e PIL. Quel circolo virtuoso va salvaguardato, non va interrotto bruscamente.

  MARIALUISA GNECCHI. Faccio un'osservazione molto semplice. In questo periodo tutta la stampa e i vari talk show mostrano come molti pensionati vadano all'estero perché hanno pensioni basse, ma soprattutto perché la tassazione è diversa da quella italiana.
  A pagina 108 del DEF vediamo che praticamente le riforme attuate a partire dal 2004 comportano un risparmio di 60 punti di PIL, pari a 900 miliardi di euro, fino al 2050. Sappiamo che l'IRPEF sulle pensioni in pagamento ammonta a 43 miliardi di euro. Quando si fa il rapporto con gli altri Paesi europei rispetto all'incidenza sul PIL delle pensioni in pagamento, 43 miliardi ovviamente contano. Di conseguenza, dimostreremmo anche di essere in linea con altri Paesi.
  In questo momento questo è un argomento veramente all'ordine del giorno e all'attenzione di tutti.

  GIORGIO TONINI. Faccio due osservazioni telegrafiche. La prima concerne la questione della governance europea. È evidente a tutti che solo con i margini di flessibilità non si realizza quella crescita nelle dimensioni che è necessaria, senza che si accenda davvero un motore europeo, in particolare per il finanziamento di politiche di investimento.
  Il Governo italiano ha elaborato un documento molto importante, che è stato salutato come un contributo di altissimo livello.
  Ci può fare, Ministro, una piccola mise à jour? A che punto siamo in questo dibattito ? Abbiamo segnali non incoraggianti da parte del Governo tedesco, in particolare nel rapporto con la BCE. A me sembra che questo sia un tema ineludibile, senza il quale i margini entro cui ci dibattiamo sono assolutamente esigui.
  In secondo luogo, il punto fondamentale di scostamento tra il tendenziale e il programmatico riguarda il disinnesco delle clausole di salvaguardia.
  Pongo una domanda secca: è sensato spendere tutti questi soldi concentrandoli sull'IVA? In fondo, il rapporto della Corte dei conti di poche settimane fa mostrava che noi siamo ai primissimi posti in tutte le tipologie della tassazione, salvo in quella sui consumi, dove siamo ventiduesimi in Europa. Certo gran parte di questa performance dipende dall'evasione, perché sappiamo che l'IVA è la madre di tutte le evasioni. Tuttavia, visto che in questo momento l'ultima preoccupazione è una preoccupazione di tipo inflazionistico, perché anzi noi avremmo bisogno di avvicinarci a quel 2 per cento di cui parla Draghi, è sensato spendere lì questo punto di PIL, che in fondo è la cartuccia più importante che spariamo in questa manovra a cui ci stiamo accingendo? Non avrebbe più senso concentrare quelle risorse sull'IRPEF o su altri tipi di imposta, che effettivamente invece vedono una posizione dell'Italia assolutamente svantaggiosa?

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Padoan per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie a tutti per le molte domande e per i punti sollevati. Cercherò di andare in ordine, sperando di non dimenticare nessun membro del Parlamento, ma anche nessuna domanda.
  Vedo che l'onorevole Palese è andato via, comunque cercherò di rispondere almeno ad alcune delle sue domande. Peraltro, i punti da lui sollevati sono stati ripresi da altri intervenuti.
  Non è vero che non diciamo niente sul Mezzogiorno. Sono state ricordate varie iniziative, ma ne cito tre: il Masterplan, le agevolazioni fiscali specifiche per il Mezzogiorno, a cui aggiungerei gli investimenti pubblici, anche se su questo ci sarebbero potuti essere più dettagli.
  Ricordo – ed è un dato importante – non solo che c'è stata un'accelerazione degli investimenti pubblici molto rilevante, che ci permette di guardare con fiducia alla concessione delle clausole di flessibilità per gli investimenti, ma anche che l'Italia a tutt'oggi è il Primo Paese in Europa per utilizzazione delle nuove facility relative al Piano Juncker, il piano strategico per gli investimenti europei.
  Come ribadiamo in tutte le sedi opportune, noi ci auguriamo che questo Piano venga ulteriormente potenziato. Anticipando il punto sollevato, per esempio, dal senatore Guerrieri Paleotti, auspichiamo anche che gli investimenti in infrastrutture prevedano in modo massiccio le infrastrutture immateriali, che sono almeno altrettanto importanti.
  La linea del Governo sul Mezzogiorno è sempre stata quella di dire che nel Mezzogiorno bisogna applicare le riforme che si applicano a tutto il Paese; magari ci possono essere problemi di implementazione in alcuni casi più complessi, che però dipendono da situazioni locali, ma non ci devono essere strategie diverse. In questo senso, ci sono misure particolarmente mirate al Mezzogiorno, ma in coerenza con le misure del Governo per il Paese nel suo complesso.
  Da questo punto di vista, è stata sollevata da vari intervenuti anche la questione degli sforzi per l'innovazione. Ricordo che naturalmente l'innovazione si incentiva con più leve, tra cui sicuramente figurano la spesa per ricerca e sviluppo, ma prima ancora la spesa in capitale umano e gli incentivi fiscali alla brevettazione e all'innovazione.
  Abbiamo introdotto, nei provvedimenti legati al cosiddetto «filone finanza per la crescita», il concetto di piccole e medie imprese innovative, che possono accedere a benefici fiscali in questo senso. Stiamo valutando l'impatto di queste misure. Non dico nulla di nuovo, se ricordo che l'impatto di misure ad hoc sul sostegno all'innovazione è complesso da identificare e dipende anche dall'interazione fra varie misure; non c'è una singola misura che si possa dire decisiva. Sicuramente l'attenzione del Governo in questo senso continua e si accresce.
  È stata citata la questione del possibile ruolo del sistema creditizio relativamente alla flessibilità pensionistica. Su questo tema il DEF non si addentra più di tanto e ribadisce un concetto che sicuramente mi avete sentito esprimere più di una volta: il sistema pensionistico è uno dei pilastri della sostenibilità del sistema Italia e questo ci viene riconosciuto in sede europea. Il nostro debito sta scendendo, ma siamo sempre un Paese ad alto debito. Questo è un valore fondamentale.
  Detto questo, sicuramente ci sono margini per ragionare sia sugli strumenti sia sugli incentivi sia sui legami tra sistema pensionistico e mercato del lavoro, in modo tale da migliorare le opportunità sia per chi sta per andare in pensione sia per chi deve entrare nel mercato del lavoro. Io sono sicuramente favorevole a un ragionamento complesso e sono senz'altro aperto a fonti di finanziamento complementari che si possono studiare. Non mi soffermo di più perché il DEF non esclude queste cose e le rinvia eventualmente al dibattito dei prossimi mesi.
  La criminalità organizzata è un altro punto molto rilevante. Il Governo ha preso delle misure. Per esempio, quelle relative all'autoriciclaggio vanno in quella direzione.
  La criminalità organizzata e un elemento affine che spesso si intreccia con essa, cioè la corruzione, sono evidentemente al centro dell'attività del Governo. Siamo ben coscienti del danno economico, oltre che sociale e politico, di questi fenomeni, che deprimono un'economia, distruggono gli incentivi ed evidentemente vanno fortemente combattuti.
  L'onorevole Marcon mi ha gentilmente posto delle domande puntuali. Lo ringrazio e spero di rispondere a tutte. Mi ha chiesto se la digital tax è all'attenzione del Governo. La risposta è che lo è, considerando, non solo le varie ipotesi, ma anche i risultati, che sono in via di definizione, di analisi internazionali, in particolare presso l'OCSE. Ricordo una cosa ben nota: la digital tax è una tassa complicata, nel senso che è molto difficile tradurre per essa i princìpi fondamentali della tassazione, che sono la base imponibile, il tasso di imposizione ottimale e così via. Comunque, la risposta è che sicuramente stiamo considerando questo aspetto.
  Per ciò concerne le stime del Fondo monetario, quest'ultimo dà una dinamica del debito ancora in salita per il 2016, se non sbaglio, per due ragioni: in primo luogo, perché le sue previsioni di crescita reale e nominale sono peggiori di quelle italiane e, in secondo luogo, perché non tiene conto, se non in minima parte, dei proventi delle privatizzazioni.
  Riguardo alla performance previsiva, ci sono due risposte. La prima è: staremo a vedere chi ha ragione. La seconda è: abbiamo fatto una valutazione dell'errore statistico delle previsioni del Tesoro rispetto a se stesso in passato e rispetto ad altri previsori, e possiamo dire – non lo dico per vanto, ma lo dico per informazione – che l'errore di previsione del Tesoro è fra i più bassi in assoluto. Lo abbiamo verificato anche nei dati di consuntivo del 2015 rispetto alle previsioni. Ovviamente io ho grandissimo rispetto per le stime del Fondo monetario, ma tutti sbagliamo le previsioni, in un modo o nell'altro.
  Sui fattori esogeni della crescita mi permetto di dissentire, se ho capito bene il senso della questione. I fattori esogeni della crescita sono peggiorati e, ciò malgrado, noi cresciamo di più, nel senso che il tasso di crescita italiano aumenta, anche del 50 per cento, proprio grazie al fatto che fattori endogeni di crescita hanno preso il posto, almeno in parte, di quelli esogeni. Mi riferisco al sostegno ai consumi e agli investimenti, che magari sono cresciuti poco nel 2015, ma sono visti in accelerazione. E questo è assolutamente essenziale, sono totalmente d'accordo. Gli investimenti privati e pubblici sono, non l'unica, ma sicuramente una via fondamentale per la crescita. Purtroppo sono in calo dappertutto, sia quelli pubblici che quelli privati.
  Molte sono le ragioni, prima fra tutte, come viene verificato dalle stime, la carenza di domanda attesa. C'è sicuramente un problema di domanda. Dopo questa, c'è la cosiddetta «variabile incertezza». Sono reduce dagli Spring meetings del Fondo monetario, dove questo è stato uno dei temi centrali.
  Perché c'è incertezza? Perché la politica economica fa fatica a dare un indirizzo credibile di medio termine. Questo è vero in Europa, in Asia e negli Stati Uniti, dove peraltro le cose vanno meglio. Pertanto, c'è bisogno di una politica di lungo termine.
  Da questo punto di vista, consentitemi di condividere con voi una cosa che mi ha fatto piacere in quanto italiano. Quest'anno al Fondo monetario, diversamente da anni passati, si è parlato poco dell'Italia, perché essa non rappresenta un problema. Si è parlato un po’ dell'Italia come esempio di buona pratica nella politica delle riforme. Si citano almeno due campi di riforma: la riforma del mercato del lavoro, di cui si apprezza la complementarietà con le politiche di riduzione fiscale e, quindi, un effetto cumulato, e la politica di riforma del sistema creditizio in un momento difficile.
  Lo consegno a voi come informazione. Non sto a fare nomi, ma questi riconoscimenti sono venuti anche da colleghi ministri delle finanze, che di solito non sono teneri nei confronti del nostro Paese. Avete capito. Questo riflette anche un diverso clima in Europa, su cui tornerò tra un momento.
  Per quanto concerne la riduzione del debito, onorevole Cariello, l'Italia è il Paese che ha avuto l'avanzo primario più duraturo nel tempo tra i Paesi dell'Eurozona. L'avanzo primario è un elemento fondamentale. Aldilà delle sue oscillazioni di breve termine, si è collocato su un valore positivo costante, proprio per via del debito elevato.
  Aggiungo, però, che questa non è l'unica ragione per cui il debito scende. Una ragione almeno altrettanto importante è la crescita nominale, che, come noto, è composta dalla crescita reale e dall'inflazione.
  Su questa seconda variabile il controllo di un Paese membro dall'Eurozona è praticamente zero. Purtroppo l'inflazione non riprende e non si avvicina a valori fisiologici. Questa è una preoccupazione diffusa, perché, se non usciamo da questa trappola di aspettative di inflazione che non migliorano, ci sono problemi, non solo dal punto di vista del debito, ma anche dal punto di vista della contabilità, degli investimenti a lungo termine e così via.
  Il debito rimane una variabile fondamentale. Confermo che ci si attende un'inversione di tendenza. Se mi consente, onorevole, faccio una piccola battuta: è vero che c'è stata la revisione del SEC, ma quella riguarda i livelli, non i tassi di crescita, quindi non c'è un effetto di crescita statistico, se è questo il punto.
  A proposito dell'ottimismo, c'è un modo di valutare se siamo troppo o poco ottimisti, che è quello di guardare l'andamento delle variabili che indicano lo stato di fiducia di famiglie e imprese. Mi sembra che siano andate aumentando. Questo lo chiamo un po’ più di ottimismo o un po’ meno di pessimismo. Fate voi. Andiamo in quella direzione.
  Sulle regole in Europa c'è un dibattito in revisione. Qual è lo stato del dibattito in Europa? Questo fine settimana andrò all'ECOFIN informale sotto la presidenza olandese. Sul tavolo dei ministri c'è un tema: i passi successivi sull'Unione bancaria.
  In particolare c'è un tema, posto dalla presidenza olandese, che a noi preoccupa molto: l'eventuale imposizione di vincoli di bilancio all'esposizione su debiti sovrani delle banche. Si tratterebbe di dire: «Cara banca A, tu non puoi detenere più di una certa percentuale del debito pubblico del Paese x». Se questo avviene – e il Governo è fortemente contrario – ci sarebbe un vincolo molto forte, evidentemente ancora più forte per un Paese a debito elevato.
  Noi riteniamo che sia sbagliato affrontarlo a livello europeo, perché è un problema di finanza globale e, quindi, va affrontato nel dibattito globale, la cui sede naturale è il Comitato di Basilea, non l'ECOFIN. Questo è il primo punto dell'agenda.
  Dove sta la crescita? Dove stanno i temi sollevati dal documento del Governo italiano, che ringrazio per aver citato? Stanno nel dibattito, si sentono nelle discussioni ufficiali e nelle riunioni di vario livello, comprese le riunioni del Fondo monetario, quelle formali e quelle informali.
  C'è l'esigenza di fare tutto il possibile per la crescita; c'è la consapevolezza del fatto che la crescita si ottiene usando al meglio tutti gli strumenti, dalla politica monetaria alla politica di bilancio e alla politica strutturale. Noi abbiamo molto fortemente sostenuto il concetto che queste politiche, non solo si sommano, ma si devono integrare.
  Il Jobs Act, insieme alle agevolazioni fiscali e ai contratti a tempo indeterminato, viene considerato un esempio interessante. Forse l'ho già detto e me ne scuso: anche questa volta il mio collega cinese Lou Jiwei ha pubblicamente lodato la riforma del mercato del lavoro italiana come best practice a livello di G20. Vi dico anche questo come informazione.
  Si parla di revisione del Fiscal compact? Non esplicitamente, anche se i temi fiscali sono stati posti sul tappeto.
  L'onorevole Dell'Aringa ha richiamato l'attenzione su questo dibattito apparentemente tecnico dell’output gap. È un dibattito apparentemente tecnico, perché ha una componente tecnica molto forte, ma ha anche fortissime implicazioni politiche. Cosa stiamo facendo? È stata scritta una lettera, devo dire su iniziativa italiana, da parte di 8 ministri membri dell'ECOFIN alla Commissione europea per chiedere di rivedere, in modo marginale ma comunque andando in quella direzione, il metodo di calcolo usato dalla Commissione per l’output gap, che è lo stesso che dobbiamo usare tutti, perché è un accordo politico.
  Anche da questo punto di vista c'è bisogno di un accordo politico. Questo la dice lunga sulla complessità delle procedure europee. Pertanto, sono totalmente d'accordo con il punto che ce ne siano troppe e che a volte diventino contraddittorie. Il risultato netto è che i margini di manovra e i margini di posizione dei vari Paesi si riducono continuamente, il che non aiuta la crescita.
  Sicuramente il Governo italiano ritiene che molte regole possano essere cambiate per beneficio di tutti. Tuttavia, poiché questo non è solo un esercizio tecnico, ma è in primo luogo un esercizio politico, bisogna creare il consenso. Il consenso credo si stia creando dimostrando che, malgrado le regole, utilizzando quelle che sono disponibili, un Paese come l'Italia può fare passi avanti importanti. Questo è un risultato fondamentale per poter essere ascoltati. Se non si ottengono risultati a casa propria, non si ottengono poi spazi di ascolto fuori. Questo rimane fondamentale.
  Sono stati poi evocati alcuni punti sulla politica fiscale e sulla politica della tassazione relativa alla decontribuzione e alla tassazione sulle pensioni. Non mi ci soffermo. Il Governo intende evidentemente rinviare tali questioni. Non sono state presentate misure specifiche nel DEF. Le misure andranno viste nel loro insieme nell'ambito della legge di stabilità. Anche la questione delle clausole di salvaguardia e quella del ruolo dell'IVA, di cui prendo seriamente atto, dovranno essere viste in quel contesto. Uno degli impegni del Governo sin dal suo insediamento è stato quello di perseguire una politica di riduzione fiscale a tutto campo, naturalmente in modo compatibile con i vincoli di bilancio pubblico.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, Ministro Padoan.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA GIORGIO TONINI

Audizione di rappresentanti della Corte dei Conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti della Corte dei conti.
  Con il vostro permesso, darei la parola al presidente Squitieri, che ringrazio della sua presenza e dell'apporto che fornirà ai nostri lavori.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie molte, presidente. La Corte è chiamata oggi a esprimere valutazioni su argomenti, come quelli oggetto del DEF, sui quali, nello scorso mese di marzo, ha avuto modo di produrre analisi e di tracciare una propria linea di interpretazione nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, già presentato in Parlamento.
  Nel corso dell'esame si farà rinvio, per brevità, ai contenuti di tale rapporto, che la Corte ha trasmesso alle Commissioni bilancio al momento dell'approvazione, mentre nella parte conclusiva si richiameranno alcuni degli spunti che si ritengono utili ai fini della valutazione del Documento oggi all'esame delle Camere.
  Le considerazioni svolte nell'ambito dell'intervento odierno sono dedicate principalmente all'esame dei quadri tendenziali e programmatici del DEF, al fine di evidenziare gli aspetti che, ad avviso della Corte, appaiono suscettibili di approfondimenti o di chiarimenti e quelli che sottendono punti critici per la gestione della politica di bilancio.
  Il contesto macroeconomico in cui si situa il DEF presenta elementi positivi, cui si associa però un allargamento dell'area dei rischi. Rispetto a un anno fa, la ripresa dell'economia italiana si è effettivamente concretizzata e la disoccupazione ha cominciato a ridursi, così che nella media dell'anno la crescita del PIL è risultata sostanzialmente in linea con le previsioni.
  Tuttavia, tale crescita ha registrato ritmi via via decrescenti, con un effetto di trascinamento per il 2016 assai contenuto. Anche nel confronto con l'Unione economica e monetaria e gli altri maggiori Paesi dell'area, che hanno peraltro mostrato una maggiore tenuta nei mesi finali del 2015, l'Italia ha continuato a caratterizzarsi per un andamento meno dinamico.
  La valutazione dello scenario presentato nel DEF, accanto al riconoscimento degli indubbi miglioramenti registrati nell'ultimo anno, non può quindi prescindere dal prendere in esame gli accresciuti elementi di incertezza.
  Il DEF rivede in senso peggiorativo le ipotesi sul commercio mondiale rispetto alla Nota di aggiornamento di settembre, prevedendo anche un andamento meno vivace delle esportazioni italiane, il cui tasso di crescita per il 2016 è più che dimezzato.
  Una revisione al ribasso che si estende agli anni successivi, ma ipotizzando che la fase di ripresa dell'economia mondiale, iniziata nel 2009, si protragga fino al 2019, sia pure a ritmi non eccezionali. Si tratta di un'assunzione soggetta a margini di incertezza.
  Va considerato, in effetti, che nel breve periodo la crescita delle economie emergenti resterà molto debole. In particolare, i segnali di maggiore difficoltà hanno caratterizzato nel corso degli ultimi mesi i produttori di commodities (Russia, Brasile) e l'economia cinese.
  Inoltre, tutti gli indicatori di premio al rischio hanno messo in luce un peggioramento dalla scorsa estate.
  Le difficoltà del 2016 per l'economia mondiale sono colte dall'evoluzione tratteggiata dagli indicatori congiunturali che, insieme all'andamento cedente dei mercati azionari, evidenziano la possibilità di un rallentamento della crescita globale. Nel complesso, i leading indicator stanno volgendo al peggio e il deterioramento della congiuntura nei Paesi emergenti ha iniziato a contagiare anche le economie avanzate.
  Non vanno poi trascurate le incertezze relative alle prospettive a medio termine.
  Soprattutto per l'economia americana la fase di ripresa attuale inizia ad acquisire un'estensione temporale significativa se raffrontata alla durata media dei cicli finora conosciuti. Se essa si dovesse protrarre sino al 2019, ovvero per più di tre anni, supererebbe per durata il ciclo degli anni Novanta, il più lungo dell'economia USA dal dopoguerra, circostanza che non può essere esclusa.
  In effetti, l'ultima ripresa dell'economia americana è stata comunque più debole rispetto alle analoghe fasi cicliche degli ultimi anni e tuttora non vi sono segnali di tensioni inflazionistiche. Questo ha quindi permesso di ritardare molto, rispetto al passato, il momento di inizio dell'inversione della politica monetaria. È però possibile che una fase di crescita dell'economia USA che si protrae ancora vada associata a un andamento crescente dei tassi di interesse americani, che porterebbe ad aumentare l'instabilità finanziaria internazionale.
  Nello scenario internazionale del DEF, oltre alle assunzioni relative alla crescita dell'economia mondiale, improntate a un moderato ottimismo, contribuiscono a migliorare il quadro di previsione anche le ipotesi adottate per altre variabili internazionali, come il prezzo del petrolio, i tassi di interesse e il livello del tasso di cambio, che, come usuale nelle tecniche di costruzione del quadro previsivo, si basano sul livello più recente rilevato sui mercati internazionali. Le basse quotazioni del greggio, così come il livello dei tassi d'interesse e il cambio dell'euro attuali, forniscono un apporto positivo alla crescita e sorreggono ipotesi di recupero dell'economia italiana.
  Non può, infine, essere trascurato che non sempre le ipotesi utilizzate, ragionevoli se viste singolarmente, conservano nel loro insieme un'adeguata coerenza. Così, per esempio, tassi d'interesse bassi e prezzi delle materie prime su livelli molto contenuti non appaiono del tutto coerenti con un quadro economico ancora contrassegnato da una fase di ripresa.
  Le conseguenze dell'ipotesi sul quadro economico internazionale sono rilevanti per il quadro di finanza pubblica. Lo scenario di ripresa dell'economia globale sostiene la crisi italiana e asseconda quindi l'aggiustamento spontaneo del bilancio pubblico, a fronte di un livello dei tassi d'interesse che risulta particolarmente favorevole soprattutto per un Paese, come l'Italia, gravato da un livello elevato del debito pubblico.
  Il 2015 rappresenta il primo anno di ripresa dell'economia italiana dopo tre anni di recessione, ripresa trainata dalla domanda interna, che ha contribuito per l'1 per cento alla crescita del PIL, a fronte di un contributo delle esportazioni nette negativo (meno 0,3 per cento) e in presenza di una crescita delle importazioni (6 per cento) superiore a quella delle esportazioni (4,3 per cento).
  Un quadro mediamente positivo, che, tuttavia, presenta un profilo temporale in qualche misura deludente, poiché il ritmo della crescita, dopo un primo trimestre relativamente brillante (0,4 per cento), si è progressivamente ridotto (0,1 per cento nel quarto trimestre). Va, tuttavia, rilevato che l'analisi delle componenti della domanda tende ad attenuare i timori sollevati da questi risultati.
  Guardando ai primi mesi dell'anno in corso, le informazioni congiunturali al momento disponibili, da interpretare con cautela essendo in larga misura di natura qualitativa e riferite al periodo di maggiore instabilità dei mercati, mostrano come le incertezze dello scenario internazionale e bancario abbiano influito sulla fiducia degli operatori nonostante gli effetti positivi dell'ulteriore diminuzione del prezzo del petrolio sul reddito delle famiglie e sui conti delle imprese e il permanere degli impulsi positivi delle politiche economiche. Pur rimanendo su livelli elevati, il clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, con oscillazioni mensili, nei primi mesi dell'anno è, infatti, moderatamente peggiorato, come del resto avvenuto negli altri maggiori Paesi dell'Unione europea.
  Se pure circondate da un'alea elevata, le prospettive a breve termine rimangono comunque positive. Esse sono infatti guidate da condizioni dei fondamentali eccessivamente favorevoli, con un'ulteriore riduzione dei prezzi dell'energia, già storicamente bassi nel 2015, politiche monetarie che manterranno il cambio dell'euro verso il dollaro relativamente deprezzato e politiche fiscali moderatamente espansive.
  È dunque condivisibile attendersi una prosecuzione della ripresa nei prossimi trimestri su ritmi lievemente rivisti al ribasso, ma comunque sostenuti per la nostra economia e superiori a quelli dell’output potenziale, che permetterebbe un lento restringimento dell'ampio output gap accumulatosi durante la crisi.
  Tuttavia, tale ripresa si gioca sul filo di lana di indubbi impulsi espansivi, ma anche di molte incertezze sul piano del contesto esterno, in un equilibrio che deve molto al prevalere di aspettative positive che possano sostenere le decisioni di famiglie e imprese.
  Nonostante siano state riviste al ribasso su tutto l'orizzonte, le previsioni contenute nel DEF – una crescita del PIL dell'1,2 per cento nel 2016 che, nel quadro programmatico, accelera nel triennio successivo, collocandosi all'1,4 e all'1,5 per cento – si situano quindi in una fascia relativamente ottimistica delle previsioni rispetto alla media dei principali istituti nazionali e internazionali.
  Opportunità e rischi riguardano innanzitutto le esportazioni, le cui prospettive rimangono positive ma con crescenti aree di incertezza. È vero che, nonostante l'indebolimento osservato nel corso dell'anno, esse hanno segnato nel 2015 una crescita superiore a quella dei mercati di sbocco, favorita dal deprezzamento del tasso di cambio. Un risultato certamente positivo, che, tuttavia, condividiamo con gli altri grandi Paesi europei in un confronto che non ci premia. Infatti, la crescita delle nostre vendite è stata sì in linea con quella delle esportazioni tedesche, ma inferiore a quella delle esportazioni spagnole e francesi, che hanno usufruito di una composizione geografica più favorevole.
  Se vista in prospettiva storica, questa performance si inserisce in una perdurante debolezza della nostra economia, che, pur con aree di eccellenza, manifesta in media una difficoltà a tenere il passo con la crescita del commercio mondiale. Questa latente fragilità, in un contesto di maggiore difficoltà sui mercati esteri e di un cambio che, pur rimanendo complessivamente favorevole nello scenario del DEF, cessa di deprezzarsi, manterrà limitato il contributo delle esportazioni nette alla crescita del PIL.
  L'altro elemento caratterizzante l'attuale scenario macroeconomico è certamente l'inflazione, che si avvia a rimanere sostanzialmente nulla per il terzo anno consecutivo, come mai era avvenuto nel passato. A inizio 2016 i prezzi sono tornati a scendere. La spinta è venuta nuovamente dall'abbassamento del costo del petrolio, che è sceso dai 50 dollari al barile dell'autunno ai 35-40 dollari attuali. Ma non sono stati solo i prezzi dei prodotti energetici a scendere.
  Dunque, da due anni a questa parte, si sono realizzate condizioni che, se viste nella prospettiva storica del nostro Paese, hanno un carattere di eccezionalità: alla caduta dell'inflazione importata si è infatti sommata la moderazione della crescita del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) e una dinamica della componente di fondo dell'inflazione in netta decelerazione.
  È stato osservato come la formazione dei prezzi in Italia sia in effetti divenuta più flessibile e più correlata all'attività economica. Ciò grazie anche alle misure volte a immettere più concorrenza nei mercati protetti dei servizi (assicurazioni, TLC, distribuzione carburanti, professionisti, farmacie e via elencando). Se è presto per capire quanto di questo abbassamento dell'inflazione di fondo sia strutturale e quanto, invece, tenderà a scomparire con la ripresa della domanda interna, si può tuttavia sottolineare come i segni di un cambiamento di passo della nostra inflazione si vadano diffondendo: la crisi ha forse lasciato un'eredità positiva in termini di mercati più concorrenziali e un'economia meno prona all'inflazione.
  La previsione dell'inflazione contenuta nel DEF – deflatore del PIL pari all'1 per cento nel 2016, che sale all'1,6 per cento nel 2018 e all'1,8 per cento nel 2019 – potrebbe quindi risultare sovrastimata già per l'anno in corso, pur nell'ipotesi che, dopo qualche mese ancora in territorio negativo, essa possa lentamente risalire.
  Nel prossimo biennio, se venissero confermate le altre ipotesi assunte nel DEF – assenza di movimenti del tasso di cambio, prezzi petroliferi e delle altre commodities ancora bassi –, l'Italia continuerà a non importare inflazione. Un output gap ancora negativo e salari in crescita contenuta potrebbero mantenere l'inflazione al di sotto del livello ipotizzato dal DEF.
  Il DEF rappresenta un quadro di finanza pubblica mutato in ragione delle forti modifiche registrate a consuntivo nello scorso anno, rispetto ai valori assunti a base del quadro di previsione di finanza pubblica della Nota tecnica illustrativa della legge di stabilità 2016 (NTI).
  Nel 2015 i principali saldi hanno registrato un quasi completo allineamento alle stime contenute nella Nota, ma ciò è stato ottenuto a partire da un'evoluzione differente, rispetto al previsto, di importanti aggregati.
  In presenza di un saldo primario di oltre 26 miliardi, 1,6 per cento, inferiore di un decimo di punto rispetto alle stime programmatiche, l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni è tornato a ridursi dopo tre anni di stabilità (42,4 miliardi), collocandosi in quota di PIL (il 2,6 per cento) al di sotto anche del valore del 2008.
  Nel periodo recente disavanzi inferiori sono stati registrati solo nel 1999, nel 2000 e nel 2007, in tutti e tre i casi in condizioni di picco ciclico. Il risultato 2015 è stato invece conseguito già nella prima fase di uscita dalla recessione.
  Il calo della spesa per interessi spiega per intero il minore indebitamento, con una riduzione rispetto al 2014 di circa 6 miliardi e di 4 decimi di punto in quota di PIL. Il risparmio ha superato di circa 1,6 miliardi le stime del Governo. Rispetto al picco del 2012 la riduzione è di 15 miliardi. In percentuale di PIL il livello della spesa registrato nel 2015 è il più basso dal 1978-1979, anni in cui il debito era considerevolmente inferiore.
  La coincidenza fra consuntivo e stime, riscontrata con riferimento ai saldi, nasconde ampi scostamenti nelle singole voci del conto delle amministrazioni pubbliche. Dal lato della spesa, la componente corrente al netto degli interessi si è assestata al 42,2 per cento del prodotto, a fronte di una previsione del 42,6 per cento. In livelli, risultano nel 2015 circa 6 miliardi di minore spesa primaria corrente rispetto alle quantificazioni della NTI. Il contenimento ha riguardato i redditi, le prestazioni sociali e le altre uscite correnti, per un ammontare complessivo di 9 miliardi, mentre i consumi intermedi hanno superato le previsioni di 3,1 miliardi.
  Di contro, la spesa in conto capitale è risultata superiore di circa 2,4 miliardi, di cui 1,7, tuttavia, relativi alle somme destinate alla copertura delle perdite delle banche commissariate lo scorso 22 novembre, imputate, sulla base delle indicazioni delle autorità statistiche europee, tra le uscite in conto capitale. Nel totale, nonostante tale voce straordinaria, la spesa è rimasta al di sotto delle previsioni per oltre 5 miliardi e per 4 decimi di quota di PIL.
  Dal lato delle entrate, ampio è lo scostamento risultante dall'andamento delle entrate tributarie dirette, inferiore di oltre 6,6 miliardi nel confronto con la stima della Nota, e minori, per 900 milioni, sono anche le entrate in conto capitale. Il gettito delle imposte indirette e le entrate contributive sono, invece, state superiori alle attese, rispettivamente per circa 3,7 miliardi e 630 milioni.
  Nel caso delle imposte indirette la variazione è connessa alla considerazione come «altre imposte sulla produzione» dei fondi affluiti per la copertura delle perdite delle banche. In totale, le entrate registrano, rispetto alla previsione del Governo, un valore in quota di PIL inferiore di 0,3 punti. La pressione fiscale si riduce al 43,5 per cento, 2 decimi di punto inferiore alle attese.
  Per il 2016 il nuovo quadro tendenziale corregge in riduzione gli andamenti delle entrate di circa 10 miliardi e di circa 11,4 miliardi la dinamica della spesa totale rispetto a quanto previsto nella NTI. La modifica sale a 28 miliardi circa per le entrate nel biennio 2017-2018, a fronte di una riduzione della spesa che rimane al di sotto dei 20 miliardi, di cui 13,8 attribuibili alla minore spesa per interessi.
  Nel complesso, la revisione operata in base ai risultati per il 2015 e alle nuove previsioni macroeconomiche determina un miglioramento del saldo di bilancio per il 2016 di 1,4 miliardi, pur con una riduzione del saldo primario di oltre 3 miliardi, a fronte di un peggioramento, rispettivamente di 6 miliardi e di 2,6 miliardi, nel 2017 e nel 2018.
  A seguito di queste modifiche, l'indebitamento è previsto collocarsi al 2,3 per cento del PIL quest'anno, all'1,4 per cento nel 2017 e allo 0,3 per cento nel 2018, per presentarsi in avanzo nel 2019. A fine periodo, il peso sul PIL delle spese e delle entrate si ridurrebbe al 46,7 e al 47,1 per cento rispettivamente.
  Nella ripartizione tra livelli di governo, il peggioramento del saldo rispetto al quadro della NTI viene iscritto nel 2017 per intero alle amministrazioni centrali (circa 7,2 miliardi del 2017 e 4,1 del 2018). Solo marginale è la correzione prevista per i saldi degli enti di previdenza, che assicurano un contributo di 1,7 miliardi nel 2016 e 1,6 nel triennio successivo, mentre per le amministrazioni locali si prevede uno sforzo correttivo supplementare, che si concretizza in un avanzo di gestione di 1,8 miliardi nel 2016, che cresce a circa 2,2 nel triennio successivo (un aumento di circa un miliardo annuo rispetto al quadro della NTI).
  Nel nuovo quadro tendenziale la spesa complessiva per il 2016 è pari al 49,6 per cento del prodotto, confermandosi in flessione rispetto al 2015 di 9 decimi di punto, nonostante la riduzione di 4 decimi del risultato 2015 rispetto alle previsioni. Alla riduzione contribuiscono la spesa per interessi e la spesa primaria corrente – in entrambi i casi per 2 decimi di punto –, nonché la spesa in conto capitale, pari al 3,6 per cento del PIL contro il 4,1 del 2015, anche per il venir meno delle misure di sostegno delle banche.
  Nel triennio 2017-2019 la spesa segna una flessione di ulteriori 3 punti di prodotto, ponendosi a fine periodo al 46,7 per cento. È la spesa corrente primaria a fornire il contributo maggiore, circa 2 punti di PIL: a fronte di una variazione del PIL nominale in media del 2,8 per cento all'anno, per tale aggregato è previsto un aumento di circa l'1,2 per cento. Risultano sostanzialmente costanti le spese per le prestazioni sociali. Il contributo maggiore al contenimento della spesa scontato nei saldi deriva ancora dalla flessione dei redditi, cui si aggiunge quella dei consumi intermedi, in termini di prodotto.
  Risultano pressoché costanti, sul livello del 2016, ossia il 47,2 per cento del PIL (importo rivisto in flessione di 4 decimi di punto rispetto al quadro di previsione dell'NTI), le entrate complessive che a legislazione vigente incorporano l'aumento di imposizione indiretta connessa all'attivazione della clausola di salvaguardia. L'aumento delle imposte indirette, di 7 decimi di punto superiore al livello 2016 proprio per l'operare della clausola, trova compensazione nella graduale flessione delle entrate dirette, in riduzione di 7 decimi nell'arco del quadriennio.
  Sul versante delle entrate, il quadro di finanza pubblica riflette l'operare di tre ordini di fattori: i risultati di consuntivo 2015, l'entità delle misure operanti dal 2016, in particolare quelle recate dalla legge di stabilità, e l'andamento atteso delle variabili macroeconomiche che influenzano la formazione delle basi imponibili delle principali forme di prelievo.
  Il consuntivo 2015 segnala una contenuta flessione (3 decimi di PIL) delle entrate rispetto all'anno precedente, concentrata fra le entrate tributarie. Il confronto fra stime e consuntivo evidenzia, peraltro, una significativa ricomposizione del gettito a favore delle imposte indirette, la cui dinamica è influenzata dalle modalità di registrazione delle risorse affluite al sistema bancario, di cui abbiamo parlato, che ha consentito di compensare oltre la metà dello scostamento negativo (6,6 miliardi rispetto alle stime) registrato dall'imposizione diretta.
  La legge di stabilità 2016 e, in misura più limitata, il decreto-legge n. 18 del 2016 incidono in modo rilevante sul quadro di previsione, sia nel livello sia nel profilo del gettito atteso per il quadriennio 2016-2019, ma gli andamenti prefigurati si prestano a una doppia chiave di lettura.
  La prima attiene al 2016, un'annualità meno soggetta a incertezze quanto all'evoluzione del gettito e al ruolo imputabile, rispettivamente, alla variabile discrezionale (provvedimenti di politica fiscale) e al quadro macroeconomico. In un caso la legge di stabilità ha in larga parte definito il ruolo della politica fiscale, con sgravi per oltre 19 miliardi, quasi completamente (poco meno di 17 miliardi) riconducibili alla disattivazione delle clausole di salvaguardia IVA e accise.
  Nell'altro, le ipotesi assunte circa l'andamento delle principali variabili di politica economica (PIL, consumi delle famiglie, import-export, occupazione e redditi) sottintendono una decisa concretizzazione della ripresa dell'economia: ciò che spiega una pur modesta crescita del gettito nominale, a fronte di una pressione fiscale in decisa caduta (42,8 per cento, a fronte del 43,5 per cento del 2015). Nell'insieme, va sottolineato come l'andamento delle entrate tributarie disegnato per il 2016, nonostante la disattivazione della clausola di salvaguardia, sconti un forte aumento dell'elasticità delle entrate tributarie rispetto al PIL (2,01, tre volte il livello del 2015).
  Diversa è la chiave di lettura da riservare agli ultimi tre anni della previsione. Da un lato, infatti, il clima macroeconomico assunto nella costruzione del quadro tendenziale presuppone una forte accelerazione della ripresa e un più accomodante tasso di inflazione. Dall'altro, le previsioni di gettito incorporano, diversamente dal 2016, una residua e rilevante operatività delle clausole di salvaguardia, responsabili di maggiori entrate per oltre 15 miliardi nel 2017 e di quasi 20 sia nel 2018 che nel 2019.
  Il futuro profilo del gettito, conseguentemente, presenta margini di incertezza. Se, infatti, non dovrebbero esserci dubbi circa l'entrata a regime della tornata di sgravi varati dalla legge di stabilità 2016 – oltre 9 miliardi aggiuntivi, a partire dal 2017, tra IRAP, maggiorazione ammortamenti beni strumentali, ristrutturazioni edilizie, esonero contributivo assunti a tempo indeterminato, riduzione aliquote IRES, regime dei minimi e via elencando –, nessuna conclusione può trarsi a proposito della disattivazione delle residue clausole di salvaguardia che condizionano i risultati di gettito attesi per il triennio finale della previsione.
  L'annunciata manovra alternativa prevede espressamente che la sterilizzazione delle due clausole residue (aumento IVA e accise) abbia luogo nel triennio 2017-2019, ricorrendo a un mix di coperture (spending review, riduzione delle spese fiscali, aumento di efficienza della macchina tributaria).
  Una soluzione, questa, da verificare a consuntivo e che segna anche la rinuncia a ipotesi di revisione dell'IVA nell'ambito di una strategia in cui i limitati spazi riservati all'imposizione indiretta si riflettono in un eccesso di prelievo a carico di fattori produttivi. In proposito, vale la pena di considerare gli effetti derivanti da due ipotesi approfondite dalla Corte, i cui risultati sono illustrati nel riquadro Le opzioni di un intervento sull'IVA: impatti macro e microeconomici.
  Sempre guardando alla manovra prevista, vanno poi considerate le difficoltà che si sono poste finora a tutte le misure che puntavano a una riduzione delle spese fiscali (si veda, al riguardo, il riquadro La revisione delle spese fiscali).
  Appaiono, infine, difficilmente quantificabili le altre misure compensative preannunciate sul versante tributario: l'introduzione di «strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione» e l'aumento dello «sforzo organizzativo e normativo volto ad aumentare il gettito fiscale a parità di aliquote», nel biennio 2018-2019.
  In conclusione, l'andamento tendenziale delle entrate nel quadriennio della previsione è soggetto a margini di incertezza, sia in relazione alle modalità di intervento del policy maker sia in relazione alla costruzione del quadro macroeconomico.
  Nel 2015 la spesa per i redditi da lavoro dipendente ha registrato una flessione dell'1,1 per cento, a fronte di una previsione contenuta nella Nota che ipotizzava un incremento dello 0,6 per cento. In valori assoluti la spesa è risultata pari a 161,7 miliardi, con una diminuzione di circa 1,9 miliardi rispetto al 2014.
  Anche in relazione al diverso contributo dei principali sottosettori – meno 2,1 per gli enti locali e meno 0,4 per le amministrazioni centrali – la variazione rispetto alle previsioni va correlata alla dinamica occupazionale e, in particolare, a quella registrata nelle regioni e nei comuni.
  In attesa dei dati definitivi sulla dinamica dell'occupazione del pubblico impiego del 2015, le anticipazioni contenute nella relazione al Conto annuale per il 2014, predisposto dalla Ragioneria generale dello Stato, ipotizzano una diminuzione del numero complessivo dei dipendenti pubblici superiore in percentuale a quella registrata nel 2014 (meno 0,4 per cento), anche se di poco inferiore al picco del 2012 (meno 1,4 per cento).
  Come già evidenziato dalla Corte nel commento alla Nota di aggiornamento del DEF 2015, infine, le previsioni governative, in un'ottica prudenziale, potrebbero avere sovrastimato l'effetto derivante dalla mancata riproposizione nella legge di stabilità per il 2015 di alcune delle misure contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010 e, in particolare, di quella relativa al blocco della crescita dei trattamenti individuali. Il permanere nel nucleo centrale del complessivo intervento e, soprattutto, delle norme limitative della crescita di fondi unici di amministrazione ha impedito una dinamica espansiva della spesa, azzerando la cosiddetta componente inerziale della crescita.
  Si conferma, dunque, il trend della spesa per redditi da lavoro dipendente, che nel periodo 2010-2015, cioè negli anni di vigenza delle misure restrittive attivate per fronteggiare gli effetti della crisi economica, ha registrato una diminuzione complessiva di oltre 11 miliardi, pari a poco più del 6 per cento.
  Per effetto della dinamica descritta, la spesa 2015 viene a posizionarsi su valori di poco superiori a quelli raggiunti nel 2006, azzerando gli incrementi dovuti a due successive tornate contrattuali (2006-2007 e 2008-2009).
  Nell'anno trascorso, il valore del rapporto tra la spesa per redditi da lavoro dipendente e il prodotto interno lordo si attesta, per la prima volta a partire dalla privatizzazione del pubblico impiego, su valori inferiori al 10 per cento, dato che colloca l'Italia tra i Paesi maggiormente virtuosi dell'Unione europea.
  La revisione del dato relativo alla spesa di personale per il 2015 viene proiettata nel quadro tendenziale sulle previsioni per i successivi esercizi. I valori previsti per gli anni 2016, 2017 e 2018 risultano inferiori a quelli indicati dalla NTI per importi pari rispettivamente a 2,5, a 3,1 e a 3,2 miliardi.
  Rispetto all'esercizio precedente, nel 2016 la spesa per i redditi è stimata in crescita, nel quadro tendenziale, di 2,2 miliardi (più 1,4 per cento). A fronte del permanere degli effetti delle misure riduttive del turnover, ulteriormente inasprite dalla legge di stabilità per il 2016, tale previsione sconta, in primo luogo, le somme necessarie al rinnovo dei contratti collettivi (300 milioni). Sono altresì considerati gli effetti finanziari derivanti dall'attuazione del cosiddetto Piano per la buona scuola, previsto dall'articolo 1, comma 4, della legge di stabilità 2015, al quale sono ascritti, per il 2016 e per l'anno successivo, effetti finanziari in termini di maggiore spesa netta di 1,5 miliardi.
  Nella spesa per redditi del 2016 viene, infine, conteggiato l'importo del bonus in favore del personale del Comparto sicurezza e difesa – Corpi di Polizia, Forze armate, Vigili del fuoco – disposto dall'articolo 1, comma 972, della legge di stabilità per il 2016, a fronte dello straordinario impegno richiesto per esigenze di sicurezza nazionale (960 euro lordi annui per ciascun addetto, per una spesa totale di 510,5 milioni), pur trattandosi di un beneficio straordinario non avente natura reddituale e non soggetto a tassazione né a contribuzione previdenziale.
  Proprio il venir meno delle citate misure temporanee determina, per i due anni successivi, la ripresa del trend in diminuzione della spesa per redditi, per un importo, peraltro, meno significativo nel 2018.
  Il quadro a politiche invariate conferma l'importo delle risorse stanziate nella legge di stabilità per il 2016 per il rinnovo dei contratti collettivi per il personale a carico del bilancio dello Stato relativamente al triennio 2016-2018. Per il successivo triennio il costo dei rinnovi, sulla base di un'ipotesi tecnica, determina nel quadro tendenziale un incremento di spesa di personale di 600 milioni.
  Passo alla spesa sanitaria. Nel DEF 2016 la previsione della spesa sanitaria risulta fortemente mutata rispetto a quella del DEF 2015, riproposta, in senso tecnico, nella Nota di aggiornamento dello scorso ottobre e oggetto di successivi interventi correttivi.
  A consuntivo la spesa è risultata nel 2015 pari a 112,4 miliardi, in crescita dell'1 per cento rispetto al 2014, contro una previsione di aumento più contenuta, ossia lo 0,2 per cento. Un risultato su cui hanno inciso le maggiori spese per farmaci innovativi, ma anche i minori risparmi, rispetto alle previsioni, nella spesa per assistenza specialistica e per dispositivi medici.
  Alla revisione della spesa per 2.652 milioni, già considerata nel quadro del DEF 2015, sono seguite le ulteriori riduzioni previste per il 2016, per oltre 2 miliardi, con corrispondente riduzione del fabbisogno sanitario nazionale standard, e la decisione, maturata in occasione dell'approvazione dell'intesa Stato-regioni dello scorso 11 febbraio, di prevedere che dei risparmi richiesti alle regioni nella legge di stabilità del 2016 gravino sul settore sanitario 3.500 milioni, dei 3.980 milioni, nel 2017 e 5.000 milioni, sui 5.468 milioni, nel 2018.
  La legge di stabilità ha poi previsto ulteriori interventi per l'efficientamento delle aziende sanitarie. Nonostante tali interventi, la nuova previsione prefigura un andamento della spesa per il 2016 pressoché coincidente con quello del DEF dello scorso anno, con una spesa in crescita di un decimo di punto in termini di PIL, mentre i valori previsti per il successivo triennio, ancorché lievemente inferiori in termini assoluti, si mantengono sui livelli antecedenti alle misure correttive, sempre in termini di prodotto, approvate da aprile 2015 a marzo 2016.
  Il Documento all'esame del Parlamento non specifica quanto di detto aumento sia imputabile alle difficoltà di attuazione delle misure volte a razionalizzare e ridurre la spesa, assunte a metà del 2015 con il decreto-legge n. 78, le cui fasi attuative accusano un qualche ritardo, né quanto rappresenti lo sviluppo delle maggiori spese che si sono prodotte nel 2015 o quanto, infine, sia riconducibile alle difficoltà di strumenti, come il pay back e i ticket, che negli anni passati hanno contribuito in misura significativa ai risultati ottenuti. Si tratta di un'evoluzione indispensabile per poter riorientare le scelte in tema di strumenti da porre a disposizione delle regioni per la gestione della spesa sanitaria.
  L'allentamento degli obiettivi di spesa previsti per il settore – che non modifica un quadro particolarmente stringente, con il calo al 6,5 per cento del PIL nel 2018 – e l'individuazione delle risorse su cui può contare il sistema sanitario nel prossimo biennio – nell'intesa dello scorso 11 febbraio, sono stati concordati, fra Stato e regioni, gli importi e i fabbisogni nazionali standard – possono consentire di affrontare, entro un quadro meno stringente, gli interventi da assumere per corrispondere alle esigenze di mantenimento della qualità del servizio evidenziate negli ultimi anni e di portare a termine le importanti innovazioni previste nel Patto della salute del 2014.
  Si tratta di elementi che, se non sono risolti, rischiano di alimentare nuovi squilibri e di incidere negativamente sulle aspettativa della popolazione.
  Come è stato evidenziato in precedenza, nel nuovo quadro di finanza pubblica le amministrazioni locali vedono più che raddoppiare il contributo da esse atteso ai saldi: dai 730 milioni a oltre 1,8 miliardi nel 2016, importo che cresce a 2,2 miliardi nel triennio successivo.
  Se si esclude la variazione riconducibile ai trasferimenti ad altre amministrazioni pubbliche, che tuttavia trova compensazione in un equivalente aumento delle entrate di trasferimento, le variazioni di maggior rilievo che caratterizzano il nuovo quadro, rispetto a quello della NTI, riguardano: la spesa per redditi da lavoro, che proietta anche sul quadriennio 2016-2019 la flessione rilevata per il 2015 di oltre 2,1 miliardi; la crescita della spesa per consumi intermedi di circa 2 miliardi nel 2016, che si riducono a 1,3 miliardi nel 2018; un aumento dei trasferimenti a famiglie e imprese di 700 milioni nel 2016 e di oltre 1.300 milioni nel biennio successivo; la forte riduzione della spesa per interessi, prevista in flessione di oltre 650 milioni nel 2016 e di circa 1,5 miliardi nel 2018; l'aumento atteso dalle imposte dirette per il solo 2016 di 1.300 milioni.
  A sintesi di tali andamenti, il nuovo quadro presenta una limitata crescita della spesa corrente al netto dei trasferimenti. Tuttavia, se si sottrae la spesa sanitaria, rivista in aumento, si osserva un risultato in parte inatteso.
  Inoltre, nonostante la scelta operata in Conferenza Stato-regioni di concentrare le riduzioni richieste a tali enti, che riflettono pressoché il totale sforzo correttivo richiesto alle amministrazioni locali per il 2016, sul settore sanitario, in base agli importi rivisti, la spesa non sanitaria delle amministrazioni locali sconta una riduzione ulteriore, nell'ordine di un decimo di punto di PIL all'anno, che già nel 2016 era superiore a un miliardo. In termini nominali, la variazione del 2018 è superiore al 4 per cento, scontando un ulteriore calo della spesa di 3,5 miliardi. Tale risultato va oltre i già forti risparmi in termini di oneri del personale.
  Letti congiuntamente, i dati del quadro macroeconomico e l'evoluzione tendenziale dei conti pubblici offrono uno scenario ancora incerto.
  I primi, se confermano il superamento della più lunga recessione mai registrata dall'economia italiana, risentono ancora di una debolezza del quadro interno, soprattutto negli investimenti, che si alimenta anche delle crescenti criticità internazionali.
  Il quadro di finanza pubblica, rivisto nelle sue componenti a seguito dei dati a consuntivo dello scorso anno e aggiornato sulla base delle nuove previsioni economiche, presenta margini di incertezza su diverse componenti della spesa ed è fortemente legato alle favorevoli ipotesi sul fronte dei tassi di interesse.
  Per le entrate, la tenuta dipende da una previsione di crescita del prodotto e da una dinamica occupazionale, sempre collocata sul margine più favorevole nei panel previsivi.
  In questo quadro, il Governo prevede di tagliare comunque spazi di manovra, definendo, anche per il prossimo triennio, un andamento programmatico dei saldi peggiorativo rispetto al dato tendenziale.
  L'indebitamento, confermato al 2,3 per cento nel 2016, viene rialzato all'1,8 per cento nel 2017 e allo 0,9 per cento nel 2018, mentre l'avanzo previsto per il 2019 scende allo 0,1 per cento.
  La disattivazione della clausola di salvaguardia contenuta nella legge di stabilità, per la parte non riassorbita nel maggior deficit, viene previsto sia compensata attraverso tagli di spesa aggiuntivi e interventi sulle agevolazioni fiscali.
  Il DEF indica un indebitamento nominale pari al 2,6 per cento del PIL nel 2015 e al 2,3 per cento nel 2016, cui corrisponde, nel quadro programmatico, un valore del saldo strutturale pari rispettivamente a meno 0,6 e a meno 1,2 per cento.
  Secondo tali stime, nel 2016 si determina quindi un peggioramento del saldo strutturale di 0,7 decimi di punto rispetto all'anno precedente, a fronte dello 0,25 che sarebbe accordato dalla Commissione europea, ove le richieste di flessibilità dell'Italia fossero pienamente accolte.
  Lo scostamento di 0,35 decimi di punto non conferirebbe peraltro una deviazione significativa, in quanto inferiore al limite dello 0,5, indicato dalle regole del Fiscal compact.
  Anche nella media su due anni, che tiene conto del limitato scostamento registrato nel 2015 – un miglioramento del saldo di 0,2 decimi, in luogo degli 0,25 richiesti nei very bad times –, la variazione sarebbe contenuta nel limite previsto. I risultati del 2015 e l'aggiornamento delle stime per l'esercizio in corso, nell'ambito della più generale valutazione del Programma di stabilità e del Piano nazionale di riforme presentati dall'Italia, saranno oggetto nei prossimi mesi delle raccomandazioni del Consiglio, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico e di finanza pubblica, contenuto nelle previsioni di primavera.
  Al momento, in base alle ultime previsioni dei servizi della Commissione, le Winter Forecast di febbraio, a fronte di un completo allineamento del saldo nominale nel 2015, il deficit del 2016 risulterebbe più elevato (–2,5 per cento) per effetto di una stima più contenuta delle entrate e in particolare del gettito rinveniente dai giochi e da una spesa per interessi (4,1 per cento nelle WF) inferiore a quella indicata nell'autunno nel DPB (4,2 per cento), ma superiore a quella rivista in riduzione nel DEF (4 per cento).
  A tali valori per indebitamento netto corrisponde un saldo strutturale pari a meno 1 per cento del PIL nel 2015 – era pari a meno 1,1 per cento nel 2014 – e a meno 1,7 per cento nel 2016. Rispetto ai benchmark previsti per i due anni – miglioramento del saldo dello 0,25 nel primo e un peggioramento dello 0,25 nel secondo per effetto dell'attivazione delle clausole –, ove tali stime fossero confermate si determinerebbe uno scostamento complessivo di 0,6 decimi di punto, con un valore medio annuo superiore alla soglia di 0,25, configurando quindi il rischio di una deviazione significativa. Tali andamenti dei saldi saranno presi in considerazione dalla Commissione insieme a quelli relativi al rispetto del secondo pilastro del percorso di aggiustamento verso l'obiettivo a medio termine, cioè la regola della spesa.
  Su quanto precisato nel DEF, potrà inoltre essere presa in considerazione ex post dalle Autorità europee la spesa sostenuta per l'emergenza dei rifugiati, per definire gli importi eleggibili ai fini del calcolo dell'indebitamento strutturale e della valutazione dell'osservanza delle regole del Patto di stabilità e crescita.
  A fronte di un impianto sul bilancio di circa 2,6 miliardi nel 2015 e di 3,3 miliardi nel 2016, l'ammontare della spesa rilevante ai fini delle regole sarebbe tuttavia limitato alla variazione rispetto all'anno precedente: appena lo 0,03 per cento del PIL nel 2015 e lo 0,04 nel 2016.
  Nel Documento si sottolinea come tale metodologia di calcolo penalizzi l'Italia, tenuto conto che, da un lato, si tratta di importi più che duplicati rispetto alla media del triennio 2011-2013 e, dall'altro, come, a fronte di costi sostenuti a breve termine, non vi siano nel lungo periodo i vantaggi derivanti dall'integrazione dei migranti, essendo l'Italia un Paese di transito.
  Guardando gli esercizi successivi, l'allentamento degli obiettivi proposto dal Governo – che corrisponde a un indebitamento netto pari all'1,8 per cento del PIL nel 2017, allo 0,9 nel 2018 e un lieve surplus nel 2019, dello 0,1 per cento – fa sì che, in termini strutturali, in luogo del pareggio di bilancio dal 2018, previsto nei precedenti documenti programmatici, il saldo rimanga negativo lungo tutto il periodo di previsione: –1,1 per cento nel 2017, –0,8 per cento nel 2018 e –0,2 per cento nel 2019.
  La variazione in miglioramento del saldo di 0,1 decimi, rispetto all'aggiustamento di 0,5 richiesto dalle regole europee nei tempi normali, comporta uno scostamento che nell'anno si mantiene al di sotto della soglia che configura una deviazione significativa. Il valore medio su due anni, che prende quindi in considerazione anche lo scostamento atteso che per il 2016 di 0,35 decimi, comporterebbe tuttavia il superamento del valore di riferimento. Lo stesso avviene nel 2018 che vede, nell'anno, uno scostamento di 0,2 decimi che, sommato agli 0,4 dell'anno precedente, determinerebbe il superamento della soglia dello 0,25 per cento in termini di media annua sui due esercizi successivi. Nell'anno finale, il 2019, l'aggiustamento sarebbe dello 0,6, quindi compatibile con la variazione richiesta dal Fiscal compact.
  Come si è detto, gli esiti della valutazione degli andamenti tendenziali e della rimodulazione degli obiettivi contenuti negli aggiornamenti annuali dei Programmi di stabilità saranno oggetto delle prossime raccomandazioni del Consiglio che terranno conto, oltre che delle previsioni aggiornate dei servizi della Commissione, di tutti gli approfondimenti previsti dai regolamenti nonché degli ulteriori elementi presentati dagli Stati membri.
  Al riguardo, il Governo, tra le motivazioni che giustificano, a suo avviso, il rinvio del pareggio di bilancio, pone in evidenza quelle di carattere tecnico legate alla metodologia utilizzata dalla Commissione per la stima del PIL potenziale e dell’output gap, gli elementi cioè alla base del calcolo del saldo strutturale e delle misure di aggiustamento richieste dall'Unione europea.
  Oltre alla diversa ampiezza del periodo di previsione autorizzata dalla Commissione rispetto a quella richiesta dagli Stati membri nella predisposizione dei documenti programmatici, questioni specifiche riguarderebbero la stima del tasso di disoccupazione strutturale e della produttività totale dei fattori.
  Secondo il Governo, tale metodologia non è adatta a fornire una valutazione imparziale della crescita potenziale sia per quanto riguarda gli anni passati sia per gli anni a venire. Inoltre, le stime prodotte risultano essere pro-cicliche e forniscono risultati statisticamente poco significativi ed economicamente contro-intuitivi.
  Come evidenziato nel DEF, pur prendendo come base i dati del quadro macroeconomico sottostante le previsioni della Commissione, modifiche limitate a tali metodologie condurrebbero a cambiamenti significativi nelle stime di crescita potenziale della nostra economia e più in linea con quelle utilizzate da altri previsori istituzionali, quali il Fondo monetario e l'OCSE. Sensibilmente migliori sarebbero, quindi, i valori dei saldi strutturali conseguiti e di quelli attesi.
  Sul punto non si può non rilevare che, per quanto comprensibile sia l'auspicio avanzato nel Documento che, ai fini della comparabilità dei risultati, la Commissione allinei il proprio orizzonte temporale a quello richiesto dagli Stati membri e che si giunga a una diversa metodologia per valutare i risultati su cui richiedere eventuali misure correttive, fino ad allora la verifica del rispetto o meno delle regole del Fiscal compact da parte dell'Italia farà riferimento alla metodologia ora vigente.
  Più in generale, si rileva come, da un lato, l'incertezza che caratterizza lo scenario macroeconomico e finanziario e i rischi connessi ad assetti fiscali in Paesi, come l'Italia, che stentano a uscire da lunghi anni di recessione e, dall'altro, il debito tra i più elevati dell'area euro, che trova nei mercati, prima ancora che nelle regole europee, un vincolo stringente, determinano margini di manovra molto stretti.
  In tale contesto non si può che ribadire l'importanza, oltre che di un attento monitoraggio della finanza pubblica affinché si garantisca il percorso verso il pareggio di bilancio in tempi certi, di una rapida implementazione delle riforme avviate e del programma di investimenti annunciato, non solo perché ex post i margini di flessibilità previsti dalle clausole saranno accordati sulla base degli effettivi risultati, ma per la ragione di fondo per cui tali clausole sono previste, cioè consentire il rafforzamento della crescita e la sostenibilità del debito che rappresentano i punti di debolezza dell'Italia.
  Nel DEF si evidenzia, dopo il picco 2015, un percorso in riduzione del rapporto tra debito e PIL che segna, a fine periodo, una riduzione cumulata di circa 9 punti. È di 123,8 per cento il valore stimato per il 2019.
  Nel 2016 la variazione attesa – dal 132,7 al 132,4 per cento nel quadro programmatico – è spiegata da un avanzo primario dell'1,7 per cento che riesce a più che compensare l'effetto ancora consistente del differenziale dei tassi d'interesse e crescita (1,2 per cento) e di un aggiustamento dello stock flussi sfavorevole, seppure contenuto (0,2 per cento).
  A decorrere dal 2017, la riduzione si fa più rapida, grazie alla concomitanza di più fattori, quali il mantenimento di un avanzo primario che passa dal 2 per cento del prossimo esercizio al 3,6 del 2019, mentre lo snowball effect dapprima si riduce a 0,6 per cento nel 2017 per poi invertire il segno con un –0,2 e un –0,5 nel biennio successivo, grazie a una dinamica del prodotto nominale tale da riuscire, per la prima volta dopo molti anni, a sopravanzare il costo medio dello stock di debito accumulato.
  L'aggiustamento dello stock flussi presenta segni alterni nel periodo, restando comunque su valori contenuti e giovandosi del contributo significativo delle privatizzazioni, pari allo 0,5 per cento annuo nel triennio 2016-2018 e allo 0,3 per cento nel 2019.
  Come sottolineato nel Documento, l'evoluzione attesa del rapporto non consente tuttavia nel 2016 il rispetto della regola del debito nella versione forward looking, quella più favorevole all'Italia.
  Come già per il 2015, il Governo ritiene che continuino a persistere fattori rilevanti che giustificano la deviazione del rapporto debito-PIL rispetto alla dinamica prevista dalla regola. Essi saranno presi in considerazione dalla Commissione e potranno essere oggetto in un rapporto, ai sensi articolo 126 paragrafo 3 del Trattato.
  Al momento non si può non ribadire come l'evoluzione descritta poggi non solo su grandezze di politica fiscale, ma anche su uno scenario macroeconomico favorevole e un ritorno dell'inflazione intorno al 2 per cento a fronte di tassi d'interesse ancora contenuti. Si tratta quindi di uno scenario che dipende dalla conferma delle ipotesi relative alle variabili esogene su cui il quadro macroeconomico è costruito e che, come si è detto, non è esente da rischi.
  Tali rischi sono del resto presi in considerazione nel Documento, che riporta i risultati di simulazione degli effetti, sulle dinamiche del rapporto debito-PIL nel breve e medio periodo, di shock che configurano ipotesi di crescita, e di tassi di interesse rispettivamente più o meno favorevoli rispetto a quelle contenute nel quadro programmatico incorporato nello scenario di riferimento.
  Gli esercizi non evidenziano andamenti esplosivi del debito, nemmeno nelle ipotesi meno favorevoli di bassa crescita. Nello scenario base comunque, nonostante il mantenimento dell'avanzo primario sul livello atteso per il 2019 del 3,2 per cento al netto della componente ciclica, il debito sarebbe pari al 97,7 per cento del PIL nel 2027, al di sopra della soglia del 60 per cento prevista nei Trattati, mentre nello scenario di bassa crescita continuerebbe a ridursi, ma a ritmi più lenti, posizionandosi a fine periodo su valori più elevati di circa 20 punti (117,7 per cento). Se poi allo scenario di bassa crescita si associasse un andamento deflazionistico, il debito continuerebbe ad aumentare.
  Anche le proiezioni fino al 2060, se da un lato evidenziano come gli obiettivi indicati nel Documento garantiscano la sostenibilità della finanza pubblica, dall'altro sottolineano la necessità di mantenere avanzi primari elevati per tutto il periodo di previsione.
  Infine, vorrei svolgere alcune considerazioni conclusive.
  L'Italia, nel 2015, è uscita dalla recessione. Il PIL è aumentato dello 0,8 per cento, come era stato previsto, e la variazione in termini nominali ha superato le aspettative con un incremento dell'1,5 per cento. L'indebitamento si è collocato al 2,6 per cento in termini di prodotto. Si tratta di un livello toccato solo in tre occasioni negli ultimi anni e di un risultato che, in questa occasione, si è prodotto non nella fase alta del ciclo, ma in una fase di ripartenza. Il miglioramento dei conti pubblici è stato ottenuto con una riduzione superiore alle attese sia delle spese che delle entrate, delineando un ridimensionamento delle risorse oggetto di intermediazione pubblica.
  Si tratta di risultati importanti, che solo marginalmente riescono a mostrare le molte innovazioni che hanno caratterizzato la gestione del bilancio pubblico durante la crisi economica. Tali innovazioni, come si diceva in apertura, sono al centro dell'analisi svolta di recente dalla Corte nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica.
  In esso emerge un quadro di governo del bilancio pubblico che si è trasformato assai più di quanto non possa far pensare la vischiosità registrata nella discesa del livello di indebitamento.
  Con il DEF 2016, il Governo riconferma la strategia seguita in questi anni, volta a conciliare la stabilizzazione del ciclo con l'esigenza del rientro dal debito. Si tratta di un percorso in cui è determinante il contributo che può venire dal rafforzamento delle aspettative degli operatori. Da qui la conferma, se ve ne fosse stato bisogno, della necessità di portare avanti riforme dirette ad aggredire i punti di debolezza strutturale dell'economia italiana.
  Con la legge di stabilità per il 2016 si è puntato a potenziare i segnali di ripresa riconducibili a una crescita della domanda interna, concentrando l'utilizzo delle limitate risorse disponibili, al netto di quelle necessarie a disinnescare le clausole di salvaguardia, sul rafforzamento della domanda delle famiglie e sulla riduzione degli oneri che gravano sul mondo delle imprese, dando, per questa via, impulso alla ripresa dell'occupazione.
  In tema di investimenti infrastrutturali, si è mirato a interromperne il progressivo calo, orientando le risorse su cui è possibile e necessario attivare il concorso europeo e percorrendo interessanti processi di attrazione di investimenti dall'estero.
  Si tratta di una scelta di politica economica che porta ad autorizzare al massimo gli spazi di flessibilità disponibili e che, nell'intenzione del Governo, dovrebbe dare, come è anche ribadito nel Piano nazionale delle riforme 2016, rilevanti ritorni in termini di crescita e occupazione.
  Per il 2017 il DEF prefigura un ulteriore allentamento della correzione di bilancio. Secondo il Governo, ciò comunque consentirebbe, pur non rispondendo alle regole previste dal Fiscal compact, di mantenere in sicurezza i conti al 3 per cento in termini indebitamento netto. Accompagnandosi a una crescita economica più elevata, questo rappresenterebbe un elemento rassicurante per i mercati.
  Il rischio principale, insito in questa scelta, risiede nell'eventualità che le aspettative di ripresa dell'inflazione formulate dal Governo possano rivelarsi frustrate, nonostante l'accentuazione delle politiche monetarie espansive decise dalla BCE. Le stesse previsioni riguardo alla crescita in termini reali dell'economia non sono esenti da rischi di ulteriore revisione al ribasso.
  Le proposte avanzate dall'Italia nelle sedi europee sottolineano il beneficio che l'intera Eurozona trarrebbe dal saper combinare misure dal lato dell'offerta e del sostegno alla domanda aggregata con un più stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali.
  Nell'immediato non è tanto in discussione la riduzione dell'indebitamento quanto la velocità di aggiustamento che, nelle attuali condizioni economiche, si riterrebbe preferibile mantenere più lenta di quanto prescritto.
  L'oggettiva limitazione degli strumenti e dei gradi di libertà a disposizione del Governo potrà determinare l'insorgere di difficoltà nell'intervenire in settori – contratti pubblici, flessibilità in uscita per le pensioni, recupero della qualità dei servizi – che, insieme a una celere attuazione delle riforme, possono riportare il Paese su uno stabile sentiero di crescita e che ora sono sullo sfondo del DEF 2016.
  Di qui, la necessità di accompagnare le riforme già avviate con interventi in grado di rimuovere rigidità che limitano l'operare degli strumenti di gestione della finanza pubblica, distorcono la destinazione delle risorse e ostacolano gli operatori economici.
  Come messo in rilievo nel Rapporto di coordinamento, per esempio, le misure che negli ultimi anni hanno interessato i più importanti segmenti delle entrate pubbliche hanno finito per restringere gli spazi di manovrabilità del sistema di prelievo.
  La prospettiva di una riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese ripropone la necessità di una revisione strutturale dell'intero sistema tributario e un deciso impegno in tre direzioni: un ampliamento della base imponibile, una rivisitazione degli obiettivi redistributivi assegnati al sistema di prelievo e, non ultimo, la ricerca di un effettivo coordinamento della leva fiscale tra i livelli di governo. In questa direzione va la revisione del sistema delle agevolazioni da inserire nella prossima manovra finanziaria, incidendo su un sistema che ha assunto dimensioni poderose e che riduce il gettito potenziale di quasi un terzo. Questi sono dati che abbiamo fornito già qualche mese fa.
  Ma in base alle analisi svolte, la Corte ritiene che, come più volte segnalato, potrebbe essere opportuno cogliere l'occasione offerta dall'attuale fase economica e dalla necessità di evitare l'operare delle clausole di salvaguardia per rivedere la struttura impositiva indiretta. Ciò, non per modificare il livello delle aliquote, ma per rivedere la distribuzione della base imponibile fra le diverse fasce, oggi particolarmente concentrato su quelle agevolate, eventualmente accompagnando tale intervento con misure dirette a evitare effetti indesiderati sulle categorie più deboli.
  Nei prossimi anni, il contributo atteso dal lato della spesa agli equilibri complessivi di bilancio appare condizionato da margini che si fanno sempre più stretti, anche in considerazione dei risultati importanti già conseguiti.
  Ciò sembra suggerire che, oltre alla prosecuzione della qualificata politica di selezione della spesa, si proceda a un attento ripensamento delle condizioni e dei confini dell'intervento pubblico nonché delle modalità di fruizione dei servizi resi.
  Il trasferimento al mercato di nuovi assetti ancora in fase di consolidamento e il graduale processo di riorganizzazione in importanti settori di servizi portano con sé due questioni non più rinviabili: la necessità di delineare un oculato processo di riperimetrazione dell'offerta di servizi, collocati tuttora su una linea di confine mobile tra il settore dell'amministrazione pubblica e il settore delle imprese private, nella maggior parte dei casi partecipate dalle amministrazioni pubbliche territoriali; l'urgenza di stabilire nuovi profili di regolazione, intesi come strumenti di livellamento di differenze e asimmetrie che il mercato non è più in grado di correggere.
  Si tratta di un passaggio che prevede di corrispondere alla delineazione di equilibrate politiche di riorganizzazione nell'offerta dei servizi pubblici una contestuale alta qualità della regolazione, affinché sia sempre garantita la coesione sociale e i fondamentali diritti di cittadinanza.
  Ciò porta al più ampio tema di un nuovo approccio alle entrate a disposizione delle amministrazioni pubbliche, legate agli asset di proprietà e ai proventi incassati contestualmente all'erogazione di servizi. Come dimostra il confronto internazionale, i prezzi per molti servizi offerti in Italia sono inferiori rispetto alle altre maggiori economie europee. La tendenza all'aumento, per coprire i costi e garantire flussi di investimenti significativi, appare quindi un'opzione da considerare in una fase storica di difficoltà per la finanza pubblica, anche adottando politiche di selezione delle condizioni di accesso per evitare effetti regressivi indesiderati.
  Anche in sanità, per salvaguardare il sistema pubblico che offre in media servizi di alta qualità e per rimuovere distorsioni evidenti, non si può prescindere dal rendere più appropriato e mirato l'accesso alle prestazioni, potendo contare oggi sulle crescenti potenzialità dei sistemi informativi.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Squitieri. Chiedo ai colleghi di non fare interventi di analisi, perché di analisi ne è stata fatta tanta, ma di porre solo domande secche in modo da poter ottimizzare i tempi.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Presidente, pongo una domanda secchissima: quanto espresso a proposito della spesa delle amministrazioni locali sembrerebbe un assist alle richieste formulate ieri degli enti locali, i quali chiedono degli allentamenti e soprattutto di non dover pagare delle sanzioni per il mancato rispetto del Patto di stabilità per lo scorso anno.

  ANTONIO D'ALÌ. Presidente, in relazione alla considerazione finale riguardante la spesa pubblica, lei non ritiene che ci debbano essere degli interventi strutturali più forti? Lo chiedo perché noi parliamo sempre di spesa, senza modificare però la piattaforma programmatica delle riforme. Per esempio, nella spesa sanitaria, lei non ritiene che si dovrebbe abbandonare un sistema sanitario composto da 21 sistemi sanitari regionali e cercare di accorpare la spesa per aggregati dimensionali che possano assicurare maggiori economie di scala?

  MAURO GUERRA. Presidente, la mia domanda è relativa alla spesa delle amministrazioni locali. Le chiedo se non sia possibile cominciare a ragionare, data l'introduzione del principio del vincolo dell'equilibrio di bilancio e del pareggio di bilancio per come è strutturato, su una riduzione quantomeno del complesso sistema di vincoli che incidono su voci specifiche delle spese degli enti locali, esercitandosi dal personale alle consulenze e ai consumi intermedi, cioè se non sia possibile ragionare su un tetto o un vincolo o un limite che sia unitario e che consenta maggiore flessibilità nell'organizzazione della propria attività agli enti locali.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Squitieri per la replica, ringraziandolo ancora per il grande contributo.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie a voi. Abbiamo lasciato comunque la copia della relazione a disposizione degli onorevoli parlamentari.
  Dirò alcune battute per poi lasciare la parola ai colleghi perché ci siamo ripartiti i compiti, settore per settore.
  Per quanto riguarda la spesa sanitaria, su cui poi pregherò Enrico Flaccadoro di dire qualcosa, c'è un problema di efficientamento oggettivo che va risolto dalle regioni con interventi incisivi. Tutta la politica dei costi standard è stata messa un po’ da parte, invece forse dovrebbe essere ripresa e potenziata. Questo consentirebbe risparmi considerevoli.
  Tuttavia, possiamo dire, come abbiamo già fatto e come ci è stato riconosciuto recentemente anche dal Fondo monetario internazionale, che la sanità italiana è una delle migliori. Ora, non voglio dire che la nostra sanità è una delle migliori al mondo perché sarebbe un atto di superbia, però è un sistema che sta funzionando ed è migliorato notevolmente negli ultimi anni, quindi la via è tracciata, il percorso è tracciato, ma si tratta di continuare con interventi di efficientamento.
  Per quanto riguarda gli enti locali, darei sempre la parola a Enrico Flaccadoro o al collega. Certo, la riduzione dei vincoli che mi chiedeva l'onorevole Guerra è una necessità oggettiva. Tuttavia, si tratta di vincoli, di lacci e lacciuoli, che non dipendono solo dall'ordinamento nazionale ma da quello internazionale europeo. Se sull'ordinamento nazionale si può in qualche modo intervenire, su quello europeo bisogna fare i conti con i nostri partner, e si tratta di un discorso non facilissimo da attuarsi. Ovviamente una maggiore flessibilità e soprattutto una maggiore chiarezza nei comportamenti e nei limiti sarebbero auspicabili. Lo diciamo sistematicamente, ma non possiamo fare altro che esprimere un auspicio perché siete voi nel Parlamento nazionale e i colleghi europei a dover intervenire.
  Pregherei Enrico Flaccadoro di dire qualcosa in particolare sulla spesa degli enti locali.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Grazie, presidente. Rispondendo alla senatrice Zanoni, segnalo che il nostro non vuole essere un assist per le richieste di ieri. Naturalmente si tratta di un'osservazione che viene dall'esame del quadro tendenziale, come è stato modificato nel DEF che – lo ripetiamo – prefigura, pur a legislazione invariata, un ulteriore risparmio a carico delle amministrazioni territoriali. Ci siamo quindi limitati solo a evidenziare questo aspetto.
  Per quanto riguarda il sistema sanitario e la domanda del senatore D'Alì, indubbiamente sono d'accordo con il presidente Squitieri sul fatto che non vada trascurato che in questi anni il settore sanitario ha contribuito, con una forte riduzione della dimensione della spesa, agli equilibri di finanza pubblica. Tuttavia, non credo – lo dico a titolo totalmente personale – che l'unificazione a livello nazionale consentirebbe più di tanto di ottenere dei risparmi.
  All'onorevole Guerra ricordo che i vincoli sono ovviamente in tendenziale riduzione nel momento in cui si passa agli equilibri di bilancio, ma questi vincoli, soprattutto quelli di consulenze o nella dinamica occupazionale, hanno consentito di ottenere il risultato che è evidente nei consuntivi di quest'anno.
  È ovvio che introdurre vincoli all'operare delle amministrazioni spesso non è positivo, ma questo graduale allentamento dei vincoli connesso al passaggio di equilibri probabilmente sarà più facile nel momento in cui le condizioni della finanza pubblica saranno meno stringenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora i rappresentanti della Corte dei Conti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva e preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti del CNEL.
  Do quindi la parola al vice presidente del CNEL e presidente della Commissione istruttoria unica del Consiglio, Delio Napoleone.

  DELIO NAPOLEONE, vice presidente del CNEL e presidente della Commissione istruttoria unica del Consiglio. Grazie, presidente, e grazie a voi per l'invito. Come CNEL abbiamo centrato l'attenzione sul ruolo che il DEF potrebbe avere sul benessere equo e sostenibile (BES), più che sul PIL tout court.
  Il numero centrale del Documento di economia e finanza 2016 è il tasso di crescita reale del PIL che, come è noto, è dell'1,2 per cento. Come parti sociali auspichiamo che le previsioni econometriche che il Governo utilizza per la definizione del DEF non si rivelino troppo ottimistiche, come purtroppo è avvenuto in 11 degli ultimi 14 anni.
  Tale tasso è pari al tasso potenziale di crescita di lungo periodo stimato nel lontano 2007, prima della crisi economica, in un lavoro congiunto della Banca centrale europea, della Banca Mondiale, del Fondo monetario internazionale e dell'OCSE. Allora c'era un generale consenso su una crescita dei prezzi in Europa intorno al 2 per cento, quindi, se l'Italia avesse mantenuto il tasso di crescita potenziale dell'1,2 per cento, il saggio di crescita nominale sarebbe stato del 3,2 per cento ed avrebbe permesso una graduale riduzione del rapporto debito/PIL e un progressivo spostamento di risorse dal pagamento degli interessi alle politiche per la crescita.
  Rispetto ad allora si sono manifestate tendenze deflazionistiche, che hanno spinto il tasso di inflazione verso livelli trascurabili, se non addirittura negativi, quindi la crescita nominale difficilmente supererà quest'anno l'1,5-1,7 per cento nell'ipotesi in cui l'Italia riesca ad esplicare in pieno la propria crescita potenziale e il contesto internazionale sia favorevole.
  Tali tassi di crescita nominali complicano sia il processo di recupero dei livelli occupazionali precedenti alla crisi, sia il processo di riduzione graduale del rapporto debito/PIL. Il CNEL propone di passare da un percorso basato sulla crescita del PIL nominale ad un approccio basato sulla spesa pubblica di qualità.
  Nella definizione dei nostri obiettivi di medio termine il PIL va affiancato con indicatori di benessere e di qualità della vita. Il CNEL valuta positivamente la proposta di legge C.2897 del 19 febbraio 2015, recante Disposizioni per l'utilizzazione degli indicatori di benessere nelle politiche pubbliche, in quanto concorda con l'obiettivo di utilizzare gli indicatori di benessere ai fini di una programmazione economica che utilizzi in modo efficace la spesa pubblica.
  L'ottica di medio termine del BES è uno strumento per selezionare e attuare politiche concrete di sviluppo che salvaguardino gli equilibri di finanza pubblica, contenendo le spese poco efficienti ed efficaci ed esaltando quelle ad alto rendimento sociale. Il perimetro pubblico può diventare uno strumento per il miglioramento della qualità della vita con politiche per la famiglia, con il rilancio degli investimenti, con politiche per l'ambiente e per dare certezza e fiducia a settori fragili come i giovani e i pensionati.
  In particolare si può dare fiducia ai giovani principalmente con l'occupazione, che può essere offerta solo da imprese che si ampliano e si ammodernano, ossia che investono. Una riduzione del perimetro della spesa corrente lascerebbe spazio per l'investimento pubblico, che è passato dal 3,5 per cento in rapporto al PIL negli anni Ottanta all'1 per cento attuale, scegliendo con cura i singoli progetti. In questo senso il Piano Juncker sta offrendo un contributo.
  Occorre inoltre una politica pubblica diretta alle piccole e medie imprese, che faciliti l'ampliamento della loro dimensione e la riduzione del loro indebitamento, attraverso il pronto pagamento dei loro crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni e la limitazione ai 5 anni precedenti la richiesta di fido della utilizzabilità, da parte delle banche, delle informazioni personali sugli imprenditori ai fini delle decisioni sulla concessione dei crediti. Sottolineo questo punto, che è molto importante per la ripresa del credito, cui a volte è impossibile accedere proprio per tale ordine di ragioni.
  Occorre riprendere le politiche in favore della concorrenza nei singoli mercati, attraverso misure quali la riduzione delle aziende partecipate da regioni e comuni, al fine di recuperare efficienza e, se necessario, procedere alla vendita di aziende statali che non abbiano valenza strategica e, aggiungerei, sociale.
  Hanno un ruolo centrale interventi specifici per rendere tempestive ed efficienti le prestazioni sociali e sanitarie richieste dalle famiglie. Tali interventi migliorano non solo la qualità della vita, ma anche la fiducia dei cittadini. Tra gli interventi auspicabili ricordo, a titolo esemplificativo, la riduzione delle file di attesa per l'accesso alle scuole per l'infanzia e la riduzione dei tempi di attesa in sanità.
  Per quel che concerne il nesso tra natalità e produttività, l'Istat ha recentemente comunicato che la popolazione italiana è diminuita, che nel 2015 il numero delle cancellazioni anagrafiche per il trasferimento all'estero è superiore al numero di iscrizioni e che il numero delle nascite ha raggiunto il livello minimo dal 1861.
  Quali effetti hanno le variabili demografiche sulla crescita di lungo periodo? Noi crediamo che l'andamento del PIL e dell'occupazione negli ultimi anni sia dovuto in gran parte alla stagnazione di lungo periodo della produttività. Come intervenire quindi sul rilancio della produttività del lavoro e del capitale in un contesto congiunturale con prospettive di rallentamento dell'economia mondiale?
  Il modello di Solow sulla crescita di lungo periodo predice che se la popolazione aumenta dell'1 per cento all'anno il PIL cresce dello 0,5 per cento a parità di altre condizioni, se la produttività del lavoro aumenta dell'1 per cento lo stesso dato di PIL aumenta dello 0,34 per cento a parità di altre condizioni e, infine, ad un aumento della produttività del capitale dell'1 per cento corrisponde un incremento del PIL dello 0,80 per cento.
  Appare evidente che per tornare a crescere sono necessarie sia politiche in favore della famiglia, sia politiche per la produttività. Porre la famiglia come obiettivo centrale dell'azione di Governo significa contrastare le tendenze alla progressiva diminuzione e invecchiamento della popolazione, che frenano lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese.
  Le politiche per la famiglia non devono confondersi con le politiche di contrasto alla povertà. Nel nostro Paese esistono programmi per il sostegno delle famiglie in difficoltà, ma occorrono politiche pubbliche per la famiglia in quanto tale. Occorrono linee di azione coerenti, che partano dalla normativa tributaria ed includano asili nido, scuole a tempo pieno, conciliazione per i genitori tra lavoro e impiego, evitando azioni occasionali di breve periodo e di solo impatto mediatico.
  La crescita include anche la riduzione del debito, l'aumento della produttività, il rilancio dell'occupazione e una maggiore equità. A sua volta, ciò significa una spending review permanente e basata sulle migliori prassi internazionali, nonché fondata su una forte teoria economica, uscendo da operazioni occasionali necessariamente di breve respiro.
  Ciò significa anche maggiore concorrenza in tutti i mercati al fine di incoraggiare le vere eccellenze del Paese, mirando non ad incrementi dell'impiego stimolati da misure a breve termine, ma a buona occupazione di lungo periodo in imprese competitive sul piano interno e internazionale. Ciò, infine, richiede di rimettere in moto quell'ascensore sociale che sembra essersi inceppato e che alle parti sociali sta molto a cuore.
  A questo punto emergono due nodi dirimenti: come finanziare le politiche per la natalità e per la produttività? Si può partire con la revisione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni effettuata con questi specifici obiettivi, tuttavia tali misure sono più efficaci se inserite in una riforma fiscale complessiva, che riduca la pressione fiscale, la renda equa nel prelievo e nella progressività, renda più efficace la lotta all'evasione e favorisca i consumi e gli investimenti.
  Sul fronte della crescita della produttività e dell'occupazione occorrono misure fiscali per ridurre il costo del lavoro, detassare gli utili reinvestiti in azienda, ridurre l'IRES e prevedere detassazioni e decontribuzioni a carattere strutturale sul salario di produttività definito con la contrattazione di secondo livello.
  La revisione della spesa pubblica va realizzata con l'obiettivo di finanziare la fornitura di servizi alle famiglie per favorire la natalità – quali la conciliazione tra lavoro e assistenza a bambini, anziani e persone non autosufficienti, i programmi per l'edilizia popolare agevolata, l'investimento nell'istruzione e nella formazione dei figli, l'orientamento scolastico e professionale – nonché di servizi per favorire la produttività delle imprese – quali, ad esempio, l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, il supporto alle imprese che tentano di accedere ai mercati esteri e le connessioni tra enti di ricerca e imprese.
  I risparmi con cui avviare la revisione della spesa vanno cercati sia con la lotta agli sprechi e alla corruzione nella Pubblica amministrazione, sia procedendo alla riforma della Pubblica amministrazione stessa. A tal fine, secondo il CNEL è necessario prevedere stanziamenti adeguati per il rinnovo dei contratti nazionali dei dipendenti pubblici e puntare sulla contrattazione di secondo livello per valorizzare le professionalità e migliorare il funzionamento degli uffici.
  Ovviamente i suddetti strumenti vanno inseriti nell'ambito di politiche che, oltre a dare attuazione ai diritti previsti dalla Costituzione, aumentino la fiducia nel futuro di famiglie e imprese, liberando risorse tesaurizzate a causa dell'incertezza e dell'ansia per il domani.
  Famiglie e imprese, in particolare le piccole e medie, trovano forti difficoltà a venire a conoscenza di alcuni diritti e prestazioni a loro destinate e ad orientarsi nelle procedure per ottenerli. Ciò avviene sia a causa dei continui cambiamenti normativi e regolamentari che avvengono nel nostro Paese, sia perché tali aiuti sono erogati da enti pubblici diversi.
  Nel caso degli aiuti alle famiglie si riportano, a titolo esemplificativo: alcuni aiuti nazionali, quali assegno di maternità statale 2016, assegni familiari, borse di studio, esenzioni dai ticket sanitari, bonus bebè, Carta Famiglia 2016, congedo parentale, sconti sul canone telefonico, riduzione del canone RAI, Social card per disoccupati, Carta acquisti ordinaria, detrazione per spese di affitto, ovvero regionali, quali bonus libri, riduzione della tassa sui rifiuti, o ancora comunali, quali assegno di maternità 2016, servizi socio-sanitari a domicilio, assegno comunale per le famiglie con tre figli, sconti sulle bollette di casa.
  Il CNEL propone che al Dipartimento per le politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio siano affidati la razionalizzazione, il coordinamento e la comunicazione ai cittadini potenzialmente interessati di tutti gli interventi in favore della famiglia erogati dai diversi enti pubblici.
  Per quanto attiene alla riforma del governo politico ed economico dell'Europa, come noto l'Europa nacque negli anni Cinquanta con una decisione di grande lungimiranza politica con cui i Paesi fondatori misero in comune risorse economiche allora strategiche per conseguire obiettivi di sicurezza comune e di sviluppo economico, superando tensioni geopolitiche centenarie, mentre oggi i Governi perseguono in prevalenza interessi nazionali e la Commissione europea si limita spesso al monitoraggio di parametri solamente tecnici.
  I prossimi mesi non devono essere occupati soltanto per misurarsi sul dibattito tra austerità e flessibilità o per validare o meno il DEF, al fine di impostare in autunno la legge di bilancio per il 2017, ma dovrebbero servire per ragionare e decidere sulle grandi questioni politiche con cui l'Europa deve misurarsi, utilizzando nuovi assetti istituzionali.
  Indichiamo al riguardo qualche esempio: l'opportunità di un bilancio comune con un Ministro dell'economia dell'Unione europea per affrontare le sfide demografiche ed economiche e con un Ministro degli interni dell'Unione europea per affrontare le questioni del terrorismo, dell'immigrazione e delle frontiere esterne comuni. Per rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni, il Parlamento europeo dovrebbe esprimere la fiducia ad un Governo europeo pienamente responsabile degli atti politici ed economici.
  Le regole europee sulla politica fiscale vanno aggiornate alla luce dei cambiamenti strutturali che si sono verificati di recente nel sistema economico europeo. Le regole incentrate sul principio del bilancio pressoché in pareggio sono state concordate a suo tempo con l'obiettivo primario di limitare il rischio che gli squilibri finanziari di un Paese dell'Eurozona siano pagati anche dai contribuenti degli altri Paesi.
  Le regole vanno aggiornate in modo che a tale obiettivo sia affiancato anche quello dell'aumento della produttività, che ormai è divenuto un importante problema strutturale comune a tutti i Paesi dell'Eurozona.
  Tali regole inoltre sono state concordate ritenendo che la deflazione fosse principalmente un fenomeno di tipo congiunturale, legato essenzialmente alla debolezza della domanda, mentre sta ormai emergendo che la deflazione è alimentata anche da fenomeni di tipo strutturale, quali ad esempio i cambiamenti strutturali verificatisi nei mercati di alcune importanti materie prime.
  Pensiamo al petrolio, in relazione al quale la disponibilità di nuove tecnologie di ricerca e di estrazione ha consentito l'ingresso di numerosi produttori, oppure all'utilizzo delle tecnologie informatiche nei processi produttivi o nelle filiere commerciali, che portano alla riduzione dei costi di produzione di beni e servizi e consentono tramite Internet rapporti più diretti tra produttori e consumatori.
  La regola del bilancio pressoché in pareggio va aggiornata, prevedendo che le riforme strutturali necessarie per l'incremento della produttività possano essere finanziate anche in deficit. Per evitare atteggiamenti opportunistici, l'efficacia dei programmi di spesa in termini di incremento della produttività va valutata in sede politica dal Consiglio europeo, con il supporto tecnico della Commissione europea e della Banca centrale europea.
  Negli ultimi anni il debito sovrano è fortemente cresciuto nel mondo e in Europa, pertanto l'Italia potrebbe tentare, a nostro avviso, di aprire in sede europea una trattativa con i creditori sulla rinegoziazione delle scadenze del debito oppure degli interessi reali che stanno percependo ad esempio i detentori dei titoli emessi negli anni Novanta, anni in cui le aspettative di inflazione erano nettamente maggiori di adesso.
  Se la bad bank è stata scelta per ristrutturare alcune banche in difficoltà, se ne potrebbe ipotizzare una per una parte del debito pubblico, in modo da alleggerire il bilancio annuale di cassa dal costo degli interessi. Si potrebbe inoltre garantire una parte del debito pubblico con il patrimonio immobiliare e artistico italiano, tenendo conto però che questo va comunque valorizzato per il rilancio di settori importanti come l'edilizia e il turismo. Queste proposte specifiche sono contenute negli atti di un seminario tenuto presso il CNEL nel 2012.
  Le riforme istituzionali in corso di approvazione hanno l'obiettivo di migliorare la governance politica e decisionale del nostro Paese, però le riforme, se non accompagnate da riforme economiche dirette all'aumento della produttività, rallentano, almeno nel breve periodo, la crescita, poiché è necessario del tempo per apprendere e metabolizzare le nuove regole.
  In proposito, ci rammarichiamo che ci si sia distratti dal disegno di legge sulla competitività allestito dall'ex Ministro Guidi, lasciandolo navigare tra le Commissioni parlamentari.
  Come mai non si è pensato agli effetti di psico-economia causati dall'incertezza delle voci su modifiche alle imposte di successione e a specifici aspetti del sistema previdenziale oppure ad una corretta informazione ai risparmiatori sull'introduzione di nuove regole sui fallimenti delle banche? Una carente comunicazione dei provvedimenti economici da parte del Governo e delle istituzioni tecniche preposte modifica in peggio le aspettative delle famiglie e aggrava la tesaurizzazione delle risorse.
  L'ultima parte riguarda CNEL come parte sociale. La portata delle scelte che devono essere compiute per tirare l'Italia e l'Europa fuori dalle difficoltà richiede il convincimento e il confronto con le maggiori forze sociali, senza nulla togliere all'autonomia del Governo e delle istituzioni.
  Tale coinvolgimento è reso ancora più necessario dal fatto che assistiamo a interrelazioni sempre crescenti tra le diverse aree del mondo in termini economici, politici, demografici, di sicurezza, e al progressivo accentramento decisionale su scale di maggiori dimensioni. Ne sono esempi le banche nazionali o multinazionali nate per aggregazione di banche locali, troppo grandi per fallire, e le imprese multinazionali, anch'esse troppo grandi per fallire, che decidono sempre più in un'ottica globale e meno tenendo conto delle opportunità che offrono ai singoli territori oppure al fatto che le leggi e i regolamenti sono decisi sempre più spesso a Bruxelles piuttosto che a Roma o nelle regioni.
  C'è quindi il rischio che le decisioni prese su scala sempre più globale siano percepite come imposte dall'alto, quindi è necessario rafforzare le occasioni e gli strumenti di confronto. È dunque necessario favorire il dialogo sociale, come avviene a livello di Europa in base ai trattati e negli altri Paesi europei.
  A questo fine il Governo dovrebbe attuare – a nostro avviso rapidamente – l'impegno assunto al Senato nell'agosto del 2014, in sede di approvazione della legge di riforma costituzionale, cioè promuovere ogni iniziativa utile per definire e realizzare le forme più idonee di consultazione delle parti sociali. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, vice presidente, mi veniva una battuta nell'osservare che in questo momento al tavolo c'è solo il Senato, quindi è una solidarietà tra morituri. Al di là delle battute, la ringrazio davvero del rapporto molto interessante, in particolare per aver messo in luce la questione demografica, che viene spesso totalmente ignorata e che ha invece un impatto evidentissimo sulla crescita.
  Basti pensare al fatto che alcuni Paesi europei, che pure avrebbero tutte le risorse per spingere di più sulla crescita, non lo fanno per ragioni demografiche, perché con un andamento demografico stagnante spingere sulla crescita significherebbe spingere sull'immigrazione, e questo ovviamente comporta una serie di problemi enormi.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIULIO MARCON. Innanzitutto voglio ringraziare il vice presidente per il suo intervento e anche per la valutazione positiva sulla proposta di legge, di cui sono primo firmatario, sugli indicatori di benessere, sottoscritta in realtà da oltre 60 deputati appartenenti a tutte le forze politiche e frutto pertanto di un lavoro unitario.
  Ho cercato di individuare velocemente le due paginette che ogni anno sono dedicate agli indicatori di benessere, ma non mi sembra di averle viste; non so se si tratti di una mia svista o se effettivamente quest'anno manchi il box inserito negli anni precedenti, in cui si dava conto dei risultati raggiunti dall'indagine di CNEL e ISTAT sugli indicatori di benessere.
  Spero sia una mia svista ma, se effettivamente non ci fosse, sarebbe un dato non positivo, perché non valorizzerebbe l'importante lavoro realizzato in questi anni anche per integrare gli indicatori macroeconomici con gli indicatori di benessere, che ci offrono uno strumento importante per valutare l'impatto delle politiche pubbliche e quindi orientarle rispetto agli indicatori di benessere che vengono considerati.
  Nel parere che abbiamo deliberato in Commissione bilancio sui due schemi di decreto legislativo riguardanti la riforma del bilancio dello Stato, in particolare in quello contenuto all'atto del Governo n. 264, si fa espresso riferimento alla necessità di inserire e valutare gli indicatori di benessere nel disegno di legge che dovrà essere varato in tempi brevi e che riguarda la riforma del bilancio dello Stato, quindi speriamo che ciò venga recuperato anche in quella sede, oltre all'auspicio che questo disegno di legge, che verrà calendarizzato alla Camera nel mese di giugno, possa avere un esito positivo e quindi sia di stimolo per il Senato a concludere il processo in tempi rapidi.
  La mia domanda è questa: cosa succede adesso con gli indicatori BES? Se il CNEL con la riforma costituzionale approvata pochi giorni fa in via definitiva – aspettiamo ora l'esito del referendum – non esisterà più e non avrà più questa funzione, quale sarà il cappello istituzionale? In una collaborazione tra ISTAT e CNEL, se manca una delle due gambe, temiamo che il prezioso lavoro svolto venga disperso o si arresti in attesa di trovare una nuova configurazione istituzionale. Ne avete discusso e avete qualche idea al riguardo? Ci può dare qualche informazione?

  CARLO DELL'ARINGA. Grazie per la presentazione e auguri di buon lavoro perché, analogamente a quanto vale per il Senato, nel caso il cui venisse approvato il referendum, ci sono comunque dei mesi di lavoro in cui l'impegno non deve certamente diminuire. Talvolta anche dalla stampa quotidiana si ha infatti come l'impressione che ormai il Senato venga abbandonato e certamente questa immagine è del tutto sbagliata e bisogna piuttosto rinforzare l'immagine contraria, e lo stesso discorso vale anche per il CNEL.
  Oltre a quanto chiesto dall'onorevole Marcon, c'è un altro, importantissimo segmento dell'attività del CNEL, quello relativo alla banca dati dei contratti collettivi, che nella prospettiva di una legge sulla rappresentatività è fondamentale. Vorrei quindi capire se ci sia in proposito una qualche idea, anche se ciò dipende non solo da voi, ma anche da altri soggetti.
  Nella relazione forse sarebbe stato inoltre opportuno un accenno da parte del CNEL all'intenzione del Governo di emanare una legge sulla regolazione delle relazioni industriali, certamente nella direzione di un rafforzamento della contrattazione aziendale, con particolare riferimento all'aspetto dell'autonomia delle parti e del ruolo della legge, punto molto delicato che è sempre stato tema di grande discussione all'interno del CNEL.

  DELIO NAPOLEONE, vice presidente del CNEL e presidente della Commissione istruttoria unica del Consiglio. Ringrazio per le domande e per l'attenzione accordata e vorrei solo commentare con il presidente che a volte non si fa un grande discorso sulla famiglia perché si pensa che la famiglia sia un pensiero debole, un tema tipico del buonismo, mentre – come abbiamo cercato di dire richiamando il modello di Solow, su cui vi invito a riflettere – investire sulla famiglia significa investire sul futuro del Paese, e quindi conviene.
  Non sono in grado di darle una risposta sulla fine che farà il documento del BES, noi siamo l'espressione della casa madre e quindi rispettiamo il potere della politica, ma credo che non si potrà fare a meno del CNEL; lo si chiamerà in un altro modo e non avrà rilevanza di carattere costituzionale però, più l'economia diventa complessa, meno si può fare a meno delle parti sociali, altrimenti la politica rimane nelle mani delle grandi multinazionali e delle grandi banche, che di per sé non possono fallire e quindi, come tali, sono al di sopra della politica.
  Sul tema dei contratti aziendali richiamato dall'onorevole Dell'Aringa, che ha anche lavorato presso il CNEL e ha dato un contributo notevole, vorrei far rispondere il consigliere Biasioli.

  STEFANO BIASIOLI, consigliere del CNEL. Grazie. Sono estremamente d'accordo con il professor Dell'Aringa: è del tutto evidente che ci vuole comunque una sede che rappresenti la banca dati dei contratti e la nostra paura è che questa banca dati, dal punto di vista organizzativo, possa andare dispersa.
  In questo Paese dovrà esserci comunque una istituzione che garantisca il colloquio tra le parti sociali indipendentemente dalle urgenze dei singoli contratti o dei singoli problemi, e questo purtroppo è una cosa che apparentemente non si vuole.
  Cito qui una cosa che forse non è mai stata detta in questi giorni: aver ridotto i comparti della Pubblica amministrazione e aver ipotizzato che si possano sistemare i contratti della parte pubblica semplicemente dicendo che l'80 per cento di questi ha una parte comune e solamente il 20 per cento di questi contratti ha una parte specifica, credo significhi non capire assolutamente niente della complessità della Pubblica amministrazione. Non solo, ma significherà che nel 2017 – tenuto presente che, in realtà, fino al 2016 non ci saranno contratti pubblici – si determineranno rilevanti problemi di assetto per quanto riguarda i valori economici dei vari tabellari e soprattutto delle parti variabili dello stipendio.
  Quello sulla contrattazione di secondo livello è un discorso verissimo, però deve prevedere un incontro reale tra i sindacati, le confederazioni e la controparte. Oggi, invece, questo tipo di discorso è molto più teorico e sulla carta, che non applicato nella pratica.
  L'ultima cosa che mi permetto di dire è che, se si vuole dare una qualche dignità all'organizzazione del sistema pubblico – sentivo prima l'intervento di un collega che parlava dei problemi della sanità – non occorre solo ripensare le regole della riforma del 1978, che ormai purtroppo è estremamente datata, ma anche pensare che, per esempio, si può favorire la produttività in sede locale detassando i denari legati alla produttività.

  DELIO NAPOLEONE, vice presidente del CNEL e presidente della commissione istruttoria unica del Consiglio. Presidente, se lei è d'accordo, vorrei che dal consigliere Pennisi venissero esplicitati in tempi brevi i problemi che la deflazione, che rischiamo in questo periodo, potrebbe provocare per il PIL nazionale.

  GIUSEPPE PENNISI, consigliere del CNEL. Indubbiamente siamo ancora in una fase di forte rischio di deflazione sul lungo periodo. Ciò provoca seri problemi alla politica economica, particolarmente alla politica della finanza pubblica.
  Da un lato, in caso di deflazione, avremmo un PIL nominale che crescerebbe probabilmente a tassi più bassi di quanto previsto.
  Voglio ricordare che sarebbe un esercizio utile, molto semplice e gratuito guardare ogni mese le previsioni del cosiddetto «gruppo del consenso», composto dai venti maggiori istituti econometrici internazionali che elaborano previsioni a due anni e le aggiornano ogni mese per un vasto gruppo di Paesi, tra cui l'Italia. La sintesi viene pubblicata ogni mese sul settimanale The Economist ed è consultabile on line, mentre se si paga l'abbonamento si hanno anche i dettagli.
  Il senso che emerge dalle previsioni per il 2016-2017 è che probabilmente l'Italia crescerà in termini reali a un tasso notevolmente inferiore all'1 per cento. Gran parte di questi istituti sono privati. Nessuno è governativo, nessuno è italiano; sono giapponesi, americani, inglesi, tedeschi e via dicendo. La mediana è attorno allo 0,5 per cento.
  Se a questo si aggiunge un'inflazione molto bassa, molto vicina anch'essa, se non allo zero, allo 0,5 per cento, avremo una crescita nominale dell'1 per cento, con effetti devastanti sul rapporto debito/PIL.
  C'è un aspetto menzionato dal vice presidente su cui credo che il Parlamento non abbia mai veramente riflettuto. Gli aspetti devastanti del rapporto debito/PIL hanno delle implicazioni distributive spaventose, perché tutti coloro che hanno acquistato titoli trentennali negli anni Novanta ricevono oggi cedole incredibilmente alte.
  Quintino Sella fece la riconversione della rendita. Occorrerà forse pensare a qualcosa di questa natura. Se una cosa di questa natura non viene dal Governo, è probabilmente il Parlamento che deve suggerirla. La riconversione della rendita non è difficile da farsi, ma colpisce dei redditieri che sono diventati tali per caso, perché hanno comprato titoli pubblici quando l'inflazione era elevata, quindi a tassi di interesse di cedole elevati.
  Credo che questa sia la cosa più importante su cui si deve riflettere, insieme ovviamente alle privatizzazioni.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare la delegazione del CNEL, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Siamo molto grati al presidente Alleva di essere oggi qui presente per svolgere le sue considerazioni sul DEF. Il dottor Alleva è accompagnato dai suoi collaboratori. Come sempre, alla fine della sua esposizione, ci sarà lo spazio per eventuali domande da parte dei parlamentari e per una sua replica.
  Do la parola al dottor Alleva per lo svolgimento della sua relazione.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti.
  In questa audizione, dopo aver descritto l'andamento dell'economia internazionale e di quella italiana nel 2015 e nei primi mesi dell'anno corrente, richiamerò brevemente gli obiettivi di finanza pubblica previsti nel Documento di economia e finanza 2016.
  Successivamente presenterò un aggiornamento delle previsioni economiche di breve periodo per l'Italia e un'analisi dei principali fattori che potrebbero influenzare il percorso di crescita dell'economia e l'evoluzione dei conti pubblici nel corso del 2016.
  Parto dal quadro macroeconomico e dalla congiuntura internazionale. Le ultime stime del Fondo monetario internazionale hanno certificato il rallentamento del ciclo economico internazionale nel 2015. La crescita dell’output mondiale è passata dal 3,4 per cento del 2014 al 3,1 per cento.
  Tale andamento è il risultato della decelerazione delle economie emergenti dal 4,6 al 4 per cento e di una tenuta delle economie avanzate dall'1,8 all'1,9 per cento. Il rallentamento dei Paesi emergenti ha inciso sulla dinamica degli scambi mondiali.
  Secondo i dati del Central Plan Bureau, il commercio di beni in volume ha segnato in media d'anno un incremento del 2 per cento rispetto al 3,1 per cento del 2014, trainato prevalentemente dalle economie avanzate.
  All'inizio del 2016 la dinamica del commercio mondiale è rimasta stagnante. Sempre secondo i dati del Central Plan Bureau, in dicembre gli scambi di beni in volume sono diminuiti dello 0,4 per cento in termini congiunturali.
  Nell'area euro la fase di ripresa dell'economia è proseguita a ritmi moderati, trainata dai consumi privati e frenata dall'indebolimento della domanda estera.
  Il ritmo di espansione del PIL ha registrato una decelerazione nel terzo e nel quarto trimestre del 2015. Nei primi tre mesi del 2016 il deterioramento delle condizioni globali di domanda si è riflesso in un deciso peggioramento del clima di fiducia. L’Economic Sentiment Indicator della Commissione europea ha mostrato in marzo la terza flessione consecutiva. Ciò nonostante, secondo le valutazioni di consenso dell’Eurozone Economic Outlook la ripresa dell'area euro è attesa evolvere a ritmi moderati, sostenuta dai prezzi del petrolio bassi, dall'espansione monetaria e dal deprezzamento dell'euro.
  Il PIL è previsto crescere nei primi tre trimestri del 2016 dello 0,4 per cento per trimestre, con un ritmo leggermente più elevato rispetto alla seconda metà del 2015.
  Nei Paesi avanzati l'inflazione ha segnato una forte decelerazione nel 2015, a seguito della caduta delle quotazioni delle materie prime e favorita dal rallentamento della domanda internazionale.
  Secondo le valutazioni di consenso dell’Eurozone Economic Outlook, l'inflazione nell'area euro tornerebbe positiva solo a partire dal terzo trimestre 2016.
  Passiamo all'economia italiana. Nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, il prodotto interno lordo dell'Italia ha registrato una crescita dello 0,8 per cento. In media d'anno, il contributo principale alla crescita del PIL è venuto dalla domanda nazionale al netto delle scorte e dalla ricostituzione dello stock di scorte, a fronte di un contributo negativo della domanda estera netta.
  Per i consumi finali nazionali si è consolidata la risalita emersa debolmente nell'anno precedente. La componente più dinamica dei consumi finali è risultata la spesa delle famiglie residenti, cresciuta dello 0,9 per cento, a fronte di una diminuzione per il sesto anno consecutivo di quella delle amministrazioni pubbliche, diminuita dello 0,7 per cento.
  Gli investimenti fissi lordi sono cresciuti dello 0,8 per cento, fornendo un contributo di 0,1 punti percentuali all'aumento del PIL.
  Nel corso dell'anno la crescita congiunturale ha mostrato un progressivo indebolimento. Nel quarto trimestre il PIL in volume, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,1 per cento rispetto al terzo.
  Nei primi mesi del 2016 emerge una forte erraticità nell'andamento dell'attività produttiva. In gennaio l'indice della produzione industriale ha registrato un deciso aumento, pari a +1,7 per cento rispetto al dicembre 2015, alimentato principalmente dalla dinamica dei beni strumentali. In febbraio l'indice è calato dello 0,6 per cento, soprattutto per l'andamento negativo del comparto energetico. Nella media degli ultimi tre mesi – dal dicembre 2015 al febbraio 2016 – la variazione rispetto al trimestre precedente rimane moderatamente positiva.
  Un aspetto positivo della recente evoluzione della produzione industriale è il deciso aumento del numero di settori per i quali l'indice segnala una variazione congiunturale positiva. Negli ultimi mesi la quota di settori in espansione è aumentata fino al 73 per cento di gennaio dal 47 per cento del settembre 2015, con una lieve flessione in febbraio, quando si è collocata ad un livello del 70 per cento.
  Nella media degli ultimi tre mesi, tuttavia, l'indice complessivo è diminuito dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente, risentendo di una flessione sul mercato interno più pronunciata rispetto a quella sui mercati esteri.
  Segnali di lieve recupero giungono dal settore delle costruzioni. In febbraio, secondo i dati diffusi questa mattina, l'indice della produzione nelle costruzioni registra un lieve recupero rispetto a gennaio, per un valore pari a +0,3 per cento. Nella media degli ultimi tre mesi il volume della produzione è aumentato di circa lo 0,7 per cento. L'indice permane comunque su livelli particolarmente bassi, inferiore di oltre il 30 per cento rispetto alla media del 2010.
  Moderatamente positiva è l'evoluzione del settore dei servizi. Nel quarto trimestre del 2015 l'indice destagionalizzato del fatturato dei servizi è aumentato dello 0,3 per cento rispetto al terzo trimestre 2015, segnando il sesto aumento congiunturale consecutivo.
  Nel mese di marzo gli indicatori sulle condizioni di accesso al credito per le imprese indicano un miglioramento sia nel settore manifatturiero sia in quello dei servizi. Nelle costruzioni si registra un lieve peggioramento.
  Infine, nei primi mesi del 2016 gli indicatori del clima di fiducia delle imprese mostrano segnali di debolezza per la manifattura e per i servizi, con un'attenuazione delle attese positive sugli ordini in entrambi i comparti.
  Per quanto concerne il mercato del lavoro, nel 2015 è proseguito il graduale miglioramento del mercato stesso. Secondo i dati della rilevazione sulle forze di lavoro, l'occupazione complessiva è cresciuta a ritmi più sostenuti rispetto all'anno precedente – 186.000 occupati in più, pari allo 0,8 per cento – e il tasso di disoccupazione è sceso dal 12,7 per cento del 2014 all'11,9 del 2015.
  Nella media del 2015 il numero delle persone in cerca di occupazione è diminuito del 6,3 per cento – 203.000 persone in meno in un anno. A ridursi è anche il numero di inattivi in età 15-64 anni.
  Le misure di contabilità nazionale concordano sull'intensità del miglioramento del mercato del lavoro, segnalando un aumento delle ore lavorate e delle unità di lavoro.
  La dinamica delle ore lavorate è stata più favorevole nei servizi, con un valore pari a +1 per cento, mentre nell'industria in senso stretto le ore lavorate sono rimaste quasi stabili, con un valore pari a +0,1 per cento.
  Segnali positivi giungono dal minor ricorso alla cassa integrazione guadagni nelle imprese con dieci e più dipendenti, sulla base dei dati delle rilevazioni Grandi imprese, Oros e Vela.
  Nel mese di febbraio, dopo la crescita dell'occupazione registrata a gennaio, per un valore pari a +0,3 per cento, si osserva un calo dello 0,4 per cento – pari a 97.000 unità in meno.
  La diminuzione ha coinvolto soprattutto i dipendenti permanenti, che sono ritornati ai livelli del dicembre 2015. Per i dipendenti a termine nei primi due mesi del 2016 prosegue la tendenza negativa già osservata nel quarto trimestre del 2015. Registrano, invece, un lieve recupero gli indipendenti, dopo il forte calo registrato nell'ultimo trimestre dell'anno precedente.
  La dinamica retributiva nel totale dell'economia si è mantenuta nel 2015 modesta. Le retribuzioni contrattuali per dipendente sono aumentate dell'1,2 per cento, mentre le retribuzioni rispetto al 2014 sono aumentate dello 0,6 per cento.
  Nella media del 2015 la crescita quasi nulla dei prezzi al consumo ha determinato un aumento delle retribuzioni di fatto.
  Complessivamente, nei primi due mesi del 2016, la retribuzione oraria media contrattuale è cresciuta dello 0,8 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2015.
  Tale dinamica, storicamente molto bassa, riflette aspettative di inflazione eccezionalmente moderate e, per alcuni rinnovi contrattuali, la collocazione delle tranche di aumenti nella seconda metà della vigenza contrattuale.
  Passo ora al reddito e alle condizioni economiche delle famiglie. Nel 2015, per la prima volta dal 2007, si è registrato un aumento del potere d'acquisto delle famiglie consumatrici, frutto di un incremento del reddito disponibile lordo e della dinamica quasi nulla dell'inflazione.
  L'aumento del reddito disponibile lordo è dovuto soprattutto all'incremento dei redditi da lavoro dipendente, per un valore pari a +2 per cento rispetto al +0,4 per cento del 2014. Si tratta dell'incremento maggiore dal 2010.
  L'incremento del reddito disponibile si è riflesso in una crescita della spesa per consumi finali e il tasso di risparmio è rimasto invariato.
  L'espansione della spesa per consumi finali delle famiglie sul territorio economico ha riguardato sia la spesa in beni sia quella in servizi, con una dinamica più accentuata della prima.
  La ripresa è stata caratterizzata in particolare dall'accelerazione dei beni durevoli, cresciuti in volume del 6,9 per cento. Tale andamento si deve prevalentemente alla spesa per l'acquisto di autovetture, aumentata di circa il 12 per cento in volume.
  Al miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie non corrisponde una riduzione dell'indicatore di grave deprivazione materiale, che rileva la quota di persone in famiglie che sperimentano sintomi di disagio. Secondo i dati provvisori del 2015, tale quota si attesta all'11,5 per cento, stabile rispetto al 2014.
  La componente persistente del fenomeno rimane sostanzialmente stabile. Quasi due persone su tre in condizione di deprivazione nel 2015 lo erano anche nel 2014.
  L'indice è stabile in tutti i sottogruppi di popolazione. Si confermano gli elevati valori del disagio economico per le famiglie residenti nel Mezzogiorno, dove la quota delle persone gravemente deprivate è oltre tre volte più elevata che nel Nord del Paese, per le famiglie monogenitore con figli minori, che fanno registrare un valore pari al 21,3 per cento, nonché per i membri delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione, con un valore pari ad oltre il 30 per cento, in altra condizione non professionale, a esclusione dei ritirati dal lavoro, o con occupazione part-time.
  È importante sottolineare che nel 2015 risultano in condizioni di grave deprivazione 1,34 milioni di minori, pari al 13 per cento della popolazione con meno di diciotto anni. Questa quota, che prima della crisi si attestava a livelli prossimi all'8 per cento e che nel 2012 ha raggiunto il picco del 16,8 per cento, è ferma intorno al 13 per cento da tre anni.
  Infine, segnali incerti sulla dinamica di breve periodo dei consumi provengono dai dati sul commercio al dettaglio. Nella media del trimestre novembre 2015-gennaio 2016 il volume delle vendite registra una variazione negativa dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente.
  Il clima di fiducia delle famiglie, aumentato di oltre 17 punti tra gennaio 2015 e gennaio 2016, ha però segnato un marcato peggioramento a febbraio, dovuto principalmente al deterioramento delle attese sul clima economico. Nel mese di marzo il clima di fiducia è in leggero miglioramento.
  Passo ora all'andamento dei prezzi. Nel 2015 la dinamica tendenziale dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è rimasta molto debole, scendendo allo 0,1 per cento dallo 0,2 per cento del 2014. La dinamica è stata del +1,2 per cento nel 2013.
  Nel 2015 è andata consolidandosi una tendenza deflazionistica significativa anche nelle fasi a monte del processo produttivo. I prezzi all'importazione dei prodotti industriali, in calo già nei due anni precedenti, hanno registrato forti diminuzioni per tutto il 2015 – la variazione in media d'anno è stata di un meno 4,6 per cento –, trainate da continui ribassi dei beni energetici.
  La dinamica dei prezzi dei beni importati ha influenzato quella dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali venduti sul mercato interno, ancora in diminuzione per tutto il 2015, facendo segnare un meno 3,4 per cento rispetto ad un meno 1,8 per cento registrato nel 2014.
  I costi di produzione nel settore industriale permangono deboli, condizionati principalmente dall'andamento dei prezzi delle materie prime. In un contesto di moderata espansione della domanda, la flessione dei costi unitari variabili si è accompagnata a una ripresa dei margini unitari di profitto, che ha frenato la discesa del deflatore dell’output.
  Sul piano congiunturale, l'indice armonizzato, dopo la temporanea accelerazione di gennaio 2016, è tornato negativo nei mesi di febbraio e marzo, riportando la media del trimestre allo stesso livello del primo trimestre 2015.
  Tale andamento è determinato principalmente dalla flessione dei prezzi nel comparto alimentare, in particolare dell'insieme dei prodotti non lavorati, che ha amplificato l'impulso negativo dei prezzi dei beni energetici.
  Al netto delle componenti più volatili, nel primo trimestre del 2016 si è però registrata una crescita dello 0,5 per cento dei prezzi al consumo, la cosiddetta «inflazione di fondo».
  Un approfondimento sulle tendenze dei prezzi al consumo a livello di prodotto consente di qualificare il quadro desumibile dagli indicatori aggregati. Nel corso del 2015, su circa 260 raggruppamenti di prodotti del paniere dell'IPCA, la quota di prodotti che hanno registrato una riduzione di prezzo su base tendenziale si è sensibilmente ridotta, scendendo da oltre il 42 per cento di gennaio a circa il 30 per cento in chiusura di anno. Tale quota è però tornata a salire nel primo trimestre del 2016 e a marzo si è attestata intorno al 33 per cento.
  Prosegue nei primi mesi dell'anno la tendenza alla riduzione dei prezzi alla produzione industriale, sia per la componente interna sia per quella estera.
  In chiave prospettica, in assenza di una significativa inversione di tendenza delle quotazioni dei prodotti petroliferi, la risalita dei prezzi sembra essere destinata a rimanere debole almeno nella prima parte del 2016.
  Per ciò che concerne il commercio con l'estero, nel 2015 la domanda estera netta, diversamente dai quattro anni precedenti, ha apportato un contributo negativo, sottraendo circa tre decimi di punto alla crescita del PIL.
  Questo andamento è stato determinato dal sostenuto incremento in termini reali delle importazioni di beni e servizi, a fronte di una dinamica più contenuta delle esportazioni, che pure hanno accelerato rispetto al biennio precedente.
  L'aumento sostenuto delle importazioni sembra associato sia alla crescita dei consumi sia a fattori strutturali riconducibili ai processi di adattamento delle imprese nella lunga fase di compressione della domanda interna, testimoniati dal forte incremento della propensione all'esportazione.
  Nel 2015, infatti, il grado di penetrazione delle importazioni di beni finali è stato superiore in livello e più sostenuto in dinamica rispetto a quello dei beni intermedi.
  Sulla crescita delle importazioni non sembrano invece aver influito in misura determinante fattori di competitività di prezzo. Se si escludono i prodotti energetici, che nel 2015 hanno mostrato una nuova e più marcata flessione rispetto agli anni precedenti, i prezzi dei beni importati sono aumentati a tassi superiori rispetto a quelli dei beni italiani venduti sul mercato interno.
  L'incremento delle importazioni registrato in Italia risulta comunque in linea con quello medio dell'area euro.
  Il confronto interno all'area dell'Unione europea mostra come la quota delle esportazioni dell'Italia abbia subìto una lieve erosione rispetto al 2014 – passando da 8,6 a 8,5 per cento. L'incremento delle esportazioni dell'Italia è risultato del resto inferiore a quello della Germania e della Francia.
  Nonostante la graduale ripresa della domanda interna e il rallentamento degli scambi mondiali, l'avanzo della bilancia commerciale dell'Italia si è ulteriormente ampliato, portandosi a 45,2 miliardi di euro.
  L'evoluzione congiunturale dell’export è risultata negativa nell'ultimo trimestre del 2015, segnando un valore pari a meno 0,7 per cento, con un calo diffuso a tutti i raggruppamenti di prodotti, a eccezione dei beni di consumo non durevoli, che sono aumentati dello 0,8 per cento.
  Tuttavia, i dati più recenti indicano un recupero delle esportazioni nei mercati UE ed extra UE nel mese di febbraio, dopo la flessione dei mesi di dicembre e di gennaio.
  Esprimo ora alcune valutazioni sul Documento di economia e finanza 2016. Per quanto concerne gli obiettivi di finanza pubblica, per il periodo 2016-2019 lo scenario tendenziale del DEF 2016 presenta una revisione degli obiettivi di finanza pubblica rispetto a quanto stimato nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 presentata a ottobre. I nuovi scenari tendenziali tengono conto di una dinamica del PIL meno favorevole, con un tasso di crescita per il 2016 rivisto da 1,6 a 1,2 per cento.
  Per il 2016 l'indebitamento netto è previsto al 2,3 per cento del PIL. Il livello complessivo del saldo è la sintesi del deficit delle amministrazioni centrali, pari al 2,6 per cento, e del lieve surplus delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza e assistenza sociale.
  Il saldo primario è stimato all'1,7 per cento, mentre la pressione fiscale è prevista al 42,8 per cento. Per gli anni 2017-2018 l'indebitamento netto si attesta, rispettivamente, all'1,4 e allo 0,3 per cento, mentre per il 2019 è previsto un avanzo dello 0,4 per cento.
  Le stime includono l'aumento del gettito legato all'entrata in vigore delle clausole di salvaguardia che presuppongono a partire dal 2017 l'incremento delle aliquote IVA e dal 2018 delle accise sugli oli minerali.
  Contestualmente, a partire dal 2017 sono previste minori entrate, a seguito della riduzione dell'aliquota IRES.
  Il quadro programmatico conferma per il 2016 l'indebitamento netto al 2,3 per cento del PIL. Nel 2017 e nel 2018, invece, è previsto, rispettivamente, un indebitamento netto all'1,8 e allo 0,9 per cento, cui seguirà un surplus dello 0,1 per cento del PIL nel 2019.
  Lo scostamento rispetto al quadro tendenziale è prevalentemente imputabile alla volontà del Governo di sterilizzare le clausole di salvaguardia ancora in vigore.
  Per il 2016 il saldo strutturale, coerente con l'indebitamento previsto, è stimato ad un meno 1,2 per cento, mentre è atteso un progressivo miglioramento per gli anni successivi, che porterà il saldo ad un meno 0,2 per cento nel 2019.
  In tale contesto, nel 2016 si registra un peggioramento del saldo strutturale di 0,7 punti rispetto al 2015. Questo scostamento risulterebbe compatibile con il braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita, qualora, unitamente alle indicazioni della Commissione europea, fosse accolta l'ulteriore richiesta di flessibilità avanzata dal Governo nello scorso ottobre.
  Per il 2017 il saldo primario è previsto in riduzione di 0,4 punti rispetto al quadro tendenziale.
  Passo ora alle previsioni a breve per l'Italia. Sebbene in decelerazione rispetto ai mesi precedenti, l'indicatore composito anticipatore dell'economia italiana in gennaio ha registrato un incremento per il quindicesimo mese consecutivo, confermando un rafforzamento della crescita economica di fondo.
  Secondo il modello di previsione di breve termine dell'ISTAT, nel primo trimestre del 2016 la variazione congiunturale del PIL italiano sarebbe dello 0,3 per cento. La crescita è attesa proseguire con un ritmo simile anche nel trimestre successivo.
  A fronte di tali previsioni, per raggiungere nel 2016 una crescita dell'1,2 per cento, come previsto dal DEF, sarebbe tuttavia necessaria un'ulteriore accelerazione dell'attività economica nella seconda parte dell'anno.
  Passo ora al medio periodo e ai risultati delle simulazioni. Le previsioni di crescita contenute nel DEF per il quadriennio 2016-2019 si basano su una ripresa della dinamica delle componenti della domanda interna, in particolare degli investimenti, e su un'evoluzione favorevole delle variabili esogene internazionali.
  In particolare, il DEF ipotizza una crescita degli scambi internazionali pari al 3 per cento, in progressiva accelerazione nel 2017-2019, in linea con le previsioni del Fondo monetario internazionale.
  Il quadro incorpora un prezzo del petrolio in forte caduta nel 2016, a 39,4 dollari al barile, e in risalita nel triennio successivo, e un lieve apprezzamento del cambio dollaro-euro nel 2016, seguito da una stabilizzazione nel triennio successivo.
  Allo scopo di valutare la sensitività dei risultati del quadro macroeconomico definito nel DEF al variare di fattori esogeni, è stato simulato l'effetto sulla crescita del 2016 di un prezzo del petrolio più elevato di quello previsto nel DEF. Tale elemento, infatti, appare più soggetto a volatilità e potrebbe condizionare la ripresa dei consumi interni. La simulazione è stata condotta utilizzando il modello macroeconomico MeMo-It dell'ISTAT.
  L'ipotesi di un incremento del prezzo del petrolio pari al 10 per cento rispetto allo scenario base produrrebbe un incremento del deflatore dei consumi delle famiglie, con un conseguente impatto negativo sulla spesa per consumi, pari a 0,1 punti percentuali. Le importazioni subirebbero una lieve diminuzione. Nel complesso, l'impatto sul PIL risulterebbe irrilevante.
  Per contro, una maggiore spinta alla crescita, in particolare degli investimenti, potrebbe venire dal miglioramento delle condizioni di accesso al credito da parte delle imprese, in conseguenza dell'ulteriore stimolo monetario della Banca centrale europea e di un rafforzamento del sistema bancario.
  A tale scopo si è ipotizzato, rispetto allo scenario base del modello nel 2016, un incremento pari al 10 per cento dell'indicatore delle condizioni di liquidità delle imprese.
  Tale miglioramento produrrebbe un incremento degli investimenti complessivi superiore di 0,6 punti percentuali rispetto allo scenario base e un aumento del PIL superiore di 0,1 punti. La dinamica dell'occupazione sarebbe più favorevole per 0,1 punti, con un effetto di riduzione del tasso di disoccupazione della stessa entità.
  In conclusione, in presenza di un rallentamento dell'economia mondiale, il rafforzamento della ripresa italiana è legato al consolidamento della dinamica dei consumi privati e a un'accelerazione degli investimenti, come del resto è sottolineato nello stesso DEF 2016.
  Sul fronte dei consumi, è necessario in particolare che si irrobustisca ulteriormente il miglioramento del mercato del lavoro, in modo da sostenere un aumento del reddito disponibile.
  In tema di investimenti, è opportuno innanzitutto ricordare che in Italia la contrazione degli investimenti nel periodo di crisi è stata marcatamente superiore a quella degli altri principali Paesi europei.
  Ponendo 100 la media sugli investimenti nel 2011, alla fine del 2015 si registravano livelli superiori a tale quota in Germania e Spagna e sostanzialmente invariati in Francia, mentre il livello dell'Italia era pari a circa 85. Il divario negli andamenti fra i Paesi europei appare più marcato per la componente dei macchinari e delle attrezzature.
  Segnali positivi in questo senso giungono dall'aumento congiunturale e tendenziale degli investimenti fissi lordi delle società non finanziarie nel quarto trimestre del 2015.
  La ripresa di profittabilità delle imprese, favorita dal calo dei prezzi degli input, potrebbe determinare un miglioramento delle condizioni di liquidità, costituendo un importante fattore di sostegno alla ripresa degli investimenti.
  Nel breve periodo, infine, il quadro complessivo potrebbe subire evoluzioni differenti, qualora la Gran Bretagna scegliesse di uscire dall'Unione europea o si creassero nuove tensioni circa la risoluzione della crisi del debito greco.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Alleva, di questa relazione. Abbiamo un po’ di tempo per delle domande più che per degli interventi. Vi pregherei di essere sintetici.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO D'ALÌ. Ho una domanda sull'occupazione. Il dato di 186.000 occupati, naturalmente, è un risultato algebrico. Vorremmo sapere, se possibile, quanti sono nel 2015 i nuovi occupati che hanno goduto della totale esenzione della decontribuzione prevista dalla legge di stabilità e come sono redistribuiti sul territorio nazionale per regione. Capisco che magari questo dato non me lo può fornire subito ma, se cortesemente ce lo potesse far avere, gliene saremmo grati.

  CARLO DELL'ARINGA. Anch'io intervengo sul problema del mercato del lavoro. Una delle ultime considerazioni del presidente, che ringrazio per la relazione molto esaustiva, completa, dettagliata e utile, sostiene che la ripresa dei consumi è legata in parte anche al rafforzamento del mercato del lavoro, così come c'è stato quest'anno. Vorrei conoscere il vostro parere sulla probabilità che si ripeta quest'anno il risultato molto positivo dell'anno scorso. Ricordiamo che, grosso modo, sia pure in una fase di ripresa dopo tanta recessione, l'occupazione, o meglio le unità di lavoro, sono aumentate come il PIL, cioè con un'elasticità molto elevata in una fase di questo genere, per un valore equivalente ad un punto percentuale.
  Certamente le misure messe in campo dal Governo – il Jobs Act e soprattutto la decontribuzione – hanno impresso quella spinta che ha alimentato quel circuito che si vorrebbe ripetere anche quest'anno, fra reddito disponibile, PIL e via elencando. Vorrei una vostra valutazione, anche considerato il fatto che la decontribuzione viene dimezzata e magari questo contributo può essere ridimensionato.
  Questo mi offre l'occasione per fare una domanda, che c'entra fino a un certo punto col PIL, su questi dati dell'occupazione – che anche lei, presidente, ha commentato – dei primi mesi di quest'anno, in cui a gennaio c'è stato un più 73.000 e a febbraio un meno 97.000. Per chi ha studiato queste cose pensare al lavoro come a un fattore produttivo tanto volatile è contrario veramente a quello che si legge sui libri di testo, in cui il lavoro, in genere, è molto più rigido.
  Questi dati mensili nel sistema di correzione per la stagionalità di fatto risultano molto altalenanti e si compensano nel giro di due, tre o quattro mesi. Voi giustamente presentate anche delle medie mobili, ma non c'è dubbio che l'impatto immediato sia terribile. Ci sono docce scozzesi: docce fredde, poi docce calde. È chiaro che l'ISTAT avverte sul fatto che questi dati devono essere letti e meditati, ma è un dato di fatto che gli effetti siano quelli. Sembra esserci molto rumore, molta accidentalità in questo dato mensile. Voi non pensate di potere un po’ intervenire su questo aspetto?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ringrazio anch'io il presidente Alleva per l'ottima relazione, molto interessante. Come sempre, si chiede sempre un pezzetto in più. Vorrei sapere se è possibile avere qualche considerazione sul dato, diviso per genere, concernente l'occupazione e il mercato del lavoro, in relazione anche al calo e al recupero degli indipendenti, e capire perché questo abbia dei riflessi sull'andamento proprio dell'occupazione.
  Una ulteriore considerazione, sempre di questo tipo, riguarda le condizioni economiche delle famiglie. Risultano in gravi condizioni di deprivazione 1.350.000 minori. Anche in questo caso la differenza di genere è importante, perché comporta proprio una modalità diversa di intervenire a sostegno. Poiché la legge di stabilità di quest'anno ha già previsto un miliardo di euro, se dobbiamo, come spero, investire ancora delle altre risorse su questo capitolo nel 2017, è importante sapere come indirizzarle.
  Aggiungo un'ultima battuta sulla popolazione inferiore ai 18 anni in condizioni di deprivazione. In merito chiederei una differenziazione, anzitutto, per classi di età. L'altra questione interessante è capire la composizione di questi minori per comprendere l'impatto delle immigrazioni che si sono registrate e che, purtroppo, contano moltissimi minori. Probabilmente alcune di queste statistiche potrebbero risentire di questo effetto.

  GIULIO MARCON. Anch'io vorrei ringraziare il presidente Alleva per la relazione, per i documenti e per l'apparato statistico che ci consegna, che è molto utile. Lo ringrazio ancora per questo.
  Nella parte finale della sua relazione il presidente afferma che l'1,2 per cento di crescita è plausibile, ma dice anche che sarebbe, tuttavia, necessaria un'ulteriore accelerazione dell'attività economica nella seconda parte dell'anno. Mi sembra di capire che, rebus sic stantibus, quell'obiettivo non venga raggiunto in mancanza di quest'accelerazione, che tutti ci auguriamo che ci sia, ma che non mi sembra possa essere messa in conto sulla base dei dati a disposizione nel DEF.
  Sempre in questa parte della relazione il presidente fa riferimento soprattutto agli scambi internazionali e alla crescita del 3 per cento, previsioni in linea con quelle del Fondo monetario internazionale. Il Fondo monetario internazionale, però, rispetto alla crescita e al debito ci riporta informazioni diverse rispetto a quelle del DEF, che sono, purtroppo, informazioni più pessimistiche. Come ho ricordato più volte, spesso le previsioni del Fondo monetario internazionale sono state più vicine alla realtà di quelle fornite dal DEF. Il CNEL prima ha ricordato che 11 volte su 14 i dati del DEF si sono rivelati sbagliati o comunque troppo ottimistici rispetto alle previsioni che vi erano contenute.
  Concludo su un aspetto specifico. L'ISTAT si è sempre occupato e ha sempre valorizzato gli aspetti riguardanti gli indicatori di benessere. Mi sembra che, purtroppo, in questa edizione del DEF non ci sia – sicuramente non dipende da voi – il box che veniva messo a disposizione per valutare, attraverso gli indicatori di benessere, anche i livelli di impatto delle politiche rispetto al benessere della popolazione.
  La cosa che vorrei chiedere è questa. Il DEF si chiude sostanzialmente con la Strategia Europa 2020, di cui, ahimè, non parliamo quasi mai. A parte alcuni aspetti che ci vedono messi abbastanza bene – per la parte, ad esempio, delle fonti rinnovabili e dell'energia pulita – sul resto, in realtà, siamo messi un po’ malino. Siamo in grande ritardo rispetto agli obiettivi.
  Nel DEF, come già l'anno scorso, si prevede una riduzione – vi faceva riferimento il collega Marchi nell'intervento di questa mattina – degli investimenti per l'istruzione dal 3,7 in rapporto al PIL nel 2015 al 3,5 nel 2020. Non ritiene che questa sia una scelta un po’ in controtendenza rispetto agli obiettivi che noi stessi ci siamo prefissi in Europa, nell'ottica di effettuare investimenti sul capitale umano e sociale e sull'istruzione per dare maggiore competitività al nostro Paese, oltre che assicurare un diritto sancito dalla nostra Costituzione?

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ringrazio il presidente Alleva per la sua relazione. Credo che questo tema della crescita sia fondamentale, ovviamente, per tutta una serie di aspetti. Più che ragionare adesso sui decimali e, come al solito, dire che sarà lo 0,1 o lo 0,2 per cento, il problema che si pone è un altro e dall'ISTAT potrebbero venire alcune considerazioni per noi utili per il lavoro che svolgiamo.
  La crescita in Italia è partita in ritardo rispetto al resto d'Europa e al contesto internazionale e si colloca su una dinamica molto più bassa, ma quello che più preoccupa è che questo gap tra crescita italiana e crescita media europea è aumentato, e non è diminuito in questa fase di ripresa.
  Fornisco un secondo dato: le revisioni che sono state condotte dal Fondo monetario internazionale e dall'OCSE per l'area industrializzata e per tutti i Paesi sono particolarmente accentuate per l'Italia, più che per gli altri Paesi europei. Noi subiamo un ridimensionamento della dinamica di crescita più pesante rispetto agli altri Paesi europei. La domanda è la seguente: che cosa c'è di particolare e di peculiare nel modo in cui stiamo seguendo e in cui ci siamo inseriti in questa ripresa? Che cosa ritarda, in particolare? Rispetto a ciò che conosciamo da tempo, ai mali antichi, che cosa si è aggiunto? C'è qualche cosa che si può considerare e che potete offrirci come riflessione e come obiettivo di politica economica?
  Evidentemente non può essere per caso che queste cose avvengono, soprattutto quando ci sono questi indicatori. Non dimentichiamo che su 34 Paesi, quelli che il Fondo monetario internazionale e l'OCSE considerano, la performance dell'Italia è al 32° e al 33° posto. Non possiamo considerare questo soddisfacente. In che maniera si può considerare questo come un dato da correggere e da modificare?

  PRESIDENTE. Aggiungo una piccola domanda. Prima la Corte dei conti ha suggerito al Governo, attraverso di noi, di non sprecare l'occasione, di per sé negativa, della deflazione per dare una sistemata all'IVA e, quindi, di impiegare la questione delle clausole di salvaguardia in modo intelligente e non meccanico. Naturalmente, il timore non è tanto, ovviamente, l'effetto inflazionistico di un aumento, sia pur selettivo, delle aliquote IVA – in questo momento, anzi, se aumentasse un po’ il tasso d'inflazione, sarebbe solo una cosa positiva – quanto l'impatto sulla crescita. Ci può essere un effetto negativo? Dal vostro osservatorio come vedete la questione clausole di salvaguardia e dintorni?
  Do la parola al presidente Alleva per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Fornisco alcune risposte e poi pregherei i miei colleghi magari di entrare su qualcuno di questi argomenti nel dettaglio.
  Per quanto riguarda, nell'ordine, il tema del mercato del lavoro, dal nostro punto di vista nell'indagine sulle forze lavoro non disponiamo del numero di occupati che sono tali in quanto fruitori di provvedimenti. Questa è un'informazione che viene dal lato dei contratti e che non fa parte del nostro dominio di quell'indagine congiunturale che svolgiamo.
  Tuttavia – faccio riferimento anche alle osservazioni molto centrate del deputato Dell'Aringa – siamo molto consapevoli di dover migliorare l'informazione sul mercato del lavoro, mettendo a fattor comune le diverse fonti che abbiamo nel Paese. Come credo molti di voi sappiano, ci siamo anche impegnati in questa direzione con un accordo che vedrà costruire dei nuovi prodotti, sia congiunturali, sia tendenziali, sul mercato del lavoro coerenti con le fonti informative provenienti dai contratti e, naturalmente, con la parte dell'indagine sulle condizioni e lo stato delle persone. Siamo consapevoli, quindi, di dover fornire una maggiore informazione per leggere poi gli effetti delle normative.
  D'altra parte, abbiamo studiato anche, utilizzando il lato delle fonti amministrative, su cui siamo comunque impegnati da molti anni, per fornire risposte sugli effetti sul mercato del lavoro derivati dalla recente normativa, cercando anche di capire il diverso apporto fornito da alcune misure specifiche, come la decontribuzione, rispetto alla riforma del Jobs Act. Pertanto, siamo in grado di poter affermare quanto sia stato importante, per la spinta che abbiamo visto, tangibile nel 2015, oltre alla dinamica dei consumi, anche l'apporto di un quadro più favorevole per le imprese nelle decisioni di assunzione.
  Ricordo anche che, al di là della dimensione, abbiamo avuto anche una diversa «qualità» di posizionamenti nel mercato del lavoro con questo passaggio forte da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato, con la riduzione degli indipendenti e via elencando. Naturalmente, sono numeri non esaltanti. Permangono grandi divari di genere e territoriali.
  Tuttavia, anche rispondendo alla domanda sulla probabilità di vedere proseguire questo discorso, ricordo che intanto le previsioni sul mercato del lavoro sono molto difficili, come anche quelle sulla relazione che esiste tra la dinamica della crescita delle attività e quella del mercato del lavoro. Certamente possiamo immaginare, nel quadro che stiamo fornendo di sfondo, che possa proseguire un clima di questo tipo, ossia che si possa non perdere questo incremento che c'è stato sul fronte dell'occupazione. Ci sono elementi per immaginare che continui a essere collegato con la dinamica delle attività.
  Questa moderata espansione ci fa pensare che possa non arrestarsi questa dinamica positiva sul fronte occupazionale. Naturalmente, però, la sua intensità dipende dal vigore di questo processo. D'altra parte, il tema dei consumi è molto connesso, come abbiamo sottolineato, con quello del mercato del lavoro. È soltanto un miglioramento nei redditi disponibili delle famiglie che può spingere poi i consumi e, quindi, il PIL.
  In merito vorrei, in generale, sottolineare che questi piccoli numeri sono tali per cui occorre ancora che ci sia una diffusione di questo ciclo positivo a tutti i soggetti. Quello che vediamo in questo quadro è che emerge ancora molta eterogeneità tra le imprese e le famiglie e che, quindi, permangono quote di sistema produttivo e di famiglie che ancora sono in difficoltà e non hanno i vantaggi che leggiamo come bilanciamento, comunque, in termini positivi. C'è ancora eterogeneità, quindi, e si devono ancora diffondere in modo maggiore gli effetti di questa fase.
  Per quanto riguarda il mercato del lavoro, prevediamo che ci sia un proseguimento, naturalmente consapevoli dell'apporto positivo recato dalle condizioni favorevoli. Questo apporto continuerà a esserci perché la decontribuzione è stata affermata sebbene l'intensità è inferiore. Bisognerà vedere quanto poi l'intensità di questo provvedimento possa agire. Lo vedremo fra poco.
  I dati congiunturali del mercato del lavoro sono dati solidi. Abbiamo una buona indagine, che ci assicura anche a livello mensile la possibilità di fornire delle informazioni affidabili. Certamente essi mettono in luce un andamento che può sembrare erratico, ma che lo è di fatto, nel senso che è altalenante. In questo mercato del lavoro effettivamente una lettura più adatta è quella di considerare delle tendenze di fondo. Per questo motivo forniamo queste medie mobili.
  Confermo che effettivamente non aiutiamo chi è attento, giustamente, ogni mese a vedere cosa è successo. Tuttavia, sono dati che pubblichiamo in quanto, a nostro avviso, credibili. Credo che questo rafforzamento nell'utilizzo congiunto delle fonti possa aiutare poi la lettura di questa informazione.
  I dati di genere, senatrice Zanoni, sono straordinariamente importanti per leggere i fenomeni che riguardano le persone, economici e sociali. Dal punto di vista del mercato del lavoro avete nel nostro allegato un'informazione anche per genere. Vorrei sottolineare che, come è noto, la crisi ha colpito soprattutto gli uomini e che, quindi, i miglioramenti che abbiamo in termini di occupazione nel 2015 sono più rilevanti sul fronte maschile, che è quello che ha pagato in precedenza di più la crisi.
  Le differenze, oltre che di genere, sussistono e sono ancora forti nel territorio, anche se nel 2015 – questo è un dato positivo – quella differenza fra Nord e Sud si è ridotta, nel senso che l'occupazione è cresciuta in misura maggiore nel Mezzogiorno. Permangono, però, grandi differenze, naturalmente.
  Sul fronte della grave deprivazione materiale, e quindi della coda della distribuzione più a disagio, abbiamo segnalato una sostanziale stabilità. Questa stabilità, in una fase di ripresa dei consumi e di espansione, sottolinea tuttavia quello che dicevo precedentemente, ossia che questo aumento dei consumi non ha riguardato l'intera popolazione e che, in generale, permangono situazioni di disagio che, peraltro, appaiono anche persistenti.
  Da un punto di vista delle sottopopolazioni vengono evidenziati nell'allegato altri elementi e, naturalmente, altri ancora ve ne possiamo fornire. Vorrei cogliere tuttavia come, a fronte di una sostanziale stabilità della frazione di persone in queste condizioni, vi sia comunque un miglioramento al Nord, ma un peggioramento nel Mezzogiorno, così come si registra una situazione ancora difficile, anzi ancora più difficile, per quanto riguarda i giovani. Questo è certamente un elemento critico.
  Tuttavia sul fronte del genere vediamo, invece, una riduzione della quota in grave deprivazione materiale da parte delle famiglie che hanno come persona di riferimento le donne. Con riferimento a tale specifico aspetto, da questi numeri si evince, dunque, una riduzione, un calo della quota di famiglie in quella condizione.
  C'è un calo – questo è un altro elemento positivo, volendo andare a scavare in questo dato collettivo – che riguarda anche le famiglie con minori con più componenti. Quel numero di famiglie si è ridotto nel corso dell'ultimo anno. Si tratta di indagini che si riferiscono a un tempo addietro, perché naturalmente non hanno la tempestività. Si rilevano, pertanto, una sostanziale stazionarietà generale, ma situazioni differenti nel Paese per tipologie di famiglia. Su questo possiamo fornire ulteriori elementi.
  L'onorevole Marcon si è soffermato su alcuni temi a noi cari, come quelli del benessere e, più in generale, di questi quadri compositi che consentono di valutare delle strategie importanti europee, e non solo, di sviluppo. Per quanto riguarda, però, la prima questione delle attese che abbiamo sul 2016, non abbiamo parlato di difficoltà a raggiungere l'obiettivo. Abbiamo piuttosto sottolineato che, a fronte di uno 0,3 per cento che prevediamo nel primo trimestre e di un dato del genere anche nel secondo, per la seconda parte dell'anno dobbiamo, invece, avere un'accelerazione. Questo non vuol dire che non la riteniamo possibile, ma i numeri ci dicono questo.
  Abbiamo preso in considerazione, però, alcuni elementi di variabilità, valutando che sulla questione del prezzo del petrolio non ci sembra che ci siano allarmi particolari, mentre il tema degli investimenti è centrale. In proposito abbiamo sottolineato questo elemento, che potrebbe essere positivo, di una situazione di maggiore profittabilità da parte delle imprese, dovuta al momento del markup e al fatto che ciò può creare condizioni più favorevoli agli investimenti. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che ci servono delle intensità maggiori. Questo l'abbiamo voluto sottolineare.
  Certo, ci siamo molto impegnati sul benessere, che è un tema a noi caro. L'idea è che tutto il nostro lavoro di fornire una informazione larga al Paese sulla società per noi è fondamentale che trovi poi uno sbocco e una finalizzazione nei documenti di programmazione. Questo è essenziale nella nostra idea di fondo di tenere conto di tanti aspetti per darci degli obiettivi e valutarci nel tempo. Pertanto, il fatto che quegli elementi fossero in questo documento per noi era un grande valore. Naturalmente, questo vale a livello nazionale, regionale e locale e via discorrendo.
  Con riferimento alla Strategia Europa 2020 con la crisi sono stati rivisti i target e tutto quanto. Certamente il tema dell'istruzione è fondamentale. Noi, naturalmente, non forniamo suggerimenti circa le politiche e, tuttavia, diciamo sempre che, per migliorare, tornando ai problemi antichi cui faceva riferimento il senatore Guerrieri Paleotti, il tema della competitività è fondamentale e l'investimento in capitale umano è straordinariamente importante. Non c'è dubbio che la leva dell'investimento nel sistema educativo e dell'innalzamento delle competenze sia un elemento strategico per il Paese. Tuttavia, la questione importante è non solo spendere, ma spendere bene. Naturalmente, contano tanto la spesa quanto la qualità della spesa stessa. Quello della scuola e della formazione rappresenta un tema certamente molto rilevante.
  Il senatore Guerrieri Paleotti ci chiede una cosa molto difficile. Certamente è centrale questo tema di voler comprendere. Noi misuriamo le nostre performance e il quadro che ne emerge è quello che ha ben sottolineato, ossia uno slittamento in avanti nell'inizio di una fase positiva ciclica e anche un vigore ridotto, che ci ha allontanato dalla media europea e che ci vede in coda nelle graduatorie. Noi forniamo informazioni che mettono il decisore pubblico nelle condizioni di avere evidenza di tutto questo. Credo che i temi antichi siano comunque centrali. Le misure che poi si assumono ne devono tenere conto e devono andare in una direzione coerente.
  Abbiamo fatto degli approfondimenti sul tema dal lato del sistema produttivo per capire all'interno del mondo delle imprese, sfruttando le nostre fonti, quali fossero gli elementi che hanno spinto le imprese a investire e, in generale, quali sono i fattori alla base delle performance più interessanti. Su questo chiederei adesso ai miei colleghi – il dottor Monducci e il dottor Bacchini – di aggiungere ulteriori elementi.

  ROBERTO MONDUCCI, responsabile del Dipartimento per la produzione statistica. Vorrei solo dire che in Italia quello che sta emergendo – è deducibile anche dai conti economici nazionali – è questo aumento di penetrazione dell'importazione, che sottrae crescita. Questo è evidente e comincia a essere importante. Questo gap di domanda estera netta in una situazione in cui il PIL sta crescendo intorno all'1 per cento può determinare il gap rispetto ai Paesi competitor.
  Le esportazioni non vanno male. Abbiamo perso leggermente quota, ma tendenzialmente siamo in linea. Il problema è vedere se effettivamente nel corso di questi anni di crisi della domanda interna le imprese si siano riconvertite e riorientate verso la domanda estera. L'aumento dell’export performance è stato altissimo in Italia, proprio perché, insieme alla Spagna, eravamo l'unico Paese ad avere questa divaricazione fortissima tra domanda interna e domanda estera.
  Forse in questa fase di ripresa stiamo scontando, oltre che fattori ciclici tradizionali di aumento di import penetration, anche un fattore strutturale derivante dall'apertura internazionale che si è manifestata e che forse dal lato dell'attrazione di importazione della domanda interna è più forte rispetto all'estero. Questo è il sospetto.
  Andando a vedere i numeri del commercio estero, abbiamo un aumento di beni di consumo in volume del 5 per cento a inizio anno e sui beni intermedi del 4,9. Queste global value chains probabilmente cominciano a funzionare bene.
  Il sospetto è questo. Adesso vedremo nei prossimi mesi, ma è chiaro che, se con l'aumento di circa il 4 per cento dell’export c'è un problema di sottrazione di crescita dalla parte dell'apertura internazionale, questo delinea uno scenario un po’ problematico. È chiaro che gli interventi di policy sono difficilissimi, a questo punto. Si può forzare sull’export in modo tale da compensare, ma si devono aumentare le quote per compensare questo gap. Dal lato della domanda interna tendenzialmente l'aggiustamento è stato fatto e, quindi, può essere un fattore strutturale che può incidere pesantemente.

  FABIO BACCHINI, dirigente presso il Dipartimento per la produzione statistica. Vorrei solo fornire una risposta al senatore Guerrieri Paleotti su che cosa è mancato. Ne ha parlato prima il presidente: la parte degli investimenti è completamente mancata. Sia nei dati che sono stati riportati nel corso dell'audizione, sia in un approfondimento della scorsa Nota mensile è impressionante comparare le performance degli investimenti italiani negli ultimi anni, negli anni della crisi, con quelle dei principali Paesi europei. La comparazione che abbiamo fatto era con Germania, Francia e Spagna. Facendo 100 il 2010, l'Italia è a 85 e gli altri Paesi sono all'incirca intorno al 100.
  Questo significa che durante la crisi gli investimenti hanno subìto una contrazione e che al momento, a parte i dati positivi del quarto trimestre e i dati positivi sui margini, c'è poca inversione di tendenza. Come diceva prima il presidente, la scommessa sulla domanda interna per le performance del 2016 è essenzialmente anche una scommessa sulla performance degli investimenti, che sono stati completamente assenti in questi anni, in tutte le componenti, sia nel ciclo delle costruzioni, sia soprattutto nella parte tradizionale dell'economia italiana, che era rappresentata dagli investimenti in macchinari.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'ISTAT. Ci rivediamo quando avremo la legge di stabilità. Adesso tocca all'Ufficio parlamentare del bilancio. Grazie ancora, presidente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2016, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.
  Abbiamo l'ultima audizione con la voce interna al Parlamento, sia pur nella sua rigorosa autonomia, che è l'Ufficio parlamentare del bilancio. Come vedete, non c'è il presidente Pisauro, perché ha avuto un problema di salute, per fortuna tutto instradato in maniera positiva, ma non potrà essere oggi con noi.
  Abbiamo la dottoressa Goretti e il professor Zanardi, ai quali do la parola.

  ALBERTO ZANARDI, consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Ringrazio il presidente, gli onorevoli senatori e gli onorevoli deputati, anche a nome di Chiara Goretti, per l'invito a quest'audizione. Porto le scuse da parte di Giuseppe Pisauro per la sua assenza di oggi, ma è una situazione in via di soluzione.
  L'intervento dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) è articolato in due parti. La prima, che svolgerò io, riguarda l'analisi del quadro macroeconomico sottostante le previsioni del Documento di economia e finanza. La seconda parte, che svolgerà la dottoressa Goretti, sarà invece dedicata a un approfondimento sui profili di finanza pubblica, in modo particolare sulla coerenza del quadro programmatico di finanza pubblica del DEF con il sistema delle regole di bilancio.
  Vengo al quadro macroeconomico. Per inquadrare il problema, il quadro complessivo in cui si inseriscono le previsioni macro del Documento di economia e finanza è caratterizzato da una serie di elementi preoccupanti di fragilità. Da un lato, c'è ovviamente la prospettiva dei rischi di deterioramento globale dello scenario a livello internazionale; dall'altro, c'è il problema di uno strumentario di politica monetaria e fiscale che appare sempre più inappropriato, inefficiente e inefficace nell'affrontare i problemi che lo scenario complessivo, incluso quello italiano, ci pone.
  Le politiche monetarie della Banca centrale europea si confrontano con tassi di interesse ormai situati in prossimità del livello minimo, e quindi fanno fatica a sostenere la dinamica dei prezzi. Le politiche fiscali mancano di coordinamento a livello europeo.
  In questo quadro globale si colloca il dato dell'Italia. Certamente, l'economia italiana si è avviata, a partire dallo scorso anno, lungo un sentiero di ripresa, che però ha caratteristiche di anomala lentezza, che direi si misura su due dimensioni diverse. Da un lato, è un'anomalia che emerge quando guardiamo al dato storico, alla storia passata dell'evoluzione economica del nostro Paese. Nel testo depositato svolgiamo un'analisi statistica in cui riprendiamo i dati relativi agli episodi di ripresa economica negli ultimi quarant'anni, a partire dagli anni Settanta in poi, e li analizziamo in modo comparato.
  Nei grafici contenuti a pagina 52, sono rappresentati gli esiti di quest'analisi statistica: in essi si evidenzia che, a partire dagli anni Settanta e fino a oggi, gli episodi di ripresa economica sono diventati, soprattutto nell'ultimo decennio, sempre meno intensi dal punto di vista della dimensione finanziaria, della dimensione economica, quindi sotto il profilo del livello della ripresa, e anche sempre meno duraturi dal punto di vista della lunghezza temporale di questi effetti. C'è, quindi, un elemento di anomalia se rivolgiamo lo sguardo all'indietro.
  C'è, ovviamente, un elemento di anomalia, peraltro evidenziato nel testo del Documento di economia e finanza, che riguarda anche lo spazio che dobbiamo percorrere per ritrovare i livelli di crescita di prima della crisi. Anche se, come richiama lo stesso Documento di economia e finanza, adottassimo i tassi di crescita programmati previsti nel DEF, alla fine del periodo, ovvero dell'orizzonte di programmazione, ci ritroveremmo con un delta di meno 8 punti percentuali rispetto al livello originario. Queste sono considerazioni generali, che però disegnano una situazione di ciclo di ripresa anomalo, collegato a questi rischi di deterioramento del contesto internazionale e di condizionamento che derivano dalle difficoltà delle politiche di stimolo, particolarmente nell'area dell'euro.
  Rispetto a questa situazione, che cosa ha fatto l'UPB? L'UPB analizza, valuta gli scenari del quadro macroeconomico presentati nel DEF sia nella versione tendenziale sia in quella programmatica. Richiamo in modo estremamente breve gli elementi che abbiamo analizzato. Per come l'abbiamo letta noi, la previsione macroeconomica del DEF per quanto riguarda lo scenario tendenziale indica una crescita pari all'1,2 per cento per il 2016, il 2017 e il 2018, e all'1,3 per cento per il 2019.
  I dati sono stati rivisti al ribasso, in misura anche significativa, rispetto alle previsioni di settembre contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza dello scorso anno. La spinta verso l'alto, verso la crescita è fondamentalmente trainata dai consumi delle famiglie, certamente molto meno dallo scenario internazionale. Questa crescita si confronta poi con una dinamica del deflatore del PIL, anch'essa rivista al ribasso rispetto alle previsioni di settembre: il risultato è una tendenza del prodotto interno nominale tendenziale che subisce un ridimensionamento significativo rispetto alla precedente previsione, nell'ordine di meno quattro decimi nel 2016, meno 7 decimi nel 2017 ed altri 5 decimi in meno nel 2018.
  Sopra questa tendenza viene calata una manovra programmatica, che fondamentalmente, dagli scarni elementi informativi forniti dal testo del Documento di economia e finanza, può essere presentata in questo modo: una disattivazione delle clausole di salvaguardia, che valgono 0,9 punti di PIL nel 2017 e 1,1 nel 2018; una compensazione soltanto parziale di questa disattivazione, con manovre correttive attorno allo 0,5 per cento nel 2017 e 2018, che salgono allo 0,8 per cento nel 2019, e poi uno spazio di indebitamento aggiuntivo di 0,4 punti percentuali nel 2017, che sale a 0,6 punti percentuali nel 2018.
  Questo quadro programmatico è, di nuovo, sostenuto da un'evoluzione dinamica dei consumi. C'è un'evoluzione anche abbastanza rilevante per quanto riguarda gli investimenti, che evidentemente risentono del quadro più favorevole generato dall'attività economica. L'evoluzione dei consumi deriva, ovviamente, dal fatto che stiamo togliendo le clausole di salvaguardia, e quindi maggiore è il reddito disponibile. Complessivamente, per considerare anche le grandezze più rilevanti per la finanza pubblica, abbiamo un'evoluzione del PIL nominale che cala nel 2017, rispetto al tendenziale, di due decimi di punto, ma che cresce nel 2018 di due decimi di punto.
  Nel 2018, quindi – lo richiamo perché questo è un punto critico della nostra valutazione – la spinta sul PIL reale, dovuta al fatto che c'è un reddito disponibile maggiore perché vengono cancellate le clausole di salvaguardia, non viene compensata da una riduzione dei prezzi, dovuto al fatto che non c'è più l'IVA.
  Rispetto a questo quadro, l'UPB ha utilizzato gli strumenti che sono stati impiegati anche nei precedenti episodi di validazione per analizzare questi due quadri macroeconomici, sia quello tendenziale sia quello programmatico. Dico subito che l'UPB è arrivato a un esito positivo della propria valutazione e validazione sia sul primo sia sul secondo quadro, ma devo sottolineare subito che quest'esito positivo è stato raggiunto questa volta con difficoltà, ossia con una fatica maggiore rispetto ai round precedenti, agli episodi passati, vale a dire il Documento di economia e finanza del 2015 e la relativa Nota di aggiornamento. Queste difficoltà a validare alla fine, in senso positivo ovviamente, si riflettono nelle nostre indicazioni e segnalazioni dei rischi insiti nella previsione del Governo.
  Per seguire molto velocemente gli esiti e i risultati della nostra validazione, nel documento che è stato distribuito trovate anche dei fogli a colori che rappresentano il modo in cui abbiamo affrontato il problema della validazione. Come forse ricorderete, la previsione del Governo viene confrontata con un insieme di previsioni alternative, una delle quali viene sviluppata attraverso un nostro modello interno, che abbiamo sviluppato in accordo con l'ISTAT. Le altre previsioni derivano da esercizi omogenei di previsione svolti da istituti indipendenti.
  Vedete nel primo foglio, a pagina 43, gli esiti della validazione sul tendenziale. Ciò che emerge, guardando innanzitutto al prodotto interno lordo, quindi al dato reale di crescita, è che fondamentalmente il dato previsivo tendenziale elaborato dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), rappresentato attraverso un quadratino rosso, è interno o talvolta al limite, ma non sempre al limite, della frontiera del limite superiore delle previsioni del nostro set di previsioni. Nel 2016 e nel 2018 siamo al limite, negli altri anni siamo all'interno di questa banda di accettazione.
  Se guardate al deflatore, siamo sempre all'interno di questa frontiera. Trovate il risultato della combinazione di questi due elementi – ovviamente, focalizzo in questa sede l'attenzione soltanto su alcune variabili – nel PIL nominale, rappresentato nella pagina successiva. Vedete che, eccetto il caso marginale del 2016, il dato del MEF è sempre contenuto nel nostro range di validazione, ma si colloca sempre sul limite superiore. Il fatto che si collochi sul limite superiore costituisce, ovviamente, un elemento di rischio. Basta infatti che ci siano degli shock negativi che possano deprimere anche marginalmente questa dinamica dei prezzi, da un lato, e del PIL reale, dall'altro, per avere degli effetti negativi significativi sul PIL nominale, e quindi sul sentiero di aggiustamento e di rientro nel rapporto debito/PIL.
  Che cosa succede per quanto riguarda poi il quadro programmatico? Come dicevo, esso fondamentalmente toglie l'IVA, e quindi aumenta il potere d'acquisto, ma riduce l'effetto sui prezzi. Quello che succede nel quadro programmatico ci ha creato dei problemi. Lo vedete, a pagina 45, nel primo riquadro in alto, quello del prodotto interno lordo reale, dove la frontiera, il limite superiore rappresentato dal range di validazione dei nostri previsori, contiene sempre il dato del MEF, eccetto il caso del 2018, che si rivela essere, pertanto, un anno critico.
  Sia pure nei limiti di una distanza relativamente marginale, pari cioè ad un decimo di punto, abbiamo un valore del PIL reale previsto che si colloca al di fuori dello spazio di validazione. Il deflatore del PIL, che vedete nel riquadro sotto, sta sostanzialmente sempre all'interno, ma sempre schiacciato sul limite superiore. Trovate il risultato della combinazione della crescita reale e della dinamica dei prezzi nei dati relativi al PIL nominale contenuti a pagina 46, in cui di nuovo trovate una previsione programmatica del DEF schiacciata sul limite superiore e il dato relativo al 2018 che si colloca fuori dal range di validazione. Faccio un flash sulle componenti della domanda che determinano quest'evoluzione del PIL reale nominale, ossia i consumi delle famiglie che, come potete osservare, per tre anni si collocano fuori dal range di validazione.
  Nonostante questi elementi critici, come vi dicevo abbiamo ritenuto di validare anche il quadro macroeconomico programmatico. L'abbiamo fatto sulla base di una serie di considerazioni. La prima è quella che, appunto, abbiamo appena visto insieme, cioè complessivamente il quadro programmatico delle previsioni 2016-2019 è contenuto nell'ambito delle nostre valutazioni di accettabilità, con un'eccezione di un anno, il 2018. La distanza rispetto alla frontiera, al limite superiore di validazione, è marginale, è limitata, perché è pari a un decimo di punto.
  L'ultima considerazione che ci ha spinti comunque a validare in termini positivi è data dal fatto che non abbiamo informazioni desumibili dal testo del Documento di economia e finanza riguardo alla dimensione e alla composizione della manovra lorda. Abbiamo, ovviamente, elementi che ci dicono come si passerà, o per meglio dire qual è il livello dell'indebitamento tendenziale e qual è quello dell'indebitamento programmatico, ma non sappiamo cosa ci sia di mezzo. Potrebbe esserci una manovra lorda di grandi dimensioni.
  Abbiamo fatto delle simulazioni per esplorare meglio questo problema: utilizzando il nostro modello di simulazione, abbiamo visto come l'aumento anche relativamente limitato di una voce che ha un moltiplicatore fiscale significativo, elevato, come sono i contributi agli investimenti o anche gli investimenti pubblici, in pareggio, quindi finanziato attraverso la leva fiscale, potrebbe colmare questa differenza di un decimo di punto con una manovra relativamente limitata di poco più di un miliardo. L'inclusione di questo dato anomalo del 2018, sempre all'interno di un limite superiore – questo è il problema fondamentale – potrebbe essere risolta attraverso una manovra che in termini lordi include anche elementi espansivi, e quindi l'attivazione di strumenti con moltiplicatori fiscali relativamente elevati.
  Rimane comunque la segnalazione di questi grossi rischi collegati al fatto che l'intera previsione del Governo è collocata sul limite superiore. Sorprese negative sul fronte della crescita e dell'inflazione potrebbero, quindi, mettere a rischio il sentiero di avvicinamento, di riduzione del rapporto debito/PIL.
  Ovviamente, queste considerazioni sui rischi possono essere qualificate. Così come abbiamo fatto nell'analisi degli ultimi documenti di programmazione, anche qui abbiamo svolto degli esercizi di sensitività di quello che è, innanzitutto, il quadro macroeconomico a variazione di elementi esogeni. Giudichiamo accettabili, in generale, le variabili esogene internazionali che stanno alla base delle previsioni del MEF. Per quanto riguarda crescita, domanda internazionale, commercio e prezzo del petrolio, sono sostanzialmente in linea con le previsioni più recenti degli organismi internazionali.
  Abbiamo, invece, qualche riserva sul cambio, che nelle previsioni del MEF, secondo un'ipotesi tecnica condivisa con la Commissione europea, è fissato in termini costanti lungo l'intero periodo di previsione al livello attuale. Se andiamo a vedere le aspettative dei mercati, che possiamo desumere dal mercato a termine, vediamo però dei segnali diversi, cioè segnali di apprezzamento dell'euro rispetto al dollaro e rispetto a un paniere di monete e divise.
  Possiamo allora considerare che cosa succederebbe se all'ipotesi tecnica di costanza del cambio sostituissimo un sentiero di apprezzamento dell'euro così come implicito, appunto, nelle aspettative di mercato.
  In estrema sintesi, si verificherebbe una variazione non irrilevante dello scenario economico per quanto riguarda il tasso di crescita reale e il PIL nominale. Nel 2017, in caso di rafforzamento del cambio dell'euro, avremmo minore competitività, e quindi una riduzione del PIL per un -0,4, che diventerebbe un -0,2 – si rientrerebbe un po’ nel 2018 – ma poi ci sarebbe anche il canale dei prezzi. Ovviamente, un deprezzamento porterebbe a una riduzione dell'inflazione importata, e questo avrebbe un effetto di riduzione, per questa via, sul PIL nominale: un -0,6 nel 2017, che diventa un -0,7 nel 2018. L'esercito di sensitività evidentemente mette in luce dei rischi importanti per quanto riguarda lo scenario macroeconomico.
  Un ultimo flash riguarda gli effetti che questi rischi possono avere sulla finanza pubblica. Ovviamente, questo sarebbe un capitolo molto ampio e rilevante. Do soltanto qualche elemento di riflessione che riguarda l'effetto che un cambiamento nel quando macroeconomico può determinare sulla sostenibilità a medio termine del sentiero di riduzione del rapporto debito/PIL.
  Nel testo trovate alcuni esercizi di sensitività del sentiero di riduzione del rapporto debito/PIL a un cambiamento del prodotto interno lordo nominale. A pagina 50, un grafico mette a confronto il sentiero programmatico di riduzione del rapporto debito/PIL del DEF con un'area di possibili sentieri collegati alla previsione più favorevole e a quella meno favorevole del nostro panel di previsori. Mettiamo, quindi, a confronto quello che è previsto dal DEF con quello che sarebbe l'andamento del rapporto debito/PIL se il PIL nominale si evolvesse, come dicono i nostri previsori, all'interno di una fascia tra il più favorevole e il meno favorevole.
  Si evidenzia, innanzitutto, che il rapporto debito/PIL programmato dal DEF tende a ridursi, è sempre più basso rispetto a questa fascia di accettazione collegata alle previsioni dei nostri previsori. In secondo luogo, alla fine si potrebbe evidenziare un distacco, una distanza relativamente importante – nel 2019 o alla fine del periodo di osservazione – tra il risultato del rapporto debito/PIL del MEF e il nostro.
  Nel breve periodo, si può anche evidenziare il fatto che non da subito, nello scenario più sfavorevole che abbiamo ipotizzato, ci sarebbe un inizio di riduzione del rapporto debito/PIL. Si tratta di elementi di cautela che evidenziano l'importanza, la criticità del quadro macroeconomico e dei suoi effetti sulla finanza pubblica.

  CHIARA GORETTI, consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Cercherò di essere abbastanza sintetica in questa complessa parte sulle regole fiscali e di bilancio europee, che hanno raggiunto un livello di complessità tale per cui è difficile muoversi. Abbiamo cercato di dare un quadro il più semplificato possibile, appunto, in un contesto in forte evoluzione.
  Il Governo, come è noto – non entro nuovamente nei dettagli – ha proposto con il Documento un percorso di avvicinamento più graduale all'obiettivo di medio termine, che rappresenta uno dei parametri di riferimento nell'ambito del quadro europeo come acquisito nella normativa nazionale. A pagina 49 viene raffigurata la classica analisi della stance della politica di bilancio, rispetto alla quale risulta in modo abbastanza evidente la ratio della scelta del Governo di proporre un diverso profilo di avvicinamento. La linea continua è l'attuale Documento, la linea tratteggiata subito sopra era il precedente documento di ottobre.
  Vediamo che la posizione del 2017 si sposta dal quadrante di restrizione prociclica verso un quadrante di espansione anticiclica, quindi si sposta in una posizione della politica di bilancio meno contraria a quella che suggerirebbe la posizione del ciclo.
  Ovviamente ricordo, ma dettaglierò più avanti questi aspetti, che secondo il quadro di regole europee i Paesi che non sono nell'obiettivo di medio termine dovrebbero fare uno sforzo di aggiustamento, e quindi collocarsi tutti al di sopra della linea orizzontale delle ascisse. Vediamo subito che c'è una tensione, che poi ritroveremo, rispetto all'attuale situazione economica, che suggerirebbe certe politiche di bilancio rispetto a quello che potrebbe essere suggerito da un'analisi ciclica congiunturale. Naturalmente, all'interno di queste analisi dovrebbe essere inserita anche quella di sostenibilità del debito, ma arriveremo a questi aspetti, che costituiscono l'altra faccia della medaglia rispetto ai percorsi di aggiustamento dei conti.
  Questo tipo di modifica del profilo di aggiustamento implica un cambiamento rispetto ai saldi precedenti, che è già stato illustrato, un ampliamento dello spazio del disavanzo nominale, che sconta la disattivazione della clausola di salvaguardia e alcuni interventi correttivi. È già stato detto. Il Documento non entra nel dettaglio di quali saranno le misure. Parla più genericamente di revisione della spesa, inclusa la revisione delle spese fiscali, e di misure per la fedeltà fiscale.
  Occorrerebbe segnalare che la credibilità dei piani di rientro, quindi la credibilità di questi piani di programmazione, dipende in modo abbastanza sostanziale dal dettaglio e dal contenuto di programmazione, quindi dalla prospettiva di misure effettive in termini di macroaggregati sottostanti a questi piani.
  La situazione attuale è forse ancora troppo insoddisfacente, non solo per il fatto già sottolineato di una maggiore facilità a capire le dinamiche macroeconomiche tra politica di bilancio e dinamica dell'economia, ma anche perché un'anticipazione delle principali categorie di decisione politica sulle politiche pubbliche, quindi i grandi aggregati di spesa, i grandi aggregati di entrata, avrebbe effetti benefici sulle aspettative, sul clima di fiducia, sulla capacità di amministratori, soprattutto a livello locale. Sono capitate più volte domande in questo senso sulla difficoltà di operare degli amministratori – penso soprattutto ai comuni – in assenza di una conoscenza anticipata del quadro di risorse nel quale muoversi.
  La stessa cosa potrebbe essere detta, però, per i ministeri, per tutti gli operatori che gestiscono le risorse pubbliche, così come per gli operatori privati che lavorano in un quadro di incentivi, di prelievo e di spesa che sarebbe utile che conoscessero in anticipo e che avesse un quadro di stabilità. La sottolineatura è all'opportunità di dare piena attuazione a quello che il quadro normativo già prevede, cioè che nell'ambito del DEF siano dettagliate le principali misure – ripeto non siano l'aspetto specifico, ma il quadro di entrate e di spese programmatico – nel quale muoversi.
  Muovendosi sempre nell'ambito della descrizione del programmatico, passiamo all'analisi del debito. Il rapporto debito/PIL ha un'evoluzione: nel 2015 è ancora lievemente in crescita mentre a partire dal 2016 inizia una lieve discesa. A fine periodo, scende di quasi 9 punti.
  È interessante notare che quadro programmatico e quadro tendenziale vedono una discesa del rapporto pressoché analoga. Questo per dire come certe interazioni tra politiche di bilancio e crescita dell'economia possano influire su un rapporto che ha al denominatore il prodotto interno lordo e che quindi risente fortemente degli eventuali impatti restrittivi della politica di bilancio.
  A pagina 40 trovate una tabella che evidenzia la scomposizione delle variazioni del rapporto debito/PIL, dalla quale risulta in modo abbastanza evidente che in una fase iniziale, e comunque a fine periodo, nel complesso la riduzione del rapporto debito/PIL è legata soprattutto all'avanzo primario, mentre il cosiddetto effetto snowball, quello che dipende dal cumulo di stock di debito, ha un forte impatto negativo sull'evoluzione del rapporto debito/PIL nei primi anni, per poi variare a fine periodo in senso lievemente positivo.
  Questo dipende dal fatto che in questo effetto snowball si registra un problema di PIL nominale, che risente in questo periodo di un basso livello di inflazione. Se quindi vediamo nel 2014 una componente di snowball di 4 punti, ovviamente stiamo parlando di una crescita negativa nel 2014 reale e di un tasso di inflazione che era molto basso. Questo rende evidente come il problema del rapporto debito/PIL sia drammaticamente dipendente da un denominatore che evolve.
  Altro elemento interessante che deriva da questa esposizione è che l'aggiustamento stock flussi è praticamente neutrale, eppure il Documento preannuncia operazioni di dismissione di 0,5 punti di PIL. Su questo sarebbe opportuno che il Governo fornisse qualche ulteriore indicazione non presente nel Documento e nel nostro rapporto che uscirà a breve si troveranno ulteriori analisi. Probabilmente influisce sullo stock-flow – non è chiaro in quale dimensione – l'impatto dei derivati, che secondo le ultime regole di contabilità nazionale vanno sull'aggiustamento stock-flow e non si vedono più sul saldo di bilancio.
  In termini molto semplicistici sembra che le dismissioni compensino l'impatto dei derivati, posto che in assenza di dismissioni avremmo uno stock-flow negativo, causato da queste dinamiche.
  Passiamo ora alla valutazione delle regole di bilancio. Procedo molto sinteticamente perché nel rapporto troverete analisi più dettagliate. Il Governo propone un percorso di avvicinamento più graduale, motivandolo sulla base di una serie di argomentazioni, che possono essere molto sinteticamente presentate: argomentazioni economiche, cioè un rischio di deflazione e stagnazione a livello mondiale; motivazioni istituzionali, che rinviano all'insufficiente coordinamento dell'Unione europea; motivazioni tecniche, che evidenziano come l'attuale set di parametri che dovrebbe dare il percorso di avvicinamento sia non affidabile dal punto di vista tecnico, perché dà dei risultati che possono essere discussi dal punto di vista economico.
  Le motivazioni presentate nel DEF sono simili alle motivazioni presentate nella relazione al Parlamento, che richiama l'articolo 6, comma 5, della legge rinforzata n. 243 del 2012, che consente al Governo di modificare, in caso di eventi eccezionali, il piano di rientro votato negli scorsi esercizi, in presenza di particolari condizioni di ciclo.
  Sulla base di questo quadro che il Governo invoca per presentare un piano di rientro, è quindi utile ricordare brevemente cosa dice l'ordinamento europeo con riferimento agli eventi eccezionali e poi passare all'analisi del rispetto delle regole secondo il quadro europeo, come incorporato nell'ordinamento interno.
  L'evento eccezionale dal punto di vista europeo si configura come una clausola di carattere generale, che era presente sin dai tempi del Trattato di Maastricht, quella che viene chiamata una cosiddetta escape close. Quando nel Trattato di Maastricht si parlava di un superamento della soglia del 3 per cento – veniva indicato solo il 3 per cento – che poteva essere compiuto in condizioni di temporaneità, prossimità ed eccezionalità, c'era già un'idea di eccezionalità di contesto economico che poteva suggerire di abbandonare un percorso di rispetto di un saldo di bilancio, quindi una logica economica di quella che in altri contesti veniva considerata la stupidità di un quadro di regole che poteva portare a politiche economiche sbagliate.
  Ovviamente nei passi successivi, da Maastricht in poi, questo concetto è stato articolato meglio nella evoluzione normativa successiva e ad oggi tale clausola viene riferita come una decisione che può avvenire nell'eventualità di una grave recessione che riguardi l'intera area dell'euro oppure di un evento inconsueto non soggetto al controllo degli Stati, quale pensiamo, ad esempio, un terremoto.
  Questa clausola non è mai stata applicata a livello europeo, quindi non abbiamo un precedente applicativo, mentre nei documenti della Commissione si fa riferimento comunque a valutazioni puntuali volta per volta, per definire cosa sia evento inconsueto, e ovviamente la grave recessione dell'intera area dell'euro è una cosa più osservabile, ma comunque soggetta a valutazione.
  Tenuto conto di questi elementi molto brevi, il quadro presentato nel DEF allo stato attuale dell'applicazione del quadro di regole non rientra nell'ambito definitorio dell'evento eccezionale previsto a livello sovranazionale.
  Muovendosi sulla valutazione delle regole di bilancio che hanno raggiunto un livello molto complesso, queste si articolano su tre piani: l'avvicinamento all'obiettivo di medio termine, la regola sulla spesa e la regola sul debito, ciascuno di questi parametri essendo valutato sul consuntivo, sull'anno in corso e sul periodo pluriennale.
  Cercherò di essere molto sintetica nell'esito finale di queste complesse analisi. Nel 2015 siamo a posto come quadro, quindi nell'analisi di consuntivo le regole sono sostanzialmente rispettate, per il 2016 il messaggio è quello che dipende da quanta componente di clausola – entrerò subito nello spiegare questo aspetto – verrà concessa dalle istituzioni europee.
  Ricordo brevemente la storia dei programmi di stabilità dello scorso anno. Nell'aprile il Governo aveva chiesto uno 0,4 di clausole di flessibilità legate alle riforme strutturali, che era stato riconosciuto dalla Commissione europea nelle sue raccomandazioni. In settembre il Governo aveva chiesto, e il Parlamento ha votato, una componente aggiuntiva di clausole legate agli investimenti e un pezzetto aggiuntivo di riforme strutturali. Nel frattempo la Commissione europea ha detto che più di 0,75 punti percentuali cumulati in una serie di atti non può essere concesso.
  Il quadro in cui ci muoviamo è quindi uno 0,4 già assegnato e un'ulteriore componente, fino a 0,75 punti percentuali, che può essere riconosciuta dalla Commissione europea.
  Cosa disse la Commissione europea in occasione dell'opinione sul Draft Budgetary Plan, sul Documento programmatico di bilancio? La Commissione europea disse sostanzialmente: rinvio la decisione sulla flessibilità aggiuntiva a quando potrò vedere i vostri programmi del 2017. Quando andrò a valutare per decidere se concedere o no questo 0,75, valuterò se la clausola effettivamente è stata utilizzata per aumentare gli investimenti, se le riforme strutturali stanno andando avanti e se il percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine viene ripreso in un modo credibile.
  Molto brevemente rinvio al rapporto che uscirà a brevissimo per le ulteriori analisi. Sugli investimenti sono state adottate una serie di azioni che hanno sicuramente l'obiettivo di accelerare la spesa. Il target da raggiungere – più di 5 miliardi, ed oltre 11 in totale con i cofinanziamenti – è molto ambizioso, tenuto conto dello stadio di programmazione; probabilmente serve un attentissimo monitoraggio da parte del Governo e del Parlamento affinché le procedure iniziate per completare questa spesa siano portate a compimento e quindi si arrivi a realizzare la spesa effettiva.
  Sulle riforme strutturali c'è una comune condivisione che sia stato fatto parecchio. Segnalo due cose che potrebbero essere disallineate rispetto al Country Report del 2016 uscito da poco tempo, riferito alle riforme strutturali: che non è stato fatto abbastanza in termini di spostamento del carico fiscale dal lavoro verso consumi e ricchezza, e che la legge sulla concorrenza è ancora indietro. Si tratta di due elementi noti al Parlamento, che ovviamente devono essere tenuti in considerazione.
  La cosa che più rileva dal nostro punto di vista nel valutare la clausola 2016, se verrà concessa fino allo 0,75, è la valutazione del percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine, quindi dobbiamo andare a vedere nel 2017 e negli anni successivi quale sia il piano del Governo.
  Sul 2017 la situazione è incerta. Come sempre il quadro applicativo delle regole non dà strumenti nitidi, e questa è una delle critiche maggiori rispetto alla definizione di queste regole, che sono ancora troppo soggette ad ambiti interpretativi. Tutto dipende dall'aggiustamento richiesto per l'Italia nel 2017. In Paesi ad alto debito in condizioni normali, secondo la matrice che tutti conosciamo citata più volte, deve essere superiore a 0,5 punti percentuali, e l'entità di questo «superiore» è quella che può rendere significativa o non significativa la deviazione presente nei conti italiani nel 2017 e nel 2018.
  Su base biennale – le regole europee vengono valutate su base annuale e su base biennale – sia nel 2017 che nel 2018, qualsiasi sia la clausola che venga data, la deviazione è significativa, quindi concludo che, se per il 2015 il rispetto delle regole è confermato e per il 2016 dipende dall'entità del riconoscimento della Commissione in termini di clausola di flessibilità, per quanto concerne il 2017 e 2018 con lo stato attuale del quadro interpretativo delle regole il Documento del Governo non rientra nel quadro di rispetto.
  A questo aggiungo che la Commissione europea effettuerà la sorveglianza sulla base delle proprie valutazioni e stime del saldo nominale e del calcolo dello strutturale. Come è stato evidenziato in una lettera recente che i ministri delle finanze di sette Paesi hanno mandato alla Commissione europea, il calcolo della Commissione europea viene fatto su un orizzonte temporale che produce risultati diversi rispetto a quelli adottati dal nostro Governo.
  Non è chiaro se questo aspetto di passaggio a un diverso metodo di calcolo produca effetti o meno, perché in teoria dovrebbe innalzare il livello e quindi in termini di variazione non è detto che agevoli il Governo o lo penalizzi rispetto alla valutazione della Commissione europea, però certamente bisogna tenere conto che il quadro presentato nel DEF potrebbe essere diverso e più positivo rispetto al quadro che la Commissione europea potrebbe utilizzare per la propria sorveglianza.
  Molto brevemente, la valutazione della regola sulla spesa in termini di risultati ha un esito positivo, ovvero segnala il rispetto o la deviazione non significativa, sempre nel caso che venga consentito lo 0,75 di flessibilità delle clausole di flessibilità.
  È interessante notare come per il 2016 la valutazione della regola sulla spesa appaia diversa dalla valutazione dell'obiettivo di saldo. Questa è un'altra delle complessità insite in questo sistema di regole che, sulla base della prassi della Commissione europea, porta a un rapporto che deve valutare per quali motivi ci sia questa differenza.
  Per quanto concerne, infine, la regola di riduzione del debito, a differenza del quadro presentato nell'ultima tornata di programmazione, nel quale in una visione forward looking nel 2019 la regola sul debito veniva rispettata, in questo caso lo slittamento in avanti degli obiettivi di saldo porta al mancato rispetto della regola sul debito in ciascuno degli anni, sia adottando il metodo back for looking, sia adottando il metodo forward looking.
  Ovviamente questo è il risultato anche del contesto di deflazione o comunque di bassissima inflazione, e la stessa Commissione europea prevede una procedura che possa riconoscere agli Stati membri i fattori rilevanti, e l'inflazione, nelle precedenti decisioni della Commissione, fa parte di questi.
  Rispetto a queste conclusioni occorre riprendere l'argomentazione del Governo sui motivi per cui la stretta fiscale prevista nel precedente Documento fosse da ritenere non auspicabile, e ricordare che le analisi che abbiamo presentato riguardano l'attuale quadro interpretativo delle regole ed esistono molti elementi che possono suggerire che l'attuale quadro di regole possa essere soggetto a pressioni, interpretazioni o analisi evolutive, ed evolversi in una direzione che possa cambiare il quadro applicativo.
  L'esempio della lettera e dei criteri di calcolo dell’output gap è solo uno di numerosi altri elementi emersi in diverse analisi, che lo stesso UPB ha fatto, sulla sensibilità del calcolo dell’output gap a una serie di parametri tecnici. Lo stesso DEF mostra una certa contro intuitività di certe dinamiche presentate, ad esempio per il 2016 abbiamo un miglioramento del disavanzo nominale di 0,3 punti percentuali, a fronte di un saldo strutturale che si deteriora di 0,7 punti percentuali. Ovviamente ciò ha implicazioni economiche difficili da comprendere pienamente, che in seguito, se ci sarà tempo, potremo illustrare.
  Tra gli altri elementi che possono influire sul quadro interpretativo vi è un ampio disagio rispetto al quadro di applicazione delle regole, che proviene sia da chi vorrebbe un enforcement più forte, sia da chi ritiene che l’enforcement più rigido non sia auspicabile, e questo ha portato a proposte di cambiamento che sono già sul tavolo nell'ambito della Commissione europea. Oggi stesso Il Sole 24 Ore pubblica un articolo che segnala una proposta della Presidenza olandese per modificare il quadro delle regole, spostandolo più verso una regola di evoluzione della spesa, slegandolo pertanto da questi misteri del calcolo dell’output gap.
  Cito, come ultimo elemento, il dibattito sulla mancanza di coordinamento europeo e quindi sull'idea che la scelta di istanze nazionali che non tengano conto dell'indirizzo di un'area dell'euro in presenza di una moneta unica mostra dei limiti molto evidenti.
  Un punto deve essere tenuto presente – e qui torniamo alla chiusura della parte precedente: l'elemento finale che guida questo quadro di regole è il tema della sostenibilità della finanza pubblica nel medio termine, dove la sostenibilità dipende da un denominatore, dipende da un numeratore, dipende da un volume di debito e da un punto da cui si parte.
  Le analisi che sono già state evidenziate – vi segnalo che ci sono delle interessanti analisi stocastiche con ventagli di probabilità – segnalano che il quadro presentato dal Governo in uno scenario meno favorevole dei nostri previsori si colloca su un livello di probabilità piuttosto basso.
  Considerato che l'obiettivo di riduzione del rapporto debito/PIL costituisce l'elemento cruciale, in un'analisi di ultima istanza per un Paese che ha 300 miliardi di rollover da piazzare sui mercati ogni anno l'attenzione all'evoluzione del debito forse dovrebbe essere slegata dal quadro di regole che guida la politica fiscale.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'UPB per questo contributo così approfondito, purtroppo non abbiamo però lo spazio per la discussione, perché i colleghi della Camera devono riunirsi adesso per esprimere un parere per l'Aula e sono già in ritardo.
  Scusandoci con i nostri ospiti, se ci sono da parte dei gruppi richieste da inviare per e-mail, potremo sopperire in questo modo. Peraltro, i rappresentanti dell'UPB fanno parte in qualche modo del Parlamento e quindi potremo anche trovare eventualmente un'occasione diversa per avere nuovamente un confronto con loro.
  Grazie, colleghi, per questa maratona che è stata molto interessante per tutti e che quindi renderà la discussione che svolgeremo presso le due Commissioni bilancio di Camera e Senato più consapevole e informata.
  Nel ringraziare nuovamente i nostri ospiti, anche per la documentazione che ci hanno trasmesso, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato alla seduta odierna (vedi allegato), dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.

ALLEGATO