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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 5 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, prof. Enrico Giovannini sulle linee programmatiche del suo dicastero in materia di politiche sociali (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Giovannini Enrico , ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 5 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 5 7 
Sbrollini Daniela , Presidente ... 8 
Lenzi Donata (PD)  ... 8 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 9 
Piazzoni Ileana Cathia (SEL)  ... 10 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 12 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 12 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 13 
Bianchi Dorina (PdL)  ... 14 
Binetti Paola (SCPI)  ... 14 
Biondelli Franca (PD)  ... 15 
Murer Delia (PD)  ... 16 
Roccella Eugenia (PdL)  ... 16 
Fossati Filippo (PD)  ... 17 
Sbrollini Daniela , Presidente ... 18 
Giovannini Enrico , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 18 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 20 
Murer Delia (PD)  ... 23 
Sbrollini Daniela , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 14.40

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto, se non vi sono obiezioni, che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del ministro del lavoro e delle politiche sociali, prof. Enrico Giovannini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del ministro del lavoro e delle politiche sociali, prof. Enrico Giovannini, che ringrazio per la presenza e al quale do subito la parola per la relazione.

  ENRICO GIOVANNINI, ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Io sono qui con il viceministro Maria Cecilia Guerra che segue in particolare le politiche sociali. Se il presidente è d'accordo, quindi, dividerei la nostra relazione in due parti: io farei un discorso più di carattere generale e poi lascerei la parola al viceministro Guerra per alcuni approfondimenti.
  Se pensiamo al tema delle politiche sociali in modo complessivo, in Italia, dobbiamo in primo luogo riconoscere che la responsabilità di queste politiche è condivisa da diversi livelli di governo.
  Questa è una scelta del legislatore che, da un lato, cerca di avvicinare al territorio le decisioni rilevanti e, dall'altro, pone una serie di sfide alla governance complessiva del sistema, che sappiamo essere particolarmente difficili in un momento, come quello attuale, in cui le risorse sono limitate e, invece, la domanda è crescente.
  In questo sistema di governance multilivello, in un sistema ordinato, noi dovremmo avere uno Stato che definisce e finanzia i livelli essenziali, le regioni che hanno la competenza esclusiva nell'organizzare, programmare ed eventualmente cofinanziare la realizzazione delle politiche sul territorio e i comuni che dovrebbero avere il ruolo fondamentale nell'erogazione, e di nuovo nell'eventuale cofinanziamento, delle prestazioni, molto spesso in coordinamento con il Terzo settore.
  Per rendere anche efficiente il sistema ideale che ho appena descritto, avremmo bisogno di un continuo monitoraggio di ciò che avviene, in modo da poter individuare ex ante i programmi di intervento, ma anche in modo da poter valutare ex post la effettiva realizzazione di quei programmi e, dunque, l'eventuale cambiamento che quegli stessi programmi richiedano alla luce, proprio, del monitoraggio dell'effettiva situazione.
  Se questo è il sistema ideale, chi conosce come funziona in pratica capisce che siamo un po’ lontani da questo modello complessivo. Abbiamo diversi problemi, abbiamo diversi pezzi mancanti in questo sistema. Il primo dei pezzi mancanti è la definizione dei livelli essenziali, il secondo riguarda un modo strutturato e di medio termine per il finanziamento di singoli progetti, il terzo è un sistema di monitoraggio approfondito, persistente e generalizzato.Pag. 4
  Senza questo sistema di monitoraggio basato sui dati dei soggetti che sono destinatari delle politiche sociali, diventa molto difficile riuscire a valutare sia l'effetto di queste politiche sia l'eventuale duplicazione di interventi sullo stesso soggetto, e questo diventa ancora più grave nel momento in cui le risorse disponibili sono limitate e, quindi, andrebbero veramente orientate verso chi ha bisogno dell'intervento.
  Se questo è il quadro concettuale o teorico della situazione, abbiamo bisogno di capire come l'attuale sistema possa convergere verso quel sistema ideale. Le linee su cui il Ministero intende muoversi sono fondamentalmente tre, con altrettanti strumenti di carattere trasversale che toccano tutti gli interventi.
  Il primo obiettivo riguarda – anche questo per fasi successive, tenendo conto dei limiti di bilancio – la definizione di programmi di intervento che assicurino i livelli essenziali sul territorio nazionale, in particolare sul tema della povertà e della non autosufficienza. Questi sono i due pilastri fondamentali su cui il viceministro interverrà successivamente.
  Il secondo obiettivo riguarda invece l'utilizzazione del Fondo nazionale per le politiche sociali, al fine di individuare insieme alle regioni gli obiettivi di servizio su cui consolidare l'intervento a livello territoriale, perché – ripeto – con le limitazioni dei fondi abbiamo bisogno di selettività, di precisione nell'intervento.
  Il terzo obiettivo del ministero è quello di esercitare un'azione di coordinamento, anche senza leva finanziaria, di tutta questa operazione, attraverso l'elaborazione di linee guida – con la collaborazione degli enti interessati – e interventi su più comuni o su più regioni del territorio nazionale, come si è fatto ad esempio con le linee guida per l'affido o per l'accoglienza temporanea dei minori stranieri.
  I tre obiettivi fondamentali che ho appena enunciato vanno perseguiti con strumenti specifici, a cui si devono aggiungere tre strumenti di carattere orizzontale, trasversale. Il primo di questi strumenti trasversali riguarda la creazione di un vero e proprio sistema informativo dei servizi sociali, che, scendendo a livello dell'individuo, ci consenta di passare da una logica di singolo intervento a una logica di presa in carico del soggetto da tutti i punti di vista. Se non abbiamo questo elemento informativo a livello di ogni singolo beneficiario, l'idea di un coordinamento e di una presa in carico complessiva è difficilmente realizzabile a causa della governance multilivello di cui ho parlato.
  Il secondo strumento trasversale riguarda la predisposizione di strumenti di monitoraggio e di valutazione delle politiche, che naturalmente presuppongono il sistema informativo. Ieri, ad esempio, si è riunito per la prima volta il Comitato scientifico che ho costituito e che supervisionerà il gruppo tecnico per il monitoraggio e la valutazione della legge sul mercato del lavoro e delle modifiche che ad essa saranno apportate.
  Una piccola parentesi: l'Italia è terribilmente indietro sullo sviluppo di modelli e di strumenti per la valutazione delle politiche. Senza riandare al 1955, quando Einaudi, parlando del «conoscere per deliberare», ricordava come talvolta (direi spesso) le leggi vengano emendate perché si ritiene che ci sia qualcosa che non va, e poi vengano emendate ulteriormente e ulteriormente, finché «nessuno riesce più a cavarne le gambe», e a quel punto la cosa migliore è organizzare convegni, pagare consulenti e impegnare gli uffici pubblici in lavori urgentissimi, che non sono altro che il modo di pestare acqua nel mortaio delle riforme urgenti.
  Al di là della citazione, in Italia abbiamo una carenza strutturale di strumenti di valutazione quantitativa, di modelli di valutazione e soprattutto di disegni di sperimentazioni che consentano poi di effettuare una valutazione ex post.
  L'altro strumento trasversale, oltre al sistema informativo dei servizi sociali, al monitoraggio e alla valutazione, è l'ISEE, la cui riforma, dopo l'accordo informale con le regioni che andrà la prossima settimana in Conferenza Unificata, speriamo di poter sottoporre al Parlamento, e Pag. 5mi auguro, come ho già detto ieri al Senato, un iter il più rapido possibile del provvedimento.
  Possiamo discutere per mesi su quale sia la migliore scala di equivalenza, quale sia il modo migliore per calcolare una serie di elementi dell'ISEE, però dobbiamo sapere che il testo che vi presenteremo è il frutto di tanto lavoro svolto a tutti i livelli, e che ogni giorno che passa in cui usiamo il vecchio ISEE è un giorno in più in cui commettiamo ingiustizie.
  Poiché, come si dice, l'ottimo è nemico del buono, spero che il Parlamento, partendo da questo provvedimento, possa rapidamente deliberare in maniera da poter utilizzare il prima possibile questo strumento di cui conoscete la rilevanza.
  Concludo richiamando questa scatola ideale, i tre obiettivi e i tre strumenti trasversali di cui ho parlato, e lasciando la parola, se il presidente mi consente, al viceministro Maria Cecilia Guerra, per l'approfondimento di due aspetti particolari che sono la povertà e la non autosufficienza.

  PRESIDENTE. Grazie, ministro. Desidero scusarmi con il viceministro, Professoressa Maria Cecilia Guerra, perché quando ho ringraziato lei per la presenza ho dimenticato di ringraziare anche il viceministro, che tra l'altro immagino che, dati gli impegni del Ministro, sarà molto più vicina ai lavori della Commissione. La ringrazio quindi di cuore della sua disponibilità e le lascio immediatamente la parola.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente, e grazie a voi tutti. Come ricordava poc'anzi il ministro, uno dei nostri obiettivi è quello di individuare programmi di intervento che possano essere implementati per fasi successive anche in relazione alle disponibilità finanziarie.
  È però molto importante, nel quadro che è stato delineato, avere una definizione precisa dei livelli di intervento che si vogliono garantire, e costruire questi programmi con un'interazione, nel rispetto dei diversi ruoli, con gli enti decentrati, quindi regioni e comuni.
  Il primo di questi programmi a cui stiamo lavorando riguarda il campo del contrasto alla povertà e lo strumento che abbiamo al momento in campo – come sapete, è una decisione presa dal Governo precedente ma da pochi giorni è stato pubblicato il decreto sulla Gazzetta ufficiale, quindi le date dell'implementazione ormai sono certe – riguarda la sperimentazione di un uso diverso della social card, una nuova social card per intenderci, che vede questa interazione fra il Governo centrale e i comuni coinvolti.
  Si tratta di una sperimentazione che riguarda le dodici città con più di 250 mila abitanti; il target riguarda – nell'ambito della povertà assoluta definita dall'Istat – in particolare le famiglie con minori.
  Quest'ultimo è un aspetto che vorrei sottolineare perché, al di là della sperimentazione che sto illustrando, si tratta di uno degli obiettivi che noi consideriamo prioritari, visto che, mentre in Italia esistono strumenti di contrasto alla povertà per la popolazione anziana (per quanto sarebbero necessari una razionalizzazione e un miglior coordinamento), questo non avviene per i minori, se si esclude un parziale utilizzo della social card tradizionale per i bimbi fino a tre anni.
  Le famiglie che saranno oggetto di questo intervento diretto ai nuclei familiari e non agli individui sono quelle in situazione di grave disagio lavorativo, intendendosi con quest'espressione una situazione fuori dal mercato del lavoro, non più protetta da ammortizzatori sociali, e anche quelle situazioni di lavoro così precario, saltuario e parcellizzato, tali da non poter essere assimilate al lavoro vero e proprio. Il beneficio monetario viene articolato in funzione della numerosità della famiglia.
  Il punto molto importante è che con questo strumento, che vuole essere una prima approssimazione – ovviamente aperta a un confronto molto ampio con il Parlamento, con i soggetti istituzionali e le parti sociali – di quello che potrebbe Pag. 6essere in futuro quello che definisco «reddito minimo di inserimento» pur sapendo quanto sia scivoloso questo termine, perché ciascuno gli assegna significati diversi, abbiamo in mente un intervento di contrasto alla povertà che interviene quando si sia esaurita la fase dell'ammortizzatore sociale. Esso è idoneo a raggiungere, infatti, anche quelle fasce di esclusione sociale che non riescono neanche a entrare in contatto con il mercato del lavoro.
  Questo tipo di intervento si colloca nella linea dei trasferimenti monetari di tipo condizionale, per cui i beneficiari sono accompagnati in un percorso che dovrebbe portare alla formazione e all'inserimento lavorativo. Chi si sottrae a questo percorso perde quindi il diritto al beneficio, ma è un concetto di condizionalità più ampia perché non è volto soltanto a fronteggiare un disagio di tipo materiale, laddove sappiamo che la povertà non è solo deprivazione materiale in senso stretto, ma si associa quasi sempre ad altre dimensioni di esclusione sociale (il disagio abitativo, la disabilità, la monogenitorialità, che possono comportare disagi specifici).
  L'idea è quindi che il nucleo familiare beneficiario sia preso in carico, e il Ministro sottolineava l'importanza di questo concetto nell'ambito della filosofia che vogliamo adottare per le politiche sociali. La presa in carico avviene ad opera del comune, che valuta le esigenze specifiche di quella famiglia e associa al trasferimento monetario, che è nel programma nazionale, un insieme di altri servizi, anche in rete con il Terzo Settore, a cui si accompagna una condizionalità, quale la richiesta di una partecipazione attiva – anche l'Unione europea ci invita a programmi di inclusione attiva – per soddisfare ad esempio l'obbligo scolastico per i bimbi.
  Questa sembra una cosa banale, ma sapete che la non ottemperanza all'obbligo scolastico sta diventando una piaga molto rilevante nel nostro Paese. Noi prendiamo questa ispirazione di fondo anche da programmi che hanno riscosso enorme successo per combattere l'esclusione sociale minorile in Paesi come il Brasile, il Messico, che avevano e hanno ancora questo problema in termini molto rilevanti, e utilizzando strumenti di questo genere hanno ottenuto risultati fortemente significativi.
  Noi siamo messi meglio, ma possiamo comunque fare leva sull'ente di prossimità, il Comune, che può inserire questo intervento affiancando al trasferimento monetario, che di per sé è uno strumento passivo, altri strumenti di attivazione. Essendo un progetto sperimentale, nell'ottica che ricordava il ministro è già impostato in modo tale da permettere il monitoraggio, nel senso che è condizionale alla partecipazione da parte dei comuni la necessità di raccogliere e fornire dati connessi alla presa in carico e al monitoraggio all'inizio, a metà e alla fine del periodo.
  Utilizzeremo un metodo di verifica di tipo controfattuale, nel senso che non tutte le famiglie riceveranno a fianco del trasferimento monetario anche la presa in carico più ampia, per vedere gli effetti differenziali di questa situazione, anche perché per i comuni implementare in poco tempo questo processo su numeri molto elevati non è banale.
  Vorremmo seguire la stessa logica nel programma per la non autosufficienza, dove però il tema è leggermente diverso, nel senso che il punto importante è proprio la cooperazione non solo con il livello comunale, ma innanzitutto con la filiera sanitaria, perché un punto cruciale di difficoltà delle politiche sociali nel nostro Paese è l'incapacità di comunicare con le politiche sanitarie.
  Se pensiamo al tema della non autosufficienza, l'integrazione socio-sanitaria è un punto da cui non possiamo assolutamente prescindere, anche per un uso più corretto delle risorse. Siamo, infatti, un Paese che mette risorse sul tema della non autosufficienza (sicuramente ce ne vorrebbero di più, ma questo vale per tutte le politiche del mondo), ma, da un lato, non viene definita la stessa non autosufficienza perché ad esempio per l'indennità di accompagnamento c’è un solo grado di valutazione, al di là del quale non si esamina Pag. 7il diverso grado di bisogno che ad esso si accompagna, (non c’è quindi una presa in carico del soggetto) e, dall'altro, non c’è neanche la consapevolezza che il bisogno per la non autosufficienza è molto spesso un bisogno più sociale (di accudimento, di aiuto nello svolgere gli atti della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi, alzarsi dal letto, mangiare) che sanitario.
  Spesso, quando le famiglie prive di aiuto non ce la fanno più ricorrono al ricovero in ospedale oppure in strutture di lungodegenza, cosa sbagliata sia per il costo, in quanto una giornata di trattamento in ospedale costa dieci volte più di una giornata di cure a domicilio, sia perché la prestazione erogata è di qualità inferiore per la persona non autosufficiente e la sua famiglia.
  L'idea è dunque di provare, anche se abbiamo alle spalle un'esperienza non di successo, a riprendere un discorso anche con il settore sanitario, quindi la vostra Commissione, che tratta entrambi i temi, può essere particolarmente sensibile verso questo tipo di approccio. Questo discorso deve coinvolgere in modo molto forte anche il livello regionale che, come sapete, è depositario di entrambe le politiche, in particolare della salute e della filiera delle ASL. Anche nel caso della non autosufficienza, il tema del monitoraggio del sistema informativo è particolarmente importante.
  Se mi date altri tre minuti, potrò aggiungere due cose che sono sempre legate alle considerazioni del ministro ma sono più di dettaglio.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE DANIELA SBROLLINI

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Il sistema informativo sta partendo e sarà uno strumento molto importante, conoscitivo, di programmazione e di migliore gestione delle politiche. È stato infatti pubblicato pochi giorni fa il decreto che attua la banca dati delle prestazioni agevolate ovvero tutte le prestazioni soggette a ISEE.
  Finora era possibile che l'INPS facesse fare una verifica sull'ISEE e risultassero delle dichiarazioni mendaci, ma non si poteva proseguire oltre questo tipo di analisi, perché si sapeva chi aveva fatto l'ISEE ma si ignorava quali prestazioni avesse ottenuto e da quali enti, e questi quindi non erano in grado di procedere a controlli e sanzioni.
  A parte questo elemento di controllo, inoltre, sarà possibile migliorare molto il sistema sotto il profilo della conoscenza e della programmazione degli interventi sulla persona. Per ora abbiamo la norma e l'accordo con l'INPS, ma quando avremo realizzato davvero il sistema un Comune potrà accedere a questi dati che danno informazioni sulle persone rispetto alle quali è necessario erogare un servizio in modo da sapere di quali altri servizi dispongano, quali siano le caratteristiche della famiglia, cioè gli elementi che sono funzionali alla presa in carico e all'impostazione del servizio. Questo è il primo pezzo di questo sistema informativo dei servizi sociali che poi ha altre dimensioni, che, se vorrete, potremo illustrarvi in seguito.
  Un'altra cosa che vorrei aggiungere riguarda lo strumento del coordinamento, cui faceva riferimento il ministro. Abbiamo detto programmi, di cui vi ho citato due esempi, ma anche obiettivi di servizio che sono tappe intermedie per la costruzione dei livelli essenziali che noi possiamo realizzare con le regioni con cui siamo già d'accordo, come dovremo fare anche per la prima distribuzione del Fondo nazionale politiche sociali di quest'anno, per arrivare a predisporre una programmazione che sedimenti i servizi sul territorio, in modo tale che ogni anno non si riparta dallo stesso punto, ma anche una funzione di coordinamento e di indirizzo del ministero, anche quando non possiamo condizionarla con i soldi, che di solito sono lo strumento più efficace.
  Non solo, quindi, come ricordava il ministro, le linee guida, non solo programmi sperimentali come ad esempio quello di cui fra poco riusciremo a darvi i risultati e che abbiamo chiamato Pag. 8P.I.P.P.I. (Programma di intervento per prevenire l'istituzionalizzazione), fatto con le città riservatarie, quelle della legge n.285 del 1997 per l'infanzia e l'adolescenza, che ha portato la sperimentazione (in dodici su quattordici di queste città) di un metodo di intervento sempre con presa in carico e coordinamento degli interventi per prevenire l'allontanamento dei minori da famiglie cosiddette «trascuranti».
  Abbiamo avuto un successo molto incoraggiante, quindi possiamo stabilire delle buone pratiche in senso stretto, esportabili anche in altre realtà. Oltre, quindi, agli strumenti costituiti dalle sperimentazioni coordinate fra più regioni o più comuni dalle e linee guida, pensiamo anche ai piani di azione, che rischiano spesso di essere parole, però in questo caso abbiamo occasione di intervenire concretamente, innanzitutto attraverso il Piano per l'infanzia e l'adolescenza.
  Nel momento in cui verrà definita la delega alle politiche per la famiglia, che al momento non è ancora stata attribuita, se sarà nostra ci coordineremo più facilmente, se non sarà nostra ci coordineremo comunque facilmente, procederemo al rinnovo dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e provvederemo alla stesura di un nuovo piano d'azione.
  Siamo più avanti per quanto riguarda il piano d'azione per la disabilità, che è stato messo a punto e votato dall'Osservatorio attraverso un grande processo partecipativo, altro aspetto che utilizzeremo ampiamente in queste politiche, e che adesso deve essere fatto proprio dal Consiglio dei ministri e dalla Conferenza Unificata. Vogliamo che sia un impegno davvero condiviso, perché coinvolge aspetti che non sono solo nostri, cioè non è solo lavoro ma è anche salute, inserimento lavorativo, barriere architettoniche, istruzione, quindi vogliamo che sia fatto nostro in senso ampio.
  Per testimoniare l'impegno che il Governo nel suo complesso vorrà prendere su questo tema, porteremo il piano di azione per fargli fare i primi passi alla Conferenza delle disabilità nelle prime settimane di luglio, di cui appena definito il piano; vi daremo, ovviamente, informazioni in merito. Mi fermerei qui, grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e il viceministro. Do quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONATA LENZI. Come gruppo del Partito Democratico non possiamo che apprezzare lo sforzo di una visione complessiva delle politiche sociali quale il ministro e il viceministro ci hanno rappresentato oggi, perché questo tema è una grave mancanza del nostro sistema di welfare.
  Sappiamo tutti che la «gamba» delle politiche sociali negli anni in cui si è costruito il sistema sanitario è sempre venuta a mancare, e, quando è arrivata una legge di sistema quale la legge n. 328 nel 2000, la modifica delle competenze che il ministro ricordava all'inizio del suo intervento ha reso più difficili un'applicazione e una visione organica dei problemi.
  Un momento in cui le risorse sono in calo è quello più inopportuno per farlo, però nello stesso tempo è il momento in cui se ne ha maggior bisogno, perché il tema della povertà e delle necessità delle famiglie viene reso più urgente, più grave e più acuto dalla crisi, e come membri di questa Commissione riceviamo sollecitazioni da molte associazioni e da singoli, con la rappresentazione di situazioni molto drammatiche e difficili. La prima domanda è quindi se questo impegno, pur nel quadro di risorse così scarse, possa garantire almeno che quelle risorse abbiano continuità.
  Veniamo dalla legislatura precedente, in cui il tema del rifinanziamento di un Fondo per la non autosufficienza, che poi è fortemente condizionato dalla necessità di rispondere praticamente solo alle gravi disabilità, e il rifinanziamento del Fondo sociale sono l'esito di una battaglia (non so se concretamente vinta) che si è concentrata nella legge di stabilità, del resto non del tutto soddisfacente in quanto non sono stati rifinanziati rimpinguando le risorse del ministero, ma con una soluzione in Pag. 9capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La prima domanda è quindi se il Governo possa garantire una certa continuità agli stanziamenti che riguardano sia il Fondo per la non autosufficienza che il Fondo sociale.
  Il Ministro ha anche la delega al lavoro e, se è vero che esiste una forte connessione tra i nostri temi e i temi della salute, è anche vero che c’è una forte connessione tra i temi della povertà e quelli del lavoro. I temi degli ammortizzatori sociali, della cassa integrazione in deroga, del reddito di cittadinanza e del reddito minimo, richiederebbe ben altro approfondimento, ma a noi servirebbe conoscere la visione complessiva, in una logica che prevede l'impegno in una lotta positiva per uscire dalla povertà, pur sapendo che la chiave di volta di tutto è una ripresa economica vera, perché senza quella saremo in grandi difficoltà.
  Il viceministro Guerra ha sollevato anche il tema della disabilità. Noi siamo di fronte a un sistema che non differenzia più, come una volta, l'intervento sulla persona in condizione di disabilità ma in età non avanzata da quello della platea di coloro che diventano disabili non autosufficienti in conseguenza di malattia cronica o connessa all'invecchiamento.
  Questa platea di oltre tre milioni di disabili presenta al suo interno esigenze diverse, perché affrontare i problemi di un giovane o di un adulto in età lavorativa in condizione di disabilità, magari dalla nascita, è cosa diverso dall'affrontare il problema di un anziano colpito da Alzheimer.
  La fascia più giovane è paradossalmente meno presente all'attenzione dell'opinione pubblica e forse anche della politica, e rischiamo di sommare tanti interventi per patologie. Il segnale più grave è sicuramente la questione connessa al finanziamento del Fondo per la non autosufficienza e SLA, dove chi è colpito da una patologia particolarmente grave ha fatto una battaglia facendosi però inevitabilmente portavoce della propria situazione, mentre chi ha un ruolo politico-istituzionale deve tener conto di tutte le varie situazioni in cui le malattie causano condizioni di grave disabilità.
  Vorremmo chiedere quindi se ci sia l'intenzione politica di riaffrontare il tema nel suo complesso. È chiaro che una raccolta finalmente adeguata di informazioni e il monitoraggio delle azioni è la base per qualsiasi intervento, perché a volte siamo di fronte a persone su cui si concentrano più interventi di sostegno mentre di altre si ignora l'esigenza di ricevere servizi.
  Ritengo in ogni caso che il tema di come andiamo ad affrontare le politiche della disabilità sia fondamentale. Grazie.

  GIAN LUIGI GIGLI. Ringrazio il ministro e il viceministro per i loro interventi che in gran parte condivido, sia come ispirazione che come obiettivi.
  Condivido totalmente alcune delle considerazioni dell'onorevole Lenzi in merito alla necessità di superare interventi frammentari. Mi riferisco in particolare a quelli riguardanti la disabilità in cui stiamo organizzando una sorta di giungla dei benefici e delle platee dei beneficiari che sarebbe bene ricondurre a una governance unitaria.
  Ho avuto la tentazione di presentare un'interrogazione, che probabilmente presenterò in forma scritta alla Commissione competente, sui problemi di natura previdenziale che impattano però sulle politiche sociali, perché oggi alcune persone hanno difficoltà a vedere riconosciuti i contributi che hanno versato e possono trovarsi in situazioni di difficoltà dal punto di vista della tenuta sociale della loro famiglia, ma rimandiamo questo problema ad altra occasione.
  Vorrei centrare questo intervento solo sul tema dell'ISEE. Il nostro Paese, più di altri, vive sotto una spada di Damocle, una sorta di bomba a orologeria, che è quella del combinato della denatalità e dell'invecchiamento, che mettono a dura prova sia la tenuta del sistema previdenziale sia la stessa tenuta del sistema sanitario o la possibilità di organizzare forme di aiuto alle non autosufficienze.Pag. 10
  Se l'invecchiamento è da considerarsi un fatto positivo in quanto risultato della genetica, del clima, della dieta, ma certamente anche del nostro Servizio sanitario nazionale, e quindi dobbiamo essere orgogliosi di essere riusciti a prolungare le aspettative di vita, il problema della denatalità invece è un segno di distinzione negativo dell'Italia, più che di altri Paesi, che ha portato in un arco relativamente breve di tempo a un'inversione della piramide demografica.
  Oggi una serie di famiglie è esposta al rischio della povertà, come d'altronde il ministro Giovannini anche per le sue precedenti esperienze sa bene, e si tratta soprattutto di famiglie monoreddito con più figli. Parto dall'esperienza personale in quanto ho cinque figli e, pur considerandomi un privilegiato per motivi di professione, non sono mai vissuto nell'abbondanza, perché cinque figli, che sono stati una scelta di cui vado orgoglioso e che ripercorrerei, di fatto non consentono forme di risparmio. E ci sono fasce sociali alle quali questo privilegio non è concesso.
  L'ISEE, che potrebbe essere un importante strumento di perequazione, oggi beneficia chi ha redditi bassi, chi evade, ma, pur essendo l'unico strumento che tiene conto del carico di famiglia, non aiuta certamente la famiglia con figli minori, con non autosufficienti, con anziani, con disabili, a farsi carico in modo adeguato delle proprie responsabilità. Una serie di persone non ha quindi mai potuto usufruire dei benefici che l'ISEE potrebbe offrire.
  Il ministro ha dichiarato che non vorrebbe ritardare ulteriormente la definizione di questo nuovo ISEE, perché ogni giorno che passa aumenta il carico di ingiustizia. Condivido il suo pensiero però vorremmo sapere come pensate di superare una stortura che penalizza soprattutto le famiglie numerose di fascia media, perché chi è povero forse rientra tra coloro che possono godere di quei benefici, chi è ricco non ne ha bisogno, ma certamente la fascia intermedia finisce per essere penalizzata.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Ringrazio anch'io il ministro e il viceministro per le informazioni erogate. Sono d'accordo sulla necessità di predisporre strumenti di monitoraggio e valutazione, sull'esigenza di omogeneità delle informazioni che è assolutamente indispensabile.
  Non vorrei, tuttavia, che l'accento fosse posto sull'idea che siamo in una situazione di sprechi e di duplicazione di interventi, mentre vorrei che fosse chiaro che noi siamo di fronte al collasso del nostro sistema di welfare e, in particolare, del welfare municipale, che non è più in grado di garantire i livelli minimi.
  In primo luogo, perché la nostra spesa sociale, in particolare quella per i servizi sociali propriamente detti, cioè al netto del welfare previdenziale e sanitario, si colloca in una dimensione statistica rispetto ai Paesi europei tale per cui cui sarebbe ridicolo pensare di poter ridurre la spesa. In secondo luogo, perché io credo che non dobbiamo puntare solo al mantenimento dell'esistente, perché, se non investiamo, se non si inverte la tendenza e quindi se non si trovano risorse per rifinanziare i fondi per le politiche sociali che sono stati tagliati in questi anni, qualunque intervento non cambierà la situazione perché ci troviamo in una situazione troppo grave.
  Faccio presente che dal 2007 ad oggi non solo il Fondo nazionale per le politiche sociali, ma anche tutti i fondi correlati sono stati praticamente azzerati. Contemporaneamente, tutta la spesa sociale che viene sostenuta in larga parte dai bilanci comunali subisce le imposizioni di austerità date ai Comuni, che non sono più in grado di far fronte a quell'impegno.
  Tra l'altro, il Patto di stabilità interno e tutte le politiche legate all'austerità mirano anche a premiare i Comuni più «virtuosi» nell'imporre alte quote di compartecipazione ai servizi, cosa che li sta rendendo praticamente inaccessibili per i più, perché il cosiddetto «ceto medio», già impoverito, non riesce a reggere e di fatto si rivolge al mercato del privato, spesso in nero. Chiederei quindi lumi rispetto alla possibilità di approcciare alla questione finanziamento in maniera più dettagliata.Pag. 11
  L'altra questione è legata alla definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS). In questo Paese il federalismo è uno dei grandi problemi e per noi lo è particolarmente, perché dopo aver approvato una legge di sistema le si è tolto valore dopo pochi mesi, dando potestà regolamentare alle regioni. Allora parlavamo del rischio di ventuno differenti modelli di welfare, rischio in parte evitato in quanto la maggior parte delle regioni nel legiferare si è attenuta alle indicazioni della legge n. 328 del 2000, però di sicuro siamo dentro la dimensione delle «due Italie», laddove la situazione dei servizi al Nord e al Sud è profondamente diversa.
  Vorrei quindi conoscere con maggior precisione i tempi per la definizione dei LIVEAS, che aspettiamo ormai da tempo immemore.
  Un altro grosso problema riguarda il tema della non autosufficienza. Come evidenziato negli interventi precedenti, la questione della non autosufficienza costituisce un problema non solo nel nostro Paese, ma in tutta l'Europa, solo che in Europa in questi anni si è intervenuti nella direzione di reperire risorse, mentre noi siamo intervenuti per azzerare il Fondo nazionale !
  È quindi necessario invertire completamente tendenza, facendo presente che la mia generazione, quella dei quarantenni, è la prima che si trova a dover affrontare contemporaneamente il carico della non autosufficienza dei genitori e il carico dei figli.
  La genitorialità e la non autosufficienza portano con sé l'impoverimento delle famiglie che devono affrontare contemporaneamente, quasi sempre attraverso risorse proprie, sia la questione asili-nido che la questione dei genitori non autosufficienti, per cui l'intervento sulla povertà dovrebbe tenere conto anche di questi aspetti.
  Chiederei quindi un chiarimento particolare sul Fondo per la non autosufficienza, perché credo che esista l'urgenza di capire, anche rispetto agli interventi fatti dal Governo Monti, che fine abbiano fatto quelle risorse e quale sia la situazione per quanto riguarda le regioni.
  Per quanto concerne la questione del trasferimento monetario, segnalo che noi abbiamo uno sbilanciamento di risorse che passa attraverso l'invalidità civile. Nei mesi scorsi sono circolate proposte di riforma rispetto all'assegno per l'invalidità civile, quindi vorrei capire se quelle proposte siano ancora valide, se ci sia questa intenzione e se sussistano i margini per una omogeneizzazione dell'intervento regionale rispetto all'assegnazione del beneficio dell'accompagnamento, nonché se sia possibile spostare risorse dal trasferimento monetario ai servizi.
  Per quanto riguarda il reddito minimo di inserimento cui il viceministro ha accennato, il gruppo Sinistra ecologia e libertà è particolarmente impegnato sulla questione, su cui ha depositato una proposta di legge. Riteniamo che debba essere al centro della ricostruzione del modello di welfare e quindi degli ammortizzatori sociali, ma quello che proponiamo è diverso dall'idea contenuta nella legge n. 328 del 2000, concernente il reddito minimo di inserimento, e tuttavia non si è fatto neanche quello.
  Sarebbe auspicabile verificare a breve, anche in prospettiva, l'eventuale intenzione di affrontare la questione in maniera seria, nell'idea di renderlo effettivo.
  Ultima cosa: la questione dell'integrazione con le altre politiche. Soprattutto per quanto riguarda il contrasto alla povertà, non può essere eluso il grosso problema delle politiche abitative, quindi è opportuno attuare un lavoro congiunto con il ministero delle infrastrutture per un piano per la casa che è uno degli elementi principali su cui lavorare per evitare la grande piaga dei senza fissa dimora, problema non più limitato alla questione psichiatrica o al disagio sociale, ma che tocca larga parte di ceti prima immuni da questa problematica.
  Il Terzo Settore è totalmente in crisi, con 25.000 posti di lavoro a rischio nei prossimi mesi, però è quello che ha tenuto in piedi il welfare. Se, infatti, negli ultimi dieci anni in questo Paese c’è stato ancora un po’ di welfare, è stato grazie al fatto che la maggior parte degli operatori hanno Pag. 12lavorato spesso gratis, in quanto aspettare uno stipendio da fame per sei-otto mesi è come lavorare gratis.
  Si potrebbe pensare a un programma di audizioni per cercare di capire come far fronte allo smantellamento di un ramo produttivo per il nostro Paese, che comprende tra l'altro il lavoro di molte categorie, in particolare le donne e i soggetti svantaggiati, quindi con un'incidenza doppia sul reddito e sull'inserimento lavorativo. Grazie.

  VITTORIA D'INCECCO. Ringrazio il ministro e il viceministro per la relazione che ci hanno esposto, che ci fa capire la vostra volontà di prendervi carico delle massime esigenze della cittadinanza, perché purtroppo la crisi economica e sociale, unitamente ai drammatici tagli imposti dai Governi precedenti, ha favorito non solo l'impoverimento delle famiglie che si trovavano in una condizione decorosa, ma anche un peggioramento delle condizioni di salute delle persone, perché purtroppo molti non hanno potuto più curarsi.
  È quindi opportuno ripartire da interventi sulla povertà e la non autosufficienza. Nel mio Comune, il Comune di Pescara, esistono già dei sistemi di pronto intervento sociale, quindi è bene avere un fondo ad hoc per la presa in carico della persona e dell'assistenza della famiglia. Apprezzo il fatto che siate ripartiti dalla famiglia, perché un grande problema della crisi non soltanto economica ma anche sociale è la scomparsa della famiglia di una volta.
  È bene occuparsi dell'infanzia e dei giovani. In questi giorni si parla di prevedere incentivi per misure di tutela dei giovani dai 22 ai 26 anni, ma mi chiedo se sia possibile prevedere misure di tutela anche per quelli dai 26 ai 40, perché in quella fascia di età si rileva un difficile inserimento lavorativo, soprattutto per i ragazzi appena usciti dall'università e non formati alla professione, nonché per quelli che hanno perso il lavoro o per le donne dopo una gravidanza, per le quali il reinserimento nella vita lavorativa non è facile.
  Ci sono poi i soggetti svantaggiati quali i disabili intellettivi, per i quali prima esisteva l'ergoterapia, che apportava loro un profondo beneficio e che sarebbe utile ripristinare.
  Avrei tante altre domande da porvi, ma spero di farlo nei prossimi incontri. Vorrei chiedervi però, almeno, se ci sarà la possibilità di avere contratti di lavoro interinale con la stessa azienda per un periodo superiore agli attuali trentasei mesi e, inoltre, se la legge Fornero sulle pensioni sarà rivista prevedendo la possibilità di andare prima in pensione, sia pure con una riduzione dell'importo del suo ammontare. Grazie.

  ANDREA CECCONI. Utilizzo poco tempo giungendo subito al punto, in modo che tutti possano intervenire. Il welfare e, in particolare, il ministero delle politiche sociali è stato uno dei più colpiti dalla spending review non soltanto del Governo Monti, ma anche dei precedenti.
  Riprendendo anche le parole dell'onorevole Lenzi, certamente in Italia abbiamo un'eterogeneità di trattamenti rispetto al tema della non autosufficienza e del contrasto alla povertà, con aiuti a macchia di leopardo che spesso costano molto alle casse dello Stato e sono iniqui.
  Riteniamo che l'impianto generale dei diversi trattamenti a livello nazionale, regionale e comunale delle politiche sociali debba essere completamente rivisto per quanto riguarda sia la lotta alla povertà sia l'insieme delle politiche per la non autosufficienza.
  Vorrei porre due domande, la prima delle quali riguarda la nuova social card, che può essere chiamata anche reddito minimo garantito di cittadinanza. Dal 1998 ad oggi sono state fatte numerose sperimentazioni su questo genere di redditi a sostegno della povertà, per cui fare un nuovo studio riservato solo alle grandi città o ad alcune aree geografiche ci sembra il preludio di un nuovo fallimento.
  Questo genere di reddito di sostegno esiste in tutta Europa, spesso noi affermiamo di voler raggiungere gli standard dei grandi Paesi europei, quindi ci chiediamo Pag. 13a questo punto perché non stabilire un nuovo sistema di welfare, non dico copiando da sistemi esteri non compatibili con il nostro, ma almeno prendendone le linee guida, e non limitare una sperimentazione solo ad alcune città o alcune aree geografiche (spesso è stato fatto nel Mezzogiorno) senza un'applicazione successiva a tutto lo Stato.
  Sulla non autosufficienza, sempre ribadendo che non abbiamo un sistema che garantisce una parità di trattamenti a tutta la disabilità, e anche considerando che stiamo diventando una popolazione senescente con necessità di assistenza crescente alla disabilità e alla non autosufficienza, vorremmo sapere come intendiate interfacciarvi con le regioni e gli enti locali, come intendiate avere uno scambio di informazioni e intervenire per regolare i servizi a livello nazionale.
  Sempre considerando che il titolo V della Costituzione ci limita molto da questo punto di vista, vorremmo tuttavia sapere quali iniziative vogliate promuovere per uniformare il trattamento non con ventuno sistemi diversi ma con un sistema unico a livello italiano. Grazie.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Ringrazio il ministro e il viceministro per questa audizione, con la quale possiamo già convenire sugli obiettivi indicati come sugli strumenti. Mi permetto solo di sottolineare l'esigenza di aggiungere un obiettivo in più, perché noi siamo molto distanti dall'Europa (non occorre che lo dica al ministro e al viceministro), abbiamo un ritardo abissale per le politiche di sostegno alla famiglia e alla disabilità, per le politiche della casa e di lotta contro l'esclusione sociale. Noi siamo in Europa solo per la spesa per gli anziani, mentre per il resto siamo molto al di sotto della media europea. Vogliamo entrare in Europa anche in questi ambiti.
  La mia seconda proposta è uno strumento in più, oltre i due che sono stati giustamente indicati. Anche con le poche risorse a disposizione, infatti, è possibile migliorare la vita delle persone, per esempio abbattendo l'eccesso di burocrazia. Mi riferisco alla grande battaglia che hanno fatto gli invalidi nella precedente legislatura, che ha trovato echi importanti in questa Commissione: atti che sono stati approvati, risoluzioni, mozioni, impegni del Governo.
  Oggi abbiamo di fronte due grandi personalità che su questo faranno molto. Mi auguro che finalmente si avvii a soluzione il problema dell'eccesso di burocrazia cui sono sottoposti gli invalidi. Anche questo non costa, anzi fa risparmiare e migliora la vita delle persone perché vengono rispettate di più.
  Un'ultima richiesta affinché anche dal versante del ministero del lavoro e delle politiche sociali venga una sollecitazione al Presidente del Consiglio perché le deleghe siano attribuite, perché famiglia, gioventù, dipendenze, servizio civile sono ancora in attesa di essere assegnate. Mi rivolgo quindi al ministro del lavoro e delle politiche sociali perché almeno una parte di queste deleghe non finisca al ministero degli interni, come ho sentito dire, perché mi sembrerebbe un arretramento culturale molto pesante.
  Bene, infine, gli strumenti e gli obiettivi, però servono le risorse. Nella passata legislatura abbiamo protestato molto, signor ministro, per i tagli; con il Governo Monti abbiamo invertito la rotta ed è stato possibile ripristinare il Fondo per le politiche sociali, senza il quale non si può parlare di LEP, di nuovi LEA, di obiettivi di servizio, perché noi siamo gradualisti, quindi bene anche gli obiettivi di servizio.
  Siamo però ormai a giugno, signor ministro, e il Fondo per le politiche sociali, ancorché attribuito alle regioni e ripartito, non è stato liquidato, e i servizi, che già hanno sofferto i mostruosi tagli degli anni precedenti, rischiano adesso di chiudere.
  Su questo punto, perciò, le chiediamo una particolare attenzione, perché non è possibile che dopo la battaglia unanime di questa Commissione e del Parlamento per ripristinare il Fondo sociale prima di 800 milioni di euro, poi di 500 e adesso di 300, neanche questi possano essere ripartiti. Questo sarebbe difficile da comprendere. Grazie.

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  DORINA BIANCHI. Cercherò di porre alcune domande senza dilungarmi troppo. Siamo indubbiamente in un momento di grave crisi e per questo sono particolarmente grata al ministro e al viceministro per la presenza e per l'impegno annunciato su un argomento così importante.
  Credo però che i livelli essenziali delle prestazioni sociali siano nati proprio perché la garanzia di tali livelli essenziali di diritti sociali non dovrebbe essere inficiata dalla scarsità delle risorse economiche. Nel tempo, però, si è confermata la natura finanziariamente vincolante delle prestazioni sociali attraverso il rinvio ai limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.
  Fra l'altro, in molti documenti, anche regionali, si rimanda sempre al Fondo per le politiche sociali e anche per questo sarebbe importante capire che cosa il Governo intenda fare in proposito. Il Fondo per le politiche sociali spesso è riportato anche per quanto riguarda le non autosufficienze, laddove si richiama a livello locale alle esigenze per la non autosufficienza.
  Noi ci troviamo quindi non soltanto nella difficoltà di garantire a livello locale il sostegno ai non autosufficienti, ma anche di fronte a un sistema che non è uniforme su tutto il territorio nazionale, mentre proprio su queste problematiche dovremmo avere una maggiore attenzione all'uniformità nazionale dei servizi e prevedere semmai ulteriori livelli regionali o comunque capire cosa intenda fare il ministero per dare ai non autosufficienti una risposta più uniforme su tutto il territorio nazionale.
  Spesso, chi lavora in questo ambito lamenta anche la mancanza di programmazione in un periodo di almeno due o tre anni, che darebbe la possibilità di dare prospettive e garanzie di continuità a chi opera nel settore.
  Un'altra cosa che vorrei chiedere al Governo riguarda la questione dell'IMU nel Terzo settore, perché siamo davanti a una proroga dell'IMU, ma soprattutto per le organizzazioni del che operano in quest'ambito ci troviamo dinanzi a costi importanti. Questa tassazione rappresenterebbe per tali associazioni no profit un fattore fortemente penalizzante.
  L'ultima questione, borderline, in quanto riguarda il lavoro ma anche la sanità, è quella dei precari della sanità. In Italia abbiamo un numero notevole di precari in tutti i settori, ma nel comparto della sanità tra infermieri e medici sono circa 35 mila, che non sono né assunti né contrattualizzati, però svolgono un lavoro quotidiano di grande importanza e senza i quali oggettivamente il nostro Sistema sanitario nazionale avrebbe gravi problematiche.
  Anche su questo argomento vorrei sapere cosa intenda fare il Governo.

  PAOLA BINETTI. Immagino che oggi non ci sarà il tempo per una risposta del ministro e del viceministro alle domande e che sarà prevista una seconda sessione in cui potranno rispondere a tutti gli interrogativi posti. Mi limito quindi a formulare i problemi per capitolo.
  Il primo tema è se il ministro e il viceministro non vogliano fare un'operazione che smantella un effetto-paradosso per cui più si va in crisi economicamente nel sistema Paese e più si assottigliano le risorse a disposizione soprattutto per le politiche sociali, come abbiamo potuto vedere recentemente.
  Questo è un effetto-paradosso, perché più ci si impoverisce e meno risorse ci sono per i più poveri. Definisco invece inversione dell'effetto-paradosso il fatto che quanto più ci si impoverisce quasi con una sorta di automatismo aumentino le risorse a disposizione dei più poveri, altrimenti si arriva all'estremo, per cui a chi meno ha meno sarà dato, e questa è una drammatica ingiustizia sociale.
  Inoltre, nella descrizione molto precisa, molto puntuale, molto strutturata di quello che voi avete tracciato, tra ministro e viceministro (vi sono grata per la chiarezza dello schema concettuale che permette anche di riferirne per punti), mi sembra che l'attenzione fondamentale sia Pag. 15rivolta alle situazioni estreme, cioè da un lato la povertà e dall'altro la non autosufficienza.
  In via di principio, varrebbe la pena mantenere aperta una finestra su quello che non è un welfare strettamente assistenziale, ma sul welfare delle opportunità o welfare creativo, che guarda in modo particolare alla donna rispetto al bilanciamento dei tempi famiglia/lavoro, che significa asili nido, rete di servizi, anche rete di servizi rispetto all'anziano, al disabile, al paziente cronico, però l'ottica è assunta dal punto di vista della donna, che spesso è l'unico vero ammortizzatore della nostra società. Da questo punto di vista meriterebbe una certa attenzione anche nella logica che voi avete descritto.
  Anche per il terzo punto che vorrei segnalare abbiamo un effetto paradosso: l'anziano che non si cura perché ritiene di non essere in condizione di fronteggiare nemmeno i ticket o comunque i contributi chiesti. Cito solo alcune condizioni: un anziano è andato dal dentista ma si è sentito fare una proposta costosa e soprattutto chiedere perché non fosse andato prima, quando il motivo era comunque la mancanza di risorse per arrivare prima. Un mancato intervento in termini adeguati, precoci comporta, oltre al disagio personale, costi ancora maggiori.
  L'anziano o comunque la persona fragile (con tutta la vasta gamma che la fragilità include) rimanda l'intervento fino al momento estremo, ma poi a quel punto sono maggiori non solo i costi sul piano economico ma anche i costi sul piano personale e familiare. Anche in questo campo potremmo attuare una diagnostica precoce, che permetta un intervento tempestivo e non in condizioni estreme, laddove questo problema comporta un aumento della disabilità.
  Sull'ultimo punto pongo una domanda specifica. Abbiamo seguito molto con il Forum delle famiglie, che certamente voi avete ascoltato, tutto il dibattito sull'ISEE e il Forum ha fatto una serie di valutazioni, di integrazioni e di critiche ad alcune proposte del Governo.
  Poiché il Ministro ha detto che più resta in vigore questo ISEE e più si commettono ingiustizie, vi chiedo se e fino a che punto nel nuovo modello ISEE che avete predisposto abbiate tenuto conto delle proposte del Forum delle famiglie. Nel caso specifico ci riserviamo di fare una valutazione insieme a loro per restituire in termini propositivi un modello che sia davvero il riflesso del bisogno delle famiglie, in particolare delle famiglie numerose e di quelle che hanno in carico elementi di maggiore fragilità. Grazie.

  FRANCA BIONDELLI. Ringrazio il Ministro e il Viceministro per la relazione e sicuramente per la buona volontà.
  Vorrei soltanto sottolineare alcune criticità e cercare di stare con i piedi per terra, evidenziando le difficoltà dei nostri comuni, le criticità delle nostre regioni e il fatto che talvolta le nostre regioni operano in senso contrario. Nella nostra Regione, il Piemonte, erano stati smantellati i consorzi socio-assistenziali, poi, in seguito a interrogazioni fatte anche dal Partito Democratico, siamo riusciti a frenare la cosa, evitando di causare enormi difficoltà.
  Vorrei tenere alta l'attenzione sulle non autosufficienze. Il collega del MoVimento 5 Stelle ha dichiarato che tutti i Governi precedenti hanno tagliato i fondi, ma io vorrei ricordare che il Fondo per le non autosufficienze venne istituito dal secondo Governo Prodi con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007) con lo stanziamento di 100 milioni per il 2007, 300 per il 2008, 400 per il 2009 e 400 per il 2010.
  Chiederei quindi il monitoraggio ma anche l'istituzione di tavoli di confronto con le regioni, con le quali purtroppo ci scontriamo sempre su queste gravi criticità. Piccolo esempio: famiglia con due bambini sfrattata, il consorzio dovrebbe anticipare i soldi per pagare l'affitto in quanto finalmente hanno trovato una nuova casa (quando si è più volte sfrattati difficilmente si trova qualcuno ancora disposto ad affittare un'abitazione).
  Il comune deve dare i soldi al consorzio, ma il consorzio non ha ricevuto i soldi Pag. 16dal comune e ci sono delle tempistiche così lunghe che ritroviamo la famiglia in mezzo alla strada, ma poi qualche volta anche quella politica tanto odiata va a sopperire a queste carenze.
  Sono necessari quindi molta attenzione e un coordinamento vero, tenendo però presente che i comuni in questo momento versano in gravi difficoltà.

  DELIA MURER. Anch'io ringrazio il ministro e il viceministro. Vorrei sottolineare solo alcuni aspetti. Mi pare che questo approccio sia importante, ma ho solo il timore che nella scarsità di risorse diventi un po’ velleitario come volontà di ridefinizione del welfare nelle sue finalità e nei suoi percorsi.
  La mia preoccupazione riguarda in primo luogo le risorse, e bene ha fatto l'onorevole Biondelli a ricordare come dal 2008 sia stato tagliato del 75 per cento il Fondo per le politiche sociali, mentre molti fondi previsti da leggi ad hoc sono stati azzerati. Mi riferisco in particolare a quello che prevedeva l'inclusione degli immigrati o ai fondi sulle famiglie.
  Ci troviamo quindi con poche risorse da rimodellare, quindi il tema del finanziamento appare importante. Nella passata legislatura, con il Governo Monti avevamo fatto una grande battaglia, anche dal punto di vista simbolico, per il rifinanziamento del Fondo per la non autosufficienza e del Fondo sociale, ma credo che sia necessario inserire in questa ridefinizione delle modalità di approccio, che mi trovano consenziente, anche delle risorse.
  Credo infatti che soprattutto in questo ultimo periodo la tenuta del welfare sia stata garantita solo dalla buona volontà del Terzo Settore, che ha fatto sacrifici in termini non solo di lavoro, ma anche di stipendi, di vicinanza, e delle amministrazioni comunali che si sono impoverite per finanziarlo. Questi due soggetti hanno garantito la tenuta del nostro Paese di fronte all'incremento delle disuguaglianze e della povertà. Su questo mi aspetto quindi qualcosa di più dal nuovo Governo.
  Provengo da Venezia, una delle dodici città della sperimentazione della social card, che è molto più vantaggiosa di quella presentata dal Governo precedente, quando si trattava di una sorta di elemosina, che oltretutto aveva incontrato tante difficoltà applicative. Mi chiedo però come questa sperimentazione possa estendersi ai piccoli e medi comuni, perché le grandi città in qualche modo hanno fatto fronte, ma i comuni medi e piccoli non hanno proprio più risorse da mettere sul sociale, quindi dobbiamo stare attenti a non realizzare una scatola che rischia di essere vuota.
  Vorrei inoltre sottolineare due aspetti, il primo dei quali è stato già proposto dall'onorevole Miotto, ovvero la necessità di sburocratizzare il tema dell'invalidità. Nella passata legislatura abbiamo valutato casi di persone che avevano invalidità permanenti e credo che questa sia una cosa che bisognerebbe definitivamente chiudere, evitando di spendere risorse per procedure amministrative che rappresentano solo un aggravio per persone già in difficoltà.
  Le cooperative sociali hanno svolto un ruolo importante nella tenuta sociale del Paese, però abbiamo un problema: nel 2013 le cooperative sociali forniscono servizi con un'IVA ridotta al 10 per cento, ma in base al testo di legge definitivamente approvato, a causa della reiezione dell'emendamento da noi proposto, nel 2014 non sarà più così.
  In quel caso salterà una serie di appalti e di servizi che le cooperative sociali hanno con gli enti locali, perché questi non saranno più in grado di pagare i servizi. Questo è un problema molto grave che ci troveremo di fronte con le prossime scadenze finanziarie, quindi credo che sia importante pensarci da subito.
  Il mio auspicio è che all'interno di questa rivisitazione ci sia anche un tentativo di recuperare risorse da finalizzare verso un cambiamento reale. Grazie.

  EUGENIA ROCCELLA. Ringrazio anch'io il Governo che è stato giustamente ringraziato da tutti. Sono molto grata di aver appreso che si apre una nuova sperimentazione della social card, strumento Pag. 17che aveva dato buoni frutti e che era stato – non so perché – abbandonato dal mio Governo proprio quando era stato messo a punto.
  Mi sembra anche che aver focalizzato l'attenzione sulla famiglia sia effettivamente la modalità migliore per riprendere in mano la social card e riproporla.
  Sono invece in controtendenza per quanto riguarda il discorso sul Fondo per la non autosufficienza, di cui non sono mai stata una grande sostenitrice perché erano fondi mirati.
  Non avendo, infatti, la possibilità di controllare il modo in cui le risorse venivano impiegate, si è cercato di ovviare con piccoli fondi mirati, specifici, che però non erano controllabili, nel senso che ho verificato quanto sia difficile analizzare come quei fondi nella loro limitatezza (400 milioni al massimo di Fondo per la non autosufficienza rispetto ai miliardi che in realtà spendiamo per questa) venissero distribuiti alle regioni e ai comuni. Le cifre che vi affluivano erano veramente molto ridotte.
  Era comunque estremamente difficile verificare come venissero spese queste cifre, mentre per la social card è molto più facile verificare l'impatto dei servizi offerti e cosa arrivi ai cittadini.
  Mentre sul fronte sanitario è stata effettuata qualche verifica da questo punto di vista e abbiamo visto che le regioni che più spendono talvolta spesso spendono peggio, quindi non c’è un rapporto diretto fra livello di spesa ed efficacia ed efficienza dei servizi.
  Sul fronte delle prestazioni sociali (parliamo dei LIVEAS da tanti anni) è difficile farlo, e ho visto che l'unica ricerca realizzata su questo è un bellissimo libro bianco sull'invalidità pubblicato cinque anni fa e curato da una ricerca coordinata dall'Istituto Carlo Besta, l'unica ricerca che è entrata nelle case dei disabili con un questionario molto dettagliato, predisposto da personale appositamente formato.
  Questa ricerca molto particolare ha prodotto risultati sconcertanti, perché tutti i disabili con forme di disabilità, dalle più gravi alle più leggere, riconoscevano come facilitatore principale la famiglia e molto in fondo i servizi sociali, che spesso non venivano riconosciuti come facilitatori perché calibrati soprattutto su alcune forme di disabilità e meno su altre più gravi, che avrebbero richiesto uno strumento di intervento diverso.
  Poiché siamo in una grave situazione di penuria di risorse, non sono certa che il rifinanziamento del Fondo per la non autosufficienza, che anche solo nel titolo è una richiesta facilmente recepibile, sia il modo più adeguato di finanziare servizi efficienti.
  La mia domanda verte soprattutto sul Terzo settore, perché sono convinta che sia possibile partire da lì per ridisegnare il welfare. Vorrei capire, dalla questione dell'IMU al finanziamento dei bandi ad altre possibili iniziative, come il Ministro e il Viceministro intendano affrontare la questione del Terzo settore e valorizzarla nel tentativo di ridisegnare un welfare a partire da questo protagonista.

  FILIPPO FOSSATI. Tre titoli che sono domande, in realtà. Ringrazio anch'io il ministro e il viceministro anche dal punto di vista del metodo, la proposta di un modello a matrice in cui gli obiettivi sono intersecati da modalità e quindi da strumenti per il monitoraggio e la valutazione degli interventi stessi.
  Bisogna però trovare anche il modo di far risaltare alcuni punti di emergenza e di grande criticità ai quali dare risposta. Sono titoli che altri hanno ripreso, ma io sottolineo la drammaticità dell'urgenza. Lo sbocco e l'effettiva erogazione del Fondo sociale è un punto su cui contano i giorni, quindi ci vorrebbe una risposta da far arrivare sul territorio.
  Inoltre, la questione della non autosufficienza in un modello a matrice forse si può affrontare meglio, se dentro la strumentazione che il Governo si dà può intervenire un'intersettorialità con altri ministeri. La spesa della quota sanitaria della non autosufficienza è forse la spesa più inappropriata dell'intero sistema, perché non ha niente a che vedere con le prestazioni sanitarie ed è una spesa sociale Pag. 18non misurata, non controllata e non indirizzata agli obiettivi.
  Il terzo punto è quello delle risposte e del ruolo che vogliamo dare al Terzo settore in questo sistema di welfare. L'avete giustamente individuato come un punto decisivo della governance del sistema, ma il Terzo settore in questa situazione sta soffrendo, probabilmente soltanto un gradino meno del cittadino.
  Questo alimenta anche all'interno del Terzo settore delle dinamiche negative. Quando i pezzi del Terzo settore, la cooperazione sociale verso il volontariato, si trovano ad essere chiamati a sostituire l'un l'altro per le loro caratteristiche specifiche e si chiede al volontariato di fare in realtà un lavoro, si chiede alla cooperazione sociale di abbattere i costi fino a configurarla quasi come una sorta di volontariato sostitutivo, il sistema del Terzo settore non riesce più a rinnovare la sua grande ricchezza, cioè la possibilità di mobilitare capitale sociale e capitale umano nella costruzione delle reti di servizi sociali.
  In questo senso, alcune risposte devono essere date, ad esempio alle cooperative sociali in merito all'aumento di un punto percentuale dell'IVA che scade tra qualche giorno. È necessario inoltre fare chiarezza sull'affidamento dei servizi, sulla possibilità, quando si costruiscono i progetti e si affidano attraverso bando, di avere normative che riescano a dare a ognuno in relazione a quello che ognuno può e sa fare.
  Mi domando se sullo sfondo di questo discorso si possa pensare di utilizzare questo patrimonio italiano per impostare un welfare diverso. Se si potesse, si dovrebbe impostare il tema della presa in carico non quando l'emergenza sociale e il disagio sociale sono forti, ma in una fase precedente della vita degli individui; probabilmente varrebbe lo stesso discorso fatto per la sanità, che potrebbe farci risparmiare molto. Il Terzo settore è uno dei grandi operatori che ci potrebbero far fare questo salto verso un welfare di iniziativa.

  PRESIDENTE. Grazie. Vi chiedo gentilmente, colleghe e colleghi, di rimanere in Commissione perché il ministro e il viceministro sono disponibili – e di questo li ringrazio – a replicare subito ai vostri interventi.
  Do la parola al Ministro Giovannini per la replica.

  ENRICO GIOVANNINI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, presidente, io darò alcune risposte e poi lascerò la parola al viceministro. Vorrei provare a dare alcune risposte, di condivisione e di prospettiva.
  Proprio per la mia storia professionale precedente, come è stato ricordato, sono estremamente preoccupato della situazione sociale complessiva del Paese. I dati che l'Istat ha recentemente fornito nel rapporto annuale segnalano come non solo la povertà, ma anche il rischio di povertà e di esclusione sociale, ormai abbiano raggiunto un livello assolutamente insopportabile.
  Da questo punto di vista, al di là dei meccanismi, dei problemi e delle difficoltà per la gestione multilivello di queste politiche, credo che ci sia un problema di fondi non solo in termini di quantità, ma anche di continuità. Programmare qualcosa senza sapere se l'anno prossimo avrò o meno risorse non credo che sia il modo migliore per utilizzare al meglio le risorse disponibili. L'ho visto come manager di una grande istituzione: non sapere quale sarà l'anno prossimo l'ammontare delle risorse disponibili ti impedisce di fare quegli investimenti strutturali con riferimento al funzionamento delle politiche, che ti consentono poi di risparmiare più avanti.
  Su questo sono totalmente d'accordo con molti degli interventi fatti e, per ciò che potrò, mi batterò per questo aspetto, quindi non solo sul livello delle risorse disponibili ma anche sulla loro continuità.
  Secondo aspetto: rigore nel modo con cui queste risorse vengono spese. Non voglio far passare il messaggio che possano essere attuati chissà quali risparmi grazie alla realizzazione del sistema informativo Pag. 19delle politiche sociali, ma senza di esso non riusciremo a raggiungere, anche anticipatamente, alcuni soggetti che ne hanno bisogno, ma soprattutto non riusciremo a riorientare risorse necessariamente limitate (magari meno limitate di quello che sono oggi) ai soggetti maggiormente in difficoltà.
  Questo ce lo dobbiamo dire, perché altrimenti rischiamo di fare dei castelli in aria: monitorare, selezionare, scambiare informazioni tra i livelli centrali e i livelli periferici su chi sono i beneficiari delle prestazioni, come sono stati trattati, come si intende trattare, e magari si ritrovano persone che erano state trattate cinque anni fa, perché questo è un elemento conoscitivo fondamentale. Ci riempiamo la bocca affermando di essere la società dell'informazione e poi in realtà non usiamo e non strutturiamo l'informazione per prendere le decisioni migliori.
  Vorrei dirlo veramente con forza, perché quando parliamo dell'investimento in un sistema informativo non significa che vogliamo comprare computer o fare corsi di informatica: stiamo parlando di un elemento fondante di una politica corretta. Per questo, vogliamo procedere il più rapidamente possibile nell'implementazione di tutto questo, perché crediamo profondamente che sia indispensabile.
  Il terzo punto che vorrei trattare è il tema del continuum dall'ammortizzatore sociale rappresentato dalla Cassa integrazione ordinaria al reddito minimo o reddito di cittadinanza, che naturalmente è una cosa diversa. Oggi, grazie agli ammortizzatori sociali in deroga, abbiamo un continuum che è veramente difficile da ridefinire. Non è questa la sede, ma in Commissione lavoro ho detto che anche grazie al decreto-legge n. 54 del 2013, varato pochi giorni fa, che interviene sul monitoraggio e sulla sistemazione degli ammortizzatori in deroga, dobbiamo aprire questo fronte, perché quando un ammortizzatore del lavoro non ha più nessuna relazione con il posto di lavoro in realtà non è più un ammortizzatore.
  Dobbiamo quindi immaginare che quel continuum cambi natura, cambi indirizzo per riuscire a far sì che le persone che sono in quella situazione vengano riorientate al lavoro o a seconda dell'età in altre direzioni e che comunque il sistema si faccia carico, magari ri-formando le persone che invece possono e devono essere reinserite nel sistema produttivo. Qui lavoro e politiche sociali si intrecciano per tentare di ridurre al minimo il numero di coloro che sono costretti a ricorrere a interventi di politica di mero sostentamento invece che di reinserimento.
  Dico questo anche per rispondere al tema del reddito minimo di inserimento, perché insieme al viceministro costituiremo a breve un gruppo che prenda tutte le pratiche emerse ultimamente e le ipotesi sul tavolo per formulare una proposta governativa sull'argomento. La nuova social card va già in quella direzione (stiamo parlando di una sperimentazione), recentemente sono stati realizzati interessanti studi su questa e altre sperimentazioni, per cui il disegno del sistema va accuratamente fatto perché stiamo parlando di dimensioni notevoli, e questi studi mostrano come un errato disegno del sistema possa portare a una diversa efficacia in una direzione piuttosto che in un'altra.
  Altre due considerazioni: non entro sulle questioni della revisione della disciplina sui contratti interinali e sulle pensioni, anche se chiaramente è tutto collegato, e in merito alle pensioni ho detto chiaramente anche in alcune interviste che dopo l'estate affronteremo questa questione. Il Presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere ha indicato l'ipotesi dell'anticipazione con penalizzazione, che affronteremo, non a breve; sul punto sono state presentate anche delle proposte di legge in Parlamento.
  Infine, sul tema delle deleghe da attribuire: le deleghe per gioventù e servizio civile sono state attribuite, mentre mancano ancora famiglia e politiche antidroga, quindi il Governo sta procedendo da questo punto di vista.
  Sul Fondo per le politiche sociali, che molti di voi hanno citato: da vari giorni anche con lettere ufficiali sto chiedendo al Pag. 20ministero dell'economia e delle finanze la ragione del blocco dei fondi. Naturalmente ci sono alcune motivazioni e tra mezz'ora abbiamo un altro incontro per tentare di superare una serie di ostacoli. La ragione per cui il Fondo si è bloccato è il modo con cui è stata costruita la norma e, poiché il Fondo per le politiche sociali non era immune, come altri fondi, da possibili congelamenti, se le regioni non avessero fatto certe operazioni non si sarebbe determinato il blocco.
  Avendone già discusso con le regioni, stiamo cercando di capire se ci sia stato un difetto di comunicazione o ci siano altri problemi, quindi stiamo lavorando intensamente su questo anche perché siamo ormai a metà anno e, come è stato ricordato da alcuni di voi, il tempo passa.
  Ultima considerazione prima di lasciare la parola al viceministro: Terzo Settore. Questa mattina abbiamo incontrato il Forum del Terzo Settore con cui abbiamo avviato un percorso di approfondimento, che ci ha fatto una serie di osservazioni ma soprattutto di proposte, anche di medio termine.
  Il ministero ha intenzione di avviare un percorso sulle questioni non solo di breve, ma anche di medio termine; i risultati non verranno nell'arco di poche settimane, ma crediamo profondamente in questo settore, e oggi incontrandoli citavo come in un recente incontro del mondo del Terzo Settore a Bertinoro qualcuno ha chiesto perché continuiamo a chiamarlo Terzo Settore, come se fosse arrivato terzo in una gara, quando invece è un settore importantissimo.
  Credo in tutto questo, le tematiche di cui abbiamo parlato questa mattina sono estremamente complesse, apriremo dei tavoli per confrontarci anche su una prospettiva di medio termine. Si è costituito un gruppo interparlamentare su questo tema e naturalmente sarà un'ulteriore opportunità di confronto con il Parlamento anche su questo aspetto.
  A questo punto, lascerei la parola al viceministro per una serie di altre risposte.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie. Si, sono moltissimi i temi che avete posto e ovviamente sono temi da legislatura e quindi avremo occasione di ritornarci con voi in diversi momenti (almeno si spera, altrimenti vorrà dire che non avremo fatto le cose che abbiamo detto).
  Vorrei parlare di due cose in particolare, una riguarda l'ISEE e l'altra la non autosufficienza. Per quanto riguarda l'ISEE, vorrei intanto sgombrare il campo da due considerazioni opposte, ma entrambe nefaste, dal punto di vista della possibilità di mettere in piedi uno strumento apprezzabile. Una è l'idea che la riforma dell'ISEE abbia come prospettiva quella di ridurre l'intervento, cioè di essere utilizzata come strumento per un giro di vite e togliere risorse al finanziamento delle spese sociali, l'altra che l'ISEE possa essere utilizzata per dare risorse alle politiche sociali.
  Nessuna delle due considerazioni è vera: l'ISEE è uno strumento di misurazione, è un metro della condizione economica, non è in sé uno strumento di politiche sociali. La sua fondamentale rilevanza sta nel fare questa misurazione nel modo più accurato possibile, per evitare da un lato iniquità, perché misurare male calcolando ottanta centimetri dove c’è un metro può avere effetti sbagliati e iniqui sulle politiche sociali, per cui un nucleo familiare con maggiori risorse accede a tariffe inferiori perché le sue risorse sono state valutate male.
  L'altro problema è che la misurazione corra il rischio di un mancato controllo e quindi di favorire chi fa delle denunce sbagliate. Cito un esempio: vi sembra plausibile che dal nostro ISEE attuale risulti che nel Sud il 95 per cento delle famiglie che fanno la dichiarazione sostitutiva unica (DSU) non ha un conto corrente, neppure con 10 euro, e più dell'80 per cento al Nord ? Non sono dati plausibili.
  È possibile che il 25-26 per cento delle famiglie che fanno la DSU dichiari un reddito più basso di quello che ha dichiarato nella dichiarazione dei redditi e che queste cose non siano controllabili ? Chiaramente Pag. 21questo è un problema di controllo, non perché vogliamo fare i poliziotti, ma perché crea ingiustizia sociale.
  La forza dell'ISEE è di essere uno strumento di equità che misura in modo corretto, non nel senso che con l'ISEE facciamo la politica per le famiglie numerose, per la disabilità, per la disoccupazione, per quelli che sono senza casa. Ne potrei elencare quaranta per ricordarvi che, se ciascuno fa sua una di queste prospettive, ha distrutto lo strumento, perché non è quello che possiamo fare, altrimenti facciamo come è successo per esempio con franchigie molto generose nell'istituto attuale, che ha comportato il fatto che nella maggior parte dei casi l'ISEE sia a zero e quando è a zero l'ISEE non sta svolgendo il suo compito, perché con tutti a zero non si possono mettere in fila le famiglie per attuare politiche di selettività, che vuol dire non tanto discriminare la possibilità di accedere, perché in pochissimi casi l'ISEE ha questa funzione, ma soprattutto fissare le tariffe.
  Ovviamente nessuno strumento è così «doc» da potere essere l'ideale che vi ho raccontato, e in più il Parlamento ci ha dato alcune indicazioni molto precise, una delle quali è quella di guardare con favore alle famiglie numerose, a partire dalle famiglie che abbiano almeno tre figli, cosa che ovviamente abbiamo fatto, mentre l'altro elemento è quello relativo alla disabilità. Abbiamo seguito le indicazioni fornite dalla norma di legge.
  La proposta che arriverà alla vostra attenzione e su cui ovviamente dovreste dare il vostro dettagliato, informato e consapevole parere è una proposta che però deriva da un processo di confronto di cui non conosco precedenti nella storia recente, nel senso che il progetto di decreto è stato sottoposto nella sua versione letterale a un doppio giro di confronto che ha coinvolto prima di tutto gli attori istituzionali, quindi le regioni, le province e i comuni, in secondo luogo i sindacati in tutte le possibili declinazioni (responsabili generali, responsabile del welfare e sindacati delle pensioni, compresi quelli dei lavoratori autonomi), il Forum del Terzo Settore, la Federazione italiana per il superamento dell'handicap (FISH) e la Federazione tra le associazioni nazionali dei disabili (FAND), in quanto federazioni delle persone con disabilità, e il Forum delle famiglie.
  Tutti questi soggetti sono stati consultati due volte e le loro sollecitazioni e critiche sono state ampiamente accolte. Ovviamente, non potete pensare che abbiamo accolto tutte le istanze provenienti da tutti, perché ciascuno, oltre ad avere l'interesse a realizzare uno strumento adeguato, era anche rappresentativo di qualcosa, quindi per forza lo strumento rappresenta anche delle mediazioni o il giusto orgoglio di persone esperte che hanno lavorato su questo tema, compresa la sottoscritta, e le persone che lavorano con me, ma anche il gruppo di esperti che abbiamo attivato, che peraltro sono gruppi internazionali.
  Abbiamo a volte obiettato che stessero dicendo cose che non stavano né in cielo né in terra e quindi abbiamo apposto anche problemi di tipo scientifico, se posso usare questo termine.
  Credo che nel valutare questa cosa voi dobbiate tenere in considerazione questi temi, e poi ovviamente avrete dei suggerimenti da dare. Noi dobbiamo comunque intervenire sullo strumento e abbiamo anche alcuni suggerimenti dal Consiglio di Stato, quindi c’è ovviamente ampia disponibilità, come deve essere, ma anche come sentimento, a dar corso a suggerimenti che verranno, al parere che verrà dal Parlamento, però fate attenzione al fatto che lo strumento è molto complesso e va guardato nella sua complessità.
  Se dal Forum delle famiglie che ho incontrato due giorni fa viene sollevata un'obiezione in merito al fatto che abbiamo usato come scala di equivalenza quella della povertà assoluta, rispondo che non hanno letto il testo perché noi non abbiamo usato quella scala di equivalenza nel modo più assoluto. Avremmo avuto una scala di equivalenza molto meno favorevole a figli e famiglie numerose, quindi attenzione a leggere attentamente il Pag. 22testo, e vi chiederemo poi di essere auditi per entrare anche nei dettagli tecnici.
  È un tema veramente delicato, è una grande riforma, ma deve essere messa nel suo ruolo, perché questo permette agli enti erogatori di fare le politiche per le famiglie in modo trasparente, non attraverso la manipolazione (non uso questo termine in senso negativo), l'alterazione, la modificazione di un coefficiente, ma attraverso un'esplicita presa di posizione.
  Cito un esempio e chiudo su questo per poi aggiungere pochissimo sul resto per non abusare del vostro tempo. Se devo ottenere che una famiglia con due figli che vanno all'asilo nido per pagare meno debba avere un ISEE più basso, non arriverò mai a quell'esito, perché anche se io, Maria Cecilia Guerra, o Enrico Giovannini, mettessimo un ISEE basso, il comune che fa le tariffe potrebbe dire che la soglia sotto la quale far pagare meno è più alta o più bassa, perché sono loro che decidono le tariffe, non noi. È molto più efficace se, a fronte di un ISEE che dà una misura decorosa della condizione economica della famiglia, i comuni, come molti fanno, stabiliscono che in una famiglia con due figli all'asilo nido – che ha un costo spropositato – il primo paghi e il secondo non paghi o paghi il 20 per cento. Queste sono le politiche per la famiglia, perché cercare di ottenere lo stesso risultato modificando dei coefficienti è sbagliato e dà anche risultati ampiamente imprevedibili, perché li guardiamo con una politica ma hanno effetti non voluti sulle altre, e l'ISEE serve per uno spettro di politiche molto ampio.
  Attenzione quindi a queste cose, e lo dico proprio sotto il profilo tecnico, anche se ci metto passione perché metto passione in tutto.
  Per quanto concerne la non autosufficienza, nel programma su cui vorremmo lavorare con il ministero della salute in primo luogo e con le regioni non ho mai parlato del Fondo per la non autosufficienza, che è un modello importante ma un modello tampone. La logica su cui stiamo lavorando è quella di un programma per la non autosufficienza che ha proprio delle caratteristiche fondamentali come quella di agganciarsi a una definizione di livelli essenziali, di prestazioni standard che devono essere garantite e articolate in relazione al grado di bisogno che richiede una presa in carico e una valutazione multidimensionale, cosa che ancora non c’è proprio perché la filiera sociale e quella sanitaria non si parlano.
  Come anziano non autosufficiente (la disabilità ha delle altre peculiarità, come giustamente è stato richiamato) vengo valutato per i miei bisogni, mi si fa un programma personalizzato, vengo classificato in tre o quattro categorie (possiamo discuterne) e ho diritto a un certo budget che però può essere speso in caregiving familiare, cioè sostegno alla famiglia, acquisto voucherizzato di prestazioni sul mercato, servizi residenziali, servizi semiresidenziali, di cui però si cerca di costruire la struttura, perché in molte realtà italiane questa cosa non c’è.
  Per questo nel Piano Sud, che l'onorevole Roccella ma forse anche altri hanno richiamato, l'idea era di partire con le risorse che il Governo Monti ha dedicato ad esso per cominciare a strutturare dei servizi, in modo che poi questa possibilità di scelta di articolazione appropriata del servizio (non il ricovero inappropriato in ospedale) sia resa possibile.
  Al Sud si sta procedendo con difficoltà perché (rispondo anche all'onorevole Cecconi) non abbiamo la possibilità di imporre qualcosa a regioni e comuni che hanno la potestà esclusiva sulle politiche sociali. Finché non costruiamo nel secondo modello degli obiettivi di servizio la disponibilità programmata delle risorse e dei livelli essenziali, noi non possiamo imporre delle cose a Enti che sono sovrani su questi temi, e per questo utilizziamo anche altri strumenti quali gli obiettivi di servizio, le linee-guida, i piani d'azione e i tentativi di sperimentazione che mettano insieme comuni e regioni diverse per fare sistema. Questo è il ruolo che possiamo svolgere perché per il resto o cambiamo il disegno costituzionale o evidentemente abbiamo un potere limitato.Pag. 23
  Finché abbiamo dei fondi, specialmente il Fondo nazionale per le politiche sociali che da questo punto di vista è preziosissimo, cerchiamo di usarli proprio nell'ottica della costruzione graduale di obiettivi di servizio, con l'accordo delle regioni che noi sentiamo, perché le abbiamo già sentite, il Ministro le ha incontrate così come ha incontrato il Terzo Settore. Incontriamo, infatti, tutti i protagonisti, è proprio un metodo di lavoro che ci siamo dati perché è con loro che costruiamo gli obiettivi di servizio, non li imponiamo dall'alto, sarebbe una cosa priva di significato, tanto più che peraltro nell'ambito delle politiche sociali le regioni, con proposte articolate e dettagliate, hanno già fatto un lavoro di partenza molto elaborato.
  Molte delle sollecitazioni che voi ci avete dato sono per noi molto importanti, in parte anche a conferma di quello che stiamo facendo.
  Sulla burocrazia mi si permetta una nota polemica. Adesso, per quanto riguarda l'indennità di accompagnamento, abbiamo la difficoltà di evitare l'aggravio molto forte che può derivare alle persone che sono destinatarie dell'indennità di accompagnamento da una decisione presa dal Parlamento all'unanimità, e cioè di fare altre 200 mila visite straordinarie.
  Questo comporta un problema perché spesso la visita straordinaria precede di poco quella ordinaria. Abbiamo già avuto un incontro con l'INPS per cercare di programmare insieme alle regioni il fatto che quando le ASL sono in grado di certificare che la visita ordinaria è in programma e quindi verrà fatta tra poco, la visita straordinaria non viene fatta su quel soggetto. Questo è uno dei tentativi che faremo non solo per sburocratizzare, ma anche per non avere, come giustamente ricordava l'onorevole Miotto, ricadute negative sulla bontà della prestazione. Grazie.

  DELIA MURER. Scusate, io vorrei solo ribadire al ministro e al viceministro la necessità di prestare un'attenzione particolare al tema dell'IVA per le cooperative sociali, in termini sia di verifica che di iniziativa.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il ministro Giovannini e il viceministro Guerra anche per la tempestiva ed esauriente risposta che hanno voluto dare alle domande poste dai componenti della Commissione. Dichiaro così conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.40.