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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 19 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 3 
Calabrò Raffaele (PdL)  ... 5 
Grassi Gero (PD)  ... 6 
Sbrollini Daniela (PD)  ... 7 
Gelli Federico (PD)  ... 8 
Carnevali Elena (PD)  ... 10 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 12 
Iori Vanna (PD)  ... 12 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 13 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 15 
Lorenzin Beatrice , Ministro della salute ... 16 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 13,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro della salute, Beatrice Lorenzin, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del ministro della salute, Beatrice Lorenzin, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
  Come ricorderete, nella scorsa seduta abbiamo interrotto lo svolgimento degli interventi, avendo avuto un numero elevato di iscrizioni a parlare.
  Prego i colleghi, nei limiti del possibile, di essere sintetici nella formulazione delle domande e delle osservazioni.

  VITTORIA D'INCECCO. Signor presidente, cercherò di limitarmi a dare qualche consiglio, se può essere accettato, rispetto alle questioni sollevate dall'intervento del ministro.
  La ringrazio, signora ministro, di essere tornata in Commissione. Mi è piaciuto molto il ruolo che, nel suo programma, riveste la prevenzione. Ho visto che lei concorda con noi quando affermiamo che la sostenibilità futura del Sistema sanitario nazionale potrà essere garantita da efficaci misure di prevenzione nei confronti delle malattie croniche, attraverso una modifica degli stili di vita, incentivando quelli che tendono a preservare lo stato di salute.
  È necessario che i ragazzi imparino non solo dalle famiglie, ma anche dalla scuola, quindi dai docenti, e dai loro idoli eroi, atleti e cantanti. Bisognerebbe inoltre verificare quello che è possibile ottenere attraverso la pubblicità: mangiare in modo inappropriato fa male; fumare fa male; non usare o usare in maniera esagerata il proprio corpo fa male. Bisognerebbe quindi introdurre nelle scuole un modulo didattico dedicato agli stili di vita.
  Per fare questo, però, è fondamentale che le risorse del Sistema sanitario nazionale in fase di riparto siano destinate, almeno per il 10 per cento, alla prevenzione.
  In particolare, vorrei segnalarle che sta prendendo piede una visione della prevenzione fatta esclusivamente attraverso le campagne pubblicitarie, relegando la medicina di base – e questo mi dispiace – a un ruolo del tutto marginale.
  Tutti gli studi dimostrano che i risultati migliori si raggiungono solo attraverso un coinvolgimento attivo della medicina di base. Per questo credo che una parte dei fondi del Piano nazionale della prevenzione potrebbe essere utilizzata per fare un accordo nazionale con la medicina di base per la prevenzione, affinché i medici siano coinvolti per raggiungere, tra i loro assistiti, risultati in linea con le raccomandazioni ministeriali, ad esempio in tema di vaccinazione antinfluenzale, screening oncologici, valutazione del rischio cardiovascolare, Pag. 4riduzione del fumo e di tutti gli altri comportamenti che portano inevitabilmente a uno stato patologico.
  Un altro aspetto che mi permetto di mettere in risalto è la tutela della salute nei luoghi di lavoro. In un settore così delicato, direi vitale, il ruolo del Sistema sanitario nazionale non può essere esclusivamente quello di sanzionatore. In molte parti del Paese, invece, il Sistema sanitario nazionale in questo campo ha esclusivamente un ruolo di controllore e sanzionatore, talvolta anche opprimente, a causa della complessità delle norme da osservare.
  Nel campo della prevenzione sui luoghi di lavoro, bisognerebbe aumentare la sicurezza e ridurre la complessità delle norme. Penso soprattutto ad attività che riguardano i servizi, ma si potrebbero concordare con i sindacati i settori lavorativi nei quali semplificare le norme, dato che la loro complessità talvolta comporta dei costi che mettono fuori mercato le aziende. Un ruolo attivo del Sistema sanitario nazionale in questo campo può, dunque, contribuire ad aumentare la sicurezza e a ridurre i costi in alcuni settori dell'economia.
  A Pescara, nella mia città, il 31 maggio abbiamo organizzato un incontro, cui ha partecipato anche l'onorevole Amato, qui presente, nel quale abbiamo messo a confronto alcune regioni virtuose. L'intervento del rappresentante della regione Toscana è stato illuminante in questo senso, perché ha messo in evidenza come sia necessario potenziare il territorio per poter coniugare qualità, sostenibilità economica ed equità di accesso. È emerso che, soprattutto nelle regioni in piano di rientro, prima di riorganizzare la rete ospedaliera è necessario realizzare una rete capillare di emergenza-urgenza e potenziare il territorio.
  La legge Balduzzi, però, prevede di creare strutture territoriali aperte ventiquattro ore su ventiquattro, e questo va bene, ma a parità di risorse, questo non va bene. Il comitato di settore, una struttura delle regioni che tratta il rinnovo delle convenzioni, sta licenziando in questi giorni un documento che costituirà la base della trattativa con le organizzazioni sindacali della medicina di base, per adeguare la convenzione dei medici di famiglia alla legge Balduzzi. Noi preghiamo la signora ministro di farsi portatrice delle esigenze dei medici di base e di cercare in qualche modo di migliorare quel documento. Il vincolo delle risorse deve essere modificato, altrimenti le regioni in piano di rientro non saranno mai nelle condizioni di mettersi alla pari con le altre regioni.
  È necessario, anche in questo caso, almeno per un paio di anni, poter utilizzare le risorse del Sistema sanitario nazionale che annualmente vengono riservate ai progetti prioritari del Piano sanitario per ridisegnare i nuovi assetti della medicina di base; per realizzare una corretta presa in carico, da parte dei servizi territoriali, dei problemi derivanti dalla non autosufficienza e anche dalle cronicità, e di quelli delle persone fragili, spostando quei fondi sul sociale e rifinanziando il piano della non autosufficienza, che ormai, come saprà, è ridotto a zero.
  Vorrei continuare, ma mi permetto soltanto di richiamare un altro punto, quello dell'informatizzazione del nostro Sistema sanitario nazionale, perché se ne parlerà a breve. In questo campo le regioni vanno messe nelle condizioni di dotarsi di un sistema informatico che sia in grado di dialogare con il sistema informatico del Ministero della salute. Avviene, invece, che il Ministero dell'economia, per mezzo di SOGEI, nelle regioni più deboli svolge un ruolo non di supporto ma di commissariamento, il tutto a danno del sistema, con costi che si trasferiscono in periferia, cioè sulle regioni, e infine sui medici di famiglia. Basti vedere quello che avviene con la trasmissione elettronica delle ricette. Chiedo che si riveda questa condizione e che il Ministero dell'economia e SOGEI escano da queste attività.
  Ancora, mi piacerebbe parlare della ricerca e del potenziamento dei centri di ricerca anche nel nostro Paese. Spero, tuttavia, che si creerà un rapporto di collaborazione con il ministro, quindi ne potremo parlare più avanti.

Pag. 5

  RAFFAELE CALABRÒ. Signor presidente, cercherò di essere telegrafico e di sviluppare il mio intervento per capitoli, soffermandomi solo su alcuni aspetti.
  Tra i temi che avrei avuto piacere di approfondire, se avessi avuto più tempo, vi è la ricerca. Il ministero ha un'area dedicata a questo settore, che probabilmente fino a oggi non ha avuto un indirizzo molto preciso nella ricerca clinica. Bisognerebbe, invece, indicare un obiettivo e specificare che cosa la ricerca clinica oggi può costruire.
  Altro tema, già trattato dalla collega che mi ha preceduto, è quello della medicina elettronica e dell'informatizzazione. Molte delle nostre valutazioni, del miglioramento degli esiti, dipendono da come arrivano i flussi informativi. Oggi c’è ancora molto disordine, in questo campo, nelle regioni, e le valutazioni a volte sono inficiate da flussi carenti tra le regioni e il ministero.
  Vi è la necessità di creare reti di eccellenza transregionali. Esistono una serie di specialità per le quali non è necessario che in ogni regione vi siano strutture. Tuttavia, poiché l'organizzazione è affidata alle singole regioni, non si riesce a governare un processo centrale.
  Esistono realtà per le quali basterebbero tre centri, uno al nord, uno al centro e uno al sud, o magari cinque o sei centri. Questo è un governo del sistema del quale credo debba occuparsi a livello centrale il ministero, individuando le specialità e indicando quali strutture devono rimanere e quali invece non hanno senso.
  Infine, credo che il Governo sta conducendo sapientemente, ma con grande difficoltà, il tentativo di cercare fondi, di ricavare qualcosa dal «fondo del barile ! Non possiamo immaginare che la sanità del sud possa recuperare se non si investe su strutture e tecnologie.
  Arrivo ai temi su cui vorrei soffermarmi. Sul primo, non avendo alcun suggerimento e alcuna soluzione da proporre, mi limiterò a offrire uno spunto di riflessione alla Commissione e al Governo. Mi riferisco al rischio della medicina low cost. L'aumento dei ticket, le difficoltà economiche del Paese, la necessità di ricorrere, a causa delle lunghe liste d'attesa, fuori del sistema pubblico, spingono molto spesso il paziente – e l'offerta va crescendo – verso la medicina a basso costo, la quale molto spesso è di bassa qualità. Credo che ce ne dobbiamo preoccupare. Prima di ritrovarci invasi da Groupon, anche nell'ambito della medicina – il processo è già cominciato – credo che dobbiamo immaginare una soluzione che freni una deriva di questo genere.
  Il secondo tema investe l'Europa. Il nuovo Programma quadro 2014-2020 finalmente include anche l'area della sanità. È una grande occasione che abbiamo per questo Paese, per alcune aree in particolare. Il ministero sicuramente si è già attivato in proposito, ma credo debba puntare molto sulla possibilità di utilizzare i fondi europei per il sistema sanitario, che fino a oggi non avevamo ancora avuto. Su questo argomento, peraltro, so che si riunirà la Commissione europea, non ricordo se la prossima settimana o tra due settimane. Immagino che parteciperanno rappresentanti del Governo o forse il ministro stesso.
  Tra l'altro, si affronterà un tema particolare, che vede una posizione diversa tra la pronuncia del Consiglio superiore di sanità e quella – sebbene non definitiva – del Consiglio dell'Unione europea: le sigarette elettroniche. Il problema è se debbano essere considerate o meno un prodotto medico. Il Consiglio superiore di sanità si è espresso in maniera negativa. Mi preme sapere se il Governo ritiene di conservare questa posizione oppure di adeguarsi a quella che l'Irlanda e il Consiglio dell'Unione europea in qualche modo stanno portando avanti.
  Un tema che il ministro nella sua relazione ha affrontato ampiamente, che altri colleghi hanno ripreso e che credo sia forse il tema principale di questo momento storico della sanità in Italia è quello del personale. Signora ministro, il Governo deve reinquadrare la situazione del personale sanitario nelle nostre strutture sanitarie pubbliche, a partire dagli ambiti di specializzazione. Sono decenni che noi Pag. 6conserviamo le stesse borse di studio, per le stesse specialità, in tutto il Paese, semmai riducendole, ma non cambiandone la destinazione, indirizzandole a specialità che ormai hanno scarso rilievo epidemiologico e non a specialità che ne hanno, invece, uno sempre più crescente.
  La preghiera è, in primo luogo, che non si perdano borse di studio, il che quest'anno è già avvenuto e lei ne conosce i motivi. Siamo passati da 5.000 a 4.500 e il rischio è quello di arrivare, il prossimo anno, a 2.600, in base ai calcoli economici effettuati, il che significherebbe una riduzione di un ulteriore 50 per cento. Questo è un pericolo da scongiurare. Si tratta invece di inquadrare meglio le specialità che oggi hanno una necessità di studio e per le quali c’è un mercato di lavoro.
  Va affrontato differentemente il tema del blocco del turnover, il quale nelle regioni in piano di rientro ha assolutamente affossato il sistema sanitario pubblico. Non riusciamo a dare una qualità di servizi adeguata perché la mancata assunzione, ormai dal 2006, di medici nelle regioni in piano di rientro ha indebolito il sistema sanitario. Non siamo in grado neppure, a volte, di recuperare turni di guardia nel pronto soccorso, se non ricorrendo a straordinari, auto-convenzionamenti, convenzionamenti esterni, con aumento di spesa – e non assolutamente risparmio – e ridotta qualità di servizio.
  È aumentato enormemente il numero dei precari. Qui si tratta di fare una scelta molto seria su quale debba essere il destino di gente che lavora nelle nostre strutture da tre, cinque, sette, dieci anni: concorsi riservati, una partecipazione privilegiata a concorsi pubblici oppure, mantenere un contratto, con una certa periodicità, a tempo determinato, come avviene in alcuni Paesi anglosassoni. Credo che questo sia un problema che il Governo e questo Paese devono affrontare in maniera sistematica.
  Infine, molte delle strutture pubbliche ospedaliere hanno all'interno medici di medicina convenzionata, i cosiddetti «ambulatoriali», che rispondono a un altro tipo di contratto. In carenza di personale e di possibilità di fare concorsi, questo è stato per alcune regioni l'unico meccanismo che ha consentito di avere persone che lavorassero negli ospedali. Si dovrebbe valutare se è giusto che queste persone facciano un passaggio definitivo all'interno dell'ospedale e si trasformino da soggetti convenzionati esterni in dipendenti del sistema ospedaliero.

  GERO GRASSI. Signora ministro, l'ho ascoltata attentamente e devo dirle che l'incontro con il ministro, per me, non dovrebbe essere un fatto rituale. Nell'ascoltarla, ho letto nelle sue parole ambiziose, che condivido, una sorta di new deal della sanità italiana e ho riflettuto su due elementi.
  In primo luogo, non so quanto tempo lei avrà per perseguire quegli obiettivi. Ovviamente mi auguro che ne abbia il massimo possibile. So, però, con certezza che lei non ha i soldi nemmeno per fare il 2 per cento di quello che ha detto. A questo punto mi sorge un dubbio, ovvero se la relazione è ambiziosa ma praticabile oppure se è soltanto un'ottima elencazione di problematiche che stanno sul tappeto.
  Devo dirle, con molta serenità, che ho apprezzato molto la sua relazione, a differenza di alcuni suoi colleghi che qui hanno reso relazioni di bassissimo profilo. Ho constatato, tuttavia, che nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Letta il tema della sanità e del welfare è passato di lì per caso. Non è una critica al Governo, bensì una constatazione dell'esistente. Basta prendere i giornali, laddove queste tematiche sono assenti e quando sono presenti, purtroppo, riguardano quei pochi casi di malasanità che fanno notizia, a differenza di tutta la sanità che funziona e che non fa notizia.
  Fatta questa premessa, entro nel merito. Credo, avendo incontrato lei come quarto ministro da quando sono deputato, che ci si debba concentrare su pochissime cose, altrimenti corriamo il rischio di non farne nessuna. Ho ascoltato i colleghi e ho apprezzato le tante rilevazioni positive espresse da ognuno di loro, come pars construens e non come pars destruens. Io, Pag. 7però, ritengo che nella sanità italiana ci sia un problema drammatico, che io le voglio affidare, sfidandola ma dicendo anche che sono disponibile a collaborare: l'ingiustizia che si determina a seconda di dove ognuno vive. Noi non abbiamo una sanità, ma il Titolo V – diciamolo con autocritica, prima che lo dica qualcun altro – ci ha partorito venti sanità. L'articolo 32 e l'articolo 3 della Costituzione oggi sono inattuati.
  Badate, questo non è soltanto il grido disperato di allarme di chi conosce la parte negativa dell'Italia. Credo che questo non faccia bene nemmeno alla parte positiva, la quale, dove l'Italia esprime una sanità di altissimo profilo, è di fatto danneggiata dai «viaggi della speranza» di coloro che oggi, con una mobilità molto diffusa, si spostano dove la sanità funziona.
  La conseguenza di questo – e concludo, perché non voglio tediarla – non può essere una dichiarazione di fiducia e di ottimismo da parte del ministro. Occorrono atti concreti, e quali sono ? Qui parlo da dirigente di una regione italiana, una regione media. Le regioni dovrebbero essere indotte a fare meglio, di più, e a spendere meno in sanità, perché sono un serbatoio di spesa inesauribile. Le regioni, però, soprattutto quelle più egoiste, dovrebbero essere accompagnate, anche nella Conferenza Stato-regioni, a rivedere i criteri derivanti dall'articolo 3 e dall'articolo 32 della Costituzione.
  Non può essere un dato acclarato (lei è il quarto ministro a cui dico questo, quindi non ho molte speranze, ma devo dirglielo comunque) che il povero in sanità rimane povero e il ricco lotta per diventare sempre più ricco. Allora, dobbiamo andare a monte, ristabilendo nella Conferenza Stato-regioni – che non lo farà mai senza il suo autorevole contributo – i parametri di retribuzione delle regioni. Se non facciamo questo, facciamo fictio iuris o ci prendiamo in giro parlando di sanità.
  Voglio dirgliela tutta, perché credo sia che la mia longevità me lo consenta sia che lei sia l'ultimo ministro con il quale mi confronto (parlo di me, perché difficilmente sarò qui alla prossima occasione, avendo altre cose da fare). Esiste un consociativismo negativo di regioni opulente di centrodestra e di centrosinistra – perché il denaro non ha padroni – che di fatto blocca una riconfigurazione di quei criteri e il recupero di alcune regioni che, anche attraverso lo stesso Patto di stabilità, vengono ulteriormente penalizzate.
  Io sono interessato a che la siringa abbia lo stesso costo nelle diverse regioni italiane – perché no ? Sarebbe delittuoso non perseguire questo obiettivo – ma sono interessato anche che il cittadino, che viene prima della siringa, sia considerato nello stesso modo sia nell'estrema periferia della Sicilia, sia nella Val d'Aosta o nel Trentino. Questo, come lei sa, oggi non è.
  Convinto che la Commissione possa aiutarla in questo, la invito a prendere un'autorevole iniziativa in questo campo per risolvere a monte un problema che sarebbe a costo zero. Si tratta di riconfigurare l'articolo 32 della Costituzione, garantendo il diritto alla salute a tutti quanti.
  Le auguro buon lavoro, nella consapevolezza che noi siamo disponibili a collaborare.

  DANIELA SBROLLINI. Ringrazio la signora ministro. Esprimerò poche osservazioni per essere breve e anche perché mi ritrovo in molti degli interventi e nella relazione svolta dal ministro nella seduta precedente.
  Vorrei chiederle alcuni impegni rispetto a quello che lei ha già ben evidenziato nella sua relazione qui in Commissione. Il primo è quello di una corretta ed equa applicazione dei livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni. Riprendendo quello che diceva l'onorevole Grassi, le macrodifferenze tra una regione e l'altra sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Quindi, un impegno ancora più forte e autorevole da parte sua, signora ministro, sarebbe assolutamente opportuno. Peraltro, aggiungo che anche le regioni cosiddette «ricche», dove le prestazioni e i servizi sono di qualità più elevata, rischiano Pag. 8oggi di subire un arretramento, e soprattutto daranno la colpa – secondo me, in maniera non corretta – allo Stato, il quale taglia i trasferimenti e le regioni di conseguenza devono tagliare i servizi e via dicendo.
  Questa, a mio avviso, ormai è diventata una scusa, soprattutto in alcune regioni dove sappiamo che il livello di ricchezza è molto elevato, ma a monte si preferisce fare altre scelte, si decidono altre priorità piuttosto che mantenere un livello alto dei LEA.
  Un'altra questione riguarda alcuni impegni che aveva preso il Ministro Balduzzi con il decreto che è stato approvato nella scorsa legislatura. Mi riferisco, in particolare, alla richiesta, che noi come gruppo del Partito Democratico avevamo già avanzato nel 2012, di riaprire l'elenco delle malattie rare. Su questo mi piacerebbe fare una riflessione e magari riparlarne anche in Commissione, perché credo che questo sia un altro impegno importante che insieme al ministro potremmo portare avanti, proseguendo nella direzione intrapresa. Sappiamo che, purtroppo, ogni giorno – gli episodi li conosciamo, apprendendoli anche dai media – emergono nuove malattie che hanno un'incidenza forte in molti territori, e alcune malattie cosiddette «ambientali» che finiranno per non essere più nemmeno malattie rare ma malattie diffuse. Penso alla fibromialgia e ad altre malattie che addirittura stanno diventando invalidanti e colpiscono tutte le fasce di età, anche se nell'ultimo anno, almeno dagli elementi che sono in mio possesso, è emerso che esse riguardano una fascia di età sempre più bassa. Anche questo è molto preoccupante.
  Ho appreso che l'Unione europea avrebbe declassato in questi giorni la celiachia come una malattia improvvisamente non più considerata importante nel contesto italiano ed europeo. Noi sappiamo, però, che purtroppo i numeri continuano a crescere.
  Infine, signor ministro, vorrei chiederle qual è la situazione rispetto alla ludopatia, dopo che, nella scorsa legislatura, attraverso un emendamento del Partito Democratico, è entrata nel decreto Balduzzi e nei livelli essenziali di assistenza. Vorremmo capire se effettivamente c’è la possibilità di proseguire su questa strada. Sappiamo che le difficoltà economiche sono tantissime, ma purtroppo questa patologia è diventata una piaga sociale che riguarda tutto il territorio nazionale. È una malattia le cui conseguenze ricadono non solo sulla persona che si ammala, ma investe l'intera famiglia, con danni enormi alle persone e al contesto sanitario e sociale, che si scarica spesso solo ed esclusivamente sul volontariato (ad esempio sulla Caritas) o sugli enti locali, che sappiamo ormai non avere più risorse né le strutture adeguate per occuparsi della ludopatia.

  FEDERICO GELLI. Signora ministro, abbiamo ascoltato con grande attenzione il suo programma e le sue idee. Alcune parti del suo intervento, molto interessanti, trovano il mio totale convincimento e condivido la necessità di andare avanti celermente. Penso, ad esempio, all'emanazione del regolamento sulla definizione degli standard qualitativi, strutturali e tecnologici sull'assistenza ospedaliera; a una maggiore attenzione, in accordo con le regioni, all'attivazione delle unità complesse di cure primarie; e a tanti passaggi che non sto qui a riproporre.
  Prima di entrare nel merito di alcune proposte, anche da addetto ai lavori, operando da molti anni in questo settore, vorrei esprimere una prima preoccupazione che deriva dalla lettura, nella parte introduttiva della sua relazione, dell'espressione «universalismo mitigato». Vorrei comprendere meglio il significato di questa espressione, perché le interpretazioni possono essere diverse. Se per universalismo mitigato lei intende un universalismo selettivo, laddove si punta alla trasformazione del sistema sanitario universale, così come lo conosciamo dalla Costituzione, in un sistema nel quale i cittadini contribuiscono attraverso la spesa personale, alla trasformazione di un sistema che garantisce dei diritti in uno che lentamente diviene misto, nel quale molto Pag. 9è affidato alle mutue e alle assicurazioni private, questo ovviamente non ci trova totalmente d'accordo. Avrei piacere, dunque, di capire che cosa si intende per universalismo mitigato.
  Sappiamo benissimo qual è la fase che stiamo attraversando e l'indagine conoscitiva sulla sostenibilità economica del sistema sanitario si inquadra in questo contesto.
  Per la verità, almeno a me personalmente non è piaciuto nemmeno quello che è stato fatto dai precedenti Governi per quanto riguarda la sostenibilità del sistema sanitario, perché l'unico criterio che è stato utilizzato è quello dei tagli lineari e di una diminuzione della spesa sanitaria, senza entrare nel merito, o almeno non in maniera radicale, di importanti processi di innovazione.
  Mi permetterei di lanciarle alcune idee, la cui realizzabilità lei potrà verificare. Sicuramente la sostenibilità del sistema sanitario passa attraverso radicali cambiamenti. Sappiamo che questo sistema così com’è non può andare avanti. Abbiamo di fronte la prospettiva di un aumento della spesa sanitaria legato, da una parte, all'invecchiamento della popolazione, ai cambiamenti demografici del nostro Paese, all'aumento della spesa delle biotecnologie e via dicendo e, dall'altra, a una diminuzione delle entrate.
  Ci troveremo davanti a situazioni paradossali, magari ad ospedali con muri nuovi ma con vecchie modalità di erogazione dei servizi. Avremo tanti bellissimi ospedali – i piani di edilizia sanitaria hanno visto nascere, ad esempio nella mia regione, la Toscana, importanti complessi ospedalieri per acuti – ma il rischio è che non avremo più la capacità di un governo della spesa determinata da questi ospedali, quindi ci troveremo a gestire in maniera impropria le poche risorse disponibili.
  Credo che su questo bisognerebbe fare un salto di qualità attraverso l'introduzione di un'innovazione organizzativa e un'innovazione tecnologica. L'innovazione organizzativa passa attraverso una valorizzazione maggiore dell'offerta di assistenza sul territorio, l'unità di cure primarie, una diversa organizzazione dei medici di famiglia, e poi è necessario un migliore utilizzo dell'innovazione tecnologica.
  Entrambi, signora ministro, abbiamo partecipato al Forum PA. Lei ha citato dei numeri e io, condividendo le sue affermazioni, confermo che da alcuni studi è emerso che nel nostro Paese sarebbe sufficiente investire un miliardo di euro sull'innovazione tecnologica per avere una ricaduta di risparmi e di miglioramento dell'efficienza e della qualità dei servizi e delle prestazioni pari a 14 miliardi di euro. È necessario il coraggio della politica: questo non possono farlo i tecnici, ma deve farlo la politica, il ministero in accordo soprattutto con le regioni, considerando che il modello che abbiamo scelto è un modello federalista – sebbene di un federalismo incompleto – almeno nella gestione della sanità.
  Credo nella valorizzazione delle strutture alternative al ricovero ospedaliero. Sto pensando alla importante attività di assistenza domiciliare integrata, alle strutture come gli hospice, a quelle extraospedaliere, a bassa intensità di cura, che in collaborazione con i medici di medicina generale potrebbero erogare delle prestazioni a bassissimo costo in confronto agli ospedali. Insomma, bisogna spostare l'attenzione dagli ospedali per acuti, a cui fino a oggi tutti si sono rivolti, affollando i nostri pronto soccorso, somministrando cure inappropriate, spendendo tante risorse, a un'assistenza territoriale che sempre più dovrà andare incontro alle esigenze del paziente cronico, affetto da malattie degenerative, con forme di assistenza domiciliare che possono fare la differenza.
  Sul tema dell'innovazione, signora ministro, credo che dovremmo avere il coraggio di fare quello che hanno fatto anche altri Paesi, nell'idea che l'accesso ai servizi digitali deve avvenire in una logica, come dicono gli inglesi, open data e open service: gli ospedali e le strutture sanitarie sono collegati in rete grazie allo sviluppo di canali digitali gestiti dai privati, dove i privati hanno la possibilità di un loro Pag. 10ritorno e dove i cittadini possono fare le prenotazioni, pagare i loro ticket e avere l'accredito digitale per la prenotazione aerea insieme ad altri servizi della pubblica amministrazione o del privato.
  Insomma, bisogna far fare un salto di qualità all'approccio secondo cui il privato nel tema dell'innovazione può fare la differenza. Noi non avremo mai tutti i soldi necessari per fare quel salto di qualità di cui parlavamo nel campo dell'innovazione tecnologica nella sanità. Il privato lo può fare, con tutti gli interessi, i paletti e le garanzie che ovviamente devono essere date.
  Quest'operazione permetterebbe di creare nuove condizioni di crescita, di garantire una migliore uniformità su tutto il territorio nazionale, e di accorciare le distanze in termini comunicativi, informativi e scientifici tra pazienti, medici, strutture e istituzioni. Questo, a mio avviso, ci permetterebbe di far fare un salto di qualità al nostro sistema nel suo complesso.
  Mi avvio alla conclusione. Pensi che tipo di salto qualitativo potremmo fare sul tema dei fornitori e dell'acquisizione di beni e servizi nel sistema sanitario pubblico. Pensi al tema della fatturazione elettronica e della centralizzazione degli acquisti. Pensi a quanto questo ciclo tra strutture sanitarie pubbliche e fornitori, attraverso una centralizzazione, potrebbe ottimizzare gli acquisti sanitari, magari sulla base dei costi standard che da tanto pronunciamo e sul quale gradirei che il ministro ci dicesse qualcosa.
  Credo che anche su questo l'innovazione organizzativa, sposata con l'innovazione tecnologica, produca dei risparmi e dei miglioramenti del sistema. Non occorre quindi fare miracoli, ma piuttosto utilizzare al meglio le risorse che abbiamo, cercando di eliminare quegli sprechi e quelle disparità che ci sono nel sistema.
  Vorrei anche aggiungere, rispetto a quello che diceva il collega Grassi, che la qualità delle prestazioni prodotte non è direttamente proporzionale al trasferimento delle risorse. Infatti, ci sono regioni che hanno tantissime risorse, ma non le utilizzano bene, e anzi aggiungerei in termini un po’ forti che le sperperano; e ci sono regioni che invece, con quantità di risorse più limitate, offrono quei livelli essenziali di assistenza a cui tutti oggi ci vogliamo riferire.
  Queste sono alcune sollecitazioni e idee sulle quali forse ci potremmo confrontare nelle prossime settimane.

  ELENA CARNEVALI. Ringrazio molto il ministro per la disponibilità. Devo dire che buona parte degli obiettivi che sono stati esposti sono condivisibili. Contemporaneamente, nella sua relazione lei lascia aperte molte domande, per cui mi soffermerò su alcuni punti, dando un contributo, anche rispetto all'individuazione delle priorità, che è un'esigenza che credo tutti qui in Commissione abbiamo espresso.
  Noi abbiamo iniziato questo percorso con quest'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Anche oggi molti colleghi hanno affermato che non possiamo più pensare di proseguire in una logica incrementativa. Tuttavia, devo dire che se solo avessimo uno sguardo nei confronti di alcuni parametri – penso a uno per tutti, quello dell'OCSE – dovremmo almeno cominciare ad attestarci sulla condizione della media.
  Su un punto concordo pienamente, ed è quello che riguarda la prevenzione. L'ultimo rapporto OCSE 2000-2010 dice una cosa grave per l'Italia: noi siamo l'ultimo Paese per spesa sanitaria dedicata alla prevenzione (spendiamo solo lo 0,5 per cento). Questa necessità di inversione di rotta che lei ha evidenziato nella sua relazione va sicuramente perseguita.
  Prima il collega Gelli e altri sollevavano il tema di una ridistribuzione diversa, resa possibile dall'innovazione tecnologica, dalla razionalizzazione della spesa, e anche dall'individuazione di alcuni obiettivi che lei conosce molto bene.
  Non c’è solo una disparità tra regione e regione, ma anche una disparità interregionale. Porto come esempio l'indicatore del tempo che intercorre tra una frattura del collo del femore e il relativo intervento Pag. 11di natura chirurgica. Il numero di pazienti che viene operato entro 48 ore è pari al 14 per cento in Campania, e all'82 per cento a Bolzano. Sono indicatori che noi utilizziamo. Penso anche alla differenza tra Bergamo e Pavia, all'interno della stessa regione.
  Un altro dato che mi ha molto colpito è la costante diminuzione della soddisfazione dei pazienti intervenuta in questi ultimi due anni.
  Questo comparto impiega 830.000 persone, di cui 645.000 nella sanità in senso stretto, e 145.000 nei settori collegati (farmaceutica, applicazioni medicali e quant'altro). Giustamente il collega Gelli si poneva un interrogativo. Lei nella sua relazione ha fatto questo passaggio mitigato sul sistema universalistico, ma non dimentichiamoci mai che il 30-35 per cento della spesa sanitaria è già sostenuta economicamente dai cittadini attraverso i ticket, le visite e le prestazioni privatistiche. Bisogna quindi prestare attenzione, perché stiamo toccando una materia particolarmente delicata e complessa.
  L'Italia vanta anche una discreta produttività nella ricerca, che però fa fatica a convertirsi in attività produttiva. Questo, secondo me, è un altro cavallo di battaglia che potrebbe essere inserito nell'agenda.
  Passo alla seconda questione, che riguarda invece un altro tema chiave. Possiamo continuare a permetterci venti sistemi sanitari diversi ? Il Ministero della salute oggi sembra un soggetto più debole rispetto alle regioni, che sono al tempo stesso erogatori e controllori di se stesse.
  Devo dire che c’è un aspetto positivo: il Governo precedente ha corretto la distorsione che era stata introdotta con il decreto legislativo n. 502 del 1992, che lasciava ad ogni regione la possibilità di dotarsi di un sistema proprio di contabilità aziendale, rendendo così impossibile il confronto tra le regioni ai fini della sorveglianza da parte del Ministero dell'economia. Il decreto legislativo n. 118 del 2011 ha fissato i criteri vincolanti per la trasmissione dei dati di bilancio consolidati da parte delle regioni. Questo potrebbe essere uno strumento utile rispetto alla conoscenza dei dati informativi, che però sono trasmessi al Ministero dell'economia e non al suo ministero.
  Credo che da questo punto di vista non ci dovrebbe essere un conflitto, ma ci potrebbe essere invece uno spirito collaborativo volto a una conoscenza migliore di dati economici che, ancora oggi, riusciamo ad ottenere con difficoltà.
  Credo inoltre che non tutto possa essere ricondotto solo agli aspetti economici. Ci sono delle disparità che sono date anche dalla qualità delle cure nella nostra nazione, e che vanno corrette ed affrontate. Forse la semplice definizione dei LEA non può essere lo strumento più adeguato. Per esempio, il coinvolgimento delle società scientifiche e la definizione delle indicazioni di appropriatezza nella valutazione del monitoraggio degli esiti sono alcuni degli strumenti che noi e il ministero dovremmo continuare a sollecitare.
  Passo ora alla terza questione che lei ha sollevato: governance e trasparenza. Il sistema deve essere monitorato e controllato, per renderlo sostenibile e rispondente alle esigenze dei cittadini, e deve essere parametrato su tre caratteristiche: qualità, efficienza e efficacia.
  I costi standard vanno bene, solo se declinati tenendo conto di tutti e tre questi parametri. Altrimenti, i soli costi standard, peraltro costituiti con modelli che non sono chiari e legati agli esistenti, non potranno rispondere adeguatamente all'obiettivo di arginare la solita soluzione dei costi lineari.
  Chiudo su una questione legata alla misurazione della trasparenza. Non so se questo è uno strumento che possiamo applicare, però si dovrebbe mettere in condizione il cittadino di conoscere i propri diritti e anche di selezionare la struttura sanitaria di propria fiducia. Si dovrebbe inoltre spingere le regioni a rendere verificabile il contratto tra il cittadino e il sistema sanitario nazionale.
  Abbiamo alcuni modelli a cui potremmo guardare, per esempio il modello inglese dell'NHS Choices. Sui loro siti sono disponibili informazioni pubbliche su specifici Pag. 12indici di performance, che rappresentano anche il grado di affidabilità della struttura.
  La questione della ridisegnazione della rete sanitaria è uno dei punti fondamentali. Abbiamo sentito i colleghi che parlavano del rapporto tra medicina territoriale e medicina per acuti. Abbiamo sempre la questione di un'alleanza con le realtà territoriali. Chi ha vissuto le esperienze territoriali sa benissimo che, se riconvertite, alcune strutture, in particolare quelle che non hanno più l'esigenza, e forse nemmeno un parametro di sicurezza per continuare ad agire, potrebbero spostare la loro attività sulle prestazioni per patologie croniche o altre patologie.
  L'ultimo tema che tocco riguarda la questione della demenza. Anche su questo, mi ha colpito molto che l'ultimo rapporto OCSE indichi l'Italia come penultimo Paese per dato di incidenza (siamo intorno allo 0,6 per cento). Questa frontiera non è legata solo alla questione forte delle demenze senili, e ovviamente dell'invecchiamento della popolazione. Credo che questo sia forse il problema più grande che dovremo affrontare nei prossimi anni dal punto di vista epidemiologico.

  ANDREA CECCONI. Visto che molti nostri colleghi hanno posto numerose domande, io conto di farle una domanda sola. Ho l'impressione che noi possiamo parlare di spesa primaria, di ospedalizzazione, di ludopatia, e di tutta una serie di argomenti, in questa Commissione o anche in Aula. Tuttavia, se non riusciamo a superare il problema che hanno sollevato il collega Grassi e quasi tutti i miei colleghi qui in Commissione, costituito dalle regioni che hanno totalmente in mano la gestione del Sistema sanitario nazionale, mentre il Governo, lo Stato e il ministero hanno di fatto una capacità di intervento irrisoria sulle modalità di spesa dei soldi stanziati, penso che il Sistema sanitario nazionale non potrà continuare ad esistere come lo conosciamo oggi.
  Vorrei sapere che cosa ha intenzione di fare lei come ministra ministro per risolvere questa situazione.
  Coloro dei nostri colleghi che sono qui da più di una legislatura sicuramente avranno già trattato questo argomento, e avranno già sentito parlare di tutta una serie di argomenti che si ripetono anno dopo anno. Non si riesce mai a risolvere questa questione. Le regioni in piano di rientro sono ancora le stesse.
  Noi possiamo anche fare delle leggi bellissime, ma queste saranno inefficaci sulla realtà dei cittadini, perché quando si va in Conferenza Stato-regioni, le regioni – soprattutto alcune, che sono sempre le stesse – impongono il loro parere. Il dettame costituzionale attribuisce loro un potere, a mio parere, smisurato. Non si riesce mai a trovare un corridoio preferenziale per risolvere definitivamente le questioni che sono, ormai da anni, pregnanti dei disguidi e delle difficoltà del nostro sistema sanitario.
  Vorrei sapere come intende agire, visto che il Titolo V sembra un tabù, anche se a mio parere sarebbe almeno da ritoccare nella parte relativa alla sanità, se non si vogliono toccare le altre materie. Sono anni che si prova a togliere un po’ di potere alle regioni. Questo federalismo, come è stato detto, è parziale, senza compimento. In 15 anni abbiamo completamente affossato il sistema sanitario, che era un'eccellenza e funzionava benissimo, mentre adesso comincia ad avere dei seri problemi.
  Concludo qui, chiedendo al ministro quali sono gli impegni che prende da qui a breve per poter risolvere questa situazione, e se intende farlo con un nuovo sistema di governance, con una modifica costituzionale, con un altro impegno, ovvero con un rapporto nei tavoli Stato-regioni diverso da quello che si è fatto in questi anni.

  VANNA IORI. Signora ministro, le porrò due semplici domande. La prima è molto tecnica e specifica, e riguarda la richiesta di equipollenza fra i due titoli di educatore professionale che oggi esistono nel nostro ordinamento universitario. Il primo è il titolo L19, ed è la classe che corrisponde al corso di laurea in scienze Pag. 13dell'educazione e della formazione, che forma gli educatori professionali; il secondo è il corso di laurea della classe sanitaria 2 delle lauree sanitarie.
  In questo breve periodo, di una quindicina d'anni, abbiamo avuto un susseguirsi di posizioni, anche tra loro contrastanti, da parte del ministero, alcune anche un po’ ambigue. Oggi la situazione è tale che in ogni regione vengono assunte o non assunte persone che hanno l'uno o l'altro titolo. In realtà i due corsi di laurea sono l'uno la replica dell'altro. Quelli della classe 2 vengono laureati dalle facoltà di medicina, mentre gli altri dalle facoltà di scienze della formazione.
  Diversi decreti sono intercorsi. Le ricordo i più recenti, per darle i riferimenti: il decreto del 4 agosto 2000, che è stato modificato con il decreto ministeriale del 22 maggio 2003, il più recente, che sembra escludere i laureati della facoltà di scienze della formazione, che pure nel loro ordinamento hanno tra gli sbocchi occupazionali l'ingresso «nei servizi sociali, sanitari, socio-sanitari e penitenziari», e quindi dovrebbero coprire anche il settore sanitario.
  Le chiedo se è possibile avere un'equipollenza fra questi due titoli, che renderebbe giustizia ad alcune migliaia di laureati che volta per volta si vedono esclusi o ammessi agli sbocchi occupazionali.
  La seconda breve osservazione riguarda invece la formazione medica. Io non sono medico, però ho alle spalle molti anni di formazione a medici e al personale sanitario. Mi piacerebbe che fosse previsto e che diventasse sempre più consolidato, e magari anche obbligatorio, che una percentuale delle ore di formazione ai medici fosse destinata alla cura di sé, e alla consapevolezza emotiva.
  Se, come diceva anche lei nella sua relazione, ci muoviamo sempre di più verso una logica che non è solo quella del curare il corpo, ma è quella dell'aver cura della persona nel suo complesso, allora c’è bisogno anche della cura di sé da parte di chi cura.
  In quest'aula c’è un quadro che rappresenta il centauro Chirone, il quale, maestro della medicina e della musica, avendo una ferita inguaribile, ogni giorno prima di andare a prendersi cura dei malati doveva curare la sua ferita.
  Tra l'altro, non è un mistero per nessuno che in testa alla graduatoria dei suicidi vi siano proprio i medici, e in particolare gli oncologi. Ho constatato migliaia di volte che il contatto prolungato con il dolore e con la morte richiede certamente robustezza e consapevolezza emotive. Per questa ragione, inviterei davvero a rendere obbligatorie, oltre alle ore di aggiornamento sul funzionamento delle nuove tecnologie e delle nuove scoperte scientifiche, anche un pacchetto di ore da dedicare alla propria robustezza emotiva (intelligenza emotiva, o crescita emotiva, che dir si voglia), ossia, di fatto, alla cura di sé, che è il requisito indispensabile per potersi prendere cura degli altri.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signor presidente, il ministro non sa che da ieri in quest'aula stiamo discutendo del provvedimento in materia di donazione del proprio corpo post mortem. È per questo che c'erano dei sorrisini. Per terminare con un clima più allegro, potremmo dire che quello che ha affermato la collega poco fa richiama il detto evangelico «medice, cura te ipsum» e anche la battuta «la morte è una malattia contagiosa».
  Passo al tema all'ordine del giorno. Credo che oggi parliamo tutti un linguaggio abbastanza uniforme. L'argomentare relativo ai limiti della riforma del Titolo V della Costituzione possiamo rimandarlo ad altra Commissione, ma c’è una parte che ci riguarda direttamente, ed è quella pertinente al nodo cruciale della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
  In tempi di risorse calanti, certamente la tutela della salute dovrebbe puntare soprattutto su due fattori: la prevenzione, e quindi anche la correzione degli stili di vita non salutari; e la riconversione di alcune strutture del Servizio sanitario nazionale per la cura di altre patologie.Pag. 14
  Se vogliamo mantenere l'impostazione universalistica e solidaristica del nostro sistema, dobbiamo quindi riqualificare la spesa in questo senso.
  Parto dal secondo punto, e alla fine farò anche una piccola intrusione sugli stili di vita non salutari. A proposito della riqualificazione dalla spesa, io credo che dovrebbe essere un imperativo del Ministero quello di dare priorità ed indicazioni in questo senso alle regioni, rispetto al mutare dell'orizzonte epidemiologico che stiamo attraversando nella medicina di questi anni. Quest'argomento è già stato citato da alcuni colleghi, con riferimento alle patologie degenerative e all'invecchiamento.
  Sta di fatto che il nostro sistema continua ad essere viziato da un'impostazione a monte, che sta trasformando le nostre strutture verso un interesse preponderante per i temi della chirurgia rispetto ai temi della medicina. Dietro a questo c’è un vecchio assunto, che forse sarebbe il caso di rivisitare, cioè che i nostri ospedali sono delle aziende, e in quanto tali hanno a che fare con una produttività, che viene misurata in termini di indicatori, il più noto dei quali è quello dei DRG (Diagnosis-related groups). I DRG finiscono per valutare maggiormente la chirurgia rispetto ad altre branche, che pure interesserebbero di più il quadro epidemiologico di oggi.
  Spesso non parliamo nemmeno della chirurgia per tutti, ma piuttosto di nicchie di attività che assorbono molte risorse e che le sottraggono, viceversa, a patologie quali quelle ricordate, alle quali potremmo aggiungere tutte le patologie cardiovascolari e cerebrovascolari e le malattie metaboliche, che oggi la fanno da padrone nell'orizzonte epidemiologico del nostro Paese.
  Io credo che in una società che, come è stato detto, è invecchiata demograficamente ed è gravata da patologie croniche, servirebbe forse un indirizzo forte e autorevole, ovviamente nei limiti dell'assetto costituzionale attuale – ne studieremo uno migliore – affinché le regioni e le aziende sanitarie riequilibrino il loro impegno, anche finanziario, smettendola di credere di giocare a Monopoli, dove si compra e si vende senza interessarsi dei fattori reali.
  Una parte del suo intervento ha riguardato la medicina transfrontaliera. Su questo, essendo stato eletto in una regione di frontiera, vorrei spendere una parola. Questo è un rischio grosso per il nostro sistema sanitario. Da Udine, dove io vivo, si fa prima ad andare a Klagenfurt che a Padova. Si fa anche prima ad andare a Lubiana. Addirittura, si fa prima ad andare a Monaco di Baviera che a Roma, e ci sono anche più voli.
Io credo che questo tema, che ha a che fare con la riqualificazione dell'albergaggio, con la dignità delle cure ospedaliere e con la rapidità dell'accesso alla diagnosi, possa finire in futuro per pesare in maniera eccessiva, con il sistema dei rimborsi, sull'economia sanitaria delle regioni vicine alla frontiera, costringendole a esborsi che potrebbero rendere il sistema, oggi ancora virtuoso, non più sostenibile.
  Per quanto riguarda la governance, altro aspetto delle aziende sanitarie, io le pongo una domanda precisa. Vorrei sapere se è intenzione di questo Governo dare implementazione al decreto Balduzzi, che molto positivamente, a mio avviso, ha ridotto i margini di discrezionalità dei direttori generali delle aziende nella scelta dei responsabili delle strutture complesse.
  Sempre secondo quella finta mentalità aziendalistica, precedentemente il direttore generale dell'azienda aveva un potere assoluto di scelta, sulla base di un cosiddetto «criterio di fiduciarietà», che poteva avere un senso in un sistema dove l'azienda decide del tutto il suo percorso. Invece, in un'azienda che dovrebbe semmai rispondere alla programmazione regionale, organizzare più efficientemente i servizi e, al massimo, far pareggiare il bilancio, la fiduciarietà fine a se stessa ha finito per portare a picchi di scelte sulla base della clientela politica, o peggio ancora del servilismo, che sono due tipi di operazioni non propriamente idonee a qualificare l'evoluzione della medicina. Anche su questo forse bisognerebbe uscire Pag. 15da un certo tipo di mentalità di definizione delle nostre strutture come aziende.
  Vorrei invece riservare l'ultima parte di questo intervento al problema della correzione degli stili di vita non salutari. Ovviamente gli esempi potrebbero essere molteplici. Potremmo parlare di obesità, di droghe e di tante altre cose. Mi limiterei a un fatto di attualità, il tabagismo.
  Il fumo costituisce il principale fattore di rischio evitabile per la salute. Al fumo sono legate molte patologie da tumore, malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, malattie respiratorie sia acute che croniche. Ogni anno nell'Unione europea vengono stimati 700.000 decessi prematuri, con un accorciamento dalla vita media delle persone di circa 14 anni. Questi sono i dati riguardanti la mortalità, senza calcolare il costo della disabilità, a cominciare dalla difficoltà lavorativa legata all'insufficienza respiratoria che queste patologie provocano.
  Il numero dei fumatori continua a essere molto elevato. Sono circa un terzo della popolazione. Come sappiamo, è stata lanciata dall'Unione europea una lotta contro il tabagismo, alla quale viene data grande importanza nell'ambito delle politiche europee, con particolare riferimento ai giovani, proprio perché l'assuefazione al fumo, che provoca il tabagismo, si verifica il più delle volte in età adolescenziale o giovanile (comunque prima dei 25 anni).
  La direttiva europea prevede una serie di importanti interventi. È cronaca di questi giorni la serie di proteste che si sono determinate in Italia sia nell'ambito della cosiddetta «filiera di produzione del tabacco», che da parte del commercio, cioè della Federazione italiana dei tabaccai. Come lei sa bene, ministro, ci sono state anche accuse pesanti alla sua persona. Mi è arrivata notizia che si sta addirittura costituendo un coordinamento dei parlamentari italiani per la tutela della produzione nazionale.
  Sappiamo anche che in Europa è scoppiata una bomba al riguardo, con l'ex Commissario per la salute John Dalli accusato di essere a conoscenza di presunte richieste di tangenti per la revisione di questa direttiva, con interventi a gamba tesa da parte delle multinazionali del fumo.
  Per quanto la riguarda, sappiamo anche che paradossalmente, all'inverso, lei è stata accusata di voler sostenere la direttiva europea, proprio a scapito della produzione italiana, non perché si vuole evitare il tabagismo, ma per favorire indirettamente la vendita da parte delle multinazionali del tabacco.
  So che venerdì prossimo lei sarà all'incontro dei ministri della salute europei, che si riuniranno per decidere se dare via libera al progetto di direttiva, o se accantonarlo e riaprire un tavolo di confronto.
  In considerazione dell'importanza che la lotta al tabagismo assume per la tutela della salute nel nostro Paese, le chiedo se può utilizzare questa sede per chiarire la sua posizione sul tema, che mi auguro voglia essere restrittiva, e quali linee il Governo italiano seguirà nell'imminente riunione dei ministri della salute europei.

  PRESIDENTE. Colleghi, abbiamo ancora tre interventi. Il ministro ci ha detto che purtroppo non ha molto tempo a disposizione, quindi penso che per la sua replica e per gli ultimi interventi dovremo fissare un nuovo appuntamento.
  Credo che il collega Gigli abbia sollevato un argomento di forte attualità, cioè quello del Consiglio dell'Unione europea del 21 giugno, durante il quale il Consiglio stesso affronterà il tema della proposta di direttiva sulla manifattura e vendita dei prodotti del tabacco e delle cosiddette «sigarette elettroniche». Forse è opportuno che la Commissione venga informata su quale sarà la posizione che il Governo intende assumere in quella sede.
  Tra l'altro, nella stessa sede ci sarà una discussione sulla sperimentazioni cliniche relativamente ai farmaci per uso umano e ai dispositivi medici e diagnostici in vitro. Credo che forse potremmo utilizzare questi ultimi cinque minuti di disponibilità del ministro per avere un'informativa, che è utile a tutti, su quale è la posizione che il Governo intende assumere in quella sede.Pag. 16
  Se il ministro è disponibile, le chiedo la cortesia di darci un'informativa. Grazie.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. La ringrazio, onorevole Gigli per questa domanda. Preliminarmente, vorrei dire che ci terrei molto a ritornare per fare una disamina complessiva e rispondere a tutte le domande che sono state poste e che saranno poste, perché avete tutti centrato, anche da diversi angoli e visuali culturali differenti, i problemi che il ministero e io dobbiamo affrontare non da qui ai prossimi cinque anni, ma da qui ai prossimi sei o sette mesi. Ci terrei particolarmente a entrare nel merito del dibattito.
  Ringrazio l'onorevole Gigli perché questa domanda mi permette di illustrarvi, qui alla Camera dei deputati, in un luogo istituzionale, una decisione presa dal Governo, anche a seguito di un dibattito molto forte che è avvenuto durante la scorsa legislatura, sia alla Camera che al Senato, su un tema estremamente delicato, che coinvolge una serie di attori, e non soltanto il Ministro della salute. In questo modo posso riferire a un livello istituzionale appropriato.
  Innanzitutto, vi dico che ho considerato utile adottare l'approccio da Ministro della salute. Non a caso abbiamo presentato una relazione programmatica, da cui emerge che al centro dell'azione programmatica c’è la prevenzione. La prevenzione delle prevenzioni è quella delle malattie causate dal fumo, che, come ricordava l'onorevole Gigli, provocano ogni anno in Europa 700.000 morti. Per dare un'idea di quello che significa, è come se una grande città italiana scomparisse ogni anno. Questa è l'indicazione.
  In Italia siamo stati all'avanguardia nella lotta al tabagismo. Pensiamo alla legge Sirchia. Mi ricordo molto bene che quando fu emanata la legge Sirchia ci furono levate di scudi, grida alla violazione della libertà individuale e della libera scelta. Io penso che dopo circa dieci anni possiamo dire che nessuno, neanche il più accanito fumatore, vorrebbe mai entrare in un ristorante dove si fuma a tavola, oppure stare in un aereo o in un treno con la gente che fuma.
  C’è stata una presa di consapevolezza dei danni da fumo passivo, una maggiore tutela e anche una capacità di capire l'importanza del rispetto per gli altri, e soprattutto per i bambini.
  È evidente che in Europa, e in Italia in particolare, abbiamo avuto sempre più misure di prevenzione che si sono attivate, e anche una comunicazione di massa che ha sollecitato un atteggiamento negativo nei confronti del fumo. Ricordiamo bene i film in cui tutti fumavano. A un certo punto, questa cosa è scomparsa dalla cinematografia. Sono rappresentazioni di modelli che fanno marketing occulto e implicito.
  I dati ci dicono che gradualmente si sta riducendo il margine dei fumatori. C’è però un incremento del fumo tra i giovanissimi, e in particolare tra le giovani donne. Questi sono i dati relativi anche al nostro Paese.
  La proposta della direttiva è piuttosto stringente, non solo dal punto di vista della prevenzione, ma anche per quanto riguarda il confezionamento e l'etichettatura; gli ingredienti e gli additivi dei prodotti da tabacco; i prodotti da tabacco non da fumo; l'ampliamento del campo di applicazione in termini di prodotti, cioè le vendite a distanza transfrontaliere; e la rintracciabilità di elementi di sicurezza.
  In Italia questa direttiva riguarda per vari aspetti il Ministero dell'economia e delle finanze, ovviamente il Ministero della salute, il Ministero delle politiche agricole e il Ministero dello sviluppo economico. Poiché nella scorsa legislatura, a seguito di un dibattito parlamentare molto vivace, noi abbiamo avuto delle posizioni anche fortemente contrastanti verso questa direttiva, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di tipo finanziario ed economico, io ho ritenuto fondamentale, in quanto sono ministro facente parte di un Governo, formalizzare le mie proposte agli altri ministeri interessati, al fine di acquisirne eventuali valutazioni, pareri e richieste.
  Mi sono resa anche disponibile a partecipare a un tavolo interministeriale e ho Pag. 17sollecitato in questi giorni ulteriori risposte, che mi devono arrivare entro domani. Io fino a oggi non ho avuto ulteriori pareri, quindi possiamo dire che, al momento, la valutazione del Ministro della salute è quella che fa fede. Dico questo con un senso di apertura, in quanto, proprio per la delicatezza di questa direttiva, e per le implicazioni che stanno emergendo dalle cronache, io credo sia necessario che la posizione del ministro sia altamente condivisa da tutto il Governo italiano, per serietà delle posizioni che il nostro Stato assume in ambito internazionale e nei rapporti col Parlamento.
  Detto questo, lo scopo non è facilitare le multinazionali, ma è tutt'altro. In questi giorni ho ricevuto degli articoli molto «garbati», che parlavano di me come una che manda in fumo l'industria del tabacco mondiale. Ho cercato di assumere una posizione di estremo equilibrio, condividendola con i direttori competenti del mio ministero, perché ritengo che non si possa non prendere in considerazione alcune delle valutazioni che sono venute dalla Camera e dal Senato nei pareri che hanno espresso sulla proposta di direttiva nella precedente legislatura. Ne terrò conto, ma sempre avendo presente il mio obiettivo, come Ministro della salute – che penso sia anche il vostro, come Commissione che si occupa di questo – che è quello di tutelare la salute dei cittadini italiani e soprattutto di scoraggiare i comportamenti e le azioni che possono indurre dipendenza.
  Questo riguarda tanti altri campi. La lotta alle dipendenze è prioritaria nella mia azione di governo. Mi riferisco a tutte le dipendenze.
  Noi abbiamo espresso la nostra approvazione verso tutte quelle misure finalizzate all'adozione di un pacchetto di sigarette nel quale siano evidenti avvisi testuali e immagini (le cosiddette «pictorial») relativi ai danni per la salute causati dal fumo, senza che ciò provochi irrigidimenti sulle dimensioni di tali pacchetti, visto che sono state proposte dalla Commissione europea, e tenendo presente l'esigenza di salvaguardare l'applicabilità del tassello fiscale, che era uno dei temi sollevati dal Ministero dell'economia. C’è stato un dibattito in Europa sulla grandezza di queste immagini, che dovrebbero scoraggiare il possibile acquirente.
  Abbiamo espresso la nostra approvazione al divieto di utilizzo di aromi, caratterizzanti e additivi, che sono in grado di aumentare la tossicità delle sigarette stesse, di indurre dipendenza o dare false impressioni di salubrità del prodotto, come nel caso delle sigarette con le vitamine vendute in alcuni Paesi europei, restando ferma la possibilità di impiegare additivi ritenuti essenziali per la lavorazione del tabacco, incluso quello prodotto in Italia.
  Abbiamo accolto alcune delle indicazioni che venivano dalle Commissioni competenti per le specificità della produzione del tabacco italiano.
  Abbiamo espresso contrarietà all'estensione di deroghe ad altri prodotti masticabili che oggi sono previste per il solo tabacco da masticare (lo snus svedese).
  In vista di un sistema informatico per la presentazione degli ingredienti e delle emissioni, al fine di ottimizzare le risorse investite, auspico che tale sistema sia compatibile con quello attualmente in corso di sperimentazione in Italia. Infatti, noi abbiamo già un sistema informatico in via sperimentale che deve presentare gli ingredienti delle sigarette. Farne un altro completamente diverso ci farebbe ricominciare da capo.
  Abbiamo altresì espresso contrarietà rispetto alle tre misure relative ad aspetti prettamente commerciali, e solo indirettamente di interesse sanitario, quali il divieto di vendita dei pacchetti contenenti meno di venti sigarette, il divieto di vendita delle sigarette slim, e la previsione di dimensioni e forme standardizzate delle confezioni. Questi elementi attengono a questioni di tipo commerciale che non riteniamo fondamentali dal punto di vista della prevenzione della salute.
  Abbiamo poi espresso: approvazione per la previsione di un sistema di tracciabilità e rintracciabilità; approvazione per l'eliminazione dalle confezioni dell'indicazione del tenore di catrame, nicotina e Pag. 18monossido di carbonio; non contrarietà all'introduzione controllata di prodotti del tabacco di nuova generazione, purché gli stessi non risultino più dannosi delle sigarette tradizionali.
  La proposta di direttiva si occupa anche dell'erogazione delle famose sigarette elettroniche. La Commissione europea ha proposto un approccio che è abbastanza condivisibile da parte nostra, che però prevede anche la differenziazione di trattamento del prodotto a seconda delle soglie di nicotina introdotte.
  Noi abbiamo avuto in merito un parere del Consiglio superiore di sanità. Credo che al più presto faremo un'ordinanza che segue questo parere.
  Ritengo che la proposta fatta possa costituire un ragionevole bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute dei cittadini e gli altri interessi, economici e produttivi del nostro Paese, così come sono stati espressi dalle altre Commissioni parlamentari, sempre fermo restando che qualora dovesse pervenirmi un parere difforme, sono ovviamente disposta a un'interrelazione con i colleghi ministri, purché non si chieda al Ministero della salute di non tutelare la salute, che è evidentemente prioritaria nelle nostre scelte e nella missione di questo dicastero.
  Credo che in queste questioni si debba avere un grande equilibrio, e non leggere i giornali fa molto bene. È un'attività assolutamente salutare. Non c’è dibattito. Spero di poter tornare la prossima volta per affrontare tutti i temi restanti, che sono estremamente importanti.
  Prima di andare via, tengo a dire una cosa. L'onorevole Grassi e altri mi hanno detto che la relazione programmatica è una relazione di peso, ma è forse troppo ambiziosa. Mi chiede quanto penso che possa durare il mio mandato. Gli rispondo che sicuramente la durata media dei Ministri della salute nella storia italiana è tale da non potermi indurre a strani sospetti. Durano molto poco. La questione non è se il progetto è ambizioso o meno, ma piuttosto se abbiamo delle linee che possiamo portare avanti. Non siamo all'anno zero.
  In seguito discuteremo del Titolo V, di quello che è accaduto dopo, di come si sia riconvertito, e di come si sta cercando di mettere mano a questo. Non è vero che ogni volta si ricomincia da capo.
  Questo programma arriva in una fase di svolta del Sistema sanitario nazionale, dopo anni di piani di rientro e dopo un ridimensionamento e un bilanciamento della spesa. È una fase che richiede un nuovo approccio, che tenga conto di quello che c’è stato finora, ma riparta dalla programmazione dei nostri territori, con un necessario bilanciamento tra gli interessi di spesa, le finalità di spesa, la tenuta dei conti e dei saldi, e la garanzia dei livelli di assistenza.
  Abbiamo diverse sfide. La sfida transfrontaliera è una sfida reale e realistica. O noi ci attrezziamo per questa sfida, o rischiamo di perderla con dei danni inenarrabili per il nostro sistema, che finirebbero per sconvolgere l'assetto di welfare di cui tutti parliamo. Il nostro welfare rischia di essere superato, se non ci mettiamo in testa che dobbiamo affrontare queste sfide con un approccio pragmatico e costruttivo e con una visione.
  In base ai colloqui che ho avuto con le regioni in questo mese e mezzo, credo che anche da parte loro ci sia ormai una consapevolezza della necessità di affrontare questa nuova fase con un approccio diverso sulla governance, con una capacità diversa di progettare e produrre sanità sul territorio – la salute si produce anche, cercando di avere come unico scopo quello di garantire la salute dei nostri cittadini oggi, assicurando una «manutenzione» del sistema che ci permetta di offrire questi stessi servizi, tutelati dalla nostra Costituzione, tra vent'anni. È questa la proiezione.
  Per determinare quello che accadrà fra vent'anni, ossia per fronteggiare l'invecchiamento della popolazione, l'inverno demografico e le sfide di un welfare che sarà stressato, saremmo dovuti intervenire ieri. Di conseguenza, bisogna farlo oggi. Non possiamo pensare a una temporalità del Governo in base alle nostre ambizioni. I problemi da affrontare sono questi tutti Pag. 19quelli che mi avete detto voi, più qualche altro che vi dico io e non possiamo prendercela comoda. Abbiamo poco tempo per affrontare bene delle sfide che sono arrivate a un punto tale per cui non si possono abbandonare.
  In seguito entreremo nel merito di tutte le questioni, anche quelle relative alla parte professionale, perché questo tipo di cambiamento non va avanti solo con i bilanci, ma sulle gambe dei professionisti che sono sul campo. Ci deve essere quindi una condivisione forte degli obiettivi. Visto che abbiamo la Conferenza Stato-regioni, i sindacati, il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e il Parlamento, e i tavoli di condivisione sono parecchi, per raggiungere l'obiettivo tutti devono sentirsi protagonisti di un progetto, che forse non a tutti porterà immediatamente delle risorse, ma potrà portare invece una riqualificazione professionale, il raggiungimento di obiettivi, o la trasformazione di un processo che li riporterà dopo qualche anno in prima fila. Secondo me, questa è una sfida bellissima. Per molte delle cose che mi sono state dette oggi da voi, riscontro un dato assolutamente favorevole: da parte di tutti i gruppi politici c’è la consapevolezza che bisogna rimodulare alcune regole e alcune procedure. Per farlo ci vuole l'unità del Parlamento e un obiettivo alto, che in questo caso è quello di far funzionare bene il nostro sistema sanitario.
  L'unico consenso che ci interessa è quello dell'ammalato. Il nostro scopo è dunque quello di garantire servizi agli ammalati, quelli di oggi e quelli di domani. Se noi ragioniamo così, credo che in poco tempo raggiungeremo gli obiettivi. L'unità che trovo in questa Commissione non l'ho mai vista da nessun'altra parte. Penso che su questi obiettivi così alti si possa portare avanti un lavoro condiviso. Se abbiamo i numeri forti in Parlamento, da parte del ministro c’è tutta la volontà di mettersi al tavolo e risolvere le questioni, non tutte insieme, ma una per volta, e provare in poco tempo a riattivare una macchina che ha bisogno di un po’ di manutenzione e di entrare in un processo nuovo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Lorenzin. Faccio presente che l'audizione non è conclusa, essendoci ancora alcuni iscritti a parlare; dopodiché ci sarà la replica del ministro.
   Ringraziando ancora il ministro per la sua presenza, rinvio il seguito dello svolgimento dell'audizione ad altra seduta.

   La seduta termina alle 15,25.