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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (IV Camera e 4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 16 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 2 

Audizione del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di Squadra aerea Claudio Debertolis (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Vito Elio , Presidente ... 2 
Debertolis Claudio , Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 7 
Artini Massimo (M5S)  ... 7 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 8 
Divina Sergio  ... 9 
Rossi Domenico (SCPI)  ... 9 
Duranti Donatella (SEL)  ... 10 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 10 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 11 
Vito Elio , Presidente ... 11 
Debertolis Claudio , Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti ... 11 
Vito Elio , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ELIO VITO

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di Squadra aerea Claudio Debertolis.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni congiunte IV Camera e 4 Senato reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, del Segretario generale della Difesa e Direttore generale degli armamenti, Generale di Squadra aerea Claudio Debertolis.
  Saluto il vicepresidente della Commissione difesa del Senato, senatore Conti, e tutti i deputati e senatori presenti.
  Insieme al vicepresidente Conti, do il benvenuto al Segretario generale della Difesa, Generale di Squadra aerea Claudio Debertolis, al generale di divisione aerea Ezio Enzo Vecciarelli, al brigadiere generale Potito Genova, al tenente colonnello Luigi Vassetti e al capitano Gabriele Pariselli, che lo accompagnano.
  Ricordo ai colleghi che con l'audizione che ci accingiamo a svolgere si conclude il ciclo di audizioni dei vertici del Dicastero della difesa e delle Forze armate programmato al fine di fare il punto sulle maggiori questioni di interesse delle due Commissioni permanenti all'avvio dei lavori di questa legislatura. Esprimo la mia particolare soddisfazione, ma anche del vicepresidente Conti, del presidente Latorre e di tutti colleghi, per l'ampiezza e la completezza di questo ciclo di audizioni che ci ha consentito di ascoltare lo scorso 15 maggio il Ministro della difesa e successivamente, il 22 maggio, il Capo di stato maggiore della Difesa, Ammiraglio Binelli Mantelli; il 5 giugno, il Capo di stato maggiore dell'Esercito, Generale Graziano; il 19 giugno, il Capo di stato maggiore della Marina militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi; il 26 giugno, il Capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare, Generale di Squadra aerea, Pasquale Preziosa; infine, il 3 luglio, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Generale di corpo d'armata Leonardo Gallitelli.
  Credo che con questo ampio ciclo di audizioni introduttive le Commissioni permanenti siano state messe nelle condizioni di poter ben operare durante la legislatura in merito ai provvedimenti e alle materie alla nostra competenza. In questa occasione, desidero quindi ringraziare, oltre al Generale Debertolis, tutti i soggetti che sono stati auditi per la disponibilità e l'attenzione che hanno posto nei riguardi delle nostre due Commissioni. Ringrazio, inoltre, i colleghi che sono intervenuti.
  Dopo questa breve introduzione do la parola al Segretario generale della Difesa, Generale di Squadra aerea Claudio Debertolis.

Pag. 3

  CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Onorevoli deputati e senatori, rivolgo un cordiale saluto a tutti i componenti delle Commissioni difesa di Camera e Senato, ringraziando per l'opportunità che mi viene offerta di illustrare le linee programmatiche del Segretariato generale della Difesa, Direzione nazionale degli armamenti (DNA).
  In premessa vorrei illustrare come si colloca il Segretariato generale nell'ambito della struttura della Difesa, ripercorrendo brevemente i principali provvedimenti legislativi di riorganizzazione che si sono succeduti nel tempo.
  L'ultima riforma significativa del Dicastero risale alla legge 18 febbraio 1997, n. 25, la cosiddetta «legge sui vertici» concepita dall'allora Ministro della difesa, Beniamino Andreatta. Tale norma ha suddiviso il livello tecnico del Dicastero in due aree distinte, quella tecnico-operativa con al vertice il Capo di stato maggiore della Difesa che ha alle sue dipendenze i Capi di stato maggiore delle Forze armate, e l'area tecnico-amministrativa con a capo il Segretario generale della Difesa, alle dirette dipendenze del Ministro della difesa.
  La stessa norma, nel delineare l'architettura organizzativo-funzionale del Dicastero, ha evidenziato come il sistema sia caratterizzato da una natura speciale, ove i principi generali dell'azione amministrativa sono necessariamente combinati con le peculiarità dell'ordinamento militare. Da qui la necessità di confermare quell'area di particolarità legata all'attribuzione al Segretario generale anche della funzione di Direttore nazionale degli armamenti, una figura peraltro esistente in tutti i Paesi NATO, che anche nel nostro Paese si identifica con il responsabile del sistema di acquisizione dei mezzi militari e dell'implementazione della politica degli armamenti e, dunque, di indirizzo dell'industria nazionale della difesa. Tale funzione viene oggi assolta per il tramite di direzioni cosiddette «tecniche» che si occupano del procurement militare e delle attività ad adesso attinenti.
  Pertanto, volendo esplicitare la missione del Segretariato generale Direzione nazionale degli armamenti, essa si può sintetizzare in tre aspetti preminenti: l'acquisizione dei sistemi d'arma e di equipaggiamenti per le Forze armate sulla base dei requisiti dettati dal Capo di stato maggiore della Difesa e in coerenza con le risorse assegnate; valorizzazione, in tali acquisizioni, delle capacità dell'industria nazionale della difesa, individuando efficaci forme di armonizzazione fra i requisiti espressi dalle Forze armate e le capacità industriali disponibili, anche facendo ricorso a programmi di cooperazione internazionale; protezione delle capacità tecnologiche e strategiche dell'industria della difesa situate sul territorio nazionale.
  Ritengo che questi siano gli aspetti che hanno maggiore impatto, anche economico, al di fuori del Dicastero della difesa. Mi soffermerò, quindi, su questi argomenti, anche se per completezza di informazione evidenzio che, in analogia a quanto avviene negli altri dicasteri, fanno capo al Segretario generale anche funzioni di alta amministrazione, come gli aspetti che riguardano il personale, la gestione generale, i servizi e le infrastrutture in supporto al Ministro della difesa.
  Con riguardo alle citate funzioni attribuite al Direttore nazionale degli armamenti, mi corre l'obbligo di sottolineare come la «riforma Andreatta» non abbia avuto un'immediata e compiuta realizzazione organizzativa, soprattutto per l'area tecnico-amministrativa. Ciò, in parte, è stato determinato dalla sovrapposizione di norme che hanno causato una frammentazione nell'articolazione dell'area di riferimento, relegando di fatto la figura del Segretario generale Direttore nazionale degli armamenti al ruolo di semplice coordinatore piuttosto che di vertice con reale potere di indirizzo sulle strutture. Ciò ha provocato uno stallo funzionale che ha necessariamente richiesto aggiustamenti nel corso degli anni.
  Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ha attribuito all'area tecnico-amministrativa la responsabilità della definizione Pag. 4della politica degli armamenti e dei relativi programmi di cooperazione internazionale e, nel quadro della pianificazione generale dello strumento militare, della sua organizzazione e del suo funzionamento.
  Successivamente, nel 2010, il codice dell'ordinamento militare ha confermato presso il Segretariato generale della Difesa le attribuzioni e le attività concernenti la politica industriale e tecnologica, la ricerca e lo sviluppo, nonché le attribuzioni e le attività analoghe svolte da uffici del Ministero della difesa, ivi compresi quelli posti alle dirette dipendenze del Ministro.
  Inoltre, il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare ha ulteriormente dettagliato le funzioni attribuite al Segretario generale, che comprendono tra l'altro l'implementazione delle azioni necessarie per armonizzare gli obiettivi della Difesa in materia di sperimentazione e sviluppo e di produzione e approvvigionamento con la politica economica industriale e tecnico-scientifica nazionale.
  La completa espressione organizzativa che ha di fatto creato l'attuale strumento, secondo la filosofia originaria della «riforma Andreatta», si è realizzata con le norme del biennio 2009-2010, che con un'applicazione mirata dei vari provvedimenti di razionalizzazione delle strutture ministeriali è riuscita a fornire articolazioni caratteristiche di maggiore integrazione e unitarietà, anche attraverso riduzioni quantitative di personale.
  L'attuale configurazione è entrata in vigore nello scorso marzo quale risultato dell'emanazione del decreto ministeriale del 16 gennaio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 26 marzo 2013, che prevede tra l'altro un'ulteriore riduzione del 10 per cento degli uffici e delle dotazioni organiche dirigenziali, nonché del personale non dirigenziale.
  Intendo ora soffermarmi proprio sull'aspetto della politica industriale nel campo della difesa, di cui il Segretariato generale Direzione nazionale degli armamenti è strumento di realizzazione sotto la diretta guida dell'autorità politica.
  L'impostazione di una corretta politica industriale degli armamenti è un fattore strategico e può considerarsi a buon ragione un moltiplicatore di potenza del Paese. L'indirizzo politico perseguito da decenni è quello che definisce la missione stessa del Segretariato, cioè di trasformare ogni importante acquisizione dei sistemi d'arma in un'impresa industriale che garantisca un ritorno adeguato in termini di occupazione, crescita tecnologica e livello di sicurezza per il Paese.
  Si tratta, pertanto, di coniugare l'esigenza di dotare di adeguati mezzi materiali le Forze armate per l'espletamento delle attività operative con la necessità di agire con il sistema propulsivo di sviluppo e progresso. L'industria della difesa rappresenta un assetto strategico che assicura le capacità di operare in settori caratterizzati da altissima tecnologia e che per peculiarità intrinseche contribuiscono alla sovranità nazionale e alla sicurezza del Paese.
  È di tutta evidenza, però, che l'industria non può sopravvivere ed evolvere con le sole esigenze delle Forze armate nazionali, benché vada ben evidenziato come siano proprio i requisiti operativi espressi dalle Forze armate e sviluppati dagli Stati maggiori la garanzia di adeguati obiettivi tecnici da porre alla nostra industria.
  Il compito del Segretariato generale è proprio quello di concretizzare nel miglior modo possibile i requisiti individuati dalle Forze armate attraverso le risorse di investimento messe a disposizione, inducendo al contempo l'industria a impostare correlati piani industriali di medio-lungo periodo.
  I bilanci dei prossimi anni non appaiono sufficienti a sostenere la realizzazione di piani industriali in tutti i settori importanti e di conseguenza il mantenimento delle capacità strategiche. Per questo, la collaborazione con altri Paesi diventa un fattore cruciale e determinante che si sviluppa principalmente su due direttrici. La prima riguarda lo sviluppo di materiali attraverso forme di cooperazione internazionale sulla base dei mezzi che le Forze armate intendono acquisire, favorendo Pag. 5in tal modo una ripartizione degli oneri finanziari connessi tra Paesi partner, una modalità quest'ultima adottata da anni, che però non appare più sufficiente. L'ulteriore modalità che oggi appare quanto mai indispensabile è quella di sostenere con relazioni governo-governo la cessione di prodotti nazionali della difesa, integrando così il sostegno allo sviluppo e al livello tecnologico raggiunto dall'industria nazionale di settore, oltre che aprendo nuove opportunità di crescita al nostro comparto industriale.
  Questa seconda modalità è implementata da tempo dai principali Paesi avanzati – cito Stati Uniti, Francia e Inghilterra – attraverso specifiche strutture organizzative nazionali. Essa non va inquadrata – mi preme sottolinearlo – quale mera attività di commercio e vendita dei sistemi di armamento, ma piuttosto come uno strumento per creare nuove alleanze sul piano internazionale e valorizzare la genialità delle soluzioni ingegneristiche delle aziende italiane.
  A tale riguardo devo sottolineare come il nostro Paese abbia una delle leggi di controllo dell'esportazione delle armi tra le più avanzate, che sovrasta ogni logica puramente commerciale, subordinandola alla politica estera del Paese e agli aspetti etici connessi, per cui i rapporti governo-governo, oltre a favorire un adeguato sostegno ai nostri prodotti, saranno da stimolo nel più ampio contesto della politica estera nazionale a forme concrete di alleanza con quei Paesi che, attraverso tali accordi, riescono a soddisfare i propri requisiti di sicurezza.
  A riguardo oggi quasi tutti gli Stati sia europei sia extraeuropei richiedono una presenza governativa nelle trattative di cessione di sistemi d'arma. Ciò sia perché si sentono maggiormente garantiti sul prodotto che intendono acquisire, sia perché in tal modo è possibile evitare problematiche derivanti da ambigue attività di intermediazione esterne, che spesso si accompagnano a commercializzazioni importanti.
  In definitiva, l'attuale configurazione del Segretariato generale della Difesa, dopo le menzionate riorganizzazioni, è in grado di fornire ai Paesi partner o potenziali tali le garanzie richieste sia in termini di efficienza e di efficacia dei prodotti in uso dalle nostre Forze armate, sia circa lo sviluppo di sistemi completamente nuovi.
  Tale capacità è resa possibile dalla professionalità e dalla competenza tecnica sviluppate nel corso degli anni dal personale del Segretariato, personale capace ed esperto nello specifico settore che affianca alle normali attività contrattuali l'impegno a stabilire un'intensa rete di relazioni e dialogo con i rappresentanti di altri Paesi. Tali contatti sono finalizzati a fornire ogni forma di supporto e sostegno per il perseguimento degli obiettivi e delle priorità nazionali della difesa di quei Paesi.
  Le attività possono essere opportunamente realizzate nel contesto internazionale unicamente con la conquista di un adeguato livello di credibilità e affidabilità, aspetto quest'ultimo che il Segretariato generale sta perseguendo con determinazione grazie a un'adeguata politica, ma anche grazie alla bontà delle nostre soluzioni ingegneristiche. In tal modo le soluzioni nazionali risultano ben presentate e protette da un certo tipo di concorrenza a volte denigratoria.
  Affronto ora il complesso tema del rapporto con gli altri Paesi europei, laddove, nella consapevolezza condivisa che una collaborazione risulta essere necessaria, di fatto esiste una concorrenza talvolta spietata, finalizzata a una politica di mantenimento degli assetti industriali e strategici.
  Infatti, nessun Paese vuole rinunciare per primo alle proprie capacità e pertanto anche l'Italia – come prima rimarcato – deve trovare metodologie di sostegno per salvaguardare opportunamente il prodotto nazionale, frutto di investimenti decennali, e con ciò garantire l'interesse primario del Paese. Per tale motivo dobbiamo ancorare al nostro territorio le capacità strategiche raggiunte, affinché i nostri migliori tecnici non siano costretti a emigrare per esprimere la loro genialità.
  La Commissione europea ha un giusto indirizzo di integrazione anche nel settore Pag. 6della difesa, ma nel momento in cui si parla di sicurezza nazionale le stesse norme europee devono cedere il passo alla volontà nazionale (cito l'articolo 346 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell'Unione europea). Quindi, cooperazione europea e giusto grado di salvaguardia nazionale sono entrambi concetti da perseguire. Si tratta di concetti in apparenza in contrasto, tuttavia, personalmente, sono ottimista. Sono convinto, infatti, che una corretta connotazione di politiche industriali della difesa legata alla sicurezza del Paese consentirà di giungere gradualmente, pur conservando una posizione di forza, a integrazioni mirate, effetto di reciproche e paritetiche rinunce e riconoscimenti di capacità. Solo in tal modo potranno essere conciliati tutti gli interessi in gioco.
  Anche su questo fronte il Segretariato sta operando in accordo con gli altri dicasteri e con le organizzazioni del mondo industriale per procedere in modo sinergico. A questo proposito, abbiamo realizzato un ciclo di eventi denominati industry day, nel corso dei quali sono state affrontate a livello di rappresentanti istituzionali e industriali le principali tematiche relative a una reale integrazione europea.
  Va ricordato come l'Italia sia stata capace di esprimere nel settore della difesa sia grandi imprese altamente competitive, come Finmeccanica, sia di imporre le proprie piccole e medie imprese, grazie alle riconosciute caratteristiche di flessibilità, efficienza e – ripeto – genialità.
  Tornando al discorso generale, ritengo che la difesa e la valorizzazione dell'industria nazionale siano l'ambito più importante e rilevante in cui si sviluppa l'azione del Segretariato, in combinazione con la missione prioritaria di assicurare alle Forze armate strumenti che garantiscano la massima protezione e la migliore capacità operativa. È un concetto di difesa integrato che unisce le capacità operative delle Forze armate con le capacità industriali di punta del Paese.
  Gli aspetti di sicurezza nazionale e di sostegno all'industria nazionale della difesa qui evidenziati sono priorità che richiedono anche il concorso e il supporto da parte di diverse componenti del sistema Paese. Questo risulta essere uno degli aspetti più critici della definizione di una corretta politica dell'industria degli armamenti poiché in passato la mancata integrazione del sistema burocratico italiano, caratterizzato da frammentazione di volontà e da una mancanza di dialogo interno, ha presentato un vero elemento di debolezza strutturale. Oggi, invece, queste esigenze hanno trovato un momento di sintesi attraverso forme di collaborazione e condivisione degli obiettivi per gli aspetti di specifica competenza con le diverse articolazioni degli altri dicasteri.
  Pertanto si è potuto realizzare un adeguato sostegno istituzionale attraverso un approccio di sistema, instaurato dal Segretariato generale con il Ministero dello sviluppo economico per le spese di investimento attraverso lo strumento legislativo delle leggi n. 808 del 1985 e n. 421 del 1996, facendo sì che il sostegno all'industria arrivi anche in mancanza di uno specifico requisito militare; con il Ministero degli affari esteri in materia di esportazione di armamenti, inclusa la politica e il trasferimento all'estero di tecnologie, che talvolta è un elemento vincente nell'attribuzione dei contratti; con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la collaborazione nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, del collocamento e tutela delle sue applicazioni in programmi di interesse strategico nazionale.
  Nell'ambito di quest'ultima collaborazione si inserisce il cosiddetto «programma duale». Infatti, è opportuno precisare che non si può più distinguere nettamente tra tecnologie militari e civili in quanto lo spin-off, che una volta era sempre dal mondo militare al civile, oggi è addirittura a volte invertito; basti pensare ad alcuni settori tecnologici quali l'informatica o l'elettronica.
  Vi è, infine, anche un rapporto con il Ministero dell'economia e delle finanze per l'esercizio dei poteri della cosiddetta golden power, cioè la normativa in materia Pag. 7di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
  Questo è uno strumento quanto mai indispensabile che nasce da una nuova filosofia di tipo oppositivo e prescrittivo e solo in ultima istanza interdittivo e che è un ambito di applicazione di tipo oggettivo, cioè si applica a tutte le società, non soltanto a quelle partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici, operanti nei settori strategici della difesa e della sicurezza nazionale.
  È di tutta evidenza l'importanza dello strumento nello specifico settore della difesa a protezione e tutela di assetti strategici nazionali e contro manovre internazionali tendenti ad acquisire tecnologie altrimenti non disponibili. Infatti, esso potrà consentire di impedire la vendita incontrollata di aziende in possesso di tecnologie e know how strategici. Si tratta di un sistema di regole equilibrato e attento che tiene in giusta considerazione la libera circolazione di capitali e tecnologie, chiaro esempio di come ci stiamo battendo affinché tante realtà industriali in difficoltà per gli effetti della menzionata crisi economica rimangano un patrimonio del Paese, evitando la dispersione del prezioso know how frutto di tanti anni di attività di studio e sperimentazione. Questo sarebbe un danno enorme per le nostre Forze armate e per il Paese.
  In conclusione, il Segretariato generale della difesa, nell'assolvere il compito di dotare le nostre Forze armate di mezzi adeguati, opera anche per assicurare l'esistenza di un'efficiente e competitiva industria della difesa, creando le occasioni per il mantenimento di una capacità di sviluppo e innovazione, di un continuo adeguamento della base produttiva e di una valorizzazione delle eccellenze.
  Oltretutto, il ruolo dell'industria è cruciale in termini di ricerca e occupazione per tutto il sistema produttivo e per la crescita economica del Paese e può altresì contribuire – come ha affermato dal Ministro della difesa nella sua audizione del 15 maggio – al rilancio dell'economia nazionale stimolando la domanda interna, generando un indotto occupazionale, sviluppando il know how delle nostre industrie e la loro competitività anche tecnologica sul mercato internazionale, in particolar modo valorizzando tecnologie e produzioni dual use.
  Con questo ho terminato la mia relazione, restando a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il Generale, anche a nome del vicepresidente Conti. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMO ARTINI. Ringrazio il Generale, a cui chiedo di approfondire alcuni dettagli. Infatti, anche se non ho molta esperienza, credo sia Lei la persona a cui rivolgere domande sulla contrattualistica e sugli investimenti che il Ministero sta facendo.
  In particolare, riprendendo una questione che in questi giorni è stata riportata anche sulla stampa, vorrei rivolgerle una domanda che avevo posto anche al Capo di stato maggiore dell'Aeronautica. Vorrei sapere con esattezza, quanti sono gli F-35 acquistati e quanti altri sono quelli che in corso di acquisizione. Insomma, quanti sono quelli che il Ministero ha già previsto di prendere e per cui ha già stanziato delle risorse ?
  Inoltre, in relazione a quanto ha detto riguardo alla possibilità di rendere stabile il know how che viene dalla gestione industriale della nostra parte aeronautica, vorrei sapere se l'acquisizione degli F-35 comporterà un'uscita totale dal progetto Eurofighter e quanto questo potrebbe incidere sia a livello occupazionale sia in termini di impegni anche dal punto di vista della capacità industriale del Paese.
  Sempre in riferimento agli F-35 Le chiedo una valutazione personale sulla nostra capacità di acquisizione di know how industriale in quella tecnologia, stante il fatto che – mi passi l'espressione – la nostra funzione di manutenzione dovrebbe Pag. 8essere di mero lavoro di assemblaggio e, negli anni, di ricezione di ordini da parte di chi fa l'assistenza da remoto. Vorrei capire, quindi, se questo livello di know how è sufficiente a garantire un discreto numero di posti di lavoro rispetto agli investimenti che si prospettano.
  Più in generale, ringrazio il Ministero per quanto fatto ed evidenziato sia nel rapporto sulla performance della spesa, sia nel Documento programmatico pluriennale. Di quest'ultimo in particolare, se mi permette, cito un passo: «la Difesa ha svolto in tutte le sue componenti un'attenta analisi e revisione dei programmi, dei contratti e degli accordi in corso, comprese le rinegoziazioni al fine di minimizzare le discendenti penalizzazioni sia operative-capacitive che amministrative, nell'ineludibilità di modificare tali impegni e nell'esigenza di evitare aggravi di oneri per l'amministrazione pubblica (pagamento di more e penalità in caso di sospensione, arresto o interruzione dei programmi)». Le chiedo, allora, se avete già individuato quali sono i programmi da rivedere e quali sono i contratti eventualmente da rinegoziare, per capire anche quanti sono effettivamente questi risparmi.
  Da ultimo, siccome dalla legge n. 244 del 2012 si evince che c’è un una forte volontà di ridurre il personale sia militare sia civile, Le domando se questo andrà di pari passo con una riduzione degli strumenti d'arma dal momento che poi è necessario avere personale che utilizzi quegli strumenti.

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ringrazio il Segretario generale, la cui relazione, che ho molto apprezzato, offre degli spunti prospettici e strategici.
  Le vorrei chiedere, però, qualche dettaglio anche perché, come saprà, stiamo per deliberare un'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma. Ci sarà, quindi, un'ulteriore occasione per acquisire o chiedere maggiori dettagli che fino ad ora le Commissioni parlamentari non hanno mai potuto verificare fino in fondo, nonostante quella di controllo sia, insieme a quella legislativa, l'attività precipua del Parlamento.
  Le vorrei chiedere, pertanto, un quadro più dettagliato rispetto ai programmi – sono tantissimi, forse 85, quindi non lo chiedo per tutti – che sul piano delle spese anche pluriennali incideranno negli anni futuri sul bilancio dello Stato e su cui, per questo motivo, c’è una certa attenzione. Ovviamente il dettaglio riguarda gli impegni finanziari, i tempi e anche le clausole sanzionatorie. Mi vengono in mente alcuni dei contratti maggiori, quali quelli più noti come il NEC o l'F-35, ma anche quelli di cui si sta parlando in quest'ultimo periodo relativamente alla costruzione di nuove fregate, elicotteri e così via. Insomma, ci sono dei sistemi d'arma di grande rilievo che hanno un peso assai notevole su cui vorremmo avere più dettagli, visto che non ci sono mai stati forniti.
  Trovo molto importante la sua sottolineatura in merito all'integrazione della difesa e, dunque, a una visone europeista perché è uno dei temi strategici del nostro Paese e, quindi, dovrebbe essere anche uno dei cardini politici di un governo. Poiché l'Italia è uno dei Paesi fondatori dell'Unione europea, dovrebbe spingere affinché questa integrazione avvenga. Dobbiamo essere promotori in questo senso, per cui penso che la parte rappresentata da Lei e dal Segretariato generale come amministrazione della Difesa sia molto importante.
  Peraltro, lo stesso Ministro Mauro, nella sua audizione sulle linee programmatiche, ha sottolineato la questione dell'interoperabilità, parola estremamente utilizzata sia dal Ministro Di Paola sia dall'attuale Ministro Mauro. L'interoperabilità è stata usata, per esempio, per gli F-35.
  Le chiedo, allora, se la nostra partecipazione al consorzio Eurofighter, l'eventuale produzione e i costi dell'Eurofighter di quinta generazione e la rilevanza di questo progetto all'interno di un'ipotetica ulteriore messa a punto della volontà di integrazione della difesa europea hanno ancora una loro validità. Le domando, Pag. 9insomma, una valutazione tecnica ed economica riguardo all’Eurofighter e alla nostra fuoriuscita dal consorzio.
  Da ultimo, Lei ha fatto riferimento a tutto ciò che riguarda i rapporti con le varie amministrazioni centrali dello Stato, per esempio con il Ministero dello sviluppo economico circa gli investimenti. Per quanto ci riguarda, abbiamo appena concluso l'esame di un documento sulla spending review, nell'ambito del quale l'amministrazione della Difesa denunciava un grave decremento degli investimenti in merito al bilancio della difesa. In questo contesto, Lei sa che c’è una parte rilevante che attiene al Ministero dello sviluppo economico e quindi nel complesso questa riduzione percentuale nel paradigma 50-25-25 sulla questione investimenti non c’è.
  In relazione al coordinamento con le amministrazioni centrali a cui ha fatto riferimento, quali possono essere i punti di forza sia nel militare sia nel duale del nostro sistema Paese in termini di produzioni – penso a Finmeccanica o ad altre società italiane – che possono essere valutate competitive anche per quanto riguarda l’export ? In tal senso, abbiamo individuato alcuni progetti su cui il MIUR e la Difesa stanno collaborando che possano essere importanti su questo piano ?

  SERGIO DIVINA. La ringrazio, Generale. Vorrei porle due domande, di cui una secca e provocatoria. Il Mediterraneo è uno scenario sempre più preoccupante; la Libia vive una guerra civile; la Siria è in subbuglio da qualche tempo; l'Egitto sta attraversando la trasformazione che tutti osserviamo. Noi ci troviamo in questo scacchiere e abbiamo l'obbligo di garantirci un minimo di tranquillità. Quindi se non provvederemo ad ammodernare, partendo dai nostri velivoli, tutto il nostro sistema di difesa, fin quando potremmo cooperare con gli attuali alleati per garantire un po’ di stabilità quantomeno nell'area che più ci tocca ?
  La seconda domanda riguarda la questione dell'industria della difesa. Questo è un settore particolare, che non opera come il normale contesto imprenditoriale. Per esempio, i piani per l’export di armi sono per lo più concordati con il Governo. Vi è una valutazione di idoneità di ogni singola impresa, con una pre-valutazione a procedere e l'iscrizione in un particolare registro; le autorizzazioni a trattare sono preventivamente date dalla struttura che si relaziona al Ministero degli esteri; le successive autorizzazioni vengono date con una minuziosità, con la conoscenza di ogni singolo elemento, numeri, dati, importi dei contratti e così via.
  Tutte queste operazioni richiedono costi che, pur essendo di controllo, vengono caricati sulle imprese e sui produttori. Visto che i mezzi si muovono e i prodotti devono attraversare i confini, le dogane possono ancora vanificare, ritardare o comunque bloccare l’iter delle operazioni. Le chiedo, allora, se si pensa di lasciare la legge n. 185 del 1990 così com’è o si è in procinto di fare qualcosa, visto che è stata denunciata qualche defezione che abbiamo anche verificato. Grazie.

  DOMENICO ROSSI. Da quanto mi consta, i mezzi con i quali l'Esercito è entrato in Afghanistan sono di fatto cambiati quasi nella loro totalità rispetto a quelli attuali. Le procedure ci consentono un'azione di ricerca e sviluppo autonoma da parte del Segretariato generale della difesa che sia svincolata dagli input operativi del Capo di stato maggiore della difesa, oppure l'azione di ricerca e sviluppo parte unicamente nel momento in cui si manifesta un'esigenza concreta ? Chiedo questo perché è evidente che rischiamo di arrivare, come a volte è successo, in ritardo rispetto alle esigenze effettive.
  Il gruppo di Scelta civica spinge verso una difesa europea più stringente, verso la quale cercano di andare tutti i Paesi, anche ipotizzando una forma di risparmio per le spese militari. Lei ritiene che in un tavolo europeo i partner si siederebbero con pari diritti, pur in presenza di PIL diversi rispetto al bilancio nazionale ?
  Da ultimo, sui sistemi d'arma non le farò una domanda specifica, ma Le chiedo se i sistemi d'arma individuati come necessari Pag. 10rispondano a una priorità operativa derivante dalle lesson learnt degli ultimi quindici anni oppure se potrebbe essere individuata una priorità diversa.

  DONATELLA DURANTI. Ringrazio anch'io il Segretario generale che ci ha fatto comprendere meglio quali sono le competenze e il ruolo del Segretariato generale della Difesa. Vorrei porre diverse domande rispetto agli F-35. Da quanto ho sentito nella relazione, emerge con grande evidenza la difficoltà di lettura del bilancio della Difesa visto che abbiamo collaborazioni con altri ministeri e, quindi, diverse risorse non sono allocate nel bilancio della Difesa. Per esempio, mi riferisco alle risorse del Ministro dello sviluppo economico per i sistemi d'arma, ai fondi per le missioni all'estero, ai fondi del MIUR e a quelli per i servizi i segreti militari.
  Insomma il bilancio della difesa, a partire dalle risorse allocate per i sistemi d'arma, è di difficile lettura, visto che, come abbiamo discusso poco fa qui in Commissione, il tema che ritorna è quello della percentuale per la funzione difesa rispetto al PIL, ben oltre quello 0,84 per cento di cui si parla e intorno all'1,4 per cento.
  In relazione a questo ragionamento sul bilancio della Difesa e alle risorse allocate per l'investimento, gradiremmo sapere se è finalmente possibile avere delle risposte compiute. Per esempio, rispetto al programma di acquisizione degli F-35 vorremmo sapere qual è il costo dei primi aerei che l'Italia ha acquistato, dal momento che non c’è chiarezza su questo. Inoltre, vorrei sapere quanti sono gli aerei che saranno sostituiti dagli F-35. Inizialmente si parlava di 250, poi di un centinaio. Insomma, vorremmo capire esattamente quali e quanti saranno gli arerei che saranno sostituiti dagli F-35.
  Infine, avremmo bisogno anche di informazioni sul cosiddetto ALIS, quel sistema di informazioni di ambiente logistico da cui dipendono gli F-35, sia per quanto riguarda le informazioni sullo stato della manutenzione sia per quanto concerne le missioni. Insomma, è quella sorta di «Grande fratello» – passatemi il termine – che guida gli F-35 e su cui non credo che abbiamo, come Paese, alcuna possibilità di controllo. Non avendone mai parlato, vorremmo informazioni su questo sistema logistico di informazione legato all'utilizzo e al funzionamento degli F-35.

  SALVATORE CICU. Grazie, Generale, per la sua approfondita relazione. Personalmente, approfitterei di questa occasione per uscire, se me lo consentite, fuori dai soliti schemi e riflessioni. Credo che l'appuntamento europeo del prossimo dicembre possa costituire un approfondimento riguardo a quello che altri Paesi e sistemi europei vivono rispetto al sistema dei programmi cosiddetti «della difesa».
  Personalmente, sono stato spesso all'estero e ho vissuto quell'esperienza più volte citata e oramai codificata in norma, affrontata nelle scorse settimane in Commissione esteri e difesa. Mi riferisco al rapporto governo-governo, che individua una sintesi e una mediazione per definire aspetti delicati e complessi che riguardano i sistemi industriali e un'affidabilità e una continuità in politica estera e di difesa, quindi la sicurezza dei confini nazionali. Tuttavia, sappiamo benissimo che la sicurezza è governata da organismi internazionali e da scelte di linea internazionale.
  Non dico ciò solo per fare una provocazione, ma per aprire un ragionamento. Quindi vorrei chiedere al Generale cosa pensa. In altri Paesi questo tema è gestito da civili, cioè da settori che si occupano della politica industriale del Paese, nei quali c’è anche il segmento dell'industria della sicurezza e quindi dei sistemi d'arma. In quel caso, fa meno clamore il poter realizzare un incontro tra civile e militare in ordine all'aspetto che riguarda la tecnologia e l'innovazione.
  Peraltro, ricordo un'esperienza che ho avuto in Cina, per la vendita di elicotteri Agusta, in cui potei partecipare come sottosegretario alla difesa solo a latere; cioè il sottosegretario alla difesa, trattando di questioni che riguardano la sicurezza dei Paesi, non poteva partecipare alla sottoscrizione di alcun contratto perché non ne Pag. 11aveva la competenza. Il contratto venne, infatti, giustamente sottoscritto dal sottosegretario all'industria.
  Pertanto, vorrei sapere se questo appuntamento europeo ci potrebbe dare la possibilità di capire meglio come, oltre al linguaggio dei sistemi d'arma, si possa uniformare anche quello della gestione dei sistemi d'arma per realizzare una migliore prospettiva ed evitare che ci siano posizioni riguardanti il sistema economico e industriale di un Paese non esclusivamente ideologiche.

  PAOLO BOLOGNESI. Ringrazio anch'io il Generale per la relazione che ha toccato soprattutto il rapporto con l'Europa, aspetto molto interessante. Ho sentito fare molte domande sugli F-35, che è la materia più di attualità, quindi non mi ripeto su questo. Volevo chiederLe, dal momento che abbiamo tutti questi sistemi d'arma – si parla addirittura di 85 – su cui si sta operando e che Lei, probabilmente, sta acquisendo o valutando anche alla luce di un discorso di integrazione europea dal punto di vista militare, quanti di questi programmi sono in contrasto con un'integrazione europea e privilegiano mercati al di fuori dell'Europa ?

  PRESIDENTE. Do ora la parola al Generale Claudio Debertolis, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, per la replica.

  CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Grazie. Vorrei fare una premessa sugli F-35, di cui ho avuto occasione di parlare tante volte al Parlamento. Essendosi il Ministro occupato di persona della materia, anche oggi, e avendo il Parlamento, in entrambi i rami, deciso di fare un'indagine conoscitiva, sarà possibile accedere e controllare tutto quello che ho sempre detto qui, cioè che, come per gli altri programmi, stiamo cercando di trasformare l'acquisizione degli F-35 in una grande impresa industriale, il che significa che stiamo cercando di portare più lavoro possibile in Italia e di controllare il progetto, di cui ci si impadronisce non immediatamente, ma lavorandoci nel tempo.
  Per rispondere contemporaneamente a più domande, rispetto al tema del confronto con l'Eurofighter, vorrei fare una brevissima sintesi di come si è sviluppata la nostra industria aeronautica dal dopoguerra, dopo che è stata distrutta dalla Seconda guerra mondiale. Siamo rientrati nel mondo aeronautico con il Piano Marshall, gestendo e facendo la manutenzione di aeroplani che ci venivano regalati. Successivamente, abbiamo cominciato con l'F-104, il famoso Star Fighter, a ricostruire in Italia pezzi di aeroplano e alla fine abbiamo sviluppato una versione nostra l'F-104S, cominciando ad accumulare esperienza.
  Questa esperienza ci ha permesso di entrare nel programma Tornado con il 10 per cento. Eravamo, quindi, un Paese minoritario, ma è stato un programma di grande crescita tecnologica, sebbene costosissimo, che ha, però, portato l'industria italiana a un livello notevole.
  Successivamente, abbiamo costruito un nostro aereo in casa, l’AMX, con una pregevole cooperazione con il Brasile, dopodiché siamo entrati nel consorzio Eurofighter, nell'ambito del quale avevamo una posizione molto più importante (il 22 per cento su quattro nazioni) e sviluppavamo delle parti importanti; in particolare, tutto l'armamento.
  A un certo punto, in questo filo logico si inserisce il Joint Strike Fighter. Prima di questa occasione gli americani erano molto chiusi come tecnologia. Nessun aereo americano veniva costruito, ma semplicemente venduto con scatole nere. Quindi abbiamo cominciato a sviluppare i nostri aeroplani proprio perché trovavamo un muro dall'altra parte. Ciò nonostante, sull'Eurofighter e sul Tornando c'era molta tecnologia americana, ma rilasciata a pezzi perché non c'era l'integrazione di tutto il sistema.
  Ora invece gli americani ci hanno aperto la porta perché esiste l’Eurofighter, che è stata la dimostrazione che l'Europa può farsi gli aerei da sola, per cui ci hanno Pag. 12proposto di farli insieme. Quando hanno aperto la partecipazione al Joint Strike Fighter ci siamo agganciati perché abbiamo visto la possibilità di arrivare alla migliore tecnologia.
  Ora dobbiamo gestire questi due programmi. L’Eurofighter è un aereo maturo che va soltanto gestito, migliorato e possibilmente anche venduto. Anche questo fa parte, infatti, dei discorsi governo-governo che stiamo facendo. Quindi non abbiamo affatto abbandonato l’Eurofighter; viceversa, in questo momento stiamo negoziando con gli altri Paesi l'aggiornamento del radar per passare da quello meccanico a quello elettronico in maniera da poterlo migliorare e renderlo più appetibile ad altri Paesi. Stiamo continuando a investire sull'Eurofighter con la certezza di avere dei ritorni perché l'aereo è maturo e funziona, dimostrando che tutte le paure che c'erano anche su quell'aereo durante lo sviluppo sono scomparse.
  Il Joint Strike Fighter è un'impresa nuova. Oggi discutevo con un generale americano del fatto che in Italia abbiamo l'unica facility europea fuori dai confini degli Stati Uniti dove l'aeroplano viene fabbricato, non semplicemente assemblato perché molti pezzi sono fabbricati in Italia. Personalmente, quindi, sono molto contento di questa indagine conoscitiva sui sistemi d'arma nella quale potrò spiegare nel dettaglio questo tipo di operazioni che avvengono, dimostrando anche che tale programma non ha fatto altro che seguire una linea logica di sviluppo dell'industria aeronautica italiana, in cui – come ho detto durante la mia audizione – c’è un sodalizio tra le esigenze delle Forze armate e quelle industriali.
  In ogni caso, non accetto la contrapposizione Eurofighter europeo – Joint Strike Fighter americano. L’Eurofighter aveva e ha tantissime tecnologie americane; il Joint Strike Fighter avrà tantissime elaborazione italiane.
  Collegandomi al discorso ALIS, questo non è altro che il sistema logistico – per l’Eurofighter esiste il SILEF 2000, dove tutti i dati logistici vengono inseriti, per cui si riesce a fare la manutenzione del velivolo quando ancora sta volando – del Joint Strike Fighter. In questo sistema la capacità di prevedere i guasti sarà portata al massimo. L'ALIS è, quindi, un semplice strumento di manutenzione.
  Poi, volendo romanzare, potremmo dire che sarà un sistema di controllo per cui l'americano saprà quando il nostro velivolo si muoverà per andare da qualche, ma questa è veramente fantascienza. Infatti, non muoveremo mai un cacciabombardiere per missioni come la Libia senza che ci sia stata un'autorizzazione di vario tipo (ONU, NATO e così via) per cui la presenza del nostro aeroplano non deriverà da informazioni di ALIS, ma di tutti quei sistemi di missioni attivi quando un nostro velivolo va a fare un'operazione. Quindi non esiste questo discorso del Grande fratello.
  Oltre all'ALIS, che sarà sotto il controllo italiano perché faremo un'integrazione con il SILEF e i nostri sistemi logistici, pian piano in questo velivolo inizieremo a fare integrazione di equipaggiamenti italiani e ce ne impadroniremo, come ci siamo impadroniti di tutte le macchine.
  Spero – ripeto – di poter esprimere tutto questo in dettaglio durante l'indagine conoscitiva, così che si possa vedere che anche in questo caso abbiamo rispettato la volontà di fare di ogni acquisizione un'impresa industriale. Quindi non c’è nessuna penalizzazione per l'Eurofighter anche perché in questo momento ne sto parlando con altre nazioni; peraltro, sono venute altre nazioni a volare con l’Eurofighter in Italia. Sarebbe, dunque, contro i nostri interessi abbandonare una macchina che è ancora pienamente viva, operativa e frutto di investimenti. Non ci sono – ripeto – penalizzazioni per l’Eurofighter.
  Durante l'indagine conoscitiva si potrà rispondere anche a quella domanda che sembra così complessa su quanti aeroplani abbiamo comprato o compreremo e quanti ne sostituiremo. Rimando tutto all'indagine conoscitiva. Sugli aeroplani, però, voglio dare una risposta immediata perché la conosco a memoria. Abbiamo comprato 100 Tornado, 136 AMX e 18 AV-8. Se Pag. 13vogliamo fare un confronto di quanti ne abbiamo comprati e quanti ne compriamo adesso questi sono i numeri esatti: 100, 136 e 18 sono gli aerei che sostituiremo con questo nuovo acquisto.
  Rispondo poi alla domanda degli onorevoli Calipari e Duranti circa la difficoltà di leggere i nostri bilanci per il fatto che ci siano i fondi del Ministero dello sviluppo economico; dagli altri dicasteri, infatti, non arrivano fondi in quantità tale da poter spostare la percentuale del PIL. Nella nota aggiuntiva che mandiamo al Parlamento riportiamo tutti i programmi, anche quelli che ci vengono finanziati dal MISE. Qualche anno fa abbiamo deciso di metterli proprio per una questione di trasparenza, quindi quella nota aggiuntiva è il nostro messaggio al Parlamento. Non so se c’è qualcosa di poco trasparente, ma è una base di conoscenza che abbiamo cercato di fare nella maniera più chiara possibile.
  In questo documento ci sono tutti i dati sui nostri programmi di investimento, quindi si può fare anche il calcolo del PIL e tutto quello che è richiesto. Comunque, siamo sempre pronti a rispondere a qualsiasi domanda perché sinceramente non abbiamo da nascondere nulla, operando in maniera trasparente anche nei confronti dell'industria.
  Per la parte che riguarda i servizi militari – si chiamano ancora così, ma in realtà sappiamo che sono stati staccati completamente dal Ministro della difesa e sono gestiti dalla Presidenza del Consiglio – esiste un altro sistema di controllo che conoscete bene, ma non richiede grandissime spese in confronto a ciò che è speso per le tre Forze armate.
  Oltre agli F-35, l'indagine conoscitiva potrà riguardare qualsiasi altro programma.
  In merito all'integrazione europea, cioè all'interoperabilità, vorrei dire che i mezzi possono essere anche diversi. Gli standard NATO, dettati dai documenti che dicono come costruire gli oggetti, fanno sì che gli strumenti, anche se diversi, siano interoperabili. Pensiamo soltanto alle comunicazioni criptate (il cosiddetto «link 16») che vengono trasmesse da qualsiasi macchina, se si ha lo standard.
  In realtà, il problema è l'economia di scala. Se creiamo un mezzo nazionale e lo produciamo in pochissimi esemplari, viene a costare tantissimo; invece, se partecipiamo a programmi internazionali, i numeri salgono, per cui è chiaro che i costi sono diversi. L’Eurofighter, nonostante tutto, è stato un programma costosissimo perché il numero di velivoli sta sotto i mille, quindi i costi restano importanti.
  Il Joint Strike Fighter avrà, per contro, una produzione di oltre 4-5.000 unità, quindi alla fine il velivolo verrà per forza a costare di meno in proporzione. Ricordiamo, tuttavia, che l’Eurofighter è anche un investimento per far crescere le nostre industrie e fargli fare un salto di qualità notevolissimo, quindi è valsa la pena di quella spesa. Ora, però, cerchiamo di far fare un simile salto di qualità senza spendere così tanto.
  L'interoperabilità è, dunque, garantita proprio dagli standard. Per quanto riguarda le collaborazioni, gli investimenti possono aprire una collaborazione con il Ministero della ricerca. Tempo fa abbiamo firmato un protocollo e stiamo cercando i programmi comuni, soprattutto su velivoli senza pilota visti come un prodotto duale, cioè con applicazioni civili. Tuttavia, siamo ancora in una fase di negoziazione per individuare alcune attività da fare insieme.
  Parlando di ricerca mi collego a quello che mi ha chiesto l'onorevole Rossi, cioè se il Segretariato fa delle operazioni che possano rispondere con rapidità alle esigenze che si formano sul campo. In effetti esistono due percorsi diversi. Quello che sta sotto la responsabilità dello Stato maggiore della Difesa, di cui il Segretariato è un esecutore, è relativo al fatto che quando si trova un difetto in un'esperienza sul campo si avvia un processo di rimedio. Per esempio, il Lince è stato migliorato moltissimo durante il percorso. In questo ambito ci sono delle procedure che abbiamo accelerato il più possibile, con il cosiddetto «urgent requirement» che fa sì che la procedura di miglioramento sia Pag. 14la più rapida possibile. Infatti, ho anche mandato sul campo uomini del Segretariato proprio per diminuire i tempi di comprensione del lavoro da fare.
  L'altro percorso riguarda un altro budget di una sessantina di milioni, esclusivamente mio, con il quale posso fare delle attività di ricerca non direttamente collegate con i requisiti urgenti, ma che possono essere molto importanti. Per esempio sto facendo vari programmi sulla ricerca delle bombe nascoste o di protezione. Insomma, i programmi di ricerca si caratterizzano per il fatto che si deve avere il coraggio di spendere anche sapendo che si potrebbe prendere una strada sbagliata, ma questo permette di avere dei ritorni. Devo dire che girando ho visto il risultato di alcune di queste ricerche, che stanno cominciando a entrare in servizio, specie quella per il ritrovamento di materiali sottoterra. Quindi, ho anche questo budget che utilizzo, avendo degli esperti che trovano strade e le risposte giuste.
  Do ora una risposta rapida al senatore Divina sul problema dell'apparato militare. Grazie agli investimenti del passato, alla politica che è stata fatta ultimamente e alle esperienze, in questo momento abbiamo un apparato all'altezza dei compiti, in grado di andare in qualsiasi parte del mondo con un minimo preavviso, come peraltro abbiamo dimostrato in Libano, in Libia e in Afghanistan. È un apparato che può operare dappertutto, anche se in questo momento mostra parecchi punti critici perché lavoriamo continuamente per tenerlo in piedi e dargli una capacità operativa con risorse sempre più limitate.
  Tuttavia, se da oggi sospendessimo tutti gli investimenti per migliorare i mezzi, in 3-4 anni il mezzo decadrebbe perché c’è bisogno di un rinnovamento continuo. Diciamo che per 3-4 anni andremo avanti quello che abbiamo, dopodiché cominceremo a essere senza mezzi. Dico questo per dare l'idea di quanto un sistema militare debba essere alimentato.
  Riguardo alla legge n. 185 del 1990, devo ricordare che l'abbiamo appena modificata. Peraltro, ho avuto occasione di parlare in questa sede di quella legge, che di per sé è avanzata e molto orientata sull'etica e sulla politica estera. Per questo, però, ha bisogno di un sistema di controllo. Il male di quella legge, che le ha provocato la fama di essere un freno allo sviluppo e all'esportazione, è stato dovuto ai regolamenti burocratici che ci eravamo dati all'origine. In questi ultimi anni, però, abbiamo aggiornato i regolamenti e abbiamo messo in piedi tutto quello che la legge già prevedeva come la licenza globale, quindi non c’è più bisogno di chiedere ogni volta la licenza per qualcosa, ma si dà una licenza per tutto il programma. Insomma, abbiamo trovato tutti i meccanismi più rapidi per poter rispondere immediatamente perché – ripeto – deve essere uno strumento di controllo e non di freno. Su questo ci siamo trovati in pieno accordo con il Ministero degli esteri.
  Per quanto riguarda l'ingiustizia secondo la quale le ditte devono pagare i costi dei controlli, questo deriva dalle condizioni attuali dello Stato, visto che si rischiava di non avere i soldi per fare i controlli, come certe volte avviene. Quindi questa «cattiveria» è stata prevista per avere la sicurezza che i controlli sarebbero stati effettuati.
  La legge – detto da me, che sono molto interessato all'esportazione – è valida; adesso le procedure sono rapide; peraltro, siccome molte ditte non sanno come fare abbiamo anche messo in piedi un sistema di insegnamento, per cui ritengo – ripeto – che la legge vada bene così com’è.
  Una domanda importante è quella dell'onorevole Rossi che chiedeva se può esserci una priorità diversa dalle urgenze operative quando si sviluppa un sistema d'arma. Io sono qui proprio perché il sistema è questo: le Forze armate esprimono dei requisiti, che sono la priorità numero uno; per legge, qualsiasi contratto faccia, sono tenuto a far rispettare le priorità delle Forze armate, che derivano da esperienze sul campo e dallo studio della minaccia.
  Faccio un esempio. Parlando del problema del trasporto aereo, ci siamo trovati in una situazione in cui l'industria premeva per entrare nel sistema Airbus 400; Pag. 15le Forze armate premevano per avere al più presto un aereo da trasporto perché il velivolo C130-H era obsoleto e cominciavamo ad avere delle missioni all'estero. Si trattava, quindi, di un contrasto netto. Se avessimo preso l'Airbus avremmo aspettato (parliamo, infatti, dell'inizio degli anni Duemila) perché soltanto adesso sta entrando in servizio. Invece, alla fine, abbiamo comprato off the shelf il C130 nuovo, ma contemporaneamente abbiamo fatto sì che la Lockheed Martin investisse in Italia e abbiamo creato il C27, che è stato l’offset. Quindi abbiamo ottenuto il risultato di rispettare pienamente il requisito delle Forze armate, a cui il C130-J è servito in maniera incredibile in questo periodo, e abbiamo fatto lavorare la nostra industria con un prodotto nazionale che adesso stiamo vendendo nel mondo. Questo è il tipo di operazioni che facciamo.
  Tornando alla risposta, la priorità è sempre ai requisiti delle Forze armate; dopodiché ci inventiamo un sistema per far sì che ogni acquisizione produca qualcosa di buono, come nel caso del C130.
  Il Segretariato fa anche un'opera di raccordo tra le esigenze delle Forze armate e l'industria nazionale, cosa che in altri Paesi è svolta da altre organizzazioni, anche completamente civili. Non è una formula strettamente necessaria che il Segretario generale sia un militare; infatti la legge prevede che possa essere anche un civile. È chiaro che in questo momento in Italia i maggiori esperti di questa materia dal punto di vista non soltanto strettamente militare, ma anche amministrativo, anche per i contatti internazionali che abbiamo, si trovano nel Segretariato. Questo vale soprattutto per i contatti internazionali.
  Per esempio, per le riforme che abbiamo fatto, avendo potuto parteciparvi, mi sono ispirato alla Délégation Générale pour l'Armement (DGA) francese, che è un'organizzazione a parte rispetto alle forze armate, fatta da un corpo militarizzato di ingegneri totalmente indipendenti delle forze armate, che fa quello che da noi fa il Segretariato. Qualsiasi miglioramento o integrazione con altri dicasteri è benvenuta. Da parte nostra non difendiamo nessuna posizione particolare. Vogliamo soltanto che il lavoro sia fatto bene. Pertanto, pensare ad altre formule per portare avanti il lavoro che facciamo non ci sembra un male.
  L'integrazione europea è sicuramente un problema perché nel momento in cui cerchiamo di integrarci, automaticamente vediamo che a una nostra offerta di rinunciare a qualcosa non c’è dalle altre parti la stessa disponibilità. Attualmente, stiamo facendo uno sforzo enorme con la Francia. I due precedenti ministri hanno firmato un accordo in cui hanno dato l'incarico ai due direttori degli armamenti di studiare un'integrazione tra l'industria francese e quella italiana, cosa che stiamo portando avanti. Abbiamo, però, dei problemi che derivano dall'industria.
  Faccio l'esempio del siluro costruito in parte in Italia e in parte in Francia, rispetto al quale a un certo punto c’è stato un dissapore tra le due industrie, per cui adesso ognuna sta fabbricando la sua parte. Abbiamo, insomma, una tendenza contraria rispetto a un'integrazione già avvenuta. Stiamo combattendo questi fenomeni, ma è chiaro che sono dovuti alla crisi. In questo momento nessuno vuole rinunciare a possibili profitti. Tuttavia, come ho detto, sono ottimista perché con queste discussioni continue, pian piano, riusciremmo a trovare le giuste strade. Per esempio, Finmeccanica decide assieme a noi quali assetti tenere e quali vendere ad altre nazioni.
  Ricordo, inoltre, che la cosiddetta legge sul Golden power ci dà un grosso potere di mantenere la tecnologia dentro i confini nazionali, a prescindere dalla proprietà. Attualmente, la Avio, che è una nostra azienda superstrategica, è stata venduta alla General Electric. Abbiamo posto delle regole che quest'ultima ha accettato, quindi siamo sicuri che essa investirà nei prossimi anni qualche miliardo in Italia per cui far comprare l'industria non è stato un danno per il Paese.
  Riguardo ai punti di forza in termini tecnologici con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri abbiamo individuato Pag. 16quali sono le tecnologie chiave del Paese, che sono legate sia a singoli elementi sia a sistemi. Per esempio, abbiamo un'eccellenza nel costruire i velivoli addestratori, cosa che stiamo valorizzando; l'M-346 è stato venduto a Israele e a Singapore ed è sotto attenzione di parecchi Paesi. Stiamo, però, cercando di sviluppare altri addestratori.
  Ci sono anche delle piccole aziende – ne ho visitata una in Puglia qualche tempo fa – che costruiscono ultraleggeri che già hanno un'impostazione da addestratore militare, proprio per questa mentalità dell'insegnare che abbiano. Inoltre, riguardo ai radar sia civili sia di difesa abbiamo le migliori tecnologie in assoluto. Comunque, nel decreto che ho citato c’è un elenco di tecnologiche che dobbiamo mantenere. In effetti, non potendo mantenere tutto, dobbiamo puntare su quelle chiave.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il Generale Debertolis per la completezza delle risposte e anche per la disponibilità che ci ha dato a ritornare nella nostra Commissione e in quella del Senato. Dichiaro quindi conclusa l'audizione e con essa il ciclo di audizioni introduttive deliberato dalle Commissioni difesa di Camera e Senato.

  La seduta termina alle 14.40.