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XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 11 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 
Carrozza Maria Chiara , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 
Epifani Guglielmo , Presidente ... 8 
Vignali Raffaello (PdL)  ... 8 
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 9 
Benamati Gianluca (PD)  ... 10 
Da Villa Marco (M5S)  ... 11 
Lacquaniti Luigi (SEL)  ... 12 
Epifani Guglielmo , Presidente ... 12 
Taranto Luigi (PD)  ... 12 
Allasia Stefano (LNA)  ... 13 
Nardella Dario (PD)  ... 13 
Crippa Davide (M5S)  ... 15 
Impegno Leonardo (PD)  ... 15 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 16 
Carrozza Maria Chiara , Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 16 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza, sugli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.
  Ringrazio, a nome di tutti voi, la Ministra Carrozza, con la quale ci scusiamo anche, perché credo che abbiamo dovuto, per ragioni di calendario, rimandare più volte questa presenza, alla quale annettiamo naturalmente grande importanza, per i rapporti che vediamo tra le politiche formative in senso lato e le politiche industriali e di sviluppo, delle quali la nostra Commissione si occupa quotidianamente.
  Se siamo d'accordo, io darei subito la parola alla ministra per la sua relazione, cui seguiranno la discussione e il dibattito. Prendiamo l'impegno che poi, anche in ragione dei tempi che abbiamo, il ministro tornerà per fornire le risposte, almeno quelle che non riuscirà a fornire nei tempi che abbiamo previsto.
  Do la parola alla Ministra Carrozza.

  MARIA CHIARA CARROZZA, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Buonasera e grazie, presidente. Buonasera a tutti i colleghi.
  Il percorso di sviluppo e crescita moderno e competitivo del nostro Paese passa inevitabilmente anche attraverso il riconoscimento del ruolo centrale della ricerca e dell'innovazione, in tutte le sue componenti, che necessitano in modo imprescindibile di interventi, di carattere sia programmatorio, sia operativo-procedurale.
  Come già illustrato innanzi alle settime Commissioni riunite di Camera e Senato, ho indicato tre priorità nelle linee programmatiche per il nostro sistema scientifico e tecnologico. Tutti gli interventi del Ministero dovranno avere l'obiettivo di creare un sistema nazionale della ricerca in grado di rappresentare un volano allo sviluppo e all'innovazione, in quanto, come ho sempre sostenuto, la scienza e la ricerca sono la base essenziale della competitività di questo Paese.
  Preliminarmente, va ribadito con forza che qualunque intervento mirante alla costruzione del sistema nazionale della ricerca che vada nella direzione del massimo efficientamento e della semplificazione dell'azione amministrativa non può da solo essere sufficiente al raggiungimento del target di spesa in ricerca fissato in ambito europeo, corrispondente al 3 per cento sul PIL.
  Dopo anni di sacrifici serve un'inversione di rotta. Per arrivare a tale obiettivo è necessario reperire ulteriori risorse da Pag. 4destinare al settore ricerca. In particolare, per quanto concerne la ricerca di base, che oggi conta – solo, dico io – 63 milioni di euro a fronte degli 83 milioni di euro dell'anno 2012, il Fondo ordinario di finanziamento degli enti di ricerca (FOE), che nel 2013 ha una dotazione complessiva pari a 1,79 miliardi di euro, e la ricerca industriale, che vive dei rientri del credito agevolato e non viene più rifinanziata, per quanto concerne il contributo alla spesa, da due anni, tutto questo evidentemente non basta.
  Io ho detto fin dall'inizio che quello dell'istruzione, università è ricerca è un Ministero di investimento e non di spesa. Questo significa avere una seria capacità di programmazione e valutazione dei risultati, una maggiore efficienza, attraverso normative più chiare, bandi semplificati, pagamenti più rapidi, una maggiore autonomia e strumenti più efficaci per i talenti, soprattutto i più giovani, e per le imprese, al fine di rispondere con maggiore successo ai bandi competitivi europei, e una maggiore collocazione nelle classifiche internazionali e nei mercati globali.
  Stiamo già lavorando, in tale ottica, al nuovo Piano nazionale della ricerca 2014-2016, strumento fondamentale di pianificazione strategica nazionale, a forte rilevanza comunitaria, prevedendo azioni innovative per sostenere e accompagnare il Paese verso l'economia della conoscenza, che dovrà rappresentare il quadro di riferimento per tutte le amministrazioni centrali (i ministeri) e gli enti territoriali (le regioni, competenti in materia di ricerca e innovazione).
  A tal fine, nel mio ruolo di coordinamento e stimolo del processo di redazione del Piano nazionale della ricerca, il processo di definizione del programma è improntato ai princìpi di massima inclusione degli attori rilevanti e di rigorosa individuazione di tempi, milestone e indicatori di performance che garantiscano la qualità, la completezza, la fattibilità e la tempestività del Piano nazionale della ricerca 2014-2016.
  Metteremo in opera anche un meccanismo di monitoraggio e di valutazione in itinere dell'attuazione del Piano nazionale della ricerca, in modo da verificarne periodicamente la realizzazione in termini di attività realizzate e di risultati raggiunti.
  Per questo motivo il prossimo PNR sarà un documento programmatico. Attraverso indicatori di performance chiari e definiti avremo una strategia credibile per i prossimi tre anni, in linea sia con le priorità dei progetti europei, sia con le specificità italiane. Sappiamo tutti benissimo che il divario dell'investimento privato in ricerca e sviluppo, rispetto alle medie internazionali, è notevole, ma io credo che, a fronte di una programmazione pubblica credibile, le aziende vorranno e sapranno affiancarci.
  Proprio nell'ottica della programmazione credibile, accanto alla nuova governance del processo, stiamo lavorando per fornire risposte adeguate alle istanze degli stakeholder in merito ai tempi delle procedure amministrative, con particolare riferimento all'erogazione delle risorse, ai beneficiari e alla trasparenza.
  A tale scopo, ritengo necessario operare un'incisiva semplificazione normativa, ma soprattutto procedurale, che coniughi qualità, essenzialità, tempestività, efficienza dell'azione amministrativa e attenzione ai bisogni della collettività. Occorre inoltre prevedere la creazione di meccanismi di supporto e incentivazione ai ricercatori italiani che vincono grant europei.
  Occorre allineare ancora di più l'impostazione dei meccanismi e degli strumenti del PNR con quanto adottato in ambito comunitario e con Horizon 2020; utilizzare, quale strumento di valutazione a sistema, la valutazione tra pari e internazionale; potenziare e ammodernare i sistemi tecnologici delle strutture amministrative a supporto della gestione delle diverse tipologie di interventi, al fine di rendere sempre più efficienti e celeri le fasi di valutazione ex ante, in itinere ed ex post e ridurre i tempi di rimborso degli investimenti in ricerca; garantire la trasparenza dell'azione amministrativa, anche secondo le logiche dell’open data e Pag. 5dell’open access, per aumentare l’accountability dell'amministrazione nei confronti dei cittadini e innescare processi virtuosi di miglioramento continuo dell'azione amministrativa; potenziare il bagaglio informativo dell'Anagrafe nazionale delle ricerche, per ora limitato ai soli progetti di ricerca industriale, lavorando anche sull'aggiornamento, che deve essere tempestivo.
  Occorre poi implementare il portale, l'unico, della ricerca, ResearchItaly, anche con funzionalità di dialogo, tipiche dei più moderni social network, per accogliere e divulgare i risultati della ricerca svolta negli enti pubblici, nelle università e negli enti privati, consentendo agli attori del sistema di implementarlo.
  Ancora, occorre istituire la figura del project officer sul modello europeo, per il momento prevista solo per i progetti PON, estendendola anche ai progetti di ricerca industriale. Tale figura sarà l'interfaccia unica del ministero nei confronti dei coordinatori dei progetti, al fine di velocizzare e semplificare gli adempimenti posti a carico delle imprese, delle università e degli enti pubblici.
  Si dovranno mappare le specializzazioni regionali, nell'ambito degli obiettivi della nuova programmazione 2014-2020, in coerenza con quanto indicato dal programma comunitario Horizon 2020, allo scopo di costruire un quadro strategico condiviso, fondato sui punti di forza dell'economia e sull'identità regionale, di condividere e rafforzare l'identità regionale, la concentrazione e l'integrazione degli interventi, di consolidare il percorso di trasformazione del sistema produttivo verso l'economia della conoscenza e dell'innovazione.
  Si procederà a pubblicare la nuova banca dati di esperti REPRISE (Register of Expert Peer Reviewers for Italian Scientific Evaluation), a cui, in attuazione di quanto previsto dalle normative vigenti, il Ministero attingerà per l'individuazione degli esperti incaricati delle valutazioni dei progetti di ricerca, sia fondamentale, sia industriale.
  Perché il sistema nazionale della ricerca possa essere così realizzato occorre anche rendere efficace il coordinamento degli enti di ricerca e fare in modo che la procedura di finanziamento degli stessi venga rivista, al fine di garantire una programmazione coerente ai budget pluriennali specifici per ciascun ente, basati su Piani di attività dettagliati.
  Importante è anche il ruolo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, la cosiddetta ANVUR, nella valutazione dei risultati raggiunti dagli enti di ricerca, al fine della ripartizione del fondo di funzionamento degli enti e della quota di premialità destinata agli enti medesimi, nonché una necessaria armonizzazione dei controlli tra ANVUR e CiVIT, come già avvenuto con il decreto-legge n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013 (c.d. decreto del Fare).
  Una programmazione credibile deve mettere a sistema i migliori talenti nazionali, coinvolgere i talenti stranieri e creare le condizioni per richiamare i nostri ricercatori dall'estero. La scommessa sul talento si vince con un sistema formativo votato all'inclusione. Per questo motivo già nel «decreto del Fare» il Governo ha deciso di istituire borse di mobilità per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi. Anche il nuovo decreto-legge n. 104 del 9 settembre va in tal senso.
  Vogliamo, pertanto, incoraggiare in ogni scuola e università d'Italia percorsi innovativi insieme ai docenti e alle imprese. Dobbiamo portare nella società nuove professionalità, ma, allo stesso tempo, cittadini votati all'interdisciplinarietà che sappiano vedere il mondo da diverse prospettive, perché il futuro è di chi ha la curiosità di porsi le domande e il coraggio di accettare le sfide.
  Una particolare attenzione merita, dunque, l'impellente necessità di ricostruire un contesto nazionale favorevole alla valorizzazione dei nostri talenti, con particolare riferimento a coloro che quotidianamente sono impegnati nel mondo della Pag. 6ricerca, creando un vero e proprio ecosistema capace di valorizzare le eccellenze nazionali.
  Per troppo tempo il nostro Paese ha interpretato il fenomeno della fuga dei cervelli in modo sbagliato, non comprendendo che il talento è, per propria intrinseca natura, un bene mobile, naturalmente portato a muoversi e a spostarsi laddove esistono le migliori condizioni sociali ed economiche per esprimere al meglio le proprie attitudini.
  Purtroppo, però, dal nostro Paese i talenti escono e non rientrano, non per una naturale predisposizione alla circolazione, ma per le difficoltà di trovarsi, all'interno di un contesto, incapaci di valorizzare e di offrire adeguate opportunità di espressione. Ciò risulta ancora più aggravato in un'epoca, come quella attuale, in cui deve riconoscersi che il lavoro è un risultato sempre più spesso da creare direttamente, attraverso la liberazione delle migliori energie creative di cui il nostro Paese certamente dispone.
  A tal fine, occorre favorire l'attrattività nel nostro Paese per i migliori ricercatori, per esempio per i ricercatori all'estero, o per coloro che vincono grant dello European Research Council o altri grant europei di elevata selettività e prestigio scientifico, come, per esempio, i progetti del Future and Emerging Technologies e immetterli in posizioni stabili nelle università e nei centri di ricerca.
  Non è più sufficiente concedere a questi connazionali posizioni temporanee: chi studia o lavora all'estero, molto spesso in condizioni migliori di quelle dei nostri ricercatori, non valuta di rientrare, se non di fronte a una prospettiva di stabilità.
  In quest'ottica intendo sviluppare e porre in essere una serie articolata e organica di interventi finalizzati. Da un lato, occorre favorire e sviluppare una vera e propria educazione all'indipendenza. Il ricercatore deve avere a disposizione strumenti idonei ad accrescere la sua vocazione a essere indipendente, a essere in grado di muoversi nello spazio globale della ricerca e a competere per ottenere finanziamenti da parte di istituzioni di ricerca internazionale.
  Sul piano della libertà di ricerca è una priorità strategica favorire una reale autonomia del ricercatore, che dovrà essere messo in condizioni di partecipare liberamente e autonomamente a bandi di ricerca, tagliando i vincoli tuttora esistenti nel mondo accademico e garantendogli la diretta e autonoma gestione dei fondi acquisiti e la loro portabilità in casi di mobilità geografica o disciplinare.
  L'attività di ricerca, infatti, per sua stessa natura, è autonoma e basata sulla creatività. Per tale ragione appare necessario il riconoscimento della specificità del lavoro nella ricerca e la definizione dello stato giuridico del personale degli enti pubblici di ricerca. La specificità del lavoro di ricerca non si inquadra facilmente entro le categorie di lavoratori dipendenti, così come generalmente intesi dalla normativa vigente.
  Occorre, quindi, stabilire con maggiore chiarezza sia i compiti generali del ricercatore e del tecnologo, sia le garanzie e i limiti della libertà di ricerca. Più in generale, deve essere stabilito in modo chiaro che l'attività di ricerca che si svolge negli enti pubblici di ricerca ha una sua specificità rispetto al complesso della pubblica amministrazione, che rende necessario allentare i numerosi vincoli, in particolare quelli operanti in virtù del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Un primo segnale in tal senso è l'innalzamento della soglia di turnover per le assunzioni nelle università e negli enti di ricerca, inserito nel recente decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013.
  Un'altra iniziativa per tutelare la libertà del ricercatore è quella di migliorare e valorizzare il processo di formazione continua, ottimizzando le risorse dedicate alla formazione, mettendo in comune le iniziative non solo all'interno del comparto pubblico – già sarebbe molto importante prevedere una totale mobilità del ricercatore tra enti di ricerca e università – ma anche condividendole con il settore privato, Pag. 7divulgando e aprendo alla partecipazione esterna quelle per le quali vi sia un interesse multisettoriale.
  In tale ottica, si colloca il dottorato industriale, che potrà essere attivato dalle università in convenzione con le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo.
  Nell'affrontare questi aspetti sarà fondamentale procedere di comune accordo con i partner dell'Area di ricerca europea, in modo da costruire un sistema normativo il più possibile omogeneo, aperto e riconoscibile come proprio dai Paesi della European Research Area. In questo quadro, già nel citato decreto-legge del Fare sono state previste alcune azioni da portare avanti in modo razionale e organico.
  Occorre, inoltre, sostenere iniziative di ricerca industriale da parte di start-up innovative, costruendo, in collaborazione con altre amministrazioni, per esempio con il Ministero dello sviluppo economico, percorsi coordinati che sappiano accompagnare le migliori giovani imprese innovative del nostro Paese nel commercializzare sul mercato prodotti e servizi altamente innovativi e, per questo, competitivi. Inoltre, sarà necessario coinvolgere nelle iniziative di ricerca industriale da parte di start-up innovative il mondo finanziario e del capitale di rischio, unitamente a forme innovative quali il crowdfunding, per movimentare flussi di capitale necessari al potenziamento dell'imprenditoria innovativa.
  In particolare, intendo introdurre, anche avvalendomi del supporto del sottosegretario Galletti, che è oggi con me e che ringrazio per la presenza, nella cui delega vi è questo specifico compito, programmi di ricerca industriale per incentivare l'investimento privato, con defiscalizzazione degli interventi in ricerca e in attrezzature e incentivi all'assunzione di dottori di ricerca qualificati nelle imprese.
  Intendo ancora potenziare l'interazione e la contaminazione tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, mediante forme di sostegno intelligente, che favoriscano la partecipazione del mondo industriale al finanziamento di corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc; sostenere i periodi di formazione del ricercatore presso le imprese e valorizzare i contenuti didattici orientati alla cultura dell'imprenditorialità innovativa, stimolando all'interno delle università percorsi di formazione di figure professionali nuove, quali i business angel e i venture capitalist; favorire nuovi meccanismi di prestiti agli studenti, accompagnati da nuove forme di restituzione da parte delle imprese che li avranno reclutati, tra cui una rivisitazione del concetto di prestito d'onore; proseguire nella strada, già avviata dal Ministero, a favore delle iniziative di social innovation per sostenere progetti innovativi di concreta ricaduta sociale da parte dei giovani sotto i trent'anni.
  Come ho già detto, mai come oggi la nostra scienza e la nostra tecnologia sono fondamentali per il nostro benessere, per la nostra sicurezza e per la nostra salute. Dobbiamo focalizzare i nostri sforzi, indirizzandoli con trasparenza verso le eccellenze italiane. È questo il messaggio dell'Europa: i programmi Horizon 2020 e quelli dell’ European Institute of Technology ci spingono a sviluppare nuove professionalità, evitando la dispersione delle risorse e concentrandole su temi trasversali e unificanti.
  Per questo motivo abbiamo rilanciato interventi per il sostegno di start-up innovative, di spin-off della ricerca, di iniziative nel mondo della scuola e delle fondazioni culturali. Dobbiamo favorire lo sviluppo di metodi nuovi per il sostegno privato ai progetti di innovazione scientifica e culturale, come le donazioni liberali e il crowdfunding, ma vogliamo anche agire promuovendo la domanda dell'innovazione.
  In questo quadro proseguiremo nella strada già avviata dal precedente Governo in tema di sviluppo di strumenti nuovi, quali il public procurement, che, attraverso appalti pre-commerciali di ricerca e sviluppo, appare fortemente idoneo a venire incontro alle esigenze di innovazione delle pubbliche amministrazioni, mettendole in condizioni non solo di individuare fabbisogni importanti per la migliore erogazione Pag. 8dei propri servizi pubblici, ma anche di poter disporre delle più avanzate ed efficaci soluzioni tecnologiche idonee a tali scopi.
  Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico, ha già attivato questi percorsi, al momento limitatamente alle regioni meridionali dell'Obiettivo convergenza (Puglia, Calabria, Sicilia e Campania). Compatibilmente con le disponibilità finanziarie esistenti, è mia intenzione estendere tale iniziativa anche al resto del territorio nazionale.
  Voglio, inoltre, segnalare che stiamo per dare il via a una nuova piattaforma dedicata ad ambiziosi premi per studenti, ricercatori e inventori, sul modello dei challenge prizes già diffusi in Nord America e in Europa. Tramite questo progetto, pensato per ricercatori e studenti di ogni ordine e grado, insieme a istituzioni, fondazioni e aziende, investiremo su percorsi e premi legati alle sfide tecnologiche, alle innovazioni sociali, alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese. Vogliamo che l'Expo 2015 racconti queste sfide, spiegando al mondo come la creatività e il talento degli italiani sappiano rispondere alle domande di cambiamento e innovazione che nascono dal Paese.
  Gli uffici del Ministero sono già al lavoro per costruire la piattaforma tecnologica web necessaria. Contiamo, già entro il mese di ottobre, di partire con una prima esperienza pilota ministeriale, che verrà poi estesa a tutti i soggetti che vorranno contribuire ai premi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Abbiamo ascoltato la relazione del Ministro. Credo che possiamo aprire il dibattito.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAFFAELLO VIGNALI. Ringrazio il Ministro e saluto anche il sottosegretario Galletti. Ringrazio per la relazione, che personalmente condivido molto. Soprattutto credo sia fondamentale, finalmente, in questo Paese, capire che ricerca ed educazione sono un investimento e non un costo, come lei ha ricordato all'inizio.
  Tra l'altro, le pongo una battuta. Qualche anno fa, all'entrata di Harvard, c'era un bel cartello che diceva: «Se pensi che la conoscenza costi troppo, prova con l'ignoranza». Rende piuttosto bene l'idea.
  Credo che noi dobbiamo fare uno sforzo per valorizzare di più la ricerca, ma anche le sue possibili ricadute economiche. Sono convinto che nel nostro Paese si faccia ricerca a livello alto, a fronte di risorse investite molto inferiori de rispetto agli altri, anzi, probabilmente, se guardiamo il rapporto tra investimento e qualità della ricerca, scopriremo di avere un indice molto alto.
  Dobbiamo, però, impegnarci un po’ di più per cercare di far sì che tutto quello che oggi abbiamo nei nostri centri di ricerca possa avere una ricaduta effettiva sul nostro sistema produttivo. Da questo punto di vista, pongo alcune domande e vorrei svolgere alcune considerazioni.
  La prima è sul PNR. Condivido che si faccia monitoraggio e valutazione, perché in questo Paese normalmente si fa molta finta valutazione ex ante, nessuna in itinere e di ex post proprio non si parla. Occorre, quindi, fare un po’ di monitoraggio e di valutazione.
  Rispetto alla ricerca industriale, quella che interessa di più questa Commissione, vorrei sapere quali criteri utilizzate per definire gli obiettivi. Per intenderci, vorrei sapere se, per esempio, pensate di fare esercizi di technology foresight o simili, cercando di capire effettivamente laddove valga la pena di focalizzare gli investimenti rispetto a una sufficiente massa critica del sistema della ricerca e del sistema industriale, nonché al posizionamento rispetto ai nostri competitor.
  La seconda questione riguarda l'investimento privato di ricerca, che sarebbe basso. Io non ne sono così convinto, ed è questo l'unico punto su cui pongo qualche domanda.
  Noi abbiamo, secondo me, in questo Paese, una grande quantità di innovazione Pag. 9e ricerca sommersa. La Community Innovation Survey, che lei conosce molto bene, esclude dal campione le imprese fino a 10 addetti e taglia fuori dall'universo il 98 per cento delle imprese italiane.
  Siamo sicuri che il 2 per cento sia la fotografia reale ? Io non ne sono del tutto convinto. Sono anche convinto che questo sommerso abbia tante ragioni, compreso il fatto che, non essendo sostenuta la ricerca delle imprese, noi non riusciamo a leggerla, perché non riusciamo neanche a leggerla sui bilanci.
  Quando si dice che in questo Paese si fa più innovazione di processo che di prodotto, si dice, secondo me, una grandissima bestialità. La differenza, però, è che l'innovazione di processo si legge nei bilanci, negli investimenti, mentre quella di prodotto finisce tra i costi, perché conviene spesarla. Probabilmente, per riuscire a far emergere questo dato la strada potrebbe essere quella di utilizzare il credito d'imposta in ricerca, di cui lei ci ha parlato in modo massiccio. Solo in questo modo noi possiamo far emergere il dato vero sulla ricerca che c’è in questo Paese, oltre che valorizzarla.
  Io sono convinto, peraltro, che i tempi della ricerca e dell'innovazione siano incompatibili con quelli dei bandi e della loro gestione pubblica, soprattutto per le imprese. Quando vediamo bandi e graduatorie approvate dieci anni dopo, mi si deve spiegare dov’è andata a finire l'innovazione ! Di fatto, credo che la leva fiscale servirebbe a premiare le politiche, perché si interviene a interventi fatti e, quindi, non c’è nemmeno l'alea.
  L'altra questione che vorrei sollevare è che in questo Paese servirebbe far emergere il nuovo. Non abbiamo dati dal punto di vista dell'innovazione delle imprese. Questa è più una domanda per capire che cosa si può fare. Se guardiamo il codice ATECO, vi troviamo l'azienda che fa bulloni e quella dell'amico collega Bombassei, che è un'azienda innovativa. Abbiamo, cioè, nello stesso codice la meccatronica e la minuteria più tradizionale.
  Forse bisognerebbe trovare un sistema, anche in quest'ambito, per capire la situazione. Abbiamo un sistema produttivo talmente frastagliato, talmente grande, anche in termini di numeri, che forse varrebbe la pena trovare un modo per fare emergere e anche per poter cogliere meglio che cosa abbiamo e su che cosa possiamo sviluppare di più la ricerca dal punto di vista delle imprese.
  L'ultima questione – chiedo scusa, se sono stato un po’ troppo lungo – riguarda l'università. Lo Small Business Act dell'Unione europea chiede, al primo punto, che nei Paesi europei, nelle nostre università e nelle nostre scuole – limitiamoci alle università – si insegni imprenditoria. Noi siamo il Paese degli imprenditori, ma non abbiamo corsi di imprenditoria, che non è il management, ma è un'altra cosa. Noi siamo il Paese delle imprese familiari e non abbiamo corsi sulla gestione, per esempio, della successione di impresa, che in altri Paesi esiste, soprattutto sulla questione dell'imprenditoria, anche come scuola, per i nuovi imprenditori. Non dico di istituire il corso di laurea in imprenditoria, ma ritengo opportuno che ci siano corsi di imprenditoria. Peraltro, credo che corsi di questo genere potrebbero servire anche per chi pensa a una carriera di ricerca.
  A questo proposito, leggevo il Piano della Gran Bretagna sulle life science. Si prevede di insegnare addirittura marketing nelle specializzazioni cliniche. Può sembrare strano, ma forse non lo è nemmeno tanto. Anzi, credo che questo possa essere un modo perché la ricchezza che esiste, ed esiste davvero, nel nostro sistema di ricerca, ma anche nel nostro sistema imprenditoriale, possa diventare effettivamente un grande patrimonio.

  ALBERTO BOMBASSEI. Condivido le considerazioni che sono state svolte nell'intervento che mi ha preceduto e vorrei solo aggiungerne alcune.
  La prima è che condivido il fatto di poter aumentare il finanziamento alla ricerca in generale. Capisco la difficoltà, perché è già emersa nel passato, di gestire la situazione, tra finanziamento della ricerca pubblica e di quella privata. È molto Pag. 10più difficile tenere sotto controllo quella privata, ma io credo che, se si vuole veramente imprimere un'accelerazione al sistema industriale, questo sia un passo obbligato. Sono comunque le questioni che anche lei ha appena esposto.
  Il secondo modello che potrebbe essere incentivante è il modello tedesco, in cui i laureati, prima di finire la laurea, hanno l'obbligo di trascorrere un determinato periodo presso le aziende, soprattutto dove ci sono enti di ricerca. Questi sono in parte finanziati e in parte co-finanziati dalle aziende. Questa potrebbe essere un'ulteriore innovazione, oltre che un avvicinamento degli studenti al mondo dell'impresa.
  La terza considerazione è stata citata prima. Credo che, se riuscissimo veramente a monitorare meglio il peso reale della ricerca, soprattutto quella privata, nella tipologia delle nostre imprese, composta prevalentemente da piccole o medie imprese, che sfugge da qualsiasi statistica, ne usciremmo un po’ meglio di quanto ufficialmente mostrano i dati. L'insieme di questi strumenti potrebbe essere estremamente utile per cercare di far ripartire anche il sistema industriale, così come l'occupazione.
  L'ultima raccomandazione che mi sentirei di fare è un'osservazione che ho mosso in questi anni, ma senza aver avuto un seguito. Ci sono tanti Paesi in cui gli uffici brevetti addirittura premiano l'inventore del brevetto. Da noi credo ci siano – sono situazioni vissute anche personalmente – tanti casi in cui qualcuno inventa una cosa, ma non la brevetta, perché costa molto. O lascia perdere, o la fa poi sfruttare da qualcun altro, perché rappresenta veramente un costo, mentre in altri Paesi chi fa un brevetto e lo deposita riceve addirittura un premio. Trovare una forma equilibrata fra i due estremi potrebbe essere uno stimolo a far emergere tante buone idee: almeno quelle, da buoni italiani, ne abbiamo in abbondanza.
  Grazie.

  GIANLUCA BENAMATI. Anch'io ringrazio la signora Ministro e il sottosegretario per la loro presenza e per la relazione che la signora Ministro ci ha offerto. Vorrei porre alcune domande e svolgere qualche riflessione.
  Innanzitutto non possiamo, anche come Gruppo, non apprezzare il tema che il Ministro ha voluto porre, considerando il sistema italiano produttivo nella sua complessità, ossia il fatto che, di fianco al gusto, allo stile, all'ambiente, ai beni culturali, alle grandi ricchezze che questo Paese ha, e che possono essere rilevanti anche nelle prospettive economiche, ci sia un tema per questa nazione di ricerca e di sviluppo tecnologico, ossia di innovazione, di concorrenzialità e di competitività nel sistema globale sui prodotti che vengono offerti sui mercati mondiali.
  Lo preciso perché questo concetto viene spesso ripetuto, quasi come una litania, ma, poi all'atto dei fatti, non si traduce, e non si è tradotto, molto spesso nel passato, in politiche coerenti e complessivamente congruenti con quest'affermazione.
  Come diceva il Ministro, non c’è solo il tema della quantità delle risorse, il famoso 3 per cento di obiettivo tendenziale del protocollo di Lisbona, da cui siamo particolarmente lontani come sistema Italia, ma c’è anche, come dicevano i colleghi che mi hanno preceduto, un problema di qualità, di come queste risorse vengono impegnate.
  Rispetto a questo tema a me pare che alcuni spunti interessanti siano stati offerti oggi nella relazione del Ministro. Il tema della migliore e più efficace gestione dei fondi, con valutazioni più accurate di quanto viene fatto, è sicuramente importante. Analogamente, è un tema importante quello della gestione delle risorse a livello centrale.
  Il Ministro ci diceva che è in preparazione il Piano nazionale della ricerca per il biennio 2016-2018, se ho compreso bene. Il tema che pongo è molto semplice: rispetto a questo Piano della ricerca e a tutte le questioni che sono state sollevate sulla gestione corretta e sulla valutazione delle attività, è soprattutto importante per la ricerca tecnologica una focalizzazione in assi e settori di intervento. Il ministero, Pag. 11in questo caso, ha già individuato specifiche aree di intervento. Faccio notare che questo Paese ha forse anche la necessità di focalizzarsi su alcuni settori particolarmente significativi.
  So che ci sono forme di coordinamento con il Ministero dello sviluppo economico, che, peraltro, svolge anch'esso alcune attività di ricerca e di sviluppo tecnologico, attraverso enti, programmi, accordi quadro, accordi di programma e misure di ricerca industriale che vengono finanziate e sviluppate. Questo sistema nazionale, che il Ministro ci indicava e che è altamente auspicabile in un Paese come il nostro, che ha scarse risorse disponibili, ragion per cui il tema di ottimizzarle è quello principale, prevede anche – lo immagino, ma vorrei esserne sicuro – un forte coordinamento fra tutte le azioni dei Ministeri che intervengono su questa linea di lavoro.
  Non volendo ripetere le osservazioni dei colleghi che mi hanno preceduto, che condivido in maniera specifica per quanto riguarda la trasposizione dei risultati della ricerca e la loro applicazione industriale – parliamo, infatti, di ricerca industriale – e il sostegno vero e proprio alle aziende che si trovano a fare ricerca, anch'io penso, come il collega Vignali, che il valore della ricerca industriale in questo Paese, per i motivi che già venivano citati, sia a volte lievemente sottostimato.
  La ricerca viene, infatti, effettuata nelle aziende in una maniera che spesso rimane nascosta, perché la qualificazione, lo sviluppo, l'ottimizzazione di un prodotto all'interno di un'azienda che richiedono tempo, denaro e impiego di risorse e spesso vengono identificati come una parte di quel processo produttivo, mentre nella realtà sono un'attività sostanzialmente di ricerca e di sviluppo, per limitarmi al caso più semplice. In questo senso, il Ministro ha sollevato una questione molto importante, che nel passato ha visto alcune positive applicazioni: quella della mobilità dei ricercatori. Sono particolarmente lieto che il Ministro intenda intraprendere questa strada. La mobilità deve essere sicuramente dagli enti di ricerca verso gli istituti universitari, e viceversa, ma può essere, e dovrebbe essere – come è avvenuto nel passato – anche verso le realtà produttive e le aziende.
  Vorrei capire bene quali sono le valutazioni della signora Ministro in merito, perché sicuramente quello della mobilità dei ricercatori, insieme alla mobilità dei risultati, è uno dei punti che può fornire positivi ritorni.
  Affronto l'ultima questione e concludo. Le chiedo di spendere una parola sul tema complessivo della diffusione, dell'innovazione e del trasferimento tecnologico, che riprende tutte queste questioni.
  Nel nostro Paese ci sono scuole di pensiero diverse su come si possa sostenere proficuamente questo tipo di attività, ma l'ultimo miglio, l'ultimo anello della catena, quello che vede portare il risultato del suo ottenimento all'applicazione pratica è il risultato più cruciale: c’è chi propone la realizzazione di agenzie nazionali per questo scopo e chi propone politiche che si basano sulle vie fiscali per le aziende. Si tratta di un sistema complesso e complicato, che però può fare la differenza sul risultato. In merito mi piacerebbe, ovviamente, signora Ministro, sentire la sua opinione.

  MARCO DA VILLA. Ringrazio il Ministro e tutti i colleghi per le suggestioni proposte. È tutto molto condivisibile, ma quanto è realizzabile ? Molto semplicemente, scelga una delle iniziative proposte e ci dica a grandi linee con che step intende portarla a compimento. Poi ci rivediamo qui, se le condizioni lo permetteranno, tra qualche mese, per un aggiornamento su tale proposta. Scelga lei quella che ritiene e prioritaria e più realizzabile in concreto e fattibile. La scelga, ce la illustri a grandi linee, ci rivediamo qui tra un po’ e lei ci riferisce che cosa è stato possibile fare, che cosa non è stato possibile fare e perché non è stato possibile farlo.
  Faccia questo, molto semplicemente, perché mi pare che abbiamo sviscerato una serie di questioni che affliggono l'Italia Pag. 12da anni, ma che io non credo che in pochi mesi o anni di Governo si possano risolvere.
  Tutto qui. Grazie.

  LUIGI LACQUANITI. Grazie, presidente. Ringrazio la signora Ministro per la relazione densa, direi corposa.
  Convengo con quanti mi hanno preceduto: il programma che ci è stato presentato è altamente positivo e costituisce anche una notevole inversione di tendenza, a mio avviso, rispetto al modo in cui si è fatta politica nell'ambito della ricerca e dell'università negli ultimi anni, con gli ultimi Governi.
  Mi pare una notevole inversione di tendenza il fatto stesso che si affermi che investire nell'università e nella ricerca è elemento imprescindibile per la crescita del Paese, quando gli ultimi Governi, a mio avviso, hanno fatto tutt'altro. Il fatto stesso che si dica questo, secondo me, è un elemento molto positivo.
  Mi vorrei concentrare, su una domanda estremamente concisa, sui temi da lei richiamati della libertà di ricerca, delle garanzie e i limiti alla libertà di ricerca. Da un lato, lei ci dice che è necessario far tornare in Italia le menti che sono emigrate all'estero perché non trovavano nel nostro Paese la possibilità di fare ricerca. Questo, lo ripeto, è un dato positivo, ma è una considerazione che abbiamo già sentito in precedenza. Voglio riconoscere la più assoluta buona fede – ci mancherebbe – in questa affermazione. Anch'io, naturalmente, voglio vedere quello che accadrà fra qualche tempo. Purtroppo, questi programmi nel recente passato si sono rivelati deludenti.
  La domanda che pongo – dal momento che penso che nessuno ormai possa mettere in dubbio l'importanza che l'intervento del privato riveste per lo sviluppo e per la ricerca in questo Paese – è la seguente: come si fa a tutelare la libertà del ricercatore nel nostro Paese, a fronte di questo programma ? Non me ne voglia il collega Bombassei, ma la domanda è: all'estero il privato interviene e il ricercatore è libero, ciononostante ? Forse sono troppo ottimista ? Non lo so. In Italia questa indipendenza nella ricerca può essere garantita allo stesso modo ? Grazie.

  PRESIDENTE. Prima di andare avanti, vorrei fare il punto con voi. Vi sono due altri interventi. Se restiamo nell'ordine di 3-4 interventi, il Ministro può rispondere direttamente oggi, in modo da permetterci di completare l'audizione. Se, invece, più colleghi vogliono prendere la parola, restiamo alle regole che ci siamo dati. Se gli interventi sono brevi, si possono fare. Naturalmente, la risposta immediata da parte del Ministro ha più forza.

  LUIGI TARANTO. Per conciliare le esigenze svolgerò un intervento rapidissimo, che si risolve nel ringraziamento al Ministro per la relazione e prende le mosse dall'obiettivo centrale ricordato all'inizio, ossia la grande e centrale questione della costruzione di un sistema nazionale della ricerca.
  Da questo punto di vista, vorrei chiedere al Ministro qual è la sua valutazione rispetto al perseguimento di questo obiettivo a partire dal dato italiano di un sistema, anche in questo caso, di assetti di governance multilivello, con i problemi di coordinamento che tipicamente tali assetti comportano.
  È importante certamente, da questo punto di vista, il richiamo fatto alla «mappatura» delle specializzazioni regionali, ma probabilmente abbiamo la necessità di un avanzamento più deciso su questo terreno.
  Mi esprimo in questi termini guardando all'esperienza nascente della costruzione di un'Agenzia per la coesione. Questo è un terreno sul quale tipicamente abbiamo riscontrato problemi forti di coordinamento e di qualificazione dell'attivazione delle risorse comunitarie. Mi sembra che anche in questo caso ci sia una riflessione da fare sulla necessità di attivazione di una strumentazione un po’ più forte di indirizzo e di coordinamento.
  Passando alla seconda questione, certamente abbiamo problemi di incentivazione della partecipazione e di investimento Pag. 13della ricerca da parte dei soggetti privati. Mi sembra importante, però, anche recuperare e riflettere sul ruolo che può svolgere la domanda pubblica in senso allargato, ossia lo stimolo che le politiche industriali in senso allargato possono esercitare ai processi di innovazione e di ricerca.
  Come terzo punto che vorrei sottoporre al Ministro, guardando la struttura delle imprese italiane, naturalmente dobbiamo fare i conti anche con la struttura dimensionale tipica delle imprese italiane. Concordo anch'io sul fatto che le dimensioni di scala delle imprese italiane non le escludono in principio dalla partecipazione ai processi di innovazione e ricerca. Tuttavia, questa è una specificità del modello produttivo del nostro Paese, rispetto alla quale, secondo me, occorre maggiormente riflettere. In particolar modo, penso che un buon modo per affrontare la questione sia quello di valorizzare terreni operativi di incontro tra il sistema universitario e quello delle imprese del territorio.
  Da questo punto di vista, mi sembrano confortanti alcuni dati che possiamo leggere rispetto all'attività degli incubatori universitari e anche allo sviluppo degli spin-off accademici. Mi piacerebbe conoscere, anche rispetto a questo punto, la valutazione del Ministro.
  Grazie.

  STEFANO ALLASIA. Grazie, presidente. Grazie, Ministra. Il suo Ministero presenta peculiarità che nelle legislature precedenti hanno trovato grandi difficoltà, dovute forse maggiormente alla questione economica e ai tagli, concetto che lei ha ribadito nel suo intervento. Ho apprezzato enormemente la schiettezza dei colleghi che hanno, apertamente o indirettamente, esposto alcuni problemi.
  Tali problemi sono di varia natura. Il suo ministero di certo ha peculiarità non indifferenti e difficoltà enormi. Abbiamo visto, nella scorsa della legislatura, baroni della ricerca e dell'università sedere nei banchi del Governo, incancrenendo forse il problema che il suo ministero dovrà portare avanti per cercare di risolverlo.
  L'intervento che mi ha preceduto ha fatto giustamente notare l'assoluta coesione con il mondo del lavoro. Si deve mettere in moto un sistema nel quale l'industria è ormai da troppo tempo, in questo Paese, ferma. Bisogna rendersi conto anche di questo, anche con le sue linee programmatiche, che sono assolutamente lungimiranti, perché così devono essere. Ci deve essere, però, una concretezza assoluta nell'immediato. Il suo lavoro è un'operazione da svolgere sul lungo periodo.
  Certo, differentemente da altri Ministeri, come quello delle attività produttive, ci deve essere concretezza anche nell'immediato, perché il mercato del lavoro si aspetta risposte concrete che da troppo tempo sono ferme, con l'ausilio, come lei riconosce enormemente, degli enti locali, come le regioni. Esse sono pronte ad accettare la nuova sfida che questo Governo sta cercando di mettere in atto per rilanciare un sistema produttivo stantio.
  La nostra richiesta è assolutamente in linea con le sue linee programmatiche. Mi scuso se non potrò ascoltare la risposta, perché dovrò partecipare ai lavori d'Aula e al questione time. Dobbiamo essere tutti coerenti.
  Lei ha un'occasione storica per avere una larga maggioranza. Le chiediamo una grande riforma, oltre alle linee programmatiche che ha già descritto, sul sistema universitario e di ricerca, per rilanciarlo e metterlo in pari almeno col sistema produttivo europeo, non tanto con quello internazionale, ma almeno con quello francese e tedesco.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IGNAZIO ABRIGNANI

  DARIO NARDELLA. Grazie, signor Ministro, per questa relazione. Grazie anche al sottosegretario per la sua presenza.
  Condivido anch'io il giudizio espresso da alcuni colleghi sul fatto che si tratta di una relazione molto densa, che indica un approccio innovativo sul Piano nazionale Pag. 14della ricerca, con una visione finalmente non più emergenziale, ma di respiro in merito alla programmazione e con un'attenzione, a mio avviso, centrale alla valutazione.
  Spero di non andare fuori traccia se pongo all'attenzione del signor Ministro quella che è, a mio avviso, l'altra faccia della medaglia del sistema della ricerca e dell'innovazione nel campo industriale, che mi pare il collega Bombassei abbia anche richiamato. Mi riferisco alla formazione professionale. Sono due aspetti che stanno insieme nell'ambito del rapporto tra sistema della conoscenza della ricerca e sistema economico.
  Una recente indagine dell'ISTAT ci dice che si stanno facendo progressi nel nostro Paese. Tuttavia, essa rileva anche una forte distinzione tra la grandezza delle imprese: più del 90 per cento delle imprese con più di 500 addetti sul campo della formazione professionale investe in questa attività e la svolge, ma, se andiamo a vedere le piccole imprese, quelle tra i 10 e i 19 addetti, l'ISTAT, che rileva i dati europei, indica che siamo sotto il 50 per cento.
  In questo caso, chiedo al Ministro se vi sono specifiche azioni, ovviamente in coordinamento con i Ministeri più propriamente legati al settore industriale dell'impresa, per ridurre questo gap, proprio in ragione del fatto che noi indichiamo spesso tra i problemi quello della poca competitività delle piccole imprese italiane nel campo dell'internazionalizzazione, in cui la formazione professionale è rilevante.
  È stato citato, mi pare, anche in questo contesto il modello tedesco, quello delle Fachschule, un termine complicatissimo per indicare il sistema delle scuole di formazione professionale. Ebbene, se oggi la cancelliera tedesca può vantarsi del successo della Germania, è perché il suo predecessore cancelliere socialdemocratico, come ella ben sa, varò un Piano di lacrime e sangue che, oltre ad una razionalizzazione forte della spesa pubblica, puntò molto proprio sui temi che lei ha richiamato: ricerca, innovazione e formazione professionale.
  Quel Piano, Agenda 2010, prevedeva più del 3 per cento di incremento di investimenti su tutta la ricerca pubblica, ogni anno per sette anni, e una forte integrazione, come ricordava Bombassei, tra sistema lavoro e formazione professionale.
  Su questo tema mi piacerebbe avere il punto di vista del Ministro Carrozza su quanto possiamo rafforzare il sistema degli ITS-IFTS, ossia le scuole di formazione professionale, che sono l'interfaccia del sistema del lavoro imprenditoriale. Chiedo, inoltre – pongo una domanda specifica su questo – se possiamo utilizzare il nostro sistema universitario per sviluppare, per esempio, diplomi terziari di tipo tecnico.
  Una penultima considerazione riguarda il sistema della ricerca. Mi chiedo se non si possa distinguere con più forza tra le università che fanno ricerca, che hanno una vocazione alla ricerca, e quelle che non hanno questo tipo di vocazione, per esempio riguardo ai titoli legali di studio. A me pare che l'appiattimento del titolo legale riguardo, per esempio, ai certificati, ai dottorati o alle lauree di specializzazione non consenta di distinguere le diverse vocazioni tra università che hanno una forte connotazione sul settore della ricerca e quelle che non l'hanno.
  Infine, mi piacerebbe che venisse approfondito il tema, che lei, per la verità, ha già toccato, degli incentivi fiscali per le aziende che investono sull'innovazione e sulla ricerca tecnologica. Noi abbiamo approvato la legge di conversione del decreto-legge del Fare rafforzando la cosiddetta legge Sabatini, addirittura con un plafond di 5 miliardi di euro per le imprese che acquistano macchinari. Possiamo superare o integrare il modello culturale per cui conti solo aiutare le imprese che acquistano macchinari mentre non si ha la stessa attenzione per le imprese che innovano nei processi e che investono sulla formazione e sull'innovazione tecnologica ? Io non vedo la stessa attenzione che abbiamo finora riposto, attraverso incentivi fiscali, a quelle aziende che decidono di stare sul mercato puntando sulla competitività.
  Grazie.

Pag. 15

  DAVIDE CRIPPA. Grazie, presidente. Rivolgo un ringraziamento al Ministro per il programma – seguo quanto detto dal mio collega in precedenza – molto corposo, del quale è stato fornito soltanto un breve accenno per quello che riguarda i tempi di realizzazione.
  Effettivamente, ci servirebbe forse di capire meglio, da oggi in avanti, su che cosa vi vorreste concentrare in maniera dettagliata e precisa, onde evitare che questi siano proclami belli, utilissimi e necessari, ma che rimangano poi troppo ambiziosi. Spero di sbagliarmi.
  Sicuramente leggere all'interno di queste sette pagine tutti questi ottimi propositi significa che probabilmente abbiamo fatto un passo avanti, visto che qualche anno fa un Ministro proclamava che la gente non mangia cultura. Qualche passo avanti sicuramente si è fatto.
  Vorrei innanzitutto sottoporre alla sua attenzione la questione dei brevetti aziendali, sollevando la necessità che anche la parte di ricerca sviluppata all'interno delle aziende debba avere i sostegni necessari e fondamentali per poter portare avanti le innovazioni che l'industria oggi deve per forza introdurre per riuscire a mantenere la propria competitività sul mercato.
  Nel frattempo, però, vorrei capire in che modo si intenderà, invece, operare sui ricercatori oggi in forza alla funzione pubblica. Alcuni giorni fa ho avuto il piacere di chiacchierare con un ricercatore ex ISPELS, ora INAIL, il quale aveva e ha ancora all'interno del suo percorso professionale ed emotivo una voglia notevole di continuare a fare ricerca, ma che oggi si trova in un ente paralizzato nel fare ricerche di settore, anche a servizio degli aspetti sanitari.
  Ci chiediamo, quindi, in che modo si intenda intervenire sugli aspetti, per esempio, dei ricercatori oggi impiegati all'interno dell'attuale INAIL, ex ISPESL, e sulla faccenda dell'ENEA. È troppo tempo che stiamo aspettando decisioni definitive riguardo al personale e al superamento definitivo della fase commissariale, fatto che oggi rappresenta una necessità imminente. Le battaglie politiche delle nomine di persone non competenti alla presidenza di questi enti devono diventare una priorità da affrontare ed è necessario soprattutto che si ritorni al concetto di meritocrazia.
  Leggendo all'interno di queste pagine, sicuramente il tema si coglie. Mi sembra un segnale che importante, considerate le manifestazioni dello scorso mese di giugno proprio sotto questo palazzo.
  Oggi i ricercatori, anche i pochi che sono rimasti, hanno ancora voglia di lavorare e possono dare ancora molto a questo Paese, ma hanno bisogno di un aiuto e di un indirizzo preciso. La pregherei, insieme agli altri Ministeri, di farsi carico del problema, di prendere in mano la situazione e di risolvere in maniera rapida la faccenda dell'ENEA.
  Ritengo, infatti, che l'ENEA debba diventare uno strumento necessario a supporto di questo Paese, soprattutto per il rilancio di un'attività energetica e di tutela del patrimonio di risorse naturali che il nostro Paese possiede. Rilanciando un settore dell'ENEA, potremmo rilanciare anche un sistema di ricerca che, a traino, possa portare benefici sulla green economy.
  Grazie.

  LEONARDO IMPEGNO. Grazie, presidente. Intervengo velocemente, perché la mia è una semplice domanda. Volendo innanzitutto ringraziare il Ministro e il sottosegretario, esaurisco rapidamente la valutazione complessiva della relazione del Ministro dicendo che condivido il metodo e il merito della relazione.
  Il giudizio positivo sul metodo non è secondario, perché, come ha osservato il ministro, il processo di redazione del Piano nazionale della ricerca richiede un iter che verificherà la qualità, la completezza, la fattibilità e la tempestività. Inoltre, il meccanismo di monitoraggio e di valutazione in itinere avrà una verifica periodica. Di fronte a questo metodo, credo sia giusto che la Commissione svolga una funzione, insieme al Governo, nel Pag. 16condividere la realizzazione e la valutazione delle performance del Piano nazionale di ricerca.
  Pongo solo una domanda specifica, condividendo nel profilo che sottende la riflessione culturale che ha fatto il ministro, ovvero che il tema non è la fuga dei cervelli. Anzi, ben venga che molti italiani vadano a studiare e a ricercare all'estero. Il tema è che i talenti escono e non rientrano in Italia. Quali misure il Governo e il Ministro intendono assumere per il futuro all'interno del Piano nazionale della ricerca per consentire a chi ha meriti e riconoscimenti in base alle proprie capacità e qualità all'estero possa rientrare in futuro nel nostro Paese ?

  PRESIDENTE. Dovremmo aver completato gli interventi dei colleghi.
  Ministro, le rubo soltanto dieci secondi. Oltre a ringraziarla anch'io della sua presenza, insieme a quella del sottosegretario, e della puntualità della sua relazione – sei pagine, ma piene di contenuti – mi ha colpito, perché ritengo che il problema nostro non sia né quello delle idee, né quello dei soggetti, ma quello delle risorse, come sempre per il settore della ricerca, laddove in particolare lei parla soprattutto di crowdfunding e di ricerca privata.
  Nella valutazione degli istituti di ricerca ritengo che, anche in relazione alle erogazioni che si effettuano annualmente, la valutazione di quanto questi istituti siano in grado di reperire risorse autonome, attraverso finanziamenti europei, privati o internazionali, sia comunque positiva. Poiché nessuno è un benefattore, nel momento in cui questi finanziamenti arrivano, ciò significa che i progetti presentati da questi istituti e da questi enti sono sicuramente positivi.
  Occorre, però, introdurre il concetto di meritocrazia nella valutazione. Occorre considerare la possibilità che questi cofinanziamenti attribuiscano punteggi maggiori ai fini dell'ottenimento di fondi italiani. Molto spesso vediamo che eroghiamo soldi a istituti che poi non solo non li portano avanti, ma non li meriterebbero neanche.
  Passo al secondo aspetto, sempre legato a questo aspetto. Noi parliamo spesso, per abbattere il debito pubblico, delle dismissioni del nostro patrimonio. Questo è uno dei modi. Ritengo che le nostre università siano piene di ottimi brevetti e di ottimi progetti, che però sono fermi in cantiere. La valorizzazione di questi brevetti, di questi progetti di tutte le università italiane potrebbe essere, invece, uno strumento attraverso il quale il suo Ministero potrebbe rilanciare anche economicamente la ricerca.
  Grazie.
  Do la parola alla Ministra Carrozza per la replica.

  MARIA CHIARA CARROZZA, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Cerco di rispondere direttamente, anche se non ho disponibili tutti i dati per farlo in maniera dettagliata.
  Intanto grazie per le vostre repliche, per la discussione che avete avviato e soprattutto per l'attenzione che avete dimostrato per il valore della ricerca, per quello che abbiamo proposto in queste linee programmatiche e per i commenti puntuali, che sono tutti costruttivi.
  Credo che questo, in ogni caso, per il mondo che mi sento di rappresentare, quello della ricerca, sia un ottimo segnale, un segnale che mostra come evidentemente ci sia la consapevolezza nel nostro Parlamento dell'importanza di questo mondo per il futuro del Paese e per il rilancio del sistema produttivo. I temi che avete toccato sono tutti rilevanti rispetto alle linee che io ho enunciato. Cercherò di rispondervi punto per punto brevemente, riservandomi poi, se lo riterrete opportuno, di ritrovarci con dati maggiori e più approfonditi. Penso che una prima risposta a caldo sia d'obbligo, visto l'interesse che avete messo nell'ascoltare e nel replicare con domande pertinenti.
  Scorrendo le vostre domande, parto prima di tutto dall'aspetto dei giovani ricercatori e da che cosa possiamo fare in concreto per loro. Io credo che la battaglia dei giovani ricercatori e del loro empowerment – l'ho chiamato così – ossia della Pag. 17loro presa in carico da parte del sistema complessivo della ricerca, sia necessaria prima di tutto per un rinnovamento del nostro sistema e poi anche perché, a causa dei periodi difficili che abbiamo affrontato, della crisi, del blocco parziale del turnover che abbiamo avuto e di tutto ciò che è successo nel pubblico impiego, la categoria che ha pagato di più è quella dei giovani. Essi hanno avuto meno possibilità di entrare nel sistema della ricerca, di avere contratti stabili e anche di accedere ai finanziamenti.
  Come il sistema nordamericano e anglosassone insegna, la tenure, che si acquisisce rapidamente negli Stati Uniti, se si è bravi, significa stabilità, significa avere un contratto a tempo indeterminato. A essere licenziati da una tenure non si arriva quasi mai. Si arriva alla tenure dopo una carriera, ma ci si arriva rapidamente e poi si ha un contratto stabile, anzi si può giocare questo contratto per essere mobili da un'università all'altra. Chi è bravo in quel mondo è sicuramente stabile dal punto di vista contrattuale.
  Questa stabilità in Italia è molto difficile da raggiungere e si raggiunge molto avanti negli anni. Se alcuni anni fa, quando ho iniziato io, si raggiungeva dopo i trent'anni, adesso probabilmente si raggiunge, se va bene, dopo i quaranta. Già nell'arco della mia carriera, che è durata vent'anni, si è allungato il periodo della stabilità di circa dieci anni e più. Questo significa offrire poche prospettive.
  Credo che questo sia uno degli elementi che spingono i nostri ricercatori all'estero, ricercatori che sicuramente si fanno onore negli altri mondi, ma che cercano anche un ambiente favorevole, e l'ambiente favorevole parte anche da una prospettiva di stabilità. Siamo partiti con lo sblocco parziale del turnover dal 20 al 50 per cento, che aprirà sicuramente nel prossimo anno, nel 2014, maggiori possibilità di immissioni in ruolo. Questo è un segnale. Non tutti entreranno, ne entrerà una piccola parte, ma credo che i giovani ricercatori italiani siano già formati e pronti ad essere valutati.
  Non sento più dire dai giovani ricercatori che vogliono avere il posto garantito. Vogliono avere le idee chiare su quali prospettive si aprono loro, su che chance hanno di trovare una posizione, su come se la devono giocare e con quali regole. Questo mi sembra un elemento di maturazione e di cambiamento del nostro sistema, che sta andando verso una direzione di maggiore competitività e trasparenza.
  Oggi nessun settore della ricerca si sogna di chiedere di non essere valutato o di non avere valutati i propri programmi di ricerca. È un mondo in cui la valutazione tra pari è ormai già consolidata. Più si va verso la giovane età, più questo aspetto è già consolidato. È proprio per questo che noi dobbiamo favorire l'immissione in ruolo di queste nuove figure, che hanno una mentalità diversa. Da queste figure io mi aspetto un cambiamento anche nel nostro sistema.
  Quest'anno abbiamo pensato e deciso che dei diversi finanziamenti che abbiamo a disposizione, ossia dei fondi già allocati per il nostro Ministero della ricerca, noi metteremo tutto sulle linee per giovani ricercatori. Attiveremo, quindi, la linea FIRB giovani ricercatori. Ciò significa che chi è più avanti negli anni, a maggiore seniority, si farà da parte, farà domande e proposte per i progetti europei nell'ambito di Horizon 2020, e il programma nazionale sarà concentrato sui giovani ricercatori. Questo per favorire la loro indipendenza e fornire loro quelli che si chiamano fondi seed, cioè i semi per permettere loro di essere maggiormente competitivi a livello europeo.
  Una delle statistiche che più ci offendono, come Paese, e che necessita di un intervento diretto è quella della nostra capacità di attrarre finanziamenti europei, in particolare la nostra capacità di essere competitivi sulle linee dello European Research Council e del Future and Emerging Technologies per i giovani ricercatori, nei cui starting grant noi non siamo assolutamente competitivi. La maggior parte dei ragazzi che vincono, di nazionalità italiana, Pag. 18vanno all'estero, ragion per cui non siamo neanche capaci di attrarre le persone vincitrici di grant.
  Per questo motivo penso che dobbiamo fare un'operazione di empowerment dei ricercatori, renderli liberi, il che significa creare un ambiente favorevole perché possano essere ammessi a questi grant e gestirli in maniera indipendente. Una delle questioni che essi lamentano è che proprio il nostro sistema accademico non li favorisce nella gestione dei fondi, in maniera indipendente, come invece avviene all'estero.
  L'altro aspetto riguarda la cosiddetta meritocrazia e i criteri meritocratici. Sia per attrarre talenti dall'estero, sia per lasciare in Italia i migliori studenti che abbiamo noi abbiamo deciso di investire e di consolidare il diritto allo studio universitario, a fronte di una bozza di accordo, già praticamente pronta, con la Conferenza Stato-regioni sui livelli essenziali delle prestazioni. Tale bozza rivede complessivamente lo strumento del diritto allo studio proprio per lavorare anche in funzione di criteri meritocratici per la gestione di questi finanziamenti.
  Abbiamo ripristinato il diritto allo studio, anzi, abbiamo introdotto, per la prima volta a livello nazionale, il diritto allo studio per chi studia la musica e per chi studia nelle Accademie delle arti. Questo è un altro segnale che noi inviamo a tutti i mondi della ricerca e della cultura italiana, che finora erano rimasti accantonati.
  Abbiamo poi lanciato il Piano nazionale della ricerca, che ha non tanto lo scopo di suddividere in una miriade di rivoli e di focalizzazioni la ricerca italiana, quanto una funzione unificante. Prima di tutto intendiamo andare incontro a una visione che tenga insieme gli enti vigilati dagli altri ministeri, come il Ministero dello sviluppo economico – l'ENEA, che veniva ricordato prima, non è vigilato dal Ministero dell'università e della ricerca, ma dal Ministero dello sviluppo economico – gli altri enti di ricerca vigilati dagli altri Ministeri, come l'Istituto superiore di sanità, che è vigilato dal Ministero della salute e, in generale, il fatto che ci siano altri ministeri, come il Ministero della salute, che finanziano la ricerca in campo biomedico e che finora erano tenuti separati in tanti mondi visti con una visione frammentata.
  Il Piano nazionale della ricerca deve essere considerato, quindi, come un'occasione per mettere tutto insieme e parlare, come Governo e come Commissioni competenti e interessate, a questo mondo della ricerca con un'unica voce, in cui veramente definiamo una strategia che sicuramente conterrà, nell'ambito degli assi e degli ambiti, quello che già è stato fatto nell'ambito dei cluster regionali.
  Sono già state definite, nell'ambito della specializzazione regionale, con bandi che sono stati gestiti durante il Governo Monti, le specializzazioni regionali e l'esistenza di distretti e di specializzazioni che hanno messo già insieme regioni, Governi regionali, imprese, università ed enti di ricerca. Noi dobbiamo riprenderle e metterle in un inquadramento complessivo del Piano nazionale della ricerca che tenga conto di quello che fanno anche gli altri ministeri, con una visione unica di una filiera che non distingue fra ricerca fondamentale e finalizzata, ma insiste semplicemente su una connotazione di buona ricerca.
  Noi vogliamo finanziare la buona ricerca e utilizziamo, a questo scopo, soltanto la valutazione tra pari. Per questo motivo ho insistito molto sul mettere in piedi un sistema sia di project officer, cioè di funzionari del Ministero che agiscano da agenzia e non da burocrati per seguire i progetti, sia un'ottica congiunta in cui si esegua un monitoraggio periodico di quello che è successo. Uno dei difetti dei Piani nazionali che sono stati attuati nel passato è, infatti, che non sono stati poi seguiti e monitorati.
  Il Piano è a scorrimento, come mi insegna chi si occupa di management, e non potrà mai essere, soprattutto in un momento in cui l'evoluzione tecnologica e industriale dei mercati è tanto dinamica, cristallizzato in un progetto in cui stabiliamo che adesso svilupperemo il biomateriale Pag. 19X e l'energia Y. Noi adesso stabiliamo che investiamo in determinati settori. Sarà necessario nel tempo comunque riallinearsi e «riverificare» gli obiettivi.
  Per citare uno degli elementi – cerco di essere breve, per concludere – fondamentali, che rispondono alle vostre domande di chiarimento sul trasferimento tecnologico e sulla pianificazione più dettagliata, io penso di operare in modo sinergico con le regioni e di cercare di ritrovare un'unità fra i livelli di governo.
  Come è stato già messo in evidenza da alcuni di voi, esiste un problema di coordinamento fra i livelli di governo di questi processi, la formazione professionale, la ricerca finalizzata e il rapporto con le industrie. Credo che l'unica soluzione per rimettere tutto insieme sia un Piano strategico che contenga Piani strategici regionali in cui, a livello di regione, si bilanci fra il lavoro delle università, degli enti di ricerca, degli incubatori e di tutti gli elementi presenti e degli attori della filiera della formazione e della ricerca, in maniera tale da avere la visione unificante che è mancata nel nostro Paese e che noi dobbiamo chiedere, in un momento in cui le risorse sono scarse.
  Se mi viene chiesto che cosa si vuole fare del futuro dell'università, io penso che il futuro dell'università si giochi agendo in collaborazione con gli enti di ricerca e con le imprese, definendo alcune strategie regionali e interregionali, ma avendo chiaro qual è il rapporto fra le diverse università che a livello regionale sono distanti circa un'ora l'una dall'altra e che dovranno trovare una dimensione di strategia, di competizione e di attrazione per la mobilità interregionale, per la mobilità dall'estero e per la competitività a livello di bandi europei.
  Questo quadro di riferimento del Piano strategico del nostro sistema dell'istruzione superiore e della ricerca è già stato da me enunciato e illustrato più volte, sia nella Conferenza dei rettori, sia negli incontri con il mondo della ricerca, sia in quello con gli enti di ricerca. Penso che l'ultimo tassello con le regioni consentirà di avere una visione complessiva.
  Infine, credo che l'altro elemento importante e innovativo del nostro Governo sia il Piano Destinazione Italia. Si tratta dell'idea di attrarre finanziamenti dall'esterno nel nostro Paese. Penso che il ruolo della ricerca debba essere primario in questo quadro, soprattutto con riferimento al livello della formazione e della formazione universitaria.
  Ho insistito tantissimo, a livello di Governo, perché si tenga conto del fatto che uno degli elementi portanti della nostra capacità di attrarre finanziamenti stranieri è la qualità dei nostri laureati, insieme al loro numero. Io stessa ho gestito un'attrazione forte nella mia università di una multinazionale straniera. Come loro richiesta principale, venivano da noi perché trovavano un ambiente favorevole, ma anche numeri elevati di laureati in ingegneria prodotti presso l'Università di Pisa di altissima qualità.
  Poiché il nostro sistema della scienza e dell'ingegneria è in grado di formare grandi quantità di laureati di ottimo livello, questo deve essere considerato il patrimonio fondamentale, non solo per la circolazione dei cervelli, ma anche per un programma di Destinazione Italia serio, che veda l'attrazione di capitali stranieri e anche di nuove manifatture e di nuovi interventi produttivi.
  Infine, c’è la formazione professionale. Mi è stata rivolta una piccola, o grande, critica rispetto al decreto che abbiamo appena varato. Si è sostenuto, cioè, che questa parte di alternanza scuola-lavoro e di visione del sistema duale della formazione non fosse presente.
  Questo punto è rimandato semplicemente a un lavoro che stiamo già facendo con il Ministero del lavoro e con quello della coesione territoriale, in cui cercheremo di sfruttare la Garanzia Giovani e la programmazione europea che sta partendo proprio per sperimentare e mettere insieme un sistema duale, che deve essere, però, adattato al contesto italiano. Non si può semplicemente importare per decreto il sistema tedesco. Dobbiamo considerare il nostro sistema e quello che noi siamo in grado di fare. Penso che la risposta del Pag. 20lavoro congiunto, per cui abbiamo già attivato un gruppo di lavoro, potrà essere quella di sfruttare al meglio la Garanzia Giovani e la programmazione europea in tal senso.
  Infine, credo che l'indicatore di performance che mi è stato suggerito sia un ottimo indicatore. Mi riferisco all'attrazione di finanziamenti dall'estero. Dobbiamo premiare chi è in grado, anche in una situazione difficile, con numeri sproporzionati di ricercatori che hanno contratti a tempo determinato o borse di studio rispetto a quelli che hanno posizioni più stabili, ed è capace, nonostante tutto e nonostante il livello di tassazione così alto e il basso livello di defiscalizzazione, di attrarre finanziamenti.
  Dobbiamo, quindi, lavorare su due fronti. Prima di tutto, chi è già in grado di avere e attrarre finanziamenti deve essere lasciato libero di funzionare al meglio. Per questo motivo penso che dobbiamo immaginarci una doppia velocità nel nostro sistema pubblico dell'università e della ricerca. Chi è già a un livello di prestazioni, in termini di attrazione di finanziamenti, di valutazione della ricerca e di valutazione della didattica, deve essere lasciato più libero. Chi, invece, è indietro, come prestazioni, come valutazione della ricerca, come capacità di attrarre finanziamenti, deve essere maggiormente controllato e aiutato a definirsi una propria strategia, non con la minaccia di essere chiuso in una settimana, il che è infattibile, ma sicuramente con un aiuto a fare meglio.
  L'idea che siamo tutti uguali, che la ricerca è uguale in ogni posto, che la buona ricerca si possa fare bene dappertutto è ormai tramontata. Bisogna adattare gli strumenti in un'ottica di coesione e di specializzazione territoriale. Io mi rifiuto di pensare che noi abbiamo regioni in cui si può fare tutto e siamo bravi a fare tutto, e altre in cui invece non possiamo fare niente, perché non è possibile lasciare qualche regione indietro.
  Dobbiamo avere un'ottica regionale ed è per questo che insisto che dobbiamo avere anche un'ottica per cui chi non riesce ad avere buone prestazioni deve essere necessariamente aiutato e stimolato a migliorare e a trovare una propria strategia nell'ambito di un Piano nazionale della ricerca.

  PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro, anche per questa conclusione, che ci fa ben sperare. Vedremo, come qualcuno ha chiesto anche da parte dell'opposizione, di rivederci tra non molto e di fare il punto della situazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.