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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

XIV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 6 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bordo Michele , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2014 e relativi allegati (COM(2013)739 final) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2014 (Doc. LXXXVII-bis, n.2) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Bordo Michele , Presidente ... 2 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 2 
Bordo Michele , Presidente ... 4 
Fassina Stefano (PD)  ... 4 
Bordo Michele , Presidente ... 6 
Galgano Adriana (SCpI)  ... 6 
Buttiglione Rocco (PI)  ... 7 
Prataviera Emanuele (LNA)  ... 8 
Pinna Paola (M5S)  ... 9 
Mosca Alessia Maria (PD)  ... 9 
Bordo Michele , Presidente ... 10 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 10 
Bordo Michele , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE BORDO

  La seduta comincia alle 9.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2014 e relativi allegati (COM(2013)739 final) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2014 (Doc. LXXXVII-bis, n. 2).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2014 e relativi allegati (COM(2013)739 final) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2014 (Doc. LXXXVII-bis, n. 2).
  Ringrazio il Ministro per la sua presenza e gli do subito la parola per lasciare più spazio possibile al dibattito.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie. Penso che l'occasione che abbiamo oggi di questo primo scambio di vedute sulla Relazione programmatica 2014 sia particolarmente significativa, fondamentalmente per due ragioni che conosciamo bene.
  La prima ragione è che il 2014, nella sua seconda metà, vedrà la Presidenza semestrale italiana del Consiglio dell'Unione europea, quindi una responsabilità particolare per il nostro Paese nella guida dell'Unione; responsabilità che non vuol dire ricevere di colpo i pieni poteri per fare ciò che si vuole a livello europeo, però significa che dobbiamo imprimere una nostra visione nel modo di impostare quella che sarà, tra l'altro, la fase iniziale della nuova legislatura europea, all'indomani delle elezioni del Parlamento.
  La seconda ragione per cui il 2014 è importante, con sguardo più generale sulla situazione a livello di Unione europea, risiede nel fatto che quest'anno si sono manifestati, per la prima volta in maniera abbastanza diffusa, segnali di una effettiva ripresa, di una crescita economica e di una stabilizzazione degli altri dati generali. Pertanto, sotto il profilo dell'andamento dell'economia, il che vuol dire anche sotto il profilo della creazione di posti di lavoro e del superamento degli anni bui della crisi, potrebbe essere un anno effettivamente di svolta.
  Come sottolineava anche il Capo dello Stato nella visita di ieri l'altro e ieri al Parlamento europeo a Strasburgo, la situazione è differente da quella che abbiamo conosciuto negli anni più difficili della crisi, anche negli anni non lontani della fase iniziale in cui si è affrontata la crisi da parte delle istituzioni europee. C’è una motivazione piuttosto diffusa, per quello che ho potuto constatare anche io Pag. 3in più occasioni, a superare il momento delle misure improntate unicamente al rigore nei conti e alla disciplina dei bilanci, e andare in maniera molto più decisa verso misure, iniziative e politiche pubbliche che possano favorire la crescita e la creazione dei posti di lavoro.
  Iniziamo con il 2014 anche il nuovo ciclo del bilancio europeo, con importanti somme assegnate al nostro Paese, vuoi a titolo di fondi strutturali, quindi per interventi strutturali nelle regioni maggiormente in difficoltà, vuoi a titolo della politica agricola comune, vuoi a titolo di quelle somme, importanti soprattutto nella loro funzione di catalizzatore politico, dedicate per la prima volta alla lotta alla disoccupazione, segnatamente alla disoccupazione giovanile.
  Per questo nella premessa un po’ più politica alla relazione di quest'anno che ci accingiamo a esaminare io indico la sfida del miglioramento della nostra capacità di impiego e di utilizzo – non solo nella tempistica, ma anche nella qualità di spesa – dei fondi strutturali europei come uno dei tre grandi filoni sui quali dobbiamo impegnarci.
  Il secondo filone – ne abbiamo parlato frequentemente in questa Commissione – riguarda la messa in regola del nostro Paese con le normative europee. È la questione, che conosciamo bene, delle infrazioni al diritto europeo. C’è stata, purtroppo, nell'ultima tornata di decisioni della Commissione europea del mese di gennaio, un'impennata nel numero delle procedure aperte nei confronti dell'Italia: se ne sono aggiunte quindici. Ce lo aspettavamo perché, in sostanza, è il nodo della scadenza dei termini legati alle direttive che dovevano essere recepite nel 2011 e nel 2012 e che non lo sono state in buona parte in tempo per via del ritardo accumulato nella scorsa legislatura. Un ritardo che noi abbiamo recuperato, come iter parlamentare, ma stiamo ancora ultimando l’iter di emanazione dei decreti legislativi che dovranno essere mandati a Bruxelles. Insomma, c’è una filiera amministrativa che rende meno immediata la soluzione delle procedure.
  Peraltro, in occasione dell'incontro che il Governo ha avuto con il collegio dei commissari il 29 gennaio, ho fatto presente, nell'incontro generale, quanto la Commissione sia sollecita nell'aprire velocemente le procedure di infrazione e quanto, come tante altre amministrazioni o burocrazie che dir si voglia, lo sia meno quando si tratta di chiuderle e di archiviarle.
  Dobbiamo quindi mantenere un forte impegno, consci che c’è un importante terreno da recuperare nella nostra messa in regola con le norme dell'Unione europea, e mantenere al tempo stesso una pressione anche sulla Commissione e sui suoi uffici amministrativi affinché si proceda rapidamente anche alla chiusura. È evidente, però, che questa nostra posizione di «maglia nera», di ultimi nella classifica del recepimento corretto delle norme europee, è estremamente difficile. Tra l'altro, non recependo le norme europee, noi priviamo il cittadino di una serie di disposizioni che, come verifichiamo guardando gli elenchi che abbiamo esaminato proprio in questa Commissione al momento dell'adozione delle due ultime leggi, contengono diritti estremamente importanti, che peraltro fanno vedere quell'Europa non semplicemente legata ai numeri, alle soglie, alle asticelle, ai parametri, ma dedicata effettivamente ad affrontare questioni legate all'ambiente, alla salute, al miglioramento dell'economia, all'occupazione e a tanti altri temi, anche industriali, di cui ci occupiamo.
  Il terzo fronte importante che emerge dalla lettura più politica della nostra relazione è quello delle riforme. È evidente che in Europa c’è una forte necessità di riforme e soprattutto c’è una forte necessità di stimolare riforme strutturali a livello nazionale. Secondo me, è chiaro che esiste un interesse europeo alle riforme nazionali che tutti gli Stati devono fare, perché la somma delle mancate riforme negli Stati rappresenta una debolezza collettiva europea.Pag. 4
  In ciascun Paese ci sono riforme diverse che devono essere affrontate. Se noi percorriamo le raccomandazioni specifiche per Paese, che sono state adottate nel giugno del 2013, l'ultima volta, nei confronti di tutti i Paesi, vediamo che la Germania, la Francia, noialtri, la Gran Bretagna, la Spagna e tutti gli altri Paesi più o meno percepiti per essere in situazione positiva o meno positiva, in difficoltà o meno in difficoltà, hanno bisogno di importanti riforme interne di carattere strutturale.
  Su questo percorso delle riforme, oltre che per impegno politico nazionale – sappiamo tutti che fa parte del nostro dibattito in questi mesi e in questi giorni – dobbiamo impegnarci e io sono personalmente molto impegnato per individuare un meccanismo europeo che possa facilitare il percorso verso queste riforme, anche attraverso (ne abbiamo parlato in occasioni precedenti) forme di incentivo, che possono essere di natura molto diversa ma che consentono a ciascun Paese di essere stimolato in quella direzione.
  Concludo questa presentazione più di carattere politico che puntuale, per la quale ovviamente il testo è abbastanza esaustivo, per farvi rilevare ancora due elementi che derivano da una presa in conto, da parte nostra, come Governo, quest'anno di osservazioni che erano state fatte in occasione della risoluzione adottata l'anno scorso sulla Relazione 2013.
  Il primo elemento è che abbiamo cercato di dare una sistematica diversa a questo appuntamento, che oramai esiste da anni, della Relazione programmatica. Vedrete già nell'indice sommario della Relazione che abbiamo cercato di raggruppare e di distinguere le azioni legate al versante macroeconomico e quelle legate al versante più tipicamente economico di mercato, ma mettendo anche in luce quelle numerose politiche di valenza sociale, come diciamo nell'indice, che sono portate avanti a livello europeo.
  Ci sembra importante che un cittadino che desiderasse leggere questo testo, naturalmente disponibile nei vari siti del Governo e del Parlamento, possa anche comprendere che l'Europa non è solo numeri, cifre, impegni, rigore e discipline. È anche questo, ma è anche molto altro e credo che la Relazione lo faccia trasparire.
  Abbiamo cercato di fare un'altra cosa di carattere testuale, e onore al merito, ci tengo a dirlo, agli uffici che hanno lavorato in questo senso. Abbiamo omogeneizzato con maggior cura – si può ancora migliorare – l'impostazione testuale. Come sapete, questo è il frutto di un'opera collettanea di contributi che arrivano dalle diverse amministrazioni e vengono poi assemblati dal Dipartimento per le politiche europee. Inevitabilmente differenze di stile rimangono, ma quest'anno abbiamo evitato tutte le ripetizioni, che finivano con il presentare in due modi diversi la stessa cosa, e abbiamo cercato, nei limiti della tempistica, di omogeneizzare il testo.
  Sono anche contento di aver presentato la Relazione a inizio anno e non, come purtroppo accadeva regolarmente, verso la fase conclusiva del primo semestre. Siamo quindi in adempimento anche dei termini di legge.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Do la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre quesiti o sollevare osservazioni.

  STEFANO FASSINA. Innanzitutto rivolgo un ringraziamento davvero non formale al Ministro Moavero, non solo per l'attenzione con la quale tiene il Parlamento informato e coinvolto attivamente nella costruzione dei principali passaggi del Governo in relazione ai nostri impegni europei, ma anche per il lavoro che svolge. Credo che chiunque guardi a come si è evoluta l'efficacia dell'Italia da quando il Ministro Moavero segue i rapporti con l'Unione europea non possa non riconoscere gli importanti risultati raggiunti.
  Volevo fare una considerazione sulla quale ho una divergenza di valutazione rispetto alle prospettive economiche dell'Eurozona e dell'Italia. Rivolgerò poi al Ministro Moavero alcune domande.
  La valutazione diversa riguarda, come dicevo, le prospettive. A mio avviso non c’è Pag. 5dubbio che siamo di fronte a segnali di ripresa. Il PIL del quarto trimestre del 2013, anche se non abbiamo ancora i dati ufficiali, dovrebbe avere segno positivo anche in Italia, così come il PIL di questo primo trimestre del 2014, sempre secondo le previsioni. Tuttavia sono segni positivi che stanno davanti a cifre ancora molto modeste, soprattutto se contestualizzate nel quinquennio alle nostre spalle che ha visto per l'Italia una caduta dell'economia reale di quasi dieci punti percentuali, con una varianza nell'Eurozona che, fatta salva forse la Germania, leggermente al di sopra del livello di attività produttiva del 2008, è comunque uno scarto negativo.
  A questo si aggiunge – aspetto, a mio avviso, poco considerato nel dibattito, ma assolutamente rilevante – l'andamento dell'inflazione, che è molto al di sotto dell'obiettivo programmatico della Banca centrale europea. Gli ultimi dati indicano un più 0,8 per cento rispetto a quello che dovrebbe essere invece il close to 2 per cent. Questo non è un dato irrilevante. Vuol dire che il PIL nominale dell'Italia e dell'Eurozona rimangono al di sotto del minimo necessario a consentire, pur con significativi avanzi primari del bilancio pubblico, di avviare un percorso di riduzione del debito pubblico.
  Non è questo il momento per approfondire e quindi non argomenterò questa affermazione. La valutazione che volevo fare, che non è mia, ma che condivido ed è presente in tante analisi, è la seguente: nell'Eurozona non vi sono le condizioni macroeconomiche per consentire una ripresa sufficientemente intensa da portare alla riduzione del debito pubblico e a un riassorbimento della disoccupazione.
  Questo io credo sia un quadro importante che dobbiamo tenere presente. Pur con tutta la buona volontà e l'ottimismo che dobbiamo necessariamente avere, credo che non riusciremo a entrare in sintonia con larga fascia dell'opinione pubblica se continueremo a ripetere che siamo sulla rotta giusta, che basta avere ancora un po’ di pazienza e fare qualche riforma strutturale in più perché tutto ritorni a posto.
  Purtroppo non è così. Il quadro globale, dagli Stati Uniti alle economie emergenti, non consente di aspettarsi chissà quale domanda per le esportazioni europee. I driver della crescita sui quali è fondata la politica economica dell'Eurozona sono assolutamente deboli e inadeguati. Credo pertanto che nel nostro programma e in quella che sarà o che potrebbe essere l'agenda della presidenza italiana ci debba essere innanzitutto un'analisi preoccupata della sostenibilità economica, di finanza pubblica, sociale nonché politica, perché alla fine c’è anche una ricaduta politica e democratica della sofferenza economica e sociale.
  A mio parere non possiamo continuare a scaricare tutto sulla Banca centrale europea. Per fortuna che Mario Draghi è riuscito in questi anni a forzare l'ortodossia e a introdurre misure importanti che hanno consentito di tenere a bada lo spread, ma siamo a un punto tale per cui i limiti di manovra della politica monetaria, dato lo statuto della Banca centrale, a mio avviso sono stati raggiunti. Bene che vada possiamo aspettarci di evitare una deflazione vera e propria, ma certamente da lì non possono venire gli impulsi alla crescita e alla riduzione della disoccupazione.
  Credo che la nostra posizione come Governo e come Paese debba partire da qui, da un'analisi della insostenibilità, con tutta la gravità che questo termine contiene. Non voglio entrare nel merito, ma ovviamente a questa analisi dovrebbe conseguire una serie di misure correttive importanti e urgenti sulla base delle quali stringere le necessarie alleanze a livello europeo e condurre la nostra battaglia come Governo.
  È stato assolutamente inadeguato il risultato raggiunto in termini di banking union. Chi ha studiato bene la direttiva sulla regolazione del sistema bancario europeo ha trovato molti limiti. La prima domanda che le pongo riguarda questo. Vorrei capire qual è la posizione dell'Italia rispetto alla direttiva sul sistema bancario e che cosa pensiamo di suggerire.
  Ho altre due domande e una proposta, che rivolgo invece al nostro presidente. La seconda domanda riguarda il contractual Pag. 6arrangement. Vorrei capire a che punto siamo e in che misura sono state raccolte le indicazioni arrivate dal Parlamento italiano e mi pare anche da altri Parlamenti e dal Parlamento europeo.
  La terza domanda riguarda invece il meccanismo sanzionatorio che è stato previsto rispetto ai Fondi strutturali in caso di violazione degli obiettivi macroeconomici. Per noi questo è un punto di grande rilevanza.
  Infine, come proposta al presidente della nostra Commissione, mi chiedo se non possa essere utile, in vista della presidenza italiana, provare a dare un contributo all'agenda della presidenza italiana, attraverso il lavoro congiunto della nostra Commissione, della corrispondente Commissione del Senato e delle due Commissioni Bilancio, su alcune misure di politica economica per l'Eurozona che potremmo mettere a punto nel giro di qualche settimana.
  Ci sono grandi competenze nelle Commissioni Bilancio e nelle Commissioni per le politiche dell'Unione europea. Il nostro sarebbe un contributo al Governo per un'agenda che, a mio avviso, deve provare a rappresentare, nonostante le difficoltà politiche che non mi sfuggono, un punto di svolta. Credo che la situazione attuale rischi di arrivare rapidamente a un punto di rottura.

  PRESIDENTE. Io direi di procedere in questo modo: fino alle 10,40 diamo spazio al dibattito, poi darei la parola al Ministro per la replica, anche per permettergli di partecipare al Consiglio dei Ministri.

  ADRIANA GALGANO. Mi unisco ai ringraziamenti dell'onorevole Fassina per il lavoro veramente pregevole che lei, Ministro, sta facendo con il Parlamento. Ha tutto il nostro apprezzamento.
  Rifacendomi al suo intervento e a quanto diceva l'onorevole Fassina, trovo il dibattito sull'austerità anacronistico per due motivi. Il primo è che non è vero che l'austerità non paga, come dimostra il caso dell'Inghilterra. L'Inghilterra, che ha avviato una politica di severa austerità, in questo momento cresce e ha ridotto il tasso di disoccupazione al 7,5 per cento, ben altro rispetto al nostro 12 per cento. Questa è la prima considerazione.
  La seconda considerazione riguarda il fatto che, al di là dell'austerità, avevamo 29 miliardi di euro di Fondi europei da spendere, quasi tre volte la manovra della legge di stabilità da 11 miliardi, e non siamo riusciti a spenderli.
  Quello su cui ci dobbiamo interrogare è il fatto che l'Unione europea ha avuto un grandissimo successo nel farci applicare strategie di riduzione del deficit, che si è ridotto, dal 6,9, nella misura del 50 per cento, ma non è riuscita a farci fare le riforme oppure a darci regole sugli aiuti di Stato e sull'utilizzo dei fondi che consentissero all'Italia di usare al meglio questi strumenti. Ci dobbiamo interrogare sul fatto che ha funzionato solo la camicia di forza sulla riduzione del deficit e non il resto.
  Le pongo allora una domanda molto concreta. Cosa può fare la nostra Commissione per far sì di non trovarci nella situazione assurda di un Paese che ha difficoltà e non riesce a spendere 29 miliardi di euro ? Questo è un punto molto importante.
  Il secondo punto su cui invece le chiedo delle risposte riguarda il fatto che questa Unione europea vista da fuori, per quanto riguarda il nostro Paese, sembra una grande cintura di costrizione. Produce una normativa enorme: i seimila atti che arrivano al Parlamento sono così tanti che non riusciremo mai ad analizzarli tutti. Sarebbe necessaria una normativa per la semplificazione, che ho visto essere un obiettivo della Relazione programmatica. Le chiedo quindi quale azione di semplificazione possiamo fare.
  Come terzo punto, abbiamo letto che si costituirà una commissione per studiare fonti di tassazione autonoma dell'Unione europea. Vorrei conoscere, se è stata definita, la posizione del Governo italiano su questo e vorrei sapere se una tassazione dell'Unione europea non rischi di tradursi per il cittadino europeo e italiano in un aggravio della pressione fiscale.Pag. 7
  Infine, una domanda su un elemento contingente. In relazione all'attività programmatica avevamo analizzato la questione dei brevetti e avevamo chiesto al Ministero una relazione sui costi, che non è ancora arrivata. Segnalo che nel frattempo Confindustria l'ha fatta.
  Vorremmo pertanto che ci venisse data risposta su questo in tempi congrui rispetto alle decisioni che devono essere prese.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Mi scuso per essere arrivato in ritardo, signor Ministro, ma le sue posizioni sono abbastanza note a chi segua con una qualche attenzione la stampa su questi argomenti.
  La mia prima domanda riguarda un dato che sta davanti a noi. Abbiamo un grande dibattito sull'Unione europea che è fondato sul «si dice»: il «si dice» della retorica europeista, il «si dice» della retorica antieuropeista. La Presidenza del Consiglio e lei in modo particolare ha per legge il mandato di informare la pubblica opinione su questi temi. Ci manca un dibattito basato su una informazione fondata.
  Che iniziative sono in previsione, soprattutto in occasione del semestre italiano di presidenza, non per fare propaganda a favore dell'Europa, ma per spiegare ai cittadini italiani quali sono i termini reali delle questioni all'interno delle quali ci troviamo ? Credo che sia un'iniziativa opportuna, necessaria e su cui dovrebbe impegnarsi in prima persona il Presidente del Consiglio, oltre naturalmente a lei che egregiamente svolge il suo ruolo.
  Dentro questa domanda c’è una seconda domanda. Lei conosce il dibattito sulle costrizioni dell'Europa, sul famoso tre per cento. Cosa stiamo facendo e come funziona davvero questo tre per cento ? Io ho l'impressione che, più si parla di sfondare il tre per cento, più si riducono le possibilità di utilizzare i margini, che non sono tanto ridotti, per ottenere condizioni di favore senza toccare la struttura reale.
  In primo luogo, cosa vuol dire che questo tre per cento è aggiustato al ciclo economico ? In secondo luogo, può dirci qualcosa sulle recenti decisioni in materia di parziale esenzione da questo limite di investimenti produttivi, adeguatamente certificati, in forma di cofinanziamento ? Lei ricorderà che suggerii questa strada in questa stessa aula diverso tempo fa. Noto con piacere che questa strada ha camminato e può camminare ancora.
  Che ne pensa della possibilità di estendere questo tipo di facilitazioni a investimenti certificati dalla Banca europea per gli investimenti ? Il dubbio è che vendiamo come investimenti quelli che investimenti non sono, perché si tratta di spesa corrente.
  Fermo restando che bisogna prendere impegni e che questo non deve portare a una diminuzione degli altri investimenti già in programma e in generale del tasso di investimenti sulla spesa generale del nostro Paese, che ne pensa della proposta di chiedere che il cofinanziamento di iniziative finanziate dalla Banca europea per gli investimenti abbia anch'esso un trattamento di favore ?
  Che ne pensa delle partnership ? Ho visto che sono state accolte con molta ostilità. Io invece le ho salutate con favore. Sono anch'esse un'occasione per uscire dalla «prigione», ma in condizioni di sicurezza e tenendo presente che il limite fondamentale che sta davanti a noi non è la pressione dell'Europa, bensì il livello del debito.
  Quando hai un debito pari al 130 per cento del PIL, non ti puoi permettere di farne molto altro, tanto più che i mercati, coloro che quel debito devono finanziare, poi non ti comprano più i BOT. La nostra crisi non è stata provocata da avvertimenti dell'Europa. È stata provocata dalla crisi sul mercato di coloro che non ci compravano i BOT. L'Europa ci ha aiutati: poco, poteva fare meglio; tardi, poteva fare prima; però ci ha aiutati. Non ci ha imposto la crisi. La crisi non è il risultato delle imposizioni dell'Europa. La crisi ha altre radici.
  Per chiudere su questo tema, noi abbiamo costruito un sistema di garanzie contro possibili ricadute in una crisi come quella precedente. Abbiamo il meccanismo europeo di stabilità (ESM), che ha teoricamente Pag. 8un'enorme quantità di risorse. Non sono forse adesso spropositate rispetto a quelli che sono i rischi prevedibili nel futuro per i nostri sistemi ? Non potrebbero essere in parte dirottate al finanziamento di grandi progetti infrastrutturali europei, costituendo quasi un inizio di debito pubblico comune europeo finalizzato non a rimediare alla eccessiva prodigalità di alcuni governi, ma a favorire uno sviluppo comune europeo e a riprendere l'idea di un'Europa come più grande area al mondo di economia della conoscenza ?
  Chiudo con una terza questione. Viviamo in una condizione di precarietà istituzionale. Il fiscal compact non ha una collocazione precisa dentro le strutture dell'Unione europea. A suo tempo è stato approvato dal Parlamento europeo, a condizione che al più presto si tornasse a riesaminare il problema e a costruire un'architettura europea, possibilmente a una velocità, magari anche a due velocità – a questo punto penso che sia realistico considerare anche questa ipotesi –, ma un'architettura la quale ci faccia uscire dalla dissimmetria nella quale ci troviamo.
  Non ho trovato traccia di questo all'interno dei documenti con i quali fino ad ora prepariamo il nostro semestre di presidenza. Posso capire perché non ci sia traccia. A suo tempo mi sono opposto a che andassero in streaming le sedute di questa Commissione per avere la libertà di parlare. Posso capire il perché. La Gran Bretagna preme per ottenere questa riforma, ma la vuole fare con modalità che sono assolutamente inaccettabili e che porterebbero alla decadenza delle istituzioni europee, come si è visto anche nei recenti colloqui tra Cameron e Hollande.
  Non sappiamo neanche molto bene come fare, ma qui lei può dirci se il Governo italiano intenda affrontare questo tema nel suo semestre di presidenza. O ritiene che sia immaturo e che vada rimandato più avanti ? E quanto avanti ? Mi pare che ci fossimo dati allora un tempo di cinque anni. Che facciamo ?
  E come facciamo a far maturare la situazione se riteniamo che sia immatura ?

  EMANUELE PRATAVIERA. Innanzitutto mi scuso non per essere arrivato in ritardo, ma perché dovrò andare via in anticipo per impegni personali.
  Volevo comunque sottoporle una serie di considerazioni sulla Relazione, in particolare sul ruolo che l'Unione europea dovrà avere in tema di macroregioni. Ho notato con piacere che nella Relazione è previsto un ruolo dell'Europa in questo. Speriamo che si vada avanti, ma non mi è ancora chiaro in che modo. Si prevede un rafforzamento delle questioni regionali, ma con quali modalità ancora non mi è chiaro.
  Non mi sembra sufficiente la previsione contenuta in questa Relazione a proposito del coinvolgimento del Parlamento. Non credo che sia tenuta in grande considerazione la capacità di input che il Parlamento potrebbe dare allo sviluppo delle questioni europee, in particolare in merito al ruolo affidato al Governo in chiave europea.
  Allo stesso modo, per quanto riguarda le questioni ambientali, che rappresentano un impegno anche economico abbastanza importante, se confrontiamo le grandi sfide relative alla riduzione dei livelli di CO2 e di altri fattori inquinanti con altre priorità quali quelle idrogeologiche, vediamo una netta sproporzione. Io non mi aspetto che l'Europa possa mettere in campo delle risorse. Le difficoltà che stiamo registrando in questi giorni in Italia sono diverse da quelle che negli stessi giorni si stanno registrando in Inghilterra, piuttosto che in Germania o in Slovenia.
  Potrebbe però essere un'enorme opportunità per noi, come sistema Paese, ragionare insieme agli altri Stati membri sulla necessità di rivedere quanto meno i vincoli dei patti di stabilità interni dei singoli Stati per iniziare a risolvere queste criticità. Credo che sia importante tanto quanto immaginare lo sviluppo delle reti di trasporto o raggiungere gli obiettivi di «Europa 2020».
  Sulla questione del lavoro, dal mio punto di osservazione vedo che il lavoro non manca. Il lavoro ci sarebbe. Il problema è che le aziende non sono messe in condizione di lavorare a causa di due fattori endemici. Il Pag. 9primo è una normativa che cambia continuamente e non permette all'imprenditore di lavorare con una buona visione e la sicurezza di poter investire anche sul personale. Ciò deriva da un mix di competenze tra il livello europeo e quello nazionale.
  La cosa più grave, però, è che mancano le possibilità di fare impresa perché, oltre ai limiti interni, le banche non permettono alle imprese di lavorare. Su chi ha la necessità del credito si scarica tutta la debolezza strutturale del sistema bancario, dovuta ancora alla non separazione delle attività speculative o finanziarie – chiamiamole come vogliamo, posto che speculazione non è un termine negativo nel mio vocabolario – da quelle reali, dal credito all'impresa.
  Io credo che questa sia una sfida che potremmo cogliere. So che la stessa Commissione europea ha presentato una proposta in tal senso, ma mi sembra che la Banca d'Italia, così come si evince dalla Relazione, sia più fredda. Vorrei capire qual è la posizione del Governo e quali sono le tempistiche.
  Noi di voglia di lavorare ne abbiamo. Vorremmo che ci fosse data la possibilità di cominciare ad analizzare questo tema, visto che è la priorità delle priorità. L'ho fatto presente anche ieri nel corso del question time con il Ministro Zanonato.
  Poiché sono coinvolti il mondo delle imprese, il mondo della finanza, l'Unione europea e, con essa, i meccanismi democratici, credo sia giunto inevitabilmente il momento di iniziare ad affrontare il problema.

  PAOLA PINNA. Volevo chiedere al Ministro se, in sede di istituzioni europee, è aperto un dibattito sulle condizioni di squilibrio nei mercati interni nazionali, in vista dell'unificazione dei mercati e della creazione di un mercato unico europeo.
  Si parte da condizioni molto diverse che comportano svantaggi per i Paesi che sono più avanti e hanno indicatori economici più elevati, quali ad esempio lo standard di vita, il livello dei prezzi, dei salari e dei costi di produzione. Con l'ingresso dei Paesi dell'Est nell'Unione abbiamo assistito a fenomeni di delocalizzazione molto preoccupanti, che hanno causato lo sfascio di alcuni distretti industriali.
  Passo alla seconda domanda. Scorrendo velocemente l'indice ho letto «cooperazione in materia giudiziaria e di diritto civile». Ci si riferisce soprattutto alle controversie relative a imprese transfrontaliere. Mi chiedevo se non fosse anche il caso di individuare le best practices a livello europeo da applicare in Italia, visto che noi non riusciamo a fare una riforma giudiziaria organica e definitiva. Come si è visto in questi giorni, siamo già al quarto decreto-legge sulla riforma giudiziaria e la Commissione europea ha aperto delle procedure di infrazione nei nostri confronti.
  Le domando se sia possibile cooperare anche in questo senso, cioè importando ciò che gli altri Paesi hanno fatto meglio di noi.

  ALESSIA MARIA MOSCA. Ringrazio anch'io il Ministro per essere qui a riferirci e per il lavoro che ha compiuto sulla Relazione programmatica. Volevo dare alcune indicazioni relative ai tempi e alle modalità che abbiamo stabilito in Commissione per procedere su questa Relazione, che in parte già risponde ad alcuni dei quesiti che sono emersi.
  Questa è la prima audizione che svolgiamo direttamente sulla Relazione, ma abbiamo pensato di approfondire alcuni settori specifici. In modo particolare abbiamo già previsto di condurre un approfondimento sulla questione dell'agenda digitale, giustamente inserita tra le priorità della partecipazione dell'Italia all'Unione europea, così come sulla questione dell'innovazione e della ricerca, partendo dall'iniziativa «Una Maastricht della ricerca» lanciata da alcuni europarlamentari italiani. Vedremo poi nel corso della discussione se sarà necessario approfondire ulteriori argomenti.
  L'idea è quella di arrivare a un documento finale che speriamo possa essere davvero di indirizzo, come giustamente già sottolineava l'onorevole Fassina, e indicare le posizioni che l'Italia prenderà in ambito negoziale a livello comunitario. Devo dire che non partiamo da zero. C’è rammarico perché Pag. 10abbiamo già presentato una serie di atti di indirizzo che incidevano su alcune delle proposte citate dall'onorevole Fassina. Insieme alla Commissione bilancio, alla Commissione finanze e ad altre Commissioni avevamo lavorato su alcuni atti di indirizzo che sono stati approvati dall'Assemblea nei mesi passati e che già profilavano una serie di indicazioni del Parlamento al Governo.
  Vorremmo rafforzare quelle posizioni e vorremmo che il Governo possa essere rafforzato nel trovare alleanze su posizioni che il Parlamento ha contribuito a delineare. In quest'ambito rientra sicuramente la politica macroeconomica sia dal punto di vista dell'analisi sia dal punto di vista della proposta. Questo è il nostro intendimento e su di esso verterà la relazione per l'Assemblea che intendiamo presentare.
  Stiamo anche verificando l'opportunità di preparare due distinte relazioni: una specifica sulla Relazione programmatica e una invece di più ampio respiro relativa alle posizioni politiche, nella quale potrebbero entrare le nostre riflessioni sul sistema istituzionale e un ragionamento di più lungo periodo rispetto alla Relazione annuale con riguardo alla gestione del semestre europeo da parte dell'Italia.
  Chiudo con due richieste specifiche, che si aggiungono a quelle dei colleghi. Anch'io vorrei sapere con più precisione a che punto siamo con l'unione bancaria, visto che si tratta di uno dei dossier più importanti che dovrebbero concludersi nell'ambito del semestre. Vorrei una valutazione sulle nostre specificità, che sappiamo essere particolari rispetto a quelle degli altri Paesi, anche alla luce del dibattito di questi giorni in cui la nostra posizione sulla Banca d'Italia è stata un po’ travisata.
  Mi interessa soprattutto un confronto con gli altri Paesi dal punto di vista del nostro sistema bancario, che certamente ha dei grandi player, ma anche una rete di piccole e piccolissime banche, di banche di credito cooperativo, che hanno caratteristiche diverse e necessitano di un trattamento diverso rispetto alle banche di altri Stati.
  L'altra questione specifica riguarda un tema che sarà oggetto di una delle grandi iniziative che anticiperanno il semestre di presidenza italiana e cioè la Conferenza europea sulla disoccupazione giovanile. Le chiedo se, nell'ambito del completamento del mercato interno, possono essere fatte proposte più avanzate per rispondere al problema della disoccupazione giovanile, in particolare riguardo all'abbattimento degli ostacoli alla mobilità dei lavoratori.
  Sarebbe auspicabile una normativa quanto più comune possibile in materia di diritto del lavoro e fiscalità sul lavoro.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro Moavero Milanesi per la replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie. Come sempre e come credo constatiamo tutti, i vostri interventi contengono temi ciascuno dei quali meriterebbe – e peraltro io continuo a dare la mia disponibilità in tal senso – una seduta ad hoc. Inevitabilmente nell'articolazione fatta di presentazione, interventi, domande e risposte si finisce col compattare, per esigenze di tempo, temi che in realtà meriterebbero molta più attenzione, proprio per evitare – riprendo l'espressione dell'onorevole Buttiglione – che si viva e ci si nutra di «si dice» e non si abbia, se non raramente, la possibilità di approfondire realmente.
  Cerco di riprendere, spero con un ordine sistematico che quanto meno renda chiare le pur brevi risposte, gli aspetti che sono stati sollevati. Il primo lo lego alla proposta operativa introdotta dall'onorevole Fassina, ripresa adesso dall'onorevole Mosca e che trova riscontro anche in vari altri riferimenti, incluso quello a una maggiore influenza del Parlamento.
  Devo riprendere una cosa che ho detto varie volte in questa e in altre sedi parlamentari. La nuova legge n. 234 del dicembre 2012 che regola il funzionamento della partecipazione italiana all'Unione europea dà al Parlamento un ruolo oggettivamente superiore a quello che aveva in precedenza. Sta soprattutto al Parlamento, e naturalmente alla buona volontà di collaborazione del Governo, di fruirne appieno. Questo è un compito che nel coordinamento generale Pag. 11risiede soprattutto in questa Commissione e nella parallela del Senato, ma si articola poi sulle singole tematiche nelle varie Commissioni specifiche.
  Sentire e dare atti di indirizzo ai Ministri quando partecipano a consigli in sede di Unione europea e avere da loro una relazione su come sono andate le cose permette al Parlamento di influire non solo nella fase di indirizzo politico, che certamente è importante, ma inevitabilmente destinata a livello di Unione europea a entrare in una sintesi più generale, bensì sulla legislazione specifica quando si trova nella fase ascendente. Può essere un elemento molto importante.
  Considerate che la nostra normativa, sotto questo profilo, è adesso oggetto di esame anche laddove magari ce lo aspetteremmo di meno, in Paesi come la Germania o la stessa Francia, proprio perché consente un'interazione estremamente importante. Varrebbe la pena quindi di usufruirne al meglio. Io, ripeto, sono a disposizione e trovo molto utile l'idea di cui parlava l'onorevole Mosca, vale a dire l'idea di dare atti di indirizzo specifici, oltre che generali, partendo da questo compendio dell'insieme delle iniziative e degli approfondimenti che possono seguire.
  È importante naturalmente che il Parlamento mantenga non solo il ruolo di stimolo nei confronti del Governo al momento dell'atto di indirizzo, ma anche al momento della verifica del se e come l'atto di indirizzo sia stato seguito. Tenete presente che il coinvolgimento e l'attenzione dei Parlamenti nazionali nelle vicende europee sta diventando sempre più uno degli architravi del funzionamento istituzionale dell'Europa. Questo tema ha molti aspetti positivi, perché ovviamente i Parlamenti nazionali sono per definizione depositari di una legittimità democratica che è fondamentale anche per l'Unione europea, e può avere anche i suoi rovesci di medaglia. L'esercizio molto spinto sulla sussidiarietà, ad esempio, può comportare una sorta di sfilacciamento di quell'azione armonizzatrice che può essere svolta con la legislazione a livello europeo. Intendere, invece, correttamente l'equilibrio di solidarietà significa evitare una legislazione eterodiretta, concepita al centro in Europa o da andamenti di maggioranze variabili in sede di Consiglio o di Parlamento europeo, e quindi controbilanciarla con le istanze nazionali.
  Occorre però trovare il giusto equilibrio, e questo può derivare solo da una forte presa di coscienza dei Parlamenti nazionali, da una loro collaborazione certamente col Parlamento europeo, ma soprattutto con il Governo. L'esercizio, quindi, di un sindacato parlamentare sul Governo diventa un elemento portante per la buona articolazione dell'insieme delle questioni di cui stiamo parlando.
  I cantieri europei in questo momento aperti sono numerosi, come ben sappiamo, e sono tutti all'insegna di questo cambiamento, se vogliamo, di linea politica dominante che riguarda il passaggio dalla situazione di austerità, necessaria e forse indispensabile in una certa fase per rassicurare mercati, investitori e pubbliche opinioni nel momento del maggiore sbandamento, ma oggi, all'evidenza, non più sufficiente. Questo non lo pensiamo e ce lo diciamo solo noi in Italia, ma fa parte oramai del dibattito generale in Europa, all'interno dei singoli Paesi europei. Se avete tempo e voglia, vi consiglio una lettura degli estratti, ormai pubblicati anche in altre lingue, del contratto di coalizione che hanno fatto socialdemocrazia e democrazia cristiana in Germania per il nuovo Governo: c’è l'idea di una svolta.
  La svolta si può articolare in varia maniera a livello nazionale e a livello europeo. Concentrandoci inizialmente sul livello europeo, vorrei sottolineare tre aspetti fondamentali, a due dei quali probabilmente non sempre pensiamo.
  Il primo aspetto riguarda il bilancio dell'Unione europea. Abbiamo appena approvato ed è appena entrato in vigore il bilancio 2014-2020. È un bilancio per la prima volta in lieve flessione, segnale politico non proprio di alato spirito europeista, però onestamente lieve: 0,6 per cento in meno rispetto al ciclo di bilancio precedente, in cifre reali all'incirca 60 miliardi in meno su 1.000 del bilancio globale, per cifre arrotondate.Pag. 12
  È previsto, però, che nel 2016 – data molto vicina – ci sia una revisione di questo bilancio. Il bilancio attuale a livello di Unione è stato adottato nell'ottica di quel rigore, di quella riduzione della spesa pubblica che aveva caratterizzato le scelte politiche di numerosi Governi in una maggioranza di Paesi e anche per il fatto che i Paesi contributori netti, sottolineo con l'unica eccezione del nostro, desideravano ridurre questo loro contributo al bilancio europeo. Ci si è però resi conto (e in questo caso è stato importante il dibattito anche in sede di Parlamento europeo) che se si vogliono fare delle politiche di tipo anticiclico, parallele a politiche di rigore, bisogna coniugare un livello nazionale con un livello superiore, che non può essere che quello europeo. Non possiamo ancora chiamarlo «federale», come negli Stati Uniti d'America, ma indubbiamente è il livello al quale possono essere fatte delle politiche non distorsive degli equilibri del mercato interno.
  Poco si fa, però, con risorse corrispondenti all'1 per cento del PIL europeo, così come francamente poco si sarebbe fatto nella cosiddetta «ambiziosa» proposta della Commissione europea che ci portava all'1,09; insomma non era uno 0,9 in grado di cambiare le cose. Ben diverso sarebbe guardare al 2016 con l'idea di dotare l'Unione europea di un bilancio che si affianchi quasi a quello tradizionale impegnato sulle politiche di spesa (agricola, fondi strutturali, ricerca e così via) e che punti di più su settori che possano essere realmente degli acceleratori.
  La revisione del bilancio 2016, quindi, va tenuta d'occhio; non ci viene dal cielo, è un qualche cosa a cui noi dobbiamo partecipare, ed è nostra intenzione, durante il semestre, portare questo elemento nel cuore del dibattito. Ne abbiamo parlato anche in sede di Parlamento europeo e può essere importantissimo che lo facciate come Parlamento nelle relazioni con il Parlamento europeo, ma anche che ne discutiamo approfonditamente in Italia, cioè in che misura vogliamo creare un reale bilancio europeo di forte stimolo all'economia, alle azioni per la crescita e per l'occupazione. «Forte» vuol dire più forte delle risorse che attualmente sono state messe sul tavolo. C’è, anche in questo caso, un clima direi più aperto rispetto a quello che ancora pochi mesi fa si sentiva nelle discussioni europee.
  Il secondo elemento da tenere presente è quello delle riforme. È vero che non si può pensare con riforme e «riformette», oppure con avanzamenti non particolarmente coraggiosi di riforme di cui tutti parliamo, di rivoluzionare la situazione a livello europeo. Un programma europeo di effettivo incentivo, però, tale da suscitare l'interesse dei vari Paesi a intraprendere quella strada per riforme nazionali che però sommate insieme, come dicevo prima, costituiscono una debolezza europea, rappresenta una novità. Non dico che possa essere la magica soluzione, però rappresenta un elemento di novità perché non si è mai attuata un'azione coordinata di questo tipo per riforme strutturali nazionali; la si è attuata in altri settori, e questo attenua la novità però ci aggancia a un precedente che è importante, come lo è, in tutte le vicende politiche, avere dei precedenti di riferimento.
  I fondi strutturali e la politica di coesione economica e sociale che oramai da qualche decennio si porta avanti a livello europeo altro non è, in fondo, che una politica coordinata, basata su una solidarietà reciproca, per facilitare la crescita delle regioni meno favorite dell'Unione. In questo caso si tratterebbe di attuare, mutatis mutandis, dei meccanismi lato sensu analoghi, per stimolare l'azione riformatrice nei vari Paesi. Questo è molto importante perché tutti i Paesi hanno bisogno di riforme. Non dobbiamo pensare, infatti, che quando in Europa si discute di riforme tutti abbiano in filigrana l'Italia e le sue non-riforme o le riforme che dovrebbe fare; in filigrana ci sono tutti i 28 Paesi. La stessa Germania è perfettamente conscia di dovere intraprendere importanti azioni di riforma che sono parzialmente diverse da quelle nostre; in alcuni settori noi siamo andati addirittura più avanti, ad esempio in quello delle pensioni, anche leggendo l'attualità di questi giorni.Pag. 13
  Naturalmente ogni Paese ha un suo polmone di finanziamento delle riforme; è chiaro che chi ha meno debito pubblico, chi ha una situazione di conti pubblici più stabile potrà immettere risorse supplementari per le riforme. Proprio per questo motivo credo molto nel meccanismo coordinato, perché evita il vantaggio marginale immediato di chi potrebbe, con le proprie esclusive forze nazionali, intraprendere una strada di riforme più speditamente di altri Paesi; questo creerebbe delle diseguaglianze, che poi farebbero parte di quelle cose che non si devono fare in un'Europa che punta invece a una crescita armoniosa.
  In questo senso, quella mutazione semantica, terminologica da contractual arrangement a partnership per la crescita e per l'occupazione, sono convinto che non sia unicamente di gergo, unicamente lessicale, ma rappresenti una sostanza. Come dicevano i latini – passando dall'inglese al latino – nomina sunt substantia rerum, ed effettivamente l'idea è quella di passare da un concetto che prevedeva in che modo io posso mettere in condizioni gli Stati di assumere un'obbligazione a effettuare delle riforme, poi eventualmente trovando un sistema per dargli qualche compensazione, a un concetto profondamente diverso che prevede in che modo a fronte dell'impegno volontario, deciso attraverso i meccanismi nazionali (vuol dire, quindi, coinvolgimento dei Parlamenti e delle parti sociali a effettuare determinate riforme che ciascun Paese individuerà per conto proprio), si possa mobilitare un meccanismo di solidarietà.
  La grande questione su cui stiamo lavorando, il grande cantiere aperto è capire che cosa possiamo intendere come meccanismo di solidarietà. Possiamo pensare a forme di sovvenzione, certamente, però allora dobbiamo identificare in che modo finanziamo queste sovvenzioni, perché se usiamo un metodo analogo a quello del bilancio dell'Unione alla fine sono i soliti contribuenti netti che pagherebbero e questo, per esempio, per noi non avrebbe un grande interesse, visto che le risorse che tornano dall'Europa in Italia sono da noi pagate in quanto contributori netti, così come accade per la Germania, la Francia, il Belgio, la Svezia, la Danimarca, l'Inghilterra, l'Olanda e così via. Bisogna quindi trovare delle forme diverse.
  Una forma diversa potrebbe essere, per esempio, quella di agganciare le riforme, i progetti, l'intento, l'impegno delle riforme al concetto già entrato nell'acquisito europeo dei cosiddetti «progetti», quindi anche di quei titoli che possono essere emessi per finanziare dei progetti, quelli che poi chiamiamo – anche in questo caso con espressione inglese riassuntiva – dei project bond. In sostanza, dei project bond non tanto per azioni infrastrutturali quanto, per esempio, per finanziare dei progetti di riforma. Questi potrebbero avere una garanzia europea, quindi godere di una valutazione migliore nel rating internazionale, e potrebbero poi servire a creare una base finanziaria per eventuali sovvenzioni; si sta studiando la praticabilità.
  Un secondo esempio è costituito da forme di garanzia agli Stati da parte dell'Europa – Europa-Unione europea, Europa-Eurozona, Europa-BEI, Europa-BEI più MES (Meccanismo europeo di stabilità) – che possano consentire agli Stati che intraprendono certe riforme, che hanno un determinato costo, di acquisire le risorse sul mercato attraverso emissioni di titoli di debito nazionale che però, in quanto garantiti a livello europeo, godrebbero di un tasso più favorevole.
  Una terza pista può essere legata a forme di compensazione, di incentivo di carattere non finanziario. È la più delicata, in cui bisogna pesare bene le parole, però potrebbe collegarsi a quel concetto di flessibilità di cui spesso parliamo, ma rispetto al quale, come sappiamo, dobbiamo procedere sempre con grande attenzione. Non bisogna, infatti, che sia poi vista come una sorta di autorizzazione ad agire come se i parametri non esistessero più, perché dobbiamo anche essere coscienti che, purtroppo, quando la crisi finanziaria nata nel mondo finanziario americano – anche se «creata» non sarebbe un termine inappropriato – è rimbalzata in Europa si è trasformata in crisi economica, in crisi di debito sovrano. Dobbiamo cercare di mantenere Pag. 14la fiducia nella sostenibilità dei conti pubblici, cosa molto importante per un Paese come il nostro, che per il debito pubblico, ma anche per la sua situazione di lotta contro il deficit annuale, è particolarmente sotto osservazione. Non è più un tabù, però, è un qualche cosa di cui si può discutere. Il cantiere è aperto e, secondo me, è un cantiere estremamente promettente.
  Il terzo elemento di cui dobbiamo tener conto sono gli ulteriori miglioramenti sistemici che si stanno via via attuando a livello europeo. Ce ne sono di due tipi: c’è una tipologia che è già inquadrata nella strumentazione europea classica e quindi, per capirci, viene portata avanti seguendo il metodo che continuiamo a chiamare «comunitario», per avere un'idea di cosa stiamo parlando; ce n’è una seconda che invece viene adottata anche con strumenti, in prima lettura, di carattere più eterodosso, ma rispetto ai quali viene sempre mantenuta e rispettata la cautela di dire che, a termine, vadano ricondotti nell'ortodossia generale. Un esempio tipico di questa seconda tipologia è il trattato cosiddetto del «fiscal compact» rispetto al quale c’è un impegno scritto nell'articolato stesso a ricondurlo a piena comunitarizzazione nell'arco del triennio successivo alla sua entrata in vigore.
  Riguardo al fiscal compact, mi permetto una preghiera che rivolgo a noi tutti e a me per primo. Come spesso accade per i testi giuridici, che meritano di essere letti e non declinati sul «si dice» o addirittura a memoria, è bene che lo leggiamo. Il fiscal compact è, in sostanza, un testo unico soprattutto di regolamenti (c’è anche una direttiva europea), adottati nell'ottobre del 2011, nei quali appaiono i vincoli maggiori. L'ottobre del 2011 è stato uno dei momenti di massima difficoltà dell'Unione europea, dell'Eurozona e anche del nostro Paese. Diverse guarentigie (termine un po’ obsoleto), garanzie, cautele, elementi di considerazione sono stati inseriti già allora in queste regolamentazioni e sono stati difesi esplicitamente nel negoziato che abbiamo condotto come Governo sul fiscal compact, anzi rafforzandoli.
  Vi cito il più importante. Laddove rispetto al deficit annuale è stata inserita la clausola per evitare che si ripetessero le vicende del 2003, quando Francia e Germania, sforando il 3 per cento, non furono oggetto di procedura perché il Consiglio Ecofin decise di non dar seguito alla proposta della Commissione, quindi occorre adesso una maggioranza qualificata per respingere la proposta di apertura di procedura della Commissione (diventa, quindi, molto più difficile non aprire procedure nel caso di sforamento del 3 per cento), per il debito pubblico c’è un esplicito rinvio, nell'articolo del fiscal compact, all'articolo del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Questo prevede che per dar seguito alla proposta della Commissione di aprire una procedura per un eventuale disavanzo dovuto al debito pubblico che sfora i parametri o che comunque si mantiene al di là dei parametri (che comunque, come sappiamo, sono menzionati nel Trattato in maniera meno drastica di quelli per il deficit), occorra una maggioranza a favore.
  È rimasta, cioè, la regola precedente. Non è certamente un caso, non è una dimenticanza o una distrazione. Questo – permettetemi di dire – è il frutto di una specifica attenzione negoziale che all'epoca portammo, come Governo italiano, consci del fatto che il debito rappresenta un elemento importante. È su questo che molto della discussione sulla comunitarizzazione del fiscal compact, sulla sua interpretazione e applicazione, dovrà essere poi articolato e declinato nel corso dei prossimi mesi e dei prossimi immediati anni.
  Parallelamente vanno avanti, però, anche le normative europee propriamente dette, in primis quella dell'unione bancaria e le diverse norme intorno. Riguardo all'unione bancaria, come Governo noi rimaniamo motivati ad avere un sistema più efficace possibile, che possa comunque prevedere, molto rapidamente, un completamento di quegli elementi come la sorveglianza solo per le banche sistemiche transfrontaliere, un meccanismo di risoluzione Pag. 15con una gradualità di piena entrata in funzione prevista per 10 anni e la garanzia sui depositi fondata sulle direttive.
  Noi abbiamo accondisceso – è stata la decisione del Governo e del Ministro dell'economia – ai due o tre compromessi che ci sono stati al Consiglio Ecofin su questi elementi per portare comunque a casa il risultato base dell'entrata in vigore dei vari meccanismi riconducibili alla definizione di «unione bancaria». Adesso, naturalmente, la palla è nel campo del Parlamento europeo e noi, come anche qualche altro Governo, stiamo fiancheggiando quell'azione importante che può svolgere il Parlamento europeo per migliorare il sistema.
  Esiste poi un terzo livello di miglioramento che prevede che nel corso della fase di entrata in vigore, come già accaduto varie volte a livello di Comunità europea e di Unione europea, fin dai tempi della realizzazione anticipata dell'unione doganale, si possa accelerare quel percorso che all'inizio, per titubanza, per timore o per l'effetto novità, viene visto come più lungo, ma che poi magari, una volta messo in opera e si vede che dà buona prova, può essere accelerato. Su questo dobbiamo mantenere ben fermo il nostro impegno.
  Tornando al tema del bilancio, è stato istituito questo gruppo – alla testa del quale tra l'altro è stato designato l'ex Presidente del Consiglio, Mario Monti – non tanto per le forme di tassazione (anche in quel caso per evitare i «si dice» è meglio andare sulle cose corrette), ma per studiare i meccanismi legati alle risorse proprie. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che con il termine «risorse proprie» dell'Unione si sottintendono effettive risorse proprie (per esempio, il gettito dei diritti doganali all'importazione da Paesi extra-Unione europea, una percentuale dell'intera IVA raccolta a livello europeo, prelievi agricoli e così via), ma ricadono nella definizione anche i contributi che gli Stati versano in proporzione al loro PIL. Questo gruppo, dunque, dovrà studiare in che misura si possa ridurre quest'ultima fonte di finanziamento del bilancio europeo – ovviamente immaginare di farla scomparire improvvisamente è un po’ eccessivo – per sostituirla con fonti di finanziamento di tipo diverso.
  L'obiettivo, certamente, per il Governo italiano non deve essere quello di aggiungere tasse europee alle già fin troppo presenti tasse nazionali e locali, ma eventualmente di trovare forme di tassazione europea che si sostituiscano alla tassazione nazionale, laddove può esserci una logica (pensiamo alle ecotasse che possono aiutare ad affrontare i problemi legati all'ambiente), però non dovrebbero sommarsi; e poi anche altre fonti di finanziamento.
  Il dibattito delle risorse proprie sottende il dibattito della capacità finanziaria che precede la capacità di bilancio dell'Unione europea o dell'Eurozona e, come scritto anche nel rapporto che il Consiglio europeo ha fatto proprio, preparato dai quattro Presidenti delle grandi istituzioni europee, la possibilità di emettere titoli di debito pubblico europeo. Sono, questi, cantieri aperti, parole, soggetti e temi che in un primo momento suscitano entusiasmi o reazioni negative, ma sui quali posso testimoniarvi che la discussione esiste, è aperta e deve andare avanti.
  Nel tema risorse proprie c’è anche il delicatissimo tema dei cosiddetti «sconti» di cui alcuni Paesi usufruiscono. Noi tutti ricordiamo quello del Regno Unito, ma lo sconto del Regno Unito – attenzione – non è asettico, a noi costa all'incirca un miliardo, perché naturalmente se paga meno un Paese pagano di più gli altri Paesi contributori netti.
  Anche questo tema degli sconti, quindi, su cui noi ci siamo anche molto battuti, tant’è vero che sono stati ridimensionati nell'ultima discussione sull'ultimo ciclo di bilancio, rimane aperto.
  Ci sono poi alcuni punti un po’ più specifici, ma credo di aver toccato quelli più importanti. Riguardo agli squilibri del mercato interno c’è una grossa attenzione. I fondi strutturali aiutano a superarli sotto il profilo degli investimenti, l'applicazione Pag. 16corretta e uniforme delle norme sul mercato interno e anche delle norme di libera concorrenza aiuta.
  Sulle norme di libera concorrenza vorrei fare un'annotazione importante. Abbiamo rilevato che negli ultimi anni, negli anni della crisi, sono aumentati notevolmente gli aiuti di Stato, nella terminologia europea, quindi gli interventi pubblici nell'economia, in quei Paesi che hanno il margine di spesa pubblica. Di conseguenza, avendo noi questo margine estremamente limitato, ci siamo fortemente battuti e abbiamo chiesto, anche recentemente, alla Commissione europea di mantenere quel livello di guardia elevato di cui abbiamo avuto modo di assaporare gli effetti in passato, quando anche noi eravamo più di manica larga nella spesa pubblica. È molto importante, cioè, che Paesi che possono permettersi spesa non possano acquisire un vantaggio che si tradurrebbe in una distorsione del buon funzionamento non solo del mercato interno, ma della stessa Unione europea. Quella politica, quindi, che per tanti anni abbiamo vissuto con sofferenza, di divieti a tutela della libera concorrenza, in questo momento diventa una politica, a nostro modo di vedere, che ci tutela.
  Rispetto a questi elementi possono anche fruire azioni collaterali, come la cooperazione in materia giudiziaria. Tutto questo ritorna alla questione – che io evocavo in introduzione e che ora vorrei ricordare in conclusione – del mettersi rapidamente in regola con le norme europee. Non solo questo, infatti, riduce la nostra credibilità e capacità di incisività, ma ci allontana da quell'armonizzazione generale che invece costituisce per le nostre imprese e per tutti i cittadini un momento di avanzamento importante.
  Riguardo alle banche ricordo ancora che il problema maggiore di sfida rimane quello di ristabilire un flusso corrente ed efficace del credito verso le imprese. Rispetto a questo, noi abbiamo chiesto alla Commissione di essere ulteriormente incisiva nel pacchetto di proposte presentato dal commissario Barnier che tocca anche temi come un diverso trattamento normativo nei controlli delle banche di risparmio, di dettaglio, di credito generalizzato e di quelle che invece effettuano un'attività soprattutto collegata agli investimenti.
  L'insieme delle azioni a livello europeo è in atto; non è la panacea per risolvere tutto, però obiettivamente va in una strada che è difficile considerare come negativa. L'impegno del nostro semestre – e torniamo a quanto può essere prezioso il contributo che date – deve essere quello di far compiere un deciso salto di qualità in questo cambiamento di rotta che da graduale può diventare molto più accelerato. Se nel frattempo l'economia dà segni di seguire queste sollecitazioni, noi a quel punto inneschiamo di nuovo quei cicli positivi ai quali tanto dobbiamo a livello della stessa costruzione europea, oltre che dell'andamento della nostra economia.
  Grazie, presidente, e grazie a tutti voi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero Milanesi per il suo intervento e i colleghi presenti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.10.