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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 18 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri, Federica Mogherini, sulle linee programmatiche del suo Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Mogherini Federica (PD) , Ministro degli affari esteri ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 
Tonini Giorgio  ... 12 
De Pietro Cristina  ... 14 
Picchi Guglielmo (FI-PdL)  ... 15 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 17 
Fava Claudio (SEL)  ... 17 
Compagna Luigi  ... 19 
Marazziti Mario (PI)  ... 19 
Cirielli Edmondo (FdI-AN)  ... 21 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 22 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 23 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 23 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Federica Mogherini, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri, Federica Mogherini, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.
  Saluto il presidente della Commissione affari esteri del Senato, senatore Casini, e tutti i colleghi presenti.
  Ricordo che il Ministro Mogherini ha già incontrato le Commissioni affari esteri riunite nella seduta del 4 marzo scorso, in sede di comunicazioni sui recenti sviluppi in Ucraina.
  Rinnovo al ministro, a nome mio e di tutti i colleghi presenti, i più fervidi auguri di buon lavoro per il nuovo incarico, che oramai è in pieno corso, e la invito a svolgere il suo intervento.

  FEDERICA MOGHERINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Vorrei proporvi inizialmente un'innovazione di metodo. Ho letto le relazioni dei miei predecessori, tutte estremamente valide; tuttavia se i presidenti sono d'accordo vi proporrei – sia perché con tutti voi ci conosciamo da diverso tempo sia perché la giornata di oggi è segnata dalla necessità di un aggiornamento sulle vicende di stretta attualità – non di fare una carrellata che tenga conto di tutti gli scenari che coinvolgono la nostra politica estera, ma di concentrare questo intervento su alcuni princìpi fondamentali che hanno orientato queste prime settimane di attività del mio dicastero e che orienteranno le scelte di politica estera di questo Governo.
  Intendo poi indicare alcuni obiettivi concreti su cui proveremo a far avanzare il lavoro e a realizzare alcune iniziative nei prossimi mesi, anche in sede di lavoro comune con il Parlamento e non solo. Infine, vorrei proporvi di vederci con regolare cadenza, magari mensile, per svolgere approfondimenti tematici anche slegati dall'attualità stringente, che però ci consentano di approfondire insieme, Governo e Parlamento, il lavoro che possiamo realizzare su alcuni dossier che sono particolarmente rilevanti per noi.
  Inizio dalla questione dell'Ucraina, non soltanto perché, come dicevo, credo che sia utile e doveroso informare e anche condividere con il Parlamento alcune scelte che si stanno compiendo in queste ore, ma anche perché credo che questa possa essere un'utile chiave di lettura per tracciare dei princìpi fondamentali che orienteranno e orientano già la nostra azione in politica estera.
  Il primo canale su cui ci siamo mossi sulla vicenda ucraina, in queste settimane, è stata la ricerca tenace, anche al di là di Pag. 4ogni ragionevole ottimismo, di una posizione e di un'azione comune nelle sedi multilaterali.
  In ambito dell'Unione europea ieri si sono svolti i lavori del Consiglio affari esteri a Bruxelles, che hanno visto conclusioni – che forse avrete letto in forma integrale o riportate dai mezzi di informazione – unanimi che hanno indicato una reazione congiunta dei Paesi dell'Unione europea, che prevede l'applicazione di sanzioni, la decisione di firmare la parte politica dell'accordo di associazione con l'Ucraina e di inviare una missione OSCE sul terreno.
  La riunione di ieri del Consiglio affari esteri è stata estremamente positiva e importante proprio perché ha segnato una posizione unitaria e molto consapevole di tutti gli attori coinvolti. Abbiamo perseguito la stessa linea di unità e di ricerca del consenso a livello internazionale in sede di Nazioni Unite. L'Italia ha sostenuto la proposta di risoluzione che è stata discussa e votata sabato sera all'unanimità, ad eccezione del veto russo e dell'astensione cinese.
  Abbiamo lavorato fin dalle primissime ore per il dispiegamento di una prima missione OSCE – di cui vi ho già rendicontato nell'occasione ricordata dal presidente Cicchitto – con l'invio di due osservatori sul terreno. È di queste ore, tuttavia, la discussione circa l'invio di una missione molto più consistente, di diverse centinaia di osservatori, sulla quale vi proporrei (se la discussione si sviluppa in modo positivo nelle prossime ore e nei prossimi giorni) un ulteriore passaggio parlamentare che possa coinvolgere le Commissioni competenti.
  Lo stesso sforzo di approccio multilaterale concordato c’è stato a livello di Consiglio d'Europa. Da questo punto di vista è stato molto importante il primo pronunciamento della Commissione di Venezia relativamente alla illegittimità del referendum in Crimea.
  Lo stesso approccio di ricerca di consenso e di unanimità abbiamo perseguito in sede NATO. Al riguardo voglio dire subito, anche se immagino che possa essere oggetto di discussione, che non riteniamo e non abbiamo ritenuto fin qui – e mi auguro che potremo continuare a non ritenere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane – che l'ambito della NATO sia quello giusto per affrontare il tema della crisi in Ucraina. Credo che da questo punto di vista siano rassicuranti le parole pronunciate da esponenti del Governo di Kiev che oggi escludono un'adesione dell'Ucraina alla NATO. Credo che questo aiuti a fotografare una partnership che esiste tra l'Alleanza atlantica e l'Ucraina, ma non l'opportunità di andare oltre su questa strada.
  Infine, ma non ultimo, abbiamo ricercato questo approccio multilaterale con i nostri partner in sede di G8. So che in queste ore ci sono state dichiarazioni relative alla sospensione della partecipazione russa, ma non mi sembra che siano una notizia, perché già nei giorni scorsi i sei partner del G8, con cui ci siamo confrontati rispetto alla crisi in Ucraina, avevano già manifestato la volontà e l'intenzione di sospendere la preparazione del vertice già previsto. Si tratta, quindi, di una sospensione dei lavori nel formato G8 che, però, per quanto riguarda noi e anche in ragione del livello di consenso che c’è stato in queste ore e in questi giorni, è appunto una sospensione e non un superamento del formato stesso del G8. Noi continuiamo a lavorare perché questo sia affermato.
  Come dicevo, in questa vicenda il nostro sforzo è stato quello di un approccio multilaterale volto ad aprire e ad utilizzare tutti i canali di dialogo esistenti e tutti i meccanismi multilaterali volti a una soluzione politica della crisi. L'obiettivo principale è stato la tutela, la promozione e il rispetto della legalità internazionale. Da questo punto di vista, c’è stata una reazione sia alla presenza militare russa in Crimea, anomala rispetto a quanto concordato in sede di trattati internazionali, sia a un referendum che tutte le istanze internazionali hanno valutato e valutano come illegale e illegittimo.
  È chiaro che le parole che Putin ha pronunciato, qualche ora fa, davanti all'Assemblea Pag. 5federale prefigurano l'avvio di una annessione della Crimea e costituiscono un grave sviluppo negativo della situazione. Questo divarica ancora di più la distanza che esiste tra la Federazione russa e la comunità internazionale. Inoltre, quelle parole prefigurano un isolamento grave, frutto di azioni unilaterali non giustificate.
  È evidente che in questo scenario i margini di dialogo si restringono; sono probabili nuove decisioni e nuove sanzioni fin dai prossimi giorni. Tuttavia, proprio perché la situazione non sta migliorando sul terreno, è ancora più importante che il nostro lavoro sia orientato a mantenere aperti gli spiragli di dialogo per evitare un'ulteriore escalation.
  Quello che ci stiamo sforzando di fare, insieme ai principali partner europei e internazionali, è di costruire e rafforzare una visione delle relazioni tra i Paesi del mondo basata su una profonda consapevolezza dell'interdipendenza globale, reciproca, e sull'affermazione di una logica di cooperazione e di partenariato piuttosto che di una logica di confronto che sarebbe estremamente pericolosa.
  Lo stesso sforzo alla ricerca di una responsabilizzazione degli attori rilevanti, di una soluzione politica e diplomatica della crisi e di un approccio il più possibile multilaterale, regionale o globale, lo stiamo portando anche negli scenari aperti, a partire da quello che per noi è il più importante, quello del Mediterraneo. Soltanto qualche giorno fa, durante la discussione del decreto-legge di rifinanziamento delle missioni, se non ricordo male l'onorevole Gentiloni indicava come il bacino del Mediterraneo rappresenti per noi lo scenario con maggiori rischi e maggiori opportunità. Forse anche i parlamentari della Lega indicavano come prioritario concentrarsi su questo bacino che per noi è regionalmente e strategicamente il naturale punto di attenzione.
  Credo che qui valga la pena di fare un ragionamento – che vi proporrò anche in forme da sviluppare insieme, Governo e Parlamento – su come intendere il nostro essere potenza regionale in connessione con gli scenari globali. Credo che su questo si debba sviluppare una riflessione che tenga insieme la consapevolezza del fatto che gli scenari regionali (per noi il Mediterraneo) sono principali, di maggiore attenzione strategica, e del fatto che anche quello che succede molto lontano da noi ha un'influenza diretta sugli stessi scenari regionali che sono per noi fondamentali.
  Penso, per esempio, che sia impossibile parlare di priorità del Mediterraneo senza tenere presente che il Mediterraneo e i Paesi del Nord Africa sono, di fatto, la punta di un iceberg molto più grande, l'Africa, un continente che richiama non soltanto povertà, disagio, sofferenza, malattia, morte e guerre, ma rappresenta anche una grandissima opportunità di sviluppo, di futuro, di dinamicità della politica, dell'economia, della società civile.
  La priorità del Mediterraneo per il nostro Governo non è soltanto una questione italiana, né soltanto una questione dei Paesi del sud dell'Europa, dei Paesi mediterranei dell'Europa, ma vorremmo che fosse – e impegneremo tutta la nostra energia perché nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea questo possa avvenire – priorità dell'Unione europea e priorità percepita dall'intera comunità internazionale.
  Chi di voi frequenta le assemblee parlamentari internazionali sa benissimo che a livello parlamentare internazionale c’è la consapevolezza del fatto che è il Mediterraneo il luogo delle sfide globali dei prossimi decenni. Non sempre, però, la stessa consapevolezza si trasferisce a livello governativo. Penso che dobbiamo fare di tutto, come sistema istituzionale italiano, perché, con riguardo a questa consapevolezza di centralità, di sfide e di opportunità, ci sia un'assunzione di responsabilità internazionale.
  Non è stato un caso che la prima visita del Presidente del Consiglio sia avvenuta a Tunisi. Non credo che sia un caso che la prima Conferenza internazionale che ho avuto il piacere di ospitare alla Farnesina il 6 marzo scorso abbia riguardato la Libia, Paese complesso in cui anche in queste ore gli sviluppi sono di difficile Pag. 6lettura e in taluni casi di inquietante interpretazione. La Libia è un Paese con il quale noi, attraverso quella Conferenza e soprattutto con le azioni che il Governo sosterrà nei prossimi mesi, puntiamo a promuovere e rendere possibile l'avvio di un dialogo nazionale, volto innanzitutto a chiamare alla responsabilità ogni parte della società libica e insieme la comunità internazionale.
  Il messaggio principale della Conferenza di Roma, cui hanno partecipato ampie rappresentanze parlamentari libiche, e moltissimi rappresentanti della comunità internazionale, è stato quello di legare insieme le due responsabilità: quella della comunità internazionale, che non può non accompagnare un processo di institution-building e di dialogo nel Paese e, al tempo stesso, quella centrale del popolo libico in tutte le sue espressioni politiche. Non c’è processo di accompagnamento internazionale che possa avere effetti positivi se non c’è una piena presa di coscienza delle responsabilità dei libici stessi.
  Un altro punto fondamentale sullo scenario libico sarà il tenere insieme la necessità di sicurezza e di stabilità politica. Non c’è per quel Paese possibilità di sviluppo della sicurezza interna e quindi delle frontiere e della regione mediterranea, se non c’è un percorso di costruzione delle istituzioni che renda possibile una minima forma di governance. Viceversa, non c’è una costruzione delle istituzioni nazionali, se non c’è possibilità di controllo del territorio e delle frontiere, oltre al controllo del disarmo. Questo sarà lo sforzo che non solo noi faremo, ma al quale chiameremo la comunità internazionale, a partire dai nostri partner europei.
  L'altro primo appuntamento – effettivamente si sono svolti un giorno dopo l'altro – che ha segnato l'inizio del nostro lavoro e che vuole continuare a essere un impegno costante riguarda il Libano. Oggi stesso incontrerò per la seconda volta in formato bilaterale il mio collega libanese. Ricordo che noi facciamo parte del gruppo internazionale di sostegno al Libano. L'Italia, come sapete, è impegnata in UNIFIL, ne ha il comando con il generale Serra, e si sta impegnando in un processo di sostegno alle forze armate libanesi, che sono fondamentali non soltanto per la sicurezza del territorio e per evitare un effetto spillover della crisi siriana, ma anche perché rappresentano un elemento di unità nazionale percepita in un contesto estremamente complesso. Quello sarà un impegno su cui nei prossimi mesi caratterizzeremo l'azione del Governo, ospitando – ne parleremo oggi pomeriggio con il mio omologo libanese – a Roma all'inizio dell'estate una conferenza ministeriale internazionale per il sostegno alla costruzione di questa esperienza di forze armate libanesi che possano rappresentare insieme uno strumento di sicurezza nel Paese, quindi nella regione, e anche un'esperienza di costruzione di uno strumento riconosciuto a livello nazionale come integrato e rappresentativo dell'unità nazionale.
  Non posso non citare i drammatici tre anni di guerra in Siria che abbiamo alle spalle. Proporrei che questo sia uno dei primi punti su cui rivederci a breve per un confronto più approfondito tra Governo e Commissioni. Credo che a nessuno sfugga la complessità e la drammaticità della situazione e che nessuno possa dire oggi di avere la soluzione per questo conflitto.
  L'impegno del Governo sarà su tre versanti. Il primo è quello politico, nel continuare a sostenere, per quanto e fin quando sarà possibile, il cammino scaturito dal processo di Ginevra, sapendo che le difficoltà sono enormi e lo stesso inviato speciale di ONU e Lega Araba per la crisi in Siria, Lakhdar Brahimi, ne vede tutti i limiti, ma anche sul versante del coinvolgimento pieno di tutti gli attori regionali, includendo ovviamente anche l'Iran che, come sapete, nel processo di Ginevra non è incluso. Da questo punto di vista ci sarà piena continuità con il Governo precedente che ha identificato – credo in modo molto lungimirante – con l'elezione di Rohani un punto di possibile svolta, certamente non definitivo ma sicuramente da verificare e incoraggiare. Già nel passato l'Occidente ha sprecato delle opportunità Pag. 7riformiste in Iran e sicuramente non è un esercizio che possiamo permetterci di ripetere, soprattutto nel momento in cui lo scenario mediorientale, in particolare con gli sviluppi della crisi ucraina, rischia di complicarsi anziché risolversi.
  Il secondo canale, oltre quello politico, dell'impegno sulla Siria è quello del disarmo. Come sapete – ne abbiamo discusso in Commissione quando io ero seduta dall'altra parte – siamo impegnati nel processo di smaltimento (che sta andando un po’ per le lunghe ma continua a essere in piedi) delle armi chimiche siriane.
  Il terzo canale, non meno importante, è quello delle iniziative di cooperazione e delle iniziative umanitarie che, in particolare, credo debbano essere rivolte ai tantissimi bambini che stanno soffrendo per la crisi siriana in modo proporzionalmente molto superiore al resto della popolazione. Penso che possa essere interessante per voi sapere che ho avviato con il Ministro dell'interno una verifica per facilitare i canali attraverso i quali possiamo prenderci in carico l'assistenza e la cura di alcuni gruppi – magari quelli più esposti ai drammi dal punto di vista dell'età – dei rifugiati siriani, in modo che anche l'Italia possa fare maggiormente la sua parte in questo senso.
  Cito alcuni temi soltanto come titoli, ma rimandandoli ad altro appuntamento. Tra questi, il tema delle evoluzioni che stanno verificandosi in Egitto, internamente e nelle relazioni complicate con i vicini del Golfo. Credo che questa sia una questione che sarebbe bene approfondire in sede di Commissioni, con la disponibilità piena del Governo a farle insieme. Quello che sta succedendo intorno al Golfo e con l'Egitto è tema che ci tocca direttamente.
  Inoltre, un Paese di cui tendiamo a rimuovere totalmente la drammatica situazione è l'Iraq. Anche oggi continuano a morire iracheni, per la maggior parte poliziotti o comunque persone coinvolte nella gestione della sicurezza del Paese. Credo che non possiamo permetterci di rimuovere il fatto che in quel Paese c’è ancora una situazione di estrema instabilità e drammaticità. Il fatto che non abbiamo più una presenza militare sul terreno non può comportare un interesse minore da parte nostra. Qualcuno, durante il dibattito in Aula la settimana scorsa, sottolineava che il fatto che non vediamo direttamente le cose non vuol dire che esse non esistano e che non ci riguardino.
  Insomma, dobbiamo ricordarci che abbiamo una responsabilità da esercitare in quel Paese, ed è anche nostro interesse strategico farlo.
  Credo di avere usato moltissimo tempo, ma vorrei toccare ancora alcuni punti. Innanzitutto, mi piacerebbe che, come Governo e Parlamento, continuassimo ad avere lo stesso approccio di cui parlavo fin qui sugli scenari del Mediterraneo anche sullo scenario fondamentale dell'Afghanistan. Il 2014 sarà un anno fondamentale, poiché si terranno elezioni presidenziali estremamente complesse. Ho intenzione di recarmi a Kabul appena il processo elettorale sarà concluso. È una visita che il Ministro degli affari esteri non fa da molto tempo. Credo invece che sia utile che anche il Ministro degli affari esteri, non soltanto il Ministro della difesa, si rechi in Afghanistan, perché la transizione democratica, sociale, istituzionale e anche economica del Paese è fondamentale per gli assetti della regione e anche per gli assetti della sicurezza a livello internazionale.
  Il ritiro del nostro contingente, come sapete, è già in corso. A mio avviso, è utile segnalare il fatto che non si tratta di un disimpegno, ma di un impegno di segno completamente differente. Non sappiamo ancora – è in fase di discussione – se gli afghani riterranno opportuna (e in quali forme, eventualmente) una presenza della comunità internazionale sotto forma di sostegno alle forze di sicurezza afghane. Credo che la questione sarà valutata dalla nuova presidenza afghana, quindi dopo le elezioni, con tempi che saranno tutti da definire.
  Posso dire che l'impegno del Governo è di discutere con il Parlamento di ogni eventuale sviluppo successivo, di non dare Pag. 8nulla per scontato, tranne il fatto – questo sì – che noi dovremmo in forme diverse continuare ad accompagnare la transizione democratica dell'Afghanistan, soprattutto per quello che riguarda la gestione afghana della sicurezza del territorio e la necessità di non tornare indietro sugli impegni internazionalmente presi, in particolare rispetto ai diritti umani e ai diritti delle donne.
  Cito ora alcuni piccoli impegni specifici, che in realtà tanto piccoli non sono e in parte riguardano la collaborazione tra il Governo e il Parlamento.
  Il primo punto riguarda la cooperazione. È già incardinato in Commissione affari esteri al Senato un progetto di legge di riforma che il Governo ha tutta l'intenzione di sostenere, chiaramente nella divisione dei ruoli e nella sovranità piena del Parlamento, non solo per arrivare a una rapida approvazione della legge, ma anche per avviare la fase di implementazione che all'approvazione della legge seguirà.
  Sul capitolo della cooperazione confermo l'impegno che ho espresso da parlamentare (e trovo naturale seguitare a esprimere) a continuare ad aumentare – magari in modo più consistente, ma qui richiedo anche la vostra collaborazione perché, come sapete, si tratta a volte di un lavoro di squadra – le risorse, sia sul capitolo della cooperazione sia sul capitolo, ad esempio, del Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla malaria e alla tubercolosi, che l'anno scorso si era riusciti a rifinanziare.
  Oltre all'impegno per la riforma e per le risorse, lavoreremo sulla coerenza delle politiche – come ho detto, procedo per titoli ma quelli di voi appassionati del tema sanno a che cosa mi riferisco – e sull'Agenda post-2015, ovvero gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Abbiamo un ruolo internazionale da giocare e penso che possiamo farlo in modo molto determinato.
  Il secondo tema di impegno specifico – anche su questo mi sono sempre impegnata da parlamentare e vorrei continuare a farlo da ministro – è quello della sicurezza, del disarmo e della non proliferazione nucleare. L'Italia può giocare un ruolo importante. Lunedì e martedì con il Presidente del Consiglio Renzi parteciperemo all'Aja al terzo vertice sulla sicurezza nucleare.
  Abbiamo alcuni strumenti internazionali da ratificare che possono essere cruciali nel settore del disarmo e della non proliferazione nucleare e credo siano già all'attenzione di queste Commissioni.
  Abbiamo un processo di revisione del trattato di non proliferazione nucleare in corso in sede di Nazioni Unite e ci sarà un impegno specifico del Governo per richiedere ai nostri partner che ancora non l'hanno fatto di ratificare il trattato per la messa al bando dei test nucleari per consentirne l'entrata in vigore. Capisco che possano sembrare iniziative di nicchia, di settore; da queste dipende tuttavia la sicurezza globale in modo consistente.
  Cito altri due «piccoli» titoli. Il primo è un impegno specifico sulle mine: al riguardo sono allo studio progetti di legge estremamente interessanti per vietare il finanziamento di compagnie che non in Italia, ma all'estero, producono mine. Credo che questo e, insieme, un impegno sul fondo per lo sminamento siano un investimento di lungo termine per creare le condizioni per la sicurezza internazionale su base molto umana e poco teorica.
  Inoltre, ricorderete che queste Commissioni hanno ratificato il trattato sul commercio delle armi (ATT – Arms Trade Treaty). Il 3 marzo scorso il Consiglio europeo ha adottato la decisione di consentire il deposito dello strumento di ratifica ai Paesi membri dell'Unione europea e penso che possiamo assumere l'impegno di essere, se non il primo, tra i primissimi Paesi dell'Unione europea a consegnare lo strumento di ratifica già dai prossimi giorni.
  Cito un altro impegno preciso e concreto che è anche un follow up di un'iniziativa di queste Commissioni. Ricorderete che il primo atto, in questa legislatura, della Commissione affari esteri, alla Camera, è stato la ratifica della Convenzione di Istanbul. Sto scrivendo ai miei colleghi Pag. 9dell'Unione europea poiché mancano le ratifiche di alcuni Paesi perché la Convenzione entri in vigore. Se riuscissimo ad avere le ratifiche che mancano in tempo per poter «celebrare» l'entrata in vigore della Convenzione di Istanbul durante il semestre di presidenza italiana sarebbe un bell'omaggio anche al lavoro che questo Parlamento e queste Commissioni hanno svolto.
  Cito ancora alcuni punti prima di concludere. Un tema a volte discusso in queste Commissioni, insieme alle Commissioni difesa, è quello della relazione tra il lavoro che si svolge nella Commissione difesa e quella che si svolge nella Commissione esteri. È un tema centrale per le discussioni che riguardano le missioni internazionali.
  Questo Governo non può che fare atto di totale sostegno al lavoro che il Parlamento può svolgere per l'approvazione di una legge-quadro che ci consenta, sin dalla prossima scadenza, di ragionare delle missioni internazionali in un formato diverso, che quindi esca dalla pratica della discussione unicamente sul rifinanziamento ma ci consenta di avere una discussione politica approfondita, vorrei dire strategica, sui singoli scenari di crisi, su qual è il modo migliore per stare in questi scenari, anche su qual è il modo migliore per prevenire alcune crisi internazionali prima che si manifestino.
  Questo è un lavoro che il Parlamento può svolgere, insieme al Governo, in modo molto più utile di quanto in questi anni abbiamo sperimentato. Confido che il Parlamento voglia procedere in modo spedito e da parte del Governo ci sarà tutto il sostegno per farlo.
  Un altro impegno a cavallo tra esteri e difesa è quello di rendere il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea un semestre che investa nella ricerca di una politica estera di sicurezza comune e che vada avanti sul settore della difesa comune europea, a partire dalla realizzazione di quello che il Consiglio di dicembre, che pure non è stato eccezionale ma nel quale sono stati comunque indicati alcuni punti, ha richiamato.
  Da ultimo, abbiamo sempre detto che anche la revisione dello strumento militare, che è competenza delle Commissioni difesa, va inquadrata in un discorso strategico che deve partire dalle Commissioni affari esteri. Con il Ministro della difesa, Pinotti, nei prossimi giorni lavoreremo alla definizione del progetto sul Libro bianco, di una strategia di sicurezza nazionale che parta dagli scenari di minaccia globale e che conseguentemente consenta di affrontare i temi relativi alla riformulazione del nostro strumento militare in un contesto che tenga conto degli scenari di politica estera globale. Non ha senso fare un esercizio senza l'altro. Proveremo, con il vostro aiuto e con il vostro lavoro, a impegnarci in questo senso.
  Vi è infine un tema che ho lasciato tra gli ultimi non per negligenza, ma perché so che c’è sullo stesso una particolare sensibilità e, avendo toccato il tema del raccordo con il Ministero della difesa, penso che sia utile affrontarlo in questi termini. Il totale raccordo tra Ministero degli esteri, Ministero della difesa e Presidenza del Consiglio sarà – mi auguro – uno strumento che ci consentirà di affrontare la vicenda dei nostri due marò in modo più coordinato e più univoco di quanto non sia stato fatto in passato.
  La Camera ha approvato, la settimana scorsa, un ordine del giorno unitario che credo ci possa aiutare molto in questo senso. Mi rifaccio, da questo punto di vista, alle parole del presidente della Commissione difesa della Camera, Elio Vito, che richiamava in Aula la necessità di avere una vicinanza anche umana – io sono in costante collegamento, e credo lo sia anche il Ministro Pinotti – sia con i marò sia con le loro mogli, e di avere una voce unica dall'Italia, del Parlamento e del Governo, ma anche tra i diversi membri degli stessi. La forza del messaggio che facciamo arrivare a Delhi sta nella sua univocità. Credo che tutti ne sentiamo la responsabilità.
  Come sapete, stiamo operando sulla strada dell'internazionalizzazione. Il Ministro dell'interno, Alfano, ieri a New York ha avuto un importante incontro con Ban Pag. 10Ki-moon che di nuovo l'ha rassicurato su quanto le Nazioni Unite saranno in prima linea nell'affermare la necessità di risolvere questa questione non in modo bilaterale ma in un contesto internazionale. Abbiamo mandato l'ultima delle note verbali la settimana scorsa, il che significa che il prossimo passaggio può essere direttamente l'avvio dell'arbitrato internazionale. Chiaramente sarà una scelta che faremo con i marò stessi e con gli avvocati; credo tuttavia che sia giusto informare il Parlamento circa il fatto che stiamo andando avanti, dal punto di vista formale, sulla strada dell'arbitrato.
  Oggi il Commissario straordinario del Governo, Staffan De Mistura è tornato a Delhi per seguire gli sviluppi di questi giorni, che come sapete sono quelli immediatamente precedenti alla prossima udienza, che dovrebbe tenersi la prossima settimana.
  Chiudo richiamando un tema che ha appassionato queste Commissioni per mesi: la riorganizzazione della rete diplomatica, consolare e culturale. Parto dall'assunto che è bene che almeno tra di noi sappiamo che la politica estera è un investimento strategico per il nostro Paese, ma anche dall'assunto che abbiamo esigenze di legge, date in particolare dal decreto-legge n. 95 del 2012, che ci indicano degli esercizi complessi, impegnativi, anche faticosi di riduzione del numero delle sedi che abbiamo all'estero.
  Non vi nascondo – anche perché lo sapete molto bene – che ho trovato un pacchetto, sostanzialmente frutto di un lavoro lungo svolto nelle Commissioni, con tutti gli organismi che sono stati coinvolti. Mi fa piacere, però, comunicare alle Commissioni che, anche in virtù di una scelta politica condivisa con il Governo, vorremmo tenere aperti due istituti di cultura tra quelli che pure erano stati inseriti nella lista delle chiusure: Stoccarda e Lione, che so essere stati anche oggetto di una particolare attenzione da parte di queste Commissioni. Come segno di una volontà di investire nell'aspetto della promozione della nostra cultura all'estero e di procedere, nei prossimi mesi, con un metodo diverso da quello utilizzato finora, sebbene il pacchetto fosse sostanzialmente chiuso e solo in attesa di essere firmato, abbiamo deciso di tenere aperti questi due istituti di cultura. Vedremo, per i prossimi passaggi, come procedere in modo diverso.
  C’è un punto relativo alla spending review sul quale ritorneremo. Al riguardo, posso dire che stiamo facendo un esercizio di revisione attenta delle spese.
  È forse utile citare, altresì, il punto relativo all'elezione dei Comites. Come sapete, entro l'anno è previsto il rinnovo dei Comites e del CGIE. A breve queste Commissioni saranno chiamate a esaminare lo schema di regolamento, già approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri, che dispone nuove norme sulle modalità del voto, in seggi e con la modalità elettronica.
  Spero che si possa rapidamente perfezionare questo regolamento, in modo tale che gli italiani all'estero possano eleggere i loro rappresentanti presso questi organismi che costituiscono una parte fondamentale dell'attività delle nostre comunità all'estero.
  Infine, scusandomi ancora di aver abusato del vostro tempo, permettetemi di citare un ultimo punto. Non ho citato l'America Latina non per scarsa attenzione; peraltro, il sottosegretario Giro vi è stato in visita la scorsa settimana. Penso che sia utile darvi la notizia che stiamo seguendo con attenzione la situazione in Venezuela. Vedrò personalmente l'ambasciatore venezuelano a Roma oggi pomeriggio, per acquisire direttamente da lui informazioni più dettagliate e dirette su quello che sta succedendo nel Paese e anche per rappresentargli tutte le nostre preoccupazioni sia relativamente alla nostra comunità sia relativamente al destino del Paese.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per averci offerto un'esposizione completa, non a 360 gradi ma direi a 375 gradi, che ha unito elementi di analisi e compiti più specifici e operativi. Sebbene io intervenga raramente, oggi voglio farlo in apertura su un solo punto, quello dell'Ucraina.Pag. 11
  Intervengo perché, avendo riletto gli atti della nostra precedente riunione, vorrei fare una considerazione. Se in quella riunione il ministro ha fatto appunto il ministro, intendendo con questo che il Ministro degli affari esteri, specie nella sede delle Commissioni parlamentari, ma anche in altre occasioni, deve tenere il suo ragionamento in modo estremamente calibrato, credo tuttavia che come Commissioni parlamentari dobbiamo avere criteri diversi, meno diplomatici, che affrontino le novità positive o negative che si presentano nel mondo. A questo riguardo, secondo me, in quella riunione siamo stati quasi più diplomatici dello stesso ministro.
  Esprimerò allora alcuni concetti che sono volutamente provocatori, ma a mio avviso una Commissione parlamentare, quando si presentano elementi nuovi, sconvolgenti, non avendo le remore che il senso di responsabilità di un ministro deve imporre, deve misurarsi con queste novità sconvolgenti.
  Nel nostro caso, ci misuriamo con due novità sconvolgenti. La prima, estremamente positiva, è che in un Paese dell'Europa c’è stata una rivolta liberale, nel senso più ampio del termine, contro un dittatore, il quale è stato costretto a dimettersi. È una circostanza estremamente positiva, che una larga parte dell'Europa ha invece accolto quasi come un elemento di disturbo. A mio avviso, chi è realmente liberale in questo Paese, al di fuori degli schemi politici, deve riconoscere la grande positività di quello che è avvenuto.
  Abbiamo speso fiumi di parole – talune giuste, altre sbagliate – rispetto alle «primavere arabe» e, nel momento in cui si è verificata una «primavera» in Europa, a mio avviso questo avrebbe richiesto, da parte del nostro Paese e del nostro Parlamento, un'attenzione più marcata di quanto non sia avvenuto.
  Per altro verso, però, si è verificato qualcosa di estremamente negativo. Mi riferisco a quello che ha fatto e sta facendo la Russia. Poco fa Putin ha tenuto un discorso che va analizzato fino in fondo; la sua negatività è di un'organicità molto rilevante. Il senso di quello che Putin ha fatto si può condensare in una frase (ma ce ne sarebbero molte altre): «nei cuori e nelle menti del popolo russo la Crimea è sempre stata e rimane inseparabile parte della Russia».
  Come è stato affrontato e risolto questo problema ? Quando si richiama il discorso della consanguineità e così via, quante parti dell'Europa sono nella stessa condizione ? Se mi consentite una battuta scherzosa, i nostri amici austriaci potrebbero mettere la nostra collega Biancofiore in una situazione drammatica perché potrebbero fare lo stesso con gli altoatesini realmente tedeschi che vivono in quel Paese.
  È avvenuta un'occupazione militare reale, effettuata in forma ipocrita ma sostanziale, che adesso sta diventando dottrina. A questo punto, non tanto il Governo ma il Parlamento credo debba interrogarsi su quello che succede in Russia. Lo dico perché nel nostro Paese c’è una singolare pudicizia determinata, non c’è dubbio, per un verso da ragioni economiche, e per un altro verso da due paradossali sensi di inferiorità o di colleganza che si trovano agli opposti poli dello schieramento politico del nostro Paese e che attengono a un dato sul quale credo che prima o poi un'analisi – come Commissione affari esteri, come Parlamento, non dico come Governo – dobbiamo farla: che cosa è successo in Russia ? Perché la Russia fa un'operazione di questo tipo ? Quale collegamento c’è rispetto al passato ?
  Ho letto una dichiarazione di Gorbaciov il quale ha affermato che finalmente è stata sanata una ferita che risale al passato. È evidente che la dichiarazione di Gorbaciov è riferita polemicamente alla cessione di Kruscev.
  Di fronte a una realtà che – non vorrei mettere in imbarazzo il ministro con il mio linguaggio – secondo me è imperialismo grande-russo esemplare, tipico, che combina due tradizioni, quella zarista e quella comunista, una riflessione è necessaria. È crollato il comunismo, è crollata l'URSS, come sigla, abbiamo avuto il periodo liberale, liberista, un po’ folle di Pag. 12Eltsin, ma la mia sensazione è che poi è scattata una grande operazione continuista che ha visto come protagonista quello che, nella fine dell'Unione Sovietica, era il cervello autentico di quel Paese: non più il PCUS, una realtà burocratizzata, sclerotizzata, senza idee e senza capacità, ma il KGB. Ora, il KGB si è riconvertito e non a caso un esponente che viene da quell'esperienza oggi è il capo di tutto questo.
  Mi fermo con le mie provocazioni, però reputo che, dimenticando anche per un attimo tutti gli interessi in campo e il fatto che la nostra politica energetica ha compiuto dei «capolavori» per quello che riguarda la nostra dipendenza, richiedano una riflessione più profonda queste questioni che attengono alla libertà, al fatto che è stato occupato un pezzo di un Paese e che c’è un disegno imperialista che – voglio ricordarlo – non si limita a quella zona, ma ci pone dei problemi anche nel Mediterraneo (penso alla Siria, all'Iran e così via). Si tratta di questioni che certamente vanno trattate non in termini militari ma che, a mio avviso, richiedono una risposta da parte dell'Occidente, da parte dell'Unione europea e da parte di tutte le strutture che vogliono evitare che questo sia il primo passo di un altro percorso.
  Sarebbe paradossale che noi, che siamo dei contemporanei, storicizziamo e diplomatizziamo anche eventi drammatici che viviamo minuto per minuto per poi cancellarli in ragione di una diplomatizzazione assoluta anche di un'occupazione militare e di una lucida teorizzazione di una nuova forma di imperialismo che si sta affermando nel mondo.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, cominciando dai rappresentanti dei gruppi.

  GIORGIO TONINI. Ringrazio il Ministro per la sua relazione e le rinnovo gli auguri di buon lavoro in uno scenario che, come ha avuto modo di descriverci, non potrebbe essere più complicato, innanzitutto per la crisi dell'Ucraina.
  Al riguardo, credo che la posizione assunta dal Governo italiano possa e debba essere sostenuta dal Parlamento in modo largamente unitario. È una posizione che mi sembra si possa descrivere in questo modo: innanzitutto fermezza sui princìpi, perché senza non può esserci convivenza e coesistenza pacifica in un contesto così complesso come quello contemporaneo, nel quale le questioni nazionali e le questioni dell'identità delle popolazioni proliferano e forzano i confini degli Stati. Non a caso, uno dei segni del tempo nostro è l'allontanarsi – per fortuna, naturalmente – dei rischi di guerra tra Stati e, invece, il proliferare di guerre, di conflitti e di fallimenti negli Stati.
  In un contesto come questo bisogna, quindi, stare ai princìpi. I princìpi comprendono, per un verso, quello della democrazia – sono i popoli che certamente hanno diritto di parola – in un quadro, però, nel quale spesso l'identificazione di un popolo e di uno Stato è qualcosa di impossibile. Questo rende non solo complessa la sopravvivenza e la sussistenza degli Stati nazionali che conosciamo, ma anche molto difficile la secessione dagli Stati.
  Il principio che oggi il Presidente Putin ha voluto affermare, ossia che con un referendum si possa rompere un'unità statuale, potrebbe essere un principio che rende estremamente aleatorio il futuro della stessa Federazione russa. In termini diversi, Putin potrebbe trovarsi a dover contrastare, nelle stesse sedi in cui l'ha difeso oggi, quello stesso principio.
  Pertanto, siamo in presenza di una difficile composizione tra questi due valori, il valore della democrazia, che deve consentire ai popoli di esprimersi, e il valore della coesistenza dentro confini statuali, che non può essere risolto una volta per tutte e che deve essere gestito attraverso gli strumenti della diplomazia, della politica e del diritto internazionale.
  Da questo punto di vista l'atteggiamento russo è una forzatura inaccettabile, perché sostenere che valga solo uno di questi princìpi, in contraddizione con tutti gli altri, rende una crisi di questo genere ingestibile e stabilisce un precedente che può diventare pericolosissimo per l'ordine Pag. 13internazionale. Non a caso, mi sento di sottolineare che la Cina ha avuto un atteggiamento di grande prudenza di fronte a una situazione come questa.
  Io credo, quindi, che la fermezza sui princìpi, insieme alla saldezza dei nervi, che è stata un'altra delle caratteristiche – mi sembra – della posizione italiana nel concerto europeo e occidentale, siano due elementi che vanno tenuti entrambi presenti, vorrei dire anche con un'apertura al futuro.
  Occorre un'apertura al futuro, nel quale la Russia deve percepire che noi siamo in grado di guardare, oltre questa crisi, a un rapporto che oggi è di estrema interdipendenza, al contrario di ciò che avveniva quando c'era la cortina di ferro, quando effettivamente tra le due parti dell'Europa non c'era praticamente comunicazione e, in particolare, non c'era interdipendenza di carattere economico. Oggi, invece, c’è un'interdipendenza fortissima tra la Russia e l'Europa.
  Io credo che questa interdipendenza debba diventare anche qualcosa di più e che debba aprirsi a un partenariato virtuoso. La Russia deve sapere che noi siamo disponibili ad andare avanti su questa strada. Noi vogliamo e cerchiamo un partenariato virtuoso tanto quanto siamo capaci di fermezza sui princìpi che sono assolutamente invalicabili rispetto alla gestione delle crisi.
  In sostanza, la situazione dell'Ucraina, che è un tipico Stato cuscinetto, cioè uno Stato nel quale convivono e coesistono popolazioni, storie e culture diverse, è irresolubile in un contesto di scontro, se non attraverso forzature violente, secessioni, rotture, spaccature dell'unità nazionale o – Dio non voglia – addirittura conflitti armati, che possono anche esplodere per un incidente, a volte anche banale, in un contesto qualunque, all'interno di una città nella quale convivono e coesistono popolazioni diverse.
  Io credo che la saggezza dell'Europa e dell'Occidente debba esprimersi in questa direzione. Non ripeto le cose dette dal Ministro, che mi convincono molto. Credo che anche la nostra diplomazia parlamentare debba andare in questa direzione.
  Ha ragione il presidente Cicchitto quando ci dice che le Commissioni e il Parlamento in generale possono avere margini di libertà più ampi. Io direi che dovremmo esercitarli in entrambe le direzioni, sia nella rivendicazione della fermezza dei princìpi, sia nell'apertura di canali di dialogo per far crescere il senso dell'interdipendenza e, quindi, di un possibile partenariato futuro con la Russia.
  Io non credo che la strategia di Putin possa essere vincente per la Russia. È una strategia che sta cacciando la Russia in una strada senza uscita. Spero che in tempi non troppo lunghi la Russia stessa si renda conto di questo, ossia che non ha alternative a un'apertura forte e solida di un rapporto con l'Occidente.
  Passo velocemente alle altre questioni. Il Mediterraneo con dietro l'Africa rappresenta certamente la sfida più grande per la nostra politica estera. Noi siamo nel cuore dell'area più insicura del mondo in questo momento, che è il Mediterraneo. Non sto a richiamare tutte le cose sacrosante dette dal Ministro sull'instabilità della sponda sud del Mediterraneo e del Nord Africa in generale, che è solo l'avamposto di una situazione più complessiva di enorme difficoltà.
  Questo ci deve richiamare anche a una grande attenzione sull'utilizzo di tutta la tastiera degli strumenti di cui disponiamo, l'azione politica e diplomatica innanzitutto, la revisione delle nostre politiche di sicurezza – mentre lavoriamo politicamente per costruire le condizioni della pace, non possiamo sottovalutare i rischi e le minacce alla nostra sicurezza anche attraverso una revisione, che il Governo sta facendo, del nostro strumento militare – e il massiccio investimento sulla cooperazione.
  La cooperazione, da questo punto di vista, deve diventare l’asset fondamentale della nostra politica estera. Su questo stiamo lavorando alla riforma insieme al Governo e mi ha fatto molto piacere sentire le parole impegnative del Ministro.Pag. 14
  Chiudo con un'ultima questione, quella della riorganizzazione della rete come punta dell’iceberg del problema più complessivo della revisione della spesa, che deve riguardare tutti i ministeri, tutti i rami della nostra amministrazione e, quindi, anche la politica estera. Queste Commissioni hanno dialogato, negli anni scorsi, con i precedenti Governi, sia con il Governo Monti, sia poi con il Governo Letta, con i ministri Terzi e Bonino, su questi temi. Ci sono stati aspetti su cui c’è stata comprensione e altri su cui non ci siamo trovati d'accordo.
  Il piano che il Ministro si accinge a firmare di razionalizzazione della rete presenta delle luci, ma anche delle ombre. La luce principale è il desiderio di spostamento di risorse dall'Europa verso le altre aree del mondo. Dobbiamo riorientare la nostra politica estera dall'Europa, che è ormai, per fortuna, in gran parte politica domestica – per così dire – verso le altre aree del mondo.
  Ci ha convinto meno, e l'abbiamo messo a verbale nei mesi scorsi, un punto rispetto al quale noi contiamo che nel futuro, anche per l'impegno che il Ministro ha preso di usare un metodo diverso, possa diventare centrale. Noi pensiamo che in particolare in Europa si debba andare a un drastico e rapido ridimensionamento della rete consolare, intesa come presenza di diplomatici che svolgono la funzione di consoli in Europa, e che si debba mantenere, invece, una rete il più possibile capillare di servizi non solo alle nostre comunità storiche, ma anche a un'inedita mobilità europea, fatta anche di nuovi ceti, di nuove persone, in particolare di giovani, di ricercatori, di un'emigrazione che, peraltro, è perfino improprio definire così all'interno dell'Europa e che coinvolge le giovani generazioni.
  Noi abbiamo bisogno di mantenere una rete capillare sia di servizi, sia di presenza culturale e, invece, dobbiamo alleggerire fortemente la nostra rete di tipo diplomatico-consolare. Su questo il piano che abbiamo di fronte e che il Ministro si accinge a firmare presenta degli elementi contraddittori, che noi abbiamo denunciato.
  Dopodiché, naturalmente sappiamo che c’è una distinzione di ruoli tra Governo e Parlamento, che non vogliamo in alcun modo superare. Il Parlamento fornisce gli indirizzi e sviluppa una funzione di controllo e anche di sindacato, ma alla fine le scelte operative sono in capo al Governo.
  A me, però, sembra molto utile rimarcare l'impegno del Ministro a un metodo diverso. Sulla base dei dati fondamentali del programma del Governo sappiamo che il bello deve ancora venire dal punto di vista della spending review e, quindi, saremo in presenza di un lavoro sicuramente molto impegnativo nei prossimi mesi.
  Credo che tale lavoro si debba fare col Parlamento non tanto nella negoziazione delle singole scelte, che, ripeto, devono restare in capo alla responsabilità dell'esecutivo, quanto nella definizione dei criteri e del progetto della nuova Farnesina di qui al 2020. Anche questo è uno strumento essenziale, perché nel mondo incerto, difficile e pericoloso nel quale siamo, avere una forte politica estera e, quindi, uno strumento moderno di politica estera credo sia una risorsa fondamentale per il Paese.

  CRISTINA DE PIETRO. Grazie, signora Ministro, della sua lunga esposizione. Colgo l'occasione innanzitutto per rivolgerle i migliori auguri di buon lavoro, che purtroppo è iniziato con la maggiore crisi che capita in Europa da molti anni e, quindi, è particolarmente difficile per lei in questo momento.
  Non si può fare a meno di constatare come ciò che accade in Ucraina abbia la portata di un grandissimo vulnus ai danni delle regole della comunità internazionale a causa di un referendum che giuridicamente è illegittimo, senza contare la violazione da parte di Mosca degli impegni presi firmando il memorandum di Budapest.
  Brevemente, ricordo che esso prevedeva un accordo fra Stati Uniti, Regno Unito e Pag. 15Russia a fronte della rinuncia da parte dell'Ucraina agli arsenali nucleari, che non sarebbero stati minacciati con l'uso della forza per quanto riguarda la sovranità territoriale, l'integrità di questo Paese o la sua indipendenza politica. Le tre potenze hanno, quindi, promesso di evitare l'occupazione militare e di intraprendere altre azioni con l'uso della forza.
  È evidente a tutti la gravità di quanto sta accadendo, in termini sia giuridici, sia politici, sia militari. L'intervento russo in Crimea non risponde a nessuno dei criteri previsti dalle Nazioni Unite per l'utilizzo della forza nei confronti di uno Stato sovrano.
  L'annessione della Crimea rappresenta, quindi, un pericolosissimo precedente. Dobbiamo ricordare che gli ultranazionalisti russi da tempo diffondono idee radicali che contemplano l'annessione di altri territori nei quali esistono minoranze russe, adducendo a giustificazione la necessità di proteggere le minoranze in questione. Per esempio, il Kazakistan e la Lettonia sono stati oggetto di preoccupanti narrative in questo senso.
  È molto importante, dunque, il modo in cui verrà affrontata questa crisi. Si pensi a cosa significherebbe un'occupazione di aree popolate da minoranze russe all'interno di uno Stato sovrano come la Lettonia, che è membro della NATO.
  A mio avviso, dobbiamo adoperarci per utilizzare tutti gli strumenti possibili a livello internazionale e nazionale per evitare che il Governo di Mosca riesca a portare avanti indisturbato una politica egemonica che ricorda i tempi della guerra fredda. La minaccia di sanzioni economiche, l'isolamento internazionale e il dispiegamento di osservatori OSCE potrebbero forse non essere sufficienti a fermare Putin. Ci auguriamo che non sia così.
  Tornando alla Crimea, il Presidente Renzi è stato piuttosto cauto e, quindi, si è avuta come la sensazione che si volesse mantenere una posizione non molto netta. Pertanto, chiediamo che cosa si intenderà fare a questo proposito per dare alla Russia un segnale veramente molto netto ed evitare escalation.
  Signora Ministro, avendo avuto il piacere di averla come presidente della delegazione all'Assemblea parlamentare NATO, ho molto apprezzato il suo riferimento al grande interesse che nella delegazione e, in generale, anche nelle altre Assemblee parlamentari, si attribuisce alla centralità del Mediterraneo, ma anche all'importanza strategica dell'Africa, dei Paesi subsahariani e delle crisi che in quei Paesi si stanno consumando. Tali situazioni hanno influenza sugli equilibri geopolitici e sociali sia dei Paesi del Mediterraneo, sia di quelli europei, in particolare anche del nostro.
  Lei ha toccato molti argomenti che spero avremo poi modo di approfondire, in particolare quello che riguarda la necessità, che condividiamo, di una legge-quadro per le missioni internazionali e il tema della cooperazione, che ci accingiamo adesso in Senato ad affrontare, anzi che stiamo già affrontando.
  La ringrazio e le rinnovo ancora tutti i nostri auguri.

  GUGLIELMO PICCHI. Signor Ministro, iniziamo con la Crimea. Ciò che è avvenuto è ormai di fronte agli occhi di tutti. Ciò che preoccupa è quali possano essere gli sviluppi di questa situazione, che cosa andrà a fare la Federazione russa sulla Crimea e, cosa ancora più preoccupante, che cosa può avvenire di tutti i territori al confine con la Federazione stessa.
  In precedenti visite in Ucraina si è visto che l'influenza russa, sia nella regione di Donetsk, sia nella regione di Kharkov, è estremamente forte. La preoccupazione è che la Federazione russa, rinvigorita dall'ottimo – per lei – risultato del referendum in Crimea, faccia sì che ci sia ulteriore esuberanza. C’è una forte preoccupazione per ciò che potrebbe avvenire in queste aree.
  Ribadisco quanto detto anche nella precedente audizione: l'Unione europea e il mondo occidentale nel loro complesso per troppo tempo hanno fatto finta di non vedere, o di non voler vedere, queste spinte separatiste, o almeno di forte autonomia, che ci sono nelle zone citate della Pag. 16Crimea, dell'est dell'Ucraina e anche nella zona di Odessa, un'altra area particolarmente sensibile per gli sviluppi che ci possono essere.
  Io spero che la Crimea e queste altre regioni non si trasformino in una nuova Transnistria, cioè in un limbo abbandonato a se stesso, dove – chi è stato in Transnistria lo sa – si possono notare le ambasciate dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, mentre, viceversa, in queste altre regioni si trovano le ambasciate della Transnistria.
  Io mi aspetto che l'Italia svolga un ruolo e prenda un'iniziativa e una leadership più forti di quelle che ha avuto finora. Mi pare che le reazioni a parole della comunità internazionale siano state sicuramente forti, ma poi Putin è andato avanti sulla sua strada. La Crimea a oggi si è dichiarata indipendente e ha fatto domanda di ammissione, come repubblica, alla Federazione russa.
  Questo ci offre anche uno spunto per affrontare l'aspetto che il Ministro ha toccato. Lei ha fatto parte delle Assemblee parlamentari internazionali e ha un'intensa esperienza parlamentare. Si tratta di cominciare finalmente a coordinare meglio gli sforzi del Parlamento e quelli della politica estera a livello governativo, andando avanti. Il Governo è spesso limitato nel suo campo di azione, per evidenti motivi. Il Parlamento lo è meno e può avere più canali di dialogo, che in questo momento possono essere estremamente utili anche nel caso ucraino.
  Se cominciamo a coordinare gli sforzi della diplomazia governativa da una parte e della diplomazia parlamentare dall'altra, questo può rendere nel complesso la politica estera italiana più efficace nella chiara distinzione dei ruoli. Il Parlamento fa il Parlamento e il Governo fa il Governo, ma, se l'azione è coordinata, ci sono meno gelosie ed evitiamo anche casi paradossali di dossier Paese non consegnati alla missione parlamentare o mini-boicottaggi di questo tipo. Spero che questo sia un metodo di lavoro che, andando avanti, finalmente l'Italia, come Paese, possa adottare, alla stregua di quello che fanno altre democrazie occidentali.
  Sul Libano vorremmo capire un po’ di più dove andiamo a finire, perché sono ora otto anni da quando è partita UNIFIL 2. I costi della missione sono sicuramente ingenti, l'impiego di personale è importante, ma non vediamo nel breve uno sviluppo. Vediamo sicuramente una giustificazione alla missione, ma dove vogliamo andare ? Ci poniamo una scadenza temporale di qualsiasi tipo e obiettivi da raggiungere ?
  Tra gli altri aspetti che lei ha toccato c’è la cooperazione. Come gruppo parlamentare, noi siamo favorevoli alla riforma e a una nuova legge sulla cooperazione italiana, ma c’è un punto che a me sta a cuore da molto tempo e che vado ripetendo da anni: l'Italia è un Paese che forse, come cooperazione centrale, ha impiegato poche risorse, ma che non ha un censimento – chiamiamolo così – di tutti gli interventi di cooperazione decentrata compiuti. Si finisce, quindi, con lo scoprire che le regioni fanno più ospedali in Palestina e che molti comuni vanno a fare iniziative di cooperazione bilaterale.
  Probabilmente, se si mettono insieme tutti questi sforzi, sapremmo dove sono. Per quanto mi dicano che siano tutti censiti, come Parlamento noi non ne abbiamo una contezza significativa. Credo che in tal modo dimostreremmo che l'impegno di cooperazione in senso lato che l'Italia sta svolgendo è in realtà molto superiore, in termini di numeri, rispetto a quello che spesso andiamo ripetendo in queste aule.
  Concludo sulla rete diplomatica. Sicuramente un Paese che pretende di svolgere un ruolo all'interno della comunità internazionale nell'ambito del G8 e del G20 non può permettersi, nonostante il periodo di spending review e le obbligazioni di legge che ci siamo posti come scadenze per la riduzione dei costi dei ministeri, di ridurre troppo sotto il minimo vitale la sua rete diplomatica.
  Ci sono interventi che sono estremamente banali, come la trasformazione di Pag. 17tutta una serie di consolati in uffici amministrativi, in unità amministrative, che libererebbero risorse di diplomatici, i quali potrebbero essere sostituiti da ottimi dirigenti amministrativi. Questo con il doppio beneficio di poter mantenere una rete ampia a minori costi e di poter continuare a fornire servizi a una comunità di italiani che si muovono – chiamateli italiani all'estero, italiani nel mondo, mobilità temporanea – la quale oggi conta 4,5 milioni di persone registrate e qualche altro milione di persone che sono a spasso per l'Europa e per il mondo.
  È vero che dobbiamo riorientare la rete verso i nuovi mercati. Teniamo sempre presente, però, che alla fine circa il 70 per cento dell'interscambio economico italiano avviene nell'ambito dell'Europa in senso lato e che i nostri cittadini sono presenti in un numero tra 2,5 e 3,5 milioni sul vecchio continente. La necessità di servizi è sicuramente in alcuni luoghi, ma anche in Europa. Questo non va dimenticato. Noi ci aspettiamo, quindi, che il piano che è alla firma sia rivisto con molta attenzione, tenendo conto di questa presenza della mobilità italiana.
  Infine – lei l'ha annunciato – le elezioni dei Comites si devono fare. Capisco che è l'argomento meno importante di tutti, ma sono dieci anni che si aspetta il voto. Andiamo, quindi, al voto.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Fava, vorrei dire qualcosa sull'ordine dei lavori. Noi abbiamo, come limite di tempo per le votazioni in Aula, per quanto riguarda almeno la Camera, le 16. Se fosse possibile completare gli interventi per ogni rappresentante dei Gruppi, potremmo dare una prima conclusione a questi lavori.
  Ho iscritti a parlare l'onorevole Fava, il senatore Compagna, l'onorevole Marazziti, l'onorevole Cirielli e l'onorevole Locatelli. C’è poi una serie di interventi che potremmo riprendere in un'occasione successiva, perché non mi sentirei affatto di strozzare una discussione tanto significativa come quella aperta dalla relazione.
  Se siamo d'accordo, quindi, mi affido al buonsenso dei colleghi che devono intervenire. Se riusciamo in questa impresa impossibile – ci sono cinque interventi ed evidentemente una replica del ministro – vediamo di concludere questa prima tranche di lavori alle 16.

  CLAUDIO FAVA. Vorrei cominciare ringraziando la signora Ministro e apprezzando la scelta del Governo di accompagnare una legge-quadro sulle missioni e di mettere questo Parlamento – vorrei sottolineare, finalmente – in condizione di poter intervenire, discutere e scegliere la propria posizione sui singoli scenari di crisi.
  Esprimo qualche preoccupazione sull'Ucraina. Sono d'accordo con lei e con la scelta del Governo di cercare una soluzione politica della crisi, che va, però, accompagnata facendo un uso non smodato dell'accetta, perché una storia faticosa e complicata come questa difficilmente può essere scritta a colpi d'accetta.
  Condivido la valutazione umana che il presidente Cicchitto esprime sulla personalità di Putin, personalità complessa e con tratti di forte rischio per la comunità internazionale. Bisogna, però, tenere conto del contesto e non limitarsi soltanto a un giudizio sulle avventure zariste di Putin, perché si tratta di un contesto in cui a volte c’è anche una compartecipazione nel perimetro delle responsabilità. Peraltro, mi sembra che l'atteggiamento del nostro Governo quando Putin invase la Georgia e l'Abkhazia, nel 2008, fu di stile e di umore ben diverso.
  Lo dico sapendo che c’è un contesto multilaterale in cui si deve intervenire e in cui occorrerà anche aprire una riflessione sulle cause che hanno prodotto questa crisi ed è certamente innanzitutto l'Unione europea. Tuttavia, deve trattarsi di una riflessione senza veli, senza reticenze, perché alcuni elementi di crisi sono stati se non determinati, almeno non prevenuti dall'Unione europea. La sua capacità di prevenire, anticipare e, quindi, risolvere conflitti è pressoché nulla.Pag. 18
  Al tempo stesso, una delle ragioni di questa crisi è certamente una politica espansionistica della NATO, che non può essere taciuta. Non può essere taciuto il fatto che questa politica espansionistica contravveniva una delle regole del gioco che erano state costruite e volute dai due partner dell'assetto geopolitico degli ultimi anni, Gorbaciov e l'amministrazione americana, quando si stabilì di evitare di spingere la NATO fino alle porte della Russia.
  Io credo che sia stata questa una delle ragioni di forte preoccupazione di Putin, non tanto le micragnose offerte economiche che arrivavano dall'Unione europea, quanto l'intenzione di annettere con forme diverse, ma con una sostanza politica concreta, l'Ucraina alla geografia della NATO.
  Lo dico pensando che gli accenti sono diversi. Il Ministro parlava poco fa dell'opportunità di sospendere il G8. Le agenzie ci dicono che è stata sospesa la Russia. Quello che dettano oggi il Ministro degli esteri francese e il Presidente americano è che il G7 dovrebbe tenersi tra una settimana in assenza della Russia.
  Credo che occorrerà fare una riflessione, anche se questo non risolve il tema delle emergenze, valutando il modo in cui affiancare la soluzione politica anche con un percorso graduale e allo stesso tempo calmierato di sanzioni, che non elimina il problema di capire quale altro vulnus si sia determinato in queste settimane alla legalità internazionale.
  Capisco che abbiamo avuto un atteggiamento ben diverso nei confronti delle «primavere arabe», ma lì venivano cacciati via ayatollah che erano stati eletti senza elezioni, nominati presidenti e sovrani a vita nei loro Paesi, mentre qui purtroppo siamo in presenza di un'elezione che ha mandato Yanukovych a governare il suo Paese con il visto di legalità e legittimità di quel processo elettorale che è stato fornito dalle Nazioni Unite, dall'Unione europea e dall'OSCE.
  A tutti noi e credo anche a Putin, Yanukovich appare come un satrapo ingombrante, con totale assenza di cultura democratica e anche bizzarro nei propri capricci e riottosità, però resta un vulnus con il quale dobbiamo fare i conti nel momento in cui agitiamo il tema della legalità internazionale per pretendere le scuse della Russia per quanto sta accadendo.
  Purtroppo non c'erano le fiere e orgogliose forze di una rivoluzione liberale che si contrapponevano ai soldati e ai cavalli dello zar, ma c'era anche altro. Come il presidente Cicchitto ricorderà, alcune audizioni la settimana scorsa ci hanno spiegato come ci fosse anche chi sparava sulla polizia, cecchini armati da una destra neonazista e antisemita che oggi, attraverso il partito Svoboda, fa parte del governo dell'Ucraina.
  Vi è quindi una complessità che non possiamo ridurre alla semplificazione di un antagonismo tra buoni e cattivi. Lo dico sapendo che l'annessione della Crimea è un fatto politicamente grave, un vulnus all'equilibrio geopolitico della comunità internazionale, ma anche che abbiamo bisogno di inserire nella discussione tutti gli elementi che ci permettano di capire perché tutto questo è accaduto e quale potrebbe essere la soluzione.
  Il mio Gruppo ha parlato, senza rivendicarne il copyright, ma assumendo un'idea che è stata proposta al dibattito da Kissinger e da Prodi, della soluzione Finlandia, di controbattere all'annessione della Crimea non con un'altra annessione di segno politico ed economico opposto, ma di immaginare per l'Ucraina una soluzione che permetta un partenariato equilibrato tra i due soggetti.
  Questi sono le valutazioni e i suggerimenti che vogliamo offrire al Governo. Un ultimo punto riguarda l'Afghanistan. Siamo d'accordo con il Ministro che occorra accompagnare il processo di transizione democratica di questo Paese, ma vorremmo non apprenderne le forme dal giornale o dalle decisioni assunte dalla Casa Bianca. L'opzione zero, che è una delle opzioni in campo per l'amministrazione americana, prevede un disimpegno immediato e totale, che comporterebbe a caduta anche un disimpegno degli altri Pag. 19Paesi che hanno accompagnato gli Stati Uniti in questa missione per dodici anni.
  Vorremmo poter essere protagonisti delle nostre scelte, fare una nostra valutazione, decidere noi le forme, anche a prescindere dalle decisioni che assume la Casa Bianca, del modo in cui l'Italia può, con le proprie risorse e anche con il proprio buonsenso, dare un contributo per accompagnare la transizione democratica in questo Paese.

  LUIGI COMPAGNA. Mi è parso che all'inizio l'onorevole Ministro abbia citato come fatto positivo, che può essere in prospettiva distensivo, le opportune dichiarazioni di esponenti qualificati del nuovo Governo ucraino, che hanno precisato come l'adesione alla NATO, una collaborazione più intensa con la NATO, esulino del tutto dagli orizzonti attuali della politica ucraina.
  Di qui la giusta deduzione del Ministro, per cui l'ambito multilaterale più improprio è quello della NATO, come fece rilevare nella riunione di quindici giorni fa il presidente Casini, mai sospettabile di tiepidi sentimenti per questa alleanza occidentale senza virgolette.
  Da questo punto di vista, l'organismo multilaterale competente e pertinente per antonomasia è indubbiamente l'OSCE. Con l'onorevole Tidei, l'onorevole Amendola, la senatrice Di Pietro siamo reduci da un'avventura di monitoraggio elettorale in Serbia molto distensiva, ma dal punto di vista dell'OSCE vorrei sottolineare la gravità della dichiarazione di Putin sul fatto compiuto dell'annessione della Crimea, il che rende particolarmente odiosa (non uso una parola impropria) la dichiarazione di Gorbaciov, laddove l'attacco russo non è all'Ucraina, ma è ai princìpi dei confini, quell'Helsinki 1975, allora CSCE, su cui è nata l'OSCE.
  L'organismo multilaterale nel quale pensare anche a sanzioni di una certa gravità, a prescindere dal fatto che in questo momento sia italiana la massima autorità, l'ambasciatore Zannier, è indubbiamente l'OSCE, più pertinente in questa materia degli algidi e sfuggenti richiami dell'Unione europea.
  Ha perfettamente ragione il presidente Cicchitto: non si può accettare il principio che l'unico protagonista legittimato sia una comunità uninazionale, unietnica, ed è odioso che si sia richiamato a questo episodio il personaggio storico Gorbaciov, che lasciò la scena politica quando rese noto che i protocolli di annessione delle tre Repubbliche baltiche consistevano (eravamo alla fine degli anni Ottanta) nel patto Molotov-Ribbentrop.
  Esiste in Europa qualcuno che vuole ricordare senza antagonismi, ma con l'inflessibile moderazione e forza dei princìpi moderati che l'unica ammissibilità come protagonista dello Stato uninazionale erano i discorsi che faceva in quella birreria di Monaco un caporale austriaco e che poi diventarono quel volumaccio del Meinkampf.
  Il fatto che protagonisti della politica europea di questo mezzo secolo (penso a Putin ma soprattutto a Gorbaciov) in questa occasione si siano abbandonati a dichiarazioni così scomposte e sguaiate come queste delle ultime quarantotto ore è perfino più grave di quello che ha subìto la comunità ucraina, maggioritaria o minoritaria che sia, in Crimea.
  Un'ultima breve considerazione, signor Ministro. A proposito della politica iraniana lei ha detto che si riconosce nella politica aperta dal governo precedente con interlocutore Rohani e ha accennato a potenzialità riformiste sciupate in passato con l'Iran. Non so a cosa si riferisse, però non dimentichiamo come «Occidente» le potenzialità sciupate con l'opposizione.
  L'Iran è un Paese molto vasto, molto complesso e molto articolato, tre o quattro anni fa si erano articolati, se non un'opposizione, dei casi di dissidenti rispetto ai quali l'Occidente fu interlocutore con molte virgolette e con poca sensibilità.

  MARIO MARAZZITI. Cercherò di procedere per titoli proprio perché abbiamo Pag. 20bisogno di un altro incontro, però ringrazio la Ministro per averci dato una panoramica e alcune linee guida, alcune priorità.
  Rapidamente, rispetto alla crisi dell'Ucraina purtroppo registriamo una qualche sagra degli errori e quindi una situazione molto grave, molto drammatica, forse legata anche a una non tanto preveggente Europa in anticipo, a una posizione debole a Vilnius, che poi oggi non corrisponde a una posizione molto forte, mentre la Russia sta procedendo per vie che non avremmo mai voluto.
  Credo che l'idea di un'Europa o di territori dove la maggioranza linguistica determina i confini o la collocazione socio-politica sia un principio che, qualora sia accettato, diventa terribile per tutta la costruzione europea; peraltro questo avviene, come accennavano alcuni colleghi, in Ucraina in una situazione non in bianco e nero, ma piena di contraddizioni, per cui anche la decisione del nuovo governo ucraino di abolire la lingua russa prefigura una situazione di difficile soluzione.
  Condivido quindi la linea del Governo sul fatto che dobbiamo reinventare le vie del dialogo, perché mi sembra che l’escalation vocale di gesti e di contro-gesti, di fatti e di contro-fatti stia portando su un binario morto. Mi domando quindi se non sia da chiedere subito un summit europeo, americano, russo per affrontare la questione dell'Ucraina, perché credo che tutti debbano fare qualche passo indietro.
  Non vedo soluzioni semplici e i fatti compiuti rischiano di creare precedenti internazionali. Non vado oltre su questo, ma l'idea di creare isole linguistiche per l'Europa induce a considerare come l'Ungheria possa vantare un terzo della popolazione fuori dai confini. Riapriamo il Trattato di Trianon ? Si tratta dunque di idee che noi dobbiamo provare a svuotare di significato prima che si affermino come fatti.
  Il collegamento tra tutto il tema Partenariato orientale e la Russia, che è per noi un grande partner – quindi non possiamo non tenere in seria considerazione le preoccupazioni russe, mentre possiamo sicuramente non condividere l'accelerazione russa sulla questione della Crimea – non può non destare preoccupazione e non indurci a chiedere un'iniziativa su tutto il tema Mediterraneo, compresa la Siria.
  Non entro nel collegamento Siria, Iran, Russia e scenario mediterraneo, di cui parleremo in un incontro più approfondito, mentre sulla parte cooperazione umanitaria, anche legata alla Siria, suggerisco di ragionare anche sul futuro della Siria, investendo in borse di studio perché centinaia di profughi siriani possano studiare in Italia ed essere la Siria democratica. La guerra non sarà per sempre, quindi, oltre alle emergenze sui bambini, introdurrei questa scelta strategica.
  Per quanto riguarda i temi che non sono stati ancora toccati, devo sottolineare l'urgenza recepita a Ginevra in sede ONU e il conseguente imbarazzo per il fatto che l'Italia non ha la Commissione indipendente per i diritti umani. L'Italia sarà sotto esame per i diritti umani durante il semestre europeo, è un obbligo che abbiamo a livello internazionale, purtroppo è anche un costo, ma abbiamo bisogno di un luogo indipendente a cui siamo tenuti dagli accordi internazionali, ma che l'Italia ancora non ha. C'era un progetto di legge della scorsa legislatura che poi non fu approvato alla Camera ma dobbiamo dare risposte plausibili, altrimenti non saremo credibili.
  Condivido profondamente la scelta strategica su Mediterraneo e Africa. Eurafrica è un tema a me caro e anche il titolo di un libro che ho potuto scrivere in passato, quando facevo altro nella vita. Penso che possa essere una scelta strategica di tutta l'Europa, in quanto lasciare vuoto quello spazio sarebbe prova di scarsa lungimiranza, laddove non è solo crisi, ma è anche sviluppo e futuro, area strategica di influenza, su cui il tema dell'immigrazione è molto importante.
  Mi chiedo quindi se non dobbiamo lavorare per mettere in cantiere per il semestre europeo, a ridosso del semestre europeo, un'iniziativa di alto profilo per arrivare finalmente ad affermare che l'Italia Pag. 21è porta dell'Europa nel Mediterraneo – che non è solo problema italiano – e creare strategie diverse per l'accoglienza e per una politica dell'immigrazione europea.
  Chiederei quindi di studiare insieme come Parlamento e come Governo per realizzare una conferenza dell'Unione europea per ottenere un risultato decisivo su questo terreno.

  EDMONDO CIRIELLI. Grazie, signora Ministra. Naturalmente i temi messi in cantiere sono tanti, ma cercherò di essere sintetico. Quanto ha detto sulla nostra azione nel Mediterraneo mi sembra ampiamente condivisibile, sia pure con delle sfumature, e, conoscendo la posizione espressa non solo da lei ma anche dal suo partito negli anni, ritengo di poter concordare, così come anche sulla vicenda dei fronti asiatici (mi riferisco all'Afghanistan).
  Non ha parlato del Kosovo e dei Balcani, ma credo che con il Mediterraneo l'area per noi strategica per eccellenza siano i Balcani, il Kosovo, l'Albania anche per gli interessi della nostra penetrazione socio-economica, e con quello che accade in Ucraina credo che l'Est sia sempre foriero di preoccupazioni.
  La ringrazio anche per l'accenno fra le linee strategiche della politica del suo Dicastero alla vicenda dei Marò, come non era accaduto da parte del precedente Ministro, quindi mi fa piacere che lei lo abbia fatto e sono contento delle posizioni assunte al momento dell'insediamento non solo da parte sua e del ministro Pinotti, ma anche dal Presidente del Consiglio. I giorni però passano e bisogna concretizzare; non vogliamo darle la responsabilità di fare subito quello che altri non hanno fatto in due anni, però gli atti giuridici consequenziali vanno posti con forza.
  Mi permetto di sottolineare che, dal punto di vista dello statuto delle Nazioni Unite, credo che non sia semplicemente una questione di arbitrato internazionale, ma che ci siano anche gli estremi per attivare l'articolo 33 del Trattato, che consente un immediato interessamento da parte dell'Assemblea delle Nazioni Unite o del Consiglio di sicurezza in una crisi che soltanto per la civiltà dell'Italia non ha compromesso la pace e la sicurezza, ma gli altri non possono fare i prepotenti perché rispettiamo il diritto e siamo un Paese serio !
  Ho apprezzato i passi avanti sulla vicenda degli istituti di cultura italiani all'estero, ma ritengo che si debba fare di più. Mi permetto di sottolineare una vicenda: oggi ho avuto modo di questionare sulla vicenda della partecipazione italiana alla Banca di sviluppo dei Caraibi e credo, a prescindere, che sia un grave errore che i fondi di partecipazione alle banche di sviluppo siano gestiti direttamente dal Ministero dell'economia.
  È un'antica battaglia che molti ministri hanno ingaggiato e che credo lei dovrebbe portare avanti, perché la partecipazione dell'Italia a queste banche può essere utile, ma deve essere riscontrata: è un atto politico e non può essere lasciata ai funzionari del Ministero dell'economia, rimanendo in un circolo di bancari o di burocrati finanziari, che, alla luce dei risultati complessivi dell'economia finanziaria del mondo, non mi sembra che vadano esaltati.
  Mi permetto di suggerirlo perché conosco la sua tenacia sulla politicizzazione ed è sufficiente considerare come attualmente i due terzi dei fondi dedicati alla cooperazione siano assorbiti dalla partecipazione alle banche !
  Per quanto riguarda l'Ucraina, premetto che è una crisi difficilissima che lei inizialmente ha gestito con estrema prudenza. Adesso, condividendo anche la posizione del collega Fava, credo che vi sia un eccessivo appiattimento sulla NATO e sull'Unione europea, che comunque hanno delle responsabilità, perché è oggettivo che la NATO e l'Unione europea hanno messo da una parte l'idea che si potesse rompere un'unità storica identitaria tra i due Paesi. Chi conosce la storia sa che l'Ucraina non esiste come nazione né sul piano identitario, né sul piano tecnico, ma è sempre stata una cosa agitata essenzialmente dai Pag. 22polacchi in chiave antirussa; e poi l'Unione Sovietica aveva finte Repubbliche prive di autonomia.
  Finché esisteva un accordo strettissimo tra la Federazione russa e l'Ucraina, questa situazione particolare avrebbe potuto essere gestita forse con l'intromissione da parte di Putin, però la Russia è un Paese anche molto sciovinista, quindi bisogna vedere cosa potrebbe essere anche peggio rispetto alla politica nazionalista, che è nello spirito dei russi, da parte di Putin.
  Bisogna valutare inoltre se non siano da ravvisarsi anche movimenti di circoli internazionali che tendano a portare la guerra in casa della Russia, perché bisogna considerare le cose a trecentosessanta gradi. La Russia è impegnata in tanti conflitti nel Caucaso, in Georgia, in Cecenia, adesso in casa sua, in Ucraina, che è Russia storicamente e identitariamente, e qualcuno potrebbe ritenere che questo sia un modo diverso per metterla in difficoltà.
  In questo quadro non è che non si può ammettere che il referendum non sia una forzatura delle ultime prassi internazionali, perché in passato tutti si sono riempiti sempre la bocca del principio di autodeterminazione dei popoli e su questa base l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno staccato il Kosovo dalla Serbia.
  Anche la dissoluzione dell'ex Jugoslavia è stata portata avanti dall'Occidente e dalla NATO sulla base delle nazionalità, per cui adesso rimproverare soltanto alla Russia questi atteggiamenti sembra voler distinguere i buoni dai cattivi, cosa sbagliata in quanto in politica estera bisogna essere molto realisti, battersi per i principi senza dire cose folli, come a volte si sentono anche in Parlamento, immaginando che difficilmente la Crimea potrà tornare nell'orbita di influenza dell'Ucraina.
  Questo non significa accettare lo status quo senza dire nulla, ma mettere in campo una politica che possa garantire nel complesso l'integrità dell'Ucraina, perché vengono segnalate altre zone a rischio, che possa far guadagnare stabilità anche rispetto alla salvaguardia, qualcuno ha parlato di finlandizzazione, di una situazione in grado di tenere conto di tutti gli interessi in campo.
  Da questo punto di vista credo che l'Italia abbia sempre svolto un ruolo particolare, perché all'interno dell'Unione europea e della NATO ha svolto un ruolo di forte mediazione insieme alla Germania. Ho la sensazione che al termine di tutta questa vicenda altri si accorderanno con la Russia, mantenendo lo status quo, e che posizioni azzardate, se venissero da parte dell'Italia, ci farebbero giocare vent'anni di politica estera positiva nei confronti della Russia.
  Lei sta mantenendo una linea assolutamente positiva, però le chiederei di continuare con maggiore forza in questa direzione, perché dobbiamo riguadagnare un ruolo di mediatori centrali, cercando di trovare soluzioni, anche perché, se non lo facciamo noi, lo faranno altri Paesi europei che hanno dimostrato nelle vicende della Georgia e della Libia di giocare ruoli a prescindere dall'Unione europea.
  Noi non abbiamo quell'ambizione, ma sicuramente abbiamo degli interessi e dei rapporti profondi con la Russia che non possiamo rischiare di compromettere per fare i paladini di diritti rispetto ai quali la complessità delle cose non può farci distinguere con serenità il bianco e il nero delle responsabilità.

  PIA ELDA LOCATELLI. Cerco in pochi minuti di toccare sette temi. Innanzitutto auguri alla Ministra perché non poteva capitare in un periodo più difficile di questo ! Sono arrivata a relazione iniziata e la voglia di parlare dell'Ucraina è molto forte, però è un tema che avete toccato in tanti, quindi faccio solo un breve accenno.
  Mi pare che l'approccio della Ministra sia giusto ed equilibrato, la voglia di tenere insieme i princìpi e la consapevolezza della interdipendenza del mondo rende difficile la gestione di questa vicenda, però credo di poter condividere due affermazioni della Ministra, secondo cui l'ambito NATO non è l'ambito giusto per risolvere Pag. 23la crisi dell'Ucraina mentre l'ambizioso obiettivo è quello di cercare di responsabilizzare gli attori internazionali.
  Questi sono i nostri due riferimenti, tenendo conto di due cose, che sottolineo al presidente della nostra Commissione. Non credo che adesso si sia arrivati a una rivoluzione liberale in Ucraina. La partenza è stata in questa direzione con le prime manifestazioni, ma poi la situazione ha purtroppo preso una direzione diversa. Purtroppo la bandiera europea è stata usata anche per fare entrare un po’ di nazionalismi in questa vicenda, e quello che aveva messo in allarme era la voglia di alcuni di entrare in Europa non insieme ai vicini, ma contro i vicini. Non dimentichiamoci inoltre che l'Ucraina è tra i maggiori produttori di armi al mondo, e anche questo non ci infonde sicurezza.
  Condividendo l'impostazione della Ministra sull'approccio fermo e insieme prudente, vorrei richiamare l'attenzione su alcuni temi che sono stati appena sfiorati. Sono d'accordo che il Mediterraneo in quanto regione di maggiore rischio e insieme di maggiori opportunità per noi richieda la nostra grande attenzione, sarà uno dei temi importanti ma non «il» tema in assoluto, perché abbiamo diversi temi da affrontare anche in aree molto vicine.
  Ancora una volta non so cosa dire a proposito della Libia, non riesco a immaginare alcuna azione che abbia una direzione chiara, in quanto è una situazione complessa su cui abbiamo avuto modo di confrontarci la settimana scorsa con alcuni esponenti delle ONG libiche presenti alle Nazioni Unite e le stesse ONG non sanno da che parte girarsi, quindi figuriamoci noi che siamo fuori da questo territorio !
  Vorrei fare una raccomandazione con riferimento alla Siria. Sono d'accordo che la nostra azione debba prevedere tre versanti, quello politico, il canale del disarmo e le iniziative di cooperazione con forte caratterizzazione umanitaria, ma non illudiamoci di risolvere il problema della Siria senza coinvolgere l'Iran.
  L'Iran è un altro tema molto complesso perché, mentre tutti ci aspettiamo una maggiore apertura dall'elezione del nuovo Presidente Rohani, rileviamo comportamenti contraddittori. La settimana scorsa alle Nazioni Unite ci siamo incontrate con una delegazione di parlamentari iraniane e mai avevamo avuto incomprensioni...

  PRESIDENTE. Sono costretto a interrompere la nostra riunione, perché il Movimento 5 Stelle ha chiesto in Assemblea di sospendere le sedute delle Commissioni visto l'approssimarsi del voto.

  MARIA EDERA SPADONI. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori, presidente.

  PRESIDENTE. Mi sto appunto riferendo all'ordine dei lavori per comunicare che ci viene rappresentata dalla Presidenza dell'Assemblea la necessità di concludere i lavori. Dobbiamo quindi trovare il modo di riconvocarci, in modo tale da consentire di intervenire al presidente Casini e a cinque o sei altri colleghi.
  Nel ringraziare il Ministro degli affari esteri, Federica Mogherini, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.50.