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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (X Camera e 10a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 27 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, sulle linee programmatiche del suo Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 
Guidi Federica , Ministro dello sviluppo economico ... 3 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 14 
Abrignani Ignazio (FI-PdL)  ... 15 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ETTORE GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.
  Buongiorno a tutti. Saluto in modo particolare le colleghe e i colleghi della Commissione Industria del Senato. Siamo qui per ascoltare le dichiarazioni e le linee programmatiche del nuovo Ministro delle attività produttive, dottoressa Federica Guidi, che innanzitutto ringrazio della presenza e per aver voluto essere qui anche in tempi piuttosto rapidi. Le formulo, anche a nome vostro, gli auguri di buon lavoro in un settore per noi particolarmente importante, in realtà in una congiuntura economica e sociale particolarmente delicata per il nostro Paese.
  Senza perdere tempo, darei la parola al Ministro Guidi, che farà la sua relazione introduttiva, finita la quale poi faremo il punto su come procedere nei nostri lavori. Devo solo dirvi che, per quanto riguarda i tempi, i colleghi del Senato, i quali, a differenza dei colleghi della Camera, che hanno concluso i lavori di Aula con la votazione di qualche minuto fa, devono rientrare in Senato alle 15.
  Sarà giocoforza per noi, quindi, interrompere i lavori della seduta congiunta alle 14.45. Finita l'illustrazione, stabiliremo come proseguire.
  Do la parola al Ministro Guidi per lo svolgimento della relazione.

  FEDERICA GUIDI, Ministro dello sviluppo economico. Ringrazio i due presidenti, il Presidente Epifani e il Presidente Mucchetti, e tutti voi per questo invito. Come diceva il Presidente Epifani, io sono una neofita e, quindi, per me questa è davvero una prima volta.
  Oggi vorrei condividere con voi le linee guida strategiche che abbiamo iniziato a elaborare nel poco tempo dall'insediamento del nuovo Governo e anche nel mio personale poco tempo nell'avvicinarmi a questo nuovo ruolo. Ci sono già alcuni spunti, però, che vorrei sottoporvi.
  La situazione da cui partiamo credo sia chiara a tutti, ma forse qualche breve cenno per ripercorrerla può essere utile. Tutti voi sapete che provengo da un settore industriale tipicamente manifatturiero, il metalmeccanico. Questa è la mia impostazione mentale e questo è un feeling, un sentiment che io, quasi per vocazione naturale, tendo ad avere rispetto alla Pag. 4lettura di quanto cercherò di mettere nell'azione del Governo e, in particolare, del Ministero che rappresento.
  Noi veniamo da un periodo di recessione che non stento a definire quasi postbellico nei numeri che abbiamo potuto calcolare a consuntivo. La contrazione del PIL è di quasi 10 punti percentuali. Certamente, e alcuni dati recenti che l'ISTAT sta fornendo lo dimostrano, c’è un segno di inversione di tendenza positivo, legato soprattutto a un clima di fiducia che sta riprendendo. Questo, naturalmente, è positivo, ma il consolidare tutto ciò è responsabilità nostra e comunque rimangono dei margini di incertezza che dobbiamo cercare di risolvere.
  Credo si possa dire, per usare una metafora, che il treno della ripresa è in arrivo. Bisogna, però, che tutti noi cerchiamo di far sì che si fermi alla nostra stazione e che, quindi, questa stazione non venga saltata.
  La crisi ha colpito in particolare il mondo industriale e soprattutto manifatturiero. Abbiamo avuto una contrazione di quasi 24 punti percentuali, abbiamo perso quasi il 10 per cento delle nostre aziende, soprattutto in settori tipicamente considerati trainanti per il tessuto industriale e il made in Italy italiano, e purtroppo tutto questo ha inciso in particolare sull'ossatura industriale e produttiva del nostro Paese, tipicamente rappresentata dalle piccole e medie imprese, nonché dal mondo artigiano. La contrazione della capacità produttiva di queste aziende ha raggiunto i 15 punti percentuali. Si tratta di un crollo drammatico. D'altronde, al Ministero dello sviluppo economico, quando io sono arrivata, ho trovato circa 160 tavoli di crisi aperti. Questo è un altro segnale tangibile e concreto di quanto sia drammatica la situazione. Tutto questo succede perché, come sappiamo, abbiamo avuto una tragica debolezza della domanda interna, con i consumi delle famiglie italiane che sono calati negli ultimi anni almeno di 8 punti percentuali. Abbiamo avuto, conseguentemente, un crollo degli investimenti, che sono precipitati, tornando praticamente ai valori dei primi anni Novanta, e una drammatica asfissia per quello che riguarda il credito. Abbiamo perso quasi 80 miliardi nello stock di prestiti soprattutto verso le piccole e medie imprese, in particolare in alcune aree geografiche del Paese, tipicamente quelle del Mezzogiorno d'Italia.
  Tutto questo è il pregresso di una situazione di crisi drammatica che si innesta su una debolezza strutturale che il nostro Paese ha e che consta di alta tassazione, ritardi nella parte di infrastrutturazione, alti costi legati alla burocrazia, temi che tutti noi conosciamo.
  Ci sono, quindi, problemi strutturali che certamente richiedono soluzioni strutturali, anche se credo sia bene cercare di porre l'attenzione anche su alcuni provvedimenti immediatamente attuabili che possano dare un segnale positivo per intercettare questa ripresa, che è comunque nell'aria.
  Tanto per cominciare, abbiamo trovato almeno 150 decreti attuativi di competenza del Ministero che devono ancora essere emanati, o su cui il Ministero dello sviluppo economico dovrà esprimere un concerto. Un primo impegno che ci siamo presi è stato quello di chiudere celermente questo cantiere, che era rimasto inevaso. Questo ha fatto sì che alcune misure, di cui poi vi parlerò, non siano potute diventare operative. Sono misure, però, che credo siano di fondamentale importanza in questo momento. Ce n’è una – che ho vissuto nella mia vita precedente, facendo il mestiere che facevo prima – che è trasversale su tutte: una grandissima opera di «sburocratizzazione». Ho girato tanto in Italia e per il mondo e ho messo anch'io le mani dentro le pastoie amministrative e burocratiche. Il nostro è un Paese che ha un drammatico bisogno di essere sburocratizzato. Personalmente non credo che la «sburocratizzazione» passi da un'ulteriore legiferazione per togliere qualcosa, ma semplicemente – anche se non so se sia semplice – dal togliere, disboscare e razionalizzare l'esistente.
  Cedo che l'eccessiva burocratizzazione sia realmente uno dei mali che hanno attanagliato questo Paese e su cui probabilmente Pag. 5ci siamo inviluppati, ragion per cui è difficile oggi andare a trovare il bandolo della matassa. Dovremo, quindi, come Ministero dello sviluppo economico, all'interno dell'azione di governo, cercare di fare alcune cose, ma soprattutto di disfare alcune barriere che oggi si sono costruite in questa impalcatura e che oggettivamente limitano la capacità di investire, la fiducia nell'investire da parte di molte aziende italiane, ma soprattutto di attrarre investimenti.
  Non solo per la provenienza che ho, ma anche per il bene del Paese, ritengo che dovremmo cercare di restituire centralità al mondo dell'impresa. Quando parlo di impresa, è chiaro che nessuno dimentica la grande impresa. Credo, però, che l'ossatura di medie e piccole imprese italiane sia quella che fino a oggi ha maggiormente sofferto di questo momento di crisi, quella sulla quale sono gravati più oneri e più costi e, quindi, quella che è stata resa meno in grado di essere competitiva in giro per il mondo. Ciò non significa dimenticarsi delle altre, ma cercare di allentare un po’ la stretta che su questa tipologia di imprese negli ultimi anni si era obiettivamente sedimentata.
  Credo anche che questo momento sia particolarmente favorevole, considerando l'orientamento che anche a livello europeo si sta prendendo. Parlo dell’industrial compact. C’è la volontà, che è stata chiaramente espressa anche in sede europea, di ridare centralità al mondo delle piccole e delle medie imprese e soprattutto dell'impresa manifatturiera, perché i servizi vivono laddove esiste la manifattura e laddove esiste l'impresa. Di conseguenza, ridare centralità all'obiettivo del 20 per cento credo non debba essere solo uno slogan e spero non sarà solo uno slogan. Ritengo, invece, che debba essere un target realistico, anche se ambizioso, considerando che, come tutti sappiamo e per le motivazioni che riferivo all'inizio, oggi ci siamo drammaticamente allontanati da quell'obiettivo. Siamo intorno al 15 per cento di percentuale di incidenza del valore aggiunto manifatturiero sul PIL, ma rimaniamo la seconda economia manifatturiera in Europa, dopo la Germania. Questo è, quindi, un asset strategico, un valore aggiunto che non dobbiamo perdere, ma consolidare.
  Credo, dunque, che il nuovo rinascimento industriale di cui si parla in Europa non sia solo uno slogan, ma un obiettivo, e un obiettivo ambizioso. Penso che sia un obiettivo al quale noi dobbiamo non solo tendere, ma anche cercare di intercettare con velocità.
  Quali sono le aree di intervento che l’industrial compact europeo propone ? Sono sostanzialmente cinque: rilancio degli investimenti industriali; miglior accesso al credito; costi dell'energia, nonché politiche clima-energia sostenibili per il settore industriale; internazionalizzazione; e quello che dicevo all'inizio, ossia una riduzione generale degli oneri burocratici, anche attraverso una spinta alla digitalizzazione, di cui tanto si parla. Credo che vi siano possibilità di interventi anche piuttosto rapidi ed efficaci sul fronte sia della pubblica amministrazione, sia delle imprese.
  Parliamo di clima-energia, che credo sia uno dei primi banchi di prova e anche il paradigma di come ritengo debba essere interpretata la scommessa europea. L'ho sempre detto anche in precedenza, quando facevo un altro mestiere: l'Europa oggi è il nostro mercato domestico. Che ci piaccia o no, questo è il nostro nuovo ambito, il nuovo panorama nel quale ci muoviamo.
  Penso che l'Europa debba essere interpretata come una grande scommessa di competitività rispetto al resto del mondo e che, quindi, non debba essere – come è stata molto spesso fino a poco tempo fa, forse addirittura fino a poche ore fa – una produzione di ulteriori oneri, di ulteriori costi, di vincoli, di lacci e laccioli, come si diceva una volta. Deve essere, invece, una straordinaria opportunità di competitività per il nostro sistema industriale rispetto agli altri grandi sistemi industriali del mondo, quali la Cina, l'India, il Brasile e gli Stati Uniti. Fino a oggi lo è stata troppo poco. Lo dice una persona che ha vissuto dall'altra parte e ha visto quanta fatica in Pag. 6realtà essere europei significasse, quando si andava a competere in giro per il mondo.
  Credo anche che sia stata una questione mal posta quella per cui l'Europa dovesse, come recentemente ha fatto, assumere oneri o vincoli unilaterali senza considerare quello che il resto del mondo si sarebbe assunto, a sua volta, come onere.
  Dico questo perché il pacchetto clima-energia è un paradigma. Credo che l'Europa, e a maggior ragione l'Italia all'interno dell'Europa, debba competere in giro per il mondo sull'innovazione, sulla ricerca, sulla tecnologia. Su questo non c’è dubbio. Nessuno pensa di arretrare, anzi. Questo, però, significa operare in un contesto mondiale che si rende conto che quell'innovazione, quella tecnologia e quelle assunzioni di asticelle sempre più elevate in termini anche di risultati, di percentuali e di riduzione delle emissioni devono essere commisurate ad un impatto ambientale realmente sostenibile e al fatto che le imprese che oggi operano in Europa siano messe in grado di competere in un sistema fair, non in un sistema a doppio binario o a doppia velocità, nonché che il resto del mondo si uniformi a quella che diventa una regola mondiale.
  Credo che tutto questo sia utile. Nessuno pensa di arretrare, nessuno pensa di tornare indietro rispetto all'innovazione tecnologica o all'innovazione nella parte alta della catena del valore, ma bisogna farlo in una competizione ad armi pari e considerando che l'Europa non può da questo obiettivo che si pone ricavarne delle inefficienze sul sistema economico, industriale e produttivo.
  Bisogna, quindi, trovare una giusta mediazione, facendosi promotori di un'iniziativa che vada verso il meglio, verso l'alto della catena del valore, ma in un mondo che giochi con noi ad armi pari. Altrimenti questo si traduce in maggiori oneri, in maggiori costi e, fatalmente, per esempio, se parliamo del pacchetto clima-energia, anche in un non risultato da un punto di vista ambientale.
  Ho usato questo come paradigma per dire che credo sia importante, a maggior ragione sfruttando la prossima presidenza italiana del semestre europeo, che l'Italia, a buon diritto, proprio perché parte da questa forte struttura manifatturiera, con aziende che riescono a competere anche sull'alto valore aggiunto, sull'innovazione e sulla tecnologia nonostante tutto, porti avanti con forza questo approccio all'interno dell'Europa. Si tratta di un approccio che si potrà realmente trasformare in un vantaggio competitivo per tutta l'economia europea e, all'interno dell'Europa, per quella italiana.
  Quali sono, quindi, le nostre priorità ? Ho citato l’industrial compact perché prima di tutto condivido questa impostazione che l'Europa sta fissando. Credo molto anche nel contributo che l'Italia può dare e credo anche che in Italia sia mancata forse fino a oggi una politica industriale.
  Una delle prime questioni che voglio cercare di impostare nelle prossime settimane è, dunque, la costruzione di un gruppo di lavoro, o di una task force, chiamiamola come vogliamo, composta da alcune persone, come economisti e politologi, che riescano a creare un industrial compact italiano. Vorrei, quindi, lavorare sulla falsariga dell’industrial compact europeo per arrivare a fissare alcune priorità e a stabilire alcune linee di priorità su un industrial compact italiano che segua le linee di intervento che citavo prima. Tutto questo in un'azione di Governo che è quella che conoscete e che il Presidente Renzi qualche giorno fa ha pubblicamente annunciato. Vado velocemente, ma cito il provvedimento sull'IRAP, con la riduzione del 10 per cento, che varrà circa 1,6 miliardi di euro nel 2014 e 2,4 miliardi in ciascuno dei due anni successivi.
  Aggiungo anche la correzione di quella che personalmente considero una stortura, ossia il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, che tanto ha pesato sui bilanci soprattutto delle piccole e medie imprese, le quali hanno subìto un aggravio drammatico nei costi e anche nella capacità di accesso. L'indebitamento è stato Pag. 7drammaticamente aumentato dal fatto di dover finanziare un circolante che ha creato un'asfissia nel sistema. Credo che questa sia stata una stortura dannosissima, che deve essere rapidamente corretta. Ci sono poi alcune rigidità nel mercato del lavoro che conoscete e su cui il Ministro Poletti ha recentemente emanato dei provvedimenti.
  Tutto ciò dovrebbe avvenire nell'ambito dell'azione di Governo, che credo dia un senso chiaro dell'attenzione che questo Esecutivo vuole prestare al mondo dell'impresa, prevalentemente manifatturiera e, all'interno di queste due categorie, quella delle piccole e medie imprese, che oggi ha particolarmente subìto gli effetti della crisi di cui dicevo prima.
  Esaminiamo le cinque voci dell’industrial compact italiano che vorrei cercare di implementare e che partiranno anche con alcune azioni immediate, che realizzeremo grazie all'adozione di quei 150 provvedimenti che ancora mancano e che recepiscono buone norme e buoni strumenti del Governo che ci ha preceduto.
  La prima consiste nel sostenere il rilancio degli investimenti industriali e privati. È evidente che servirebbero, o meglio che serviranno anche investimenti pubblici. Di questo ho una profonda convinzione. Tuttavia, è anche vero che, in un momento in cui le esigenze di finanza pubblica sono quelle che conosciamo, bisogna, nel frattempo, cercare di reimmettere nel circuito quel minimo o quel tanto di fiducia che serva a far partire gli investimenti privati.
  Gli investimenti privati in questi anni si sono drammaticamente ridotti perché le prospettive di mercato non erano entusiastiche, perché la fiducia da parte degli imprenditori è venuta meno, ma anche perché l'effetto del credit crunch, o comunque della contrazione dei finanziamenti bancari, è stata sicuramente molto pesante.
  Che cosa fare ? Occorre sostenere i processi di innovazione e ricerca e le competenze qualificate, nonché assicurare o supportare al meglio un adeguato flusso di risorse creditizie per coprire questi investimenti, puntando però anche a forme che non necessariamente debbano passare attraverso il credito bancario, rafforzando così alcuni canali alternativi rispetto a quelli bancari.
  Che cosa stiamo facendo noi ? Questa, ripeto, è un'attuazione di provvedimenti contenuti nell'attività dei Governi precedenti. Il primo intervento è la nuova legge Sabatini. Credo che tutti voi sappiate che oggi, se giriamo per le piccole e medie, ma forse anche per alcune grandi imprese italiane, quasi tutte le targhette dei cespiti che troviamo hanno dietro il nome Sabatini. Credo che questo sia uno degli strumenti che in passato ha già dimostrato una capacità incredibile di rilanciare gli investimenti nel settore industriale e manifatturiero. A partire dal 31 marzo sarà, dunque, pienamente operativa la nuova Sabatini. Le imprese che intendono accedere al finanziamento per l'acquisto di nuovi macchinari e impianti potranno beneficiare di un plafond dedicato di 2,5 miliardi di euro messo a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti, che fornirà provvista a basso costo per le banche. In più, le imprese beneficeranno di un contributo in conto interessi per abbattere il tasso effettivo al 2,75 per cento e di una garanzia pubblica per un'ulteriore riduzione del tasso. Tutto questo dovrebbe far sì che le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, possano ottenere finanziamenti a un tasso dell'ordine del 2 o 3 per cento. Le attese sono per avere almeno 25 mila operazioni entro il prossimo novembre, con un tendenziale assorbimento dell'intero plafond messo a disposizione. Se questa previsione sarà confermata, emaneremo provvedimenti per raddoppiare la dotazione finanziaria del fondo e, quindi, per avere ulteriori 2,5 miliardi di plafond disponibili per continuare a finanziare questa misura.
  Quanto agli investimenti in ricerca e sviluppo, credo che questo tema sia fondamentale. Il decreto Destinazione Italia ha introdotto un credito d'imposta per il sostegno all'attività di ricerca e sviluppo per imprese con meno di 500 milioni di euro di fatturato. Penso che l'Italia sia uno Pag. 8dei pochissimi Paesi industrializzati in cui questa misura di agevolazione fiscale sugli investimenti in ricerca e sviluppo non fosse ancora presente.
  Il credito d'imposta è concedibile fino a 2,5 milioni di euro e commisurato al 50 per cento del valore incrementale rispetto all'anno precedente. È già stata prevista un'autorizzazione di spesa pari a 600 milioni di euro nel periodo 2014-2016. Per queste caratteristiche è evidente, quindi, che questo è un intervento destinato in modo particolare alle piccole e medie imprese.
  Noi stiamo inviando al Ministero dell'economia e delle finanze il decreto attuativo. L’iter di approvazione e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dovrebbe concludersi entro giugno e, quindi, per quella data, ossia entro giugno, le imprese potranno presentare le domande. Dopodiché, anche in quest'ambito faremo un'attenta valutazione dei primi risultati e un monitoraggio delle risorse disponibili. Come il Governo ha già annunciato, è sua intenzione cercare di raddoppiare questa dotazione per ampliare la portata della misura e vedere se si riesca anche a non limitarla alla sola componente incrementale, come è, invece, previsto in questa prima tranche.
  Un'altra misura – la cito qui perché ho parlato di medie e piccole imprese, ma esistono anche le microimprese – di cui ci occuperemo, un'altra attività su cui ci impegneremo sarà la pronta attuazione della legge n. 180 del 2011, lo Statuto giuridico delle micro, piccole e medie imprese, attraverso l'emanazione di una legge annuale, che peraltro è un adempimento previsto per legge. Questo per non dimenticare nessuno e per considerare che il nostro tessuto produttivo italiano è composto anche di realtà ancora più piccole rispetto al dimensionamento che noi normalmente utilizziamo per definire le medie imprese italiane.
  Un'altra misura importante è il credito d'imposta per l'assunzione di personale altamente qualificato e per la nuova imprenditorialità. Parliamo di start-up. Anche su questo fronte siamo impegnati a rendere operative alcune buone misure introdotte dai Governi precedenti.
  Ad aprile sarà disponibile una piattaforma informatica – c’è già un po’ di digitalizzazione anche in questo caso – per accedere al credito di imposta nella misura del 35 per cento sul costo aziendale per l'assunzione di personale altamente qualificato. Le risorse attualmente disponibili sono 38 milioni di euro e la stima è che potranno consentire circa 3 mila nuove assunzioni. Dopodiché, dopo una fase di avvio e di monitoraggio, si valuterà il potenziamento di questa manovra.
  La scorsa settimana è già stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo che garantisce la piena operatività dell'agevolazione fiscale per gli investimenti in capitale di rischio per le start-up innovative. In questo caso, gli investitori potranno beneficiare di una detrazione fino al 25 per cento per quanto riguarda le persone fisiche e del 27 per cento per gli investimenti delle imprese. Questo per stimolare un mercato che ancora oggi è sostanzialmente asfittico, quello del venture capital.
  Passiamo al Mezzogiorno, al Sud Italia. È evidente che questa crisi ha investito tutto il Paese, ma è di altrettanta evidenza che nel Mezzogiorno d'Italia ci sono alcune ulteriori peculiarità e tipicità che fanno sì che la situazione sia ancora più grave.
  La programmazione del PON Ricerca e competitività mette a disposizione 3 miliardi di euro, spendibili già nel 2014. Questa è un'azione, che noi stiamo facendo, di ricognizione, ma la mia opinione personale è che sarebbe meglio cercare di non disperdere a pioggia e in mille rivoli questi denari. Pertanto, stiamo pensando di orientare prioritariamente queste somme per il potenziamento delle infrastrutture – parliamo di reti digitali e di banda ultralarga – e, anche in questo caso, per favorire soprattutto l'accesso al credito. Se questo è stato ed è ancora un problema in tutta Italia, lo è in particolare nel Mezzogiorno. Ancora, proseguiremo Pag. 9con la sperimentazione sulle zone franche urbane. Sono in corso i bandi relativi a 34 zone franche in alcune regioni del Sud. A breve sarà aperto anche il bando per la regione Puglia. La scadenza dei bandi è fissata fra fine aprile e maggio. L'obiettivo è quello di concedere le agevolazioni entro il 15 giugno per le citate zone franche.
  Il secondo punto è facilitare l'accesso al credito. È chiaro che riattivare il credito all'economia è una precondizione, soprattutto per le piccole e medie imprese, per creare un clima di fiducia che faccia sì che le imprese, soprattutto le medie e le piccole, possano ricominciare a investire.
  Credo che ci siano due principali linee strategiche. Una è il ricorso a una forma di garanzia pubblica per incentivare e aumentare la concessione di credito bancario alle PMI; l'altra consiste nell'aumentare e incentivare progressivamente modalità di finanziamento alternative al credito bancario. In particolare, mi riferisco al tema dei minibond.
  Sul primo punto, il ricorso a forme di garanzia pubblica, sicuramente il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è uno strumento potentissimo, che ha già svolto un ruolo fondamentale in chiave antirecessiva. Solo lo scorso anno sono state fatte quasi 80 mila operazioni, con 11 miliardi di credito garantito.
  Evidentemente il peggioramento delle condizioni economiche delle imprese aveva introdotto una sostanziale revisione dei criteri di accesso al fondo. Le nuove disposizioni operative del Fondo centrale di garanzia favoriranno, invece, un accesso anche per coloro che erano stati penalizzati.
  Il Fondo gode già di un ampio rifinanziamento, perché nella legge di stabilità per il 2014 sono stati previsti 2,2 miliardi sul triennio 2014-2016. Il Governo ha già annunciato, durante la conferenza stampa del Presidente Renzi, che c’è una disponibilità a incrementare, nel caso servissero, le risorse per ulteriori 500 milioni di euro. In proposito un'altra misura sulla quale ci impegneremo – per la quale non serviamo solo noi, come Ministero dello sviluppo economico, ma servirà anche la collaborazione del Ministero dell'economia e delle finanze – riguarda il tema del microcredito. Certamente esiste anche un problema specifico che concerne il reperimento di risorse finanziarie per le categorie socialmente più deboli. Ci stiamo attivando per fare in modo di estendere la copertura del Fondo centrale di garanzia anche sulle operazioni che si riferiscono al microcredito.
  In questo caso è allo studio – il testo è già pronto – da parte del Ministero dell'economia e delle finanze un documento che ha recentemente acquisito il parere favorevole della Banca d'Italia e che sta per acquisire, speriamo a breve, il parere del Consiglio di Stato. Se questo Regolamento sarà varato, noi, come Ministero dello sviluppo economico, ci impegniamo ad adottare nel più rapido tempo possibile il decreto, in modo che, anche in questo caso attraverso l'estensione del Fondo di garanzia, consenta al Fondo stesso di operare anche a sostegno del microcredito.
  Veniamo all'emissione dei minibond. Come dicevo prima, è chiaro che il canale bancario rimane una delle fonti principali di finanziamento. Tuttavia, credo che ce ne possano essere altri complementari e che, a maggior ragione oggi, con le misure di liberalizzazione entrate in vigore alla fine del 2012, queste operazioni siano già state rese possibili e che lo possano essere in futuro.
  La platea dei potenziali soggetti interessati è ampia. Secondo valutazioni del Cerved, la stima è che ci siano in Italia almeno 35 mila imprese con un fatturato e un giro d'affari superiori ai 5 milioni di euro e che hanno caratteristiche compatibili con l'emissione di obbligazioni. Anche in questo caso bisogna stimolare il fatto che possa essere destinata a tali imprese l'allocazione di risorse del risparmio a lungo termine, con finalità assicurative o previdenziali, in modo che l'economia reale del Paese venga sostenuta e potenziata.
  Contiamo di emanare entro giugno un decreto di competenza sia del MiSE che del MEF che estenda la garanzia pubblica Pag. 10anche all'emissione di corporate bond sottoscritti da SGR per conto di fondi di credito specializzati. Il sostegno della garanzia pubblica deve favorire al massimo l'economia e fornire il massimo di certezza, utilizzando tutti i possibili canali che diano finanziamento e accesso al credito, sia i canali tradizionali, sia altri canali che nel nostro Paese ancora oggi sono sottoutilizzati, ma che, invece, fanno parte di un'economia moderna, di un'economia dinamica. Questo soprattutto in momenti in cui la parte più tradizionale del credito diventa, per molte ragioni, più difficile, in modo che si possano offrire anche soluzioni alternative.
  Il terzo punto dell’industrial compact è la riduzione del costo dell'energia. Penso che si debba cercare di combinare due fattori, quello del continuare comunque a spingere verso un'innovazione tecnologica virtuosa e quello della sostenibilità economica del ciclo di produzione.
  Lungi da me l'idea che io personalmente o il ministero non sosteniamo una politica verso una green economy e una produzione di energia low carbon. Lungi da noi tutto questo. Tuttavia, stimolare innovazione e tecnologia e nuovi prodotti significa trovare un giusto equilibrio fra le ragioni di sostenibilità e compatibilità ambientale e le ragioni di sostenibilità economica del ciclo di produzione.
  Credo che in Italia questa discrasia sia stata evidente per tutti, per quanto riguarda le politiche ambientali. Se parliamo di fonti energetiche rinnovabili, del tema delle bonifiche e di quello dei rifiuti, credo sia evidente a tutti che questo circolo virtuoso fra sviluppo e sostenibilità forse fino a oggi non si sia attuato.
  Se guardiamo il tema da un punto di vista proprio di differenza di costi di produzione, vediamo che le piccole e medie imprese hanno oggi, per quello che riguarda il costo dell'energia, un differenziale di costo che nel migliore dei casi è del 30 per cento e nel peggiore dei casi è anche del 50 per cento. Non ci riferiamo a competitor cinesi, brasiliani o indiani, ma molto spesso a competitor tedeschi e francesi. Per così dire: peggio mi sento. Cosa fare ? È evidente che ci sono due soluzioni. Una è lavorare sul fronte delle scelte strategiche effettuate sul mix delle fonti di approvvigionamento – questa è una delle componenti – e l'altra è lavorare su quelli che vengono chiamati «oneri di sistema», che spesso sono di natura parafiscale e che oggi hanno rappresentato un forte appesantimento della bolletta pagata da una determinata fascia di imprese italiane. Ci siamo impegnati a una riduzione del 10 per cento della bolletta energetica delle piccole e medie imprese. Questo intervento dovrebbe comportare una riduzione della bolletta elettrica pari all'incirca di un miliardo e mezzo di euro.
  In che modo pensiamo di farlo ? È inutile che ce lo nascondiamo: bisogna cercare di eliminare o di ridurre alcuni extraprofitti che forse oggi non sono più giustificabili e alcuni sussidi che forse oggi non sono più così necessari come lo erano all'inizio, nonché bilanciare un po’ meglio alcuni oneri relativi, per esempio, all'utilizzo delle reti o alla gestione di quelle che vengono chiamate «fonti intermittenti».
  A qualcuno questo piacerà un po’ meno, perché si vanno a toccare componenti che fino a oggi hanno rappresentato un sostegno a favore di qualcuno e un appesantimento a favore di qualcun altro, ma credo che questo sia un modo per fare politica industriale. L'obiettivo è quello di non penalizzare e di non mettere fuori mercato nessuno. È evidente che le grandi imprese energivore non possono mancare nel nostro Paese e, quindi, è chiaro che non possano subire una penalizzazione che le metterebbe fuori mercato. Credo, però, e speriamo che poi i fatti ci diano ragione, che un'analisi ex ante e, quindi, preventiva con tutti quelli che chiamiamo gli stakeholder, i quali si rendano disponibili per il bene del Paese a concedere qualcosa, a restituire qualcosa di quello che fino a oggi, probabilmente anche in maniera sensata, hanno ricevuto, consenta di fare una mediazione e di raggiungere un equilibrio che vada a vantaggio di un pezzo della catena manifatturiera italiana, che è quella oggi più esposta alla competizione internazionale.Pag. 11
  Se oggi diciamo che le imprese italiane si devono internazionalizzare, da qualche parte dobbiamo dare loro un aiuto. Oggi queste imprese sono quelle che hanno in gran parte sostenuto il numero complessivo che il nostro Paese ha realizzato, pur in un momento di crisi e di recessione generale. Tutto sommato, se tale numero non è stato ancora peggiore, è perché molte di queste piccole e medie imprese sono riuscite in ogni modo a vendere anche in giro per il mondo.
  In questi giorni stiamo già iniziando questo giro di consultazioni con tutte le categorie coinvolte. Ci siamo impegnati, entro il prossimo 1o maggio, a emanare una serie di provvedimenti. Non vi nascondo il fatto che nessuno possa pensare di girare una chiave per far sì che dal 1o o dal 2 maggio il calo della bolletta sarà di un miliardo e mezzo. Questo è evidente. Ci saranno alcuni provvedimenti che andranno presi e un concerto di regole che andrà definito, che andranno a regime, io credo, realisticamente, entro alcuni mesi. Spero di avere il quadro normativo regolatorio già subito dopo l'estate o addirittura subito prima. È chiaro, però, che gli effetti del numero che vi ho riferito prima ci saranno su un arco di tempo che possiamo individuare entro la fine del 2015. Si tratta, infatti, di manovre che hanno un tempo necessario per essere recepite.
  In più, nelle prossime settimane noi avvieremo il processo di recepimento della direttiva che richiede a ciascun Paese di rafforzare la Strategia nazionale per l'efficienza energetica. In tale processo figura l'intervento obbligatorio, già a partire dal 2014, ossia da quest'anno, di rendere efficiente almeno il 3 per cento all'anno degli edifici occupati della pubblica amministrazione centrale. Questo, al di là del fatto che è il recepimento di una direttiva europea, sarà sicuramente un altro motore di investimenti, credo anche per una fascia tipicamente legata, anche in questo settore, a un tessuto di tecnologie italiane. Questa sarà un'ulteriore iniezione di fiducia e, speriamo, di liquidità nel mercato.
  L'ultimo degli elementi cui accennavo prima è la strategia di approvvigionamento delle fonti. È chiaro a tutti che oggi il nostro sistema resta «metanocentrico», per quello che riguarda sia gli impieghi domestici, sia la generazione termoelettrica. È evidente, però, anche che la diversificazione di questi approvvigionamenti è un altro tassello importante per ridurre il costo dell'energia, ma è soprattutto – in tal senso io credo che, a maggior ragione, il tema delle politiche industriali sia importante – un tema di sicurezza nazionale.
  Vi devo dire la verità. Sono stata al mio primo incontro bilaterale pochi giorni fa a Berlino e c'era in corso tutto quello che noi sappiamo: Russia, Crimea e via elencando. È davvero impressionante pensare che un Paese come il nostro su un tema come questo che, al di là dei costi, tema riguarda la sicurezza di approvvigionamento delle fonti, abbia due problemi che si chiamano South Stream – che una crisi come quella che abbiamo visto fra Russia e Crimea potrebbe mettere, per non dire metterà (non lo so, vedremo), a serio rischio – e, un altro corridoio che si chiama TAP sul quale ci sono difficoltà e problemi legati a qualche resistenza territoriale. A me tutto ciò fa un po’ impressione, vi dico la verità. Mi fa un po’ impressione perché è difficile trovare una giusta soluzione, anche tenendo conto delle esigenze di tutti. Questo, però, è l'ordine dei fattori che dobbiamo cercare di comporre. Credo che non si possa prescindere anche in questo caso dal fatto che il mondo sia andato in un'altra direzione, con lo shale gas degli Stati Uniti e la capacità di rigassificare. Ritengo, quindi, che l'Italia si debba dotare di una strategia energetica e di un mix di fonti che le consentano di essere prima di tutto sicura da un punto di vista degli approvvigionamenti. Questo è un tema di assoluto interesse nazionale. Dall'altra parte, legato a questo tema, c’è un discorso di costi, perché più si è autonomi, più si ha un mix di fonti alternative, più si ha una gestione di costi equilibrata. Credo, quindi, che vadano rimossi gli ostacoli alla nostra Pag. 12capacità di rigassificazione in termini di Paese, nonché gli ostacoli che ancora oggi permangono per quanto riguarda il completamento del corridoio Sud che, attraverso il TAP, ci collegherà a un'area completamente nuova. Ci sono, infatti, la Russia e la Crimea con i problemi che sappiamo, ma anche con Libia e Algeria la situazione è complessa e da monitorare.
  Infine, c’è l'esigenza di dare corso agli investimenti privati nella ricerca e nella produzione di idrocarburi. Qualche giorno fa ho avuto modo di incontrare l'amministratore delegato di una grossa compagnia, il quale mi diceva che ha più o meno 4 miliardi di euro di investimenti, totalmente privati, bloccati in una regione del Sud Italia. Credo che si debba trovare un equilibro rispetto alle giuste esigenze dei territori e alle giuste esigenze ambientali, ma un giusto equilibrio significa non dover sempre scaricare il peso di tutto questo sul fatto che poi gli investimenti non si possano fare. Purtroppo, peraltro, molti di questi temi incidono spesso su alcune aree, quali il Mezzogiorno d'Italia, in cui sappiamo quanta fatica si faccia per cercare di mantenere, consolidare o continuare ad attrarre investimenti.
  Occorre poi lavorare, per quello che potremo fare, anche come Ministero dello sviluppo economico, all'interno di un'azione di Governo, per cercare di eliminare o di ricondurre a un giusto equilibrio lungaggini burocratiche e veti incrociati – in questo contesto si impatta sul grande tema del Titolo V della Costituzione – cercando, almeno dal mio punto di vista, di riportare a livello centrale alcune competenze, soprattutto quelle che riguardano le infrastrutture energetiche che rivestono una natura strategica.
  Veniamo al quarto punto: internazionalizzazione e attrazione di investimenti esteri. In questi anni di sicura crisi il nostro export ha rappresentato una delle poche voci che abbiano contribuito a contrastare la caduta degli investimenti e dei consumi interni. Abbiamo un valore di quasi 500 miliardi di euro per quello che riguarda i beni e i servizi esportati dal nostro Paese. Negli ultimi tre anni l’export di beni italiani è cresciuto mediamente più di quello francese e di quello tedesco. Il saldo commerciale nel 2013 ha raggiunto i 100 miliardi di euro.
  Peraltro, ci sono nuovi settori, rispetto a quelli tipicamente considerati tradizionali per il made in Italy, ossia l'ICT, il biomedicale e le tecnologie sulla filiera della green technology, che rappresentano il nuovo made in Italy e che hanno portato al numero che vi ho citato prima.
  Purtroppo, però, di queste aziende, che anche in questo caso sono tipicamente piccole e medie aziende, sono appena 170 mila quelle che le statistiche ci indicano come esportatrici abituali. È evidente che il potenziale su molti milioni di piccole e medie imprese sia ancora enorme. Tanto c’è da fare, dunque, per aiutare questa tipologia di imprese a internazionalizzarsi.
  Credo che alcune di queste soprattutto non possano fare a meno di avere un supporto pubblico per quanto riguarda i processi di internazionalizzazione. Fuor di metafora, penso che uno strumento come l'ICE non vada tagliato, non vada tolto, ma anzi, dal mio punto di vista, deve essere assolutamente potenziato.
  C’è poi un altro punto, rispetto al quale mi riferisco alle reminiscenze del mio mestiere di prima. Oggi in molti casi l'internazionalizzazione comporta il fatto di passare per bandi pubblici di gara. Oltre al problema di avere capitolati tecnici, normative e costi collegati all'adempimento di tutto questo «malloppo» di documenti, come lo chiamo io, vi è quello dell'emissione dei cosiddetti bid bond in fase di gara e performance bond in seguito. È un tema drammatico per quello che riguarda le piccole e medie imprese italiane. Un supporto come quello che Simest, SACE e Cassa depositi e prestiti offrono è fondamentale, perché molte piccole e medie imprese si trovano oggi a combattere con tedeschi o francesi che possono offrire condizioni di accesso migliori. Non è solo un problema di costi, ma è un problema di non avere linee di finanziamento sufficienti. Se non si ha una linea di credito sufficiente, non si concorre neanche all'offerta pubblica di gara.Pag. 13
  Questo è un tema drammatico, che io ho visto sui mercati e che ha fino a poco tempo fa messo completamente fuori mercato molte piccole e medie imprese italiane che avevano prodotti eccellenti e che avevano probabilmente anche un prezzo del prodotto assolutamente competitivo, ma che non riuscivano a stare dentro i termini della gara per problemi di sostenibilità finanziaria dell'operazione.
  Tutto quello che ho detto prima si lega al fatto che le nostre aziende in Italia, non solo le piccole e medie, ma anche le grandi, realizzano prodotti che oggi sono richiesti in giro per il mondo, anche perché ci sono parecchi miliardi di persone nelle economie cosiddette emergenti che oggi stanno passando dalla produzione al consumo. I nostri prodotti sono, quindi, facilmente esportabili da un punto di vista sia di design, sia di produzione, sia di qualità. Noi dobbiamo assolutamente aiutare queste imprese ad agganciarsi a queste straordinarie potenzialità.
  Gli accordi di libero scambio e la rimozione delle barriere non tariffarie sono un altro strumento che in sede di Unione europea si sta discutendo e su cui noi dobbiamo aiutare le nostre piccole e medie imprese a buttarsi il più rapidamente possibile.
  Tutto questo si sostanzia in un Piano straordinario del made in Italy che comporta di ampliare il più possibile la platea delle nostre imprese stabilmente esportatrici, lo sfruttare appieno questi accordi di libero scambio, valorizzare anche alcuni grandi eventi in termini fieristici, come fanno altri Paesi, e valorizzare ancora di più questo marchio made in Italy. Il made in Italy non è semplicemente il «fatto in Italia», ma il «concepito in Italia», il «pensato in Italia», l’«organizzato in Italia». Inoltre, come accennavo prima, si tratta di potenziare, e credo che questo sia fondamentale, i servizi finanziari a supporto di questo sforzo di internazionalizzazione. Penso a Cassa depositi e prestiti, a SACE e a Simest, che io ritengo dovranno essere potenziate nell'offerta di servizi a supporto del processo di internazionalizzazione.
  Poi c’è il commercio elettronico. Penso a tutto quello che riguarda la digitalizzazione e al miglioramento di tutto quello che può essere migliorato, peraltro anche con costi relativamente bassi per quanto riguarda il sistema pubblico. Si tratta di un sistema di miglioramento e di razionalizzazione di questioni che possono essere messe in campo anche a basso costo.
  Veniamo all'altro grande tema: l'attrazione degli investimenti esteri. L'attrazione degli investimenti esteri serve in primis per avere capitali in Italia, il che è fondamentale, perché si crea occupazione e un volano di crescita. Tuttavia, io collego l'attrazione di capitali dall'estero anche alla capacità delle imprese medio-piccole di esportare. Moltissime medie e piccole imprese italiane hanno la capacità di innovarsi tecnologicamente non perché fanno solo tentata vendita, il che è molto difficile e anche molto oneroso da sostenere, ma perché ci sono grandi gruppi internazionali che, venendo a investire in Italia, ribaltano esigenze tecniche e tecnologiche di innovazione sul tessuto delle piccole e medie imprese italiane. Se una piccola o media impresa italiana, che magari da sola non avrebbe la forza per arrivare in mercati molto lontani, entra nella supply chain di un grosso gruppo internazionalizzato, quello diventa un canale di internazionalizzazione fenomenale, perché fa expertise e dà la possibilità di accedere a mercati in cui la semplice azienda sconosciuta – diciamo così – non riuscirebbe ad arrivare. Come in tutte le cose, questo è un puzzle complesso, che però ha dei benefici all'ingresso e da cui vengono innovazioni, capacità di sviluppo, capacità creative e soprattutto la spinta alla possibilità di internazionalizzarsi per molte medie e piccole imprese italiane. Credo, inoltre, che occorra razionalizzare la governance in materia di attrazione degli investimenti e che sarebbe meglio accentrare le competenze su un unico soggetto. Tutte le volte in cui, anche recentemente, ho parlato con organizzazioni rappresentative di investitori esteri in Italia non mi hanno posto questioni su costo Pag. 14del lavoro o presenza del mondo di sindacati, ma di certezza del diritto, di burocrazia e di energia.
  Quando, per esempio, parliamo di burocrazia, nessuno mi dice: «Toglietemi degli adempimenti» – se fosse possibile, sarebbe ancora meglio – ma «razionalizzateli, semplificateli, fate in modo che, per ottenere un'autorizzazione non ci siano dieci enti coinvolti, ma cinque e che, quando arriva l'ultima autorizzazione, la prima non sia già scaduta e non si debba ricominciare tutto daccapo».
  Un'opera di razionalizzazione nei processi autorizzativi sugli investimenti e sui tempi autorizzativi, che non sono certi, è un'operazione a costo zero. Significa razionalizzare e cercare di migliorare un sistema anche esistente senza togliere niente, ma semplicemente dando certezza e fissando anche, a volte, tempi tassativi alla parte della pubblica amministrazione, affinché non rimandi sine die l'autorizzazione su un singolo atto che, a cascata, fa cadere tutti quelli che magari prima si sono ottenuti. L'ultimo punto che farà parte dell’industrial compact che abbiamo in mente è il tema che ho citato all'inizio e che è trasversale a tutto. Non c’è solo la spending review, ma c’è anche una regulatory review. Si tratta di sburocratizzare, di cercare di ridurre oneri e adempimenti a carico delle imprese. Per esempio, mi riferisco alle valutazioni di impatto ambientale, al tema della sicurezza sul lavoro, a questioni che devono esser razionalizzate e semplificate. Si tratta di razionalizzare le comunicazioni obbligatorie.
  Credo che possa essere considerato un intervento trasversale a tutto anche spingere perché l'Agenda digitale e i sistemi di digitalizzazione, anche prima di avere le infrastrutture disponibili, possano effettivamente rendere un po’ più semplici, un po’ più rapidi e un po’ meno onerosi alcuni processi autorizzativi e amministrativi a cui le aziende devono adempiere.
  Sono profondamente convinta, per esempio, che le infrastrutture digitali siano fondamentali e, quindi, che l'investimento nella digitalizzazione del Paese, a partire dalle infrastrutture, sia fondamentale. Credo, però, anche che ci possano essere dei sistemi a infrastrutture esistenti, a infrastrutture date, per migliorare sensibilmente una parte degli adempimenti sul lato della pubblica amministrazione, ma anche sul lato delle imprese.
  In conclusione, penso che un ulteriore sforzo va fatto per la produzione di leggi che possano essere immediatamente applicabili e comprensibili e, quindi, autoapplicative, per una maggior certezza del diritto, con un quadro di riferimento coerente, magari con testi unici e codici che facciano sì che chi poi li debba utilizzare abbia una visione più chiara e certa della normativa; e, infine, per una legge annuale sulla concorrenza. Valuteremo con attenzione le segnalazioni che perverranno dall'Autorità antitrust e riprenderemo la prassi della legge annuale sulla concorrenza.
  Vi ho detto tante cose, forse sono stata anche un po’ troppo lunga nei tempi che il presidente mi aveva concesso. Chiudo qui, dicendo che le questioni sono tante e che il momento è difficile. Come diceva Thomas Edison, però, «non esistono surrogati al duro lavoro», ragion per cui auspico prima di tutto una collaborazione con le vostre Commissioni per il futuro e auguro a tutti noi un duro e proficuo lavoro per costruire quella «stazione» in modo che quel treno che sta arrivando si fermi finalmente e definitivamente da noi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio, anche a nome del Presidente Mucchetti, il Ministro Guidi. Mi sembra evidente anche da ciò che abbiamo potuto ascoltare che si è trattato di una relazione molto complessa, molto densa di spunti, molto ricca, che, come tale, rappresenta una perfetta base per lo sviluppo della discussione tra le Commissioni e il Ministro.
  Noi non siamo in condizioni, lo precisiamo innanzitutto per serietà, di poter avviare una discussione, perché fra poco i colleghi del Senato ci debbono lasciare. Chiuderei, quindi, sapendo che abbiamo già parlato con il Ministro Guidi di questa eventualità, proponendo di riconvocare le Pag. 15due Commissioni in un tempo ravvicinato.
  Valuteremo poi, insieme, ma questo è un problema nostro, se presentare domande scritte da mandare prima al Ministro, in modo che il ministro venga a rispondere, oppure se riprendere il lavoro della Commissione esattamente dal punto in cui l'abbiamo lasciato oggi e, quindi, con i singoli componenti che avanzeranno al Ministro le domande direttamente nel corso del dibattito.
  Dobbiamo garantirci comunque la volta prossima di prenderci il tempo necessario per una discussione approfondita, il che, però, non dipende dal Ministro, come si è capito, ma dai lavori delle rispettive Assemblee – in questo caso del Senato, in altre occasioni della Camera dei deputati – per poter svolgere la seconda parte dell'audizione. Valuteremo, quindi, al nostro interno come organizzare il seguito dell'audizione odierna.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Rinviando alla prossima seduta i ringraziamenti al Ministro, chiederei, se possibile solo di conoscere con maggiore precisione quando ci incontreremo per la prossima seduta. Poiché il Ministro ci ha lasciato un documento che riepiloga le linee guida che ci ha illustrato, le domande potremmo anche inviarle preventivamente. Se, invece, l'idea è di non tornare a riunirci troppo in là, forse è il caso che le facciamo direttamente nel corso del prossimo incontro.

  PRESIDENTE. Se il Ministro è d'accordo, e se anche voi lo siete, fisserei il seguito dell'audizione tra due settimane, in un giorno conveniente per entrambe le Commissioni.
  Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.45.