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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 28 di Martedì 6 maggio 2014

INDICE

Audizione del direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano, Fernando Dalla Chiesa:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 2 
Meli Ilaria , ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 11 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 12 
Meli Ilaria , ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 12 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 12 
Meli Ilaria , ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Gaetti Luigi  ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 14 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 14 
Fava Claudio (SEL)  ... 14 
Capacchione Rosaria  ... 14 
Naccarato Alessandro (PD)  ... 14 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 15 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 15 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 15 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 16 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Di Maggio Salvatore Tito  ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Dalla Chiesa Fernando , direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali a cura dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 9.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione del direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano, Fernando Dalla Chiesa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano, professor Fernando Dalla Chiesa.
  L'audizione odierna ha ad oggetto le risultanze di uno studio svolto dal professor Dalla Chiesa insieme ai ricercatori universitari dell'Osservatorio nell'ambito di un incarico della Commissione, relativo a un'analisi sulle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico nelle regioni del nord Italia.
  Lo studio sarà articolato in più report, il primo dei quali viene illustrato oggi per una prima valutazione da parte della Commissione e consiste prevalentemente nell'analisi dell'infiltrazione negli enti locali.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che di essa sarà redatto un resoconto stenografico al quale verrà allegato il primo rapporto trimestrale illustrato oggi. Ove necessario, inoltre, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Do la parola al direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano, professor Dalla Chiesa.

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Grazie, presidente Bindi, grazie ai presenti per la loro partecipazione a questa presentazione dei risultati frutto di un lavoro di più di tre mesi condotto dall'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università di Milano.
  Con me hanno lavorato quattro ricercatori, e la dottoressa Meli, che ha coordinato più da vicino questo lavoro, presenterà un focus su un aspetto particolarmente interessante.
  La ricerca si muove su un piano di ricognizione della presenza delle organizzazioni mafiose e delle dinamiche in atto, quindi abbiamo lavorato soprattutto sugli anni 2009-2013, cercando di connettere le informazioni concernenti questo quinquennio con la storia delle organizzazioni mafiose svoltasi nei decenni precedenti. La dimensione storica ci è sembrata importante per cogliere le dinamiche e fare alcune, moderate previsioni.
  Il lavoro più importante si condensa in una mappa molto discutibile, che riguarda gli indici di presenza mafiosa nelle regioni del nord. Poiché la relazione supera le 200 pagine, qui presenteremo una selezione dei temi, dei filoni o dei punti di arrivo della ricerca. Il dettaglio della singola regione o provincia potrà essere letto nella relazione.
  Innanzitutto il metodo. Noi abbiamo cercato di lavorare su una serie di indicatori oggettivi, senza farci condizionare e vincolare da alcun indicatore in particolare. Diamo sempre conto degli omicidi Pag. 3ritenuti di mafia compiuti in una regione, del numero dei beni confiscati e del numero delle locali, però questi dati presentano dei problemi dal punto di vista metodologico.
  I beni confiscati sono ad esempio indicati in grandi aggregati indipendentemente dalla loro dimensione, per cui può essere il grande terreno o il grande immobile oppure il box per auto. Non solo: i beni confiscati esprimono una porzione della presenza delle organizzazioni criminali, ma spesso il loro numero dipende dal tipo di attività investigativa e repressiva che viene condotta dalle forze dell'ordine e dalla magistratura. Possiamo avere anche aspetti molto interessanti, cioè province con un'alta presenza mafiosa, ma una piccola quantità di beni confiscati.
  La relazione si muove con una certa autonomia rispetto ai dati giudiziari, perché ci sono province a nostro avviso sottostimate rispetto alla presenza mafiosa, in cui invece i dati a nostra disposizione evidenziano una presenza mafiosa rilevante. Questo si verifica ad esempio per le province di Brescia, di Pavia, di Modena e Reggio, di cui si è cominciato da poco a parlare di rilevante presenza mafiosa, ma che nella loro quotidianità hanno tutti gli elementi per indurre a ritenere che gli indici da attribuire siano elevati.
  Abbiamo preso in considerazione le operazioni giudiziarie indipendentemente dall'esito processuale. Un procedimento penale può infatti concludersi con un'assoluzione di un gruppo di imputati perché proceduralmente l'intercettazione telefonica non era utilizzabile, ma il ricercatore non può rimuovere il contenuto dell'intercettazione telefonica.
  Abbiamo tenuto conto: del fatto che le diverse direzioni distrettuali antimafia hanno dei dinamismi, delle capacità e un livello di efficacia differente; delle collusioni riscontrate tra amministrazioni locali o il livello politico e la criminalità organizzata; della penetrazione in alcune amministrazioni pubbliche come quelle sanitarie; di reati spia come l'incendio; di fenomeni spia come i Compro oro o la diffusione del gioco d'azzardo; abbiamo tenuto conto di tutto.
  Naturalmente quando dico «tutto» preciso immediatamente che la valutazione è stata soggettiva, quindi non c’è un indicatore che inchiodi il ricercatore o l'Osservatorio alla possibilità di stilare una classifica delle forme di presenza mafiosa.
  Poiché fa parte della mia esperienza personale, ricordo che il procuratore generale di Milano nel 1992, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, affermò che a Milano non esistessero organizzazioni mafiose perché non si era ancora concluso alcun processo in Cassazione con una condanna per l'articolo n. 416-bis, ma nei due anni successivi vennero arrestati circa 2.000 appartenenti a organizzazioni mafiose. Se qualcuno allora avesse ragionato e lavorato con questo criterio, sarebbe arrivato a una conclusione diversa.
  Il metodo, che fra l'altro è stato adottato nell'ultimo libro dal professor Sciarrone di Torino, consiste nel liberarsi dai condizionamenti troppo vincolanti di statistiche spesso inaffidabili e nel ragionare come le grandi agenzie di rating per la valutazione dello stato di un'economia di un Paese.
  Abbiamo fatto la stessa cosa, non c’è un criterio con cui Standard & Poor's possa giudicare l'economia italiana, non ci sono solo indicatori quantitativi che pure esistono, però c’è una valutazione complessiva del grado di penetrazione e di presenza delle organizzazioni mafiose.
  Esiste ad esempio un modo di rubricare gli omicidi che non è convincente. L'omicidio può non essere considerato un omicidio di mafia, laddove l'imputato patteggiando o ricorrendo al rito abbreviato dichiari di avere ucciso per ragioni personali, evitando di esporre la propria organizzazione, e automaticamente quell'omicidio non rientra tra gli omicidi di mafia.
  Con il Comitato Antimafia istituito dal sindaco Pisapia a Milano ho effettuato un'importante ricerca sugli incendi sviluppatisi a Milano e provincia nel 2011 e Pag. 42012, e, se avessi dovuto attenermi ai dati ufficiali, non sarei arrivato alle conclusioni cui siamo arrivati con la collaborazione dei vigili del fuoco, che hanno ristudiato incendio per incendio i dati in loro possesso. Non ci siamo quindi attenuti ai dati perché spesso questi non sono affidabili e ci sono ulteriori dati qualitativi da tenere in considerazione.
  La mappa di cui ci assumiamo la responsabilità indica con l'indice 5 il livello di presenza mafiosa che si riscontra nelle differenti province del nord Italia. Noi abbiamo associato l'Emilia-Romagna, per una questione comprensibile di contiguità territoriale e anche di integrazione socio-economica, con la Lombardia e con il Veneto.
  Come si può vedere, quattro province hanno il massimo indice di presenza mafiosa: quelle di Milano, di Monza e Brianza, di Torino e di Imperia. Sono sicuramente quelle che presentano una pericolosità maggiore, che hanno una rilevanza in termini di locali di ’ndrangheta presenti. Parliamo della ’ndrangheta come organizzazione criminale largamente più presente nel settentrione, anche se abbiamo rilevato in particolare in Emilia-Romagna e nel nord est consistenti presenze di camorra e una diffusione molto minore di cosa nostra, pochissimo della sacra corona unita e quasi niente della stidda.
  Abbiamo tralasciato le cosiddette «mafie straniere», perché, come stabilito con la presidente, a loro dedicheremo un rapporto particolare. Non possiamo non tener conto della presenza della criminalità organizzata straniera quando è molto rilevante e incide sul contesto, quindi l'indice assegnato alla provincia di Rimini risente della valutazione della presenza di organizzazioni criminali straniere importanti, perché il contesto è segnato da una sua apprezzabile pericolosità.
  Vorremmo sottolineare alcuni fenomeni. In qualche caso c’è un'incertezza di collocazione, perché, come potete vedere, nella fascia del Piemonte meridionale Asti, Alessandria e Cuneo si prestano a valutazioni differenti, perché non siamo in grado di valutare in modo esatto l'effetto dell'Operazione Albachiara sulle strutture di ’ndrangheta.
  Alla fine propongo il tema della cosiddetta «resilienza organizzativa», cioè della capacità delle organizzazioni di ricostituirsi dopo aver subìto dei colpi da parte delle istituzioni giudiziarie e delle forze dell'ordine.
  In quel caso ci è sembrato che l'indice 3 fosse quello più idoneo, ma ci sono degli interrogativi e questi indici sono stati assegnati dopo valutazioni minuziose di tutti gli atti e degli elementi a nostra disposizione, raccolti anche ascoltando le associazioni localmente impegnate contro la mafia, gli investigatori locali e facendo tesoro di altri studi settoriali, condotti sulle aree interessate.
  Un altro elemento che sottolineerei è rappresentato dalle frecce in ascesa che si notano in alcune province, perché l'incertezza non è tanto di collocazione, come nel caso di Cuneo, Alessandria e Asti, ma è una presa d'atto di dinamiche interessanti presenti in province che partono da un indice basso ma si annunciano terreno di un'offensiva significativa da parte di alcuni clan.
  Lodi, Cremona e Mantova, che tradizionalmente hanno avuto una presenza mafiosa minore, rimangono collocate in un indice 4, ma in quelle province sta avvenendo qualcosa che può modificarne la collocazione. Lo stesso vale per Verona, per Treviso e per Gorizia.
  La fascia della Lombardia meridionale, che tradizionalmente (a parte la provincia di Pavia, che è un caso sé) ha presentato una bassa presenza di mafia, sembra però interessata per la contiguità e la forza attrattiva dell'hinterland milanese nel caso di Lodi o, come nel caso di Mantova e di Cremona, per la tendenza dei clan più forti in Emilia a proiettarsi sulla Lombardia meridionale.
  Abbiamo assegnato un punteggio 2 a Reggio Emilia, Modena e Bologna, perché ci sembra che quest'area, nonostante sia stata a lungo sottovalutata per la presenza mafiosa, in realtà presenti una situazione che deve essere compresa nella sua pericolosità. Pag. 5D'altra parte, questa presenza fa giustizia del pregiudizio secondo cui la ’ndrangheta si sviluppa in contesti particolarmente degradati, mentre abbiamo notato come sappia svilupparsi anche in contesti in cui c’è un alto livello dei servizi sociali e una particolare attenzione ai diritti sociali.
  Abbiamo assegnato un punteggio 2 anche a Brescia e Pavia. Sicuramente Varese, Lecco e Como, per tutta la storia recente di presenza di organizzazioni mafiose, hanno dimostrato come nel caso di Lecco di saper resistere per molti anni all'effetto di un intervento dello Stato. Nel caso di Brescia è stata una valutazione particolarmente accurata, ma a Brescia non ci sono locali, ma ci sono delle attività importanti che vengono svolte anche da differenti organizzazioni criminali mafiose, non soltanto sul Lago di Garda ma anche intorno alla città di Brescia.
  Anche l'indice di Pavia è stato assegnato sulla base soprattutto di elementi qualitativi, in quanto c’è sembrato strano che, dovendo decidere il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dove far visitare il capo dell'ala militare dei Casalesi per appurarne la cecità, sia stato deciso di mandarlo a Pavia, dove è stato giudicato cieco per poi andare a uccidere 18 persone in Campania.
  C’è sembrato strano che sempre a Pavia un latitante dei Pelle organizzasse i traffici internazionali di cocaina dall'interno della fondazione Maugeri, abbiamo valutato che il direttore generale dell'ASL di Pavia è stato arrestato con l'accusa di essere affiliato a un'organizzazione ’ndranghetista, che il sistema complessivo in certi casi è omertoso nei confronti di organizzazioni mafiose in provincia, che esistono organizzazioni mafiose molto prepotenti in provincia di Pavia, tanto che nelle intercettazioni uno dei boss più importanti della provincia rimprovera il maresciallo dei carabinieri per essersi avvicinato con l'auto al ristorante in cui viene tenuto un summit di mafia.
  Si tratta di segnali che chi ha esperienza riesce a tradurre in un indice rilevante, tenuto conto anche che Pavia è probabilmente la provincia in cui sono più diffuse le vincite del gioco d'azzardo. Questa valutazione complessiva ci ha portato ad assegnare quell'indice.
  Il Triveneto sembra l'area meno interessata, in quanto non abbiamo insediamenti stabili di organizzazioni mafiose, ma il Veneto viene utilizzato soprattutto per attività di riciclaggio o di recupero crediti dalla camorra. Sta incominciando a svolgere, insieme al Friuli Venezia Giulia e al Trentino-Alto Adige, una importante funzione di transito per organizzazioni criminali straniere.
  Si tratta quindi di un'area di transito e di attività predatoria da parte di alcune organizzazioni criminali, ma non di un'area di radicamento e di insediamento stabile, quale invece c’è nel nord-ovest e in alcune province dell'Emilia.
  Abbiamo potuto osservare il ruolo decisivo che hanno i piccoli comuni. Questo può sembrare scontato, se si riflette sulla letteratura della mafia o sul fatto che in genere i soggiornanti obbligati sono stati mandati in comuni minori, spesso a ridosso delle grandi città, contrariamente alle previsioni della legge.
  L'idea diffusa spesso anche in sede politica è che il nord serva per riciclare il denaro sporco e che quindi la sede naturale sia Milano, capitale della finanza e della Borsa. I fatti non ci portano ad avvalorare questa convinzione: senza smentire gli investimenti in Borsa e nella finanza, la presenza delle organizzazioni mafiose, segnatamente della ’ndrangheta, nel nord ha la forma di una conquista progressiva del territorio, che passa attraverso i comuni minori che presentano molte condizioni di favore.
  Sono comuni nei quali, se non c’è la stazione dei carabinieri, un gruppo di persone armato determina immediatamente chi ha la giurisdizione sul territorio e quali sono i comportamenti e le norme della vita quotidiana e della vita pubblica, perché in un piccolo comune una manciata di voti di preferenza è in condizione di garantire il consigliere comunale di Pag. 6riferimento, soprattutto in aree in cui l'assegnazione della preferenza non è un fatto particolarmente diffuso.
  Quanto avviene nel piccolo comune sta infatti in un cono d'ombra rispetto al sistema dell'informazione, quindi accade solitamente all'insaputa dell'opinione pubblica nazionale perché nei piccoli comuni non ci sono forme di resistenza sociale e civile in grado di fermare fenomeni di trasformazione o degenerazione della vita pubblica. Convergono quindi molti elementi.
  In alcuni piccoli comuni, inoltre, si registra un cedimento dei livelli di legalità nel momento in cui la crisi finanziaria porta ad accettare con più facilità delle presenze o delle modifiche dei piani regolatori a vantaggio delle imprese di mafia, che si fanno garanti degli oneri di urbanizzazione che vengono poi usati per sopperire ai bisogni sociali dello stesso comune. Diversi assessori ce l'hanno riferita come una delle ragioni di minore vigilanza esercitata da parte dei comuni sulla qualità degli imprenditori che si presentano nel settore edile.
  Per quanto riguarda i piccoli comuni in cui si trovano tanti beni confiscati, abbiamo fatto due tabelle molto lunghe, che la dottoressa Meli può riassumere in uno schema, prendendo in considerazione i comuni con meno di 5 mila abitanti e quelli che ne hanno tra i 5 mila e i 10 mila.
  I beni confiscati sono tanti in comuni sotto i 5.000 abitanti, perché troviamo 262 beni confiscati (per quanto il numero sia sempre da prendere con molta cautela) in paesi di cui non conosciamo neanche l'esistenza pur abitando in Lombardia. Questo è un dato estremamente interessante, perché è indicativo di una capacità di penetrazione capillare da parte delle organizzazioni mafiose.
  Si possono fare molti elenchi dal punto di vista storico. Il primo boss di ’ndrangheta che arriva in Lombardia, Giacomo Zagari, arriva a Buguggiate, un paesino in provincia di Varese con 2 mila abitanti, ci sono latitanti che vengono catturati in paesini di 2 mila abitanti, a dimostrazione della capacità delle organizzazioni mafiose di penetrare tutto il territorio e addirittura di costituirvi delle locali, perché, se si pensa che per costituire una locale occorrono 50 membri aderenti all'organizzazione, il fatto che possano essere costituite due locali in comuni con meno di 5 mila abitanti è di per sé rilevante.
  Nel rapporto abbiamo costantemente offerto i dati che riguardano la numerosità della popolazione di tutti i comuni, ne abbiamo fatto proprio una questione di stile, indicando sempre il numero degli abitanti, e nelle comparazioni abbiamo provato a vedere il numero degli abitanti dei paesi di provenienza dei clan.
  C’è quindi questa trama dei piccoli comuni, perché sono piccoli comuni della Calabria che vanno alla conquista di comuni minori del nord, perché intorno a Milano e Torino abbiamo paesi con 30 mila abitanti, e questa fitta rete è la vera rete della ’ndrangheta.
  Naturalmente bisogna trarne delle conclusioni, perché c’è la finanza, c’è la Borsa, ma nella realtà dell'organizzazione del potere sul territorio c’è questa trama fitta di comuni, che hanno tra loro un rapporto biunivoco, per cui a comune della Calabria corrisponde un comune della Lombardia o del Piemonte.
  Capita con comuni che hanno una loro prossimità in Calabria che insieme siano nello stesso comune lombardo o torinese, abbiamo trovato forme di convivenza di clan che vengono da Paesi diversi, ma in genere c’è questo rapporto biunivoco, che in altri lavori abbiamo trovato anche in Germania.
  In Germania, infatti, si lavora con lo stesso schema, per cui a comune corrisponde comune, a comune corrisponde area. Questa prospettiva viene inserita in tutta la relazione, in più è riportato il numero degli abitanti e la densità demografica.
  Ci sono due modelli di presenza della ’ndrangheta: uno è nei luoghi che hanno una densità demografica molto alta. Monza e Milano hanno una densità demografica pari a dieci volte quello della media nazionale.Pag. 7
  Con questa densità così alta si hanno dei vantaggi per i piccoli comuni ma anche per l'area metropolitana, quindi la possibilità di godere di un certo anonimato, di costruire estese relazioni professionali e sociali, di incidere contemporaneamente su più bacini elettorali e anche di beneficiare della tendenza ad aumentare la quantità di territorio costruito.
  I dati Istat evidenziano che i comuni italiani che hanno la maggiore percentuale di costruito hanno anche un'alta presenza mafiosa. Si tratta di Napoli, Monza, Milano e Varese, e ci è sembrato un dato interessante da proporre alla Commissione.
  Sono dati che suggeriscono tale presenza, anche perché non è che la presenza mafiosa più alta storicamente stia in questi comuni, però è interessante rilevare la relazione tra una forte presenza e un forte livello del costruito.
  Possiamo vedere rapidamente gli schemi delle singole regioni. Qui abbiamo preso in considerazione le locali, i beni confiscati e gli omicidi di mafia regione per regione. Vorrei premettere che i colori che appaiono in questi schemi non sono gli indici di presenza mafiosa, che invece sono nella mappa verde.
  In queste mappe abbiamo preso in considerazione la densità demografica. Sembra che si siano affermati due modelli: uno è la presenza della ’ndrangheta dove la densità demografica è più alta, l'altra è la presenza della ’ndrangheta dove la densità demografica è più bassa. In quest'ultimo caso le ragioni sono molto differenti, cioè la necessità di trovare luoghi riparati rispetto alle dinamiche di scambio economico e culturale, di stare in piccoli paesi lontani dal capoluogo, in cui sia più facile non farsi notare dalle autorità investigative e mettere radici.
  Questo spiega perché in piccoli comuni siano state trovate presenze interessanti di ’ndrangheta, potendo contare sul fatto che la popolazione locale o non vede o, se vede, dimostra processi di assuefazione molto veloci.
  Possiamo far vedere quelli del Piemonte, il rosso è sempre la densità demografica e non l'indice di presenza mafiosa più elevata. Abbiamo 18 locali in Lombardia, 15 in Piemonte, 9 in Liguria, nessuna in Emilia-Romagna, Veneto, Trentino-Alto Adige, una supposta in Val d'Aosta.
  Abbiamo individuato le locali grazie a fonti diverse, perché ci sono delle fonti DIA, delle fonti processuali, abbiamo tenuto conto di tutte le fonti disponibili e abbiamo cercato di indicare soltanto le locali considerate certe e le locali considerate molto probabili. L'ultima operazione della magistratura in Lombardia ha individuato una locale di Lecco, che fino a questo momento non era conosciuta. Per questo dico che il dato ha una sua rilevanza, ma è una rilevanza indicativa, perché molto dipende dalla profondità del controllo e dell'attività di indagine che viene svolta e anche dalla fortuna di poter sentire in alcune intercettazioni telefoniche parlare espressamente dei problemi relativi all'esistenza di una locale.
  Un dato interessante sulle locali del nord, che ci dice che le radici ci sono, ma nel tempo non si sono dimostrate resistenti come quelle delle aree di insediamento tradizionale, è che nel caso della provincia di Como abbiamo trovato le locali che erano state individuate nel 1994 completamente cambiate dall'operazione Infinito del 2010.
  Sono quindi locali che hanno radici deboli, e soltanto nel caso di Mariano Comense è stata confermata la presenza della locale tra il 1994 e il 2010. Questo ci dà un'informazione preziosa: ci sono, non sempre corrispondono a un forte radicamento sul territorio, a volte corrispondono a un desiderio da parte degli esponenti dell'organizzazione mafiosa di contare di più, di costituire la locale per contare di più nel panorama dell'organizzazione. Nel caso di Como era soprattutto legato a una strategia del clan Mazzaferro.
  Sul rapporto sono indicate tutte le operazioni che sono state condotte e le loro acquisizioni fondamentali. Le conclusioni a cui siamo arrivati mi sembrano interessanti. Prima di tutto abbiamo un fenomeno in crescita, contrastato segnatamente Pag. 8a Milano, a Monza Brianza e nella provincia di Torino, è un movimento profondo, che sembra sotterraneo, per cui ci si trova progressivamente davanti a nuove presenze, al tentativo di entrare nei consigli comunali, a nuove imprese, a situazioni sconosciute (studio l'argomento da quarant'anni ma a volte mi trovo davanti a novità rilevanti, anche con riferimento alla situazione lombarda).
  Questo movimento arriva dal sottosuolo della società italiana. Abbiamo messo gli asterischi e le frecce in ascesa perché abbiamo la necessità di cogliere le dinamiche in atto e di avere la sensibilità per capire quando si tratta di episodi che non modificano il quadro di fondo e quando invece tendono a modificarlo.
  È un fenomeno contrastato, in alcune aree di serio contrasto sorgono forme di impegno dell'opinione pubblica contro la mafia, come si è verificato nell'area milanese e nell'area brianzola. Questo potrebbe anche spiegare perché secondo alcuni investigatori c’è un arretramento di alcuni clan verso il sud della Lombardia, dove la pressione è minore.
  Segnaliamo nel rapporto che, come abbiamo valutato con attenzione e non siamo i soli a dire in quanto lo dicono anche alcuni magistrati, non sembra che tutta la magistratura abbia consapevolezza di questo fenomeno. Per questo abbiamo informazioni così contrastanti, su cui c’è difficile lavorare. Guai se ricorressimo soltanto ai dati giudiziari per dare i nostri giudizi.
  C’è una formazione piuttosto acerba che rileviamo in alcune aree del nord-ovest, perché vige ancora il principio diffuso nelle classi dirigenti settentrionali che al nord la mafia non ci sia e, se c’è, faccia cose diverse da quelle che fa al sud, quindi non l'associazione per delinquere di stampo mafioso ma il riciclaggio.
  Noi abbiamo dati completamente diversi, in cui ci sono gli incendi, ci sono le intimidazioni, ci sono le estorsioni, tutto quello che esiste nel sud almeno nelle aree che abbiamo indicato con un indice di presenza mafiosa pari a 1, a 2 o a 3.
  L'incapacità di riconoscere la presenza mafiosa è un tema fondamentale. Parliamo infatti di un effetto rimozione o sottovalutazione che abbiamo riscontrato in molti rapporti ufficiali, che riguardano alcune delle aree prese in considerazione. Se dovessimo dire dove c’è una sottovalutazione minore, potremmo dire in Liguria, nel Piemonte meridionale, nella Lombardia orientale e in Emilia. Si assiste a un'avanzata delle organizzazioni mafiose e a un'incapacità di riconoscere il loro grado di presenza e di pericolosità anche a livello ufficiale.
  Un terzo problema è l'effetto prodotto da un deficit cognitivo importante. Questo tema viene sollevato non solo dalla comunità scientifica, ma anche da esponenti delle agenzie investigative o anche della magistratura. Il Paese affronta quello che personalmente ma penso anche tutti i membri di questa Commissione ritengono l'avversario principale della democrazia senza avere delle informazioni adeguate.
  Il lavoro di ricerca delle informazioni presso le prefetture è stato un lavoro per certi aspetti penoso, perché siamo stati anche colpevolizzati per non essere passati attraverso la Commissione parlamentare antimafia, ma, passate le richieste alla Commissione parlamentare antimafia, le risposte non sono arrivate lo stesso.
  Non ci sono dati che riguardino per esempio reati spia, gli incendi, non ci sono dati che riguardino gli omicidi certamente o presumibilmente di mafia, tenendo conto di tutte le ragioni per cui non sempre un reato di mafia viene rubricato come tale, perché il mafioso preferisce addurre motivi personali piuttosto che logiche organizzative retrostanti la decisione di uccidere.
  Credo che la Commissione conosca la situazione dei dati sui beni confiscati, e siamo veramente in un mare di incertezze, cosa inaccettabile perché alcuni dati che non riguardano indagini in corso ma sono ormai statistiche ufficiali dovrebbero essere resi disponibili alle amministrazioni pubbliche e all'opinione pubblica, affinché possano partecipare a una sfida così importante.Pag. 9
  C’è un quarto aspetto che ci sembrava opportuno sottolineare: il rapporto tra cuore e periferia. I paesi sono il cuore della questione mafiosa, non la periferia, quindi ci sono delle implicazioni che bisognerebbe cogliere in questa prospettiva. I comuni non possono essere costretti a vedere negli oneri di urbanizzazione la loro unica risorsa per affrontare i bisogni sociali. Questo li rende più vulnerabili davanti alle organizzazioni mafiose.
  Nei comuni minori è necessario un controllo del territorio più forte, la cui mancanza viene lamentata dagli imprenditori con cui ho parlato, che spiegano il cedimento alle pressioni mafiose con la mancanza di un'autorità pubblica in grado di difenderli.
  Abbiamo maturato la sensazione che ci sia un problema di visione di insieme della gestione dell'ordine pubblico e del controllo del territorio e si tratti proprio di cambiarla. Segnaliamo due implicazioni, la formazione dei quadri intermedi delle forze dell'ordine che operano sul territorio (alcuni sono bravissimi, altri non colgono ciò che sta accadendo sotto i loro occhi), e un'azione di comando da parte dei livelli superiori molto più intensa e continua, per impedire che in questi comuni prevalga ciò che viene denunciato in loco, cioè il quieto vivere delle organizzazioni dello Stato.
  Se sappiamo che i paesi non sono periferia, concepiamo diversamente il controllo del territorio e l'ordine pubblico, concepiamo molto diversamente la funzione delle caserme dei carabinieri nei paesi con 4-5 mila abitanti. È proprio un rovesciamento di prospettiva che implica l'assunzione di questo principio: i paesi sono il cuore della questione mafiosa.
  Un altro tema che abbiamo voluto sollevare è quello della flessibilità strategico-operativa che hanno dimostrato e stanno dimostrando, nel senso che si inseriscono in contesti ad alta o a bassa densità demografica, in contesti sviluppati o arretrati, nei servizi sociali avanzati o nell'economia del movimento terra, cioè la tecnologia più semplice, che spregiudicatamente scelgono di votare a destra, a sinistra o di fondare una lista civica (noi abbiamo cercato di non fare sconti a nessuno nel rapporto, per cui abbiamo messo tutto quello che dovevamo mettere).
  Si rileva questa flessibilità, questa laicità delle organizzazioni criminali nello scegliere su chi investire. È stato anche sottolineato che in contesti dove esiste una forte alternanza al Governo, cioè si alternano le coalizioni di comando e quindi non si può prevedere chi stabilmente avrà il Governo, la strategia delle organizzazioni è cambiata: tendono a investire su entrambi gli schieramenti che si contendono la guida di un'amministrazione, in modo tale da essere sicuramente al Governo e avere il vantaggio di poter indebolire anche l'opposizione, se dovesse scegliere di qualificarsi per l'impegno sulla questione morale della lotta alla mafia.
  Questo vuol dire che anche lo Stato deve avere una flessibilità maggiore in termini di comportamenti, di norme. È un problema che abbiamo avvertito tra organizzazioni che arrivano e non vengono viste, organizzazioni che conoscono tutto del territorio tanto che vanno anche nei comuni che non conosciamo e di cui le istituzioni non sanno nulla e non vengono accumulati dati, con luoghi comuni sulla loro esistenza, per cui una grande flessibilità e dall'altra parte uno Stato che fatica anche a cambiare una virgola dei regolamenti delle istituzioni deputate a contrastare il fenomeno.
  Vorremmo dare però anche un elemento di conforto che ci è sembrato di poter cogliere nell'analisi di Lombardia, Piemonte e Liguria in particolare: queste organizzazioni hanno un consenso elettorale non particolarmente alto, hanno pacchetti elettorali limitati nel nord.
  Questo spiega perché possano ottenere i loro referenti nei consigli comunali minori, ma spesso non ci riescano nei maggiori, non ci riescano a livello regionale se non in pochissimi casi e non ci riescano a livello europeo. Non riescono a promuovere le loro liste civiche quando decidono di giocare in proprio.
  È interessante la serie di insuccessi che hanno ottenuto in campo politico-elettorale Pag. 10quando si sono spostati dai piccoli comuni, e credo che questo sia per noi un elemento importante. Non hanno la capacità di condizionare la politica che hanno nelle regioni di provenienza, però ovviamente ci si chiede come con degli stock elettorali così ridotti possano incidere tanto sulla vita pubblica, quindi esiste un dislivello tra la capacità di incidenza sulle amministrazioni e il livello di consenso di cui godono. Questi sono interrogativi che giungono alla politica.
  Il concetto di resilienza organizzativa è un concetto molto di moda nelle teorie dell'organizzazione e viene mutuato dalla fisica, pone il problema di come le organizzazioni reagiscano alle pressioni che ricevono dall'esterno.
  In qualche caso (ho citato l'esempio della provincia di Como) la pressione istituzionale scombina i modelli organizzativi della ’ndrangheta, però abbiamo notato anche una forte capacità di resistenza laddove le radici ci sono.
  Dopo le operazioni condotte su Lecco, su Buccinasco, su tutto l’hinterland milanese, sulla Liguria, nel torinese abbiamo constatato come l'organizzazione si rimodelli, si ristrutturi, resista e presenti nuove generazioni che vengono ancora dai paesi di origine, quindi rappresentano la seconda generazione della famiglia.
  Nelle nuovissime inchieste condotte in per soprattutto in Lombardia abbiamo trovato dei dati nuovi: ci sono spesso giovani nati in Lombardia, nati in Piemonte, non sono nativi di Natile di Careri o di Rosarno, e adottano gli stessi modelli di condotta propri dei paesi di origine e li ripropongono.
  Questo ci pone il problema delle radici nella cultura lombarda o piemontese, perché sentono la provenienza, il paese di origine, però sono lombardi e piemontesi, non sono la seconda generazione della famiglia calabrese che è venuta.
  Questo è un fatto degli ultimi due anni. La dottoressa Meli può mostrarvi dei dati che riguardano l'ultima operazione di Seveso, che ha evidenziato la presenza di una banca. Qui sono ripartiti per anno di nascita e dove cominciano a spuntare gli anni ’70 o ’80 come anni di nascita trovate addirittura Danimarca e Romania, ma anche Desio, Treviso, Imola, Roma, Milano.
  È quindi interessante costruire questa mappa, perché ci dà l'idea di un cambiamento che è in atto nell'organizzazione, con la sua capacità di trasferire i propri modelli dentro le regioni. Per questo abbiamo parlato degli effetti della colonizzazione, perché anche i nativi adottano quei modelli e si fanno forti di collaborazioni provenienti dall'estero.
  Chiederei alla dottoressa Meli di rappresentare un aspetto per noi importante, perché, oltre a vedere i dati e considerare gli elementi qualitativi cui facevo riferimento, abbiamo interrogato le operazioni giudiziarie, cercando di trarne dati di tipo diverso da quelli che vengono sintetizzati nei lavori della magistratura.
  Ci avvaliamo delle loro intercettazioni telefoniche e ambientali, del lavoro fatto dai magistrati, ma cerchiamo di prenderlo in modo differente. Stiamo cercando di farlo ad esempio per l'uso del linguaggio. Nell'indagine Infinito una frase ha un valore antropologico fondamentale e spiega tutto quello che ho cercato di rappresentare questa mattina.
  Si tratta del colloquio tra un boss più anziano e uno più giovane, in cui il più anziano dice al più giovane: «tu ricordati una cosa: il mondo si divide in due, ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà». Queste sono le cose che a noi interessa evidenziare per capire le logiche di azione.
  La dottoressa Meli ha preso l'operazione Infinito e ha cercato di vedere i luoghi in cui i mafiosi hanno svolto le loro riunioni. Se consideriamo dove si sono riuniti, vediamo che l'idea spesso ribadita secondo cui operino ai piani alti dei grattacieli della City sia frutto di pura immaginazione e abbiano un livello di impunità particolarmente alto perché si riuniscono quasi sempre in locali pubblici.
  Chiederei quindi alla dottoressa Meli di illustrare i risultati di questo segmento di studio.

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  ILARIA MELI, ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Purtroppo la tabella è molto lunga, quindi non abbiamo potuto proiettarla, ma la trovate a pagina 64 del rapporto.
  L'analisi prende in considerazione l'indagine Infinito, che è stata sicuramente la più importante negli anni recenti riguardante la penetrazione di ’ndrangheta al nord e ha scoperto anche l'esistenza di 15 locali e di una sovrastruttura chiamata «La Lombardia».
  L'analisi prende in considerazione i luoghi degli incontri e nella tabella troverete quelli in cui è stato possibile ricostruire almeno il comune in cui è avvenuto l'incontro. Molte conversazioni sono state intercettate all'interno delle automobili, che i boss consideravano un luogo sicuro in cui parlare, ma sono state oggetto di intercettazioni e quindi non sono state riportate nella tabella.
  Gli incontri si svolgono per lo più in bar e ristoranti che sono luoghi pubblici e che hanno una doppia valenza. Da una parte sicuramente dimostrano un certo senso di impunità da parte dei boss a mostrarsi in riunioni anche di un certo peso, in cui si discutono le questioni della Lombardia, all'interno di luoghi pubblici in cui chiunque avrebbe potuto notarli, e soprattutto il bar indica una forte presenza sul territorio, perché non solo possono essere visti ma si fanno vedere da chi è all'esterno, perciò mostrano la loro presenza e la loro forza.
  Tornando alla teoria dei piccoli comuni, spesso gli incontri avvengono in comuni sotto i 50 mila abitanti (molti sotto i 20 mila), che non sono piccoli ma che comunque fanno parte dell'area metropolitana e, essendo in Lombardia, non sono i comuni maggiori.
  Altra parte dell'analisi è stata dedicata ai luoghi in cui sono state ritrovate le armi. Anche in questo caso sono stati esclusi i ritrovamenti minori di una o due armi tendenzialmente nascoste all'interno delle abitazioni degli affiliati. Si tratta principalmente di depositi e maneggi di proprietà o in cui lavorano gli affiliati.
  All'analisi si è aggiunto poi un confronto sui luoghi in cui sono avvenuti i summit di Lombardia, quindi quando i vertici delle locali lombarde si riunivano talvolta anche con latitanti calabresi che venivano direttamente dalla Calabria per l'incontro, perché si discuteva di questioni particolarmente importanti, o di vertici delle locali calabresi che facevano riferimento alle locali lombarde.
  Anche in questo caso si assiste a una preminenza di riunioni ai ristoranti, anche se si segnala un incontro avvenuto in un ospedale, a Mariano Comense, perché il boss, il capo locale di Mariano Comense si trovava ricoverato e quindi il summit è avvenuto all'interno dell'ospedale.
  Gli ospedali tornano nella tabella degli incontri perché, al di là del summit che è sicuramente un'occasione importante, molti degli incontri durante il periodo di degenza del capo locale avvengono all'interno delle stanze dell'ospedale di Mariano Comense e della vicina Cantù, perché si è spostato.
  Un altro focus ha inteso verificare, attraverso i luoghi degli incontri, il rapporto che le locali avevano con il territorio. Qui si sono presentati due modelli. Sono state scelte due locali, quella di Milano e quella di Bollate, che presentano due modelli opposti e sono state scelte anche perché l'indagine non ha potuto approfondire il quotidiano di tutte le locali, perché locali come quella di Corsico operano su un territorio che da anni è oggetto di una forte pressione giudiziaria e investigativa, perciò hanno adottato precauzioni maggiori, che hanno impedito un'analisi più approfondita.
  I modelli che si presentano sono quella della locale di Milano, che ha un rapporto più debole con il territorio cittadino, da una parte perché l'area metropolitana è molto vasta e perciò è più difficile avere un controllo effettivo, dall'altra perché Milano si caratterizza per una certa fluidità criminale anche per la presenza di moltissime organizzazioni che operano nello spaccio ma non solo.
  Sono stati analizzati i luoghi di ritrovo abituale, che a Milano sono un bar e un Pag. 12circolo Arci di proprietà di due affiliati della locale nel quartiere di Baggio, a Milano. È interessante che per gli incontri straordinari, non settimanali, principalmente cene per festeggiare la concessione di doti agli affiliati o per discutere di questioni interne alla locale, tranne che in un'occasione siano stati scelti comuni dell'hinterland e talvolta in cui è forte l'influenza di una locale differente, come caso di Trezzano sul Naviglio che è sotto l'influenza della locale di Corsico.
  Sono stati analizzati i luoghi di residenza o domicilio degli affiliati e si è evidenziato il caso eclatante del capo locale di Milano, che abita a Legnano, che si trova a trenta chilometri dal capoluogo ed è sede di un'altra locale, quella di Legnano Lonate Pozzolo.
  Del tutto diverso è il modello di insediamento sul territorio della locale di Bollate, proprio a partire dal comune di residenza del capo locale, Vincenzo Mandalari, che abita in una villa bunker nel comune di Bollate. La villa bunker ha un sistema di video sorveglianza, il filo spinato all'esterno e ovviamente rappresenta un controllo maggiore del territorio del comune.
  Anche i luoghi di incontro degli incontri settimanali della locale si trovano a Bollate per quanto riguarda gli incontri del capo locale, mentre per quanto riguarda la società minore nel comune limitrofo di Novate Milanese, all'interno dei cosiddetti «orti», che sono un ritrovo di ’ndrangheta segnalato sin dal 1998 con il sequestro Sgarella, quando il capo locale non lo considerava sufficientemente sicuro per incontrare i vertici delle organizzazioni.
  Anche i luoghi di incontro della locale per la concessione delle doti o discussioni particolari sugli equilibri della locale si svolgono tutti (a parte uno a Milano) nel comune di Bollate o nei comuni di Novate Milanese e Paderno Dugnano che sono confinanti con Bollate, perciò indicano un rapporto con la zona.
  L'ultima notazione riguarda la capacità di influenza elettorale delle due locali, che anche in questo caso manifesta un differente rapporto con il territorio. La locale di Bollate tenta di creare una lista civica, progetto che non andrà in porto, addirittura cercando di provocare lo scioglimento del consiglio comunale, per cui sarebbero state indette nuove elezioni e il capo locale avrebbe presentato una lista in cui sarebbero stati inseriti il figlio e la nipote di uno dei vertici della locale, nonché referente in Lombardia dei vertici delle locali della piana di Gioia Tauro.
  Per quanto riguarda la locale di Milano, nell'indagine appaiono tentativi di influenza non sulla vita comunale, ma sulle elezioni regionali in collaborazione però con la locale di Pavia. Non c’è quindi la capacità di intervenire direttamente sulle elezioni amministrative. Questo evidenzia la differenza dei modelli di insediamento.

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Ci sono stati però dei tentativi non riusciti.

  ILARIA MELI, ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Sì, ma non direttamente collegati alla locale. Ci sono stati dei tentativi di infiltrazioni nel consiglio regionale e comunale, ma non riusciti.
  L'unico caso riuscito si riferisce però alla camorra, perché in un'indagine dell'anno scorso è stato scoperto che probabilmente un consigliere comunale della legislazione precedente (2009-2011) sarebbe stato avvicinato da uomini della camorra operanti su Monza, che avrebbero addirittura creato una lista in cui era indicato il corrispettivo di spesa di ogni voto: 30 euro a voto.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. (fuori microfono) Ponzoni ?

  ILARIA MELI, ricercatrice dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Questo riguardava solamente la capacità di infiltrazione politica delle due locali prese in considerazione.

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  PRESIDENTE. Intanto ringraziamo perché ci è stato offerto un lavoro molto interessante e il numero degli iscritti è indicativo dell'interesse suscitato.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUIGI GAETTI. Più che una domanda, vorrei semplicemente accennare al fatto che all'interno della Commissione antimafia è stato creato un comitato con la finalità di studiare meglio la mafia al nord, concentrato soprattutto sullo spostamento dei denari e quindi i flussi finanziari, e i rapporti tra le mafie, soprattutto la ’ndrangheta, e la politica.
  Abbiamo fatto un solo incontro, abbiamo cominciato mettere i primi mattoni e poi costruiremo questo comitato, quindi chiederemo ulteriore collaborazione su questi due aspetti.
  Solo una battuta, essendo residente a Mantova, o meglio a Curtatone. Ha accennato a una situazione mantovana che viene da lungo corso e, se mi permette una battuta, vorrei citare la mia esperienza del 2003. Allora ero in consiglio comunale a Curtatone per una lista della Lega Nord e il sindaco inaugurò una via, via Calabria, con una grande festa.
  Noi ci lamentammo perché non faceva via Pontida, ma il sindaco dichiarò che evidentemente non eravamo capaci di governare perché le persone che avevano cambiato residenza da Crotone a Curtatone, essendo la famiglia Muto di Crotone, garantivano 650 voti, per cui chi avrebbe avuto questi voti avrebbe governato il comune. Sono passate quattro elezioni e chi gestisce questo pacchetto ha sempre governato.
  Le cose che lei ha magistralmente spiegato allora a Mantova non furono comprese da nessuno.

  PRESIDENTE. Raccogliamo le domande e poi gli auditi risponderanno alla fine.

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie, professor Dalla Chiesa, anche attraverso di lei al gruppo di lavoro che l'ha coadiuvata. Rappresento sinteticamente un fatto sul quale le chiedo una valutazione, dal momento che alcuni passaggi della sua riflessione sono stati così evocativi e mi sembra di poterli sintetizzare tutti in un concetto di cui le siamo debitori: la forza delle mafie sta fuori dalle mafie, piccolo è bello, il rapporto con il territorio, i segni che vanno colti man mano che diventano realtà, senza aspettare.
  Rivarolo Canavese è tipicamente un piccolo comune del Nord Italia. Noi viviamo questa situazione: il comune è stato sciolto per mafia ed è in corso un processo penale del quale non parlo. Sappiamo che la normativa prevede per i comuni sciolti per mafia che il sindaco, considerato oggettivamente responsabile quantomeno sul piano amministrativo, tralasciando i profili penali e la responsabilità personale penale, non possa candidarsi per un giro.
  La normativa presenta una smagliatura, un buco, perché prevede l'incandidabilità dei soggetti per un giro alle comunali, alle provinciali, alle regionali, alle politiche e non alle europee. In questo momento, in quel territorio sciolto per mafia, in cui il processo penale ha già prodotto una sentenza di primo grado di condanna, i giudici di primo grado condannando hanno rinviato gli atti in Procura chiedendo un approfondimento penale proprio sul sindaco, il sindaco è candidato alle europee.
  Il sindaco di questo comune sciolto per mafia, infilandosi dentro questa che ritengo una smagliatura della legge perché la ratio della norma pare evidente, è candidato alle europee.
  Chiedo al professor Dalla Chiesa come valutare la gravità di questa situazione per tutto ciò che ha detto e che ho sinteticamente e parzialmente ripreso, lo chiedo anche alla presidente Bindi, perché considero importante fare qualcosa, farlo in fretta, perché questa smagliatura nella legge venga corretta, impedendo che qualcuno ne possa approfittare evidentemente contro lo spirito della legge e quindi contribuendo a dare sul territorio il segnale Pag. 14che poi alla fine un modo per eludere, aggirare, ribadire e consolidare il potere si trova e si va avanti.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Intervengo semplicemente per una considerazione che mi era risultata lampante rispetto alle considerazioni sull'incapacità di raggiungere livelli istituzionali quali quello regionale o comunale semplicemente per segnalarvi un fatto.
  Un consigliere regionale della Lombardia, Massimo Ponzoni, è notoriamente esponente di ambienti ’ndranghetisti della provincia di Monza e Brianza, quindi mi chiedevo come mai questo dato non vi risulti.

  MARCO DI LELLO. Porrò tre domande brevi. Mi ha colpito il dato degli incendi, in quanto lei ci parla di una incongruenza tra i rapporti della polizia e l'analisi dei dati che avete ricavato in collaborazione con i vigili del fuoco, fatto che mi lascia propendere per una sottovalutazione da parte degli organi di polizia. Mi aspetto quindi una risposta su questo particolare, perché non nascondo la preoccupazione.
  Classificazione per densità mafiosa: la tabella è molto interessante, ho notato il 4 e 5 a Trento e Bolzano, ma nella mia vita precedente mi è capitato anche di occuparmi di un processo per estorsione aggravata nella gestione di un albergo a Trento. So che la gestione degli alberghi è una delle attività preferite nell'impiego di capitali della camorra.
  Voi giustamente sottolineate come nella vicina riviera romagnola ci sia una forte presenza di questo fenomeno, che mi pare consideriate invece trascurabile in Trentino Alto Adige, ma avevo un dubbio sul punto.
  Negli anni scorsi ricordo che c'era sempre un gran parlare dei mandati al confino, per l'obbligo di dimora, mentre ora non se ne parla più. Vorrei chiedervi quale sia il livello di contaminazione in questi casi.

  CLAUDIO FAVA. Da questa analisi emerge una grande capacità di radicamento delle locali e quindi delle famiglie della ’ndrangheta sul territorio, e il bisogno di rivendicare questo radicamento, dimostrarlo e controllare il territorio, quindi anche una parcellizzazione dei campi di investimento, degli affari in cui le famiglie intervengono, riciclano, si annettono pezzi dell'economia.
  Vorrei sapere come si evolva questo modello quando c’è di fronte la vicenda dell'Expo, cioè una grande quantità di denaro (1.300-1.400 miliardi di euro), un solo appalto per 150 milioni di euro.
  È chiaro che non si può riferire l'Expo soltanto al territorio su cui ricade, ma vorrei sapere come la ’ndrangheta, la capacità di interazione reciproca che si estende su territori molto diversi trovi un punto di sintesi nell'assalto all'Expo, assalto che naturalmente presumiamo da indizi e preoccupazioni che ci sono state espresse, ma che pensiamo sia tra le possibilità reali.

  ROSARIA CAPACCHIONE. Siccome sembra fuori luogo continuare a pensare che qualcuno ritenga che mafia, camorra e ’ndrangheta siano organizzazioni ferme nelle loro regioni di origine, in quanto troppi anni sono passati e troppe inchieste dimostrano il contrario, vorrei sapere se non riconoscere i reati spia sia frutto di incapacità o di mancanza di volontà di ammettere che la mafia esiste e ormai riguarda tutto il Paese e non solamente le regioni d'origine.
  Vorrei sapere inoltre se ritenga che l'attuale capacità degli investigatori sotto il profilo non solo dell'analisi dei fenomeni, ma anche del contrasto alle nuove modalità di espressione dei sistemi mafiosi sia adeguata o dovrebbe essere riformulata in modo più adeguato alla criminalità economica.

  ALESSANDRO NACCARATO. Molto rapidamente, non ho sentito citare i dati relativi alle operazioni di riciclaggio e quindi il rapporto tra intermediari finanziari e Banca d'Italia. Vorrei sapere se disponiate di dati in merito o siate riusciti a inserirli nelle valutazioni.Pag. 15
  Vorrei capire in base alle analisi che avete fatto quale sia il ruolo dei soggetti finanziari che passano attraverso le banche, quindi attraverso meccanismi di controllo che con il decreto legislativo del 2007 hanno modificato la normativa, e se lo riteniate efficace dal punto di vista dei controlli.
  Pongo questa domanda, perché ho l'impressione che sulla parte riciclaggio che è stata molto approfondita a quanto ho potuto sentire, mi scuso per il leggero ritardo, questi dati siano fondamentali per capire una parte della presenza al nord di questi capitali.

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Per quanto riguarda il primo intervento sulla famiglia Muto di Cutro, nel mantovano, è proprio la crescita dei cutresi nella provincia di Mantova e nella provincia di Cremona che ci è sembrato di dover segnalare, perché la loro presenza in Emilia è particolarmente vivace ed estesa.
  Non ricordo se la DNA o lo DIA sia arrivata a parlare di delocalizzazione, termine che non abbiamo fatto nostro, ma che comunque indica la presa d'atto della costituzione di un'area di egemonia cutrese particolare nel centro-nord, tra Emilia e province meridionali della Lombardia.
  Per quanto riguarda la domanda del senatore Di Maggio, tranne poche eccezioni come Zambetti, abbiamo colto l'incapacità della ’ndrangheta di allargare oltre una certa cerchia, cioè sono pochi i candidati che riescono a far passare sul piano regionale anche quando dispongono di concentrazioni molto forti, come Milano, Monza e Brianza.
  Abbiamo osservato in alcune indagini i contatti e le promesse di voti a candidati regionali che non si sono tradotti in un'elezione. Evidentemente c’è stata una sovrastima da parte dell'organizzazione delle proprie capacità di condizionamento elettorale.
  Nel caso del consigliere Ponzoni, dichiarato dal giudice Gennari «capitale sociale della ’ndrangheta», la condanna che ha recentemente subìto non chiama però ancora in causa la criminalità mafiosa, ma è una condanna per corruzione.
  Domani verrà il pubblico ministero che ha sostenuto l'accusa a illustrare i rapporti tra corruzione e criminalità organizzata nell'area brianzola perché, trattando l'impresa, questo è particolarmente interessante.
  Non arrivano quindi a portare qualcuno in consiglio regionale, e l'esempio citato dalla dottoressa Meli del rapporto tra Pavia e Milano è stato seguito da un successo, per cui nel nello scorso consiglio regionale erano sei i consiglieri regionali che, in base a intercettazioni telefoniche, avevano rapporti con la ’ndrangheta, ma non possiamo dire se siano stati eletti da loro. Il pacchetto elettorale ha funzionato o è stato accertato per alcuni, ma non per altri. Quello che è stato accertato è che alcuni pacchetti elettorali non hanno dato seguito all'elezione della persona che aveva concordato il voto con i clan.
  Quello di Ponzoni è sicuramente uno dei casi di intermediazione tra pubblica amministrazione locale e pubblica amministrazione regionale, dove corruzione e criminalità organizzata si intrecciano, quindi sicuramente un caso paradigmatico.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Si, però lo segnalo come caso scuola perché ho visto che avete fatto alcuni rilievi rispetto alla nuova classe dirigente che emerge in termini di criminalità organizzata.
  Questo è addirittura un caso anomalo, perché parliamo di un indigeno milanese che sposa una signora di una famiglia della ’ndrangheta, quindi sono queste nuove tipologie che credo vadano prese in considerazione.

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Per quanto riguarda Rivarolo Canavese, sarebbe uno dei casi in cui una maggiore flessibilità e una maggiore prontezza di Pag. 16risposta potrebbero chiudere dei varchi e contemporaneamente riaffermare un primato del pubblico decoro delle istituzioni, però non sta a me dirlo.
  Abbiamo trovato incendi derubricati a corto circuiti o autocombustioni, che, in una valutazione più attenta della personalità dei gestori del locale o delle attività estorsive condotte su quel territorio, diventano probabilmente attribuibili a una natura dolosa. Questa è obiettivamente una tendenza degli organi investigativi.

  MARCO DI LELLO. Voi trasferite le vostre valutazioni e osservazioni alle forze di polizia perché possano riscontrarle ?

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Il comitato Pisapia ha fatto un rapporto ufficiale che è stato mandato anche alle forze dell'ordine. Per questo ho posto il problema dei dati, perché abbiamo notato che si tende a ridurre la gravità dei dati perché questo pone una serie di problemi a chi debba consegnare alle autorità centrali una determinata fotografia della propria provincia o della propria città.
  D'altra parte, credo che sia per questo che nella nostra ricerca di informazioni ci siamo sentiti dire molte volte che non era successo nulla, che non c'erano dati di rilievo, mentre noi troviamo i dati nella cronaca !
  Tale tendenza a ridurre la gravità dei fenomeni da parte dell'autorità è obbiettiva e per questo pongo il problema dell'informazione perché, se si fosse costretti a fornire dati ufficiali e a misurarli in relazione a quanto accade, sarebbe differente. Questi dati si ottengono grazie a rapporti personali, e questo non è possibile perché devono essere pubblici come tutte le statistiche ufficiali.
  Trento ha avuto un indice 4, il che vuol dire che qualcosa c’è, e in effetti l'abbiamo osservato e richiamato. Abbiamo anche considerato se dovesse essere inserito tra le aree in cui segnalare con una freccia ascendente il pericolo di intensificazione, però è diverso da Verona e da altri e abbiamo ritenuto di segnalarlo non con l'indice 5 di Bolzano, perché c’è un sostrato corruttivo in alcune situazioni che può diventare un veicolo di presenza più facile. Per ora sono tutte collocazioni temporanee.
  Sul confino e la contaminazione abbiamo situazioni molto diverse. Quella legge non c’è più dal 1988, quindi le nuove presenze sono il frutto di scelte di opportunità. Alcune presenze di boss mandati al soggiorno obbligato si sentono nei luoghi dove sono nate anche le locali, però abbiamo locali anche forti che sono nate dove non ci sono stati boss in soggiorno obbligato.
  La combinazione più importante che abbiamo trovato è quella tra il boss di rilievo mandato in soggiorno obbligato e la corruzione della pubblica amministrazione locale. Quando scatta questa combinazione, si verifica la situazione peggiore.
  All'Expo, onorevole Fava, stiamo lavorando con il comitato Pisapia, e il mio giudizio su quanto sta accadendo è che, sebbene si riduca la gravità del rischio, l'evento sia accerchiato dalle organizzazioni ’ndranghetiste, che hanno predisposto calcoli e strategie, che la protezione che i protocolli d'intesa annunciavano dall'inizio per un anno e mezzo non c’è stata, e lo abbiamo scritto.
  Sono state quindi annunciate forme di difesa e di controllo inesistenti, i camion che venivano rilevati automaticamente, il fatto che nessuna persona estranea potesse stare nei cantieri, tutto questo per più di un anno e mezzo non è stato vero.
  Ci sono delle tendenze a inserirsi soprattutto nei lavori di contorno, non nei lavori di maggiore pregio. Con il comitato redigiamo una relazione semestrale e la terza relazione semestrale è stata secretata e trasformata in un esposto alla direzione distrettuale antimafia e non pubblicata, rilevando elementi che vanno nella direzione da lei prospettata.
  Per quanto riguarda il non volere ammettere, è la stessa ragione per cui si tende sempre a ridimensionare il problema da parte delle autorità. Dire che in una certa provincia c’è una forte presenza Pag. 17mafiosa significa assumersi degli impegni con le autorità a cui lo si comunica, dunque bisogna intervenire. Si ha anche il timore di sentirsi chiedere cosa si sia fatto, quindi credo che siano dei condizionamenti psicologici molto forti, per cui si consegna sempre un'immagine al ribasso rispetto a ciò che avviene effettivamente.
  Sono convinto che quegli indici di presenza mafiosa che abbiamo proposto oggi saranno fortemente contestati almeno in due realtà, che infatti hanno fatto a gara nel moderare la presenza. Credo che sia paradigmatica la situazione di Imperia, a cui abbiamo dato 1 come anche Sciarrone nel suo libro, eppure le autorità di Imperia hanno smentito a lungo la presenza delle organizzazioni mafiose nella provincia e addirittura la magistratura ha negato l'esistenza dei presupposti per contestare il 416-bis agli imputati, nonostante importanti sequestri di patrimoni del clan dei Pellegrino.
  È uno dei problemi questo della tendenza delle autorità a non affrontare il problema e a non segnalarne la gravità.
  Per quanto riguarda invece il riciclaggio e l'intermediazione finanziaria, il nostro compito nel prossimo rapporto è prendere in considerazione i campi di attività. Naturalmente abbiamo dovuto segnalare dei campi di attività, ma nel secondo rapporto prenderemo più direttamente in considerazione l'attività economica in cui sono impegnati i clan.

  PRESIDENTE. Vorrei fare tre precisazioni. Credo che il lavoro svolto sia prezioso per tutta la Commissione, ma in particolare per i due comitati. Ulteriori approfondimenti potranno essere fatti anche a comitati riuniti, per trarre alcune conseguenze che già si intravedono.
  Desidero ringraziare soprattutto perché, come giustamente sottolineato dal professor Dalla Chiesa, ci è stata offerta valutazione culturale e politica, che si serve anche delle analisi e degli elementi di conoscenza in sede giudiziaria, ma che ne trae giustamente delle conseguenze diverse, che credo la Commissione debba in particolare analizzare.
  Questo è compito nostro, perché, anche se non ci sono ulteriori fasi processuali, questo non ci esime dal fare considerazioni e trarre conclusioni che possono provocare quei cambiamenti che appaiono assolutamente necessari.
  Ritengo inoltre che possiamo dare pubblicità questo lavoro. Oggi non abbiamo utilizzato il circuito, perché credo che questo lavoro sia molto interessante e che non meriti di essere «rubato» per finire in un'agenzia con qualche affermazione, ma richieda di essere presentato in una sede adeguata, magari un convegno, in cui ci sia la possibilità di fare i dovuti approfondimenti.
  La nostra esperienza dell'utilizzazione di queste notizie da parte delle agenzie è infatti quella di rubare qualche frase a effetto, senza dare il valore che studi come questi hanno e che possiamo ottenere soltanto in una sede appropriata.
  Pregherei tutti di aiutarci a far tesoro il più possibile del lavoro che fa la Commissione. Possiamo chiedere al professor Dalla Chiesa e alle persone che riterrà opportuno coinvolgere di far seguire a questa fase un convegno da fare a Roma o a Milano, per approfondire i temi molto interessanti che abbiamo ascoltato questa mattina.
  L'incarico ha durata annuale, il secondo rapporto prenderà in considerazione soprattutto le attività, quindi tutto il tema delle società e del riciclaggio, così come ci sarà anche un'attenzione alle mafie straniere che sono ormai un fenomeno molto preoccupante.
  Credo che sia indispensabile risentire le autorità dell'Expo. Vi chiediamo di acquisire il vostro rapporto che, per quanto secretato, è per noi estremamente importante, ma tutte le rassicurazioni che ci sono state date a Milano e dal presidente della regione Lombardia Maroni hanno bisogno di un'ulteriore verifica, e francamente mi preoccupa che per sveltire i lavori si sia deciso di procedere in maniera più sommaria per quanto riguarda il pericolo di infiltrazioni mafiose.Pag. 18
  Ho trovato molto preoccupante questo rapporto tra velocità dei lavori e controlli sulle infiltrazioni mafiose.
  Domani valuteremo nell'ufficio di presidenza, però possiamo cominciare a verificare chi possiamo audire, oltre che chiedere al professor Dalla Chiesa, che è anche il presidente del comitato milanese, di fornirci il prezioso lavoro che hanno svolto.

  SALVATORE TITO DI MAGGIO. Vorrei cogliere al volo le considerazioni del presidente, che mi trovano completamente d'accordo soprattutto sull'esigenza fondamentale che questo non diventi un lavoro da biblioteca.
  Dobbiamo trovare il modo più opportuno per renderlo pubblico, che credo sia la nostra missione fondamentale e serva al dare risposta alle esigenze sottoposteci dal professor Dalla Chiesa rispetto all'uso che ne possono fare gli organi investigativi, perché intervenire sul dato per cui tutto viene tenuto sotto traccia è uno dei compiti fondamentali ai quali dobbiamo adempiere e credo che sia obiettivo nostro.
  Se dobbiamo mettere in piedi un evento, dobbiamo farlo come Commissione antimafia, in maniera da poter mettere al riparo il lavoro che dovranno fare ulteriormente nell'anno.

  PRESIDENTE. Certamente. Tra l'altro, dopo la prima fase in cui le richieste sono state rivolte dal gruppo di ricerca e abbiamo ricevuto qualche rimostranza, ho personalmente provveduto a inoltrare le richieste per la raccolta dei dati utili alla ricerca e puntualmente non abbiamo avuto risposta anche dalle prefetture di quelle province che dall'esame da voi realizzato risultano ad alta infiltrazione, tra cui Pavia.

  FERNANDO DALLA CHIESA, direttore dell'osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano. Questo ha riguardato anche il prefetto di Lecco, che ha risposto.

  PRESIDENTE. Questo convegno potremmo farlo anche a Matera, dove abbiamo trovato un atteggiamento decisamente negazionista. A fronte di passaggio di droga, di usura, di incendi, di tutto, si dichiara che non si evidenziano fenomeni di questo tipo. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.15.

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