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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 33 di Martedì 27 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del Ministero dell'economia e delle finanze ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 6 
Buemi Enrico  ... 10 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Molinari Francesco  ... 16 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Maresca Giuseppe , Capo della Direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 17 
Molinari Francesco  ... 17 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 17 
Molinari Francesco  ... 17 
Maresca Giuseppe , Capo della Direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 18 
Buemi Enrico  ... 18 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 18 
Buemi Enrico  ... 18 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 18 
Garavini Laura (PD)  ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 19 
Garavini Laura (PD)  ... 20 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 20 
Ricchiuti Lucrezia  ... 20 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Buemi Enrico  ... 23 
Maresca Giuseppe , capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze ... 23 
Buemi Enrico  ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 23

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze, Giuseppe Maresca.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Giuseppe Maresca, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché presidente della commissione di gestione del Fondo di prevenzione del fenomeno dell'usura, istituito ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 108 del 1996.
  L'audizione odierna ha pertanto a oggetto sia i temi della lotta al riciclaggio e del funzionamento del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI), sia la gestione dei fondi antiusura e antiracket nell'ambito di filoni delle inchieste relative sul versante esterno alla dimensione internazionale delle mafie, con particolare riferimento alle iniziative di cui l'Italia potrebbe proporre l'adozione durante il semestre europeo, e sul versante interno alle misure di contrasto alla criminalità economica.
  Ricordo come di consueto che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che di essa sarà redatto un resoconto stenografico. Ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Cedo ora la parola al dottor Maresca, che ringrazio per la sua presenza.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del Ministero dell'economia e delle finanze. Comincerei con un inquadramento internazionale, partendo quindi dal Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI), che è un organismo multinazionale deputato alla vigilanza in tema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
  In particolare, il GAFI stabilisce gli standard internazionali contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Contrariamente a quello che accade per le risoluzioni delle Nazioni Unite, gli standard del GAFI non hanno una valenza coercitiva, una valenza legale immediata, quindi non c’è un obbligo degli Stati membri del GAFI di recepire questi standard, ma il recepimento è assicurato da meccanismi di peer pressure. Il fatto di partecipare a questo organismo (la membership del GAFI è sostanzialmente universale) implica quindi un obbligo di recepire queste norme nei diritti nazionali.
  In particolare, l'Unione europea fin dall'inizio ha deciso di fare un recepimento di questi princìpi uniforme per tutti i Paesi membri attraverso le direttive. Attualmente è in vigore la terza direttiva Pag. 4antiriciclaggio, che poi è stata recepita nel diritto nazionale dal decreto legislativo n. 231 del 2007.
  Come sapete, è in fase di discussione finale la quarta direttiva, che recepisce gli standard del GAFI approvati nel febbraio 2012, fra l'altro sotto presidenza italiana. Rispetto all'attuale normativa europea non si tratta di norme che andranno a modificare radicalmente l'approccio di prevenzione del riciclaggio, bensì di alcuni aggiustamenti di un certo rilievo.
  Vorrei brevemente elencarvi le principali questioni sul tappeto, che sono nelle ultime fasi della discussione all'interno del Consiglio e della Commissione a Bruxelles. Innanzitutto un maggior peso per il cosiddetto «approccio basato sul rischio».
  Invece di fissare delle regole dettagliate che siano uniformi per tutti i soggetti, per tutte le situazioni e per tutti i Paesi, la normativa dovrà tendere a fissare princìpi più generali, lasciando poi ai singoli Stati e all'interno di essi ai singoli soggetti obbligati a seconda della legislazione nazionale la responsabilità di individuare le situazioni più a rischio e quindi di intensificare e rendere più attenti i controlli nelle situazioni più a rischio, mentre invece possono essere trattate con meno risorse e attenzione le situazioni in cui il rischio è minore.
  Questo approccio basato sul rischio è assolutamente necessario anche da un punto di vista funzionale. Negli anni la normativa internazionale di prevenzione del riciclaggio è andata diventando via via più complessa, più pervasiva, i costi e gli adempimenti a carico dei soggetti obbligati (innanzitutto il sistema bancario, ma adesso anche i professionisti e una serie di soggetti al di fuori del sistema finanziario) sono importanti.
  Anche come efficienza del sistema è quindi importante che le risorse vadano applicate laddove i rischi sono più importanti. Questo comporta una serie di adempimenti innanzitutto a carico degli Stati membri, che come primo obbligo dovranno fare una valutazione del rischio nazionale di riciclaggio, come il Comitato di sicurezza finanziario, che è l'organismo italiano che coordina le diverse autorità che lavorano in campo di prevenzione del riciclaggio, sta facendo. Vi illustrerò quindi in seguito una serie di elementi che questo lavoro sta portando alla luce.
  Altro punto importante sono i cosiddetti tax crimes. Fino adesso l'importanza dei reati fiscali come reati presupposti del riciclaggio era limitata, ma questa direttiva riconosce esplicitamente i reati fiscali come uno dei tipi di reato importante per il riciclaggio.
  Questo è un principio importantissimo soprattutto per noi in Italia, mette più in difficoltà Paesi quali il Lussemburgo o l'Austria, dove chiaramente c’è un interesse a mantenere l'opacità del sistema finanziario. Naturalmente su questo c’è una forte discussione in seno all'Unione europea in fase di recepimento, proprio perché noi e altri Paesi stiamo spingendo verso il massimo recepimento pratico, applicativo di questo principio, mentre altri Paesi stanno frenando.
  Altra questione importante presente nei nuovi princìpi del GAFI, che quindi sarà ripresa nella direttiva europea, è un'attenzione maggiore a tutto il settore dei giochi d'azzardo. Nella terza direttiva e quindi anche nella nostra normativa si affrontava il solo tema delle case da gioco tradizionali e in maniera anche piuttosto limitata.
  Tra l'altro, ricordo che in sede di recepimento della direttiva nella normativa italiana ci si pose il problema di non adottare per l'Italia una normativa troppo severa nei confronti delle nostre case da gioco, perché avremmo soltanto causato una fuga a danno delle nostre case da gioco e i giocatori si sarebbero riversati a pochi chilometri di distanza, nelle case da gioco slovene o austriache.
  Il vero problema, che credo questa direttiva stia affrontando, è quello di dare a questa materia una normativa effettivamente comunitaria.
  Una maggiore attenzione si dà anche al problema del contante, c’è stata una lunga discussione sull'opportunità di inserire anche nella normativa europea i divieti presenti nella normativa italiana sull'utilizzo Pag. 5del contante al di sopra di determinate soglie, ma l'opposizione di molti Paesi non ha permesso questo allargamento.
  È stata tuttavia abbassata da 15 mila a 7.500 euro la cosiddetta «soglia di attenzione», cioè qualsiasi movimento di denaro, anche di prelievo agli sportelli bancari per somme superiori a 7.500 euro da adesso in poi comporterà la possibilità di una segnalazione di operazione sospetta.
  Sull'adeguata verifica esistono nel nostro ordinamento come in altri ordinamenti alcune esenzioni in situazioni riconosciute dalla legge come a basso rischio. Queste esenzioni saranno cancellate. L'approccio basato sul rischio richiede che non ci siano esenzioni stabilite per legge, ma le esenzioni possano essere stabilite a livello inferiore, quindi di normazione secondaria o di regolazione da parte delle autorità di monitoraggio e di vigilanza caso per caso, cioè andando a vedere se si tratti di una situazione di basso rischio, e in quel caso ci potranno essere esenzioni.
  Un'altra novità importante è l'ampliamento della normativa sulle cosiddette «persone politicamente esposte». Stiamo parlando naturalmente di voi, cioè delle personalità politiche, quindi si estende dalle persone politicamente esposte straniere a persone politicamente esposte nazionali. Ho citato gli uomini politici, ma la categoria comprende anche gli amministratori di enti pubblici e gli esponenti di organizzazioni internazionali.
  Scompare inoltre il cosiddetto «regime dei Paesi equivalenti». A livello di Commissione antiriciclaggio a Bruxelles si compilava regolarmente una lista dei Paesi che avevano adottato una legislazione antiriciclaggio equivalente a quella comunitaria. Le istituzioni finanziarie di questi Paesi potevano quindi godere nei rapporti con le nostre istituzioni finanziarie di situazioni di adeguata verifica semplificata, proprio perché la normativa era equivalente.
  Per il nuovo approccio basato sul rischio questo non è possibile, non può essere di nuovo stabilito in linea di principio una volta per tutte con una lista, ma dovrà essere verificato caso per caso. In pratica, sparirà la lista comunitaria dei Paesi equivalenti, ma ciascun Paese dovrà rivedere periodicamente una lista di Paesi per i quali è provato che c’è una situazione di equivalenza concreta.
  Un punto importante di progresso riguarda il cosiddetto «titolare effettivo». Già nella terza direttiva si era messo l'accento sull'importanza del titolare effettivo, cioè del soggetto che non necessariamente si presenta allo sportello per fare l'operazione, ma ha la titolarità dell'interesse di cui si parla, quindi ad esempio il vero possessore della società. Esiste una serie di regole che permettono una maggiore trasparenza su questo titolare effettivo, in particolare per quanto riguarda l'individuazione della persona fisica che sta a capo della catena societaria anche complessa.
  La normativa richiede che sia individuato all'interno di ogni società un soggetto depositario delle informazioni sul titolare effettivo. In altre parole, l'autorità italiana, quindi l'autorità giudiziaria o la Banca d'Italia, ma in alcuni casi lo stesso intermediario finanziario, se deve fare un'operazione, deve sapere quale sia il titolare effettivo di quel soggetto, dovrà conoscere il nome di una persona fisica all'interno della società che detiene l'informazione sul titolare effettivo.
  In alternativa, ed è questa la strada su cui stiamo ragionando in Italia, si potrebbe sfruttare la nostra catena d'informazioni societarie sui registri detenuti dalle Camere di commercio. L'ipotesi più pratica è dunque quella di inserire un obbligo per ciascuna società di depositare presso le Camere di commercio e questo registro anche le informazioni sul titolare effettivo, sulla cui accessibilità dovranno essere stabilite alcune regole.
  Questo è uno dei punti in cui è ancora aperta la discussione a Bruxelles con il Parlamento europeo che sta chiedendo che questa informazione sia totalmente pubblica. Su questo ci sono altre opinioni, ovvero soggetti che sostengono la doverosa protezione dell'interesse industriale e che quindi questa informazione dovrebbe essere Pag. 6conoscibile quando è necessario. Per adesso, la discussione non si è ancora conclusa.
  A fianco della questione sulle società, procede di pari passo la regolamentazione per quanto riguarda i trust e le altre forme societarie simili. Come sapete, i trust sono un negozio giuridico tipicamente anglosassone ma sono abilitati a operare in Italia, avendo l'Italia ratificato la Convenzione dell'Aja sui trust.
  Per i trust vale lo stesso principio: il trustee, il soggetto che gestisce il trust, sarà obbligato a identificare il titolare effettivo del trust e a rendere questa informazione disponibile per le autorità e gli altri soggetti che abbiano titolo per conoscerla.
  Qui le questioni non saranno così semplici perché, mentre per le società operiamo a casa nostra, i trust sono a volte situazioni molto complesse. Conosciamo situazioni in cui ci sono trust di diritto inglese, quindi governate dalla legge inglese, che però sono poi registrate in Svizzera e molto spesso vanno a operare in Italia. La combinazione di questi fattori rende estremamente complesso e difficile il controllo su questi trust.
  In ogni caso, credo che sia un importante passo avanti avere stabilito nelle raccomandazioni del GAFI il principio della conoscibilità del titolare effettivo del trust.
  Questi sono gli elementi principali. Il negoziato sulla quarta direttiva è un po’ in ritardo, ricordo che le raccomandazioni del GAFI sono state approvate a febbraio 2012, quindi sono ormai più di due anni. Siamo in fase finale, nel senso che la Presidenza greca dovrebbe riuscire a portare entro luglio all'approvazione dell'Ecofin, del Consiglio dei Ministri economico-finanziario, questa direttiva. Ci sono tuttavia ancora alcuni nodi da sciogliere. L'Italia ha ancora qualche limatura da fare per migliorare il testo sui tax crime, ma per il resto siamo abbastanza soddisfatti, nei limiti naturalmente di un testo di compromesso.
  Speriamo quindi che i greci possano chiudere adesso, in maniera tale che sotto la presidenza italiana si possa fare la fase di trilogo e arrivare entro la fine dell'anno al testo finale approvato.
  Questa è la situazione internazionale. Sulla base della raccomandazione n. 1, della nuova raccomandazione del GAFI, ciascuno Stato membro dovrà fare un'analisi del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che esiste nel proprio Paese.
  Il Comitato di sicurezza finanziario, che è l'organismo deputato a intraprendere questa attività, sta già lavorando e per luglio dovrebbe avere il testo pronto. Visto che vorrei darvi le prime conclusioni che però non sono state ancora approvate dal Comitato, presidente, se possiamo restringere la pubblicità di questa parte, anche se non c’è niente di segreto.

  PRESIDENTE. Chiudiamo il circuito audio-video.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Grazie, non c’è niente di segreto, ma come rispetto, come correttezza.
  Il modello analitico che si è adottato per fare questa analisi comprende una valutazione del rischio inerente di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo del sistema, attraverso l'individuazione delle minacce e delle criticità del sistema economico-sociale, e quindi una valutazione dell'efficacia del regime di protezione, quindi il regime antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo, disarticolato per settori, quindi per la fase preventiva, per la fase investigativa e per la fase repressiva.
  La fase preventiva è ulteriormente suddivisa in tre settori: la prevenzione sugli intermediari finanziari, sui professionisti e sugli operatori non finanziari. Una volta che sul rischio inerente abbiamo applicato la normativa e le pratiche di contenimento del rischio, ci rimane il cosiddetto «rischio specifico» per ciascun settore, che questo documento sta cercando di mettere in evidenza.Pag. 7
  L'analisi delle minacce e delle criticità del sistema economico-sociale, innanzitutto riciclaggio di denaro. Come sapete, non esiste una misurazione del valore economico delle attività criminali né una sua stima unica e ufficiale. Le valutazioni esistenti, comprese in un range tra il 7 e il 12 per cento del PIL (range molto ampio però ragionevole), a seconda della definizione sottostante dei metodi utilizzati, e l'esperienza operativa portano a ritenere molto significativa la minaccia che proventi illeciti saranno reimmessi nei circuiti economico-finanziari italiani e stranieri.
  Si ritiene che tali proventi siano prevalentemente il risultato di attività criminali condotte sul territorio nazionale. Le più preoccupanti non solo per l'impatto finanziario, ma per una più ampia considerazione delle conseguenze sono la corruzione, l'estorsione, l'evasione e i reati fiscali, il narcotraffico, i reati fallimentari e societari, questi ultimi imputabili per buona parte all'attuale fase di crisi economica.
  La criminalità organizzata è la forma prevalente più preoccupante. Ad essa è riconducibile, se si esclude l'evasione fiscale, la quasi totalità delle condotte criminali, in alcune ipotesi in maniera pressoché esclusiva, come per esempio il narcotraffico, l'estorsione, il gioco d'azzardo, il traffico illecito di rifiuti, il contrabbando e la contraffazione. Per contro, la minaccia che il nostro Paese attragga proventi criminali dall'estero è ritenuta poco significativa.
  Non esiste al momento un giudizio univoco sull'entità dei proventi illeciti che rimangono sul territorio nazionale e su quelli invece trasferiti all'estero. Entrambe le forme di riciclaggio coesistono, soprattutto con riferimento all'evasione fiscale e ai proventi a disposizione della criminalità organizzata.
  A livello europeo vi è una crescente consapevolezza della minaccia che le mafie italiane rappresentino anche per le attività legali degli altri Paesi comunitari un pericolo serio. Uno studio della Banca d'Italia del 2012 indica che la quota dell'attività italiana all'estero non dichiarata alle autorità italiane può ritenersi compresa i 124 e i 195 miliardi di euro, fra il 7,9 e il 12,4 per cento del PIL.
  Quanto ai proventi investiti nel nostro tessuto economico, si registra una concorrenza dell'uso del contante di investimenti di tipo finanziario e di tipo reale. Asset fisici ricorrenti sono investimenti immobiliari e in misura minore l'infiltrazione in aziende e strutture societarie.
  L'uso del contante e la diffusione dell'economia sommersa amplificano in maniera significativa la minaccia che i proventi illeciti siano reinseriti nell'economia regolamentata e formale. L'uso del contante è una delle proxy più rilevanti, sebbene non l'unica, dell'economia illegale. Ci sono vari studi in materia, ricordo quello della Banca centrale europea del 2012, che indica che nel nostro Paese il volume delle transazioni regolate in contanti è pari all'85 per cento del totale, contro una media europea del 60 per cento. Quelle americane molto più basse.
  Nell'ambito della propria attività di analisi strategica, l'Unità di informazione finanziaria (UIF) ha elaborato due set di indicatori, uno per il settore privato e uno per le autorità, per calibrare l'operatività sensibile al contante nelle varie province.
  Nel proseguimento di tale attività si possono elaborare un indicatore sintetico o più indicatori che in maniera articolata riescano a catturare tutti i canali più significativi e le articolazioni attraverso i quali viene posto in essere il riciclaggio. Ciò a servizio delle analisi del rischio degli operatori e delle strategie delle autorità di prevenzione e di contrasto.
  Sul finanziamento del terrorismo abbiamo un'eterogeneità di fattispecie, da forme sofisticate di movimentazione e di reimpiego dei proventi delittuosi a metodi meno moderni che singoli gruppi continuano ad adottare perché più aderenti alle esigenze e alle strutture socio-economiche delle aree geografiche interessate.
  Si rappresenta quindi un panorama molto articolato e strettamente correlato alla minaccia terroristica domestica e internazionale. Il terrorismo domestico è alimentato in questa fase da gruppi di Pag. 8matrice anarco-insurrezionalisti e da gruppi di matrice brigatisti, che con organizzazioni e prassi operative diverse costituiscono una minaccia molto complessa e articolata.
  Al momento, con riferimento alla minaccia terroristica interna di matrice brigatista, non ci sono segnali da rappresentare, evidenze informative di rilievo né riscontri giurisdizionali, e il correlato rischio di finanziamento del terrorismo è poco significativo.
  Per quanto riguarda l'area anarco-insurrezionalista, vista l'attuale congiuntura di crescente e diffuso disagio sociale correlato ai perduranti effetti della crisi economica, questi determinano una minaccia terroristica abbastanza significativa. Il rischio di finanziamento rimane tuttavia poco significativo. Allo stato, le forze di polizia ritengono la minaccia terroristica legata all'eversione di destra poco significativa.
  La minaccia relativa al terrorismo internazionale di matrice confessionale, strettamente connessa agli eventi che caratterizzano i diversi teatri di crisi nelle regioni nordafricana e mediorientale, è invece reputata abbastanza significativa, ancorché in continuo mutamento.
  Alla fine degli anni ’90 una struttura jihadista reticolare coesa e collegata ad Al Qaeda core, il nucleo centrale dell'organizzazione all'epoca guidata da Osama Bin Laden, era dispiegata in Afghanistan. A partire dal 2007 si è passati a terroristi individuali, privi di specifici collegamenti con organizzazioni strutturate, spesso auto-radicalizzatisi attraverso navigazioni Internet su materiale di ispirazione jihadista.
  L'individuazione delle fonti di finanziamento assume un ruolo strategico nell'azione globale di lotta al terrorismo internazionale. Diversamente dal riciclaggio, le somme necessarie per la commissione degli atti terroristici sono limitate e possono avere una provenienza non illecita, rendendo più difficile l'individuazione della loro origine e destinazione.
  Acquisiscono un ruolo chiave non solo gli intermediari bancari, ma anche i canali formali e informali di trasferimento di fondi, poiché la finalità prevalente è quella di far pervenire il denaro a chi è incaricato dell'azione terroristica, occultando le finalità e i destinatari.
  La ricostruzione di flussi finanziari da parte delle autorità non consente di accertare agevolmente se vi sia un effettivo nesso causale tra il trasferimento di fondi e il supporto economico di sodalizi criminosi di stampo terroristico soprattutto ove operanti in Stati esteri. Il livello di rischio inerente di finanziamento al terrorismo, stimato attraverso la combinazione della minaccia e della criticità del sistema, entrambe valutate abbastanza significative, è ritenuto esso stesso significativo.
  Passando all'analisi delle vulnerabilità, questa è stata condotta disarticolando il sistema nelle tre fasi di prevenzione, investigazione e repressione. Nel complesso bisogna comunque dire che il sistema di prevenzione e contrasto appare rispondere adeguatamente alle minacce che i proventi di attività criminali possano essere reinseriti nel sistema finanziario ed economico. Si rilevano tuttavia alcune vulnerabilità che poi abbiamo messo in evidenza.
  Peraltro la cooperazione tra le autorità italiane è generalmente positiva e rappresenta un punto di forza del sistema, soprattutto tra quelle autorità tradizionalmente impegnate nella lotta di questi fenomeni. Sto parlando dell'Unità di informazione finanziaria, della Guardia di finanza, delle autorità di supervisione, della magistratura, che hanno canali di collaborazione efficaci, in grado talvolta anche di arginare alcune carenze normative.
  Non mancano tuttavia alcuni elementi deboli. In particolare, occorrerebbe ampliare l'accesso della UIF alle informazioni di polizia, migliorare l'accesso della UIF alle informazioni sui fenomeni di evasione fiscale – i dati dell'Agenzia delle entrate – e sulla corruzione – i dati dell'Agenzia nazionale anticorruzione – e inoltre assicurare alla Guardia di finanza un effettivo accesso alla banca dati dell'Agenzia delle dogane sulle dichiarazioni valutarie in frontiera.Pag. 9
  La cooperazione internazionale ha invece ancora ampi margini di miglioramento. Alla luce dei rilevanti flussi verso l'estero di capitali italiani di origine illecita, le autorità italiane sovente non sfruttano ancora appieno le possibilità degli strumenti di cooperazione internazionale. A ciò si aggiunge che certe inadeguatezze del nostro sistema normativo e segnatamente la mancata criminalizzazione dell'autoriciclaggio (se ne parlerà in seguito) hanno ripercussioni sulla capacità di richiedere cooperazione anche in ambiti in cui a livello nazionale si raggiungono ottimi risultati, come nei processi di sequestro e confisca.
  Una migliorata cooperazione internazionale, infine, assurta a livello di prassi operativa potrebbe aiutare a mitigare alcune rilevanti criticità, riconducibili al quadro normativo comunitario esistente, ovvero all'ipotesi di servizi finanziari o di giochi offerti in libera prestazione di servizi.
  Venendo adesso ai diversi settori, il punto a) riguarda i presìdi di prevenzione. Abbiamo i presìdi applicati dai soggetti obbligati, i presidi antiriciclaggio sono applicati nel settore privato in maniera non uniforme. Tale eterogeneità, di cui il difforme grado di collaborazione attiva può essere considerato un segnale, determina un diverso impatto sul sistema in ragione dell'ambito di operatività di ciascuna categoria.
  Va rilevato altresì che il livello di controllo esercitato dalle autorità sui soggetti obbligati non è uniforme. Mentre con alcune eccezioni il settore finanziario risulta in generale adeguatamente presidiato, si rilevano supervisioni di entità variabile sui professionisti e gli operatori non finanziari.
  Il settore privato è stato analizzato sulla base di due dimensioni, quella attinente all'operatività, legata quindi alle caratteristiche strutturali dell'attività svolta (il cosiddetto «rischio specifico»), e la dimensione attinente alla vulnerabilità nell'applicazione delle misure antiriciclaggio. La valutazione relativa e la valutazione congiunta di questi due ambiti permette di apprezzare la vulnerabilità rispetto ai rischi specifici rilevati.
  Sugli intermediari finanziari, banche e poste italiane hanno un rischio legato all'operatività, che è elevato. Le dimensioni del settore, l'uso del contante, l'interconnessione con sistemi finanziari stranieri le rendono esposte al rischio di essere utilizzate come strumento di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
  I presìdi insistenti nel settore, che beneficiano anche della pervasività dei meccanismi di vigilanza prudenziale, aiutano a ridimensionare tali rischi. Un'incisiva attività di supervisione insieme al livello di consapevolezza della categoria dei fenomeni di cui si parla e di cui la collaborazione attiva di banche e altri intermediari è un indicatore, incidono positivamente sulla capacità di applicare in maniera immediatamente adeguata le misure previste dalla normativa di settore.
  Il quadro risultante è quello di una vulnerabilità relativa abbastanza significativa. Tale adeguatezza nei presìdi si riscontra anche con riferimento alle società di intermediazione mobiliare, alle società di gestione del risparmio, alle società di investimento a capitale variabile e intermediari finanziari non bancari, ex artt. 106 e 107.
  Il settore assicurativo è fortemente concentrato ed è ancora sostanzialmente in mano a imprese italiane. Merita una certa distinzione il ruolo delle imprese da quello degli intermediari, con una diversificazione sia dei relativi profili di rischio – maggiori nel caso delle imprese –, sia nelle vulnerabilità, maggiori invece nel caso degli intermediari, laddove gli intermediari sono attualmente vigilati attraverso l'esame delle policy di gruppo piuttosto che direttamente.
  A operare su un livello di rischio elevato, assimilabile a quello delle banche, sono le cosiddette fiduciarie statiche, per tutta un'operatività legata a schermare la proprietà e le titolarità di diritti. Il settore è ben presidiato dalle Autorità, ma non si registrano ancora progressi significativi nell'applicazione dei presidi. Ciò risulta in Pag. 10una vulnerabilità relativa massima, che è imputabile anche a istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, a causa di un quadro normativo comunitario in cui attraverso la libera prestazione di servizi e il processo di delocalizzazione agenti operano nel nostro territorio al di fuori di un quadro adeguato di regolamentazione e controllo.
  In altre parole, se gli agenti rispondono a un intermediario domiciliato in Irlanda, le autorità irlandesi non hanno alcun interesse a controllare gli agenti in Italia. I professionisti in generale non rispondono in modo adeguato alle esigenze di prevenzione del sistema, complice anche la scarsa collaborazione di alcuni ordini professionali e la difficoltà di controllare settori così numerosi e variegati.
  Tali vulnerabilità, congiuntamente a un rischio operativo elevato, si traducono in una vulnerabilità relativa massima. Delle distinzioni sono ovviamente necessarie. Da un canto si devono registrare i progressi compiuti dai notai sia nei processi di adeguata verifica, sia negli obblighi di collaborazione attiva, tali da far registrare una più soddisfacente capacità di adempiere alle regole antiriciclaggio.
  Va rilevato che almeno per la categoria degli avvocati ancora poco si conosce degli effettivi ambiti di attività rilevanti nel nostro complesso. Sappiamo che la maggior parte degli avvocati fa l'avvocato, quindi è fuori dalla normativa antiriciclaggio, non abbiamo ancora una conoscenza precisa di quanta è ampia l'attività degli avvocati che non è tipicamente quella di difesa. ma è quella dell'avvocato d'affari.
  Questa attività è molto forte in alcuni Paesi, lo è meno in Italia, ma il settore chiaramente può essere in crescita. L'allegato informativo sconta l'assenza di riferimenti tipologici puntuali elaborati a livello internazionale. Diverso il giudizio sui revisori di enti di interesse pubblico, che beneficiano di una supervisione pervasiva e mostrano un buon livello di adeguatezza dei presidi in un contesto di rischio medio.
  L'analisi sugli operatori non finanziari è stata focalizzata sulle categorie che sulla base delle risultanze investigative, per cui risultano più sensibili a fenomeni di infiltrazione di criminalità organizzata, settore giochi, compro oro o hanno un'operatività a questa più asservibili, agenzie immobiliari.
  Nel settore dei giochi abbiamo una presenza mafiosa che non riguarda esclusivamente il gioco illegale, ma si estende in modo significativo anche al perimetro delle attività legali del gioco.
  Data questa premessa di contesto, le varie tipologie di gioco, non tutte attualmente incluse nel perimetro dell'antiriciclaggio, differiscono nei profili di rischio e di vulnerabilità. Tra le forme di gioco online, le piattaforme di gioco di altri Paesi comunitari operanti in libera prestazione di servizi comportano vulnerabilità molto significative, in quanto i relativi flussi finanziari sfuggono completamente al monitoraggio delle autorità.
  Tra le forme di gioco su rete fisica vanno segnalati gli apparecchi di intrattenimento, cosiddetti VLT, e i concorsi a pronostici nella forma delle scommesse a quota fissa, perché ben si possono prestare a operazioni di riciclaggio.
  La crisi economica ha portato tra l'altro a una crescente diffusione di compro oro, categoria di operatori eterogenea, attualmente tenuta al solo obbligo di segnalazione di operazioni sospette. Diverse attività investigative ne confermano tanto l'elevato rischio operativo quanto le vulnerabilità, e suggeriscono l'opportunità di intensificazione dei presìdi.
  Vorrei fare una piccola parentesi su questo, perché abbiamo un problema normativo generale, in quanto i compro oro sono regolati ancora dal Testo unico di pubblica sicurezza, che è ormai manifestamente inadeguato al profilo finanziario che questi soggetti hanno assunto in questi ultimi anni. D'altra parte, proprio per questa ragione conosciamo molto poco della loro vera attività. A parte il fatto che tutti ci accorgiamo che sono fioriti dappertutto...

  ENRICO BUEMI. (fuori microfono) Ci sono più compro oro che tabaccherie !

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  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Esatto, non sappiamo effettivamente cosa ci sia dietro, cioè se ci sia criminalità organizzata o semplicemente lo sfruttare una nicchia di operatività che è venuta fuori come quelli che vendono le sigarette elettroniche, sfruttando il momento.
  Questo comporta la necessità di avere un provvedimento normativo che obblighi questi soggetti a dare maggiori informazioni, che serviranno poi per analizzare meglio il fenomeno.
  Il settore immobiliare è uno dei settori privilegiati per il reimpiego dei ricavi illegali delle organizzazioni criminali mafiose e può essere anche preda di capitali illeciti stranieri. Anche se è vero che le compravendite sono poi intercettate da altre categorie più mature nell'applicazione dei presìdi come ad esempio i notai, le agenzie immobiliari non hanno ancora consapevolezza del proprio ruolo di presidio antiriciclaggio in un contesto di rischio elevato.
  La pubblica amministrazione è tenuta agli obblighi di segnalazione di operazione sospetta, non è stata oggetto di un'attenta analisi da parte del gruppo, tuttavia qualche riflessione è stata fatta. Ad oggi il settore non ha in generale consapevolezza del proprio ruolo in questo ambito. È una vulnerabilità non di poco conto, se si pensa alla rilevanza del fenomeno della corruzione ovvero della presenza di ambiti fortemente appetibili per la criminalità, come il settore degli appalti pubblici o dei finanziamenti comunitari. Alcuni processi comunque sono stati già avviati.
  Sulla trasparenza l'analisi dei beni sequestrati alle mafie e le esperienze investigative mostrano che le infiltrazioni criminali delle mafie nelle imprese, ancorché non generalizzabili su tutto il territorio nazionale e in tutti i settori economici, rappresentano una componente significativa dell'economia criminale nazionale.
  Le mafie non prediligono strutture societarie sofisticate, bensì semplici società a responsabilità limitata, in cui la loro presenza è occultata dall'utilizzo di prestanome. Tale valutazione non contrasta con quella di un sistema che non mostra rilevanti e intrinseche criticità legate alla trasparenza. La stringente normativa civilistica che regola la governance e il vasto patrimonio informativo, veicolato peraltro da notai e dottori commercialisti, disponibile tramite il registro delle imprese, fanno sì che il problema di accedere a informazioni sulla titolarità effettiva si possa porre per circa l'1 per cento, non di più, delle oltre 6 milioni di imprese registrate.
  Profili di possibile opacità residuano difatti per quelle persone giuridiche che presentano collegamenti o con strumenti che possono schermarne la proprietà (per esempio trust nazionali e fiduciari) o con entità societarie estere, specie se in giurisdizioni che consentano forme di anonimato societario o che non abbiano forme adeguate di raccolta di informazioni o ancora che siano poco o per nulla collaborative rispetto a eventuali richieste di scambio di informazioni.
  Le vulnerabilità più rilevanti del sistema possono quindi essere ricondotte a carenza nell'applicazione dei presìdi di adeguata verifica della clientela, e, unitamente a un rischio specifico rilevante, si traducono in vulnerabilità abbastanza significative.
  Nel nostro Paese emerge una crescente diffusione di trust, situazione che genera diversi problemi in tema di trasparenza. Ciò in considerazione sia del fatto che l'istituto non è specificamente disciplinato dal diritto italiano, sia dalla progressiva diffusione in Italia di soggetti che svolgono funzioni di trustee, esclusi da qualsiasi tipo di censimento, ancorché usualmente professionisti e dunque soggetti obbligati. Anche in tale ipotesi, tuttavia, non sembra sia loro chiaro che lo svolgimento del ruolo di trustee prevede l'adempimento di obblighi antiriciclaggio.
  Oltre a queste problematiche di disciplina, attività investigative e analisi di operazioni sospette rivelano un più frequente utilizzo del trust per finalità illecite, in particolare per la commissione di Pag. 12reati fiscali, di riciclaggio, fallimentari, di abuso di mercato, nonché per schermare i patrimoni illeciti della criminalità organizzata. Tali elementi concorrono nel far ritenere massima la vulnerabilità da attribuire a tale strumento.
  I controlli transfrontalieri, l'obbligo di dichiarare il denaro che passa in dogana con la persona se supera i 10 mila euro sono un presidio di notevole valenza strategica alla luce sia dell'uso del contante nel Paese sia dei flussi di capitali illeciti normalmente di origini italiane in entrata o in uscita. È un ambito adeguatamente presidiato, che potrebbe essere ulteriormente potenziato da maggiori sinergie tra gli attori istituzionali coinvolti in materia di scambio di informazioni.
  L'analisi delle segnalazioni di operazioni sospette. Il processo di analisi delle segnalazioni di operazioni sospette (SOS) è nel complesso efficace. Il massivo aumento delle segnalazioni da parte dei soggetti obbligati, ancorché non in maniera uniforme per tutte le categorie, e la crescente qualità delle segnalazioni offrono alla UIF un fondamentale patrimonio informativo.
  Tale patrimonio è gestito in maniera efficace anche attraverso l'uso di sistemi di data warehouse e procedure di attribuzione di livelli di rischio. Il crescente aumento delle SOS con rilevanza in procedimenti giudiziari può essere un buon indicatore di tale giudizio.
  Alcune criticità necessitano di soluzione, in particolare relativamente all'accesso ad alcune informazioni da parte della UIF, al feedback dato ai segnalanti e alle archiviazioni delle segnalazioni, al basso livello di consapevolezza dell'importanza della collaborazione attiva da parte di talune categorie dei destinatari, alla necessità di potenziare la collaborazione internazionale e alla collaborazione con alcune Financial Intelligence Unit estere.
  Tali vulnerabilità (alcune di tipo normativo) sono spesso mitigate da iniziative di tipo operativo poste in essere dalla UIF e dagli organi investigativi, nonché dall'attività di formazione e sensibilizzazione dei segnalanti effettuata dalla UIF, e conseguentemente sono ritenute tali da non determinare un impatto significativo sull'efficacia del processo.
  Sull'approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, queste rappresentano anche per la Guardia di finanza e la DIA un patrimonio formativo di rilievo, come testimoniato dal significativo numero di segnalazioni connesse a procedimenti penali o ritenute di interesse investigativo.
  Esiste il rischio che il crescente il numero delle segnalazioni possa mettere in difficoltà gli organi investigativi. Pensiamo soprattutto alla DIA, che ha una missione istituzionale molto specifica. Occorre quindi evitare che il numero delle segnalazioni schiacci le scelte operative sul profilo soggettivo del segnalante, mentre è necessario che sia soprattutto strumento per individuare eventuali. nuove fattispecie criminali.
  Lo sviluppo di ausili informatici e di procedure per l'attribuzione del rischio, unitamente a un potenziamento della capacità di archiviazione della UIF, possono agevolare la selezione verso i contesti più rischiosi.
  Anche in tale ambito la cooperazione internazionale deve essere potenziata. Al riguardo è auspicabile la stipula di un protocollo d'intesa tra la UIF, la Guardia di finanza e la DIA, che disciplini condizioni e procedure per lo scambio informativo con le FIU estere
  Passando ai presìdi investigativi, l'attività investigativa nel contrasto del riciclaggio, in genere gli istituti e gli strumenti di polizia giudiziaria consentono di imprimere notevole efficacia all'azione investigativa (intercettazioni, perquisizioni, operazioni sotto copertura, fermo degli indiziati, provvedimenti cautelari). Più pervasivi strumenti investigativi possono essere poi utilizzati quando il reato di riciclaggio e dell'impiego di capitali illeciti è collegato a un delitto di criminalità organizzata.
  Alla luce delle numerose attività investigative concluse con successo, il processo si può ritenere nel complesso efficace. Permangono ad ogni modo delle vulnerabilità, in primo luogo la mancata criminalizzazione Pag. 13dell'autoriciclaggio, che ha un impatto sull'adeguatezza delle tecniche investigative.
  Tale lacuna, oltre ad aumentare la necessità di acquisire maggiori elementi di prova per dimostrare l'illecita provenienza dei proventi, può limitare l'utilizzo di alcune tecniche investigative quali le intercettazioni telefoniche, previste di norma solo per i reati più gravi.
  Anche in tale ambito la cooperazione internazionale rischia di essere difficoltosa, rilevano sia criticità di tipo normativo legate alla mancata ratifica da parte dell'Italia degli strumenti relativi alle cosiddette «squadre investigative comuni» previste dalla Convenzione di Palermo, sia di tipo operativo. Queste ultime attengono a una cooperazione internazionale a volte non adeguata nel fornire informazioni di tipo economico e finanziario.
  Sui presìdi repressivi, la capacità di sanzionare gli autori dei reati nel contrasto del riciclaggio. L'analisi delle capacità di sanzionare adeguatamente gli autori dei reati è il processo che più di ogni altro soffre dell'assenza di statistiche adeguate. Tale elemento rende infatti difficoltosa l'analisi.
  Le attuali norme penali di incriminazione del riciclaggio, introdotte già a partire dagli anni ’80, appaiono non del tutto adeguate agli odierni scenari. Nel contesto attuale sono mutate le modalità con cui i soggetti operano il riciclaggio di proventi illeciti. Nell'esperienza specifica del contrasto delle forme di criminalità organizzata, le attività di riciclaggio prendono il via dal concorso del riciclaggio da parte dell'autore del reato presupposto. Da questo punto di vista, l'introduzione della fattispecie di autoriciclaggio consentirebbe una più agevole punibilità dei reati di riciclaggio.
  Molte condotte che costituiscono una tipica estrinsecazione della complessiva attività di riciclaggio di denaro non sono oggetto di valutazione nell'ambito di un procedimento penale. Va rilevato inoltre come la possibilità di ricondurre la condotta illecita dell'autore del reato presupposto ad altre fattispecie non sia una strada sempre facilmente percorribile, particolarmente nei casi dei corruzione, evasione fiscale e usura.
  Anche la cooperazione internazionale può rappresentare un vulnus. Il risultato delle richieste di collaborazione avanzate dall'Italia è differenziato non solo da Paese a Paese, ma anche da reato a reato, e ciò anche alla luce della mancanza di uniformità tra le giurisdizioni, dal momento che le nostre fattispecie penali non sono completamente assimilabili a quelle degli altri Paesi.
  Per quanto riguarda la capacità di sanzionare gli autori dei reati nel contrasto al finanziamento del terrorismo, l'esiguità del numero delle sentenze emesse non permette allo stato un'adeguata valutazione dell'efficacia del sistema sanzionatorio. L'esperienza delle forze di polizia in particolare, la valutazione dell'impatto determinato dalla difficile cooperazione internazionale inducono, tuttavia, ad esprimere giudizi di presenze di vulnerabilità abbastanza significative, ancorché di natura esogena rispetto al nostro sistema.
  Sull'attività di sequestro e confisca nel contrasto del riciclaggio, si rileva che, nonostante la massiva capacità di aggressione dei patrimoni illeciti attraverso le misure di prevenzione, la mancata criminalizzazione del reato di autoriciclaggio produce anche in tale ambito un impatto negativo sull'attività operativa finalizzata all'applicazione delle misure di sequestro e confisca dei beni.
  Ciò in particolare con riferimento sia all'impossibilità di applicare l'istituto della confisca per equivalente in maniera generalizzata a tutti i reati presupposti di riciclaggio, sia in ambito di cooperazione internazionale nei casi in cui sia necessario aggredire i beni all'estero.
  A tale riguardo si sconta un'asimmetria tra le capacità di aggressione esercitabili dalle autorità nazionali e quelle straniere. Mentre a livello domestico l'onere della prova è sostanzialmente invertito, risulta inibita l'azione all'estero se non vi è la prova certa che tali beni siano proventi di reato.Pag. 14
  Alla luce della pervasività delle misure di prevenzione di normative specifiche, che permettono di arginare le criticità presenti, si può ritenere che le vulnerabilità evidenziate non compromettano l'efficacia del sistema in maniera significativa, quindi abbiamo una vulnerabilità poco significativa.
  Queste sono le principali evidenze che verranno fuori dal rapporto che dovrà essere completato entro luglio.
  Per quanto riguarda il tema dell'usura, la legge n. 108 del 7 marzo 1996 ha tre pilastri: la riformulazione del reato di usura, quindi la parte propriamente penale, un fondo di solidarietà per le vittime dell'usura (articolo 14) e un fondo di prevenzione contro l'usura (articolo 15).
  Il fondo di prevenzione è utilizzato per l'erogazione di contributi a favore di appositi fondi speciali antiusura, costituiti dai Confidi e da associazioni o fondazioni che operano a favore di famiglie e imprese a rischio di usura.
  Il rapporto che si instaura con gli enti beneficiari dei predetti contributi è finalizzato unicamente alla gestione per i pubblici scopi fissati dalla legge antiusura, pertanto non si configura alcun passaggio di proprietà dei contributi, ma solamente una gestione da parte dei beneficiari.
  Circa un terzo – il 30 per cento – del fondo di prevenzione è utilizzato per l'erogazione di contributi a favore di fondazioni e associazioni riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell'usura, mentre il restante 70 per cento è attribuito ai Confidi.
  Le fondazioni operano a favore delle famiglie, garantendo le somme erogate dalle banche per evitare che situazioni di difficoltà finanziaria si trasformino in trappole usurarie. I Confidi invece utilizzano i contributi statali ottenuti in gestione con vincolo di destinazione per garantire fino all'80 per cento dei finanziamenti a medio termine e linee di credito concessi dalle banche a favore delle piccole e medie imprese a elevato rischio finanziario, quindi in genere con situazioni di crisi di liquidità.
  Si intende per tali le imprese cui sia stata rifiutata una domanda di finanziamento assistita da una garanzia pari ad almeno il 50 per cento dell'importo del finanziamento stesso, pur in presenza della disponibilità del Confidi che voglia rilasciare tale garanzia.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 315 dell'11 giugno 1997, che è il regolamento attuativo della legge n. 108, il Fondo speciale antiusura costituito dal Confidi, per il quale si richiede la concessione del contributo, deve avere le seguenti caratteristiche.
  Il fondo deve essere costituito e gestito in forma separata dal fondo rischi ordinario ed essere in libera disponibilità del Confidi nelle assegnazioni delle garanzie, fermo restando che la proprietà di tale fondo resta di natura pubblica. Deve essere inoltre riservata esclusivamente alla concessione delle garanzie previste dall'articolo 15 della legge n. 108.
  Il Ministero del tesoro, con decreto 6 agosto 1996, ha stabilito i requisiti patrimoniali dei fondi speciali antiusura dei Confidi, fissando un livello minimo di 20 milioni di lire, che adesso sono 10.329 euro, e i requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti dei fondi medesimi.
  Per poter beneficiare dei contributi del Fondo di prevenzione, sempre il decreto del Presidente della Repubblica n. 315 stabilisce che i Confidi devono essere iscritti nell'apposita sezione dell'elenco generale, l'ex 106, mentre le fondazioni e associazioni riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell'usura devono essere scritte in un apposito Albo tenuto dal Ministero dell'economia.
  La domanda di contributo inviata dall'associazione o fondazione e dai Confidi deve essere corredata della documentazione e delle indicazioni precisate appunto dal Regolamento.
  Passerei a illustrarvi l'operatività di questo fondo. Dall'inizio dell'operatività del fondo di prevenzione, quindi dal 1998, fino al 2013 sono stati erogati circa 526 milioni di euro in gestione agli enti per la concessione di garanzia. Tali risorse Pag. 15hanno consentito di garantire 56 mila finanziamenti per un importo complessivo di circa 1,5 miliardi di euro, grazie al meccanismo della leva finanziaria, quindi siamo nel rapporto di 1 a 3.
  La legge istitutiva del fondo, che ha natura rotativa, non ha previsto fonti di alimentazione dello stesso successivamente ai primi tre anni, quindi era stato previsto un finanziamento per 1996, 1997 e 1998, ma non oltre.
  Per poter rafforzare l'azione di prevenzione anche considerando le fisiologiche escussioni subite dagli enti gestori e aumentare il plafond di garanzie concedibili, la legge finanziaria del 2006 ha previsto di destinare al Fondo per la prevenzione una somma pari all'importo delle sanzioni antiriciclaggio e in materia valutaria eccedenti la media di quanto riscosso nel biennio 2001-2003.
  Alimentano il fondo anche i contributi restituiti dagli organismi assegnatari nei casi di cessazione dell'attività, scioglimento, liquidazione, cancellazione dagli elenchi, ovvero nel caso di mancato utilizzo per le finalità previste dei contributi assegnati per due esercizi consecutivi e senza giustificato motivo.
  Il canale quantitativamente più importante è rappresentato dai trasferimenti non periodici ma di tanto in tanto dal Fondo a favore delle vittime dell'usura, quindi il fondo gestito dal Ministero dell'interno che ha invece un finanziamento piuttosto forte, e a volte, stante alcune difficoltà nella rapida erogazione di questi fondi, i due Ministeri si sono sostanzialmente accordati per trasferire parte di questi fondi sulla parte prevenzione.
  Monitoraggio sugli enti gestori. Sulle somme erogate in favore degli enti gestori viene operato un monitoraggio ad opera dell'ufficio terzo della direzione che dirigo, ove è collocata la segreteria della Commissione per la gestione del fondo di prevenzione. A tal fine, gli enti gestori inviano esclusivamente in formato elettronico entro il 31 marzo di ogni anno una relazione dettagliata, firmata dal legale rappresentante, in cui si attesti con riferimento all'anno precedente l'ammontare dei prestiti garantiti, l'elenco dei beneficiari, l'elenco delle garanzie escusse, l'ammontare del fondo speciale antiusura tenuto conto delle garanzie escusse.
  Periodicamente e da ultimo nel 2012 e nel 2014, la segreteria antiusura ha svolto alcune giornate formative presso la sede del Ministero, per illustrare il funzionamento della piattaforma web e per eventuali chiarimenti degli enti in merito alla documentazione da presentare.
  Al di là dell'attività di controllo documentale è poi prevista un'attività ispettiva, effettuata dall'ufficio ispettivo centrale del dipartimento del Tesoro. Annualmente viene programmato un piano di verifiche ispettive su quei Confidi e fondazioni per i quali vi sono dubbi di irregolarità nella gestione dei fondi, e vengono fatte anche delle verifiche a campione.
  L'attività di verifica originata da gravi irregolarità è passata da una percentuale del 100 per cento nel 2003, cioè tutte le verifiche erano su situazioni irregolari, a un modesto 5 per cento nel 2013. Questa drastica diminuzione testimonia sostanzialmente un netto miglioramento nella gestione dei fondi antiusura.
  Dal 2003, anno in cui è stata avviata l'attività ispettiva, a oggi sono state effettuate 212 verifiche a un ritmo intensificatosi nell'ultimo triennio. A fronte delle ispezioni effettuate, le gravi irregolarità riscontrate, tali da essere denunciate alla Corte dei conti, alla procura della Repubblica o segnalate alla Guardia di finanza, sono risultate unicamente 10. In 12 casi l'ispezione ha determinato la richiesta di restituzione dei fondi dati in gestione.
  La tipica attività di monitoraggio documentale condotta dall'amministrazione ha determinato la richiesta di restituzione dei fondi nei confronti di 78 enti in tutti questi anni, soprattutto per non aver operato per due anni consecutivi. L'attività di recupero conseguente alla restituzione dei fondi ha determinato un rientro totale di oltre 17 milioni di euro, reimpiegati nel fondo di prevenzione.
  Il 28 ottobre 2013 la commissione di gestione del fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura ha deliberato sulla Pag. 16ripartizione degli ultimi contributi per il 2012 e 2013. Lo stanziamento del capitolo di bilancio relativo al fondo di prevenzione ammontava a 76.745.000 euro, 6.745.000 erano residui del 2012 e 70 milioni provenivano proprio dal fondo del Ministero dell'interno nel 2013.
  Per l'anno 2013 lo stanziamento da attribuire agli enti che hanno presentato richiesta è stato ripartito come da normativa in 70 per cento a favore dei Confidi e 30 per cento a favore di associazioni e fondazioni, cioè 49 milioni di euro e 21 milioni di euro.
  La ripartizione dei contributi ai singoli soggetti è basata sulla combinazione di indicatori, sull'efficienza nelle capacità di spesa dei contributi ricevuti e sul rischio di usura presente nell'ambito territoriale dove opera l'ente assegnatario.
  A questo proposito, è stata adottata una nuova metodologia aggiornata per la definizione dell'indice di rischio di usura. Lo studio, che è stato redatto dal professor Fiasco, Indebitamento patologico e credito illegale nella crisi attuale, commissionato dalla Camera di commercio di Roma, analizza il potenziale di rischio, indebitamento patologico e usura di tutte le province italiane, avvalendosi di indicatori finanziari, economici e di un'analisi sociale del fenomeno dell'usura.
  Il totale dei Confidi che hanno beneficiato di contributi per l'anno 2013 è stato di 160. Per i Confidi operativi la Commissione ha deliberato all'unanimità la ripartizione con l'introduzione del nuovo indice il rischio di usura, seguendo i seguenti parametri: 1) quantitativo massimo da distribuire a ogni ente; 2) ammontare totale del fondo; 3) percentuale del deliberato; 4) percentuale dell'erogato; 5) indice di rischio di usura; 6) ambito territoriale.
  I punteggi sono stati applicati assegnando per ciascun indicatore un valore massimo di 20 all'ente che raggiunge il punteggio più alto relativamente al parametro considerato. Agli altri enti si assegna una frazione del valore massimo in misura proporzionale al punteggio ottenuto per il singolo parametro.
  Ai quattro nuovi Confidi è stato attribuito per intero l'importo richiesto, per consentirne l'immediata operatività. Per quanto riguarda le associazioni e fondazioni, le regole seguite sono state simili a quella per i Confidi: l'indice di rischio di usura calcolato per province, il quantitativo massimo da distribuire per ogni ente, l'indice di efficienza, la percentuale dell'attività, l'ambito territoriale e il numero totale delle pratiche erogate.
  Credo di aver dato una panoramica sull'utilizzo del fondo e naturalmente sono a disposizione della Commissione per ogni richiesta che voglia fare.

  PRESIDENTE. Cedo la parola ai colleghi che intendono fare precisazioni e porre delle domande.

  FRANCESCO MOLINARI. La ringrazio per la ampia e dettagliata relazione. Innanzitutto vorrei una precisazione perché non mi è ben chiara la struttura del GAFI, e soprattutto vorrei capire fino a dove possiate arrivare con queste vostre proposte di analisi, quale rapporto abbiate per esempio con le politiche finanziarie dei vari Paesi nel merito di queste indicazioni sul negoziato della quarta direttiva.
  Per quanto riguarda il problema del contante, fra le vostre indicazioni c’è quella di rendere neutro l'uso di strumenti come le carte di credito o strumenti di moneta elettronica ? Per quanto riguarda invece la possibilità di realizzare un registro che abbia la capacità di interagire fra le varie banche dati e possa scoprire i vari intrecci delle scatole cinesi, vi sono delle indicazioni da parte vostra, c’è qualche discussione in merito ?

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Il GAFI è stato costituito nel 1989 sulla spinta di un'iniziativa del Gruppo dei sette ministri finanziari, proprio riconoscendo che il riciclaggio era un fenomeno internazionale che non avrebbe potuto essere combattuto Pag. 17se ogni Paese avesse mantenuto delle proprie regole, differenti da quelli degli altri Paesi.
  Lo scopo principale della costituzione di questo organismo, che non è un ente internazionale come la Banca mondiale o il Fondo monetario con uno staff, ma è fatto dai delegati dei diversi Paesi e da un piccolo segretariato organizzativo, è quello di mettersi d'accordo sugli standard internazionali che ciascun Paese dovrà applicare nel proprio territorio.
  Credo che sia una storia di successo, nel senso che, partendo da un nucleo di Paesi OCSE (non a caso il GAFI è domiciliato presso l'OCSE, pur essendo un'entità distinta), oggi direttamente o tramite gli organismi simil-GAFI, cioè gli organismi regionali collegati al GAFI, la membership di fatto è mondiale.
  Oltre a stabilire le regole generali, fa anche il monitoraggio sull'applicazione delle regole, cioè periodicamente va ad esaminare ciascun Paese – verranno in Italia nel gennaio del prossimo anno a vedere cosa stiamo facendo nella nostra legislazione e nelle nostre pratiche – per verificare che gli standard siano applicati in maniera concreta sia normativamente sia nella pratica effettiva del Paese.
  La visita dura in genere una quindicina di giorni, si estrinseca con i colloqui con tutte le autorità interessate o che hanno competenza in materia, ed è preceduta naturalmente da un'attività di studio di tutto quello che stiamo facendo. In altre parole, stiamo già producendo documenti per il GAFI e il Fondo monetario, la visita sarà congiunta, in maniera tale che la delegazione possa arrivare con tutta la conoscenza necessaria per andare a verificare.
  L'esito di questo esame è una discussione pubblica fra tutti i Paesi con l'assegnazione di una sorta di pagella, che è finalizzata a segnalare i casi di mancata o incompleta recezione degli standard e quindi le indicazioni di correzione.

  PRESIDENTE. Che pagella abbiamo ?

  GIUSEPPE MARESCA, Capo della Direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Quella di qualche anno fa non era male. Abbiamo qualche difficoltà operativa quest'anno, siamo un po’ costretti in questo senso. In genere noi dobbiamo aspettare la direttiva europea per recepirla nella legislazione nazionale, ma stiamo correndo per infilare da qualche parte (scusi il termine, presidente) qualche norma che ci possa mettere al riparo.
  Sull'adeguata verifica, ad esempio, tutta la normativa di cui parlavo prima relativa all'approccio basato sul rischio richiede delle correzioni, che non sono terribilmente importanti ma vanno fatte. L'autoriciclaggio non lo cito perché ne ho già parlato, ma anticipo un po’ la domanda che mi faceva, perché naturalmente stiamo lavorando in particolare con le camere di commercio e InfoCamere – sono molto disponibili su questo – per organizzare questo obbligo e quindi far sì che nei registri tenuti dalle camere di commercio ci siano anche le informazioni sul titolare effettivo e quindi sui trust, che andrebbe a coprire l'altro aspetto importante.

  FRANCESCO MOLINARI. C'era una proposta di rendere neutro l'uso delle carte di credito, su cui volevo conoscere le vostre indicazioni.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Che intende per rendere neutro ?

  FRANCESCO MOLINARI. Che adesso è un costo per le imprese e molti non lo affrontano. Per i liberi professionisti sono entrati in funzione i POS, che sono costi aggiuntivi all'attività professionale e addirittura un incentivo a lavorare al nero, mentre potrebbero essere utili anche per il riciclaggio.
  L'altra domanda era relativa alla possibilità, facendo capo alla Banca mondiale, di utilizzare una banca dati che potesse incrociare i vari dati dei trust e delle scatole cinesi. Non so se anche voi trattiate questo argomento.

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  GIUSEPPE MARESCA, Capo della Direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. La prima non è una questione che si possa affrontare con strumenti normativi, perché ovviamente siamo nel campo dei prezzi. Tra l'altro, è una doppia tariffa perché il gestore della carta di credito applica una commissione sia sul lato della banca, sia sul lato dell'utilizzatore, quindi noi vediamo una delle due e la consideriamo alta o bassa, ma questo avviene perché l'altra è alta o bassa, quindi è un lavoro piuttosto complesso.
  Il Ministero dell'economia – non la mia direzione ma un'altra – sta realizzando un colloquio con l'ABI e le altre organizzazioni di categoria per arrivare a un'azione di convincimento e di attenzione su queste tariffe. Si tratta di un aspetto estremamente importante, però non siamo l'unico Paese con questo problema, non siamo diversi dagli altri. C’è probabilmente un problema di quantità e dobbiamo aiutare a ridurre queste tariffe.
  Per quanto riguarda la banca dati universale, temo che non si riesca a fare. Nella mia relazione ho più volte evidenziato come possa essere migliorata la cooperazione internazionale, ma dipende dalla differenza di legislazione nei diversi Paesi e a volte anche da interessi diversi. Un Paese come l'Italia ha tutto l'interesse alla trasparenza, vista anche la forte evasione fiscale, ma altri Paesi hanno tutto l'interesse a mantenere poca trasparenza, visto che sono i beneficiari della nostra evasione fiscale, quindi c’è da contemperare una serie di interessi.
  Sicuramente in Unione europea c’è una forte pressione non soltanto sulla Svizzera, ma anche su Paesi come il Lussemburgo e l'Austria che fanno un po’ di gioco sporco in materia.

  ENRICO BUEMI. Siccome in sede di approvazione della legge finanziaria dell'anno scorso avevo proposto un emendamento sull'obbligatorietà delle transazioni con carte di credito e pagamento con moneta elettronica, con vantaggio per l'acquirente e il venditore e con ristorno anche all'azienda gestrice, e mi pare che ci fosse stato un parere contrario del Ministero, vorrei conoscere il suo punto di vista, mirato non tanto alla fase legislativa quanto all'aspetto culturale, e sapere se abbiamo le percentuali dell'uso di moneta elettronica in Europa e quali Paesi applichino di più questa trasparenza.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Sull'uso della plastica non ricordo le cifre a memoria, ma è certo che abbiamo un numero di carte di credito rispetto alla popolazione sostanzialmente equivalente alla media europea, ma un numero di transazioni nettamente inferiore, ovvero gli italiani hanno la carta di credito nel portafoglio ma la usano meno. Credo che ci siano anche aspetti culturali di abitudine.

  ENRICO BUEMI. Le commissioni incidono sulle piccole transazioni !

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Non lo so, ma credo che sia anche un nostro problema culturale. All'estero, in Inghilterra o negli Stati Uniti, si vede pagare con la carta di credito anche transazioni molto piccole, mentre la nostra abitudine è prendere la moneta dal portafoglio. Credo che si possa fare molto anche incentivando, per esempio una cosa su cui si stava discutendo è far sì che tutti gli enti pubblici, ad esempio gli ospedali, siano in grado di offrire un POS per il pagamento.
  Essere sicuri di poter pagare in un ente pubblico con carta di credito o POS significa far abituare l'italiano a non doversi necessariamente portare i soldi in tasca.

  LAURA GARAVINI. Mi scuso del ritardo, ero bloccata in altra Commissione in cui dovevo intervenire, quindi mi rincresce davvero di aver perso la prima parte la relazione ma sarà mia premura Pag. 19rivederla, anzi ringrazio la presidente e tutto l'Ufficio di Presidenza per avere reso possibile questa audizione.
  Ci faceva piacere approfittare della sua professionalità alla luce della relazione che ci stiamo accingendo a predisporre in qualità di comitato della Commissione che si propone di dare un quadro delle presenze della criminalità di origine italiana a livello europeo e soprattutto di individuare problemi e difficoltà inerenti da un lato alle forme di collaborazione tra forze inquirenti e dall'altro anche ai nodi normativi.
  Immagino che nel corso della sua relazione lei abbia già evidenziato diversi aspetti e, qualora li ripetessi, me ne scuso in anticipo, però ci premerebbe in particolare approfittare della sua professionalità per capire quali siano i principali canali di riciclaggio adottati dalle criminalità di origini italiane a livello europeo.
  Come lei anticipava in una delle sue ultime dichiarazioni, da parte di alcuni Paesi come Svizzera, Lussemburgo, Austria, si rilevano anche difficoltà o atteggiamenti di poca duttilità nel contrasto a forme di riciclaggio. Da parte di quali Paesi oltre a questi da lei enunciati e per quali tipologie di reato si riscontrano maggiormente difficoltà a livello europeo ?
  Quali sono gli strumenti di contrasto a livello operativo o normativo che il GAFI si augurerebbe potessero essere adottati nel giro di breve tempo ?

  PRESIDENTE. Se la risposta è già nella relazione, l'onorevole Garavini farà la fatica di leggerla, ma, se c’è da aggiungere qualcosa, come immagino, la ringraziamo.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Alcune cose le trova sicuramente, però questo mi dà la possibilità di fare un breve commento in generale sulla cooperazione internazionale.
  Se io guardo indietro a dieci anni fa e guardo quello che si fa oggi, dico che abbiamo fatto dei passi da gigante e questo lascia ben sperare per il futuro. Il fatto che sia stato riconosciuto che i reati finanziari sono ufficialmente – lo erano per noi da sempre, ma per altri Paesi no – un presupposto del riciclaggio vuol dire che sta veramente cambiando qualcosa.
  La vera difficoltà, al di là di ogni problema, è che ogni Paese ha la sua normativa, ogni Paese ha le sue istituzioni, ogni Paese ha le sue tradizioni, le sue querelle, le sue difficoltà. Si è sempre parlato, perdonate la digressione, delle baruffe fra Polizia e Carabinieri, che cito proprio perché fuori dal nostro settore, e così ci sono in tutti i Paesi e in tutti i settori laddove non ci sono regole uniformi.
  In tutti i Paesi quindi ci sono delle regole che seguono le tradizioni, a cominciare dai due grossi settori naturalmente, civil law e common law, che hanno delle tradizioni diverse, ma nel sistema civil law nel campo societario la Svizzera per ovvie ragioni ha preso da anni una sua strada, elaborando tutta una serie di complicate strutture che non sono conosciute in altri Paesi.
  Per riportare tutto questo a una situazione comparabile, che poi è la base per cooperare, quindi per scambiarsi informazioni, lo sforzo è immane. Questa è la base del problema, non è soltanto un problema di un Paese o di una situazione, ma è il dover ricomporre questo puzzle, rimettere tutte le figurine in asse, altrimenti non si riesce a collaborare.
  È infatti più facile la collaborazione tra soggetti dello stesso tipo, per esempio polizia italiana con polizia francese, FIU italiana con FIU belga perché ovviamente hanno delle regole già in comune. La cosiddetta «cooperazione diagonale», che a volte sarebbe utilissima, cioè far dialogare una istituzione finanziaria con una forza di polizia, è spesso impedita dall'impossibilità di trovare un linguaggio comune.
  Linguaggio comune vuol dire potersi fidare l'uno dell'altro, sapere che le regole nella gestione delle informazioni sono le Pag. 20stesse, sapere che vengono utilizzate in una certa maniera, tutte queste cose sono lunghe e faticose.
  Il messaggio che sento di diffondere è che in questi anni, sotto la guida e lo spunto del GAFI, si sta procedendo in questa direzione, e la stessa cosa sta facendo l'Unione europea, lo ricordo ancora, cercando di incastrare da una parte la Svizzera e dall'altra almeno Austria e Lussemburgo, che hanno una regolamentazione non troppo differente da quella svizzera in alcuni campi. Semplificando, questi sono i Paesi al centro del problema nell'Unione europea.

  LAURA GARAVINI. Quali sono le carenze normative che si riscontrano nei tre specifici Paesi, cioè quali sono gli aspetti legislativi che creano maggiori difficoltà ? Sono buchi normativi da parte loro ?

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Più che buchi, sono impostazioni normative a protezione della riservatezza di alcuni clienti, di alcune forme societarie, per cui è più difficile avere determinate informazioni, per cui sono protette alcune situazioni che da noi non godono di protezione.
  Vorrei ricordare che recentemente l'Unità di informazione finanziaria svizzera è stata sostanzialmente sospesa da Egmont, che è l'organizzazione delle FIU internazionali, proprio perché la legislazione svizzera gli impediva di passare alcune informazioni. La FIU svizzera aveva dichiarato di non poter fare una cosa perché la normativa svizzera non la permette, ma naturalmente, siccome quegli obblighi erano internazionali, è stata sospesa. Gli svizzeri peraltro poi hanno modificato la loro normativa nel campo, quindi facendo pressione, con il tempo e con tanta pazienza, le cose si mettono a posto.

  LUCREZIA RICCHIUTI. Nella sua relazione, se non ho capito male, lei diceva che ci si ritiene soddisfatti del lavoro dei revisori di aziende pubbliche. Io ho un'opinione contraria alla sua, perché ho verificato sul campo che statisticamente i revisori delle società pubbliche e delle ASL, oltre a essere commercialisti e avere quasi sempre il proprio studio, hanno un elenco spropositato di società di cui sono revisori e nella realtà effettuano controlli che fanno solo il solletico alle le aziende.
  Nella mia lunga attività ho conosciuto solo un revisore, fra l'altro era una donna, che effettivamente svolgeva il suo ruolo e infatti da alcune sue verifiche e denunce sono scaturite alcune indagini che hanno portato poi all'arresto di diverse persone.
  Secondo me i revisori dei conti dovrebbero avere un numero limitato di aziende su cui effettuare le verifiche, perché avere un numero esagerato di aziende rende impossibile effettuare i controlli che devono fare. Si dovrebbero magari alzare gli emolumenti, ma impedire loro di svolgere attività in un numero illimitato di società.
  Lei diceva che nella direttiva si amplierà l'ambito delle persone su cui si potranno fare i controlli, ma questo avviene già, perché l'ultima circolare della Banca d'Italia prevede che noi parlamentari e tutta una serie di amministratori e dirigenti di alto livello siano sottoposti a questi controlli.
  A mio avviso manca tutta una categoria di persone che ogni giorno leggiamo sui giornali per uno spiccato gusto per la corruzione, ovvero i funzionari pubblici e i dirigenti anche di medio livello nelle amministrazioni pubbliche, e gli ufficiali e i sottufficiali della Guardia di finanza. Credo che la categoria vada ampliata proprio studiando le indagini della magistratura. Lì si ha contezza di quali persone sono attori della corruzione in Italia, che credo sia a livelli non più tollerabili.
  Ho fatto anche un'interrogazione, a cui non ho ricevuto risposta, chiedendo di ampliare la platea delle persone.
  Per la tracciabilità dei pagamenti per i professionisti di fatto obbligarli a noleggiare questa macchinetta ha fatto entrare nelle casse delle banche 500 milioni di euro, noleggiare la macchinetta costa 150 euro. Dobbiamo obbligarli alla tracciabilità Pag. 21dei pagamenti, che però può avvenire attraverso bonifico bancario e non necessariamente attraverso il POS, che credo abbia ingrassato non poco le casse delle banche.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Sulla questione dei revisori degli enti pubblici prendo nota sicuramente delle sue osservazioni e le riporterò al gruppo che sta lavorando ancora su questo documento, in maniera tale che faranno sicuramente un approfondimento. In particolare, ho preso nota della sua osservazione sul numero illimitato di posizioni che questi soggetti possono tenere.
  Per quanto riguarda la questione dei POS, l'esperienza internazionale è che questo alla fine è il sistema più pratico e più a buon mercato. Ovviamente non è una mia decisione e non so dirle se l'introduzione dei POS vada fatta normativamente come obbligo o vada incentivata in altra maniera. Da un punto di vista tecnico credo che sia la forma veramente più semplice.
  È chiaro che nel momento in cui uno noleggia un POS oppure deve pagare una commissione per l'utilizzo della carta sente un costo immediato e diretto. L'utilizzo del denaro contante ha dei costi impliciti che noi non vediamo, ma che sono veramente enormi. Pensi per esempio a tutti i costi del trasporto del denaro.
  L'ultimo punto invece era la questione dei funzionari pubblici. Questo sicuramente lo prendiamo in evidenza, e l'ho detto, quando analizziamo i problemi relativi alla corruzione, quindi alla criminalità legata alla pubblica amministrazione, che è un punto estremamente importante.
  Come funzionario pubblico, essendo nel consiglio di amministrazione di un ente, mi sono ritrovato felicemente nella categoria dei PEP. È stata una decisione di vigilanza della Banca d'Italia credo anche corretta, perché tanto la normativa sarà questa e quindi hanno cominciato a chiedere alle banche di farlo.

  PRESIDENTE. Avrei tre piccole cose da chiedere. Lei faceva riferimento alle funzioni del registro delle imprese presso le camere di commercio e mi sembra di capire dalle sue parole che, nel momento in cui si discute della eventuale soppressione delle camere di commercio, sicuramente non andrebbe soppressa questa funzione, che dovrebbe almeno essere attribuita in capo a qualche altro centro.
  Non voglio metterla ovviamente in difficoltà, perché queste sono scelte che il Governo farà e il Parlamento valuterà; a noi interessa anche per gli eventuali pareri che dovremo esprimere su alcuni aspetti che interessano i fini istituzionali di questa Commissione, in quanto noi accompagniamo il processo legislativo e le scelte del Governo con il nostro punto di vista.
  Siccome tutti coloro che sentiamo su questi temi ribadiscono, e lei questa sera ha sottolineato che le informazioni non sono mai troppe, che le funzioni, che in questo momento sono svolte dalle camere di commercio, vanno rafforzate e non affievolite, vorrei avere una conferma dalle sue parole.
  L'altra domanda riguarda invece il tema dei trust: è il gestore o il proprietario che è tenuto alla segnalazione ? Un altro aspetto è quello degli avvocati o comunque degli ordini professionali: non sarebbe il caso di rendere obbligatorio per l'avvocato che intende svolgere anche questa funzione di intermediario finanziario di segnalarlo e di essere tenuto esso stesso a registrarsi in questa nuova funzione ?
  Mi pare infatti di aver capito che la difficoltà di valutare le segnalazioni che arrivano è che non si sa quali e quanti sono i soggetti che dovrebbero segnalare. Se un avvocato svolge questa funzione, dovrebbe registrarsi da qualche parte, dichiarando di fare anche questo mestiere, oltre a quello di difensore. Ci potrebbe anche essere un problema di incompatibilità.
  A noi risulta che la segnalazione arriva attraverso gli ordini, potremmo proporre che all'ordine si segnali di averla fatta, ma che ciascun professionista sia tenuto a farlo direttamente all'autorità competente. Pag. 22L'intermediazione degli ordini non sempre funziona, a quanto pare; dovrebbe essere rafforzativa, ma in realtà spesso è frenante.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Sulla prima domanda sicuramente parlavo della funzione, i nostri colloqui con le camere di commercio erano ovviamente iniziati molto prima che ci fosse questa proposta di cancellarle, sulla quale non ho motivo di dire né sì né no, ma la funzione di tenuta del registro è importante per le questioni di antiriciclaggio, che dovremmo rafforzare proprio per gli standard internazionali.
  Per i trust si parla del gestore, perché è quello conosciuto, mentre il proprietario o il beneficiario o il protector sono spesso sconosciuti, quindi è sul gestore, che è la figura emergente, che ci devono essere gli obblighi di pubblicità.
  Per quanto riguarda la segnalazione, la difficoltà con i professionisti non soltanto italiani...

  PRESIDENTE. In Italia ce ne sono di più.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Sì, è che ovviamente nel momento in cui loro svolgono un'attività simile a quella degli intermediari finanziari ovviamente, siccome l'importante è l'attività, devono essere soggetti agli stessi obblighi, e questo in teoria va benissimo.
  In pratica, pensiamo a un avvocato che abbia un rapporto fiduciario con il cliente e debba spiegargli che, se però tratta una proprietà potrebbe essere obbligato ad inoltrare una segnalazione di operazione sospetta; mettendomi nei panni dell'avvocato riconosco che non è una cosa facile da gestire.
  Tuttavia esiste sicuramente il problema e dobbiamo aggiungere che da una parte gli ordini professionali non hanno se non un'autorità disciplinare che poi non esercitano, quindi hanno un potere limitato, dall'altra non esiste un altro ente che abbia un potere sanzionatorio nei confronti dei soggetti, quindi non c’è una Banca d'Italia che sanziona le banche, non c’è un Ministero di giustizia che può intervenire, anche per ottime ragioni. Questa è la difficoltà.
  I notai per tante ragioni, un po’ per la loro funzione pubblica, un po’ perché sono pochi e ben organizzati, un po’ perché sono anche un'associazione ricca, un po’ perché hanno un sistema informatico fantastico che già lavora con il pubblico per tante cose, hanno una forte propensione a collaborare.
  Altra categoria con la quale negli anni i colloqui sono andati avanti è quella dei commercialisti, che però hanno una situazione molto diversa, cioè sono tantissimi, hanno un'associazione più debole, fra l'altro commissariata già da due anni, quindi non sanno neanche come gestire le cose – sto dando dei dati di fatto, senza giudizi in merito – per cui il colloquio con la categoria diventa difficile.
  Non è obbligatorio passare tramite l'ordine; è una possibilità, funziona bene con i notai perché hanno cominciato a lavorare con noi e con la UIF per stabilire degli indicatori per la categoria, specifici per i notai, e questo sta agevolando le segnalazioni delle operazioni sospette dei notai.
  Categorie che non fanno questo lavoro lasciano di fatto i loro rappresentanti nudi di fronte alla cosa, per cui la situazione non è facile. D'altra parte, volendomi mettere nei panni di un commercialista, con una parte importante della clientela che può avere problemi di evasione fiscale, immagino che non sia una situazione facile. Con questo non voglio esprimere giudizi di valore, ma la vita su queste cose non è così semplice.

  PRESIDENTE. È anche vero che dovrebbe scattare un principio di responsabilità, perché capisco che nei confronti del Pag. 23proprio cliente uno non può trasformarsi in segnalatore, però, se non si trasforma in segnalatore, corre rischi perché diventa complicità.
  Il problema è che non possiamo continuare ad agire solo con gli strumenti repressivi, perché i danni sono già fatti, quindi tutta la materia della quale ci ha parlato lei questa sera si aggredisce prevalentemente con la prevenzione, quindi con strumenti che impediscono di commettere illeciti o di violare la legge.

  ENRICO BUEMI. Nel suo ragionamento mi sfugge quale sia il bene principale da tutelare. Credo che la funzione abbia un obiettivo principale e a questo si debba raccordare tutta l'azione.

  GIUSEPPE MARESCA, capo della direzione prevenzione reati finanziari del dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze. Forse mi sono espresso male: è ben chiaro cosa deve essere fatto, il problema è che, come diceva il presidente, queste cose si fanno con la collaborazione attiva dei soggetti, non si riesce a imporle soltanto con la forza della legge.
  Se vedo che il soggetto ha una serie di difficoltà, mi aspetto da lui per forza di cose una collaborazione ridotta, è un dato di fatto. Poi arriverà la Guardia di finanza e li sanzioneremo, ma con questo intervento non li portiamo alla collaborazione.

  ENRICO BUEMI. Se, come diceva giustamente il presidente, avessimo un'azione forte in termini di prevenzione, obbligando a comportamenti «meccanici», probabilmente eviteremmo la fase più pesante, che è quella dell'azione sanzionatoria.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Maresca, contiamo sulla consegna del materiale e anche su una collaborazione futura perché su questi temi la Commissione intende lavorare. Nel concludere i lavori di oggi vorrei ricordare l'anniversario della strage di via dei Georgofili. Il nostro ricordo va alle vittime e ai loro familiari, siamo spiritualmente presenti a Firenze oggi. Vorrei anche ricordare che domani sono quaranta anni dalla strage di Brescia.
  Anche in questo caso, sappiamo che in quarant'anni sono stati ottenuti alcuni risultati come la desegretazione di alcuni documenti, ma il dolore per la perdita delle vittime resta, così come resta lo sdegno per l'atto compiuto. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.