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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 35 di Giovedì 29 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del vicedirettore generale della pubblica sicurezza, Francesco Cirillo:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Garavini Laura (PD)  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 10 
Garavini Laura (PD)  ... 11 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 11 
Garavini Laura (PD)  ... 12 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Mattiello Davide (PD)  ... 12 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 12 
Mattiello Davide (PD)  ... 12 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 13 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 14 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 14 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Cirillo Francesco , vicedirettore generale della pubblica sicurezza ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Fava Claudio (SEL)  ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del vicedirettore generale della pubblica sicurezza, Francesco Cirillo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno prevede l'audizione del vicedirettore generale della pubblica sicurezza, Francesco Cirillo.
  L'audizione odierna ha ad oggetto, in particolare, il tema della proiezione internazionale delle mafie.
  Ricordo, come di consueto, che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che di essa sarà redatto un resoconto stenografico. Ove necessario, inoltre, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Do ora la parola al prefetto Cirillo, che ringrazio per la sua presenza e la sua disponibilità.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Signora presidente, grazie. Un saluto a tutti i commissari e grazie dell'invito. Se mi è data licenza, io farei una piccola introduzione per spiegare chi sono, cosa faccio e qual è il campo di competenze del lavoro che svolgo, perché penso che alcuni di questi settori possano interessare i signori commissari, almeno in base alle notizie che leggo dal giornale.
  Mi avvarrei, se me lo consentite, di alcune slide per rendere il discorso un po’ più plastico e anche più diretto.
  Innanzitutto io sono il vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Che cosa fa il vicedirettore generale della pubblica sicurezza ? In forza di una legge del 1991, che creò questa figura e contemporaneamente anche la Direzione investigativa antimafia (DIA), coordina il lavoro sia della direzione centrale della polizia criminale, di cui io sono anche il direttore centrale, sia della Direzione investigativa antimafia.
  Per una circolare emanata dal capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza molto datata, il vicedirettore generale della pubblica sicurezza coordina anche la direzione centrale per i servizi antidroga, che, come voi sapete, fu istituita e ha una competenza specifica per quanto riguarda il traffico e lo spaccio degli stupefacenti sul territorio nazionale, ma soprattutto per quanto riguarda i rapporti internazionali.
  Il mio secondo incarico, quello più operativo, è quello di direttore centrale della polizia criminale, che ha alle sue dipendenze sei uffici. I primi due, l'ufficio affari generali e l'ufficio tecnico-giuridico e contenzioso, sono gli uffici di organizzazione di tutta la direzione centrale.
  L'ufficio tecnico-giuridico e contenzioso rappresenta la direzione centrale nei contenziosi e soprattutto fa una cosa molto interessante per le persone che chiedono la cancellazione o la modifica dallo SDI. Pag. 4Mi riferisco alle persone che molto spesso ai controlli delle forze di polizia vedono che qualche loro antico fatto che era stato inserito nelle banche dati del Ministero dell'interno non dovrebbe più esserci, o dovrebbe essere perlomeno aggiustato e non lo è stato. Noi accogliamo i ricorsi e provvediamo, attraverso le forze di polizia che l'hanno inserito, al disinserimento, secondo le norme, così come è dovuto.
  Ci sono poi quattro servizi. Il primo è il servizio per la cooperazione internazionale di polizia. Praticamente – poi vi spiegherò nel dettaglio cosa facciamo – è il servizio che ha alle dipendenze tutti e 50 gli ufficiali di coordinamento che noi abbiamo sparsi nel mondo, i quali coordinano tutte le attività operative raffrontandosi con le altre forze di polizia dei 170 Paesi che aderiscono al circuito Interpol e, laddove ci fosse l'opportunità, anche con i 20 Paesi che non aderiscono al circuito Interpol, ma al circuito delle Nazioni Unite.
  Il servizio per il sistema informativo interforze – poi ve ne parlerò nel dettaglio – è il servizio che ha all'interno tutte le banche dati del Ministero dell'interno. Soprattutto ha la banca dati, il cosiddetto CED, che contiene lo SDI, ossia la carriera criminale, laddove esista, di qualsiasi cittadino, italiano o straniero, incappi nella rete delle forze di polizia.
  Il servizio centrale di protezione penso che lo conosciate bene tutti, perché in questi ultimi tempi la Commissione si è molto interessata dei testimoni e dei collaboratori di giustizia. È il servizio che segue appunto i collaboratori e i testimoni di giustizia. Se vi fa piacere, vi spiegherò anche quale parte spetta al servizio civile centrale di protezione e quale altra parte spetta, invece, alle forze di polizia territoriale e che cosa fa il servizio centrale di protezione.
  Il servizio analisi criminale è il servizio che analizza i dati e l'andamento della criminalità organizzata, redige tutte le nostre statistiche, ma soprattutto fa la diagnosi e la prognosi.
  Il servizio centrale di protezione in questo momento amministra..., ma è brutto dirlo così, preferisco dire che il servizio centrale di protezione è una sorta di piccolo comune che ha 5.841 cittadini e un sindaco non eletto, ma nominato. Si tratta di 5.841 persone protette, 1.144 collaboratori di giustizia e 80 testimoni. La gran parte è composta dai familiari sia dei collaboratori, sia dei testimoni.
  Consideriamo un primo dato di carattere generale: l'Italia, come tutti sappiamo, è una nazione stretta e lunga. Metà della nazione, partendo dal Lazio e andando giù, è costituita dalle regioni che forniscono alla magistratura italiana e alle forze di polizia italiane testimoni e collaboratori di giustizia. Lo dico con qualche naturale eccezione – vado per macronumeri – perché nell'altra metà della nazione italiana il servizio centrale di protezione deve «nascondere» i collaboratori di giustizia e i testimoni di giustizia che chiedono di non rimanere nella zona d'origine e preferiscono andare a mimetizzarsi in un'altra zona.
  Questo per raccontare la difficoltà in questa mimetizzazione. Se tenete presente soltanto gli Stati Uniti d'America, che col Canada hanno intrapreso da molto prima di noi la strada della collaborazione con la giustizia, notate che questa è un'organizzazione statuale completamente diversa, che dà molto più agio alla mimetizzazione per coloro che vogliono collaborare, inabissarsi e uscire, peraltro, dal sistema di protezione.
  Qual è il sistema che noi abbiamo adottato ? Il servizio centrale di protezione segue l'assistenza e la logistica dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Assistenza significa assistenza sanitaria, assistenza scolastica, assistenza religiosa, assistenza familiare in generale, tutto ciò che ha a che fare con la vita di ogni giorno di un collaboratore o di un testimone di giustizia, la logistica e le abitazioni.
  Penso che immaginiate che cosa significhi per i collaboratori di giustizia e per alcuni testimoni essere sradicati dalla propria terra e portati in una terra completamente diversa, con abitudini completamente diverse, con dialetti completamente diversi, con modi di vivere completamente Pag. 5diversi, con bambini che fino a ieri si sono chiamati Giacomo e che il giorno dopo si chiamano Francesco. Tutta questa pluralità di fatti che affliggono – è inutile negarlo – fortemente la vita dei collaboratori e dei testimoni di giustizia che scelgono di mimetizzarsi e di non continuare a vivere nella loro terra d'origine, tutte queste vicende accompagnano quotidianamente la vita dei collaboratori e dei testimoni di giustizia.
  Per ogni testimone e per ogni collaboratore di giustizia noi ci avvaliamo dei nuclei operativi di protezione (NOP), 12 uffici dislocati sul territorio italiano, sia delle regioni da cui provengono i collaboratori e i testimoni di giustizia, sia dei posti, e questa è un'innovazione di una decina di anni fa, dove vanno a risiedere dopo l'inizio della collaborazione. Questo per fare in modo che chi resta nei posti di origine, ma soprattutto ciò che resta dei suoi averi nei posti di origine possa essere seguito, piuttosto che abbandonato a se stesso, come molto spesso, purtroppo, capita ancora.
  Abbiamo una persona di riferimento, sia all'interno del NOP, sia un agente di polizia o un militare dell'Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza che è il referente per la sicurezza. Il sistema di sicurezza e di tutela e il sistema di assistenza compongono un sistema misto. Le forze di polizia territoriali in Italia assicurano la scorta e la tutela di tutti i collaboratori e i testimoni di giustizia, mentre il Servizio di protezione assicura l'assistenza e la logistica. Sono due piani nettamente diversi: uno viene curato attraverso la regia del servizio centrale di protezione e, quindi, del direttore del servizio centrale di protezione, con assistenza e logistica, l'altro è sotto il diretto coordinamento dei prefetti attraverso il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sia nei posti di origine, sia nei posti di arrivo, per assicurare scorte, tutela, trasferimenti e tutto ciò che ha a che fare con la sicurezza dei soggetti.
  Naturalmente al sistema della protezione, come sapete tutti, sovrintende una Commissione centrale, presieduta di solito dal sottosegretario o dal Viceministro con delega al dipartimento della pubblica sicurezza, composta da appartenenti alle forze di polizia e da due magistrati. Essa sovrintende alla concessione o revoca dei programmi di protezione per tutte le persone che sono in protezione dal momento in cui sono inserite nella protezione.
  Questo non avviene dal primo momento, che è affidato al prefetto del posto in cui il soggetto comincia a collaborare. Il prefetto sbriga tutte le prime pratiche, prima che l'autorità giudiziaria scriva poi alla Commissione centrale. Da quel momento in poi il soggetto viene preso in carico dal servizio centrale di protezione.
  Su questo al momento non ho altro da dire. Sicuramente, se ci sarà qualche vostra domanda, risponderò nel dettaglio.
  Il secondo servizio è il servizio per la cooperazione internazionale di polizia. Quella che vedete è la rete dei nostri esperti per la sicurezza. Con una legge del 2010, votata dal Parlamento in maniera estremamente rapida, noi abbiamo unificato i due rami degli ufficiali di collegamento con l'estero. Uno appartiene alla direzione centrale per i servizi antidroga, l'altro alla direzione centrale della polizia criminale. Sono 50 stabiliti per legge.
  Noi abbiamo istituito 5 uffici di coordinamento regionale, che sono Brasilia, Parigi, New York, Teheran e Bucarest. Sono 5 uffici di coordinamento regionale a cui sono affidate le aree. Per esempio, l'ufficio italiano a Parigi coordina non soltanto l'Europa, ma anche una parte dell'Africa e, quindi, è un ufficio molto ampio.
  Vedete nella parte destra dello schermo una miriade di puntini rossi: rappresentano l'attività che abbiamo da qualche anno svolto nei Balcani. Nel momento in cui abbiamo deciso di andare a lavorare soprattutto con questi Paesi, alcuni dei quali poi hanno fatto ingresso in Europa, mentre altri aspirano a entrare nell'Unione, abbiamo disseminato in quei Paesi i nostri ufficiali di collegamento, trovandone un grandissimo giovamento. Questi Paesi ci hanno chiesto di far da driver in alcune attività – formazione, Pag. 6organizzazione delle forze di polizia, rapporti internazionali – e di fungere un po’ da conduttori attraverso la nostra rete per i rapporti con gli altri Paesi alla cui amicizia loro avevano interesse.
  A giugno dell'anno scorso, proprio in virtù di questa nostra attività molto riconosciuta dagli stessi Paesi balcanici, abbiamo riunito a Belgrado il capo della Polizia italiana, il prefetto Pansa – che, per inciso, saluta tutti voi, la presidente innanzitutto – e tutti i capi della polizia dell'area balcanica e debbo dire che fu un grosso successo. Il Primo Ministro e il Ministro dell'interno di allora vollero con noi stabilire un protocollo d'intesa che ha coronato tutti gli altri accordi che noi avevamo già stipulato con i Paesi.
  È stato un incontro che ha fatto da viatico, tant’è vero che quest'anno, in occasione del semestre di presidenza italiano, Europol farà la stessa riunione, e la terrà a L'Aja. Il direttore di Europol Wainwright ha chiesto di copresiedere questa riunione dei capi della polizia e la terrà a L'Aja, proprio in costanza del semestre italiano.
  Solo per darvi un numero, come cooperazione internazionale di polizia noi abbiamo circa 300 accordi internazionali con Paesi diversi. Il numero fa trasparire che con qualche Paese ne abbiamo più di uno, per quanto riguarda sia la criminalità organizzata e non, sia la formazione, sia soprattutto l'immigrazione, sia accordi di antiterrorismo. Abbiamo una rete di rapporti internazionali di genere diverso, che ci aiuta molto nel nostro lavoro.
  Debbo aprire un inciso che penso sfondi una porta aperta: le forze di polizia italiane sono assolutamente riconosciute per la loro preparazione. L'Italia è assolutamente riconosciuta per le leggi di cui sono state dotate le forze di polizia. Tra tutte ci sono le leggi contro le organizzazioni criminali di stampo mafioso, con tutto ciò che di anno in anno si accompagna alle prime leggi che furono emanate tanti anni fa.
  Il nostro 416-bis, peraltro – non dico niente di particolare – è un istituto che molti Paesi ci invidiano, soprattutto perché molti non riescono a inserirlo nel loro sistema normativo, data l'intelaiatura completamente diversa dalla nostra.
  Altro non mi pare di dover dire. All'interno del servizio di cooperazione internazionale ci sono una divisione Interpol, una divisione Europol e una divisione Schengen, che tratta soprattutto il mandato d'arresto europeo.
  Penso che possiamo passare alla successiva slide, che riguarda il servizio per il sistema informativo interforze. Soprattutto vorrei farvi vedere una piccola piramide, che adesso crescerà: partendo dal basso, in un anno le forze di polizia hanno fatto 11.550.000 controlli a singole persone, cioè 11,5 milioni di persone, italiane o straniere che siano, sono state controllate.
  Sono persone realmente controllate. Una volta, con un sistema che non era computerizzato – io ho fatto per molti anni il questore in sede – per dimostrare forse anche a noi stessi che facevamo molto, a volte si arrotondava la cifra. Con questo sistema, che da un po’ di anni è in vigore, ciò non è possibile: a ogni controllo corrisponde una persona, ma soprattutto un dato immesso nella banca dati. Vedrete poi che c’è un sistema che mette insieme tutti i controlli che vengono fatti dalle forze di polizia, ossia che li riunisce e trae spunto per indagini e altre attività del genere.
  Sono 7 milioni, quasi 8, i controlli fatti su strada e quasi 6 milioni le autovetture che sono state controllate in questi ultimi 12 mesi. Questo è l'esito.
  Quello era il momento della prevenzione, poi c’è il contrasto: quasi un milione di persone sono state denunciate, 750 mila sono state denunciate in stato di libertà, quasi 237 mila sono state arrestate, di cui un terzo in flagranza di reato e le altre su provvedimento dell'autorità giudiziaria.
  Finendo in questa piramide, veniamo ai latitanti, che sono la punta delle organizzazioni criminali. Sono coloro che si sottraggono, continuando però a delinquere e soprattutto a vivere alle spalle delle persone durante la latitanza. È inutile dire che il latitante vive di crimine, non di attività oneste. Attraverso il sistema di Pag. 7cooperazione internazionale di polizia le forze di polizia ne hanno catturati 1.270 in Italia, su richiesta dei Paesi stranieri.
  Tutto questo lavoro si fa attraverso la rete Interpol. Quali sono i reati che possono essere inseriti nel sistema di ricerca Interpol ? Sono tutti i reati che superano i quattro anni di reclusione e che sono riconosciuti da entrambi i Paesi. L'Italia deve riconoscere il reato per cui la Francia ricerca una persona e solo in quel caso attiva la ricerca e, quindi, l'arresto.
  Il secondo dato riguarda i 662 latitanti che, su richiesta dell'autorità giudiziaria italiana, abbiamo catturato all'estero. Noi abbiamo coniato un piccolo slogan, tratto da un film di James Bond. Non ci siamo montati la testa, ma per dare un significato al lavoro che si fa con i nostri ufficiali di collegamento abbiamo detto che il mondo non basta, li andiamo a scovare dall'altra parte del mondo.
  Uno degli ultimi che abbiamo portato in Italia è stato Palazzolo, che abbiamo trovato in Sud Africa. Adesso ne abbiamo altri in qualche altra parte del mondo, che stiamo vedendo di riportare in Italia, ma il 95 per cento delle persone arrestate su provvedimento dell'autorità giudiziaria italiana all'estero è rientrato nelle carceri italiane. Possiamo dire che quelli che sono rimasti all'estero per vincoli e codicilli che i Paesi in cui sono stati catturati oppongono sono una minoranza assolutamente esigua.
  Al culmine della piramide, ci sono gli 82 latitanti più pericolosi. Voi sapete sicuramente che noi alla direzione centrale della polizia criminale abbiamo un gruppo di lavoro che si chiama GIIRL (Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti), composto da tutte le forze di polizia e dai servizi di sicurezza e presieduto da chi vi parla. Esso inserisce nell'elenco dei latitanti più pericolosi gli ex 30, coloro che hanno le caratteristiche per esser tali e che, quindi, sono inseriti in uno speciale programma di ricerca, suddiviso tra le forze di polizia.
  Con un gioco di parole noi dicevamo che ci sono anche i panchinari. Una volta gli ex 30 erano superaffollati. Adesso, fortunatamente, ce ne sono soltanto 8 che sono ancora inseriti tra gli imprendibili. In cima alla lista, è inutile dirlo, c’è Matteo Messina Denaro, il latitante che viene maggiormente ricercato dalle forze di polizia italiane. Tutti i latitanti, però, e questo è un dato che, secondo me, vale la pena che la Commissione antimafia recepisca, non soltanto sono ricercati, ma sono effettivamente cercati dalle forze di polizia. Anche il latitante meno importante, che non ha le pagine di cronaca dedicate, viene ricercato.
  Ci sono latitanti da 25 anni, uno per tutto Pasquale Scotti, napoletano, dato per scomparso e di cui non si è ancora capito se sia morto o vivo. È un latitante attivo per le forze di polizia italiane. Il soggetto si toglie dall'elenco o quando è arrestato – la maggior parte è finita dove doveva finire – oppure se si ha la certezza che sia defunto, perché abbiamo la certezza inconfutabile che sia morto. Diversamente, il latitante di grossa o di media caratura rimane dove sta e viene cercato.
  Dimenticavo di dire che la direzione centrale della polizia criminale è un organismo interforze. Della direzione centrale della polizia criminale fanno parte le cinque forze di polizia.
  Passiamo alle banche dati e al Sistema informativo interforze. La base di tutto è il CED, istituito con la legge n. 121 del 1981, meglio conosciuta come la legge di riforma della polizia, all'interno del quale furono piazzati tutti i dati che erano raccolti dalle forze di polizia per alimentare lo SDI, ossia il Sistema di indagine. Lo SDI è la base di qualsiasi investigazione che qualsiasi operatore di polizia voglia fare oggi, ma anche ieri, in Italia.
  Il Sistema di indagine offre la possibilità di fare due cose: la prima è l'attività operativa investigativa, la seconda è l'attività di analisi. Dall'attività di analisi segue l'attività di prevenzione, perché l'attività che ci consente di analizzare i dati ci consente anche, nei luoghi e nei modi dovuti, attraverso il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e il dispiegamento del personale sul territorio, Pag. 8di mettere le cosiddette pattuglie al posto giusto. Poi vi spiegherò con cosa abbiamo implementato queste banche dati.
  Il sistema consente di far sì che si possano prendere le decisioni. Alimenta il sistema di supporto alle decisioni che spettano ai questori, ai comandanti provinciali, ai prefetti e a coloro che dispiegano le forze di polizia sul territorio.
  A fianco di questa banca dati le banche dati del Ministero dell'interno hanno un collegamento con 15 banche esterne, che sono ormai patrimonio di tutti gli operatori di polizia. A tutte le banche dati del Ministero dell'interno sono collegati tutti gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia italiane, che sono però muniti di autorizzazione ad accedere all'interno delle banche dati.
  Voi tutti sapete che la fraudolenta immissione nelle banche dati è un reato severamente colpito dalle leggi italiane, che prevedono la carcerazione fino a sette anni. È una cosa molto seria.
  Ci sono 15 banche dati. Il RISC riguarda la ricerca di tutte le persone scomparse, il punto fisco è collegato col Ministero dell'economia e finanza. Poi ci sono InfoCamere, tutte le società e cose del genere, le targhe delle auto e tanti altri dati.
  Dall'altra parte, invece, c’è quello che noi abbiamo dato in più da immettere nel sistema del CED. Apro un piccolo inciso: sotto è scritto «banca dati DNA». Entro la fine di quest'anno l'Italia dovrebbe munirsi di una banca dati del DNA.
  Per quanto riguarda la mia funzione di vicedirettore generale della pubblica sicurezza, posso dire che il Ministero dell'interno è pronto a ricevere l'immissione dei dati che servono a creare la banca dati del DNA. Parlo solo per la mia direzione centrale – non per altre – che è quella che rappresenta il Ministero dell'interno in questo sistema. L'alimentazione viene poi fatta anche con altri dati, che sono appannaggio del Ministero della giustizia e di altri, di cui io non conosco i tempi. Tra gli elementi che abbiamo fornito il primo è il sistema integrato per la georeferenziazione dei reati.
  Ma partiamo da MACRO. MACRO è un acronimo che significa mappa della criminalità organizzata. Vedete quelle testoline e vedete un centro. Il centro è dato dalla confluenza di più organizzazioni criminali che sono insieme per commettere reati. Le testoline che vedete sono i singoli componenti delle organizzazioni criminali, mentre le finestrelle di lato sono i luoghi di influenza.
  Questo è un modo molto semplice per spiegare come è stata creata la mappa della criminalità organizzata. Noi ci siamo rivolti alle forze di polizia a competenza generale, ossia carabinieri, polizia e Guardia di finanza, più la DIA, chiedendo loro di immettere all'interno di questa mappatura tutte le attività, le operazioni e i nomi che corrispondono ad attività fatte in ambito di organizzazione di criminalità organizzata.
  Si tratta di un archivio ancora in costruzione, perché non è stato del tutto completato, però è un archivio molto avanzato. Oggi, prima di arrivare qui, abbiamo fatto un controllo rispetto a quindici giorni fa, relativo ai dati che ha fornito il Ministro dell'interno e forse anche ai dati che hanno fornito il capo della Polizia o i Comandanti generali, quando sono venuti in Commissione. Sono già dati aggiornati in aumento rispetto a quelli di pochi giorni fa. Ciò significa che questa è una banca dati in evoluzione, che funziona sull'attività che fanno le forze di polizia.
  Si tratta di un archivio di secondo livello, il che significa che non tutti possono accedere, solo gli accreditati. Vi sono inserite soprattutto le tre maggiori organizzazioni criminali italiane, cosa nostra, ’ndrangheta e camorra, oltre a tutte le altre organizzazioni criminali che, però, non fanno parte di un sistema più o meno grosso. Al 27 maggio, l'altro ieri, avevamo inserito 613 organizzazioni criminali che operano sul territorio italiano, indistintamente tra le organizzazioni criminali, e 25 mila soggetti che appartengono a organizzazioni criminali censite in queste mappe.
  Ci siamo soffermati sulla ’ndrangheta perché è una delle organizzazioni che più Pag. 9attirano l'attenzione. In questo momento abbiamo censito 166 organizzazioni che fanno riferimento alla ’ndrangheta e 4.683 affiliati alla ’ndrangheta. Come vedete, sono anche suddivisi per regione.
  Il Ministro dell'interno, una ventina di giorni fa, ha lanciato una campagna investigativa, repressiva e preventiva nei confronti della ’ndrangheta che è partita già dalla Calabria, ma si è espansa su tutte le regioni dell'Italia che, secondo le investigazioni e le attività informative, sono nell'orbita della criminalità organizzata ’ndrangheta, ossia Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria e Toscana.
  Su quest'attività fatta dalle forze di polizia in maniera preventiva, con controllo assiduo del territorio, e dai reparti speciali delle forze di polizia, SCO, ROS e SCICO, si sta portando avanti una campagna assoluta anti-’ndrangheta. Ogni due mesi il Ministro tirerà le somme delle attività fatte in materia sia preventiva, sia repressiva.
  È un metodo che ricalca un in qualche modo il cosiddetto modello Caserta che fu utilizzato qualche anno fa per mettere in ginocchio i casalesi. Non è che siano stati del tutto messi in ginocchio, e le cronache dei nostri giorni lo dimostrano, ma è stato inferto loro un colpo molto forte con la cattura di tutti i latitanti, quelli che oggi i giornali dicono che forse stanno collaborando con la giustizia. Sono i figli di quella operazione anti-camorra che portò a uno a uno tutti in galera questi soggetti, nonché i partecipi delle loro associazioni.
  È inutile che vi citi i numeri – si leggono nella slide – per ogni singola provincia. Sono numeri che fanno pensare molto, perché sono piuttosto impressionanti.
  Andando avanti, vedete il sistema della georeferenziazione. Ve lo spiego semplicemente, ma forse lo conoscete già. Partendo dalla macroarea dell'Italia, noi con uno zoom arriviamo lentamente a una strada, per esempio Piazza della Repubblica, al numero civico 35, per evidenziare, partendo dalla macroarea, quali sono i reati di criminalità organizzata, ma soprattutto di criminalità diffusa che in quell'area vengono commessi. Possiamo scendere poi fino al particolare e vedere quanti di quei reati – quanti furti, se ci mettiamo a ragionare sui furti – sono stati commessi in quell'ora, in quel giorno, in quell'area e quanti ciclicamente vengono commessi in quell'area.
  A che serve questo ? Serve a chi deve fare attività preventive e a chi deve fare attività repressive per farsi un quadro. Se alle 18 di ogni venerdì sera c’è una recrudescenza di furti – faccio esempi banali; mi scuserete se li faccio a voi – se c’è una ripetitività, se compare sempre uno con il pullover rosso, se compare sempre una macchina FIAT 600 di colore blu, se compare sempre una persona claudicante, se compare sempre un gruppo di tre persone, se c’è sempre più o meno lo stesso modus operandi per qualsiasi reato – sono partito dal furto perché è il reato che più dà fastidio alle persone, ma può essere qualsiasi tipo di reato – se c’è questo parallelismo, se c’è questa ripetizione, se ci sono questi fatti che collegano oggettivamente i reati tra loro e gli autori dei reati tra loro, si può anche cercare di venirne a capo dal punto di vista investigativo, ma soprattutto di fare in modo che non se ne commettano altri.
  Quella che vedete è la rete della georeferenziazione, che è fatta su una mappatura Google, per fare in modo che ogni angolo della nostra nazione possa essere visitato dall'operatore di polizia. È chiaro che, più dati le forze di polizia immettono, più dati le forze di polizia rilevano: meno dati, meno rilevazione. È una proporzione assoluta.
  Andando avanti, questo è il Geo. C. Ope., ossia la georeferenziazione applicata al cruscotto operativo. Il cruscotto operativo è un cruscotto che si trova davanti l'operatore e che raccoglie tutti i pattuglioni che vengono fatti in Italia. I pattuglioni sono quei sistemi di controllo che le forze di polizia fanno.
  Abbiamo sempre preso come esempio la Calabria. Quelli che vedete sulla destra sono tutti i controlli fatti in quella zona. Quelli grigi sono i controlli multipli fatti Pag. 10da più forze di polizia. Si analizzano tutti i controlli fatti. A sinistra ci sono le strade in questo reticolo.
  Se andiamo avanti e il dato compare, vedete i soggetti. Se si vede che in uno di quei controlli è uscito Francesco Cirillo, si clicca su Francesco Cirillo e si vede con chi fosse questo soggetto quella sera. Si tratta di dati qualitativi e non quantitativi, perché sono dati che non solo dicono nome, cognome e indirizzo del soggetto, ma lo mettono anche in collegamento con altri elementi.
  Non è un archivio statico, ma un archivio dinamico, che fa in modo che si possano creare delle correlazioni. Chi frequenta Francesco Cirillo ? Se quattro volte in quattro pattuglioni diversi, in quattro controlli diversi, è stato trovato sempre con altre tre persone, si può anche considerare che siano amici e probabilmente, se sono delinquenti, è possibile anche che abbiano un'affinità di lavoro. Comunque questo serve per dimostrare che vi è una correlazione tra persone.
  Questo sistema serve moltissimo per coloro che fanno le indagini e per coloro che hanno a che fare con il contrasto alla criminalità. Sono tutti archivi a disposizione degli investigatori, non di chicchessia. Per esempio, i prefetti, per quanto riguarda la loro attività, leggono il dato quantitativo, ma non il dato qualitativo, perché ai prefetti non interessa Francesco Cirillo come persona, ma come un numero che ha partecipato a determinate attività insieme ad altre persone.
  Abbiamo finito questa breve introduzione, spero di essere stato approssimativamente chiaro nello spiegare che cosa facciamo noi, che cosa fa la direzione centrale per la polizia criminale. Resto assolutamente a vostra disposizione. Non saprei più che altro raccontarvi, né ho l'ambizione di annoiarvi molto.

  PRESIDENTE. Non ci ha annoiato. Grazie, prefetto Cirillo. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA GARAVINI. Prefetto Cirillo, lei ci parlava, nella sua esposizione, di 662 italiani arrestati all'estero. Ci può fornire anche il dettaglio per Paese per quanto riguarda l'Europa ? Quanti sono gli arrestati in Europa, possibilmente distinti per Paese ?
  Altri dati che ci potrebbero essere di grande ausilio comprenderebbero, per esempio, l'elenco dei beni sequestrati o sequestrabili, sempre a livello europeo. Noi stiamo definendo una relazione con la quale ci proponiamo di fotografare l'attività delle mafie di origini italiane in Europa e, dunque, ci interesserebbe capire anche quale sia l'attività relativa alle forme di riciclaggio. In particolare, ci interesserebbe capire un po’ più nel dettaglio quali sono i riscontri appurati dagli ufficiali di collegamento, per esempio nella zona dei Balcani, che è particolarmente interessante.
  Analogamente, ci preme capire quale sia la tipologia di reato riscontrata in Spagna, in Germania e in Romania nello specifico.
  Soprattutto poi ci interesserebbe capire quali siano le difficoltà emerse o che emergono anche nel quotidiano nella forma di collaborazione con le altre forze di polizia dei singoli Paesi o se siano state riscontrate lacune di carattere normativo che ostacolano le collaborazioni.
  Infine, è molto interessante la mappatura MACRO. Esiste o è in via di definizione qualcosa di analogo anche per quanto riguarda la proiezione all'estero delle nostre mafie italiane, sempre con particolare interesse all'Europa ?

  PRESIDENTE. Preferisce rispondere subito o dopo ? Cominciamo subito, perché forse le altre domande attengono proprio al tema dei testimoni e dei collaboratori.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. In questo momento non ho i dati degli arrestati per i singoli Paesi, ma glieli fornirò.
  Quello dei beni sequestrati o sequestrabili è un dato assolutamente difficile da poter pensare, anche perché i beni sequestrabili in Italia non sono sequestrabili all'estero, soprattutto per via di quello che Pag. 11lei diceva, ossia per la diversità della normativa. Mentre in Italia la normativa di prevenzione è proprio normativa di prevenzione, all'estero aspettano la condanna penale, in alcuni ordinamenti.

  LAURA GARAVINI. Scusi se la interrompo, ma proprio questo mi premerebbe capire: se ci siano delle inchieste che prevedrebbero il potenziale sequestro dei beni, cosa che però non è attuabile alla luce della legislazione dei singoli Paesi.
  Mi premerebbe proprio capire se ci siano delle inchieste in corso di questo tipo, perché per noi, ai fini del nostro elaborato, è particolarmente utile mettere in rilievo casi concreti o Paesi nei quali una mancanza di carattere meramente normativo rappresenta un ostacolo a un contrasto efficace alla criminalità organizzata. Ci premerebbe proprio mettere in evidenza anche casi concreti e inchieste concrete.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Onorevole, lei lo saprà sicuramente, perché segue il tema: noi in più sedi europee e internazionali abbiamo proposto che la normativa antimafia italiana potesse essere esportata. Al di là di grandi buoni propositi espressi in tutte le sedi, ancora non si è raggiunta una possibilità di fare ciò.
  Al momento mi deve concedere un paio di giorni per farle avere la mappatura, se l'abbiamo. Andiamo a incidere in un campo che può essere anche coperto dal segreto di indagine e, quindi, bisogna che l'autorità giudiziaria sia d'accordo che vengano disvelati alcuni dati. Sicuramente, però, li farò avere alla presidenza perché le vengano comunicati, con riferimento a quelli che noi riusciremo a sapere.
  Il riciclaggio è altra storia. Con i Balcani collaboriamo molto. Collaboriamo per ciò su cui è possibile collaborare. Anche in questa materia abbiamo fatto attività, che adesso a mente non ricordo, con alcuni Paesi dei Balcani in cui, in tempi passati, quindici o vent'anni fa, abbiamo avuto opposizioni fortissime a entrare all'interno dei cosiddetti tesori di alcune bande criminali che preferivano andare dall'altra parte per sfuggire alla magistratura italiana.
  Il corso del tempo ci ha molto aiutato, perché i Balcani si stanno adeguando. Dovendo venire in Europa o essendo venuti in Europa, uno dei problemi essenziali per loro è proprio quello del contrasto alla diffusione e alla proliferazione delle organizzazioni che, attraverso l'accumulazione di danaro, esportano danaro sporco.
  Quella con i Balcani è una collaborazione ampia e piena, sempre nel rispetto delle singole normative. È inutile dirlo a voi, sicuramente. Invierò alla Commissione il dato sulle operazioni di polizia che in questo momento sono in corso con i Balcani e che prevedano eventualmente sequestri e confische. Questo non per un’«omertosa» volontà di non dirlo, ma per l'esigenza di verificarlo e di poterglielo dire, sempre laddove vi sia la possibilità di riferirlo e non vi siano problemi ostativi di segretezza delle indagini. Questo è un mondo che è cambiato completamente da un po’ di anni a questa parte.
  A proposito degli altri Paesi europei, tutti ricorderanno Duisburg 2007, Bruno e tutto ciò che è stato fatto in quel periodo. In quell'occasione ci fu un accordo particolare. Lei ricorderà pure che molti Paesi europei erano molto scettici, o almeno dicevano di essere scettici, sul fatto che la criminalità italiana potesse aver invaso le loro terre. Ricordo i tempi in cui era complicato far capire ai francesi che forse qualche italiano era andato dall'altra parte e aveva infestato le loro zone.
  Duisburg per noi ha significato la linea di demarcazione tra un prima e un dopo. Attraverso gli accordi fatti con la Germania, con il Bundeskriminalamt, in materia di cooperazione per scovare i criminali che si erano macchiati della strage di Duisburg, ma anche coloro che rientravano nelle organizzazioni criminali di stampo mafioso e che erano coinvolti in queste faide da locali che «romanticamente» una volta si erano spostate in campo europeo, noi abbiamo instaurato, anche tramite un secondo protocollo che Pag. 12abbiamo fatto con i tedeschi, siglato nel 2010 con il capo del Bundeskriminalamt, Ziercke, un'attività comune di aggressione ai patrimoni criminali.
  La normativa non ci dà ancora una mano da quel punto di vista, ma passi in avanti sono stati fatti. Lei ricorderà che il ristorante Bruno non poté essere sequestrato perché era intestato a un incensurato. Allora, in quella nazione, non c'era ancora l'automatico collegamento, come invece da anni c’è. Non era dimostrabile che il fatto che non ci fosse un collegamento diretto alla criminalità organizzata desse la possibilità di sequestrare alle cosiddette «teste di legno».
  Tutto questo ci è servito molto ad andare avanti, ma ci è servito soprattutto nella cooperazione internazionale di polizia. L'Italia è riuscita a portare, non soltanto in un ambito internazionale, come quello della Convenzione di Palermo alle Nazioni Unite, ma soprattutto nel foro della cooperazione internazionale di polizia, l'Interpol, all'Assemblea generale che c’è stata in Italia nel 2012 di tutti i Paesi aderenti all'Interpol, come base di discussione la cooperazione internazionale attraverso il sequestro e la confisca dei beni e, quindi, l'aggressione ai patrimoni.
  Onorevole, tutti i Paesi fanno professione di voler sconfiggere il cancro della criminalità organizzata in questo specifico settore, che non è il campo militare, ma il campo del denaro. L'Italia lo fa sul serio. Non so se tutti gli altri Paesi lo facciano allo stesso modo e con la stessa determinazione con cui da trent'anni l'Italia lo fa.

  LAURA GARAVINI. Sarebbe utile che facesse, per cortesia, quanto le chiedevamo. Sarebbe utile ed opportuno, cioè, avere una specifica illustrazione del numero di arrestati, anche in relazione, per esempio, alla questione MACRO sull'Europa, se avete qualcosa da fornirci.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. La MACRO sull'Europa l'ha fatta con noi l'Europol. Ha fatto la mappatura delle bande criminali che sono in Europa e ha pubblicato – se vuole, le faccio avere una copia – un volume che riguarda proprio le organizzazioni criminali di stanza in Europa.
  Mi suggeriva il dottor Calabria che noi abbiamo preparato una bozza di direttiva per l'Europa proprio su questo tema, ossia sul sequestro e sulla confisca dei beni. Se vuole, per documentazione sua, le faccio avere una copia di questo e di tutto ciò che, come studio, ha portato, con il Ministero dell'interno, a questa bozza di direttiva che speriamo l'Europa metta all'ordine del giorno, discuta e approvi.

  PRESIDENTE. Restiamo in attesa dei dati. La parola all'onorevole Mattiello.

  DAVIDE MATTIELLO. All'interno della Commissione antimafia è attivo un comitato, che io coordino e del quale fa parte anche l'onorevole D'Uva, che si occupa proprio di testimoni e di collaboratori di giustizia. Anticipo che, se anche la presidente è d'accordo, sarà utile ritrovarci per approfondire il tema nello specifico. Le chiederò soltanto alcune cose: Come prima domanda, da quanti anni lei ha questo incarico ?

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Sono direttore centrale della polizia criminale da quasi sei anni e sono stato direttore del servizio centrale di protezione dal 1997 al 2000. Vengo dal cuore del problema, però quattordici anni fa.

  DAVIDE MATTIELLO. Come seconda domanda, a noi risulta che la Commissione centrale in questo momento non possa operare perché non è ancora presieduta dal sottosegretario o dal Viceministro. È così o siamo male informati ?

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. La Commissione ancora non è stata costituita, ma, dalle notizie che ho, mentre noi parliamo il decreto interministeriale potrebbe essere stato firmato. È stato redatto il decreto interministeriale che i ministri della giustizia Pag. 13e dell'interno, sentiti altri ministeri, tra cui quello dell'economia e delle finanze, debbono firmare.
  È stata completata la rosa. Anche se è rimasto lo stesso Ministro, essendo cambiato Governo, c’è bisogno della ricostituzione e anche della rinomina dei singoli componenti della magistratura e delle forze di polizia. Sono stati forniti tutti i nominativi. Secondo le notizie che ho io, non vorrei avere notizie sbagliate, il decreto a momenti sarà firmato.

  PRESIDENTE. Io ho pronte due lettere, una per il Ministro dell'interno e una per il Ministro della giustizia, con le quali sollecitiamo la costituzione della Commissione. Se lei ci assicura che siamo in tempo reale, non le invio.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Come si dice, posso riservarmi farle avere a breve una risposta ?

  PRESIDENTE. Intanto preparo le lettere. Poi lei mi fa sapere come vanno le cose.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Resto, quindi, debitore di una risposta che entro stasera, o al massimo domani mattina, le fornirò.

  PRESIDENTE. Va bene. Prego, onorevole Mattiello.

  DAVIDE MATTIELLO. Mettiamo per ora tra parentesi la notizia, che, se confermata, sarebbe di conforto, della firma del decreto.
  Passo alle successive domande. In primo luogo, nella prassi è capitato altre volte che trascorressero quasi tre mesi prima del decreto, ammesso che stia arrivando, nella sua lunga esperienza ? Per questo le ho chiesto da quanti anni ricopre questo incarico. Lei ricorda che sia capitato altre volte che trascorressero quasi tre mesi prima di questa decretazione ?

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Onorevole, che occorra un certo tempo è sicuramente vero. Durante la mia permanenza c’è stato un lungo periodo in cui il Ministro è rimasto sempre lo stesso, era il Ministro Maroni, ma io non ho mai fatto caso a questo, debbo dirle il vero. È un tempo che più o meno occorre per far sì che i tasselli si possano mettere insieme e si possa passare alla firma.
  Sono stati cambiati anche alcuni membri. Da quello che mi risulta sono stati cambiati anche alcuni membri, da parte sia della magistratura, sia delle forze di polizia.
  È un tempo più o meno fisiologico. Poi magari lei farà la ricerca e scoprirà che ogni volta sono passati cinque giorni o sette mesi e, quindi, sarò smentito. Questo, però, mi sembra un tempo più o meno fisiologico.

  DAVIDE MATTIELLO. Come ultima domanda, ci spiega in una situazione come questa che cosa può comunque fare la Commissione e che cosa, invece, non può fare ?

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Si riferisce al servizio centrale di protezione o alla Commissione ?

  DAVIDE MATTIELLO. Mi riferisco alla Commissione centrale, in assenza della delega.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. La Commissione centrale presumo possa fare poco, se non mettere a posto tutto ciò che ha a che fare con il pregresso, che magari non è stato portato a compimento. Lei sa che ogni deliberazione della Commissione ha bisogno poi di una scrittura, della parte burocratica. Altre cose senza il presidente e senza i componenti la Commissione non credo possa fare.
  Il servizio centrale di protezione, invece, e lei lo sa bene, ha una vita autonoma, che in parte intreccia il cammino Pag. 14della Commissione. È, però, un ufficio alle dipendenze del direttore generale della pubblica sicurezza che dà la delega al vicedirettore generale e, per esso, al direttore del servizio centrale di protezione. Ha una vita assolutamente autonoma.

  FRANCESCO D'UVA. Vorrei giusto completare, per modo di dire, quello che diceva l'onorevole Mattiello. Anch'io faccio parte del comitato cultura e ci stiamo preoccupando di audire diversi testimoni di giustizia.
  Sicuramente sarebbe bello poter parlare in un'altra sede con più tempo solo di questo argomento, ma intanto mi permetto di farle sapere in linee generali quello che stiamo apprendendo dai testimoni di giustizia. Conosciamo bene la situazione in cui vivono, sono molto scossi, per dirla in maniera eufemistica, da quello che stanno vivendo. Loro, però, lamentano a volte un'esagerata protezione e a volte un esagerato abbandono. Paradossalmente, in realtà, sembrano situazioni opposte, ma sono collegate.
  A questo punto, chiedendole di incontrarci nuovamente, le chiedo che cosa ne pensa lei. Si sono lamentati di tutto, sia della Commissione, sia del servizio. Secondo lei, c’è qualcosa da migliorare nel servizio sui testimoni di giustizia ed eventualmente dove ? Cosa le viene in mente adesso ? Poi ci sarà modo di ritornarci, qualora lei ci dia la disponibilità.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Onorevole, noi stiamo cercando di rinnovare l'organizzazione del servizio centrale di protezione. Il servizio di protezione va avanti con i tempi e soprattutto con le modifiche normative e numeriche. I testimoni, io ricordo, entrarono a far parte della famiglia del servizio centrale di protezione quando io ne ero il direttore. Allora era proprio una sparuta pattuglia, capeggiata dalla baronessa Cordopatri, che è stata una delle prime testimoni di giustizia.
  Ci avvicinammo, quindi, in maniera un po’ empirica e da dilettanti alla materia, cercando di fornire un'assistenza leggermente diversa dal punto di vista del rapporto umano con queste persone, che hanno fatto una scelta e non sfuggono a qualcosa. Sfuggono semplicemente, molto spesso, alla paura loro e dei loro familiari, perché chiaramente è difficile affrontare una vita che passa dagli agi prima, molto spesso, dall'essere un imprenditore o comunque una persona normale, con un proprio reddito e con un reddito anche per la famiglia, dal fatto di vivere in una determinata zona di Italia, dove è sempre vissuta la propria famiglia e di avere tutti gli affetti allo spostarsi o non spostarsi.
  Io mi ricordo che il primo testimone che sentii veramente che potesse essere l'emblema di come lo Stato potesse dare una mano fu Caniglia. Forse voi conoscete Caniglia, da Scordia, il paese delle arance, onorevole Fava. Fu quello a cui lo Stato in quell'epoca riuscì a dare di più. Riuscì a fare in modo che tenesse la propria azienda agricola. Si fece in modo che lo Stato gli potesse custodire l'azienda attraverso una sorveglianza tecnica fatta anche di persone e l'ha affidato. Le vicende di Caniglia non le conosco, ma quello fu un bel segnale dato in un paesino della Sicilia in cui lui prima era esposto a qualsiasi insidia.
  Oggi viviamo un momento molto particolare, perché i testimoni hanno preso coscienza del loro essere e si sono riuniti in un'associazione. In merito io chiederei che si avesse un momento di riflessione sul fatto se sia giusto fino in fondo che esista un'associazione di testimoni di giustizia.
  Perché dico questo ? Perché lo stare insieme è vero che protegge, ma molto spesso espone. Io parlo per i profili di sicurezza, non per i profili di altro genere. Non sto esprimendo giudizi assoluti su nessuno, ma sto fornendo qualche suggerimento per la sicurezza.
  Il testimone non deve assolutamente perdere alcuno dei suoi diritti, meno che mai il diritto alla libertà, il diritto alla famiglia, il diritto a potersi costruire una vita libera, ma in questo momento dobbiamo fare tutti anche i conti con l'economia del nostro Paese.Pag. 15
  In tempi passati, sia ai testimoni, ma ancor prima ai protagonisti della prima stagione dei collaboratori di giustizia lo Stato italiano è riuscito a dare garanzie economiche forti. Oggi è cambiato il mondo, è cambiata l'economia e sono cambiate le disponibilità che si hanno. Pertanto, pensare che in questo momento tutto si possa risolvere per via economica è complicato, come pensare che tutto si possa risolvere contrastando quello che di buono lo Stato italiano ha fatto per la protezione.
  Non dimentichiamo – voi, che frequentate questo argomento, ma soprattutto penso che frequentiate anche dei Paesi stranieri, in cui la protezione è in vigore, lo sapete – che l'Italia, con tutte le sue pecche, con tutte le sue manchevolezze, con tutti i suoi «se» e «ma», è considerata un Paese all'avanguardia in questo sistema.
  Noi siamo andati – non sorridete, vi prego – a Teheran. Siamo sicuri che tutto ciò che deve essere dato in termini di diritti civili è stato dato ? Io non lo so, ma sicuramente ci hanno chiamato da quella parte del mondo per chiederci di far loro capire come fare per proteggere. Ci hanno chiamato loro oltre a tutti i Paesi europei e a tutti i Paesi dell'area Interpol. Tolto il Canada e gli Stati Uniti d'America, gli altri non dico che stanno all'anno zero, ma stanno in uno stato un poco rudimentale.
  Noi cerchiamo, con tutta la buona volontà personale, individuale e delle strutture che abbiamo a disposizione di stare al fianco dei testimoni. A volte ci riusciamo, altre volte ci sono dei piccoli conflitti, che alla fine capiamo che vanno risolti. Io ne ho ricevuto parecchi, pur non essendo nella veste di colui che deve seguire testimoni e collaboratori di giustizia. Ne ho ricevuti parecchi proprio per cercare di capire e per cercare, anche attraverso l'azione della direzione centrale, di assicurare all'azione consultiva del Viceministro Bubbico, che fino a tre mesi fa ha presieduto la Commissione, un minimo di conforto attuativo delle cose che debbono essere fatte.
  Di strada ne dobbiamo fare ancora molta, ma presumo che bisogna farla insieme, ma non insieme a voi, insieme ai testimoni. È un dato scontato che noi lavoriamo all'ombra del Parlamento, ma il punto è con i testimoni. Se andiamo su direzioni diverse, alla fine restano i familiari dei testimoni in mezzo. Almeno, io presumo che questa debba essere la strada.

  FRANCESCO D'UVA. Io penso che siamo tutti d'accordo che un'associazione dei testimoni di giustizia non ci debba essere, ma di fatto esiste perché loro si sentono abbandonati e, quindi, si danno conforto l'un l'altro. Probabilmente, se riusciamo, come Stato, a eliminare questo senso di abbandono dei testimoni, l'associazione non avrà neppure senso di esistere. Io cercherei di raggiungere l'obiettivo proprio in questo modo.

  PRESIDENTE. Vorrei aggiungere qualcosa sull'argomento, che seguono loro prevalentemente, ma a cui un occhio lo stiamo dando tutti. Mettendo insieme le varie audizioni su questo tema, i fondi antiracket e antiusura, osservo che, per carità, per i danni che hanno ricevuto il risarcimento in denaro non è mai abbastanza, ma non sembra che si tratti soprattutto di liquidità, di quantità di somme disponibili, anche se ci sono contenziosi che noi stiamo prendendo in esame. Naturalmente, ripeto, per quello che hanno ricevuto non è mai un danno quantificabile, monetizzabile, ma la monetizzazione è anche consistente, in alcuni casi. Non ci troviamo di fronte a somme irrisorie.
  Quello che ci sembra di percepire è che forse il problema non è risolvibile con un'associazione. Poiché ogni caso è veramente molto personale, molto originale, con percorsi assolutamente inediti, perché poi la reazione di una persona di fronte a una tragedia e anche il coraggio con il quale si reagisce alle tragedie provoca situazioni diversissime, si avverte una sorta di mancata personalizzazione della presa in carico di queste persone. Ciascuno Pag. 16di loro ha una storia, ma di fronte si trova una struttura e un servizio che fa fatica a essere proprio personalizzato.
  Probabilmente, insieme a un'attenzione a quello che è possibile e alla monetizzazione di tutti i possibili danni che sono stati ricevuti, forse occorre anche capire meglio come agire anche in termini di formazione delle persone dedicate, di tempi, di modi, di attenzioni, che magari non costano nemmeno, non hanno neanche un grande costo, ma vanno incontro a una situazione che umanamente è assolutamente irripetibile. Tutti siamo irripetibili, ma nel campo soprattutto dei testimoni l'irripetibilità è una caratteristica particolare. Io non so se questa sia una mia particolare sensibilità nell'averli ascoltati, ma ho percepito questo. A mio avviso, più che un fatto quantitativo, è un fatto proprio qualitativo del modo con il quale si risponde.
  Negli anni, grazie a Dio, sono cresciute le persone delle quali bisogna prendersi carico. Capisco anche che dietro alcuni atteggiamenti ci sia il risultato di una situazione personale molto complicata, che spesso non corrisponde neanche a dati reali, per quello che viene richiesto o per la situazione che si descrive. Forse tutto questo, però, viene a crearsi proprio perché c’è una solitudine strutturale nella quale queste persone vivono e che dovremmo capire come rompere. Questo mi sembra l'elemento che ci ha colpito un po’ di più.
  Mi chiedevo: questo servizio prevede anche varie figure professionali ? C’è un progetto per ciascuna persona ? Il senso è questo: più che la quantità, conta la qualità. Abbiamo anche dei contenziosi che abbiamo preso in esame e che riguardano la monetizzazione, ma forse il problema principale è proprio la vita di queste persone.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. Presidente, partendo dal presupposto che la luna ha sempre due facce, quella che compare di qua e quella che compare di là, i testimoni sono una categoria di persone, ogni testimone è una persona, ogni familiare è un'altra persona e non rappresentano un cumulo di persone. Accantoniamo, però, un attimo i soldi. Magari le farò avere, nel momento in cui avremo fatto i calcoli, quanto lo Stato italiano ha speso solo per le capitalizzazioni, non per il sostentamento.

  PRESIDENTE. Signor prefetto, non abbiamo dubbi sul fatto che da questo punto di vista ci sia un investimento significativo. Anzi, la domanda che ci siamo fatti è anche quanto sia controllato.

  FRANCESCO CIRILLO, vicedirettore generale della pubblica sicurezza. La seconda questione è che tutti i soldi che lo Stato ha speso li ha spesi per un progetto di vita e di lavoro. Molti testimoni che oggi ritornano a chiedere sono coloro che quel progetto di lavoro non l'hanno saputo portare avanti, pur avendo sottoscritto all'epoca una liberatoria per lo Stato italiano, dicendo: «Io faccio questo».
  Posto che questa è la cosa più semplice che noi possiamo fare, la meno impegnativa, tuttavia, è la cosa che dà un futuro a chi viene da una vita e deve immergersi in un'altra.
  Un'altra cosa che le voglio dire è che il nostro personale, che è fatto di categorie diverse, di poliziotti, di carabinieri, di finanzieri, ma anche di psicologi, di medici e di persone che vengono dalla vita civile, prima di entrare nel servizio centrale di protezione frequenta un corso. Non è un corso all'accademia dell'FBI a Quantico, con le cose più sofisticate di questo mondo, ma è un corso fatto sull'esperienza che giorno dopo giorno si acquisisce. La protezione e l'assistenza per i collaboratori e i testimoni è una cosa che noi abbiamo conquistato per la strada insieme ai collaboratori e ai testimoni. Ogni anno il personale fa un corso di aggiornamento. Dal punto di vista della formazione probabilmente non è l'ottimale, ma è sicuramente uno strato di cultura in cui noi inseriamo i colleghi.
  Adesso c’è una nuova fase. Non vorrei essere frainteso, ma con i miei collaboratori Pag. 17noi cerchiamo di andare a fondo delle cose che vengono dette. Molte cose sono vere. Molte cose, invece, non dico che sono false, ma sono dei sistemi che si sono creati pensando di aver trovato una soluzione di vita, in un mondo in cui, purtroppo, oggi c’è la crisi.
  In Italia in questo momento si vive un momento di grave crisi e probabilmente c’è anche la crisi del reinserimento. Il testimone cerca di reinserirsi e, secondo me, la strada imboccata non è la strada imboccata dai testimoni, cioè la strada della pubblicizzazione a tutti i costi. Non credo che sia la strada migliore.
  Il Parlamento ha approvato una legge bellissima, ottima, relativa all'obbligo di dare ai testimoni che oggi escono dai programmi di protezione, ma anche ai testimoni che ne sono usciti negli anni scorsi, l'avvio al lavoro. È una bellissima legge. C’è forse un solo piccolo problema: trovare il lavoro. Per carità, ci riusciremo, cercheremo di riuscirci, ci metteremo a disposizione. Ancora, come lei sa, non è stato redatto il protocollo. Non è stato ancora redatto il Regolamento. Lo faremo sicuramente nel momento in cui avremo a disposizione gli strumenti, ma, come dicevo prima, se non lo facciamo tutti insieme, soprattutto con i testimoni, non ci riusciamo. I testimoni debbono capire che, essendosi dati allo Stato e avendo dato questa mano enorme..., le mani date non sono tutte uguali. Ci sono delle mani date appieno, delle mani date a metà, delle mani date sì e no.
  Io ho molto rispetto dei pareri dell'autorità giudiziaria. Per mia ventura conosco parecchi di questi magistrati che hanno proposto testimoni e collaboratori di giustizia e non tutti sono fino in fondo d'accordo con le cose che vengono dette. Non vorrei essere frainteso. Quello di cui alcuni parlano probabilmente non sono fino in fondo condivise da coloro che l'hanno proposto.
  Poi c’è un'ultima categoria, che per anni non era più venuta fuori. Improvvisamente sono comparsi tutti. È giusto, perché probabilmente hanno voglia di trovare un lavoro e non sono riusciti a trovarlo. Noi ci adopereremo fino in fondo, perché il Parlamento ci ha dato una legge e poi ci fornirà gli strumenti per farlo, ma io continuo a dire: facciamolo tutti insieme. Facciamo una chiamata, le associazioni, i comuni, le regioni e – perché no ? – le categorie produttive, Confcommercio, Confindustria. Sono tutte persone perbene i testimoni.
  Purtroppo, dell'immaginario collettivo molto spesso il testimone viene confuso con il collaboratore di giustizia. Il testimone è uno che ha avuto a che fare con la giustizia, uno che ha avuto a che fare con il servizio centrale di protezione, uno che ha avuto a che fare con il carcere. Invece no.
  Io lo ripeto spesso a me, pur avendoli fatti entrare nella nostra struttura: se tutti insieme, ognuno per la propria parte, proponiamo a qualcheduno un lavoro, miglioriamo la situazione. La legge obbliga lo Stato a trovare il lavoro. Qualcuno potrebbe offrirsi: «Io sono qua, lo do io il lavoro». Se c’è uno in meno che deve trovare lavoro, probabilmente si riesce a fare qualcosa in più. Se facessimo tutti insieme una chiamata «alle armi», una chiamata a collaborare, probabilmente qualcosa in più faremmo.

  PRESIDENTE. Se non interpreto bene Mattiello e D'Uva, che sono nel comitato, chiedo loro scusa, ma, quando io parlavo di un'attenzione particolare, volevo dire anche l'uso del discernimento nei confronti dei singoli casi. Dire che ogni persona ha un fatto particolare non vuole assolutamente dire che sono talmente speciali che non si prendono in considerazione le differenze che ci sono tra le persone.
  Se c’è un limite in quel meraviglioso provvedimento che è stato approvato dal Parlamento, è quello che c’è solo la pubblica amministrazione. Anch'io la penso come lei, ossia che oltre alla pubblica amministrazione ci possono essere delle imprese e un sistema Paese. Si ritorna sempre lì: le mafie si pagano tutti, ma le Pag. 18mafie le manteniamo tutti. Se le vogliamo sconfiggere, ognuno deve fare la propria parte.
  La pubblica amministrazione deve farla da una parte, ma perché non anche il sistema delle imprese ? Io sono assolutamente d'accordo, da questo punto di vista. Penso che abbiamo la stessa preoccupazione: ogni persona è un caso a sé da tutti i punti di vista, compreso il rapporto tra realtà e sconvolgimento della realtà.
  Dopodiché, però, noi non possiamo non avere questa preoccupazione, perché si tratta di persone che hanno dato e possono continuare a dare molto. Una loro presenza tra testimoni, per esempio, in percorsi educativi e formativi nei confronti delle giovani generazioni, una loro testimonianza vale molto di più di una conferenza di un professore.
  Se ci troviamo di fronte a persone che si sentono a pieno titolo reinserite nel contesto comunitario, secondo me sono anche più preziose, piuttosto che trattarle solo con programmi speciali.

  CLAUDIO FAVA. Io vorrei chiederle alcune cose a proposito dei latitanti, che rappresentano uno dei punti di merito del lavoro particolarmente importante a cui si dedica il suo ufficio. Pongo alcune domande semplici e una un po’ più complessa, per la quale forse chiederei alla presidente se non sia opportuno segretare. Valuti lei prefetto.
  Degli 82 latitanti più pericolosi, vorrei sapere se può dirci quanti presumibilmente si trovano in questo momento all'estero e, quindi, quanti vengono cercati all'estero, e all'estero dove ? Per noi l'estero come primo impatto, per cognizione e per memoria, è l'America Latina, perché con alcuni Paesi dell'America latina c’è un rapporto d'affari costante e continuo e, quindi, si presume che lì si collochino anche condizioni di protezione sufficienti, ma immagino che non sia solo così.
  Quanti dei latitanti particolarmente ricercati non sono riferibili, come territorio di appartenenza, a Sicilia, Calabria e Campania, non come organizzazione – camorra, ’ndrangheta e cosa nostra – ma nel senso che non appartengono a quel territorio ? Quanti, se ci sono, possono essere collocati, come territorio di riferimento e di appartenenza, ad altre regioni italiane ?
  Arrivo ora al punto che mi sta più a cuore, per il quale chiederei di segretare.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Cirillo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.