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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 49 di Mercoledì 16 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione di Giuseppe Geraci.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Geraci Giuseppe  ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Geraci Giuseppe  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Fava Claudio (Misto-LED)  ... 7 
Geraci Giuseppe  ... 7 
Fava Claudio (Misto-LED)  ... 8 
Geraci Giuseppe  ... 8 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 8 
Geraci Giuseppe  ... 8 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 8 
Geraci Giuseppe  ... 8 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Lumia Giuseppe  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Geraci Giuseppe  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Geraci Giuseppe  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 

Comunicazioni della presidente.
Bindi Rosy , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 20.40.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Giuseppe Geraci.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Giuseppe Geraci sul caso dell'assassinio del padre, il sindacalista Mico Geraci, assassinato l'8 ottobre 1998 a Caccamo, in provincia di Palermo. La Commissione ha, infatti, inteso raccogliere i numerosi inviti pervenuti sia dalla famiglia Geraci, sia da tanti cittadini, sollecitati anche da una recente trasmissione televisiva curata dal noto regista Pif, per approfondire un caso archiviato nel giugno del 2005 e rimasto fin qui privo di colpevoli. Ci siamo, infatti, subito attivati, a nome della Commissione, per acquisire presso la procura della Repubblica di Palermo tutta la documentazione giudiziaria sulla vicenda, consistente in numerosi faldoni di atti d'indagine, subito messi a disposizione dalla stessa procura con l'abituale sollecitudine e il consueto spirito di cooperazione. Al riguardo desidero sottolineare che non spetta alla Commissione accertare direttamente le responsabilità penali, che è invece compito della magistratura, fin dove essa può arrivare nel rispetto della legge e della procedura penale. L'inchiesta parlamentare può però contribuire, grazie anche ai particolari poteri che l'articolo 82 della Costituzione e la legge attribuiscono alle commissioni istituite a tal fine, a raccogliere tutte le informazioni utili a ricostruire la vicenda nel suo più ampio contesto, non solo criminale, ma anche politico e sociale, promuovendo approfondimenti e, se del caso, nuove indagini, in un quadro di massima e leale collaborazione con la magistratura e gli altri poteri dello Stato.
  Da questo punto di vista, l'audizione odierna vuol essere un modo di riportare l'attenzione su una vicenda di elevato valore simbolico, per rendere onore alle vittime di mafia e dar voce ai loro familiari nella sede del massimo organo rappresentativo del Paese, e in definitiva per concorrere insieme alla ricerca della verità e della giustizia. Ricordo infine, come di consueto, che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e che ove necessario i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  È evidente che l'audizione di Giuseppe Geraci, figlio maggiore di Mico, è per noi particolarmente importante. Proprio da questa audizione prenderà avvio la nostra inchiesta, quindi siamo particolarmente grati a Giuseppe che ha accolto immediatamente il nostro invito.
  Lo ringraziamo ancora e gli diamo la parola, affidandoci ai suoi stimoli, ai suoi ricordi e alla sua disponibilità per avviare un lavoro che ci auguriamo importante per la causa comune.
  Do la parola a Giuseppe Geraci.

Pag. 4

  GIUSEPPE GERACI. Buonasera. Faccio una breve premessa: mi auguro di non farmi eccessivamente tradire dall'emozione, poiché sono molto emozionato. Sto vivendo un momento particolarmente concitato. Venendo qui, mi sono ripetuto più volte, come un mantra, di non cadere e spero che questo funzioni. Incomincerei semplicemente salutandovi affettuosamente e rivolgendo a tutti voi i miei più sentiti ringraziamenti per la sensibilità che state mostrando. Dall'omicidio sono passati quasi sedici anni. Più volte, in passato, oltre a sollecitare la polizia giudiziaria, la magistratura, ho anche sollecitato la Commissione antimafia perché approfondisse o comunque cercasse di coadiuvare la magistratura a fare luce su questo omicidio, sul contesto nel quale è maturato. Per la prima volta, anche grazie all'aiuto di Pif – e della sua trasmissione Il Testimone – che mi ha proposto di veicolare questo messaggio, questa istanza di giustizia, non mi sono tirato indietro e con molto piacere, dopo pochi giorni, ho scoperto che la presidente Bindi aveva accolto con piacere questa richiesta. Ed eccomi qua. Spero in questa fase di poter tratteggiare un po’ la figura di mio padre, fermo restando che sarò disponibile ad approfondire tutti gli aspetti sui quali mi solleciterete, sui quali ritenete di avere necessità di ulteriore approfondimento. Quando è morto mio padre io avevo diciannove anni. Ricordo che ero fuori casa. Ero passato dal sindacato. Mio padre era un sindacalista, era molto impegnato nell'attività sindacale, si occupava soprattutto del settore agroalimentare. Ricordo che quella sera dovevamo mangiare semplicemente una pizza, come qualche volta facevamo. Siamo andati con mio zio a chiedere a mio padre, che ancora era lì – era sera, ma lui si tratteneva fino a tardi a lavorare, ad ascoltare i lavoratori del settore – che pizza volesse. Ricordo perfettamente ancora che voleva una «schiacciata», è una pizza siciliana. Siamo andati in pizzeria e al ritorno mio padre non c'era praticamente più. Era stato ucciso da pochissimo. Io stesso ho ricordi confusi di quel momento, perché vedevo persone che andavano e venivano, vedevo mia madre che teneva mio padre, con il corpo riverso in una pozza di sangue. Chiesi «cosa è successo ?», poiché ancora non avevo la nitida percezione di quanto fosse appena accaduto. Mia madre disse «gli hanno sparato». Si sentì male lei, mi sentii male io. Mio fratello era agitatissimo, anche perché lui dall'alto aveva visto consumarsi l'omicidio. Era sera, non aveva visto benissimo; è stato anche lui chiamato per rendere delle dichiarazioni, per delineare la figura del killer, ma ovviamente a causa del buio non è stato possibile identificarlo esattamente, a parte la macchina, una FIAT Uno. È stato un momento tremendo. È chiaro che col tempo abbiamo dovuto gestire una situazione che è stata più grande di noi. Qualcuno fortunatamente ci ha aiutato, però le difficoltà sono state tante, anche perché, come spesso capita ahimè in queste situazioni, subito in paese cominciavano a girare delle voci che attribuivano la natura dell'omicidio a contesti totalmente diversi: un omicidio passionale, uno sgarro, chissà a chi avrà dato fastidio, sarà stata una questione legata a qualche pratica sindacale non andata bene e via dicendo. Tante persone, nostri amici con i quali abbiamo un rapporto più stretto, ci hanno detto di avere sentito questo genere di voci. Fortunatamente la magistratura non si è mai fatta influenzare. Tutte le volte in cui siamo stati ascoltati dai magistrati, incluso il procuratore di allora Pietro Grasso, abbiamo avuto la netta conferma che voci del genere al più potevano confermare la matrice mafiosa dell'omicidio e non certamente disorientare il lavoro degli inquirenti. Passa il tempo e non restiamo mai del tutto a guardare, nel senso che sempre, in una maniera o nell'altra, ci facciamo sentire dai magistrati, chiediamo loro informazioni, chiediamo di essere ricevuti. Ciò nonostante le indagini restano sempre a un punto fermo finché non si arriva alla prima formale richiesta di archiviazione delle indagini. A quel punto ho modo di accedere alla documentazione e di capire quali fossero gli elementi che fino a quel momento erano emersi. Il quadro indiziario, Pag. 5il quadro «probatorio» che fino a quel momento era stato raccolto era comunque incoraggiante. Noi ovviamente non avevamo la percezione che qualcosa si stesse muovendo. I magistrati, la polizia ovviamente lavorano in segreto. Caccamo, invece, era, da questo punto di vista, abbastanza paludosa. Ne danno atto i pubblici ministeri nella richiesta di archiviazione di cui ora brevemente parlerò. Esordiscono dicendo che avevano disposto numerose intercettazioni ambientali, ma non solo non si parlava di Mico Geraci, non si parlava nemmeno di quanto accaduto, ed era appena accaduto. Un fatto così eclatante, l'omicidio di una persona nota in paese era totalmente tabù, era un argomento che non si toccava. Sono stati ascoltati i primi collaboratori di giustizia, tra cui anche un certo Barbagallo. Barbagallo è quello che si è autoaccusato di una minaccia ricevuta da mio padre. A mio padre, nei primi anni Novanta, è stata bruciata l'auto; allora ricopriva la carica di assessore ai lavori pubblici del comune di Caccamo. Lui e altri non hanno fornito particolari dettagli sull'omicidio, però hanno fornito alcuni spunti utili e anche riscontrati. Io ho portato la documentazione e la lascerò volentieri perché cerco di parlare per tabulas. Dicono i pentiti ascoltati che mio padre era una persona molto attenta nell'esigere il rispetto delle regole, che non aveva mai rinunciato alla possibilità di denunciare pubblicamente le infiltrazioni mafiose del comune. Passano gli anni e nulla ancora si muove, fintanto che un esponente importante nell'organigramma di Cosa nostra, Antonino Giuffrè – che secondo gli inquirenti addirittura rivestiva il ruolo di vice di Bernardo Provenzano – viene arrestato. Giuffrè è di Caccamo, è caccamese come me. È stato arrestato in una masseria vicino Caccamo, a dimostrazione del fatto che i boss comunque non lasciano il proprio territorio. Poi decise di pentirsi. Io stesso mi chiedevo come mai non dicesse nulla sull'omicidio di mio padre. Me lo chiedevo, però mi sbagliavo, nel senso che in realtà Giuffrè di mio padre stava parlando. Mi sento di dire in questa sede che proprio per quello che si pensava – cioè che Giuffrè dicesse che di mio padre non sapeva nulla, fatto che lo rendeva agli occhi dei più poco credibile – anche un ex senatore, Lino Jannuzzi, aveva scritto in un articolo su Panorama anche delle cose poco opportune, che mio padre era una persona discussa e che avrebbe fatto da tramite tra la mafia e ambienti inquinati della sinistra.
  Io mi sono dovuto difendere, ho dovuto agire giudizialmente. Si era anche avvalso delle guarentigie riconosciutegli dalla carta costituzionale e ho dovuto adire la Corte costituzionale. Il giudice per le indagini preliminari ha sollevato conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, annullando quel provvedimento che denegava il procedimento penale. Alla fine, ha riconosciuto di avere sbagliato e gliene do atto; ha scritto un nuovo articolo, sempre su Panorama, in cui diceva che quanto aveva scritto era basato su elementi che riteneva attendibili, ma che poi si sono rivelati totalmente infondati. Dico questo perché purtroppo c'era un'opinione molto diffusa e questo faceva malissimo a me e alla mia famiglia, perché alla perdita di un proprio caro si univano anche i sospetti di personaggi autorevoli, che anzitutto avrebbero dovuto tutelare noi e la memoria di mio padre. Questo ci dava la misura di quanto ancora la verità fosse lontana e di quanto ancora nell'opinione pubblica le convinzioni su questo omicidio fossero diversificate; ancora si sospettava che fosse un omicidio di mafia e che mio padre fosse stato ucciso per il suo amore per la legalità. Invece, Giuffrè di questo omicidio sapeva tutto e ha raccontato tutto. Ha detto che mio padre aveva fatto una scelta di campo, con Ciccio Dolce, un personaggio politico della nostra comunità, un socialista, che aveva con lui stretto un patto anche per una candidatura a sindaco di mio padre, con l'appoggio dell'onorevole Lumia, che a mio padre era molto vicino, e avrebbe certamente arrecato un grave nocumento a cosa nostra. Due mafiosi di Caccamo, Puccio e Liberto – ho tutto scritto, ho portato qui la documentazione – per due volte sono andati da Giuffrè a Pag. 6chiedere per questo motivo il permesso di uccidere mio padre. Addirittura hanno detto che mio padre era una persona che era impazzita, che parlava male di Giuffrè e della mafia di Caccamo. Giuffrè in entrambi i casi non dà l'autorizzazione a questo omicidio, ma semplicemente consigliava di avvicinare mio padre e di ammorbidirlo. Sia chiaro, Giuffrè non lo fa per motivi filantropici, lo fa per ragioni di opportunità, perché all'epoca era latitante, quindi un omicidio di questa portata sicuramente avrebbe attratto le attenzioni delle autorità inquirenti e non se lo poteva permettere. Ricorda Giuffrè che Provenzano gli chiese se conosceva qualcuno per risolvere una questione a Caccamo e dopo scopre che proprio vicino alla sua residenza, quella ufficiale – Giuffrè sta non lontano da casa mia, anche se era latitante – era stato consumato questo omicidio. Lui stesso ritiene che sia stato anche un modo per metterlo «di lato», per fare capire che lui all'interno di cosa nostra non comandava più. Tanto che afferma che si stava muovendo per eliminare lo stesso Provenzano. Quindi, è un omicidio che denota anche le frizioni che c'erano all'interno di questo mandamento. Nonostante la ricostruzione di questo omicidio sia stata fatta, nonostante in alcuni passaggi anche gli stessi magistrati riconoscano l'attendibilità delle sue dichiarazioni, la coerenza logica e via dicendo, mancano ulteriori riscontri per poter procedere contro gli indagati, quelli che sono allo stato degli indagati. Io stesso ho avuto modo di parlare con i magistrati, ho parlato con il dottor Sergio Lari, persone sempre disponibilissime, e hanno detto chiaramente – e lo capisco anche tecnicamente, sono un avvocato, anche se non mi occupo di penale – che quando si deve procedere per reati così gravi per i quali sono previsti ergastoli è chiaro che le dichiarazioni di un solo pentito non sono sufficienti, ma occorre ulteriormente rafforzare il corredo probatorio. Fintanto che questo corredo probatorio non si rafforza, è chiaro che non ci saranno le condizioni per poter procedere. Ultimamente ci sono stati tanti arresti, cosa nostra è stata fortemente e duramente colpita. C’è qualche altro nuovo pentito, di luoghi non distanti da Caccamo, che sta parlando, quindi non escludo che magari qualcuno di loro – tra questi c’è Flamia – possa sapere qualcosa su questo omicidio. Io non escludo nulla. Una volta – vi racconto anche quest'altro aneddoto – leggevo un libro di Saverio Lodato che ho portato con me Ho ucciso Giovanni Falcone, edito da Mondadori. Questo libro, che vi invito a leggere – ve ne faccio omaggio – è semplicemente la raccolta delle dichiarazioni di Giovanni Brusca. Giovanni Brusca parla a braccio con il giornalista, che riporta le sue dichiarazioni nel libro. A un certo momento Giovanni Brusca dice: «Non bisogna sottovalutare neanche il mandamento di Caccamo, fortezza ancora inespugnata. È lì che è stato arrestato Nino Giuffrè ed è lì che è stato ucciso Giuseppe Geraci – in realtà voleva dire Domenico Geraci, solo che gli attribuisce il mio nome, e comunque sentire il proprio nome da Giovanni Brusca non è una bella esperienza – candidato a sindaco in quel comune». Ora, Giovanni Brusca è stato arrestato nel 1996 e si è pentito del 2000. Mio padre è stato ucciso nel 1998. Stando alle dichiarazioni di Giuffrè, si è cominciato a parlare dell'omicidio di mio padre nel 1997, quindi in effetti con i tempi non ci saremmo, perché già Brusca era fuori dal circuito, essendo stato arrestato appunto nel 1996. Però parla di mio padre. Mi chiedo: chissà se non sappia qualcosa o se non sappia fornire qualche elemento, alla luce di quello che ho letto, per poter dare altri spunti. Tutto qua. Mi ero un po’ prefigurato quello che avrei dovuto dire, ma confesso di essere andato totalmente fuori schema. Se c’è qualcos'altro che posso dire, sono pronto ad approfondire come voi mi indicherete. Grazie ancora, in ogni caso.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Naturalmente nel corso dell'audizione potrà anche recuperare le cose che aveva intenzione di dirci all'inizio e dircele successivamente, magari quando si è creato tra di noi un clima che la faccia sentire accolto. Siamo Pag. 7noi che, visto che dobbiamo fare questo lavoro, chiediamo lumi. Avrei alcune domande da rivolgerle, poi anche altri commissari si sono iscritti, ad esempio il vicepresidente Fava. Se alcune risposte ritiene di doverle dare in seduta segreta, non deve che dircelo. Anche noi abbiamo letto, sebbene sicuramente molto meno di lei, e abbiamo cercato di recuperare qualche carta. Qui c’è anche il senatore Lumia che, anche lui, per la sua parte, è un testimone di tutta questa vicenda. Se non sbaglio, durante la trasmissione nella quale questa Commissione è stata invitata a riaprire il caso, lei ha usato un'espressione che ci ha colpito, ho rivisto il video: «io tutti i giorni incontro gli assassini di mio padre». Possiamo chiederle a chi si riferiva ?

  GIUSEPPE GERACI. Posso rispondere in seduta segreta ?

  PRESIDENTE. Certamente.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.
  (La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  CLAUDIO FAVA. Grazie, presidente. Lei ha fatto tutte le domande che avremmo voluto porre noi. Lo dico ringraziandola di averlo fatto. Vorrei soltanto dare una parola di amicizia, di conforto, ma anche di concreto impegno e di speranza a Giuseppe Geraci. Glielo dobbiamo, anche perché quando l'abbiamo conosciuto era un ragazzino e adesso ha i capelli bianchi. Il senso del tempo che passa senza arrivare a una verità sulle nostre cose è anche una violenza in più che siamo costretti a subire e alla quale ci dobbiamo ribellare. La sua storia è una storia simile a molte altre. In questo trovo elementi di ottimismo. Il tentativo di depistaggio è la cornice che ha provato a incastrare molte vicende; il tentativo di allontanare l'ombra della matrice mafiosa perché di altro si parlasse, in questo caso, come hanno detto i magistrati, è una conferma in più. Indagini chiuse che si riaprono. Io avevo esattamente i tuoi anni quando mi convocarono in procura per dirmi che l'inchiesta sulla morte di Giuseppe Fava era archiviata. Poi è stata riaperta e si è arrivati a un processo che per quanto proponga una verità che noi riteniamo sommaria comunque è una verità. È accaduta la stessa cosa in molti altri casi. È accaduta anche per il lavoro e per la determinazione dei figli. L'inchiesta Francese chiusa e poi riaperta perché il figlio di Mario Francese cominciò a fare quello che stai facendo tu e provò a proporre ai magistrati elementi in più, elementi di valutazione e di analisi. Si riaprì questa inchiesta e poi si arrivò a un processo, a una sentenza, a una condanna. Giuseppe Impastato: processo archiviato e riaperto, in quel caso non per merito dei figli, ma degli amici che in qualche modo erano rimasti orfani di questo loro compagno, che portarono elementi tali per poter arrivare a un processo e a una condanna del mandante e degli esecutori. Penso che noi possiamo assumerci l'impegno – credo che la presidente sia d'accordo – non solo di chiedere alla procura della Repubblica gli approfondimenti opportuni, necessari, e una valutazione, anche alla luce delle cose che stanno accadendo adesso a Palermo, un po’ più attenta, ma penso che possiamo anche ascoltare Giuffrè, un collaboratore di giustizia, provare a dare tutti i contributi dal punto di vista dell'analisi, ma anche dei fatti che raccogliamo, perché questa inchiesta possa essere riaperta. Se un impegno possiamo assumerci, è quello poter fare tutto – come Commissione antimafia, ma anche come cittadini, anche come amici di un ragazzo che ha perso il padre – perché si riapra questa inchiesta e si riesca ad avere, ancor prima che un atto di giustizia, un atto di verità. La giustizia la fanno gli uomini e può essere sempre fallace, precaria, sommaria; la verità no, la verità è un diritto che nessuno ci può negare per la cui attesa dobbiamo avere anche la giusta pazienza. Su questo ci impegniamo.

  GIUSEPPE GERACI. Grazie, Claudio, le tue parole mi sono e mi sono state di Pag. 8conforto. Ho qui con me un articolo che hai scritto tu, «Ai miei killer», un articolo apparso su Sette. L'ho portato non tanto perché potesse essere di aiuto in questa inchiesta che vorrete portare avanti, quanto per le parole che rileggevo venendo qua. Sono parole forti. Tu sei stato più volte minacciato e proprio in questo articolo racconti la tua personale esperienza di personaggio politico impegnato attivamente.

  CLAUDIO FAVA. Diamolo per acquisito, senza leggerlo.

  GIUSEPPE GERACI. Assolutamente. Non lo leggo. Mi piace perché parli con Ciccio Dolce, che era l'amico di mio padre, il personaggio politico caccamese con cui mio padre aveva cominciato un percorso. Per me è un dovere più che giuridico, un dovere morale, un dovere di figlio provare a portare avanti questa sacrosanta battaglia. Mi auguro che tutti insieme ci riusciremo e che i responsabili saranno assicurati alla giustizia, come è giusto che sia.

  ANDREA VECCHIO. Quanti anni ha suo fratello ?

  GIUSEPPE GERACI. Mio fratello ha 32 anni.

  ANDREA VECCHIO. Quindi ne aveva...

  GIUSEPPE GERACI. Da poco compiuti. Allora ne aveva 16.

  ANDREA VECCHIO. Ho capito. La mafia non è stupida; la mafia è molto intelligente, ragiona. Tutte le sue azioni sono sempre guidate da un interesse molto particolare. Anche in questo caso credo che ci debba essere dietro un interesse molto particolare.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.
  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  GIUSEPPE LUMIA. È una ferita ancora aperta che sanguina. Nonostante gli anni che sono passati non è un tema pacificato, naturalmente non lo è nella famiglia e in chi gli stava vicino con serietà e con impegno antimafia, né tantomeno nella comunità di Cacciamo. È una ferita aperta che sanguina e che, come avete ascoltato, ha devastato una famiglia, ma ha cambiato anche il corso della storia della comunità locale. Mico Geraci era da tutti ritenuto un possibile e probabile candidato sindaco. Non era un azzardo, c'era stata anche una prova precedente, perché per uno strano meccanismo elettorale c'erano state delle elezioni anticipate solo per il consiglio comunale – allora la legge lo prevedeva – senza coinvolgere il sindaco, che rimaneva Di Cola, e in quell'occasione la lista «Uniti per Caccamo», che aveva costruito Mico Geraci e di cui era il principale protagonista, aveva già raggiunto un risultato molto vasto, di largo consenso. Quindi, non era una eventuale minaccia, di là da venire, per gli interessi di cosa nostra e per il controllo del comune di Caccamo, ma era una minaccia già in corso, già reale, che aveva già prodotto dei primi effetti. Questo è il punto di contesto che dobbiamo analizzare, con un precedente: Mico Geraci era già ritenuto inaffidabile, tant’è vero che Barbagallo, come ha detto bene Giuseppe, aveva già proceduto anni prima per intimidirlo, atto di cui si è autoaccusato, quindi è un rilievo abbastanza importante e sul piano della credibilità abbastanza fondato. Noi dobbiamo interrogarci su tre contesti micidiali. Il contesto del mandamento di Caccamo era potentissimo; era il contesto di un mandamento che Falcone definì «la Svizzera di cosa nostra», quindi un mandamento controllatissimo. Falcone lo definì «la Svizzera di cosa nostra» perché era un contesto dove si riciclava – «Svizzera di cosa nostra» – e perché era così sicuro da mantenere latitanti, che di volta in volta erano ai vertici di cosa Pag. 9nostra, nascosti proprio in quel territorio. Ci furono in quel mandamento per la prima volta un'operazione investigativa e un'azione della magistratura qualche mese prima, che rappresentarono una prima devastazione del contesto mafioso di Caccamo, che fu poi l'oggetto della discussione di quella famosa iniziativa che causò una violazione dell'omertà mafiosa a Caccamo, per la prima volta nella storia, il 30 luglio sempre di quell'anno, con quel volantino che Giuseppe ci ha fatto vedere. Quel mandamento, che era un mandamento di primo piano di cosa nostra in Sicilia, controllatissimo, mai violato dall'antimafia, viene messo in discussione in modo pesante. Non erano abituati a una presenza antimafia di quella portata, dove non ci si limitava semplicemente a dire «antimafia», ma si facevano i nomi, i cognomi, si denunciavano gli interessi, gli appalti, il piano regolatore, la metanizzazione, il Foro boario, sono tanti, è inutile ripeterli, sono tutti agli atti. Era un'azione antimafia in quel contesto dirompente. Un secondo contesto dirompente erano le dinamiche interne a cosa nostra, anche questo un contesto tutto da indagare. Ormai è noto che quel contesto era controllatissimo da parte di Provenzano, era uno dei mandamenti più fedeli a Provenzano. Lo stesso Giuffrè era uno dei boss più vicini a Provenzano, insieme a Spera, tanto è vero che racconta che in quel dialogo nelle campagne di Mezzojuso erano insieme Spera, Giuffrè e Provenzano. Era un contesto in cui emergeva una leadership potente, quella di Giuffrè, di primo piano, che stava iniziando ad avere primi conflitti – latenti, potremmo dire – nel modo di cosa nostra, che non sono conflitti come si possono avere in altri contesti sociali, cioè chiari, netti, dichiarati, ma sono conflitti soffusi, ammantati, col dico e non dico; però un conflitto sempre feroce, devastante, anzi più devastante dei conflitti dichiarati ed espliciti che conosciamo in altri contesti sociali e politici. Di questo conflitto Giuffrè dà notizia. Era un conflitto che aveva anche come protagonista la stessa Caccamo. Non solo Liberto e i fratelli Puccio, ma anche la famiglia Guzzino, che – non bisogna dimenticarlo – era una delle famiglie più potenti della storia mafiosa di Caccamo. Quando morì il capomafia Intile – una morte pure questa tragica: pensate, si era impiccato in carcere – invece di lasciare, come tutti prevedevano, lo spazio a Guzzino, questo fu scavalcato – così Guzzino riteneva – da Giuffrè. Questo aveva lasciato un rapporto sempre non lineare e tendenzialmente conflittuale anche con questa famiglia. Quindi, un contesto mafioso in cui la domanda facile da farsi è questa: poteva, un contesto come quello di quel mandamento, che aspirava a diventare mandamento guida di cosa nostra nella provincia di Palermo e quindi in Sicilia, tollerare una presenza antimafiosa proprio laddove Giuffrè viveva, a Caccamo ? Poteva Giuffrè prendere la guida di cosa nostra in Sicilia ed essere un esponente di primo piano, sapendo che nella sua comunità addirittura si violava il principio che cosa nostra comandava il comune al 99 per cento, che il comune era sotto controllo e il territorio era sotto controllo senza mai avere un'azione antimafiosa di primo piano ? Questo è un altro contesto che va verificato. Un terzo contesto più specifico è quello del comune. Chiedo la segretazione.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.
  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Noi la ringraziamo molto per la sollecitazione e anche per la sua disponibilità. È chiaro che questo lo consideriamo con lei il primo incontro, anche perché forse può essere lei, come ci ha detto, anche il tramite per la sua famiglia viste le eventuali difficoltà che ci sono. Naturalmente sarà importante per noi concordare con lei anche alcuni passaggi della nostra inchiesta.

  GIUSEPPE GERACI. Io ci sarò, sarò presente. È nel mio interesse. Non vi Pag. 10ringrazierò mai abbastanza. Mentirei se dicessi che non ho paura; la paura ce l'ho. È umano averne ed è umano riconoscere di averne. Diciamo che tengo duro e cerco quotidianamente di superarla. Tutto qui.

  PRESIDENTE. Senta almeno la nostra vicinanza.

  GIUSEPPE GERACI. Assolutamente sì.

  PRESIDENTE. Grazie ancora. Saluti anche alla sua famiglia. Dichiaro conclusa l'audizione.

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che il senatore Nunziante Consiglio, del gruppo Lega Nord e Autonomie, è stato designato dal Presidente del Senato quale membro della Commissione, in sostituzione del senatore Raffaele Volpi, dimessosi per assumere altro incarico istituzionale, e che lo stesso senatore Consiglio è stato nominato capogruppo in Commissione da parte del gruppo di appartenenza. Nel ringraziare il senatore Volpi per l'attività sin qui svolta rivolgo un augurio di buon lavoro al senatore Consiglio per una proficua collaborazione in seno alla Commissione.
  Comunico, inoltre, che oggi mercoledì 16 luglio 2014, alle ore 10,30, presso l'Istituto Superiore di Polizia, sito in via Piero della Francesca, 3, si è svolta una cerimonia commemorativa del giudice Borsellino e delle vittime della strage di via D'Amelio, tra cui l'agente Emanuela Loi, organizzata dalla Commissione antimafia, alla quale hanno partecipato il Capo della Polizia, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, il Comandante generale della Guardia di Finanza e il Direttore della DIA. Ricordo altresì che il 19 luglio sarò presente in via D'Amelio, in occasione della ricorrenza della strage. Se qualcuno è interessato può unirsi alla presenza in via D'Amelio. Il giorno successivo il vicepresidente Fava e il senatore Lumia, in rappresentanza della Commissione, parteciperanno a un convegno organizzato dal movimento «Agende rosse».

  La seduta termina alle 22.05.